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DOSSIER
LA SFIDA sarà il nuovo contesto
IL 5° BEAUTY SUMMIT DI PAMBIANCO HA EVIDENZIATO QUALI SONO LE SFIDE ED I PRINCIPALI DRIVER DEL NUOVO ASSETTO CHE SI STA DELINEANDO ALLA LUCE DEI GRANDI CAMBIAMENTI PORTATI DALL’ULTIMO ANNO. SECONDO LE RICERCHE PRESENTATE PER RIPARTIRE BISOGNA PUNTARE SU SOSTENIBILITÀ, DIGITALIZZAZIONE E INTERNAZIONALIZZAZIONE.
LE RICADUTE ECONOMICHE DI UNA CRISI SENZA PRECEDENTI, MA SOPRATTUTTO LE STRATEGIE DA ATTUARE PER UNA RIPRESA CHE NON PUÒ PRESCINDERE DALL’ANALISI DEI CAMBIAMENTI IN ATTO NEL SETTORE. IL COMPARTO DELLA BELLEZZA ITALIANO SI È RIUNITO FISICAMENTE A PALAZZO MEZZANOTTE A MILANO PER DISCUTERE DI QUESTI TEMI DURANTE IL 5° PAMBIANCO BEAUTY SUMMIT ORGANIZZATO IN COLLABORAZIONE CON COSMETICA ITALIA.
di Chiara Dainese
Pambianco in occasione del 5° Beauty Summit organizzato in collaborazione con Cosmetica Italia, ha analizzato l’industria della cosmetica italiana per valutare le sfide ed i principali driver del nuovo assetto che si sta delineando alla luce dei grandi cambiamenti portati dall’ultimo anno. Il 5° Pambianco Beauty Summit dal titolo “L’industria della cosmetica: le sfide e i principali driver nel nuovo contesto globale”, si è svolto a Palazzo Mezzanotte sede di Borsa Italiana ed è stato caratterizzato da una ricca serie di interventi tenuti da protagonisti di spicco del mondo della bellezza. I relatori sono stati introdotti e intervistati dal CEO di Pambianco David Pambianco che ha messo in evidenza le criticità e al tempo stesso le potenzialità di una risalita che è già in atto, ma che può proseguire e rafforzarsi solo attraverso un costante monitoraggio delle nuove abitudini e attitudini dei consumatori. Tre le parole chiave per la ripresa indicate dal Presidente di Cosmetica Italia Renato Ancorotti nel suo intervento ovvero sostenibilità, digitalizzazione e internazionalizzazione. Con un fatturato globale in calo del 12% nel 2020, il 2021 si prospetta come anno di transizione per l’industria cosmetica, per tornare nel 2022 alla dimensione del mercato pre-Covid. E se l’e-commerce si conferma nelle rilevazioni l’unico canale che ha sempre mantenuto il segno positivo, si registra però, come ha sottolineato Ancorotti, anche il desiderio di tornare ad una normalità funzionale ed esperienziale alternativa all’online. “Con un giro d’affari di 10,6 miliardi di euro – ha confermato Ancorotti - che diventano 33 miliardi se si considera tutta la filiera ed un numero di addetti pari a 36.000 persone, che
diventano 400.000 considerando l’intera filiera, il settore cosmetico italiano non solo ha saputo contenere i danni del contrasto alla pandemia ad un -12% nei fatturati 2020, ma già nel 2021 ha ripreso a crescere”. Infatti secondo le previsioni di Ancorotti, si stima una chiusura 2021 in aumento del a 6,2%. Inoltre il dato più significativo è che “già nel 2022 si prevede di poter superare i valori assoluti del 2019”, conclude Ancorotti. A seguire Alessio Candi, Consulting e M&A Director di Pambianco, ha presentato la ricerca “L’industria della cosmetica, le sfide e i principali driver nel nuovo contesto globale” in cui analizza l’andamento del settore Beauty a livello globale. Come anticipato dal precedente relatore per quanto concerneva il mercato italiano, anche a livello mondiale il settore beauty ha perso nel 2020 solo l’8% del suo giro d’affari attestandosi sui 200 miliardi di euro (erano 218 nel 2019). “In particolare – ha sottolineato Candi – l’Europa ha visto una discesa del 16%, mentre ad aver retto meglio è stata l’area Asia Pacific, che ha perso solo il 4% e che oggi vale ben il 42% del mercato totale”. Per quanto riguarda i settori merceologici, lo skincare e hair care sono stati segmenti con vendite più importanti e quelli che hanno contenuto il calo (per entrambi a -4%). “Per contro – ha proseguito Candi – make-up e fragranze sono calati del 18 e 17 per cento”. Un altro elemento fondamentale è dato dall’accelerazione dell’e-commerce che nell’ultimo anno è cresciuto del 44% passando dai 9 miliardi del 2014 ai 44 miliardi di euro del 2020, pari al 22% del totale. La mattinata è quindi proseguita con la presentazione dei dati introdotti da Enrico Zannini, Direttore Generale Cosmoprof. “L’aspirazione ad una fruibilità in presenza che affianchi quella digitale, fondamentale in tempo di pandemia, caratterizza il presente e l’immediato futuro del settore fieristico - ha spiegato Zannini parlando dell’evento in programma a Bologna dal 9 al 13 settembre -. OnBeauty by Cosmoprof Worldwide Bologna, organizzato da BolognaFiere Cosmoprof con l’obiettivo di richiamare aziende ed operatori dall’Europa per un primo fondamentale rilancio delle attività, in attesa della prossima edizione di Cosmoprof prevista per marzo 2022. L’aver implementato nel corso del 2020 l’attività in rete, una volta superate le criticità iniziali ha avuto risvolti decisamente positivi, tra cui la possibilità di raggiungere operatori per i quali la presenza agli eventi fieristici tradizionali ha costi troppo elevati”. Zannini ha anche
Renato Ancorotti Alessio Candi
presentato i numeri di quello che è certamente il più importante sistema fieristico dedicato al comparto: 5 manifestazioni a livello mondiale che muovevano, nel 2019, più di 10.000 espositori e oltre 500.000 visitatori provenienti da oltre 190 paesi per un giro d’affari di 80 milioni di dollari. Il 2020 non è stato comunque un anno perso per questa eccellenza italiana che, con le nuove fiere digitali, è comunque riuscita a coinvolgere più di 20.000 operatori generando più di 52.000 appuntamenti virtuali. La prima esigenza del dopo pandemia, quindi per il mondo fieristico, ma più in generale per l’intero mondo della cosmetica, è proprio quella di riorganizzarsi tornando ad una nuova normalità, arricchita con le esperienze e le conoscenze maturate in questo periodo per molti versi eccezionale: un denominatore comune che ha caratterizzato anche tutte le interviste e gli interventi della mattinata. In primo piano nelle loro analisi il fenomeno più rilevante, la crescita esponenziale dell’ecommerce: un trend comunque già in atto prima della pandemia, che deve essere ripensato dalle strategie aziendali in un contesto di multicanalità in cui online ed offline diventano esperienze alternative ma anche complementari nella fruibilità del prodotto cosmetico.
Enrico Zannini Sergio Scornavacca e Massimiliano Gerli
I big data guidano le STRATEGIE
“Per capire e anticipare le tendenze abbiamo analizzato i trend social sia su internet che sui social network”. Queste le parole di Sergio Scornavacca, Director Industrial Market and Northern Italy Lead MINSAIT (an Indra Company), che ha presentato alcuni interessanti dati sull’andamento dei topic legati al settore online e sui social network. Dalla ricerca che è ha messo a confronto i periodi Gennaio-Maggio 2020 vs Gennaio-Maggio 2021, emerge come lo skincare sia il canale che è cresciuto di più con un aumento significativo del 20%, seguito dall’hair care, con una crescita più contenuta, mentre il make-up ha registrato una flessione. Il manager poi ha considerato come i Valuable data per essere funzionali devono avere le caratteristiche di esclusività e specificità per creare una strategia e interpretare i dati correttamente. “L’approccio - ha proseguito – si divide in tre fasi principali. Il First party data, dove vengono gestiti i dati interni, il Second party data dove si cercano dei partner e fornitori con cui lavorare e a un Third party data dove si crea un ecosistema di scambio per creare valore”. Scornavacca, poi ha introdotto Massimiliano Gerli, Information Technology&Global VP Intercos, che ha presentato la propria case study. “Dobbiamo digitalizzare il dna – ha commentato Gerli - per fare ancor meglio quello che già sappiamo fare bene. La trasformazione passa attraverso la tecnologia e il lavoro sui dati e sulle informazioni è fondamentale. I dati hanno un potenziale enorme e lavorare sulle informazioni consente di prendere meglio delle decisioni in un business complesso come il nostro e in un mercato che fa dell’omincanalità un veicolo importante per crescere”. I dati hanno un grande valore e per anticiparne i trend “andiamo a cercare la specificità e l’esclusività”, ha concluso Gerli.
ITALIANITÀ come driver
di crescita all’estero
di Giulia Sciola
INTERVENUTA AL 5° BEAUTY SUMMIT DI PAMBIANCO IN COLLABORAZIONE CON COSMETICA ITALIA, LA GENERAL MANAGER DI COLLISTAR ENTRA NEL VIVO DELLE STRATEGIE PER RENDERE IL BRAND PIÙ CONTEMPORANEO. DOPO LA BATTUTA D’ARRESTO DEL 2020, ORA IL FATTURATO È IN RECUPERO. Partire dalle radici italiane del brand per crescere all’estero. È l’obiettivo di Collistar che in sinergia con la controllante Bolton Group vive una nuova fase di espansione. Al centro la ricerca, il rapporto di fiduca con le clienti, l’efficacia sostenibile e il rispetto per l’ambiente. Il canale di vendita di elezione restano le profumerie. A raccontarlo è Lorenza Battigello, general manager di Collistar.
Lei è in carica dal 2019 e ha quindi affrontato anni impegnativi. Inoltre ha sostituito una figura storica dell’azienda come Daniela Sacerdote. Che lavoro è stato fatto in questi primi anni?
La prima cosa che ho condiviso con la squadra è stato un grande rispetto per il lavoro che era stato fatto e per le radici del brand. Ci siamo messi in gioco con un obiettivo ambizioso e delicato: rendere Collistar una marca più contemporanea, tracciando un
orizzonte di crescita internazionale. Abbiamo definito cosa mantenere e cosa migliorare. Guardando alla storia, i mantra di Collistar sono sempre stati “Dalla ricerca Collistar” e “Io guardo il risultato”: l’azienda è sinonimo di innovazione e di efficacia. Abbiamo cercato di dare un senso più contemporaneo alla ricerca facendola evolvere in una clean research, puntando su un maggior rispetto della pelle. Abbiamo lavorato sulle formule, ad esempio togliendo dalle novità e dai best seller, che abbiamo riformulato, i siliconi. Ci siamo dati una policy chiara: utilizziamo ingredienti italiani, possibilmente unici, per valorizzare il territorio. Va di pari passo il rispetto per il pianeta: in chiave di eco-design sono stati riprogettati i tappi delle nostre creme con il 37% di plastica in meno e questo fa sì che l’azienda immetta sul mercato, ogni anno, dalle 7 alle 9 tonnellate di plastica in meno. Optiamo inoltre per l’utilizzo di plastica riciclata: le trousse del nostro make-up sono state riviste in chiave refillable e il 70% della plastica è riciclata da scarti industriali. Questi sono alcuni esempi della direzione e del posizionamento della marca nel rispetto delle sue origini.
Come è cambiata la comunicazione?
Stiamo definendo la nuova strategia di comunicazione che partirà in autunno. Al centro c’è l’italianità. Da ‘Collistar Made in Italy’ siamo passati a ‘Collistar Milano’, quindi una territorialità definita, nonché la città dove l’azienda è nata 39 anni fa. Vogliamo rappresentare un’italianità al femminile, con una bellezza autentica e l’idea di una marca vicina alle donne, non promotrice di un canone estetico inarrivabile.
Voi fate parte di Bolton Group, controllante di diverse realtà, non solo del settore cosmetico. Come vi collocate all’interno di questo gruppo?
Nella fase di rilancio di Collistar, Marina Nissim, chairwoman di Bolton Group, ha rilasciato un’intervista e come chiavi dello sviluppo futuro ha indicato etica e competenza. Noi siamo il 2% del fatturato del gruppo, ma l’essere parte di Bolton è un grande vantaggio per le possibilità di internazionalizzazione. Collistar era ed è presente in circa 50 Paesi nel mondo, ma solo con l’appartenenza al gruppo abbiamo potuto disegnare una strategia di espansione della marca basata non sulle strategie dei distributori, ma su una gestione diretta. Nel 2021 il focus è stato sulla nostra filiale in Olanda e su due Paesi, Germania e Spagna, dove ci siamo appoggiati alle filiali Bolton.
Come è stata recepita la marca dalle filiali Bolton?
C’è una grande propensione al lavoro di squadra. Le divisioni di Bolton Group mettono a disposizione una grande conoscenza del territorio e Collistar mette a disposizione il suo know how. Questo fa sì che la strategia internazionale sia partita in modo molto positivo.
Quanto pesa oggi l’estero? Quali sono gli obiettivi a 3-5 anni?
Oggi l’estero genera il 35% del fatturato, contro il 65% rappresentato dall’Italia. L’obiettivo al 2025 è quello di invertire i due pesi. Questo però vuol dire rafforzare soprattutto l’Italia. Un brand non è credibile all’estero se non è forte sul suo mercato. Ci stiamo impegnando molto per ridefinire la nostra presenza in Italia, con un focus sulle profumerie e un mindset online-offline.
Collistar è una marca multicanale. State riflettendo su eventuali cambiamenti?
Il focus resta il canale profumerie. Di contro, abbiamo rinegoziato i rapporti con il canale drugstore. Quanto all’e-commerce, quando sono arrivata in Collistar l’interazione digitale tra il brand e le clienti era già significativa. Se mettiamo la cliente al centro, come tutte le aziende devono fare, notiamo che il cambiamento delle abitudini vale per tutte le fasce d’età. Portiamo quindi avanti una doppia presenza, online e fisica, e lo facciamo in partnership con i nostri retailer.
Avete anche un sito vostro?
Si. Abbiamo un nostro e-shop. Inoltre, il nostro sito è stato rifatto a settembre 2020 mettendo in homepage lo store locator, così tutte le opzioni di acquisto sono immediatamente visibili.
Un obiettivo che avete per i prossimi anni e un commento sull’andamento del fatturato...
Di fronte alle scelte che oggi fa il retail, l’auspicio è quello che ci sia spazio per una marca italiana di grande tradizione come Collistar. La speranza è quella che, guardando ai numeri di Collistar, i nostri partner commerciali decidano di sostenere un brand come Collistar nel suo rinnovamento perchè capiscono che il valore di fiducia che questa marca ha creato con la propria base di clienti è un valore anche per loro. A livello di fatturato, lo scorso anno abbiamo subito una battuta d’arresto, nel 2021 siamo in recupero e saremo attorno ai 70 milioni di euro.
L’HERITAGE spinge
la crescita
LA STRATEGIA ITALIANA DI SISLEY SI BASA SU UN GRANDE HERITAGE. “IL NOSTRO OBIETTIVO È INNOVARE NEL MANTENIMENTO DELLA TRADIZIONE”, RACCONTA IL DIRETTORE GENERALE SISLEY ITALIA RICCARDO FERRARI. “PER IL 2021 PUNTIAMO A RAGGIUNGERE I LIVELLI DEL 2019”.
di Giorgia Ferrais
“Oggi per crescere si va dove va il consumatore… ma ci sono mille siti, mille punti vendita, dove c’è il food o la cura casa. Noi ci rivolgiamo al consumatore nel rispetto dell’immagine dell’azienda. Non seguiamo il consumatore ovunque, ma solo dove i principi di immagine e di lusso alla base della presenza della marca Sisley sono presenti”, spiega Riccardo Ferrari Direttore Generale Sisley Italia. L’azienda fondata a Parigi nel 1976 da Hubert d’Ornano, insieme alla moglie Isabelle, è presente nei cinque continenti, in oltre 100 paesi, con 31 filiali di distribuzione in Europa, Asia, Americhe e Medio Oriente. Circa il 90% del fatturato è realizzato all’estero attraverso una rete distributiva selettiva composta da department store, profumerie, centri benessere e Maison Sisley. “Per il 2021 puntiamo a raggiungere i livelli del 2019, siamo sulla buona strada”, aggiunge Ferrari.
Sisley è un’azienda monomarca di proprietà familiare, come è stato l’impatto da parte tua quando sei arrivato?
Sono arrivato in questa grande azienda all’inizio del 2020, allo scoppio della pandemia. Questo poteva essere un problema oppure un vantaggio, e per la mia esperienza professionale è stato un vantaggio perché ha completamente scardinato qualunque tipo di alibi e abitudini. Questo ha creato un’accelerazione nei nostri processi, ma anche un nuovo modo di approcciare il mercato. A fine febbraio abbiamo aperto il nostro sito e-commerce, e da Parigi abbiamo deciso di non smettere mai di spedire e di fatturare. Per tutta la pandemia, infatti, Sisley ha continuato a consegnare, siamo quindi riusciti a stare vicini a quella poca distribuzione che anche durante il lockdown è rimasta aperta.
Sei subentrato a una gestione che per 25 anni è stata in mano a una sola, sulla base della tua esperienza che cambiamenti hai apportato o stai apportando?
Ho avuto l’opportunità di entrare in un’azienda fortissima, solidissima, coerentissima con alcuni margini, non tanto di crescita, ma di cambiamento e di evoluzione. La prima urgenza è stata data dal digital: il nostro punto di contatto principale con le consumatrici sono le nostre beauty, ne abbiamo più di 100 che vanno in tutte le profumerie e sono il punto di contatto. Sisley, infatti, è un’azienda un po’ wholesale ma anche fortemente retail, in quanto attraverso le nostre beauty andiamo al contatto con la consumatrice. Improvvisamente, il drop del traffico in profumeria ha bloccato non solo le vendite, ma anche questo nostro meccanismo di contatto e quindi la nostra prima urgenza è stata “come ritorniamo in contatto?”. Pertanto, abbiamo creato il sito e-commerce, caratterizzato da un livello di servizio assolutamente eccelso. E la prima cosa che con la direzione marketing abbiamo messo in piedi sono state le masterclass b2c con le nostre consumatrici. Perché il fulcro, il legame emotivo che Sisley crea con le consumatrici non doveva e non deve essere interrotto.
Oggi in quante porte siete presenti?
Siamo su 850 porte in Italia.
Come è andato il 2019 e il 2020, e quali sono le prospettive del 2021?
Fino al 2019 Sisley ha avuto una crescita costante e un ebitda estremamente interessante. Il fatturato civilistico è stato intorno ai 30-33 milioni di euro. Nel 2020 abbiamo avuto una battuta d’arresto intorno al 10% del nostro fatturato, che è stata esattamente in linea con il mercato. Per il 2021 puntiamo a raggiungere i livelli del 2019, siamo sulla buona strada.
Oggi siamo in un contesto che, incrociando le dita, può essere considerato di ripartenza. Dal vostro punto di vista come è cambiato il mercato?
Non vorrei essere un po’ controcorrente, ma io credo che la pandemia non abbia cambiato il nostro mercato, bensì abbia accelerato dei fenomeni che erano già ben presenti nel nostro mercato. Dell’e-commerce è una vita che ne sentiamo parlare, così come della necessità di raggiungere la consumatrice finale. Ritengo che la pandemia abbia accelerato processi che erano già insiti. La nostra parte skincacare ha tenuto benissimo, abbiamo invece sofferto sul make-up. Ciò che è andato molto bene è stato la parte di hair care, perché noi oltre Sisley formalmente abbiamo un’altra marca che si chiama Hair Rituel by Sisley che è stata lanciata nel 2018.
E nella distribuzione ci sono stati cambiamenti?
Sono stato stupito dalla tenuta del sistema profumeria Italia. Tutti i nostri interlocutori hanno avuto un approccio con l’azienda di estrema partnership e di estrema collaborazione. Sono stato stupito anche da tantissime realtà che nel 2020 hanno preso la palla al balzo e hanno aperto e fatto investimenti ed espansioni.
Che tipo di iniziative avete messo in atto in questi questi tempi dal punto di vista della comunicazione?
Avendo un grandissimo heritage bisogna stare attenti a cambiare il mix, perché è vero che squadra che vince non si cambia, ma è anche vero che bisogna cambiarla prima che sia necessario. Dal punto di vista di contatto con la consumatrice, fino al 2019 la main line è stata il contatto delle nostre beauty. Chiaramente oggi dal punto di vista della comunicazione stiamo evolvendo, per l’azienda è molto chiaro che la priorità del digital come canale media è assolutamente urgente. Poi abbiamo una grande parte di stampa che continuiamo a esercitare, non abbiamo mai smesso l’anno scorso, che chiaramente è un tema di posizionamento.
Avete iniziato un percorso con le influencer, qual è la vostra esperienza?
Abbiamo scelto influencer che non solo sono coerenti col tipo di influencer che avevameno in mente, ma che hanno anche una relazione quasi personale con la famiglia. È un inizio, ma cominciamo già a vederne i frutti.
GRAZIE AGLI USA
100 mln entro fine 2024
di Giorgia Ferrais
NON SI ARRISTA LA CRESCITA DI SKINLABO, DIGITAL BRAND ITALIANO DELLA COSMETICA, CHE PUNTA A RAGGIUNGERE UN GIRO D’AFFARI DI 100 MILIONI DI EURO ENTRO LA FINE DEL 2024 GRAZIE ALL’ENTRATA NEL MERCATO AMERICANO. “ABBIAMO CONQUISTATO 800MILA PERSONE IN TUTTA EUROPA”, RACCONTA IL CEO ANGELO MURATORE. SkinLabo è il primo digital native brand italiano della cosmetica. La sua mission è quella di offrire un’esperienza di cosmetica premium nella modalità più economica, semplice e veloce, grazie alla scelta dell’esclusiva distribuzione online e ad un modello di business direct to customer. Da gennaio 2017, quando sono iniziate le vendite online, SkinLabo ha raggiunto 700mila clienti, con una crescita di oltre 60mila clienti al mese e punta a raggiungere 4 milioni di clienti entro il 2024. SkinLabo ha generato nel 2020 un fatturato di 5,8 milioni di euro in crescita rispetto ai 2 milioni archiviati nel 2019 e prevede di raggiungere quota 16 milioni a fine 2021. L’azienda oggi è presente in tutta Europa con 15 store verticali in lingua e nel resto d’Europa con uno store in inglese (skinlabo.eu). E a settembre arriva lo sbarco negli Stati Uniti, dove il CEO Angelo Muratore è fiducioso di poter fare 500 ordini al giorno, per un giro d’affari da 10mila euro al giorno per iniziare.
SkinLabo è una marca molto giovane. Qual è la tua storia imprenditoriale e la storia dell’azienda?
Nasco come manager nel gruppo Fiat alla fine degli anni Novanta. Mi stufo presto di essere un manager e inizio a pensare di fare l’imprenditore, coinvolgendo manager di qualità conosciuti negli anni. Nel tempo faccio decine di investimenti in aziende tradizionali legate al fashion e alla pubblicità finché non approdo all’e-commerce: fondo, infatti, un’azienda di abbigliamento e accessori online b2b che si chiama Brandsdistribution e di cui sono ancora presidente. Pensiamo che si possa vendere anche cosmetica online e cerchiamo di capire come approcciare questo mondo che in effetti nel 2015 era ancora un po’ piccolo. Prendiamo come punto di riferimento il grande caso di successo negli Stati Uniti che è Glossier e cerchiamo di capire come fare partendo dall’Italia a creare una cosa simile. Alla fine del 2016 creiamo poi la startup e raccogliamo il primo mezzo milione di euro.
Che cosa vi distingue dai competitor?
Il nostro prodotto è fatto in Italia, con ingredienti naturali altamente performanti ed è di grande qualità. Il nostro fattore distintivo risiede nel fatto che abbiamo voluto portare la cosmetica di alta qualità e il servizio un po’ a tutti. Il nostro motto, infatti, è “la cosmetica di alta qualità alla portata di tutti”. Abbiamo creato la fiducia intorno a questa promessa e da lì è partita tutta la sperimentazione che ci ha portato da uno scantinato di più di 1000 m² da due persone a quasi 100 persone. Abbiamo conquistato 800mila persone in tutta Europa, che sono i nostri clienti attuali, con la promessa “provalo gratis e te ne innamorerai” a cui non abbiamo dato campioncini ma un prodotto vero di gamma. Siamo talmente capaci a fare questo lavoro che acquisiamo 60mila nuovi clienti al mese in tutta Europa (l’Italia costituisce il 40 per cento).
Qual è la previsione di fatturato per il 2021?
Intorno ai 16 milioni. Dal mio punto di vista, però, il fatturato non è importante quanto il numero di ordini che noi riusciamo a fare tutti i giorni, pari a 3mila, di cui quasi 2mila da nuovi clienti e quasi mille da clienti di ritorno.
Come fidalizzate i clienti?
Via telefono, via chat e via email. Riusciamo a fare più di quasi 90mila ordini al mese, con un giro d’affari di 1,6 milioni al mese.
Come attirate traffico nel vostro punto vendita?
Prevalentemente con campagne push, non pull essendo un marchio nuovo, su Facebook e Instagram e con partnership con grandi aziende come Eni, Wind e Q8. Riusciamo ad attrarre quasi 80mila sessioni al giorno che sono 40mila visitatori al giorno, con un tasso di conversione intorno a 7% che nell’ecommerce è veramente altissimo.
Per alimentare tutto questo flusso quanto è l’investimento in comunicazione?
Investiamo quasi 25mila euro al giorno su Facebook e su Instagram ma è un costo variabile per noi perché non stiamo parlando di brand awarness, ma stiamo parlando di performance marketing quindi di tutte quelle attività che sono volte alla conversione.
Qual è il vostro piano per i prossimi anni?
Abbiamo un piano industriale che ci deve portare alla fine del 2024 a fare 100 milioni di fatturato, ad avere quattro milioni di clienti nel nostro database tra Europa e Stati Uniti, dove sbarcheremo a settembre.
Cosa significa per voi il mercato americano?
Per noi il mercato americano vale tantissimo perché già le vendite e-commerce negli Usa generano più del 20% del totale. Riteniamo di poter fare molto bene nel mercato grazie alla nostra promessa di cosmetica di alta qualità alla portata di tutti con un servizio unico di consulenti di bellezza disponibili 24 ore su 24 sia online che al telefono. Sono fiducioso di poter fare in Usa 500 ordini al giorno che ci consentono di avere già 10mila euro al giorno di giro d’affari come minimo. E quindi ritengo che il mercato americano potrebbe valere da subito 3 a 4 milioni solo il primo anno di attività che ci serviranno per raggiungere gli obiettivi del piano industriale.
Per sostenere tutti questi investimenti avete cassa sufficiente o farete altri aumenti di capitale?
Abbiamo raccolto 16 milioni fino ad oggi, è stata una fatica bestiale però adesso ci stanno guardando tutti, dai grandi fondi alle grandi multinazionali. Raccoglieremo altri 10 milioni entro dicembre e altri 15 entro la fine del 2022.
In quanti mercati siete presenti al momento?
17 mercati, in cui si parlano 14 lingue.
E in futuro pensate di quotarvi o di vendere?
Quotare non lo so, ma sicuramente ci vogliamo aprire a un partner industriale quando sarà il caso.
FOCUS ASIA, digitale
e Gen-Z
NEI PRIMI 6 MESI DEL 2021 L’AZIENDA CATALANA SI È PORTATA AI LIVELLI DI FATTURATO DEL 2019, MERITO DI SCELTE PREMIANTI: PUNTARE SULLE LINEE ICONICHE DI FRAGRANZE DEI DIVERSI BRAND E AFFIANCARE UN INTENSO LAVORO DI INNOVAZIONE CHE GUARDA ALLA FASCIA PIÙ GIOVANE DI CONSUMATORI.
di Giorgia Ferrais
Puig archivia un 2020 penalizzato dalla pandemia di Covid-19, ma registra un’inversione di rotta nel 2021, portandosi, nei primi sei mesi dell’anno in corso, ai livelli di fatturato del 2019. A dirlo è Fulvia Aurino, general manager di Puig Italia, che ha spiegato come il nostro Paese sia oggi, per il gruppo catalano fondato nel 1914, il quinto in Europa per fatturato e il secondo (dopo il Regno Unito) per percentuale di crescita. Nel nuovo piano triennale di Puig a livello globale figurano due obiettivi importanti: il raddoppio del giro d’affari entro il 2023 a quota 3 miliardi di euro (dagli 1,5 miliardi del 2020), per poi arrivare a 4,5 miliardi nel 2025.
Rispetto al panorama internazionale della cosmetica, Puig è un’azienda familiare, non quotata. Qual è stato l’impatto con l’azienda?
È stato un cambiamento molto interessante per me. Sono nata e
cresciuta in multinazionali americane, con una cultura dei valori e un approccio al business abbastanza simili pur spaziando in settori e categorie diverse. L’arrivo in Puig meno di un anno fa mi ha portato invece all’interno di una realtà familiare nata nel 1914 da una famiglia di imprenditori catalani. Oggi all’interno dell’azienda c’è la terza generazione della famiglia Puig.
Quali sono gli obiettivi per i prossimi anni?
È stato ufficializzato all’inizio di quest’anno il nuovo piano triennale di Puig mondo che ha l’ambizione di raddoppiare il business nel 2023, raggiungendo i 3 miliardi di euro e di triplicarlo nel 2025, quindi raggiungendo i 4 miliardi e mezzo. Questo grazie a una serie di scelte molto chiare: l’accelerazione nel digitale che sicuramente una grandissima opportunità, lo sviluppo nella regione asiatica e poi la creazione che è stata fatta a inizio dell’anno di tre divisioni distinte.
Avete intenzione di acquisire altri marchi o volete fare questo tipo di crescita solo con investimenti sui brand esistenti?
I numeri che ho citato sono legati allo sviluppo delle tre divisioni a portfolio corrente.
Il mercato è cambiato tantissimo, cosa resterà di tutti questi cambiamenti?
Non tutto il male è arrivato per nuocere. Ci saranno delle trasformazioni nelle modalità in cui il consumatore non solo acquisterà, ma richiederà di avere un’esperienza di acquisto forse evoluta rispetto al passato. Questa evoluzione dello sviluppo del canale e-commerce non cambierà, non avrà una battuta d’arresto, sicuramente si rallenterà. In un’ottica più di affiancamento e di complementarità a quello che l’acquisto in determinati momenti anche per scelte di copertura territoriale piuttosto che di profondità di assortimento, sarà quindi uno strumento di acquisto alternativo che verrà utilizzato in maniera parallela rispetto all’acquisto fisico. L’acquisto fisico deve ritornare ad offrire un’esperienza diversa, distintiva, gratificante e quindi questo è un po’ anche la responsabilità sia dell’industria che della distribuzione di ritornare a far vivere nel mondo della profumeria un po’ quello che era il sogno, l’esclusività, la coccola che ognuno di noi poi ricerca nel momento in cui decide di farsi un regalo per sé o per una persona cara.
È sufficiente quello che offre il canale profumeria e le aziende per portare i nuovi consumatori dell’oggi, la Gen-Z, a fare un’esperienza o manca ancora qualcosa?
I consumatori della Gen-Z hanno altre caratteristiche, altri valori. La prima nostra responsabilità è conoscerli, offrire un qualcosa che li riporti all’interno del mondo della profumeria. La profumeria si sta muovendo bene, soprattutto nel mondo del make-up che è stato forse il precursore nel riuscire a portare all’interno del canale delle offerte diversificate che parlino a tanti target diversi, non solo demografici, ma anche in termini di attitudine, di valori e di costumi. Stiamo lanciando probabilmente la prima fragranza che parla direttamente alla generazione Z, arriverà nelle profumerie italiane a settembre ed è una fragranza maschile di Paco Rabanne. Come tutte le fragranze di Paco Rabanne è assolutamente fuori dagli schemi, sorprendente nel suo packaging, nella fragranza e soprattutto nella comunicazione. È una fragranza interattiva che quindi avrà la possibilità di poter comunicare con il consumatore finale attraverso un device digitale. Affiancheremo ad un media tradizionale, come la tv, anche canali nuovi nel mondo dei social come Twitch, che parlano moltissimo a questo target appassionato di gaming. Bisogna sempre partire da dove è il consumatore parlare il suo linguaggio nel posto in cui lui sceglie di trovarsi, non dove imponiamo noi di essere.
Quali sono le vostre iniziative in ambito sostenibilità?
Una delle cose che mi hanno colpito di più positivamente quando sono entrata in Puig è stata l’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità in generale, cosa peraltro tenuta molto low profile. È un valore che l’azienda ha al suo interno, a prescindere da quanto venga comunicato. Il primo piano di sostenibilità è stato messo in pista nel 2014, quindi in tempi non sospetti rispetto a quello che sono le ultime tendenze, ed è stato completato nel 2020 raggiungendo tutti i risultati che l’azienda si era posta, in particolare nell’andare a ridurre il footprint ambientale, che effettivamente è stato ridotto del 55% alla fine di questo programma. Tutto ciò facendo attenzione a tutti quelli che sono gli step della filiera, dal sourcing, alla produzione, alla distribuzione, per arrivare all’impatto all’interno degli uffici.
Da RETAILER a BRAND grazie alla community
di Giulia Sciola
AL 5° BEAUTY SUMMIT DI PAMBIANCO, IN COLLABORAZIONE CON COSMETICA ITALIA, PINALLI TRACCIA L’EVOLUZIONE DEL CANALE PROFUMERIA. IN ITALIA VINCE IL FATTORE PROSSIMITÀ. TUTTAVIA NON BASTA FIDELIZZARE I CLIENTI: LA SFIDA È CREARE UNA COMMUNITY E SAPERSI RACCONTARE. Pinalli, è un player italiano da 84 milioni di euro di fatturato, attivo da circa 40 anni nella distribuzione di prodotti beauty. L’azienda gestisce una rete store fisici, suddivisi tra profumerie, beauty center ed hair-lab, oltre a un e-shop. Raffaele Rossetti, amministratore delegato dell’azienda, spiega come l’orizzonte di sviluppo sia omnichannel e di prossimità.
Pinalli ha registrato un cambiamento importante negli ultimi anni. La sua nomina è indicativa. Lei non fa parte della famiglia fondatrice. Come è cambiato il gruppo?
Quello che ha vissuto Pinalli è la separazione tra proprietà e gestione. È un’azienda familiare che fino a tre anni fa era posseduta e gestita dai fondatori, che sono tuttora azionisti presenti, ma che hanno fatto una scelta che ha aiutato nel processo evolutivo. Si è trattato di costruire una struttura che prima non c’era, aprendo
all’ingresso di nuovi manager e dando vita a un progetto che ha fatto cambiar pelle all’azienda. Oggi cerchiamo di essere all’avanguardia e di ricavarci uno spazio, proprio come le grandi realtà.
Oggi l’azienda quanti punti vendita ha e quali sono le stime di fatturato?
Pinalli è una realtà che conta 58 punti vendita e circa 400 dipendenti. Nel 2020 abbiamo chiuso il piano industriale triennale. Ci eravamo dati un obiettivo di fatturato di 100 milioni di euro al terzo anno. Purtroppo è subentrata la pandemia, ma siamo riusciti a tenere, chiudendo il 2020 in linea con gli 84 milioni di euro del 2019. L’ebitda margin è passato dal 10,4% circa al 9,7% circa. Il piano triennale si è chiuso nel 2020 con la conferma che siamo riusciti a creare un gruppo.
Quest’anno parte quindi un nuovo piano industriale...
Siamo già partiti con il nuovo piano, incentrato sull’innovazione digitale. Veniamo già da tre anni di trasformazione forte, dove abbiamo puntato su una piattaforma logistica interna per dare servizio al cliente, sia nei punti vendita fisici che online. Questa scelta ci ha resi consapevoli che la gestione dell’online è un altro business all’interno del nostro business. Un conto infatti è vendere, un altro è avere e gestire al meglio una struttura logistica. Vuol dire investire anche in persone e competenza nuove.
Per i prossimi anni che obiettivi ha fissato il Cda?
Il vantaggio di un’azienda familiare non quotata è quello di potersi permettere una visione di mediolungo termine. Questo non vuol dire che i risultati non siano importanti: un’azienda che va bene è un’azienda che fa utile, e che quindi è solida. Su questo non ci sono dubbi, indipendentemente dal fatto che sia o non sia una realtà quotata. Non dovendo rendere costantemente conto al mercato noi possiamo però lavorare su obiettivi qualitativi e non solo quantitativi, come la trasformazione digitale, che richiede di diventare anche creatori di contenuti. Tra gli obiettivi del piano industriale c’è il passaggio dall’essere retailer all’essere un brand. Non dico che il lavoro sia concluso, ma sicuramente c’è stato un cambio di passo. La parte di contenuto che ora serve è Pinalli che si racconta, in un passaggio dal ‘vecchio’ marketing aspirazionale, al marketing relazionale. Non si parla più di patrimonio di clienti fidelizzati, bisogna far diventare quei clienti una community.
Quali sono i principali cambiamenti che vive il mercato?
Assistiamo a un proliferare di nuovi brand. C’è una chiara accelerazione in questo senso. Oggi forse più facile creare un brand, anche considerando la forza del terzismo italiano, con gli stessi terzisti che lanciano le loro linee. I marchi che nascono non fanno semplicemente un prodotto, ma creano un modo diverso di comunicare con il consumatore. Quest’ultimo non è cambiato. Semplicemente, ha recepito un modo diverso di sentirsi raccontare un prodotto o una storia. Il consumatore cerca una storia vera, a prescindere che l’interlocutore sia una maison del lusso o un nome nuovo. La partita è trovare nuove modalità di comunicazione con il cliente, non trovare un nuovo canale e basta. Noi siamo una realtà omnicanale. Oltre il 70% del fatturato è generato dai punti vendita. Abbiamo una rete rinnovata e apriremo 4 o 5 negozi quest’anno. Nel tempo il concept di questi store potrà cambiare. Il cliente sta al centro, quindi gli strumenti con cui lo raggiungiamo devono esserci tutti. E anche i brand del beauty ne sono consapevoli. C’è un chiaro valore aggiunto nel contatto con la persona e con il prodotto stesso. È faticoso rendere sostenibile all’interno della nostra azienda la presenza di brand che sposino accordi di distribuzione con player che non vivono di omnicanalità ma che sono specialisti online.
Dove si concentreranno le nuove aperture?
Siamo presenti nel nord e centro Italia. Nel progetto di omnicanalità che portiamo avanti facciamo leva sull’italianità che ci contraddistingue. Siamo la prima catena italiana di distribuzione. Vogliamo essere una catena di prossimità. L’Italia è fatta per lo più da paesi e da cittadine. Non siamo ancora presenti con un flagship a Milano. Avremmo dovuto arrivarci nel 2020 e l’obiettivo rimane attivo, perchè Milano è una vetrina importante. Siamo però presenti soprattutto in città più piccole. L’obiettivo in tre anni è di arrivare a 100 punti vendita. L’ecommerce ci ha permesso di farci conoscere di più in piazze in cui eravamo già presenti, oppure ci ha indicato le zone in cui aveva senso approdare con uno store fisico. È anche questo per noi il senso dell’omnicanalità.
Personality-lead brand,
la NUOVA FRONTIERA
COTY RIDEFINISCE IL SUO PERIMETRO, CON UN FOCUS SUL MONDO LUXURY DELLE FRAGRANZE E SUL MAKE-UP. I MARCHI DI PROPRIETÀ DIVENTERANNO GLOBALI E CON PROGETTI DI SVILUPPO IN NUOVI MERCATI. SUE NABI PORTA IN AZIENDA UN CAMBIAMENTO CULTURALE.
di Giulia Sciola
Coty accelera in direzione dell’inclusività, dell’accessibilità e della sostenibilità dei prodotti. A confermarlo è Giuseppina Violante, Vice President Emea Portfolio & Business Growth Luxury Coty Italia, tra i relatori del 5° Beauty Summit di Pambianco in collaborazione con Cosmetica Italia. Per il futuro il gruppo scommette sulla forza dei personality-lead brands, ma anche sull’equity dei marchi fashion italiani.
Coty è un gruppo che ha vissuto molte trasformazioni. Un anno fa è arrivata una nuova CEO. Che cambiamenti ha portato?
Coty nasce nel 1904 da un’idea di François Coty e come azienda vive molteplici evoluzioni. Oggi siamo nel pieno di un’altra fase di cambiamento. Sue Naby è stata nominata CEO di Coty a luglio 2020 ed è un po’ la Serena Williams del beauty. È una manager di grande spessore, una veterana del settore e arriva dopo figure di vertice che
non erano ‘native’ del beauty. Ha dato un forte impulso alla ricerca tecnologica, ma sta anche contribuendo a un cambiamento culturale. Durante la pandemia, è emersa ancora di più l’importanza delle persone che lavorano in un team. Sue Nabi sta facendo un enorme lavoro promuovendo diversity e inclusività, conoscendo i benefici che ne derivano anche nella creazione dei prodotti. Oggi abbiamo un senior leadership team a maggioranza femminile. Portare diversity e inclusion al centro del team e dell’azienda ci permette di capire anche i consumatori, perchè siamo più vicini a loro e cogliamo i cambiamenti nelle abitudini di scelta e di acquisto.
Questo approccio impatta quindi sul business?
Il valore delle azioni è triplicato, quindi la Borsa l’ha presa molto bene. C’è un grande lavoro di ricerca e sviluppo che stiamo portando avanti in questo senso. L’importanza di questi temi si riflette anche nella scelta dei testimonial. I consumatori ci stanno dicendo che il beauty e l’industria in generale hanno bisogno di autenticità, anche nelle storie dei talenti che ci rappresentano. Questo è un esempio chiaro di come cambia il nostro modo di proporci sul mercato.
Quale è il perimetro di Coty a livello globale?
Abbiamo completato lo spin-off di Wella, venduta a KKR nel 2020, per concentrarci sul core business di Coty, rappresentato dal mondo luxury delle fragranze e dal mondo del make-up. Questo è un punto di forza, ma talvolta anche di debolezza, perchè abbiamo un portafoglio, in un senso o nell’altro, sbilanciato su una categoria. Il driver dei prossimi anni credo sia ribilanciare le categorie all’interno del nostro portafoglio e le geografie. L’area Emea è la nostra prima region, mentre sui mercati asiatici, ad esempio, siamo ancora dei challenger. Sicuramente abbiamo il privilegio di lavorare con dei partner fashion molto forti, come Gucci o Burberry. Dove c’è la forza del ‘megabrand’ c’è la capacità di avere, contestualmente, un’offerta accessibile e una grande aspirazionalità, quindi una brand equity molto forte. Partendo da questi elementi ci sono possibilità di estensione dell’offerta ad altre categorie oltre alle fragranze. Da un paio d’anni, ad esempio, abbiamo avviato l’espansione di Gucci Make Up, che è molto forte in Asia. Anche il Middle East è un mercato in cui l’italianità è un punto di forza.
Avete un vostro e-commerce?
Avviamo un portale e-commerce per i brand di Kim Kardashian e Kylie Jenner. Per il resto, ci serviamo in tutto il mondo di partnership con i retailer. I diversi mercati hanno diversi livelli di penetrazione dell’e-commerce. In Italia l’esperienza nel punto vendita resta molto importante. Sicuramente c’è la necessità di un’evoluzione tecnologica dei negozi, ma la relazione è fondamentale.
Come è cambiato il mercato italiano?
L’Italia è un mercato più piccolo rispetto ad altri Paesi, ma conserva un ruolo di trendsetter per la forza dei brand italiani. Il nostro Paese fa da laboratorio di sperimentazione e sviluppo per i prodotti, la creatività e per la comunicazione.
In futuro quanto conteranno i brand di proprietà?
La visione di Sue Nabi è quella di creare dei global brands. Noi oggi abbiamo dei regional brands, inteso ovviamente come macro-regioni, ma l’obiettivo è quello di svilupparli su scala globale e trovare, all’interno del nostro portafoglio, quei marchi che possano permetterci di conquistare delle nuove aree. Lancaster è uno di quelli: è un brand europeo che ha una brand equity fortissima in Cina, dove infatti stiamo portando avanti progetti di sviluppo.
Quindi punterete più su questo tipo di brand o sul business delle licenze?
Stiamo sperimentando nuovi modelli di business come quello dei personality-lead brands, come Kylie Cosmetics o KKW Beauty. Questi brand intercettano le esigenze dei consumatori: nascono intorno a una community che condivide valori e specificità e sono animati da personalità che li incarnano. Il legame molto forte viene messo a terra in una linea di prodotti e in modalità di comunicazione ad hoc. È un trend alimentato dai social network e credo caratterizzerà l’industria del beauty dei prossimi anni. Tutte le multinazionali dovranno farci i conti e capire i consumatori attraverso i big data. Altri trend già attuali sono la sostenibilità, l’inclusività e l’accessibilità. Inclusività vuol dire creare prodotti che siano pertinenti per gruppi di consumatori che hanno necessità specifiche, che includiamo nella nostra idea di bellezza, che quindi non è univoca nè stereotipata. Accessibilità invece non è solo accessibilità di prezzo, ma è la possibilità che i prodotti arrivino dal consumatore ovunque si trovi. In questo senso l’e-commerce ha un ruolo cruciale.
In Italia il primo canale
è LA FARMACIA
LA FARMACIA (E PARAFARMACIA) NELLA REALTÀ ITALIANA DI FILORGA È IL CANALE PRINCIPALE EPESA PER CIRCA L’80% DEL FATTURATO. “LO ABBIAMO SCELTO COME PARTNER PRINCIPALE DELLANOSTRA DISTRIBUZIONE PERCHÉ CI DA SUPPORTO SCIENTIFICO E CAPILLARITÀ”, SPIEGA ILGENERAL MANAGER FABIO GUFFANTI.
di Giorgia Ferrais
“Filorga oggi è presente a livello internazionale con oltre 15 filiali in 60 Paesi. In Italia siamo presenti con una filiale da 6/7 anni e lavoriamo trasversalmente in tutti i canali distributivi come farmacia, parafarmacia, profumeria, department store e naturalmente digital commerce”. Queste le parole di Fabio Guffanti General Manager Laboratoires Filorga Italia, che ha deciso di intraprendere un nuovo percorso professionale in accordo con Laboratoires Filorga Italia. Al suo posto Roberto De Santis già direttore commerciale della filiale italiana da luglio 2019.
Come sono andati gli ultimi 5 anni di Filorga in Italia?
In Italia abbiamo replicato il modello che era partito qualche anno prima in Francia con un successo piuttosto rapido. I mercati, ovviamente, sono diversi, così come sono diverse le culture, quindi
qualche adattamento lo abbiamo fatto ma di fatto c’è stata consegnata una marca che aveva in sé gli elementi per avere successo.
Che differenze avete notato nel passaggio in Italia?
L’aspetto distributivo è la differenza maggiore. L’input del fondatore e dell’azionista è stato in tutti i paesi “noi non nasciamo legati ad un solo circuito”, è stata costruita una marca capace di esprimersi dal punto di vista dell’atteggiamento, dei codici, del mix, del prezzo al meglio in canali anche abbastanza diversi tra loro. La verità è che i paesi nel mondo hanno strutture distributive molto diverse. Francia e Italia non così tanto, ma se pensiamo alla Cina, ai paesi nordici in Europa, agli Stati Uniti, ecco tutti questi paesi hanno assetti distributivi diversi. La scelta dell’Italia per ragioni di source of business, tradizione ed endorsement, è stata quella di privilegiare la farmacia come canale. Oggi la farmacia vale circa l’80% del nostro fatturato, e questo ha dato alla marca da subito una certa legittimità, una credibilità scientifica, oltre ovviamente a una capillarità che il selettivo non ha. Il ruolo della profumeria, che comunque è un circuito molto importante per noi, è stato invece quello di dare alla marca un posizionamento, un’allure. E la sintesi di questi due circuiti ha reso intanto la marca più disponibile.
Su quante porte siete disponibili oggi?
Siamo su poco meno di 2mila farmacie e circa 300 profumerie, quindi è ancora una distribuzione parziale. Questa è un’altra sfida di una marca che vive di un equilibrio delicatissimo tra l’essere aspirazionale, appagare in qualche modo un sogno, ed essere allo stesso tempo democratica dal punto di vista del prezzo e della disponibilità. In questo evidentemente l’e-commerce è già e sarà sempre di più un ulteriore elemento di prossimità e di disponibilità.
Ci sono state problematiche nella distribuzione tra farmacia e profumeria?
Non così tante e questo secondo me conferma che a volte bisogna avere coraggio e poi bisogna avere trasparenza nei rapporti con la distribuzione. Io venivo da esperienze di pura farmacia come cosmetica, erano marche apprezzate e quindi venivano richieste anche da altri circuiti. Il coraggio iniziale di chi ha pensato la marca è stato quello di dire dal giorno uno “noi non sposiamo questo approccio”. È una scelta, non è l’unica possibile ovviamente, ma probabilmente era matura in quel momento, non lo era 10 anni prima e oggi lo è ancora di più. Dal giorno uno, facendo scelte ovviamente ponderate e selezionando gli interlocutori, si è partiti sui 2-3 canali, se mettiamo anche l’e-commerce. E invece la parte nostra e quindi ogni paese, ovviamente ha la propria parte di responsabilità.
Perché due anni fa Colgate ha comprato Filorga?
C’è stato un pensiero a monte del CEO di Colgate, che era in ruolo da due anni circa, che aveva un mandato dal board di accelerare l’ingresso in cosmetica e nello skincare per ragioni di visione strategica (la popolazione invecchia, i consumi aumentano). È un’azienda che è già leader nel mondo dell’oral care, quindi quando sei già leader la crescita è più difficile. E poi per ragioni di marginalità, ovviamente il nostro mercato è più profittevole. Peraltro, Colgate aveva già due aziende americane importanti di skincare in portafoglio, cosa che non sa quasi nessuno, quindi è già un gruppo non estremamente diversificato, ma capace di andare a guardare i mercati che crescono oggi e che cresceranno nei prossimi 50 anni. A quel punto, fatta questa scelta, come sempre, è un incrocio di opportunità: Filorga va sul mercato in quel momento, la decisione è stata presa più o meno nel 2018. È stata ovviamente osservata da molti player.
Come si è rivelata quest’acquisizione?
Colgate è un gruppo straordinario dal punto di vista della modalità di integrazione, un’integrazione molto rispettosa delle competenze che sono state trovate. Era anche una delle ragioni dell’acquisizione, comprare know how in qualche modo. È un’azienda con una cultura fortissima che ci sta portando avanti con tematiche di social responsability, di attenzione all’ambiente, di inclusion su cui Colgate è estremamente avanti, ha dei programmi e dei piani, ad esempio sulle fasce sociali meno protette in tutto il mondo da 30 anni, non dai da quando va di moda. E noi queste cose le stiamo imparando. Non siamo più una startup, ma siamo un’azienda molto giovane. Siamo stati molto orientati alla crescita, credo che i prossimi 4-5 anni saranno importanti per noi per prendere possesso di tematiche contemporanee future e quindi rendere questa marca ancora più rotonda.
In EQUILIBRIO tra retail,
franchising e web
di Giulia Sciola
LA CEO DI KIKO PARLA DELL’IMPATTO DEL COVID-19 SUL SETTORE RETAIL E DELLE STRATEGIE DI UN’AZIENDA CHE HA SAPUTO RESTARE COMPETITIVA IN MESI COMPLESSI. LE NUOVE APERTURE INTERNAZIONALI SEGUIRANNO LA FORMULA DEL FRANCHISING E DELL’INTEGRAZIONE ONLINE-OFFLINE. Il percorso di Kiko per diventare un brand globale? Passa per l’ingresso in nuovi mercati, con l’apertura di circa 300 negozi da qui al 2023. A fissare questi obiettivi è Cristina Scocchia, CEO di Kiko, intervenuta al 5° Beauty Summit di Pambianco in collaborazione con Cosmetica Italia.
Kiko è il primo brand italiano di cosmetica per fatturato. Lei è arrivata in piena fase di turnaround. Quale è il bilancio di questi anni?
Sono arrivata a luglio 2017 e la sfida era bellissima: prendere le redini del primo brand italiano di cosmetica, nonché piccola multinazionale – un’azienda dal 600 milioni di fatturato pre-Covid, presente in 27 Paesi, con oltre 7mila dipendenti - e riportarla alla crescita dopo anni difficili. Abbiamo creato una nuova squadra e abbiamo avuto il coraggio di lasciare quei mercati, come gli Usa, che non erano la scelta giusta per noi.
Abbiamo chiuso il 14% dei negozi e, liberando queste risorse, abbiamo investito in innovazione di prodotto e digitale. Tra il 2018 e il 2019 abbiamo portato avanti una trasformazione intensa che ci ha permesso di aumentare l’efficacia operativa e di raddoppiare l’ebitda di Kiko. Poco dopo però è iniziata la pandemia. In una fase senza precedenti non ci siamo lasciati scoraggiare: nonostante il 2020 sia stato difficile, siamo entrati in Arabia Saudita, nei Balcani, in Grecia e abbiamo aperto una quarantina di negozi.
Quindi in due anni avete chiuso circa 150 store, in linea con il piano di ristrutturazione, mentre nel 2020 avete aperto circa 40 nuovi negozi...
Esatto e l’idea è quella di continuare ad accelerare. Quest’anno vogliamo entrare in 10 nuovi mercati in franchising, aprire 100 negozi e questo ritmo di aperture dovrebbe caratterizzare 2021, 2022 e 2023. Aprire 300 negozi per un’azienda come la nostra vuol dire crescere di circa un terzo. Questo ci permetterebbe di creare anche un migliaio di posti di lavoro.
Avete anche rifinanziato l’azienda?
Il retail è tra i settori più penalizzati dalla pandemia. A marzo, aprile e maggio 2020 oltre il 90% dei negozi è rimasto chiuso. Durante la seconda ondata poi in molti Paesi abbiamo registrato un’altra fase di stop. Il retail a livello globale, pur con differenze tra i diversi Paesi, ha perso il 35-45% del suo giro d’affari. Noi abbiamo perso circa un terzo del nostro fatturato. Abbiamo cercato di gestire il problema della liquidità con un rifinanziamento da 270 milioni di euro che ci ha dato la possibilità di non fermarci. Durante la crisi era importante non perdere competitività.
Come si inserisce il franchising nella struttura distributiva di Kiko?
È una scelta che abbiamo fatto perchè l’obiettivo del turnaround, oltre al ritorno alla crescita profittevole, era anche quello di portare l’azienda dalla dimensione regionale, inteso come sud-europea, a quella globale. Il franchising permette di trovare, nel mercato di sbocco, un partner competente, che conosce la realtà locale, e di dividere i costi. L’azienda corre meno rischi e può quindi procedere più velocemente. I mercati che abbiamo aperto dal 2019 e che apriremo in futuro saranno tutti in franchising. Ora abbiamo retail, franchising ed e-commerce. L’obiettivo è l’equilibrio dei tre canali.
Come vede l’azienda da qui a tre anni?
L’obiettivo nei prossimi tre anni è diventare un’azienda che sfiori i 50 mercati. A quel punto potremo definirci un’azienda veramente globale. Dovremo avere tra i 1.200 e i 1.300 punti vendita attivi e integrare fisico e digitale. C’è un modo diverso di fare retail e riteniamo che il negozio debba diventare un luogo in cui non si offrono solo prodotti, ma soprattutto servizi ed esperienze.
L’online è anche uno strumento per studiare i mercati?
Nel 2018 abbiamo lanciato il nostro e-commerce in Cina e questo ci ha dato un’enorme mole di dati sui consumatori. Ora siamo pronti a fare dei passi ulteriori. In mercati così diversi fare contemporaneamente un debutto online e fisico è molto rischioso. In questo modo si procede invece a un lancio più studiato.
All’estero come viene visto e vissuto il marchio Kiko?
All’estero Kiko è un brand ancora più govane di quanto non sia in Italia. In Italia è il brand cosmetico con la maggiore quota di mercato, quindi parla a tutti. In altri Paesi abbiamo una quota di mercato ridotta, ma una percentuale più alta di clienti Millennials.
Il nome ‘Milano’ aiuta nel brand?
Il nome ‘Milano’ ci sta aiutando molto all’estero. Ci ha permesso di essere degli ‘ambasciatori affordable’ di italianità.
La maggioranza di Kiko è della famiglia Percassi. La minoranza invece fa capo a un fondo. Oltre all’aspetto finanziario, che contributo ha dato il fondo?
Credo che l’apertura dei capitali aiuti a rendere più sofisticata la governance di un’azienda. Oltre al capitale i private equity portano conoscenza. Con Peninsula, che ha un’expertise significativa in Middle East e in Asia, abbiamo acquisito network su quei mercati. Peninsula ha aiutato questa azienda a evolvere, a rendere più sofisticata la governance, oltre ad accelerare il percorso di espansione internazionale.
Quali sono gli step strategici individuati per il futuro di Kiko?
È ovviamente una scelta dell’azionista. Il Covid però non ha solo penalizzato i risultati 2020, ma anche i primi quattro mesi di quest’anno. Oggi ogni scelta è prematura, anche se mai dire mai rispetto alle diverse eventualità. Purtroppo credo che il 2021 e i primi sei mesi del 2022 saranno ancora complessi.
L’OFFLINE performa a sostegno dell’ONLINE
di Chiara Dainese
“TUTTO È NATO PERCHÉ MENTRE GESTIVO IL MIO CENTRO ESTETICO NECESSITAVO DI VENDERE UNA LINEA DI CREME, CHE ABBIAMO QUINDI PROVATO A METTERE ONLINE. POI LA COSA CI È UN PO’ SFUGGITA DI MANO”. QUESTE LE PAROLE DI CRISTINA FOGAZZI FOUNDER DI RE-FORME (VERALAB) INTERVISTATA DA DAVID PAMBIANCO. “Con 2 flagship e 112 porte l’offline performa a sostegno dell’online”. Queste le parole di Cristina Fogazzi founder di Re-Forme, intervistata da David Pambianaco durante il 5° Beauty Summit di Pambianco in collaborazione con Cosmetica Italia. Icona ironica, coinvolgente ed eccentrica, attorno al suo personaggio ha costruito il brand della propria attività. La sua community cresce sull’onda delle Instagram stories dedicate ai trattamenti contro la cellulite (suo core business), all’arte che è la sua grande passione, all’attualità, alla polemica social anche soprattutto contro il culto della fisicità perfetta. Cristina Fogazzi ha iniziato la scalata al successo con un blog, Estetistacinica.it, grazie a cui è riuscita a cambiare l’approccio alla beauty experience, puntando professionalità, ironia ed empatia. Presto è diventata una promettente start up con la piattaforma di e-commerce VeraLab.it, grazie al passaparola e al contributo delle moltissime follower,
che si sono affidate ai consigli dei suoi post, ai rituali di beauty therapy del suo centro estetico Bellavera di Piazza Buonarroti a Milano e, soprattutto, ai suoi prodotti di bellezza VeraLab, decretando questo brand fra i più apprezzati e acquistati del mercato. Oggi con oltre 850mila follower su Instagram, Cristina Fogazzi guida una vera e propria azienda che conta circa 60 dipendenti.
Come è nata l’idea di lanciare una linea di creme ?
Oggi fanno tutti una linea di creme... Quando l’ho fatta io questa tendenza non c’era e in realtà io volevo semplicemente una linea di creme per il mio centro estetico di Milano. Poi chi mi seguiva sul blog L’Estetista Cinica mi ha suggerito di creare una piccola piattaforma per la vendita online e così è cominciata. Poi la cosa ha cominciato a crescere. Ma ho capito bene che non le compravano solo le mie amiche quando ho lanciato delle bende in cui non credeva nessuno, nemmeno il mio socio, mentre io sì. Ne abbiamo ordinate 50 pezzi. Ne abbiam vendute 186 in un’ora, che ovviamente non avevamo.... A quel punto mi sentivo già Steve Jobs, mi vedevo a fare la presentazione del nuovo iPhone. Noi fino a lì spedivamo gli ordini dal centro estetico, ma 186 confezioni di bende fanno 186 chili di sali quindi ho dovuto trovare una logistica e da quel momento ho capito che se volevamo fare questo gioco non lo potevamo fare più come fossimo in un sottoscala.
Oggi infatti il marchio Veralab, oltre che sul sito di e-commerce è presente in Rinascente, nei punti vendita Pinalli e in alcuni store Naïma. Come state crescendo a livello retail?
Negli ultimi anni siamo cresciuti tanto a livello retail. Gli store diretti sono a Milano e a Roma e da poco abbiamo aperto all’interno del concept store veneziano Fondaco dei Tedeschi. Inoltre di recente siamo entrati anche nel canale farmacia. Ad oggi siamo presenti in 112 (raddoppiate rispetto al 2020) porte che potrebbero diventare al massimo 200…non mi interessa essere su tanti scaffali, ma su quelli giusti e che il mio prodotto sia presentato e spiegato alla cliente nel modo corretto.
Pensate di aprire altri monomarca in Italia?
Forse uno a Firenze. E poi mi piacerebbe in futuro sicuramente avere un flagship store a Milano in una via più centrale. Comunque la mia intenzione è di avere pochi negozi ma super esperienziali. Il negozio di Milano è n concept store speciale e coinvolgente in cui lasciarsi sedurre dagli elementi ludici, in cui scoprire e riscoprire i prodotti Veralab, in cui concedersi il piacere di una consulenza personalizzata.
Per quanto riguarda i numeri?
Stiamo crescendo molto bene e dove abbiamo aperto negozi stiamo generando vendite in crescita senza perdere quote dall’online. Per dare numeri più corretti bisognerà aspettare il Black Friday e il periodo del Natale che per le nostre vendite sono fondamentali. Nei primi 6 mesi abbiamo fatturato circa 4,8 milioni al mese e per ora proiettiamo una stima di oltre 60 milioni di euro… ma come dicevo è ancora presto.
E per il futuro guardate all’estero?
È complicato, il 2020 ha spostato i piani di tutti. In questo momento è difficile fare dei piani, fino a quando non capiamo quando questa situazione si stabilizza. Il prossimo passo quest’anno sarebbe stato potenziare il retail, ma i negozi sono stati chiusi per buona parte dell’anno. Pensare all’estero, come fai tra frontiere aperte e chiuse? Però mi piacerebbe metterci il naso all’estero. Il progetto di internazionalizzazione con VeraLab doveva essere già in essere ma purtroppo la pandemia ha bloccato tutte le nostre strategie. Abbiamo comunque l’intenzione di riprovarci in particolare in Paesi come Francia, Spagna Germania e Uk e cominceremo a fine anno a fare un piano industriale più obiettivo e concreto.
Avrete avuto contatti da fondi e aziende?
Per il momento non è nelle nostre priorità perché siamo cresciuti tantissimo e in questo momento dobbiamo strutturarci. Abbiamo generato nel 2020 un ebitda stellare del +33% e al momento vogliamo ancora camminare da soli.
Come si dividono le vendite di Veralab?
Abbiamo un solo asse della cura del viso e corpo. Sicuramente abbiamo intenzione di aggiungere un altro asse… ma ad oggi è ancora top secret! Tra viso e corpo vendiamo di più i prodotti skincare perché i prodotti per il corpo hanno una maggiore stagionalità e meno referenze.
Avete numeri che fanno invidia a tutti, cosa richiederà la maggiore attenzione nei prossimi tre anni?
Sicuramente dobbiamo continuare a consolidare la nostra posizione e affermare il brand sul mercato. La domanda su quanto durerà il mio marchio se la fanno tutti! Mi piacerebbe tra tre anni rispondere sono ancora qua!
BUY NOW- PAY LATER per spingere lo shopping
di Giulia Sciola
LO DICONO CLEARPAY E KLARNA, SOCIETÀ FINTECH CHE FORNISCONO SERVIZI FINANZIARI. LA SCOMMESSA NON È SOLO SU NUOVE MODALITÀ DI PAGAMENTO, MA SULLA CAPACITÀ DI PORTARE A BRAND E RETAILER UN’UTENZA NUOVA. Formule di pagamento online dilazionate in rate e a interessi zero per il cliente finale, che però permettono al venditore di ricevere l’intero importo entro il giorno successivo. Passano anche da queste nuove modalità di consumo la ripresa del business, la crescita dell’e-commerce e dello shopping multicanale, dove società fintech come Clearpay e Klarna giocano un ruolo sempre più decisivo, sia per l’utente finale che per venditori e commercianti. Questi ultimi beneficiano infatti di nuovi motori di traffico. Le due realtà, tra i leader di settore, sono intervenute al 5° Beauty Summit di Pambianco in collaborazione con Cosmetica Italia. Clearpay, parte del Gruppo Afterpay Limited, offre ai propri clienti la possibilità di ricevere immediatamente i beni che acquistano, pagandoli in quattro rate sempre senza interessi. Il servizio permette ai consumatori di evitare commissioni o di contrarre debiti di lunga durata. L’azienda, presente in Italia da marzo 2021, ha siglato accordi con oltre 200 brand nei settori moda, beauty, outdoor e home décor, che hanno già integrato Clearpay tra i metodi di pagamento. A livello internazionale, Afterpay-Clearpay è una soluzione di pagamento offerta
da oltre 85.800 rivenditori nel mondo ed è utilizzata da più di 14 milioni di clienti attivi. Il servizio è attualmente disponibile in Australia, Canada, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia e Spagna. La mission dell’azienda è “alimentare l’economia in modo sostenibile per far sì che tutte le parti coinvolte ne escano vincitrici”. Con oltre 90 milioni di utenti attivi a livello globale e 2 milioni di transazioni al giorno, anche Klarna risponde alle esigenze in evoluzione di consumatori che vogliono usufruire di servizi di acquisto, pagamento e bancari su una piattaforma intuitiva e con un brand fidato. Oltre 250.000 retailer globali (tra cui H&M, Sephora, Ikea, Nike e Shein) hanno già aderito all’innovativa esperienza di acquisto online e in store. Klarna, che punta a rendere il processo di pagamento il più semplice e sicuro è una delle fintech private di maggior valore a livello globale, con una valutazione di 45.6 miliardi di dollari. Fondata nel 2005, conta oltre 4mila dipendenti ed è attiva in 17 mercati. In Italia il gruppo è approdato lo scorso ottobre e da allora sono già più di 600 gli esercenti che ne adottano i servizi.
A MISURA DI MILLENNIALS E GEN Z Le opzioni offerte dalle due realtà guardano soprattutto a Millennials e Generazione Z e accompagnano brand e retailer nelle diverse geografie che vogliono gestire. “Sono generazioni che hanno un nuovo modo di accedere al credito - ha spiegato Francesco Passone, Country Manager Italy di Klarna -. La possibilità di acquistare online pagando in tre rate senza interesse dà flessibilità al consumatore, che non ha per forza bisogno di una carta di credito. Si usano anche carte di debito o carte prepagate. È un trend che vediamo molto maturo negli Stati Uniti, ma ci sono tutte le indicazioni perché cresca anche in Italia”. Che effetto hanno le opzioni di split payment sulle vendite? “I vantaggi sono molteplici sia per le caratteristiche
Federica Ronchi
Francesco Passone
ADIOR AD QUE IL IUM LAM, OD EOS SIM UT ACESTIA VERSPER EREPERIT QUIBUS. UREHENI NULPA DOLUPTIUMQUI RE NON ETUR A VERATIO MAGNAMUSA UREHENI NULPA DOLUPTIUMQUI RE NON ETUR A VERATIO MAGNAMUSAE RECATUR, NAM UNT, INII TATIIS ACESTIBUS. JKLJYUYGHUJK LÒ “
intrinseche di una soluzione di buy nowpay later, sia per le specificità di Clearpay – ha raccontato Federica Ronchi, Country Manager Italy dell’azienda -. Nel primo caso un cliente che può acquistare un prodotto pagandone solo il 25% subito è molto più ‘caldo’ nella conversione visita-acquisto. Allo stesso tempo c’è un aumento del ticket medio. Chi paga con Clearpay, mediamente, triplica il numero di prodotti che mette a carrello. Split payment non è credito al consumo: i ticket medi che andiamo a finanziare non sono ticket elevati. Millennials e Gen Z vedono nella convenience una spinta all’acquisto”.
MARKETING ENGINE PER I BRAND Nella visione di Klarna la prospettiva è quella di un ecosistema di servizi per i merchant, che siano brand o retailer. “Mettiamo in campo anche tool in grado di ricavare dati sui comportamenti dei clienti, dati che sono ovviamente preziosi per i venditori”, ha continuato Passone. Significativa in questo senso è l’acquisizione, da parte di Klarna, della piattaforma di social shopping Hero, progettata per dare ai consumatori ispirazione, suggerimenti e contenuti immediatamente shoppabili dai negozi. “Vogliamo diventare un brand conosciuto dagli italiani, una preferenza di lungo periodo, e aiutare gli esercenti a crescere”, ha aggiunto il manager. “La scommessa – ha precisato Ronchi – è molto più ampia rispetto all’offerta di un servizio in più che vada a premiare il merchant. La volontà è quella di portare ai nostri brand e retailer un’utenza nuova. Questo è il grande valore aggiunto della soluzione Clearpay, che vuole essere crocevia tra la domanda e l’offerta. Ogni mese 35 milioni di utenti arrivano sulla nostra shopping directory e atterra poi sui siti dei nostri merchant, a cui portiamo traffico”.
SPLIT PAYMENT NON È CREDITO AL CONSUMO: I TICKET MEDI CHE ANDIAMO A FINANZIARE NON SONO ELEVATI. MILLENNIALS E GEN Z VEDONO NELLA CONVENIENCE UNA SPINTA ALL’ACQUISTO “