I tesori del fiume MARCO COLOMBO
Pur sottolineando come ogni eventuale opinione espressa, errore o imprecisione in questo volume siano da imputarsi esclusivamente all’autore, si desidera ringraziare per il supporto, i consigli, il rilascio di autorizzazioni, le indicazioni, l’assistenza su campo o altre forme di collaborazione le seguenti persone: Danilo Baratelli, Federica Bedei, Adriano Bellani, Elisa Belotti, Emanuele Biggi, Bruno Boz, Roberto Brenda, Nicola Bressi, Francesca Buoninconti, Venanzio Cadoni, Giacomo Calvia, Elisa Canciani, Claudia Canedoli, Giacomina Carìa, Carla Castiglioni, Anna Cataldi, Andrea Ciracì, Carlo Colombo, Giorgio Colombo, Susanna Colombo, Giuseppe Comi, Rossella Cominotti, Giovanni Comoglio, Ilaria Cossu, Sergio Cossu, Stefano Covizzi, Anna Rita Di Cerbo, Matteo Di Nicola, Franco Di Prizio, Gabriele Espis, Lidia Fleba, Pietro Formis, Nicola Fortini, Alessandro Franza, Chiara Frigerio, Manuela Giammetta, Giovanna Giacoppo, Egidio Isotta, Elisa Isotta, Mari Lasco, Antonio Macioce, Chiara Maffioletti, Eleonora Manca, Renata Manconi, Enrico Manna, Bruno Manunza, Massimiliano Marcelli, Stefano Marconi, Giuseppe Masarin, Edgardo Mauri, Francesca Midena, Christian Mirra, Federica Papi, Roberto Pegolo, Agostino Pela, Massimiliano Petrolo, Federico Pianezza, Armando Piccinini, Eleonora Pironti, Marco Primavesi, Salvatore Ricciardo, Aldo Rismondo, Laura Roca, Mario Romor, Fabio Russo, David Salvatori, Luca Sergas, Piero Slama, James Tagliavini, Alessia Tatti, Francesco Tomasinelli, Miho Tsuruoka, Paolo Turin, Luca Vicenzi, Francesco Visintin. Un ringraziamento particolare ad Alex Mustard, per aver acconsentito a scrivere la prefazione, e a Nicola Fortini, per la revisione dei testi scientifici. SPONSOR TECNICI
ESA Worldwide Isotecnic di Elisa Isotta MaGear NOTE: Tutte le foto su questo libro sono state realizzate in natura (ad eccezione di alcune dei progetti di conservazione, come da didascalie), in Italia o poco oltre il confine, nel rispetto dell’incolumità dei soggetti ripresi e dell’integrità dei luoghi esplorati. Per realizzare varie immagini di queste pagine sono state affrontate, in immersione e non, condizioni ambientali estreme che richiedono una specifica preparazione tecnica ed organizzazione logistica, risultando comunque impegnative, o addirittura pericolose senza le dovute precauzioni e attrezzature; si invita pertanto a non imitare i comportamenti narrati. Tutto quanto riportato negli scritti è reale anche se per motivi narrativi il tempo del racconto può essere stato velocizzato o rallentato rispetto al tempo della storia; i nomi dei luoghi non sono reperibili sulle carte geografiche, nel rispetto di siti sensibili al disturbo umano. Durante l’ultimo decennio la classificazione e i nomi di molti animali e piante sono cambiati, anche per via dei nuovi approcci di studio alla natura, in particolare quelli genetici. In questo lavoro si è optato per l’utilizzo dei nomi scientifici ritenuti più idonei e riconosciuti attualmente, con la consapevolezza del fatto che nel giro di poco tempo essi potrebbero essere già obsoleti.
ISBN 978-88-86227-76-6 © Copyright 2016 Marco Colombo Fotografie: © Copyright Marco Colombo Ad eccezione di quelle a pagina 142 (da sinistra a destra e dall’alto al basso, nell’ordine sono di M. Colombo, P. Formis, M. Colombo, A. Piccinini, P. Formis, D. Salvatori, F. Papi, G. Colombo, R. Pegolo, G. Colombo, P. Formis, A. Boscherini). Progetto grafico: Sergio Negri Elaborazione grafica ed impaginazione: Davide Niglia Prima edizione: settembre 2016 © Copyright 2016 PUBBLINOVA EDIZIONI NEGRI e-mail: info@pubblinovanegri.it www.pubblinovanegri.it Stampa: Reggiani Arti Grafiche S.r.l. - Brezzo di Bedero (VA) Tutti i diritti riservati - Printed in Italy
Sommario
Prefazione del Dr. Alex Mustard . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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I tesori del fiume Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Alle sorgenti della vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 La voragine del drago . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 EreditĂ marine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 Elogio del fango . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Il lungo viaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 Vite al confine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Invasori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 Tesori perduti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143 5
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Prefazione
La vita sulla Terra è possibile solo con acqua e luce. La luce solare è l’energia alla base di tutte le catene alimentari, mentre l’acqua è ancora più notevole, soprattutto perché presente naturalmente allo stato liquido. Nel nostro sistema solare la temperatura varia da -270 ad oltre 5000 gradi e, come ampiamente noto, l’acqua è liquida solo in un ristretto intervallo da 0 a 100 gradi; il nostro pianeta è l’unico sul quale queste propizie condizioni esistono in superficie. L’acqua è anche l’unica sostanza incontrabile naturalmente sulla Terra in tutti i suoi stati: solido, liquido e gassoso. È una fortuna per la vita che sia proprio l’acqua ad essere così inusuale ed utile: ad esempio, essa si scalda e raffredda più lentamente di tutte le altre sostanze, il che mitiga gli estremi nel nostro clima. L’acqua è anche un super-solvente e può disciogliere più sostanze di qualunque altro liquido, consentendo alla “chimica della vita” di avvenire. Ad eccezione del mercurio, l’acqua ha la tensione superficiale più elevata, favorendo la formazione di gocce e bolle, e permettendo alle piccole creature di camminare sulla sua superficie. Una delle sue proprietà più strane è il fatto che in forma liquida non aumenti di densità man mano che si raffredda: l’acqua pura raggiunge l’apice della densità a 4 gradi, al di sotto dei quali ritorna meno densa. Questa bizzarra caratteristica è cruciale, poiché permette a laghi e fiumi di non ghiacciare sotto la superficie, e alla vita acquatica di sopravvivere in inverno. Luce ed acqua sono anche due fondamentali elementi intrecciati nelle pagine di questo libro, nelle splendide e penetranti fotografie di Marco Colombo. Ho il privilegio di conoscere Marco personalmente ed ho toccato con mano la sua passione e profonda conoscenza della natura.
Marco ha accumulato un enorme sapere dai libri, anche durante gli studi accademici, ma in maniera altrettanto importante ha imparato da una vita spesa all’aperto, ponendo tutti i suoi sensi in contatto con la natura. Questa esperienza di campo è il terzo ingrediente che rende tale portfolio così notevole. Nonostante queste fotografie rappresentino momenti ristretti, frazioni di secondo inquadrate e conservate per farcene godere, tutte rappresentano giorni, settimane, anni di lavoro: molte delle specie in questo libro non sono affatto facili da trovare. Il fotografo deve quindi aspettare che esse si esibiscano in comportamenti interessanti o pose caratteristiche, che lo facciano in una luce accattivante e che gli diano abbastanza tempo per reagire artisticamente e creare una visione unica della natura. È la passione di Marco a fornirgli la perseveranza richiesta al fine di produrre una collezione di questo standard. Così come acqua e luce sono essenziali per la natura, quest’ultima è essenziale per noi. Non solo per appagamenti estetici, o per dimostrati benefici di salute nel godere regolarmente del tempo negli spazi verdi, ma perché senza natura la nostra civiltà non può esistere. La natura ci fornisce aria da respirare ed acqua da bere, e non ci fa pagare per questi servizi vitali. Nello sfogliare questo libro ricordate, dunque: un fiume è molto più dell’acqua tra le sue due rive. Mentre scorre porta la vita non solo al mondo naturale, ma anche a noi. Dr. A LEX MUSTARD
(Biologo marino e Fotografo subacqueo)
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Introduzione
Questo è il libro delle occasioni perdute. Lo sguardo di una lontra a pochi metri da me, tornata sotto la pelle del fiume prima che la potessi inquadrare; la malinconica confidenza di uno svasso accovacciato sulla sponda del lago in un giorno grigio, volato in acqua in un battito d’ali; quel corso d’acqua sotterraneo, prima troppo torbido e poi con troppa corrente per permettermi di affrontarlo in immersione con la dovuta tranquillità mentale. Non ci si bagna due volte nello stesso fiume, diceva Eraclito; non so se sia intimamente vero, ma ogni volta che sono rientrato in uno stesso corso d’acqua, non l’ho mai trovato uguale. E questa, a ben pensarci, è la base fondante del mio “approccio conico ai luoghi”, non un sorvolare leggero visitando qua e là ambienti in maniera superficiale, ma indagare a fondo una stessa zona, in diverse stagioni, con diversi meteo, con diverse scale di osservazione, per rimanere stupiti ogni volta dalle sorprese che può riservare. La magia dell’acqua che transita implacabile tra le radici ed i ciottoli è qualcosa che non si può comprare; il fiume divide ma anche unisce le due sponde, che non dovrebbero incontrarsi mai, salvo secche e siccità, che le legano creando ponti. E così, sotto il peso delle ombre degli alberi, ho pian piano modellato, plasmato, forgiato questo libro. È nato come un ciottolo grezzo e quadrato, per poi smussarsi e arrotondarsi sempre più, con lo scorrere del tempo, andando ad assumere una forma più definita. Non per la prima volta, nella mia storia di naturalista e fotografo, ho dato più importanza al tutto, alla storia, al complesso, rispetto alla vana ricerca di singole immagini “perfette”. Ho capito che per rappresentare la bellezza del tutto, scomporre in singole parti è limitante, seppur inevitabile. Il collegamento tra le singole parti, però, fa la differenza. Tante immagini slegate tra loro, seppur belle, sono forse meno efficaci di un buon filo conduttore avviluppante immagini mediocri. Per fare questo libro, frutto del lavoro di molti anni, ho dovuto sfruttare tutte le mie abilità di cercatore. Ho dovuto sopportare il freddo dell’acqua, del vento, della pioggia e della neve; camminare carico di attrezzatura, con le ginocchia a pezzi; contrastare la corrente, con i crampi ai polpacci. Non è questione di essere supereroi, anzi. Il nocciolo sta tutto nella conoscenza, nella curiosità, nel rispetto. E infatti, è sempre valsa la pena: anche quando, dopo mille fatiche, non ho portato a casa alcuno scatto buono o utilizzabile, nonostante le spese e i sacrifici, sono sicuro
che quel tempo mi sia servito a qualcosa... Sono stato educato al valore della sconfitta. In altri casi si è trattato di lunghe attese, ore alienanti di cori anfibi che non puoi spegnere, occhi di lupo che osservano senza farsi vedere, muggiti di tarabusi nascosti nel folto del canneto. È un tempo che mi ha modellato, plasmato, forgiato, come farebbe e ha fatto l’acqua stessa. In tutto questo, anche la serendipità è stata determinante: come si dice, un’attenta pianificazione non potrà mai sostituire una sana botta di... fortuna. Il mio è stato un approccio sistemico ad un ambiente, quello fluviale, che non poteva essere considerato in maniera slegata dai laghi, dalle risorgive, dagli stagni, dalle lagune e dalle aree umide in generale. E non si poteva nemmeno rimanere vincolati alla sola porzione sommersa, visto il continuo interscambio biologico con le aree emerse adiacenti. È un habitat dai confini poco marcati, un continuo, anche se per studiarlo è necessario ancora una volta scomporlo in aree dai contorni altrettanto sfumati e labili. Non si scandalizzino gli esperti del settore, se l’ordine e ripartizione degli argomenti non sono quelli classicamente scientifici: d’altronde, questo non è un manuale e qualche scelta andava pur fatta. Cosa prediligo fotografare? Paesaggi mozzafiato? Piante dai fiori lussuosi? Animali? Questi ultimi hanno sicuramente una posizione privilegiata nelle mie preferenze, ma nella realtà, in fondo, ciò che amo fotografare sono le storie della natura, l’inenarrabile bellezza del tutto. E, in quella inestricabile quanto ammaliante giungla di biodiversità che ho incontrato, ho dovuto selezionare per queste pagine ciò che più mi ha colpito, ma anche ciò che secondo me era meno conosciuto ai più. Dal canto mio, continuerò a ricercare il noto, l’ignoto e l’inconoscibile, come ha detto qualcuno, per condividerlo con molti. Non le pagliuzze d’oro dei cercatori, quindi, ma questi, i veri “Tesori del fiume”. Dapprima ho amato, poi ho osservato, infine ho fotografato.
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Le popolazioni italiane di sanguinerola (Phoxinus phoxinus) vengono attualmente considerate una specie separata (Phoxinus lumaireul). Alla pagina precedente: L’eleganza della tinca (Tinca tinca) sotto alcuni alberi caduti nell’acqua. 17
La trota iridea (Oncorhynchus mykiss) è una specie di origine americana, introdotta per la pesca sportiva in molti ambienti montani.
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Alle pagine seguenti: Una spessa crosta di ghiaccio ricopre un lago alpino, lasciando intravedere il fondale solo in alcuni punti. Sott’acqua, la magia di uno scenario gelido e incantato, tronchi di alberi precipitati sul fondo per via di una frana e ricoperti dal ghiaccio ricco di bolle.
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Pisoliti e concrezioni calcaree sul fondo di una piccola pozza sotterranea. 32
La voragine del drago
Sono sempre stato affascinato da grotte, caverne e miniere abbandonate, anche sommerse, perché hanno atmosfere magiche, ed ospitano animali strabilianti che paiono giunti da un altro pianeta. Queste cavità spesso sono ricche di acqua, soprattutto in ambienti carsici, dove essa non scorre in superficie ma in ambiente sotterraneo, favorendo ora la formazione di concrezioni e minerali bellissimi, ora la nascita di ambienti eccezionali, come laghetti placidi apparentemente isolati e cunicoli movimentati dalla corrente. È un mondo largamente sconosciuto, questo, ancora oggi oggetto di esplorazioni e scoperte ad opera di speleologi e speleosub dalla preparazione fisica e tecnica formidabile. Eppure meriterebbe più attenzione da parte dell’uomo, non solo per la notevole ricchezza biologica, spesso relitta, localizzata o endemica, ma anche per via del fatto che secondo alcune stime le acque dolci sotterranee sono la più grande risorsa idrica della Terra (circa il 97% del totale, contro il 3% delle acque dolci superficiali). La fauna di questi acquiferi tende a smentire l’idea comune che gli ecosistemi sotterranei siano privi di vita: mentre alcune specie vi si ritrovano per via di una banale preferenza per i luoghi oscuri, pur potendo tranquillamente vivere anche in superficie, altre sono estremamente specializzate. La depigmentazione rende le colorazioni bianche o rosate; microftalmia e anoftalmia rispettivamente portano alla riduzione o addirittura assenza di occhi; l’ipertrofia di altri organi di senso favorisce lo sviluppo di setole, antenne molto lunghe, recettori per la cattura degli stimoli circostanti. Le loro strategie riproduttive inoltre sono particolari, prevedendo di norma una bassa fecondità ed un tempo di crescita relativamente lento, al fine di non raggiungere densità troppo elevate in ambienti relativamente poveri di risorse trofiche: ad eccezione di alcuni batteri che sono in grado di auto-sostenersi grazie a reazioni chimiche, tutti gli altri organismi dei fiumi sotterranei sono predatori, oppure detritivori che si nutrono di sostanze in decomposizione provenienti perlopiù dall’esterno. Un microcosmo, questo, minacciato dall’ingente captazione idrica, dagli scavi estrattivi e soprattutto dall’inquinamento, invisibile ma assolutamente pervasivo. Era il 1689 quando il naturalista sloveno Janez Vajkard Valvasor descrisse le piene dei fiumi sotterranei, che portavano in superficie piccoli animali allungati e chiari, ritenuti dalle popolazioni locali giovani draghi; solo dopo quasi un secolo, nel 1768, tali creature vennero descritte ufficialmente dal punto di vista scientifico. Da allora, tali esseri a metà tra mito e realtà sono stati studiati sempre più, anche se molto deve ancora essere scoperto sul loro conto.
Človeška ribica (“pesce umano”, per via della colorazione carnicina) o močeril (“colui che si nasconde nell’umido”) in sloveno, proteo in italiano: questi i nomi di un anfibio dalle caratteristiche straordinarie. Lungo in media 20-25 cm, molto snello, bianco o rosato, ha tre dita su ogni arto anteriore e solo due su ogni arto posteriore; il cranio è particolarmente allungato e appiattito frontalmente. Nonostante i suoi occhi siano rudimentali, privi di cornea e cristallino, nascosti sottopelle ed invisibili (o visibili come puntini neri), il proteo può percepire variazioni di luminosità e non manca di altre doti sensoriali per il suo regno del buio, tra le quali: capacità di orientarsi col campo magnetico terrestre, sensori per rilevare i campi elettrici emessi dalle prede, linea laterale per intercettare le vibrazioni dell’acqua e odorato molto sviluppato. Gli adulti sono neotenici: al contrario di altre specie di salamandre e tritoni, mantengono le caratteristiche larvali e quindi recano anch’essi ciuffi branchiali rossi o rosati per poter respirare nell’acqua. Un adattamento, questo, all’ambiente ipogeo, dove la crescita è talmente rallentata che gli animali raggiungono la maturità sessuale ancor prima di completare la propria vita larvale, visto che la metamorfosi richiederebbe un dispendio di energie enorme; oltre ad iniziare a riprodursi molto tardi (tra i 10 e i 18 anni di età a seconda del sesso), i protei mostrano una strabiliante longevità di almeno 58 anni, che si stima poter raggiungere addirittura i 100 anni. La riproduzione è stata osservata solo in cattività: ciononostante, il corteggiamento ha rituali ancora non del tutto conosciuti; le femmine depongono ogni 6 anni una media di circa 40 uova, difendendole da possibili intrusi. Il proteo si nutre di piccoli invertebrati come crostacei e molluschi, ma può digiunare anche per 8-10 anni; a sua volta, il “drago” può essere predato da pesci che entrano nel sistema fluviale sotterraneo o quando esso stesso viene portato in superficie dalle piene, ritrovandosi in risorgive o estavelle. Secondo alcuni studi ancora in corso, è possibile che i protei italiani appartengano ad una specie diversa rispetto a quella nominale, descritta dalla Slovenia. Per fotografarlo nel suo ambiente naturale, mi sto calando in una voragine verticale di quasi 40 m di profondità; è veramente tanto che non scendo in corda, e nella mia testa ripasso le procedure di vitale importanza per poter proseguire in sicurezza, mentre alcuni pipistrelli escono dalle aperture della parete. Arrivato giù, appoggio i piedi su una frana, dove vedo un rospo comune caduto dall’alto e miracolosamente sopravvissuto; seguendo la china di pietre scivolose, mi infilo in una spaccatura e scorgo la riva di un piccolo specchio d’acqua sotterraneo. Serve l’aiuto di cinque persone per calare tutta l’attrezzatura, scafandro della macchina fotografica, bombole, 33
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Alla pagina precedente: Il piccolo tesoro, una testuggine palustre (Emys orbicularis) si muove sul fondo di un fiume in estate, sollevando nuvole di sospensione tra i raggi di sole che filtrano dalla vegetazione di riva.
Maschio di tritone alpestre apuano (Ichtyosaura alpestris apuana) in livrea riproduttiva, all’interno di un lavatoio con ninfee.
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Una femmina di lampreda di mare mostra sul capo i segni delle “attenzioni amorose� da parte di un maschio. 76
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Le sottili linee inchiostrate dei riflessi sulla superficie scontornano uno svasso maggiore (Podiceps cristatus). 90
Un fiero falco pescatore (Pandion haliaetus) con un cefalo catturato poco prima in uno stagno costiero. 91
Grossi maschi di cervo nobile (Cervus elaphus) in fila indiana sulla riva di un lago durante l’inverno. 100
Cervi nobili in un saliceto allagato. 101
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Invasori
Da sempre l’uomo ha introdotto volontariamente certi animali, per scopi diversi: basti pensare alle adattabili carpe (Cyprinus carpio), ormai ubiquitarie, diffuse da almeno cinquecento anni e per questo considerate para-autoctone in Italia, cioè naturalizzate in tempi antichissimi. L’inarrestabile processo di globalizzazione che ha recentemente coinvolto la popolazione umana ha però contribuito al collegamento di parti del mondo enormemente lontane tra loro, barriere pressoché insormontabili per la maggior parte degli organismi a bassa dispersione o distribuzione limitata. Il trasporto di merci, nonché l’introduzione volontaria per i motivi più vari, ha favorito quindi la diffusione di specie provenienti da Paesi lontani, in aree dove non erano assolutamente mai state presenti. Nel delicato incastro di equilibri dinamici della natura, questo fa sì che si creino degli scompensi ambientali. È probabile che individui di molte specie, acquatiche e terrestri, arrivino ogni giorno in Italia tramite le navi, gli aerei, il legname o per semplice liberazione da parte di detentori scriteriati; non tutti però sopravvivono, visto che le loro aree di provenienza non hanno magari le stesse caratteristiche ambientali e climatiche. Della quindi ristretta percentuale di individui con esigenze adatte, poi, sopravvivono solo quelli di specie molto competitive ed adattabili; dal sopravvivere al riprodursi e formare popolazioni stabili, infine, ci sono ulteriori complicazioni (per esempio, devono essere introdotti più individui contemporaneamente, ed il tasso riproduttivo dev’essere alto), che quindi ci fanno capire come ciò che noi osserviamo, tra gli intrusi, sia solo il frutto di tutta una serie di colli di bottiglia severissimi. Se tutte le specie che arrivano attecchissero, probabilmente saremmo sommersi dagli alloctoni (così vengono chiamati gli organismi introdotti e stabiliti in areali diversi dai propri); e nonostante tutto, comunque, il tasso di invasione stimato è di quattro volte superiore rispetto a due secoli fa, con 20-30 specie nuove ogni anno. Questi nuovi arrivati, sia tra i vegetali che tra gli animali, arrecano non pochi danni agli ecosistemi locali: secondo alcuni calcoli, essi sono tra i maggiori fattori di erosione della biodiversità, almeno nell’area mediterranea. E, in questo quadro decisamente poco rassicurante, le zone umide italiane ricadono tra gli ambienti più intaccati da un fenomeno che pare inarrestabile. Al giorno d’oggi, non solo il vento, le correnti, le piene e le migrazioni spontanee sono modalità di dispersione degli organismi: al giorno d’oggi, l’uomo gioca un ruolo fondamentale nella loro propagazione. Competizione alimentare e spaziale, predazione diretta e trasmissione di malattie sono solo alcune delle problematiche di molte specie introdotte; nel caso di altre,
come la medusa d’acqua dolce (Craspedacusta sowerbii), non sono ancora chiare le conseguenze, ad esempio sullo zooplancton che viene predato durante le proliferazioni del celenterato asiatico. Se pensiamo al gambero della Louisiana (Procambarus clarkii), “evaso” all’inizio degli anni ’90 da un allevamento a causa di una piena ed introdotto largamente anche in tutta la penisola e in Sardegna, potremmo in qualche modo paragonarlo ad Attila: dove passa lui, non cresce più l’erba, dicevano. Ed il bellicoso crostaceo, effettivamente, ha molti assi nella manica: può sopravvivere in ambienti inquinati e poco ossigenati, può percorrere lunghe distanze fuori dall’acqua, resiste sia in acque molto calde che fredde infossandosi in lunghe gallerie scavate nel sedimento, si nutre della vegetazione del fondo, di macroinvertebrati, anfibi anche endemici e piccoli pesci, impoverendo irrimediabilmente le reti ecologiche; per non parlare poi del fatto che, in quanto portatore sano di un fungo (Aphanomyces astaci), infetta i gamberi autoctoni sterminandoli come una vera e propria peste. Altre specie, come le testuggini palustri americane (Trachemys sp.), competono per il cibo, i siti di termoregolazione e di deposizione delle uova con le testuggini nostrane, oltre ad essere anch’esse portatrici sane di malattie trasmissibili alle parenti europee. Numerosi sono poi i componenti della fauna ittica che si possono incontrare nuotando nelle nostre acque dolci e che provengono da altre zone dell’Europa, dall’America, dall’Africa o dall’Asia. Basti pensare che su 113 specie attualmente segnalate, ben 52 sono alloctone, e tra esse vale la pena di ricordare i pesci gatto (Ictalurus sp., Charias sp., Ameiurus sp.), il lucioperca (Sander lucioperca), il persico trota (Micropterus salmoides) ed il persico sole (Lepomis gibbosus), vorace divoratore di uova. A volte, queste dannose immissioni avvengono addirittura all’interno dello stesso Paese: è il caso del ghiozzo padano (Padogobius bonelli), introdotto accidentalmente in vari corsi d’acqua dell’Italia centrale, dove compete con il ghiozzo etrusco (Padogobius nigricans) causandone rarefazione e contrazione dell’areale distributivo. Per anni ho avuto un’idea che mi frullava nella testa senza poterla realizzare: uno scatto subacqueo ad una nutria (Myocastor coypus). Questi grandi roditori sudamericani, simili a dei castori, sono stati largamente impiegati nelle industrie di pellicce fino al secondo dopoguerra, quando alcuni individui sono stati liberati di proposito o comunque sono fuggiti dagli allevamenti, diffondendosi in gran parte delle aree umide del territorio nazionale e arrecando danni agli argini e alla vegetazione riparia, nonché alla nidificazione di molti uccelli acquatici (in alcune aree dell’Italia cen105
Una bicicletta sul fondo di un fiume: maleducazione, disinteresse e scarsa coscienza ecologica portano gli umani a ritenere lecito l’utilizzo degli ambienti naturali come discariche.
Inquinamento sul fondo di una lanca. 120
Gli scarichi compromettono gravemente la salute degli ecosistemi e dell’uomo.
Molti sbarramenti risultano invalicabili e costituiscono un problema per le specie acquatiche migratrici. 121
Il futuro del fiume è anche nelle mani dell’uomo, come questa giovanissima testuggine palustre europea (Emys orbicularis) salvata dalla carreggiata. 132
Conclusione
È questa la fine di un viaggio. Un tragitto liquido e mutevole, con le sue anse e le sue buche, alla scoperta di ambienti e animali che non si immaginano. Alla fine di tutto questo, mi ritrovo svuotato e al contempo arricchito, lacerato e ricostituito, sconfitto e vincitore.
Nel fiume le sorti si sovvertono, i pronostici evaporano. Cosa è possibile fare di concreto nella vita di tutti i giorni? Il cambiamento parte sempre dal basso. Il futuro del fiume è anche nelle mani dell’uomo.
1. Lascia sempre pulita la riva del fiume o del lago, riporta a casa la spazzatura 2. Per un minor spreco d’acqua, prediligi la doccia alla vasca da bagno, e riduci il consumo di carne (in particolare da allevamenti intensivi) 3. Non gettare nello scarico del WC e del lavandino sostanze come oli e grassi 4. Usa detersivi biologicamente degradabili 5. Riduci al minimo il consumo della plastica, riciclala e riutilizzala 6. Se noti una moria di pesci, uno scarico inquinante o delle attività sospette, fai una segnalazione alle autorità preposte 7. Utilizza creme solari resistenti all’acqua 8. Non consumare specie protette oggetto di bracconaggio a livello locale 9. Non uccidere animali che non conosci solo perché ti fanno paura, in realtà tendono a scappare il prima possibile se non disturbati 10. Non liberare in ambiente naturale animali che tenevi a casa, poiché potrebbero provocare enormi danni qualora trasmettessero malattie o si diffondessero a dismisura 11. Se vai a pesca, non abbandonare pezzi di lenza in acqua o sulle rive; rispetta le misure minime dei pesci e i periodi di fermo 12. Se hai un terreno nei pressi del fiume, non tagliare tutta la vegetazione 13. Se hai un campo, un giardino, un orto o un frutteto, riduci al minimo l’utilizzo di sostanze chimiche 14. Sostieni le attività di ricerca e monitoraggio ambientale 15. Partecipa alle iniziative primaverili di salvataggio anfibi 16. Non superare i limiti di velocità e presta attenzione ad eventuali animali sul manto stradale 17. Non disturbare le nidificazioni degli uccelli 18. Non pubblicare sul web i siti di presenza di specie sensibili o rare; non condividere notizie senza aver verificato l’attendibilità della fonte 19. Visita i Parchi rispettandone i regolamenti e favorisci le economie locali 20. Lasciati affascinare dalla bellezza 133
La vita sulla Terra è possibile solo con acqua e luce. La luce solare è l’energia alla base di tutte le catene alimentari, mentre l’acqua è ancora più notevole, soprattutto perché presente naturalmente allo stato liquido. Nel nostro sistema solare la temperatura varia da -270 ad oltre 5000 gradi e, come ampiamente noto, l’acqua è liquida solo in un ristretto intervallo da 0 a 100 gradi; il nostro pianeta è l’unico sul quale queste propizie condizioni esistono in superficie. […] Luce ed acqua sono anche due fondamentali elementi intrecciati nelle pagine di questo libro, nelle splendide e penetranti fotografie di Marco Colombo. Ho il privilegio di conoscere Marco personalmente ed ho toccato con mano la sua passione e profonda conoscenza della natura. Marco ha accumulato un enorme sapere dai libri, anche durante gli studi accademici, ma in maniera altrettanto importante ha imparato da una vita spesa all’aperto, ponendo tutti i suoi sensi in contatto con la natura. Questa esperienza di campo è il terzo ingrediente che rende tale portfolio così notevole. Nonostante queste fotografie rappresentino momenti ristretti, frazioni di secondo inquadrate e conservate per farcene godere, tutte rappresentano giorni, settimane, anni di lavoro: molte delle specie in questo libro non sono affatto facili da trovare. […] La natura ci fornisce aria da respirare ed acqua da bere, e non ci fa pagare per questi servizi vitali. Nello sfogliare questo libro ricordate, dunque: un fiume è molto più dell’acqua tra le sue due rive. Mentre scorre porta la vita non solo al mondo naturale, ma anche a noi. Dr. A LEX MUSTARD (Biologo marino e Fotografo subacqueo)
ISBN 978-88-86227-76-6