Thonban Hla, la leggenda

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Thónbàn Hlá , la leggenda

SELENE CALLONI WILLIAMS

THÓNBÀN HLÁ , LA LEGGENDA

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Thónbàn Hlá , la leggenda

è un marchio

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© Selene Calloni 2004, tutti i diritti riservati. Disegni di Nicoletta Freti La riproduzione, anche parziale, dell’opera è vietata, se non autorizzata dall’autore.

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NOTA DELL’AUTRICE. Quello che leggerete è stato scritto da me svariati anni orsono, al ritorno da un viaggio in Myanmar. Descrive un rituale di fratellanza con gli dèi che vivono sul monte Popa a cui ho assistito. La bella sciamana che impersonava nel rituale la protagonista della storia, la dèa Thónbàn Hlá, mi disse che se avessi saputo narrare in modo sufficientemente lucido gli eventi ai quali avevo assistito, avrei dato la possibilità a chiunque mi avesse letto di diventare fratello o sorella degli dèi. Nel corso degli anni molte delle mie sorelle e molti dei miei fratelli hanno letto questo libro accettando la fratellanza con gli dèi e traendone grandi benefici. Non solo questo libro è utile al processo di crescita personale, la sua lettura può anche essere un vero e proprio strumento di counselling. Thónbàn Hlá é la dèa della Bellezza, il suo nome è tradotto sia come Bellezza Insuperabile, SIA COME COLEI CHE È TRE VOLTE BELLA. La Bellezza è il frutto dell’agire artistico. Nel testo che leggerete – di comune accordo con la bella sciamana birmana che interpreta Thónbàn Hlá e ne evoca la presenza nel rituale - ho disseminato alcune tra le più potenti “formule psichiche della creazione immaginale” conosciute come vere e proprie “formule magiche” e tramandate nel lignaggio del Vajra a cui sono stata iniziata circa

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trenta anni orsono. Il potere che è nell’anima stessa delle formule magiche si esprime grazie alla loro natura poetica. Nei secoli, centinaia di yogin, sciamani e alchimisti nomadi hanno ripetuto, caricandole di sempre rinnovato potere, queste formule. La famiglia del Vajra, raggruppa in sé, yogin, sciamani e alchimisti sparsi nel tempo e nello spazio, i quali conoscono il metodo di Bellezza e Piacere come la chiave per realizzare tutti gli ottenimenti dello yoga. Fratelli e Sorelle che desiderate danzare nel cielo, connettetevi alla fonte della poesia che fluisce spontaneamente in voi, come a primavera il torrente della vita scorre chiaro verso l’oceano della Grande Medesimezza. Siano la Bellezza che scaturisce dal vostro agire artistico e il Piacere del bello a guidarvi. Possa tutto ciò che fate essere ispirato dal Piacere e intriso di Bellezza. Possano le parole Piacere e Bellezza riempire le vostre menti e accendere i vostri cuori. Michael Williams. Ma cosa rende il piacere dell’esperienza estetica un mezzo così potente? Il poeta può trasvalutare. Egli può elevarsi al di sopra del senso comune. Ciò che comunemente è fonte di paura e limitazione, è per il poeta l’inizio di infinite possibilità creative. Cantando e danzando, il poeta si manifesta come membro di una comunità superiore, nella quale l’uomo è il maestro delle cose, non la vittima delle loro reazioni.

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Il poeta può entrare negli spazi più segreti dell’animo umano. Nulla gli rimane celato, poiché la poesia svela nell’ombra la fonte della luce. Egli vede simultaneamente nella vita e nella morte, nel cielo e nella terra e, guardando con sguardo naturale, non percepisce paradisi, né inferni; ma solo cielo sopra di sé e solo terra sotto di sé. Questa è la libertà mozzafiato a cui il metodo di Piacere e Bellezza punta. Le “formule psichiche della creazione immaginale” non sono il solo potere da attivare nel libro. Nel testo io e la sciamana che impersona Thónbàn Hlá, sorelle nel lignaggio del Vajra, abbiamo voluto disseminare anche istruzioni per la meditazione e strumenti per il dialogo maieutico. Vi sono inoltre dei punti chiave del rituale, descritti nel libro, di fronte ai quali la mente del lettore è chiamata a operare delle scelte. Dalla registrazione e dalla successiva elaborazione di queste scelte è possibile disegnare quello che ho chiamato “mandala visionario” della persona. Questo mandala è una sorta di “mappa del reale” di un individuo che ne descrive le possibilità di comportamento, le quali risultano, spesso in modo molto evidente, legate ai comportamenti e alle scelte dei suoi avi e, naturalmente, al suo karma. Il libro conduce a consapevolizzare i “venti del karma” ai quali siamo sottoposti - “venti” che possiamo imparare ad arrestare - e porta altresì a scoprire le sottili e importanti connessioni che ci legano ai nostri antenati modellando il nostro comportamento sulla base di “legami d’amore invisibili”. Questa consapevolezza non è repentina; il libro deposita dei semi nella coscienza che danno

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origine a piante e poi a molti rami e foglie e fiori dai molti colori e frutti ricchissimi. Così, con una intensità crescente, I Nat, gli dèi del monte Popa, portano alla luce i nostri venti karmici e i nostri obblighi d’amore allo scopo di darci le chiavi per la libertà. Infine il libro – che è un testo sciamanico - contiene istruzioni di psicopompia, insegnamenti sui mondi del transito e sull’arte del morire che, in verità, sono insegnamenti per la vita. Quando, in una relazione d’aiuto, pareva che non vi fosse alcuna possibilità di ulteriore elaborazione o soluzione positiva, il ricorrere a questo libro come strumento d’ispirazione del dialogo con il mio consultante mi ha sempre aiutata in modi decisivi. Sono immensamente grata a questo libro, che per diversi anni ha costituito per me un importante tesoro segreto. Un tesoro che oggi, dopo averne confermata e riconfermata molte volte la validità, ho deciso di condividere con te. Considero la leggenda di Thónbàn Hlá un vero e proprio libro magico della cui diffusione mi sento strumento. Molti hanno contribuito alla stesura di questo testo prima di me e meglio di me a cominciare dal mio maestro Michael Williams, dal suo maestro e dal maestro del suo maestro, e anche la bella sciamana che ha danzato ed evocato per noi Thónbàn Hlá quella notte in riva al fiume e che vuole rimanere senza nome, e naturalmente Thónbàn Hlá stessa sono i veri autori e le vere autrici del testo che leggerete. Il libro è stato pensato per dare a quante più persone possibile l’opportunità della fratellanza con i Signori della Natura e mettere alla portata di un numero elevato di individui, corrispondente a una

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“massa critica”, gli strumenti per una profonda trasformazione. L’attivazione della forza del libro è auspicabile in te e nelle persone che ti circondano per generare cambiamenti positivi nella “rete mnestica”, il campo di memorie nel quale sei immerso, ritrovando quei punti di contatto che ti uniscono al sapere antico, ancestrale, semplice e segreto, nobilitante e vivificante, della tua stirpe di uomo. Il samsara, l’illusione, è bella, se riconosciuta come tale, e il nirvana, la libertà della illusione, può coesistere con il samsara, essa è dentro nel samsara. Scopri la libertà per giocare con l’illusione e farla tua, possederla amarla, come la tua sposa, il tuo sposo celeste e darti a lei, a lui, consapevole che è solo illusione … ma è meravigliosamente bella per te, per te che sai danzare nel cielo. Impara a danzare nel cielo, non c’è nulla di più bello di un essere umano che sappia danzare nel cielo: il suo corpo è dinamico, la sua mente vigile e acuta, la sua anima pura e antica conosce il respiro delle schiere di spiriti che danzano nel cielo al sole del mattino e vede, vedono . Vedi? Ecco sì, adesso! Meraviglia! Adesso danzi nel cielo con noi! Lasciati andare, questo è tutto ciò che devi fare …

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SELENE CALLONI WILLIAMS, MI PRESENTO. Chi sono io? Mi presento. A diciannove anni perdo mio padre, un aviatore, avventuriero che mi lascia in eredità i suoi libretti di volo relativi ai periodi di guerra, in cui era dedito al trasporto dei feriti, e a quelli di pace, le sue medaglie di partecipazione alla gara automobilistica la Millemiglia e alla gara motociclistica la Milano-Taranto. L’eredità di mio padre è per me la prima grande fonte di apprendimento del coraggio e il richiamo più irresistibile all’avventura. A pochi giorni dalla morte di mio padre, disperata, con nessuna voglia di continuare a vivere, nel tentativo di “fuggire dal mondo”, accetto un lavoro che mi porta nell’isola di Sri Lanka. Fortunate coincidenze mi permettono di rimanere nell’isola per oltre sei anni senza preoccupazioni economiche pur con un minimo impegno di lavoro. Ho molto tempo per pensare in un’isola in cui non ho amici né distrazioni di alcun genere. Quando incontro il mio maestro, Michael Williams, sono nelle condizioni ideali per apprendere. Michael è un professore universitario di inglese in pensione, ma è soprattutto uno yogin e uno sciamano. Ha personalmente conosciuto Sri Aurobindo quando il maestro era ancora in vita. Michael mi inizia allo yoga, allo sciamanismo e mi introduce alla frequentazione

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degli eremi theravada della foresta, dove gli eremiti praticano meditazione. Sei anni dopo il nostro primo incontro, avendomi dato tutti i segnali dell’evento e le istruzioni per la continuazione, anche Michael mi lascia, lascia il corpo, corpo che non verrà mai ritrovato dalle autorità che, dopo averlo dato per disperso a lungo, ne devono dichiarare la morte. I suoi discepoli più stretti, dall’India all’Australia, all’Europa, sono certi che egli abbia trasmutato il suo corpo, come la tradizione vuole che ogni grande maestro faccia, nel corpo di arcobaleno. Io ho avuto prove tangibili della veridicità della leggenda del corpo di arcobaleno che i grandi yogin lascerebbero morendo, ma non posso entrare nel vivo dell’argomento in questa sede. Dirò solo che quando ripercorro la strada che, passando per l’interno dell’isola e attraversando la giungla, porta da Matara a Nuwara Elya, sento la sua presenza nella fitta vegetazione che mi avvolge e mi ispira. Michael è scomparso lungo quel percorso, mentre con la sua jeep stava spostandosi da Matara, dove aveva tenuto una conferenza all’Università, a Nuwara Elya, dove aveva una bella casa in stile coloniale. Dopo la scomparsa di Michael trascorro vario tempo presso il Polgasduwa Island Hermitage, un eremitaggio nella foresta del distretto di Galle, dove ho vari compagni di meditazione con i quali inizio una collaborazione proficua che continua tutt’oggi.

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La famiglia del Vajra, originariamente di etnia tibeto-birmana, è un lignaggio iniziatico i cui membri sono sparsi nel tempo e nello spazio. In quanto maestro erede del lignaggio del Vajra, Michael mi ha dato importanti iniziazioni nell’isola di Sri Lanka e mi ha portato con sé in Birmania per riceverne altre. Prima di lasciare il corpo mi ha indicato un cammino geografico e spirituale che avrei dovuto compiere per portare a termine il mio percorso iniziatico. Camminare sulla terra e viaggiare dentro la psiche sono due facce della medesima avventura per me. Il cammino iniziatico è il percorso della Dakini, la Danzatrice del Cielo. Sulle tracce di questo cammino sono stata in molteplici luoghi della regione himalayana, in Africa e in Europa. Nel 2006 a Guahati in Assam, presso il Kalimandir, ho ricevuto, nel corso della Chakra Puja, l’iniziazione che conclude con successo il percorso che porta a danzare nel cielo, e ho potuto fare mio il nome del mio maestro. La tradizione del Vajra vuole che sempre vi siano simultaneamente sulla terra almeno una donna e un uomo che incarnano il segreto del danzare nel cielo affinché quest’arte non muoia mai. Nel 2003, trascorsi venti più uno anni di esperienze, io ho ricevuto il compito di insegnare l’arte del danzare nel cielo a chiunque fosse desideroso di impararla. Ho creato la Società di Nonterapia e la sua Scuola di Counselling (www.nonterapia.ch) per diffondere la Meditazione, il Training Trasvalutativo e il Metodo Simboloimmaginale, che sono le basi dell’arte del danzare nel cielo, ho fondato il movimento dello Yoga Sciamanico (www.yogasciamanico.it), che ha numerosi allievi, ho costituito, insieme ad alcuni miei allievi, Voyagesillumination

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(www.voyagesillumination.com), un tour operator molto speciale perché ha come mete i principali luoghi iniziatici del pianeta e concepisce il viaggio come avventura spirituale. Il racconto di una parte molto significativa della mia vita con Michael è stata pubblicata nei libri Yogin e Sciamano - edito nel 1997 dalla Casa Editrice Promolibri di Torino e nel 2010, in edizione riveduta e corretta, da AttiPoetici edizioni, Bissone, Svizzera - e nel libro Iniziazione allo Yoga Sciamanico - edito dalla Casa Editrice Mediterranee di Roma nel 1999 -. Ho avuto la fortuna di avere, dopo Michael, altri grandi maestri, e non solo yogin e sciamani delle regioni himalayane, ma anche filosofi occidentali come lo psicanalista James Hillman e il filosofo Raimon Panikkar, a cui il mio cuore e la mia mente sono sempre grati. L’insegnamento del maestro è espressione della reale natura delle cose; come il riflesso della luna sull’acqua, esso è vivido e presente, anche se non ha sostanza alcuna, ti guida, come luce nella notte la cui sorgente è pura e perenne vacuità.

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INTRODUZIONE I. La favola che racconto in questo libro narra di una dèa potente il cui nome è Thónbàn Hlá , che significa “Tre Bellezze”. La dèa abita sul monte Popa, in compagnia dei propri simili. Io la conobbi in un viaggio attraverso la Birmania. La mia professione e la mia passione mi spingono ad essere spesso in cammino per il mondo, all’esplorazione dei culti etnici, dei riti ancestrali, delle culture e delle tradizioni spirituali dei popoli. Incontrai Thónbàn Hlá nel corso di un rito sciamanico a Pagan, la “città dei Pagani”, la quale sorge ai piedi del monte Popa, nel cuore del Myanmar. Martin, la mia guida, mi aveva parlato del potere dei nat, gli spiriti che, al pari della bellissima Thónbàn Hlá , abitano il monte Popa e mi aveva detto che la forza dei nat agisce nel racconto e nella rappresentazione delle loro vicende. Infatti, per evocare il potere dei nat, ancora oggi, gli sciamani birmani allestiscono riti in cui interpretano gli spiriti e inscenano le loro gesta a mezzo di costumi, musiche, canzoni e danze. I nat si esprimono nell’arte degli sciamani manifestando la loro forza, nei confronti della quale è saggio nutrire rispetto.

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Thónbàn Hlá è una favola magica capace di ridestare il potere segreto della dèa. Voi che la leggerete conservatene l’essenza nell’intimità del vostro cuore, dove l’energia della dèa potrà fiorire.

II. Thónbàn Hlá, “Tre Bellezze” era moglie del re dei mon, uno dei primi gruppi etnici insediatisi in Myanmar. I mon controllavano un tempo un territorio di cui faceva parte anche l’attuale Thailandia. Oggi i mon sono stati quasi completamente assimilati dalla maggioranza e non sembrano più distinguibili dai bamar, componenti della principale etnia birmana. Thónbàn Hlá non era solo bellissima, ma la sua bellezza mutava almeno tre volte al giorno, in sintonia con le variazioni della luce. Thónbàn Hlá è considerata la dèa della bellezza, quella Bellezza che abita le profondità dei corpi e delle anime e sfugge a tal punto ai valori creati dalla mente, che per tentare di raggiungerla si deve sovvertire l’ordine stesso dei significati. Gli dèi sono infedeli e illogici, bugiardi, imprevedibili, egocentrici; non sono nulla di ciò che é accettabile dalle regole della buona condotta che professa la società civile … perciò abitano in luoghi selvaggi sulle alte vette dei monti.

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III. Girando il mondo con interessi da antropologa, mi era venuta la mania di collezionare statuette antiche che riproducessero le divinità dei vari popoli. Avendo speso molte ore nei negozi d’antiquariato, ho imparato a riconoscere una riproduzione dall’originale abbastanza bene, credo. Ma una cosa come quella che trovai un giorno in un negozietto pieno di polvere di Yangon era davvero eccezionale e non ci voleva la mia esperienza per capirlo, bastavano i sensi. Era nuda. Piccola, piccola, ma fatta di un legno tanto poroso, morbido, caldo che pareva pelle umana. I fianchi larghi, i capelli neri, raccolti. Aveva un braccio abbandonato lungo il corpo e nell’altro, alzato per metà, teneva un grande uovo bianco, così sottile e trasparente che anch’esso pareva vero. Appena la vidi sullo scaffale la afferrai e con gesti quasi meccanici presi ad accarezzarla, forse nel tentativo di ripulirla dagli strati di polvere che la ricoprivano. “Chi è? Chi rappresenta?” chiesi al negoziante, un burbero ragazzotto cinese. “Non so”, mi fece lui, con tono scortese, mentre si dava da fare per mettere sul tavolo di fronte a me una lunga serie di buddha birmani di varie dimensioni.

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Decisi di essere pratica. “Quanto costa?” chiesi. “Non so”, mi fece ancora lui, continuando ad allineare statuette di buddha. “Io voglio comperarla”. “Davvero?” “Sì, io voglio questa!” “È da troppo tempo che quella se ne sta lì, sullo scaffale, devo chiamare mio padre, non so quanto costa”. Ricordo la lunga attesa sul marciapiede di fronte al negozietto, nel caldo torrido di Yangon. Poi il padre arrivò. Era un vecchio molto esile, l’opposto del figlio. “Quella è Thónbàn Hlá ”, mi disse. “Sì”, dissi io, lo sapevo, era lei!

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IV. Per spiegarvi chi é Thónbàn Hlá ho bisogno della vostra pazienza; vi devo chiedere, infatti, di ascoltare una parte della storia che narra il tramonto del suo mondo: il regno degli spiriti. Fu il re Anawrahta (1044-1077), fondatore di quello che i birmani, o uomini di stirpe bamar, definiscono il Primo Impero Birmano, a scegliere il buddhismo theravada come religione sociale al fine di dare unione e solidità al proprio impero. Come era accaduto a Costantinopoli, dove Costantino il Grande aveva dato un fondamento sociale al proprio impero sull’affermazione del cristianesimo come religione di stato, così a Pagan il re Anawrahta decise di ancorare il proprio impero alle solide basi morali del buddhismo theravada. Convertitosi egli stesso al buddhismo theravada, Anawrahta segnò con decisione la svolta del Myanmar dalla religione indù e buddhista mahayana alle dottrine del buddhismo theravada. Come Costantino aveva represso ferocemente i culti pagani, affermando l’unità della chiesa, così Anawrahta, deciso a imporre il buddhismo theravada come unica religione del proprio impero, combatté duramente il culto dei nat. Ordinò che i santuari dedicati agli spiriti fossero distrutti nel suo impero e confinò le icone indù, principali veicoli dell’animismo bamar, in un tempio sconsacrato di Vishnu, che venne chiamato Nathlaung Kyaung, ovvero Monastero dei nat prigionieri. Questo monastero è ancora oggi visibile tra i resti delle migliaia di stupa di Bagan, ma i nat, se mai vi furono catturati, se ne andarono molto

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presto. La popolazione, infatti, non abbandonò mai il culto degli spiriti, ricostruendone i simulacri nelle proprie case e restaurando privatamente ciò che pubblicamente era stato distrutto. Il re Anawrahta dovette rendersi conto che la sua politica repressiva non solo non era efficace contro l’animismo, ma, anzi, rischiava di fomentare ribellioni nei confronti del buddhismo theravada. Così annullò il suo precedente divieto di costruire santuari dedicati ai nat e acconsentì alla presenza delle immagini degli spiriti nel suo impero. Tuttavia egli fece sì che gli spiriti fossero, in qualche modo, subordinati alle immagini sacre del buddhismo, creando, comunque, una gerarchia di valori. Così Anawrahta ebbe una trovata geniale: collocò alla base dello stupa di Shwezigon a Bagan, capitale del suo impero, le statue dei 36 nat più potenti, ma ve ne aggiunse un trentasettesimo, Thagyamin, che soppiantò il precedente re dei nat. Thagyamin è un raffigurazione di Indra, divinità indù che, secondo la mitologia tradizionale buddhista, rese omaggio al Buddha su incarico di tutti gli dèi indù. In questo modo i nat vennero subordinati al Buddha. Da allora la popolazione bamar considera il Buddha come il più importante riferimento religioso, seguito dai nat indù e infine dai nat bamar. Malgrado i nat siano ancora oggi evocati, celebrati e temuti nei culti e nei rituali popolari, la stessa popolazione non ama le effigi e le icone dei nat che, si racconta, ne racchiuderebbero la potenza incontrollabile, perciò, specie dei nat considerati più importanti, si dice che sia assai improbabile trovare dei simulacri autentici.

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Thónbàn Hlá è ritenuto uno spirito di estrema potenza, di cui mai avrei detto di poter trovare un giorno l’immagine originale.

V. Il vecchio antiquario cinese mi diede la statuetta a poco prezzo. Per un attimo ebbi quasi l’impressione che fosse felice di potersene disfare in modi non offensivi per lo spirito che la abitava. Per molto tempo non la feci vedere a nessuno. La custodivo nel mio studio, in un cassetto chiuso a chiave della scrivania. Non la vedevo mai neppure io, ma nel corso delle giornate, ogni tanto, sapevo che c’era. Era diventata un oggetto intimo e, a maggior ragione, non la rivelavo a nessuno. Solo in tempi recenti l’ho mostrata a una donna coraggiosa, Eva, la quale era con me sul monte Popa, il giorno in cui Thónbàn Hlá si manifestò a mezzo del rito sciamanico. Eva ha tanto sentito vicino alla propria persona il mito di Thónbàn Hlá , da desiderare che un artista le facesse un ritratto capace di accomunarla alla dèa. Il pittore ha raffigurato la donna tutta vestita di bianco, proprio come era Thónbàn Hlá , la prima volta che la vedemmo, e ha disegnato l’immagine della statuetta di Thónbàn Hlá sul suo cuore.

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Perché tanto amore per un mito? Se giri il mondo in un senso e poi lo giri anche nell’altro, finisci inevitabilmente per disimparare quello che hai imparato, allora non distingui più sulla base delle categorie mentali, ma la pura bellezza diviene per te il prezioso significato delle cose.

VI. A Pagan, a nulla sono valsi, nei secoli, gli sforzi di re, imperatori, monaci e filosofi per sradicare le rappresentazioni, le possessioni, il canto e la voce degli dèi e dei dèmoni. Quella terra pare essere stata eletta dagli spiriti quale loro secolare dimora. Chi giunga a Bagan ha innanzitutto la sensazione di trovarsi su di un altro pianeta, tanto ciò che vede intorno a sé non è proprio di nessun altro paesaggio umano. Le rovine di migliaia di stupa si estendono tra una vegetazione incolta nella quale è impossibile addentrarsi a causa della presenza delle vipere. Spirito tutelare, la vipera conserva l’inacessibilità della dimora degli spiriti per tutte le creature mortali. Birmani e turisti, archeologi e contadini, militari e monaci, nessuno fa un passo al di fuori dei sentieri tracciati e di uccidere le vipere neppure se ne potrebbe parlare. La vipera e i serpenti sono sacri nella credenza di pressoché

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tutte le etnie della Birmania. Se un serpente entra nella casa di un birmano non viene ucciso, ma solo scacciato, chi uccida un serpente verrebbe colto da un’infinità di disgrazie, mentre essere visitati nella propria casa da una vipera o da un serpente è segno di gran buona fortuna. Se, per caso, ci si trovasse costretti a uccidere un serpente, bisognerebbe seppellirne il corpo con il massimo rispetto, affinché lo spirito che lo abita non abbia a rivalersi. Inoltre vi è un fiume che divide l’antica città sacra degli spiriti dalla città moderna e dal mondo degli esseri umani. Ora pensate a un teatro a cielo aperto allestito sulla riva di quel fiume. Ci sono strumenti etnici, specialmente tamburi. La compagnia dei teatranti è costituita da sciamani uomini e donne, tutti poeti e cantori abilissimi nell’arte di annullare il confine tra l’esperienza visionaria e l’esperienza reale. E poi pensate a una tavola imbandita dove sono seduti cinque amici: io, Martin, Dario, detto il bello, addetto alla registrazione dei suoni e delle voci, Dario, detto il brutto, munito di apparecchio fotografico, e Eva. Noi siamo gli spettatori. Martin, che per via dei suoi tratti somatici spiccatamente mongoli e dei suoi baffi, è stato da Eva soprannominato Gengis Khan, traduce per noi le voci degli attori fornendoci una sintesi dei significati dei loro discorsi e dei loro canti. La traduzione più minuziosa, quella che voi leggerete, è stata fatta da lui in seguito, ascoltando le registrazioni. Se vi va, a tratti potete anche pensare che le vicende di cui state leggendo accadano sul monte Popa, la dimora degli dèi, che

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conoscete, perché è anche dentro di voi. Immaginate scenari surreali in cui tutto è fatto di nuvole, luci, ombre, colori, profumi. Visualizzate un mondo in cui nulla si può afferrare, né trattenere. Lasciate che questa storia viva per ciò che essa è: una favola magica che appartiene a chiunque, poiché narra della Bellezza che è in tutti gli esseri, nessuno, ma proprio nessuno escluso. Fu sulla riva del fiume di Pagan o poco più in là, sul monte Popa, che la donna sciamana, abbigliata con lo splendido costume dell’orchessa, incominciò a recitare il ruolo della madre di Thónbàn Hlá, mentre il sole scompariva all’orizzonte e si alzava il vento.

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