LIBROTECA PAOLINE 243
Graziella Curti
COME CERVA SUI MONTI Suor Maria Pia Giudici
Prefazione di Susanna Tamaro Postfazione di monsignor Giovanni Giudici
Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia nella versione ufficiale a cura della Conferenza Episcopale Italiana © 2008, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena Per i testi citati dal magistero della Chiesa e dai documenti dei pontefici © Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano Le foto dell’inserto fotografico sono state gentilmente concesse dall’Archivio generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Roma
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Prefazione LA LUCE DI SAN BIAGIO
Ho conosciuto suor Maria Pia nel 2004. Ricordo ancora la sua prima telefonata: era sera, avevo ancora il telefono fisso e risposi senza sapere chi era. Mi colpì subito la sua voce, a un tempo forte e limpida. Aveva avuto il mio numero dall’allora vescovo di Orvieto, padre Giovanni Scanavino, che conosceva suo nipote, il vescovo Giovanni Giudici. Mi disse che desiderava venire a trovarmi e io accettai subito la sua proposta. Arrivò a casa mia accompagnata da due consorelle e ci fermammo a parlare all’ombra di un portico e, in quel primo incontro, accadde tutto quello che deve accadere tra due persone che vivono in una dimensione « altra » della vita. Dopo mezz’ora di conversazione era come se ci conoscessimo da una vita. Prima di ripartire, mi ricordo, volle fare una breve danza di ringraziamento. Qualche mese dopo ho ricambiato la visita e, da quel momento in poi, quello spartano monastero sul monte Taleo, San Biagio, è diventato la mia seconda casa, e suor Maria Pia la complice dei miei processi creativi. Con lei mi confrontavo su ciò che avevo in mente di scrivere, sulle difficoltà che dovevo affrontare, ma parlavo anche durante le nostre frequentissime passeggiate nella natura. Proprio camminando con lei era possibile accorgersi della totale assenza di rigidità del suo sentire, del suo 5
essere costantemente aperta alle manifestazioni del l’Eterno, che si rivelavano anche solo nella luce che colpiva una foglia o nel giallo splendente di un tarassaco nascosto nel prato. Non c’era nessuna sovrastruttura nel pensare e nel sentire di suor Maria Pia, nessuna volontà di imbrigliare o costringere lo spirito in anguste stret toie. Ed era proprio questa assenza di costrizioni a ren derla una persona estremamente forte, capace di discernere ogni momento ciò che è vero e importante da ciò che non lo è, e così aiutare le persone a far chiarezza al loro interno. Insieme condividevamo la passione per gli animali e la certezza che, nelle loro esistenze apparentemente semplici, si celasse in realtà un grande mistero spirituale. Quando stava per compiere novant’anni, le chiesi: « Che cosa desideri per il tuo compleanno? ». « Un cane », mi rispose. Così a San Biagio arrivò Gibi, un bastardino nero salvato da un orribile destino e che in tutti questi anni è stato la sua ombra e fedele compagno di passeggiate, insieme a suor Monica. Credo che San Biagio sia il frutto della sua visione del mondo e del rapporto tra la fede e il mondo. Una fede che non ingabbia, che non rinchiude, che non dona false certezze, ma che rende le persone capaci di camminare con le proprie gambe nella vita senza farsi più intrappolare dalle tante false libertà che così generosamente ci vengono offerte in questo tempo. Lo « spirito di San Biagio » è fatto di leggerezza, della capacità di gioire delle cose più piccole, di accogliere anche la più smarrita delle persone con l’attenzione di una famiglia improntata a un amore non giudicante, ma non per questo privo di fermezza. 6
Nella desolazione contemporanea, nella presenza di forze sempre più massicce e fintamente amicali, di forze astute che mirano a manipolare la persona offrendo paradisi e libertà fittizie, la luce di San Biagio brilla, e continuerà a brillare, come quella di un faro che nella notte indichi ai naviganti smarriti la direzione di un porto in cui trovare riparo. Susanna Tamaro
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I.
CHIAMATA IN BICICLETTA
Sete di infinito Maggio 1941, Viggiù, in provincia di Varese. È un giorno limpido, di vento e sole. Una giovane donna, Maria Pia Giudici, pedala con forza sulla sua bici e all’improvviso... Già anziana, ricorda e scrive: La mia vocazione è nata così. Correvo all’impazzata in bicicletta: mi piaceva molto. Avevo diciannove anni, e mi ricordo un bellissimo rettilineo dove ho provato il brivido dell’infinito e la gioia del sentirmi avvolta da tanta aria. Quel momento ha rappresentato per me come un’immagine della presenza dello Spirito, anche perché sentivo, in quel periodo, il bisogno di fare della mia vita qualcosa di bello. Avvertivo che la mia sete di infinito voleva che io mi consegnassi all’amore infinito di Dio. È stato proprio lì che si è accesa chiaramente la scintilla e poi la decisione di consacrarmi a Dio. Non ho pensato che alle Figlie di Maria Ausiliatrice perché ero stata a scuola da loro e avevo conosciuto suore felici, molto cordiali: persone non solo preparate come insegnanti di lettere e filosofia, ma come persone contente della loro vocazione, che amavano don Bosco e che in don Bosco si erano date a Dio. Queste suore mi hanno persuaso per la loro gioia. Non erano « donnette devozionaliste », anche perché il devozionali9
smo mi è sempre sembrato il baco corruttore che distrugge da dentro la sostanza della vera devozione, che è quella di cui parla san Francesco di Sales: risposta di amore a un Dio che ci ama.
In un’intervista, rilasciata molti anni più tardi, suor Maria Pia rivela pure alcuni particolari della sua adolescenza e della sua giovinezza: Sono nata a Viggiù nel settembre 1922, in una famiglia benestante di albergatori. Papà era un uomo riservato, di cristallina maestà. Sposò per amore Rosa Buzzi Giberto, figlia del commendator Luigi Buzzi Giberto, uno scultore affermato a Milano, amico di Giuseppe Verdi e di altri artisti dell’epoca. I due si stimavano e si amavano, pur essendo molto diversi fra loro. Papà attendeva alle sue responsabilità di tipo economico, mamma a quelle educative. Quando per ottenere qualcosa, (come fanno tutti i ragazzi) si cercava l’approvazione di papà, egli imperterrito diceva: « Che cosa ti ha detto al riguardo la mamma? ». Non c’era poi verso che egli palesasse una sua decisione diversa, scalzando in qualche modo l’intento educativo della mamma. La amò a tal punto che visse solo un mese dopo la morte di lei, lasciando la terra nell’ora stessa in cui era morta mamma. Mio fratello, che aveva sedici anni più di me, esercitò sempre sulla mia infanzia e adolescenza una specie di fascino. Ricordo che dicevo: « Quando sarò grande, ricamerò per lui una camicia tutta in oro ». Era un giovane bello, intelligente e simpatico. Fin da bambino – diceva la mamma – aveva rivelato una grande propensione per la professione di medico. Giocava, infatti, a fare le iniezioni con lo stuzzicadenti a chiunque fosse propenso a concedergli la mano. 10
Quello che mi colpì molto fu la sua deliberazione di laurearsi in prima sessione estiva per donare l’esito della sua laurea ai genitori che il 5 luglio festeggiavano il venticinquesimo di nozze. Un’altra cosa ricordo. Quando cominciò a guadagnare qualcosa come medico, desiderò fare un regalo coi suoi primi soldi a ogni familiare. A me regalò un servizio completo da tennis da tavola. M’insegnò lui stesso a giocare. Ricordo anche di avergli chiesto perché avesse scelto di specializzarsi in ostetricia e ginecologia. Rispose: « La nonna Emilia è morta di parto quando la nostra mamma aveva solo diciotto mesi. Vorrei aiutare le donne a superare il meglio possibile il trauma del parto e le malattie inerenti all’utero ». Dell’utero una volta mi disse: « È bello rendersi conto che di tutti gli organi del corpo umano (maschile e femminile) questo è realizzato con un tessuto che sembra tra il velluto e la seta: tenerissimo, caldo e resistente; proprio il nido che la Provvidenza ha inventato per il piccolo uomo ». Io, come adolescente, ero timida e riservata. Amavo ogni bellezza e bontà che mi si proponeva da vivere. Un’ora di silenzio e di volate in bicicletta mi dava più serenità che un ampio conversare con la gente. Quando Claudia, mia cognata, seppe che la mia scelta non cadeva sul matrimonio ma sulla consacrazione religiosa, mi disse tra il sorridente e il cipiglio fiero: « Pensaci molto bene. Se poi decidi proprio di entrare in convento, che sia per sempre. Non pensare di tornare sui tuoi passi ».
Maria Pia è ancora molto giovane, ma ha già deciso per sempre. Dopo aver iniziato gli studi universitari umanistici, confida alla sua ex insegnante di filosofia quella decisione rapida che l’ha colta mentre pedalava in bici. Ne riceve come conferma la vita serena e dedi11
cata di quella suora che la convince sulla bontà della sua scelta. Nelle sue note autobiografiche racconta che, prima di iniziare il cammino di formazione nell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, viveva a Milano, frequentava la Facoltà di Magistero dell’Università Cattolica, giocava a tennis, sciava, andava in bicicletta, in barca e aveva molti amici. Era appassionata di lettura. Ricorda: La mia vocazione è nata dentro la mia sete di bellezza, di bontà, di verità. Sentii che solo Dio era sostanzialmente la risposta assoluta alla mia sete e che tutto quello che avevo (non era poco) era nulla a confronto del suo amore.
In una lettera alla mamma, scrive: Forse ti meraviglierà una mia lettera, che non è secondo le mie consuetudini un po’ dinamiche. Non spaventarti. Soltanto vorrei dirti la mia decisione ormai ferma di diventare presto aspirante. So che il sacrificio che ti chiedo è grande, ma so come sia altrettanto grande la gioia tutta spirituale che tu – madre perfettamente cristiana – provi nel donare tua figlia al Signore. So come a costo di lacrime farai di tutto per aiutarmi nell’attuazione del mio vero e unico ideale... Mamma cara, sono certa che il tuo « sì » sarà il più splendente di tutti, ancora più entusiasta e radioso del mio. Scrivo anche a papà. Tu perora la mia causa, ma di’ pure che la tua influenza non c’entra niente. Non vorrei che ti accusassero di quello che non è... Ti prego di non dire per ora assolutamente nulla agli altri, a Emilio scriverò più tardi. Ti bacio il più affettuosamente possibile. Maria Pia 12
La Parola ad alta quota Nel 1942 Maria Pia inizia il suo cammino formativo e dopo la prima professione religiosa viene inviata a terminare gli studi a Castelnuovo Fogliani (Piacenza), sede distaccata dell’Università Cattolica di Milano, e poi come insegnante a Lecco e a Milano. Ed è proprio dal tempo dell’insegnamento a Lecco che giunge la testimonianza di un legame che durerà negli anni. È il ricordo di Clelia, poi sposa di Ugo Amaldi, insigne scienziato, che citeremo anche più avanti. Clelia racconta le sue impressioni nel frequentare la scuola delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) a Lecco negli anni Cinquanta: Soprattutto mi colpì suor Maria Pia, giovane e bella con quei capelli neri che uscivano dalla cuffia e quegli occhi blu fantastici! L’ho avuta come insegnante di italiano e latino ma ben presto è diventata il mio direttore spirituale. Essendo così giovane, aveva la capacità di entrare immediatamente in sintonia con le sensibilità più diverse e riconosceva facilmente la complessità dell’animo di un’adolescente. L’ho sempre trovata al momento giusto là dove mi aspettavo di incontrare qualcuno che mi capisse nel mio cammino spirituale, e questo è durato settant’anni. Molto più tardi, a San Biagio, sono stata segnata dalla profondità ed ecumenicità delle sue lectio divine. Il suo modo di guardare il mondo, il suo entusiasmo evangelico e il rifiuto della mediocrità fecero di lei un punto di riferimento per me molto importante, tanto che quando, a diciannove anni, pensai d’aver trovato l’uomo giusto per la mia vita non esitai a portarlo da lei perché avevo totale fiducia nella sua capacità di giudicare. 13
Negli anni seguenti suor Maria Pia ricorda: Le mie superiore mi hanno chiamato a Roma, alla casa generalizia, perché collaborassi con i Salesiani. Si trattava di preparare tre volumi di antologia per la scuola media, all’insegna di alcune nuove modalità didattiche. Ho abbracciato orizzonti amplissimi, ho potuto sentire come sono belli i poeti giapponesi, come ha sapore la poesia cinese. Quando ho finito l’antologia, ho detto alla madre generale: « Adesso torno a Lecco », dove insegnavo nelle magistrali. « No, cara, adesso ti fermi qui: devi cominciare a prepararti nel campo del cinema e degli audiovisivi e tenterai di organizzare corsi per suore incaricate dell’educazione ai mass media ». Lo facevo molto volentieri, avviando anche un cineforum per giovani universitarie con diversi problemi irrisolti. Chi aveva perso il fidanzato, chi aveva subito un lutto. Un giorno mi venne questa ispirazione: « Ragazze, se quest’estate facessimo un campo della parola di Dio, fuori, in tenda, proprio dove non c’è niente se non natura viva? ». Acconsentirono. Poi però bisognava dirlo a madre Ersilia (allora madre generale): « Bene », mi disse, « quella è la porta, poi ci sono il corridoio e le scale, vai vai! ». Un bel sorriso e fuori. Qualche giorno dopo arrivò un sacerdote salesiano che avrebbe dovuto tenere delle conferenze proprio al Consiglio Generalizio. Fu lui ad aprire le porte. Madre Ersilia qualche giorno dopo mi richiama dicendo: « I giorni scorsi mi hai parlato anche di questo... ». « Sì sì, chiuso... », mi affrettai a rispondere. « Niente affatto! La cosa interessa », disse lei. Allora avanzai la proposta: « Dovrei prendere a noleggio delle tende... ». Scoccò l’imperativo inatteso. « Niente noleggio. Comprale! ». Ho comprato due tende, una grande per le ragazze e una piccola per le suore. Queste ragazze, che erano in uno stato psicologico 14
deplorevole, dopo i dieci giorni di campeggio, sono tornate in città serene. Avevano risolto tanti loro problemi con la parola di Dio che meditavamo ogni mattina e con la natura che contattavamo con gite programmate e liete. Lassù, nel clima di una natura incantevole con aria frizzante e lieta compagnia, fu bello organizzare le giornate al passo della parola di Dio e delle escursioni lì intorno. Era un luglio piovoso, ma anche sotto la tenda c’era calore di vita illuminata e impregnata di parola di Dio.
I campi della Parola sono continuati per anni e tante sono le testimonianze al riguardo di chi vi ha partecipato. Scegliamo una tra le lettere che narrano di questa felice avventura. L’ha scritta Patrizia, una ragazza romana, assidua frequentatrice di queste scuole della Parola tra i monti. Partimmo il 1° luglio 1972 con il treno da Roma per Pré-Saint-Didier, ultima stazione ferroviaria italiana al confine con la Francia, in Valle d’Aosta. Arrivate a Pré-Saint-Didier, ci vengono a prendere un giovane carmelitano e le guardie forestali di Saint-Marcel, che con un loro fuoristrada ci accompagnano nei pressi di una baita, sopra alla piccola località di Laycher, metri 1500, in un alpeggio nel parco nazionale a 1800 metri, ci lasciano e ci salutano. Quindi rimaniamo lì, otto ragazze, tre suore, un giovane frate, padre Patrizio Sciadini dell’ordine dei Carmelitani Scalzi, alcune tende, l’attrezzatura per cucinare all’aperto e le riserve di cibo; responsabile della spedizione suor Maria Pia Giudici. È iniziata così l’esperienza più formativa della mia vita. Laycher è un angolo di paradiso che sporge sull’infinito: dall’alpeggio dove eravamo si arrivava in breve tempo a 15
toccare le lingue di neve perenne che si estendevano dal ghiacciaio, lì abbiamo posizionato il nostro campo base – vista l’altitudine, mi sembra il nome più appropriato. Anche gli alloggi della Forestale erano più in basso; non c’era luce elettrica né acqua corrente né gas né tanto meno telefoni. Le nostre giornate erano immerse totalmente nella natura e nei suoi ritmi: ci si alzava con il sorgere del sole che filtrava potente attraverso il telo blu delle nostre tende e rendeva il nostro risveglio un richiamo vivace alla vita e al nuovo giorno, poi la colazione. Non riuscirò mai a capire come abbiano fatto le suore a portare così tante cose buone fin lassù. Le lodi del mattino erano così piene di gratitudine per la bellezza che ci circondava, tutto faceva volgere in alto il nostro cuore: il verso acuto del nibbio e del falco, il sibilo del vento tra le fronde dei pini, l’odore pungente e puro della roccia che si levava dalle vette, tutto ci richiamava all’invito di suor Maria Pia: « Dobbiamo rinascere dall’alto », e una lode intima e intensa sgorgava dai nostri cuori verso il Padre. Poi la lectio divina: il campo della parola di Dio aveva questo momento fondamentale e pregnante, quando suor Maria Pia, dopo aver letto le letture del giorno, ci accompagnava nell’immersione profonda della parola di Dio, per poi ruminarla in solitudine, nel silenzio dei boschi e delle alte cime. Suor Maria Pia ci insegnava a far risuonare la Parola dentro di noi, a sentirci interpellate personalmente e a lasciare uscire spontaneamente, nella condivisione, le risonanze personali. La preparazione del pranzo iniziava con la raccolta della legna per fare il fuoco all’aperto; formavamo un grande braciere con pietre bianche che profumavano di muschio e licheni, vi posizionavamo sopra pentoloni di 16
verdure, pasta, patate. Sopra la legna ardente, il profumo del cibo si diffondeva e si mischiava alla fragranza degli abeti, dei larici, del ginepro e del rododendro. Andavamo a prendere l’acqua al ruscello gelato che scorreva impetuoso direttamente dal ghiacciaio che ci sovrastava, immergevamo i piedi in quell’acqua gelida tra canti e scherzi, la gioia della fraternità e della libertà del luogo ci distaccava da ogni pensiero, tutto aiutava l’anima a schiudersi. Padre Patrizio celebrava la santa messa all’aperto con qualsiasi condizione meteorologica ed era sempre una festa; le suore preparavano l’altare con semplicità, in armonia con la natura che ci circondava e così erano i canti; tutto si intrecciava come fili di un’unica tela. Padre Patrizio era allegro e disponibile, leggeva l’acronimo della sua congregazione o.c.d. invece che Ordine dei Carmelitani Scalzi in « Oh che dolor! » e ci faceva immaginare la fatica di essere carmelitano, ma anche l’immensa gioia che questa scelta gli aveva prodotto nel cuore; ci accompagnava nei punti più alti del parco, su, verso le cime dei monti, nelle grandi distese di neve che lambivano il ghiacciaio e lì pregavamo con il cuore rivolto a Dio in semplicità e allegria. Veniva la sera, ma non il buio: dopo la cena, il braciere, che era servito per cucinare, si trasformava in un grande e ardente falò, dove le scintille delle fiamme accompagnavano il bagliore della luna e delle stelle e quel piccolo posto sperduto tra le montagne diveniva un immenso luogo di Luce! Grazie, suor Maria Pia, per aver osato tanto, per essere stata la pioniera della diffusione della lectio divina in alta quota! Grazie per esserti lasciata guidare dallo Spirito in un’esperienza così ardita, ma si sa che lo Spirito accompagna sempre i desideri dei cuori che ardono! 17
INDICE
Prefazione di Susanna Tamaro La luce di San Biagio
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9 9 13
II. Pioniera nel campo dell’immagine Un nuovo cammino La ragazza delle colline
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18 18 22
III. La baita Santa Maria Un sogno che si avvera Preghiere attorno al fuoco
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IV. San Biagio: eremo salesiano? Il nuovo approdo Una regola di vita
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Incontri Testimonianze di amicizia Lettere dal monte
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46 46 59
I.
V.
Chiamata in bicicletta Sete di infinito La Parola ad alta quota
VI. La natura sorella Il fecondo contatto con la natura Parole incantate
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VII. Guidami, luce gentile La Parola, respiro dell’anima Il sentiero della lectio divina
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Appendice San Biagio oggi
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Postfazione di monsignor Giovanni Giudici Al centro la Parola
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Cronologia
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Stampa: Àncora Arti Grafiche - Milano - 2021