Il Vangelo secondo Marco - Estratto

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Se dovessi definire in una sola parola qual è la nota specifica di questo mio libro direi dialogo. Perché il lavoro è stato un continuo, profondo, crescente, sorprendente dialogo con il Vangelo di Marco, con il suo autore e, ogni tanto, con il suo protagonista, Gesù di Nazaret, nelle pagine forse più riuscite del libro, quando la prosa s’intrecciava con la poesia e, forse, con la preghiera. Ho voluto fare spazio a Gesù, dargli il tempo e la libertà di rivelarsi e farsi conoscere versetto dopo versetto, capitolo dopo capitolo. Ma ho dialogato anche con le persone del mio tempo, con le loro domande, con la mia Chiesa e le mie comunità. Ho fatto mie le loro domande, almeno quelle che sono riuscito a intercettare, e le ho girate a Marco e a Gesù in cerca di qualche risposta migliore e più alta.


Spiritualità del quotidiano

IL VANGELO SECONDO MARCO



LUIGINO BRUNI

IL VANGELO SECONDO MARCO Una rilettura


Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia nella versione ufficiale a cura della Conferenza Episcopale Italiana © 2008, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena

PAOLINE Editoriale Libri © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2022 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it • www.paolinestore.it edlibri.mi@paoline.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI)


Amor che ne la mente mi ragiona. Dante, Convivio



I

IN PRINCIPIO... 1,1

Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. (1,1)

T

utta la Bibbia è attraversata e irrorata da una nostalgia di futuro, dalla fede-speranza-agape che qualcosa di grande e nuovo sta per arrivare, e che arriverà presto e veramente. Che arriverà davvero, perché il mondo è amato, misteriosamente amato. La prima e, in un certo senso, unica buona novella che ci dà Marco è che quel Messia-Cristo atteso da generazioni è finalmente arrivato. Ecco perché nel primo versetto del Vangelo di Marco c’è tutto. Come nei grandi romanzi, dove la prima e l’ultima riga contengono i messaggi più preziosi; come nella vita, dove alla fine scopriremo che nella prima riga c’era già iscritta anche l’ultima, e non potevamo saperlo. Un inizio, un principio (un nuovo bereshit: una nuova Genesi) che ci dice che la storia che sta per iniziare è una storia particolare e diversa, è una buona notizia (evangelo), una storia bellissima che può essere capita solo da chi crede all’annuncio della sua prima riga. Una storia, sì, perché se vogliamo entrare in Marco non dobbiamo mai dimenticare che il suo Vangelo è essenzialmente una storia, un racconto, una storia meravigliosa. 17


Già dalla prima riga ci ritroviamo dentro il primo paradosso di questo racconto: entra nel mistero e nel messaggio del Vangelo chi crede nelle sue prime parole. Quella storia si apre solo a chi crede nel suo inizio. Perché la fede di Marco è sorella gemella di fiducia: per iniziare a leggere e conoscere questa storia bisogna fidarci di chi ce la racconta, occorre credere in lui, senza ancora conoscerlo. Come succede con ogni persona, che ci si apre mentre la leggiamo se le diamo fiducia, se le facciamo un’apertura di credito iniziale, solo se le crediamo quando ancora non la conosciamo. Il primo atto di ogni conoscenza è un atto di fiducia. Ciò è vero sempre, è vero in un modo essenziale e necessario con il Vangelo di Marco. Sta proprio qui il mistero del cristianesimo, e forse un mistero della vita. Chi crede ha sempre creduto. Si crede a una storia diversa, all’annuncio di una buona notizia, a un racconto che ancora non si conosce perché lo conoscevamo già e non lo sapevamo. La fede inizia in un giorno, in un’ora e in un luogo, ma a un livello più profondo c’era da sempre. Chi crede ha sempre creduto, anche se non lo sapeva. Incontriamo quella persona che ci cambierà la vita e sentiamo, prima di conoscerla, che la conoscevamo già, che era dentro di noi e non lo sapevamo: in quel momento, mentre la conosciamo la riconosciamo senza conoscerla ancora. Se questo accade a noi, almeno una volta nella vita con una moglie o un marito, qualcosa di simile e più radicale accade con la fede in Gesù Cristo: la fede è riconoscere qualcuno che non conosciamo, ma che abitava già nel fondo dell’anima. 18


Allora il Vangelo di Marco a molti racconta una storia di famiglia, una storia di casa, ci svela una oikonomia domestica. La vocazione cristiana non è faccenda psicologica, riguarda il nostro essere, è un fatto ontologico. Se un giorno leggo Marco e in quella storia sconosciuta riconosco la mia storia, allora quella storia ero io, e non lo sapevo. Forse, nel XXI secolo, se la Chiesa vuole continuare ad accogliere vocazioni, deve semplicemente creare condizioni e occasioni che consentano alle persone di leggere nuovamente i Vangeli, di incontrarsi con una storia che può diventare la loro storia. Lasciare nel passato, dopo averli ringraziati, i catechismi, i dogmi, e tornare nudi e poveri di fronte a una voce che ci racconta una storia, per scoprire che è la nostra storia. Con questa premessa, con questa promessa, entriamo, in punta di piedi e di anima, nel Vangelo di Marco. Il più antico dei Vangeli, quello più vicino ai fatti narrati, scritto da qualcuno che veniva dall’insegnamento dei primi apostoli. Si sente molto il respiro di Paolo mentre si legge Marco, che sembra l’unico evangelista che conoscesse le lettere di Paolo (precedenti di quindici o vent’anni al suo Vangelo) e la sua interpretazione di Gesù Cristo, facendole diventare una chiave di lettura potente della sua lettura di Gesù di Nazaret. Iniziamo allora con un atto di fiducia, di fede nelle parole di quell’antico scrittore, Marco. Questa prima fede-fiducia-fides è atto etico essenziale per entrare dentro il suo Vangelo e dentro la fede-fiducia che ci offre. La prima fiducia è quella che noi dobbiamo dare a Marco.

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Una nota di metodo. Per provare a entrare nella Bibbia è necessaria un’operazione etica e spirituale preliminare, forse l’unica davvero necessaria. Leggerla come fosse la prima volta, totalmente ignoranti della storia che sta per iniziare, senza conoscere già quelle parole, quegli eventi, quei miracoli. Come se non sapessimo chi è il Battista, chi sono Pietro e Andrea, Giuda, Pilato, Maria, « la donna di tutte le donne », come se non sapessimo chi è Gesù – perché, in realtà, ogni volta che riapriamo il Vangelo lo impariamo di nuovo. Tornare ignoranti e seguire Marco dalla Giudea alla Galilea e ritorno. Farci sorprendere fino alle midolla dai malati guariti, i demoni scacciati, i pani moltiplicati. Seguire Gesù e i discepoli nella stanza al piano superiore, quindi nel Getsèmani, sul Golgota, e poi recarci al sepolcro il primo giorno dopo il sabato solo per ungere il suo corpo, senza sapere nulla di quello che ci attende, perché non sappiamo davvero cosa succederà quando iniziamo la scalata di un monte. Tornare ignoranti, leggere Marco come se non lo conoscessimo. Perché, in realtà, non lo conosciamo: è stata questa la scoperta più grande quando ho iniziato a scrivere questo libro. La Bibbia si apre soltanto ai bambini, in queste letture solo la prima è buona. Capisce la fraternità chi va con Caino nei campi e non torna più; conosce la paternità chi sale con un figlio sul monte Mòria e non sa che ci sarà un ariete o un angelo; comprende la maternità chi sa stare sotto una croce e conosce solo quella croce e solo quel grido straziante. 20


La sapienza delle scritture è donata soltanto a questi piccoli e a questa ignoranza voluta e cercata. Forse anche per questo i bambini sono così importanti nei Vangeli, al punto da essere indicati come il modello del cristiano. La risurrezione risuscita soltanto chi muore veramente, senza sapere di risorgere.

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II

IL BATTISTA, UN CO-PROTAGONISTA SOTTOVALUTATO 1,2-15

Come sta scritto nel profeta Isaia: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. (1,2-6)

I

l primo personaggio della storia di Marco non è Gesù: è Giovanni, detto il Battista, cioè il battezzatore. È anche la prima sorpresa. In un libro tutto dedicato all’annuncio del Vangelo di Gesù, il primo attore non è lui. Diversamente da Luca e Matteo, e come Giovanni, Marco non ci dice nulla dell’infanzia di Gesù 1. 1 Probabilmente quella dell’infanzia non era una tradizione che Marco conosceva o, se la conosceva, non la considerava rilevante nell’economia del suo Vangelo.

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Ma se troviamo il Battista all’inizio del Vangelo di Marco (e se Giovanni lo incastona addirittura dentro il suo altissimo prologo), allora quest’uomo ha avuto un ruolo decisivo nella vita e nel Vangelo di Gesù Cristo; un Battista che era ben vivo in quelle comunità cristiane del I e del II secolo dalle quali sono emersi i Vangeli canonici e molti degli scritti apocrifi. Giovanni Battista nel Nuovo Testamento è anche una domanda e un problema che ogni Vangelo cerca di gestire sulla base delle fonti che possiede e della creatività dell’evangelista. Tutti i Vangeli canonici 2, alcuni degli apocrifi 3 e lo storico ebreo Giuseppe Flavio 4 attribuiscono al Battista un ruolo centrale nella vocazione e nella vita di Gesù, soprattutto nella fase iniziale. Per dirci subito qualcosa di estremamente importante: non è possibile capire Gesù, la sua vicenda storica, la sua dottrina, i suoi gesti, la sua comunità, il cristianesimo primitivo, senza prendere molto sul serio il Battista, nonostante sia il personaggio più sottovalutato del Nuovo Testamento, dalla teologia, dalla fede – meno dalla pietà popolare, per quel misterioso istinto di fede che solo il popolo ha. Per quasi duemila anni la tradizione lo ha considerato un personaggio un po’ bizzarro, la cui unica funzione fu quella di essere il precursore di Gesù, colui che era venuto a preLuca (3,1-2) colloca l’inizio dell’attività del Battista in un periodo storico preciso, che corrisponde a circa il 28-29 d.C. (« Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio »). 3 In particolare, ne parlano il Protovangelo di Giacomo, il Vangelo degli Ebrei, il Vangelo di Nicodemo, la Lettera di Erode a Pilato, l’Assunzione di Maria, il Vangelo di Tommaso, il Libro di Giovanni Evangelista. 4 Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche XVIII) attribuisce un grande ruolo a Giovanni, al punto che Erode temeva una rivolta nel deserto di Giuda (e per questo lo imprigiona a Macheronte e poi lo fa uccidere). 2

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parargli la strada. In realtà, il Battista fu molto, molto di più. Fu molto di più in se stesso e fu molto di più in rapporto alla storia di Gesù, delle Chiese primitive e della Chiesa. Il Battista e il suo movimento erano molto rilevanti all’inizio della vita pubblica di Gesù e probabilmente anche qualche anno prima. Marco dice che da lui venivano a battezzarsi da « tutta la regione della Giudea »; anche prendendo quel tutta come un’espressione generosa, certamente ad andare da Giovanni dovevano essere davvero in molti. Il rapporto tra Gesù e Giovanni Battista è essenziale per comprendere la nascita del cristianesimo. Secondo il Vangelo di Giovanni (non secondo i tre Vangeli sinottici), non solo Gesù proveniva dal movimento del Battista, ma anche alcuni dei primi apostoli erano discepoli di Giovanni: tra questi Pietro, Andrea e l’anonimo « discepolo che egli amava » cui Gesù affiderà sua madre (Gv 1,40-42). In un antico testo etiope (III secolo circa) si legge: « Un discepolo di Giovanni disse che il Messia era Giovanni e non Gesù » 5. Secondo il Protovangelo di Giacomo, un antico testo forse precedente Luca e Matteo, leggiamo: « Erode cercava Giovanni e mandò dei servi da Zaccaria a dirgli: “Dove hai messo tuo figlio?”. (...) Ed Erode infuriatosi disse: “È suo figlio che è destinato a regnare su Israele” » (XXXIII). Segnali che il dialogo-polemica tra i due movimenti durò ben oltre la morte dei due protagonisti. I Vangeli risolsero la querelle con la tesi di Giovanni precursore e preparatore dell’avvento del Cristo. Ma i dati che emergono dall’insieme delle fonti dicono che il rapporto tra i due movimen5

Pseudo-Clemente, I ritrovamenti 1,60 (a cura di S. Cola), Città Nuova, Roma 1993.

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ti fu più complesso e meno tranquillo. Giovanni aveva certamente una sua autonomia rispetto a Gesù e all’inizio fu Gesù a seguire Giovanni, convinto che fosse Elia tornato sulla terra a preparare l’ultima fase messianica: « È Giovanni quell’Elia che deve venire » (Mt 11,14), una tesi che Giovanni nega (Gv 1,21), perché troppo forte per la sua teologia. Sempre dal Vangelo di Giovanni sappiamo che per un periodo non breve Gesù e i suoi discepoli battezzavano in Giudea (Gv 3,22), quindi si muovevano all’interno del movimento battista. Gesù, poi, era tra coloro che battezzavano: « Dopo queste cose, Gesù andò con i suoi discepoli nella regione della Giudea, e là si tratteneva con loro e battezzava. Anche Giovanni battezzava a Ennòn » (Gv 3,22-24). Gesù allora non solo era stato uno dei tanti battezzati da Giovanni, ma era diventato lui stesso battezzatore, e per un certo tempo battezzava all’interno della cerchia del Battista. Era stato quindi un collaboratore di Giovanni, forse tra quelli che lo aiutavano nella sua missione. Il battezzare di Gesù è un dato che il Vangelo di Giovanni eredita dalla tradizione, ma è un dato molto scomodo per la sua tesi di un Gesù superiore a Giovanni e quindi poco dopo rettifica: « Sebbene non fosse Gesù in persona a battezzare, ma i suoi discepoli » (Gv 4,2); rettifiche che in realtà segnalano accese controversie su questo aspetto all’interno delle comunità cristiane, dove erano confluiti molti (non tutti) discepoli del Battista: « Di sicuro Gesù ha agito come battezzatore accanto a Giovanni per un certo periodo » 6. A. Destro - M. Pesce, Il Battista e Gesù. Due movimenti giudaici nel tempo della crisi, Carocci, Roma 2021, p. 165. Veramente, non abbiamo elementi per escludere che Gesù e i suoi continuassero a battezzare fino al termine della vita del Cristo, e an6

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Giovanni, stando anche a Giuseppe Flavio, era un personaggio carismatico della Palestina del tempo, in un periodo di grave crisi politica e spirituale. C’erano l’occupazione dei Romani e il governo di Erode Antipa, loro alleato. Un clima di fermento e di rinnovamento religioso, nel quale sorgevano diversi movimenti spirituali, influenzati dalla letteratura di carattere apocalittico molto fiorente e diffusa in quel periodo di crisi (soprattutto Daniele, il Libro di Enoch, in particolare il secondo tomo del Libro delle parabole). Un clima religioso escatologico che si ricollegava a una vena della cultura ebraica (Ezechiele per esempio) e che sottolineava il bisogno radicale di conversione perché era vicino il giudizio finale di Dio, il giorno dell’avvento dell’ultimo tempo, quello del regno di Dio, guidato da un misterioso « Figlio dell’uomo » (Dn 2,44), una figura decisiva anche nei Vangeli, essendo quella preferita da Gesù per parlare di se stesso, su cui avremo modo di tornare in seguito. Il Battista operava nelle zone desertiche tra Gerico e Qumran 7, lungo il fiume Giordano, verso la foce sul Mar Morto. La sua atche dopo. Il Vangelo di Matteo termina con il comando di Gesù risorto di « battezzare » tutti i popoli (Mt 28,19) e negli Atti degli Apostoli e in Paolo il battesimo è il rito di iniziazione dei cristiani amministrato dagli apostoli. Il fatto che i Vangeli tacciano, o siano molto reticenti sull’attività di Gesù come battezzatore, rivela il bisogno delle comunità cristiane di differenziarsi dai discepoli del Battista – e chissà se sia stata proprio la corrente battista confluita tra i cristiani a far affermare il battesimo come sacramento di iniziazione nella Chiesa?! 7 Ci sono molti elementi oltre quello geografico. L’uso dell’acqua nel battesimo, il tema della purità nel cibo e nel vestito (locuste e miele selvatico erano cibi puri (Lv 11,22), come anche i peli di cammello che, diversamente dai peli di altri animali da soma, cadono da soli dall’animale e quindi non contaminano) e alcuni punti dottrinali dell’annuncio che portano a pensare che Giovanni provenisse dall’ambiente es-

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tività di battezzatore è talmente nuova, importante e centrale da essere chiamato « il Battista ». Marco e gli altri evangelisti ce lo presentano mentre compie questo gesto. Giovanni battezza per immersione nel Giordano, per rimet­ tere-cancellare i peccati dopo che vengono pubblicamente confessati. Marco, o la fonte precedente da cui lui parte, legge il Battista all’interno della tradizione ebraica, soprattutto Isaia (anche se la sua prima citazione è multipla e comprende oltre a Isaia anche Esodo e Malachia). E così fa di Giovanni colui che prepara la strada a Cristo. « Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo ». (1,7-8)

Così ce lo presenta Marco e con alcune sfumature diverse troviamo la stessa presentazione del Battista anche negli altri Vangeli canonici e apocrifi. Ma la figura e la storia di Giovanni erano molto più complesse. seno, forse dalla stessa comunità di Qumran sul Mar Morto, quanto meno nella prima parte della sua formazione. Più complessi (per mancanza di documenti) sono gli eventuali rapporti tra gli esseni e Gesù, e in generale tra esseni e cristiani. Ci sono alcune analogie nelle rispettive dottrine, testi dell’Antico Testamento citati da entrambi, il ruolo importante in entrambi della letteratura apocalittica apocrifa. Non possiamo comunque escludere contatti e influenze, forse importanti, tra Gesù e gli esseni, tra cristiani ed esseni (forse il non essere mai citati esplicitamente nel Nuovo Testamento segnala la loro presenza intrinseca nella Chiesa?).

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Dai Vangeli, da Paolo e dagli Atti degli Apostoli veniamo però a sapere che il movimento del Battista, i suoi discepoli, restarono attivi per molti decenni. Il discepolo del Battista più noto è Apollo, di cui parla anche Paolo: « Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: Io sono di Paolo, io invece sono di Apollo, io invece di Cefa, e io di Cristo » (1Cor 1,11-12). Dagli Atti sappiamo chi era Apollo: « Arrivò a Èfeso un Giudeo, di nome Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, esperto nelle Scritture. Questi era stato istruito nella via del Signore e, con animo ispirato, parlava e insegnava con accuratezza ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni » (At 18,24-25). Negli anni di Paolo (anni Cinquanta) esistevano dunque membri delle Chiese cristiane che avevano avuto soltanto il battesimo di Giovanni. I due movimenti (quello di Gesù e quello del Battista) crebbero paralleli per molti anni e una parte dei battisti (non sappiamo l’entità) confluì tra i cristiani, pur conservando la sua identità, mai del tutto assorbita da quella cristiana. In molti passaggi dei Vangeli si parla di discussioni tra i discepoli di Gesù e quelli del Battista, che quindi dovevano essere molto vive e importanti nelle comunità dalle quali sono sorti i diversi Vangeli (in particolare quelle di Giovanni, che ha una interpretazione del Battista diversa da quella di Marco, che in parte corregge) 8. Il Vangelo di Giovanni spende i suoi primi quattro capitoli per smentire la tesi, che girava molto nelle sue Chiese, che il Battista fosse superiore a Gesù, che egli fosse il vero Messia. Sul Battista si può consultare l’importante saggio di Adriana Destro e Mauro Pesce, Il Battista e Gesù. In questo libro ci sono anche le prove documentali 8

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Quando il movimento del Battista era nel momento del suo massimo sviluppo, ecco Gesù fare la sua comparsa. Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. (1,9)

È arrivato. È sceso da Nazaret, dalla Galilea, per farsi battezzare da Giovanni. Un fatto essenziale e decisivo. Gesù non parte da casa per annunciare il suo Regno, non viene in Giudea per evangelizzare. Arriva per farsi battezzare, per ottenere, come tutti gli altri, il perdono dei peccati. Entra in scena come discepolo, lo conosciamo mentre svolge il gesto della sequela, non come maestro. Gesù entra in scena come uomo capace di seguirne un altro. Ogni magistero di profeti non-falsi inizia con la sequela. In quei giorni. Marco (come gli altri Vangeli) non sa quando Gesù si avvicinò al Battista. Né sa per quanto tempo Gesù rimase nel movimento del Battista. Forse mesi, probabilmente alcuni anni. Il Vangelo apocrifo degli Ebrei, pervenutoci per alcune citazioni dei Padri, dice che Gesù scese da Nazaret alla Giudea per farsi battezzare da Giovanni, e lo fece su consiglio della madre e dei fratelli: « Ecco che la madre del Signore e i fratelli gli dicevano: “Giovanni il Battista battezza per la remissione dei peccati: andiamo a farci battezzare da lui” » 9. delle argomentazioni che qui riporto in forma più narrativa e meno tecnica, per non appesantire troppo il racconto. 9 M. Craveri (a cura di), Vangeli apocrifi, Einaudi, Torino 2014, p. 266 (la citazione qui è di Girolamo, Contra Pelagium). Questa fonte porterebbe a ipotizzare un’ap-

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Gesù, dunque, inizia la sua storia nel movimento del Battista. Marco e gli altri evangelisti cercano, con molto impegno, di fondare nelle parole di Gesù e del Battista la loro tesi del precursore, senza però riuscire a convincerci. Le fonti, infatti, parlano di Gesù che si mette alla scuola del Battista, al punto da farsi battezzare da lui. Un battesimo difficile da spiegare partendo dalla tesi del precursore e da quella, collegata, della superiorità di Gesù su Giovanni, altra teoria molto presente e accreditata nei Vangeli. Perché il precorso si dovrebbe far battezzare dal suo precursore? E poi perché il Figlio di Dio aveva bisogno di un battesimo di penitenza e di remissione dei peccati? Domande così scomode per i Vangeli (e ancora più per noi, eredi di una teologia che ha associato Gesù all’assenza di peccati, come se questa spiegasse qualcosa d’importante su Gesù), che da sole spiegano la storicità di questi fatti, troppo scomodi per essere inseriti se non fossero stati veri. In realtà, non comprendiamo i testi evangelici sui rapporti tra il Battista e Gesù (che anche in Marco continuano per molti capitoli) senza considerare le dispute, che dovettero durare decenni se non un paio di secoli, su chi fosse veramente il più grande tra i due e chi fosse davvero il Messia. Perché tra i cristiani c’era la corrente battista e un movimento battista non cristiano continuò accanto ai cristiani per un certo tempo (Un secolo? Due? Di più se consideriamo che gli scritti apocrifi e dei Padri su queste polemiche durano per diversi secoli)? partenenza della famiglia di Gesù al « movimento » del Battista. Riguardo agli apocrifi, oggi gli studiosi convengono che sono fonti essenziali per la storia antica del cristianesimo, da prendere molto sul serio per comprendere la nascita delle Chiese e della Chiesa.

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Un fatto importante questo, soprattutto se si considera la natura del movimento del Battista, che, diversamente da quanto diventerà la comunità attorno a Gesù, era una realtà molto fluida, nomade, dove le persone venivano e andavano senza una vera e propria vita comunitaria in senso stretto. Le persone che si avvicinavano al Battista arrivavano da lui in cerca di conversione e di perdono dei peccati. Si preparavano al battesimo e una volta ricevutolo tornavano nel loro ambiente (o andavano altrove) e lì iniziavano una vita nuova. Non entravano in una nuova comunità lasciando quella precedente, ma il battesimo li liberava per spiccare un volo nuovo. Doveva essere qualcosa di simile a quanto continua ad accadere attorno a figure carismatiche, che attraggono persone in cerca di conversione e di spiritualità: queste si recano periodicamente in visita, si sentono legate affettivamente e spiritualmente al leader carismatico; ma poi, diversamente dai movimenti più strutturati, vivono la loro vita restando nelle loro case e ambienti ordinari. Un’altra analogia: Giovanni era più simile a quello che accadrà poi con gli ordini-movimenti mendicanti (francescani, domenicani), mentre la comunità di Qumran più alle esperienze monacali – Francesco d’Assisi somigliava molto a Gesù, ma somigliava anche molto al Battista. Giovanni liberava le persone e, da quanto leggiamo nelle fonti, non chiedeva alla gente di lasciare « padre, madre, fratelli, campi... », come invece accadeva per la comunità essena di Qumran e come accadrà con la comunità di Gesù (almeno per una parte di essa, quella più intima e vicina prima a Gesù e poi agli apostoli). I Vangeli canonici e gli scritti apocrifi non ci lasciano nomi di discepoli di Giovanni Battista (tranne Gesù, un discepolo comunque specia32


le all’interno dei Vangeli, l’Apollo della tradizione paolina e forse Simon mago di cui si parla negli Atti degli apostoli), pur essendo arduo se non impossibile immaginare che non ci fossero suoi collaboratori per assisterlo nel ministero lungo il Giordano o seguaci che diventavano poi dei leader-battezzatori autonomi che riportavano e sviluppavano il battesimo di Giovanni. Tra questi anche Gesù. Marco tra le sue fonti ha questi fatti dell’inizio battista di Gesù, non conosce i dettagli, ma quando scrive il Vangelo era ancora forte il dibattito su chi fosse veramente il Battista e chi fosse, per davvero, Gesù anche in rapporto al Battista. E costruisce la sua ipotesi della superiorità di Gesù su Giovanni (fatto non ovvio per molti suoi lettori) e di Giovanni come precursore inviato a preparare il sentiero del vero Messia, nuovo Elia. La strategia seguita da Marco inizia dall’epifania che segue il battesimo. E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: « Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento ». (1,10-11)

Se Gesù è « più grande » del Battista, il suo battesimo non poteva essere come quello di tutti gli altri. Doveva avvenire qualcosa di speciale, una teofania, un evento straordinario a dire la straordinarietà di quel battezzato. Una chiamata simile a quella dei grandi profeti biblici (Ezechiele o Isaia), quando il cielo si apre e la voce, inaudibile nell’ordinarietà, squarcia le nubi e raggiunge la terra. 33


Che Gesù abbia avvertito una sua vocazione diversa da quella del semplice discepolo del Battista è certo, altrimenti non avremmo il cristianesimo ma il battistanesimo. Che però questa presa di coscienza sia avvenuta al momento del battesimo è improbabile, per il semplice fatto che Gesù restò per un certo tempo col Battista e con il suo movimento. È anche possibile che il periodo trascorso nel deserto in balìa delle tentazioni di Satana e accudito dagli angeli e dagli animali, fosse una pratica legata al processo battesimale, quindi non esclusiva di Gesù ma comune ai discepoli del Battista, quantomeno a una parte di loro 10: E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. (1,12-13)

Marco però qui ci dice subito qualcosa di importante che illumina l’ambiente scarno degli inizi della vita adulta di Gesù. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e diceva: « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo ». (1,14-15) È molto bello lo stare con le « bestie selvatiche » di Gesù, una sorta di ritorno allo stato dell’Eden, quando il rapporto con gli animali era improntato alla fraternità cosmica; un Eden che è anche vocazione e destino (eskaton): « Il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà » (Isaia 11,6). Come a dire che il dato di fatto della sottomissione degli animali selvatici all’imperio dell’Adam fosse, anche questo, frutto del peccato, e quindi una volta che il battesimo ha cancellato i peccati, gli animali selvatici tornano amici dell’uomo, e così sarà alla fine dei tempi, quando l’armonia sarà armonia cosmica, inclusi animali, piante e tutta la creazione. 10

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Forse Gesù in una prima fase condivise anche la vita nel deserto. In Marco leggiamo un dettaglio importante: Gesù lascia la comunità del Battista lungo il Giordano e torna in Galilea « dopo che Giovanni fu arrestato » (1,14). L’arresto, per mano di Erode Antipa, la cui storicità è testimoniata anche dallo storico ebreo-romano Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche XVIII) che al Battista dedica un ampio spazio (molto maggiore di quello che dedica a Gesù), rappresentò un momento di svolta nel rapporto tra Gesù e Giovanni, e quindi nella vocazione personale di Gesù 11. Un episodio che ci offre uno spunto per un excursus – ne faremo ogni tanto durante il nostro commento. Ci sono esperienze carismatiche che nascono da una persona (o da più persone) che genera una comunità ex novo, senza provenire da un’altra comunità madre. Ma non è raro, anzi è molto frequente nella storia, che nella genesi di una vocazione ci sia un discepolato, che il futuro fondatore si formi alla scuola di un altro carisma, in una sequela che può durare anche molto tempo: è difficile diventare buone guide senza aver prima imparato a seguire qualcuno. All’inizio, la persona è sinceramente convinta che la comunità dove ha incardinato la propria vocazione sia la comunità nella quale resterà per sempre. Non vi entra come una comunità transitoria, perché le autentiche vocazioni sono un eterno presente, Il Vangelo di Giovanni dà un’altra spiegazione del ritorno in Galilea di Gesù, ma anche questa legata al rapporto con Giovanni: « Gesù venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: “Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni”. (...) lasciò allora la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea » (4,1-3). 11

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un presente dove non c’è posto per nulla che non sia per sempre. Le vocazioni vivono in principio dentro un’innocenza donata, che le fa tornare davvero bambini spirituali, senza passato né futuro. La persona si riconosce perfettamente in quel carisma e in quell’ideale, sente una consonanza spirituale ontologica molto profonda. Non si sente ospite, ma uno di casa. È lì che inizia la sua vita spirituale, lì apprende l’abbecedario della vita comunitaria, impara la grammatica della voce. E se una vocazione vera è nata dentro una data comunità, questa non sarà mai soltanto un passaggio funzionale o tattico: nella comunità futura ci saranno sempre tracce del primo carisma, e quella sarà, oggettivamente, una sua gemmazione con molti cromosomi carismatici in comune, anche quando la persona soggettivamente non ne è pienamente consapevole o persino lo nega (o lo negano i suoi discepoli, come nel caso di Giovanni) 12. Un esempio. Anjezë entra da giovane nelle suore di Loreto in Albania. Lì prende il nome di Teresa. Vi resta per diciotto anni, fin quando, come lei racconta, il 10 settembre del 1946, in un polveroso treno, « aprii gli occhi sulla sofferenza e capii a fondo l’essenza della mia vocazione ». In quel momento Teresa capisce l’essenza della sua vocazione, penetra più in profondità, fino a toccare l’essenza di quello che aveva vissuto fino ad allora. Nel 1950 fondò la congregazione delle Missionarie della Carità. Teresa non cambia di nuovo nome, il nome resta quello della prima vocazione. Come Silvia Lubich che non torna Silvia e resta Chiara, il nome che aveva preso entrando nel Terz’Ordine francescano di Trento, anche quando dopo alcuni anni capisce l’essenza della sua vocazione e dà vita alla sua propria comunità. L’essenza non vuole un terzo nome, le basta il secondo, qualche volta basta anche il primo. Ma anche se Teresa lascia le suore di Loreto per fondare qualcosa più conforme alla sua essenza, nelle Missionarie della Carità ci sono le tracce delle suore di Loreto. Lì aveva conosciuto l’India, se ne era innamorata, lì aveva sentito il comando interiore a spendere la vita per i poveri di quel Paese, lì aveva detto il suo sì, lì aveva imparato l’arte della sequela della voce. 12

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Se nella teofania del battesimo di Gesù c’è una traccia di qualcosa di storico (ed è probabile), è più facile che quello sia stato il momento della manifestazione della prima vocazione di Gesù (non della seconda). L’analogia tra i movimenti di Giovanni e di Gesù ci suggerisce che l’uscita di scena della persona che impersonava il primo carisma può diventare il punto di svolta. Ci si ritrova nella condizione oggettiva di poter spiccare il proprio volo, senza il timore (a volte molto grande) di deludere colui/colei che tanto amiamo e che tanto ci ama. Se la persona ha dei grandi talenti spirituali (spesso è così), su di lei la prima comunità riversa dei progetti, delle aspettative, delle speranze, che quando coincidono con i progetti, aspettative e speranze del fondatore possono diventare, senza volerlo, dei lacci che bloccano il volo, che la personalità e i sentimenti della persona possono rendere molto robusti (ci sono persone che soffrono molto nel deludere le aspettative di chi amano e stimano). È la condizione oggettiva di assenza della personachiave nella prima comunità a creare lo spazio necessario per la nuova fioritura 13. All’inizio, la novità del carisma convive con il primo carisma e vi sono ampie zone di sovrapposizione. Sono queste similitudini iniziali che attirano le critiche dei vecchi compagni di comuVa poi notato che, stando a Marco, il primo messaggio di Gesù è perfettamente in linea con l’insegnamento di Giovanni Battista: conversione e annuncio dell’avvento di un nuovo Regno. Non sono poche le parole e i messaggi di Gesù ripresi da Giovanni o comunque molto simili (la visione escatologica del giudizio imminente, la conversione, la vita nomade, l’etica e la giustizia, la tunica e il mantello, predicare gridando...); come non sono poche le novità (abbigliamento, digiuno, vita urbana e non nel deserto, la preghiera e molto altro). 13

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nità, che non di rado accusano la nuova comunità di copiare, imitare, addirittura manipolare e plagiare il vecchio carisma. In realtà non è altro che la normale logica carismatica (chissà se non fossero anche queste le critiche dei discepoli di Giovanni?!). Questi carismi di seconda vocazione nascono così. Ci vuole tempo perché l’area di intersezione si riduca, senza mai sparire. La similitudine la vedono soprattutto gli altri, molto meno la persona coinvolta, che tende a vedere in particolare (o soltanto) le novità, nascoste all’inizio in piccoli dettagli identitari che sfuggono invece ai più. Ma la morte del Battista ci può suggerire ancora qualcos’altro. È un dato di fatto che la morte o l’uscita di scena del fondatore produce un gran numero di persone (se rapportato a prima) che lasciano la comunità originaria. E lo fanno per diverse ragioni, molte legate allo spazio creato dall’assenza. Ma tra questi che lasciano ci possono essere anche dei Gesù, che lasciano il Battista per fondare una nuova stupenda avventura collettiva, fosse anche soltanto una famiglia. Dopo qualche decennio, del movimento del Battista si sono perse le tracce. Ma l’aver generato un Gesù l’ha resa la comunità più feconda della storia. La qualità di una comunità non è misurata dalla sua durata né, soltanto, dalla qualità media delle sue persone. Il primo indicatore è mettere Gesù nella condizione di seguire la propria essenza 14. 14 Troppe comunità nate nel secolo scorso fanno molta fatica e rischiano l’estinzione oggi perché sono cresciute come tronco unico senza rami e/o senza generare altri alberi. Quando hanno intravisto una bella anima, troppo forte è stata la tentazione di metterla a reddito per lo sviluppo della comunità. Esigenza troppo importante e urgente, soprattutto nelle prime fasi di una comunità carismatica. E così i talenti più

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Giovanni lo incontreremo ancora nello sviluppo del racconto di Marco e avremo modo di conoscerlo sempre meglio. Seguiamo ora Gesù nel suo ritorno in Galilea, nella sua vita a Cafarnao – un nome che è un messaggio.

grandi arrivati sono stati orientati alle esigenze organizzative e istituzionali del movimento, tutta la loro creatività indirizzata sugli obiettivi definiti dettagliatamente dal fondatore. Mentre questa operazione è inevitabile nella prima generazione, se continua anche nella seconda le comunità diventano tronchi isolati, che perdono progressivamente le foglie, i fiori e i frutti. Solo un bosco carismatico domani può salvare il primo albero di oggi. Ma il bosco, fuor di metafora, non si forma senza una « politica del personale » che consenta a Gesù di fiorire fuori dal movimento del Battista, anche perché è raro che i fondatori operino solo tre-quattro anni (come fu per Giovanni). Il nome di questa politica è « castità comunitaria », quella che consente di vedere arrivare una persona bella, nutrirla finché è con noi e poi lasciarla andare.

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Indice

Premessa I. In principio... (1,1) II. Il Battista, un co-protagonista sottovalutato (1,2-15) III. Ritorno a Cafarnao (1,16-45) IV. Un maestro sovversivo (2,1 - 3,6) V. Le diverse famiglie di Gesù (3,7-35) VI. Homo narrans (4,1-41) VII. Amante della vita (5,1-43) VIII. Profeta e carpentiere (6,1-29) IX. L’arameo errante che sfama e guarisce (6,30-56) X. Il Figlio dell’uomo impara e cambia (7,1-37)

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XI. Un profeta con segni particolari (8,1-38) XII. Il Tabor non basta (9,1-50) XIII. Ritorno in Giudea (10,1-52) XIV. Gerusalemme, finalmente (11,1 - 13,37) XV. Ecce homo (14,1-72) XVI. Il Maestro crocifisso (15,1-37) XVII. Risurrezione (15,38 - 16,20) Ringraziamenti

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Luigino Bruni (Ascoli Piceno, 1966), economista e storico del pensiero economico con un particolare profilo d’interesse per l’Economia civile, sociale e di comunione, si è da sempre interessato anche di filosofia. È Ordinario in Economia Politica e Coordinatore del Dottorato in Scienze dell’Economia Civile presso l’Università Lumsa di Roma. È Consultore del Dicastero per i Laici e editorialista di Avvenire. È cofondatore della Scuola di Economia Civile con sede a Figline e Incisa Valdarno (FI). Ha scritto numerosi articoli e testi di economia e di commento a libri biblici.

In copertina: © LUMIKK555/Shutterstock €

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o visto arrivare Gesù lungo il fiume Giordano, lì battezzarsi e diventare discepolo del Battista. Gli ho fatto delle domande su cosa ha appreso da Giovanni, fin quando restò nel suo movimento e perché lo lasciò per tornare in Galilea. Domande spesso rimaste senza risposta. Poi l’ho seguito nella sua vita e infine l’ho accompagnato, nuovo cireneo, nel suo ultimo folle volo. Sapevo che la storia di Marco era una storia meravigliosa. Rileggendola e studiandola ho però sentito che pagina dopo pagina quella storia era anche la mia, molto più e diversamente da quanto pensassi prima di iniziare a scrivere.

ISBN 978-88-315-5441-1


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