Tra arte e natura Invito alla scoperta del Parco Rangoni Machiavelli e della sua collezione di sculture di arte contemporanea di Paola Gemelli
In alto: Pietro Cascella, La fontana degli sposi e, sullo sfondo, la villa.
A destra: Balthasar Lobo, Pièce d’eau sur socle.
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È
, il Parco Rangoni Machiavelli, uno di quei luoghi dove è bello anche tornare. Perché è davvero impossibile, dopo una prima visita, non sentire nostalgia della suggestione di certi scorci, della magia che, in un perfetto equilibrio tra arte e natura, Umberto Severi vi ha saputo creare. Il segreto, infatti, sta proprio qui: non nelle magnifiche sculture appartenenti alla Collezione d’arte contemporanea Severi e custodite nel parco né nella bellezza dell’ambientazione e della natura che le circonda, ma nell’insieme: “Alcune opere” spiegava l’imprenditore carpigiano nella prefazione del volume Fondazione Umberto Severi, “sono state da me commissionate agli artisti e dovetti a lungo discutere con Giò Pomodoro sulla collocazione della grande La Porta e il Sole, che egli desiderava vicino alla Villa. Insistetti per la collocazione lontana, convincendo l’amico che avremmo avuto una ragione in più per muoverci e per ammirarla.”
Esteso su 10 ettari, il parco si trova a pochi chilometri da Maranello, mollemente adagiato sulle dolci e verdi colline del primissimo Appennino
modenese. Lo si raggiunge dalla frazione di Pozza, svoltando dalla via principale su via Montanara e poi su via Sant’Antonio. Diversamente, dalla nuova Estense si accede a Torre Maina attraverso il ponte di legno che scavalca il fiume Tiepido e si svolta a sinistra su via Vandelli per prendere poi, a destra, via Sant’Antonio. In entrambi i casi, si esce di botto dal traffico per ritrovarsi in quello che appare davvero un altro mondo. Di colpo il panorama cambia completamente: davanti a noi campi coltivati, vigneti, aziende agricole, ville e case coloniche… fino al civico numero 11. L’automobile può essere lasciata nel parcheggio: niente più di un campo recintato a pochi metri dall’ingresso. Entrando,
la sensazione è ancora quella di accedere a una proprietà privata: varcato il cancello, si percorre il lungo e dritto viale che porta alla villa che fu dimora di Umberto Severi fino a tempi davvero recenti. L’imprenditore acquistò la villa all’inizio degli anni ’70 e vi iniziò subito la collezione oggi ancora in parte visibile. Della raccolta che nei primi anni ’90 comprendeva oltre un centinaio di opere ed era considerata la più importante d’Europa, oggi però rimangono solo una trentina di sculture. Un nucleo comunque consistente che, scomparso l’imprenditore, il Comune di Maranello ha scelto di rendere visibile al pubblico. Grazie alla collaborazione della famiglia Degli Antoni, oggi proprietaria della villa e del parco, e della famiglia Severi, tuttora proprietaria delle sculture, dal 2006 è possibile accedere al parco e, volendo, approfittare anche di visite guidate gratuite alla collezione. Occasionalmente è visitabile anche la villa, che apre le porte ai visitatori per ospitare eventi e mostre. Ma è alle sculture, e con ragione, che si guarda con maggiore interesse. Delle opere che costeggiavano il viale d’ingresso non sono rimasti che
i piedistalli. In compenso, sulla destra ha trovato collocazione un’opera dello scultore modenese Andrea Capucci, che nel 2007 si è aggiudicato il primo premio del concorso di scultura nazionale indetto dal Comune di Maranello. L’opera, dal titolo ProfumataMente, è realizzata in terracotta policroma su una struttura portante di ferro e misura circa due metri di lunghezza. Sulla sinistra si intravedono invece già opere appartenenti alla collezione Severi: Piece d’eau sur socle di Lobo e L’unicorno di Salvador Dalì, entrambe in bronzo. Ma, percorrendo il vialetto, l’occhio corre inevitabilmente avanti, alla monumentale Fontana degli sposi collocata davanti alla villa. Opera in travertino dello scultore italiano Pietro Cascella,
Sopra: Vittorio Magelli, Le bagnanti.
A sinistra: Quinto Ghermandi, Sesto Calende e, sullo sfondo, di A.M. Guasti, Scultura.
Sotto: Giò Pomodoro, La porta e il Sole.
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Sopra: Salvador Dalì, L’unicorno.
A fianco: Davide Scarabelli, Sutura.
Sotto: Andrea Capucci, ProfumataMente.
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anticipa gli altri “giganti” qui ospitati: per vederli occorre seguire il vialetto di destra, scendendo leggermente, lasciare sulla destra il punto di ristoro dove sono disseminate ancora altre opere, come Le bagnanti di Magelli, per sbucare poi in due ampie radure, una dopo l’altra. Nella prima Severi volle collocare La porta e il Sole di Giò Pomodoro, fratello del più famoso Arnaldo. Nella seconda, che chiude il parco da questo lato, si innalza in splendente marmo bianco di Carrara Le vie dell’acqua del giapponese Yoshin Ogata. Tra le due, leggermente spostata sulla destra, La Cattedrale di Scarabelli, ancora un modenese. Solo un primo assaggio ma significativo: ecco infatti che fin da subito si palesa al visitatore uno dei tratti caratterizzanti della collezione, la “spregiudicatezza”, come scrisse Pier Giovanni Castagnoli nel catalogo realizzato nel 1992. “La raccolta di Severi”, vi si legge “non nasconde, non maschera la storia delle proprie preferenze, non si vergogna di accostare l’opera di un vecchio scultore di tradizione come il modenese Magelli ad una scultura di Segal o di Oldemburg; ha la spregiudicatezza di poter guardare da vicino, alle esperienze della tradizione, come alle testimonianze dei linguaggi più internazionali; ha l’arditezza di accostare opere di artisti acclamati a quelle di autori poco o affatto conosciuti”. Spesso in viaggio per lavoro negli Stati Uniti, capace di instaurare relazioni umane e culturali con artisti italiani e internazionali, l’imprenditore andò anno dopo anno affinando la propria sensibilità di lettura. Tanto che, rivelando un profondo intuito, seppe capire l’importanza delle opere di Arturo Martini acquisendone un nucleo consistente in anni in cui i giudizi della critica non lo avrebbero incoraggiato in tal senso. Risalendo la collina e passeggiando questa volta alle spalle della villa non passeranno certo inosservate altre opere: sculture di Lutz, Ghermandi, Sosno, Celiberti, Fazzini, Cassani… fino ai Violini di Arman e a La grande Bagnante di Viani. E ancora non avremo visto che la metà degli 8 ettari di parco visitabili. Il mio racconto però si ferma qui. Consapevole che questa veloce rassegna non potrà che lasciare insoddisfatto il vero cultore d’arte, preferisco però lasciare ai visitatori il piacere della scoperta di un parco che, pur rappresentando indubbiamente un museo all’aperto di grande valore, è anche luogo di riposo e meditazione. Un luogo che non intimorisce e che si gode appieno anche senza nessuna preparazione, un luogo che davvero può realizzare il sogno di uno dei più grandi scultori del ’900, Constatin Brancusi: “Vorrei che i miei lavori si alzassero nei parchi e nei giardini pubblici, che i bambini giocassero su di loro come avrebbero giocato sulle pietre e i monumenti nati dalla terra, che nessuno sapesse cosa sono e chi li ha fatti, ma che tutti sentissero la loro necessità, la loro amicizia, come qualcosa che appartiene all’anima della natura”.