Non dimenticate l'ospitalità. Antologia dai Padri della Chiesa - Estratto

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Economica dello spirito



« NON DIMENTICATE L’OSPITALITÀ » Antologia dai Padri della Chiesa a cura di Lisa Cremaschi


PAOLINE Editoriale Libri © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2022 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it • www.paolinestore.it edlibri.mi@paoline.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI)


SIGLE

CCSL Corpus christianorum. Series latina, Brepols, Turnhout 1954 ss. CSEL Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum, De Gruyter, Wien 1866 ss. DS Dictionnaire de spiritualité, ascétique et mystique, doctrine et histoire, Beauchesne, Paris 1937-1995. GCS Die Griechischen christlichen Schriftsteller, De Gruyter, Leipzig-Berlin 1897 ss. PG Patrologiae cursus completus. Series graeca, J.-P. Migne (ed.), Paris-Turnhout, 1857-1866. Patrologiae cursus completus. Series latina, J.-P. MiPL gne (ed.), Paris-Turnhout 1844-1864. PLS Patrologiae latinae Supplementum, a cura di A. Hamman, Paris 1957-1971. Sources chrétiennes, Cerf, Paris 1942 ss. SC

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INTRODUZIONE

Da nemico a ospite Si riuscirà a capire quale conquista rappresenta l’ospitalità se si ricorderà quel sorprendente fatto linguistico, riscontrabile in numerose lingue, per il quale la stessa radice designa sia il nemico sia l’ospite. Ciò mostra come alla base di queste due categorie vi sia questa realtà ancora indifferenziata che è lo straniero. Tale figura, cioè colui che non appartiene al clan, alla razza, all’unità biologica o sociologica, può essere considerata in due modi: come nemico o come ospite. E si può dire che la civiltà ha compiuto un grande passo quando ha considerato ospite lo straniero, cioè il giorno in cui la comunità umana è stata creata. Fino a quel momento dominava il principio già noto al commediografo latino Plauto e reso celebre dal filosofo Thomas Hobbes secondo cui « homo homini lupus » (letteralmente: « l’uomo è un lupo per l’uomo »). Tuttavia, il giorno in cui nello straniero si è riconosciuto un ospite e lo si è con ciò rivestito di una dignità singolare invece di considerarlo votato all’esecrazione, in quel giorno si può ben dire che qualcosa nel mondo è cambiato1. In latino hospes, ospite, è apparentato etimologicamente con hostis, straniero e perciò nemico2. In greco xénos 1 Cfr. J. Daniélou, Pour une théologie de l’hospitalité, in La vie spirituelle 367 (1951) 340. 2 « In estrema sintesi, hostis e hospes sono due “falsi amici” che rappresentano di fatto due visioni del mondo e della vita! L’hospes (“colui che riceve l’altro”) nel ricevere l’altro lo mette al suo stesso livello, gli dà una parte del

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indica lo straniero ma anche l’ospite3. Le affermazioni di Jean Daniélou sopra citate vengono richiamate spesso quando si parla di ospitalità, ma forse laddove afferma che « la civiltà ha fatto un passo decisivo, il passo decisivo, il giorno in cui lo straniero da nemico è divenuto ospite », potremmo obiettare che questo passo non è mai stato compiuto una volta per tutte4. L’altro, il diverso, colui che si avvicina alla nostra terra è visto come una minaccia; è una presenza che incute timore, che ha sempre fatto paura. L’accoglienza non è istintiva, non è naturale. Molti cristiasuo potere di “despota”. L’hostis, al contrario, rappresenta il mondo dell’ostilità dove l’altro è “nemico”, reale o potenziale, per cui è necessario proteggersi in un “giardino chiuso” (giardino-hortus), delimitato da una frontiera, chiuso da un muro, sorvegliato da guardiani armati » (C. Monge, Una semantica dell’ospitalità, in Teologia dell’ospitalità, a cura di M. Dal Corso, Queriniana, Brescia 2019, p. 33). 3 Su questo termine si veda G. Stählin, s.v. « xénos, xenía, xenízo, xenodokéo, philoxenía, philóxenos », in Grande lessico del Nuovo Testamento, VIII, a cu­­ra di G. Kittel e G. Friedrich (ed. italiana a cura di F. Montagnini, G. Scarpat e O. Soffritti), Paideia, Brescia 1972, coll. 6-102. 4 « Xénos è anzitutto lo straniero. Lo straniero e l’ambiente in cui egli vive stanno in tensione reciproca; lo straniero in quanto uomo di altra origine, di natura diversa e impenetrabile, fa l’impressione d’un essere strano e misterioso che incute paura. Ma anche l’ambiente, per lui strano e diverso, suscita nello straniero l’impressione di un’estraneità opprimente e minacciosa. Così sorge un timore vicendevole, dovuto soprattutto ai poteri magici attribuiti all’estraneità. Questo è il sentimento primordiale legato al concetto di xénos nella remota antichità classica e in altre forme di cultura. D’altra parte, xénos è l’amico preso nel bel rapporto reciproco dell’ospitalità... Questo contrasto, così peculiare nel concetto di xénos, si risolve, se considerato più da vicino, con lo sviluppo storico della civiltà » (G. Stählin, s.v. « xénos », in Grande lessico, coll. 10-11). Nel mondo greco antico poco per volta si giunge a ritenere che l’ospite si trovi sotto la protezione di Zeus, e dunque sia sacro; a Roma il passaggio da “nemico” (hostis) a “ospite” (hospes) avvenne più lentamente per influsso della filosofia greca: cfr. F. Gioia, L’accoglienza dello straniero nel mondo antico, Borla, Roma 1986; Id., Pellegrini e forestieri nel mondo antico: Egitto, Mesopotamia, Grecia, Roma, Israele e cristianesimo primitivo, Borla, Milano 1998.

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ni ancora oggi vedono solo un hostis, un nemico, in chi giunge nelle nostre terre in cerca di cibo, di casa, di possibilità di vita, sfuggendo alla miseria, alla violenza, spesso alla persecuzione. Anche in questo campo i cristiani sono chiamati a convertirsi; la xenophobía, la paura dello straniero, può convertirsi in philoxenía, ospitalità, amore per lo straniero. In questo cammino, non sempre facile, può essere utile volgerci indietro, guardare alla Chiesa primitiva e chiederci in che modo abbia vissuto o, quanto meno, abbia cercato di vivere la pratica dell’ospitalità verso il povero, il malato, lo schiavo, lo straniero, il barbaro, come lo definiva il mondo greco5. I fondamenti biblici dell’ospitalità La Bibbia6 fonda la legislazione sull’accoglienza dello straniero sulla memoria dell’esperienza che il popolo di Israele ha vissuto in Egitto. JHWH si rivela come il Liberatore, come colui che riscatta il suo popolo dall’oppressio5 Commentando le affermazioni del sociologo Georg Simmel, Francesco Piantoni scrive: « Il barbaro era considerato come una negatività assoluta, con la quale nulla bisogna spartire. Tra uomini e barbari non c’era niente in comune. Addirittura per Aristotele il barbaro era schiavo per natura... era qualcosa di totalmente estraneo all’uomo, una “non relazione” che svuotava individui della loro umanità per farli diventare qualcosa di assolutamente generico e di tipico. Per i greci non si trattava nemmeno di stranieri: la loro natura mostruosa, rozza, crudele e codarda li rendeva addirittura una specie differente di uomini. “Barbaro” era così propriamente il non umano » (F. Piantoni, Per un’etica dell’ospitalità, Qiqajon, Magnano 2017, pp. 24-25). 6 Poiché questa antologia concerne unicamente l’epoca patristica, mi limito ad accennare rapidamente ai fondamenti biblici della pratica dell’ospitalità e rinvio per un approfondimento del tema, oltre che alla voce già citata di Georg Stählin, a C. Monge, Stranieri con Dio. L’ospitalità nelle tradizioni dei tre monoteismi abramitici, Ed. Terra Santa, Milano 2013 e a L. Manicardi, Accogliere lo straniero. Per una cultura dell’ospitalità, Qiqajon, Magnano 2002.

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ne egiziana e lo conduce verso una terra dove scorrono latte e miele (cfr. Es 3,8.17). Memore delle sofferenze patite in Egitto, in terra straniera, il popolo di Israele proteggerà lo straniero immigrato in quella terra che ha ricevuto in dono e che non gli appartiene. JHWH gli ricorda che egli è ospite in una terra non sua: « La terra è mia e voi siete stranieri e ospiti presso di me » (Lv 25,23)7. Sono numerosi i testi in cui l’israelita riconosce questa sua condizione di straniero e di ospite. L’orante del Salmo 38(39) supplica il Signore di ascoltarlo e di porgere l’orecchio al suo grido, perché, dice, « presso di te io sono forestiero, ospite come tutti i miei padri » (Sal 38[39],13). Davide rende grazie al Signore riconoscendo: « Tutto proviene da te: noi, dopo averlo ricevuto dalla tua mano, te l’abbiamo ridato. Noi siamo forestieri davanti a te e ospiti come tutti i nostri padri » (1Cr 29,14-15). Ospitato in una terra non sua, il popolo di Israele praticherà l’ospitalità8. L’immigrato, lo straniero è 7 La Bibbia ebraica usa diversi vocaboli per definire lo straniero; il termine gher indica l’immigrato che, costretto ad abbandonare la propria terra, intende stabilirsi in un Paese straniero, mentre tôshav designa piuttosto il residente che non gode di pieni diritti. Spesso i due termini sono accostati a formare un’endiadi « in cui il termine gher indica i rapporti dell’emigranteresidente con la comunità religioso-cultuale di Israele, mentre con tôshav si vorrebbe indicare la stessa persona, all’interno della comunità d’Israele, ma nel suo status economico e sociale »: I. Cardellini, Stranieri e “immigrati residenti” in una sintesi di teologia storico-biblica, in Rivista Biblica italiana 40,2 (1992) 129-181, qui 151-152. La LXX traduce il termine gher con xénos, prosélytos, pároikos, mentre parapédemos indica i residenti provvisori. 8 « Le misure che normano il comportamento dei figli di Israele nei confronti degli immigrati sono scaglionate nei tre principali complessi legislativi veterotestamentari: il Codice dell’Alleanza (Es 20,22-23,33), il Deuteronomio, il Codice di santità (Lv 17-26). Attraverso di essi, successivi anche cronologicamente, si nota un’evoluzione della posizione del gher nella società israelitica: il Codice dell’Alleanza pone questo straniero che risiede all’interno di Israele sotto la protezione di JHWH; il Deuteronomio, accostandolo alle

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sradicato dalla propria terra, dalla propria gente e dunque esposto a ogni forma di sopruso; la Legge, tuttavia, lo protegge: « Non opprimerai lo straniero: anche voi conoscete la vita dello straniero perché siete stati stranieri in terra d’Egitto » (Es 23,9; cfr. anche Es 22,20). Il Dio che ha ascoltato il grido e i lamenti del suo popolo (cfr. Es 2,24) ascolta il grido di ogni essere umano oppresso; il Dio che ha liberato Israele dall’Egitto vuole la liberazione di ogni essere umano soggiogato da qualunque forma di schiavitù. Prendere le difese del povero, dello straniero, accoglierlo nel proprio cuore e nella propria casa è confessare la propria fede in JHWH, il Liberatore; negare l’accoglienza o addirittura sfruttare l’altro solo perché non c’è nessuno che ne prenda le difese è apostatare dalla propria fede in JHWH, e dunque adorare altri dèi. È significativo che le norme relative all’accoglienza e all’amore per lo straniero in Levitico 19,34 si concludano con la formula « Io sono il Signore, vostro Dio ». Il Deuteronomio chiede non solo di non maltrattare il forestiero, ma di amarlo così come Dio lo ama: « Il Signore, vostro Dio... non usa parzialità e non accetta regali, rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate il forestiero perché anche voi foste forestieri nella terra d’Egitto » (Dt 10,17-19)9. L’amore si traduce in atti concreti: occorre aver cura che l’immigrato abbia il necessario per vivere, di che mangiare e di che vestirsi. Si deve amare lo straniero quanto si ama la propria vita: « Il forestiero che dimora fra voi lo tratterete come figure dell’orfano e della vedova, gli accorda un trattamento e una protezione speciali; il Codice di santità lo rende praticamente membro della comunità dei figli di Israele » (L. Manicardi, Accogliere lo straniero, p. 13). 9 La stessa maledizione minacciata a chi lede il diritto dell’orfano e della vedova è indirizzata a chi lede il diritto del forestiero (cfr. Dt 27,19).

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colui che è nato fra voi: tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste stranieri in terra d’Egitto » (Lv 19,34). Quest’amore a imitazione dell’amore di Dio si estende fino al nemico, all’egiziano, il nemico per eccellenza: « Non avrai in abominio l’edomita, perché è tuo fratello. Non avrai in abominio l’egiziano, perché sei stato forestiero nella sua terra. I figli che nasceranno da loro alla terza generazione potranno entrare nella comunità del Signore » (Dt 23,8-9). Ma, nello stesso tempo, non si esige dallo straniero l’osservanza delle norme di purità che vengono richieste a Israele; se al figlio di Israele è vietato nutrirsi di una bestia morta di morte naturale, questo divieto non vale per lo straniero (cfr. Dt 14,21). C’è una diversità che deve essere rispettata. Oltre alla legislazione sullo straniero, l’Antico Testamento offre il modello di uomini e donne ospitali. L’archetipo dell’uomo che si apre all’accoglienza dell’altro è Abramo, che appare fin dall’inizio come sradicato dalla terra d’origine, chiamato a lasciare il suo Paese, la sua famiglia, la casa di suo padre per diventare straniero e pellegrino (cfr. Gen 12,1). « Partì senza sapere dove andava », dirà di lui la Lettera agli Ebrei (11,8). Lo statuto del credente è dato dalla precarietà, dall’erranza in una terra non sua. Della terra che il Signore gli ha promesso in dono Abramo in realtà possederà soltanto la grotta di Macpela, in cui è sepolta Sara, piccola anticipazione di un dono il cui compimento è rinviato a tempi futuri (cfr. Gen 23,7-20). Dice la Lettera agli Ebrei a proposito dei padri di Israele: « Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra » (Eb 11,13). Abramo, straniero, ospite in una terra straniera, ospita i tre viandanti che nel corso del loro viaggio passano nei pressi della sua tenda. Sempre la Lettera agli Ebrei esor12


ta i cristiani all’ospitalità ricordando l’esempio di Abramo: « Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, senza saperlo hanno ospitato angeli » (Eb 13,2). Il racconto della philoxenía di Abramo – secondo il nome dato a quest’episodio dall’iconografia orientale – viene ampiamente commentato nella tradizione cristiana sia orientale sia occidentale; talora è oggetto di un commento esegetico, talaltra di un’interpretazione cristologica che vede nei tre uomini apparsi ad Abramo la manifestazione di Cristo insieme a due angeli10; altre volte, infine, di un’interpretazione trinitaria che vede nei tre angeli la manifestazione delle tre persone della Trinità11. Anche Lot, « nipote di Abramo, a lui familiare non solo per il sangue ma anche per la virtù a motivo del suo senso di ospitalità », come lo definisce Ambrogio12, accoglie i due angeli nella propria casa e li protegge dagli abitanti di Sodoma (cfr. Gen 19,1-29). Ci sono poi alcune figure femminili: la vedova di Sarepta che, nonostante sia ridotta in miseria, accoglie il profeta Elia e prepara per lui una focaccia con l’ultima quantità di farina che possiede (cfr. 1Re 17,8-16); e Raab, la prostituta che accoglie e nasconde in casa sua gli ebrei inviati a esplorare la città di Gerico (cfr. Gs 2,1-21; 6,17). Di lei scrive la Lettera agli Ebrei 11,31: « Per fede, Raab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto con benevolenza gli esploratori » e la Lettera di Gia10 Cfr. Giustino, Dialogo con Trifone 55-59; Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi 42; Giovanni di Damasco, Discorsi apologetici 3,67, che riporta l’interpretazione di Eusebio di Cesarea. Tra i latini Tertulliano (Contro Prassea 14,2; Contro Marcione 3,9,6; La carne di Cristo 6,7), Ireneo di Lione (Contro le eresie 3,6,1), Ilario di Poitiers (La Trinità 4,25.27-29). 11 Vedi infra, p. 62,1. 12 Ambrogio di Milano, I doveri 2,21,105, a cura di G. Banterle, Città Nuova, Milano - Roma 1997 (Opera omnia di Sant’Ambrogio di Milano 13), p. 242; cfr. Id., Abramo 1,35.

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como: « Raab, la prostituta, non fu forse giustificata per le opere, perché aveva dato ospitalità agli esploratori e li aveva fatti ripartire per un’altra strada? » (Gc 2,25). Giobbe difendendo la sua condotta davanti a Dio ricorda anche l’ospitalità da lui esercitata nei confronti dello straniero (cfr. Gb 31,32) e Tobia racconta come destinava una parte dei suoi proventi « agli orfani, le vedove e i forestieri » (Tb 1,8). Tra gli stranieri accolti nel popolo di Israe­ le non si può non ricordare Rut che, per amore, segue la suocera Noemi: « Dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio » (Rt 1,16) e, insieme a Raab, entrerà a far parte della genealogia di Gesù nel racconto secondo Matteo (cfr. Mt 1,5). Nelle Scritture cristiane straniero è Gesù stesso; l’inno cristologico della Lettera ai Filippesi afferma che « svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini » (Fil 2,7). Lo svuotamento, la kénosi, è l’accogliere la condizione di straniero su questa terra per incontrare gli uomini stranieri sulla terra (cfr. Sal 118[119],19). A Gesù, secondo il racconto di Luca, è negata l’accoglienza fin dalla nascita: « non c’era posto per loro nell’albergo » (Lc 2,7); ha chiesto un bicchiere d’acqua per dissetare la sua sete (cfr. Gv 4,7) prima di invitare i suoi discepoli a compiere il medesimo gesto (cfr. Mt 10,42); non aveva posto dove posare il capo in questo mondo (cfr. Mt 8,20). Vive in una comunità itinerante per le strade della Palestina e, a volte, incontra il rifiuto (cfr. Lc 9,53); altre volte è accolto (cfr. Mc 1,29-31; Lc 10,38-42; 19,5-9 ecc.); non rifiuta l’invito di ricchi e di peccatori (cfr. Mt 9,10-11; Lc 14,1). Il quarto Vangelo è attraversato dalla domanda: “Da dove viene Gesù?”; Gesù appare come lo straniero di cui non si conosce l’origine; si pensa di sapere da dove venga (cfr. Gv 1,46; 7,41); in verità, « Venne fra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto » (Gv 1,11). 14


Eppure Gesù, inviato dal Padre, dichiara: « Chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato » (Mt 10,40), e non si identifica soltanto con i suoi discepoli, ma con ogni uomo bisognoso, affamato, assetato, straniero (cfr. Mt 25,31-46). Per il cristiano l’accoglienza del povero, del bisognoso, dello straniero non è soltanto un problema etico, ma contiene valenze cristologiche e teologiche. Ai suoi discepoli Gesù insegna a vivere di accoglienza (cfr. Mc 6,7-11; Mt 10,11) e a praticare l’accoglienza, anche se incontreranno difficoltà a far capire che in Cristo « non c’è più giudeo né greco » (Gal 3,28). Pietro dovrà giustificarsi del fatto di essere entrato in casa di uno straniero13 (cfr. At 10,28; 11,1-18). Paolo nelle sue Lettere ricorda più volte l’ospitalità che ha ricevuto ed esorta a essere « premurosi nel­ l’ospitalità (philoxenía) » (Rm 12,13) associandola alla philadelphía, cioè all’amore per i fratelli (Rm 12,10)14, un amore che si dilata fino al nemico (cfr. Rm 12,10-20). Nelle Lettere pastorali si ricorda che è anzitutto il vescovo che deve essere ospitale (cfr. 1Tm 3,2; Tt 1,7-8). I cristiani, del resto, sono figli di Abramo, come lui stranieri e pellegrini (cfr. Eb 11,13; 1Pt 1,1; 2,11), non hanno « una città stabile » su questa terra, ma sono in cerca di quella futura (cfr. Eb 13,14). Riconoscersi stranieri e amare lo straniero Molti Padri della Chiesa hanno sperimentato sulla loro pelle l’essere stranieri; sono stati esiliati dalla loro terra d’origine, come Atanasio di Alessandria, più volte condannato all’esilio, o Ilario di Poitiers, esiliato in Oriente; Mar13

stirpe. 14

Il termine qui usato in greco è allóphylos, cioè appartenente a un’altra Cfr. anche Eb 13,1-2.

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« NON DIMENTICATE L’OSPITALITÀ » Testi


La presente antologia raccoglie i testi più significativi sul tema dell’accoglienza dello straniero nella Chiesa antica. Va segnalato che spesso questo tema si sovrappone a quello dell’accoglienza del povero e, dunque, anche al problema dell’iniqua spartizione delle ricchezze. Oltre agli autori cristiani, abbiamo riportato anche un breve passo di un autore pagano – o meglio, convertitosi dal cristianesimo al paganesimo –, Giuliano l’Apostata, nel quale i pagani vengono invitati a imitare i cristiani imparando da loro ad accogliere i poveri e gli stranieri. Un cristiano, invece, Commodiano, ricorda come i Goti, pagani, abbiano saputo accogliere fraternamente i cristiani. Tutte le citazioni e le allusioni bibliche sono da riferirsi alla versione dei LXX e a quella della Vulgata, talora divergenti dal testo ebraico. Per comodità del lettore, tuttavia, nella numerazione dei salmi abbiamo indicato sia quella ebraica sia quella dei LXX e della Vulgata. Tutti i testi sono stati tradotti nuovamente anche se di essi già esistono traduzioni italiane.


Parte prima L’ORIENTE GRECO



DIDACHÈ

Antico testo cristiano di contenuto disciplinare e liturgico, databile tra la fine del I secolo e l’inizio del II. Tra le molte ipotesi sull’area di origine prevale quella che lo vede nascere in ambiente siriaco. Nei passi qui riportati si mette in guardia da una carità ingenua e sprovveduta; severo è il giudizio per chi riceve senza averne realmente bisogno. Nella sezione comprendente i capitoli dall’11 al 13, la Didachè tratta dell’accoglienza degli apostoli-maestri e dei profeti che passavano da una comunità all’altra per portare e consolidare l’annuncio evangelico e, successivamente, dell’accoglienza di ogni semplice fratello nella fede, e si preoccupa di mettere in guardia da chi si fa passare per profeta o apostolo-maestro e sfrutta la comunità cristiana, abusando della generosità dei fratelli. All’interno del discorso di invio in missione Gesù ordina ai discepoli di non procurarsi oro né argento né denaro né altra cosa « perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento » (Mt 10,10); l’apostolo Paolo dirà di non essersi avvalso del diritto, che pure aveva, di essere mantenuto dalla comunità in cambio delle sue fatiche nella predicazione del Vangelo (cfr. 1Cor 9,318). La questione che si pone nella Didachè è quella di discernere i veri dai falsi profeti, i veri dai falsi maestri e il criterio dato è molto chiaro: « Non è profeta, tuttavia, chiunque parli nello spirito, ma se ha il modo di comportarsi del Signore. Dal loro modo di comportarsi si riconosceranno il falso profeta e il profeta ». Il fratello nella fede non si sottrae al lavoro; se abusa dell’ospitalità, rivela di non essere un cristiano ma di essere uno che « traffica con Cristo ». 45


Sudi la tua elemosina nelle tue mani A chiunque ti chiede da’, e non richiedere, perché il Padre vuole che si dia a tutti dei suoi doni. Beato chi dà secondo il comandamento1, perché è senza colpa. Guai a chi prende; se uno prende perché ha bisogno, è senza colpa, ma se non ha bisogno, dovrà rendere conto del motivo e del fine per cui ha preso. Messo in prigione, sarà esaminato su quello che ha fatto e non uscirà di là finché non avrà pagato fino all’ultimo spicciolo a. Per questo è stato detto: « Sudi la tua elemosina nelle tue mani, finché tu non sappia a chi dai »2. Didachè 1,5-6 Non cristiani, ma trafficanti di Cristo Chi viene per insegnarvi tutte queste cose dette prima3, accoglietelo. Ma se chi insegna, fuorviato, trasmette un insegnamento diverso per demolire, non prestategli ascolto. Se invece insegna per accrescere la giustizia e la conoscenza del Signore, accoglietelo come il Signore stesso. Riguardo agli apostoli e ai profeti, comportatevi secondo la norma del Vangelo: ogni apostolo che a

Mt 5,26; Lc 12,59.

Non è chiaro a quale comandamento si faccia riferimento. Forse si fa allusione a Sir 12,1: « Se fai il bene, sappi a chi lo fai; così avrai una ricompensa per i tuoi benefici ». Il passo è citato, senza indicazione della fonte, da Agostino nelle Esposizioni sui salmi 102,12; 146,17, e in vari altri autori cristiani. 3 Nei capitoli precedenti la Didachè ha presentato la dottrina giudaica delle due vie (cfr., ad es., Dt 30,15-20) e, in una sezione liturgica, ha trattato del battesimo, della pratica del digiuno e della celebrazione dell’eucaristia. 1 2

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viene da voi, sia accolto come il Signoreb, ma non rimar­ rà se non un solo giorno; se ve ne fosse necessità, anche il giorno seguente, ma se resta tre giorni è un falso pro­ feta. Andandosene, l’apostolo non prenda se non il pane necessario fino all’alloggio successivo. Se chiede del denaro è un falso profeta. Ogni profeta che parla nello spirito non lo metterete alla prova e non lo giudicherete, perché ogni peccato sarà perdonato, ma questo non sarà perdonatoc. Non è profeta, tuttavia, chiunque parli nello Spirito, ma se ha il modo di comportarsi del Signore. Dal loro modo di comportarsi si riconosceranno il falso profeta e il profeta. Ogni profeta che per ispirazione dello Spirito ordina di preparare una mensa4, non mangerà da essa, altrimenti è un falso profeta. Ogni profeta che insegna la verità, se non fa quello che insegna, è un falso profeta. Ogni profeta, provato e risultato veritiero, se agisce in vista di un mistero della Chiesa nel mondo5 ma non insegna a fare le cose che lui stesso fa, non sarà giudicato da voi perché ha il suo giudizio da Dio. In questo modo infatti agirono anche gli antichi profeti. Ma se uno dicesse nello Spirito: « Datemi del denaro o qualche altra cosa », non ascoltatelo; se invece dicesse di dare ad altri che sono nel bisogno, nessuno lo giudichi. b

Cfr. Gv 13,20; Gal 4,14. c Cfr. Mt 12,31.

Cioè un pasto preparato per i poveri. L’espressione, nonostante la molteplicità di interpretazioni suggerite, resta per noi incomprensibile. Jean-Paul Audet la intende come riferita ad azioni e gesti simbolici sulla scia degli antichi profeti di Israele (La doctrine des douze apôtres, Gabalda, Paris 1958, pp. 186-188). Si veda pure Didachè. Insegnamento degli Apostoli, a cura di G. Visonà, Paoline, Milano 2000, nota 12, pp. 336-337. 4 5

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Chiunque viene nel nome del Signore sia accolto. In seguito, dopo averlo esaminato, lo conoscerete, mettendolo alla prova, perché siete capaci di discernere la destra e la sinistra6. Se chi viene è di passaggio, aiutatelo per quello che potete; però non rimarrà presso di voi se non due o tre giorni, se ve ne sarà bisogno. Se invece vuole stabilirsi presso di voi, se ha un mestiere, lavori e mangi. Se non ce l’ha, provvedete secondo il vostro discernimento perché non accada che un cristiano viva presso di voi nell’ozio7. Se però non vuole fare questo, è uno che traffica con Cristo8: guardatevi da tali individui! Ogni vero profeta che voglia stabilirsi presso di voi merita il suo nutrimento; così, anche il vero maestro merita il suo nutrimento come il lavoratore merita il suo cibod. Perciò prenderai ogni primizia dei prodotti del torchio e dell’aia, dei buoi e delle pecore, e la darai ai profeti; perché essi sono i vostri sommi sacerdoti. Se però non avete nessun profeta, date ai poveri. Se fai il pane, prendi la primizia e dalla, secondo il comandamento. E allo stesso modo, quando apri un orcio di vino o di olio, prendi la primizia e dalla ai profeti. Del denaro, dei vestiti e di ogni bene prendi la primizia e dalla, come ti sembrerà opportuno, secondo il precetto. Didachè 11,1-13,7 d

Cfr. 1Tm 5,18.

6 Cioè in grado di distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male (cfr. Gn 4,11). 7 Si veda il monito di Paolo in 2Ts 3,10: « Chi non vuol lavorare, neppure mangi ». 8 In greco: christémporos, che sembra un termine coniato dalla Didachè.

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INDICE

Sigle

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7 9 15 23 29 31

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L’Oriente greco

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Didachè Clemente di Roma Pseudo-Clemente Aristide Giustino Origene Concilio di Nicea I Padri del deserto Basilio di Cesarea Gregorio di Nazianzo

» » » » » » » » » »

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Introduzione Da nemico a ospite I fondamenti biblici dell’ospitalità Riconoscersi stranieri e amare lo straniero L’ospitalità nel monachesimo L’organizzazione dell’ospitalità Conclusione Bibliografia TESTI I.


Giuliano l’Apostata Gregorio di Nissa Evagrio Pontico Costituzioni apostoliche Giovanni Crisostomo Giovanni Climaco Massimo il Confessore Teodoro Studita

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102 105 111 116 117 137 140 143

II. L’Occidente latino

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Cipriano di Cartagine Lattanzio Commodiano Ambrogio di Milano Girolamo Agostino di Ippona Giovanni Cassiano Pietro Crisologo Regola di Benedetto Massimo di Torino Leone Magno Cesario d’Arles Salviano di Marsiglia Gregorio Magno Isidoro di Siviglia

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Stampa: Àncora Arti Grafiche - Milano - 2022




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