LIBROTECA PAOLINE 239
Angela Iantosca
LA SCIMMIA SULLA CULLA Bambini in crisi di astinenza
PAOLINE Editoriale Libri © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2021 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it • www.paolinestore.it edlibri.mi@paoline.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI)
Ad Ariel e ai puntini luminosi
PREMESSA
Che cosa è un abisso se non il tremore di un bambino che ha assunto droga attraverso il cordone ombelicale di chi lo ha concepito? Che cosa è l’inferno se non quel liquido tossico prodotto da chi dovrebbe proteggerlo dal mondo e invece ha costruito intorno a lui un involucro che è la sua prigione e la sua condanna? Che cosa è il Male se non quella sofferenza che si insinua tra le famiglie e spinge bambini di dieci e undici anni a rifugiarsi nella droga e a fare di tutto pur di non sentire quella sofferenza? Ho attraversato questo abisso, ho visto quei bambini, ho ascoltato le parole di quelle mamme che stavano trasformando il loro ventre in una tomba, mentre il mondo, ignaro, osservava quella protuberanza come l’espressione più alta dell’amore. Ho incontrato donne che sono diventate mamme senza scegliere di esserlo, mamme che hanno cercato in ogni modo di non tenere i loro figli tra le braccia, di non sentire il loro pianto e che per anni hanno preferito perdersi nel loro universo piuttosto che stare con i piccoli, viverli, sentirli, amarli. Ho incontrato bambini svezzati con il metadone per sopravvivere alla crisi d’astinenza e bambini che hanno rinunciato alla loro infanzia per una sostanza che promette estasi e regala morte. 7
Dove sono gli adulti e le famiglie? Dov’è la Dichiarazione dei diritti del fanciullo? Dove sono le convenzioni internazionali e la tutela della salute? Dov’è la garanzia del diritto a vivere la spensieratezza dell’infanzia? Dove sono le leggi e la giustizia, quando un bambino spaccia e si prostituisce per poter comprare droga? Chi salvaguarda i diritti di quel « puntino luminoso » quando è ancora nel grembo materno? Chi protegge quel bambino che nasce in crisi d’astinenza, con malformazioni e disturbi e disagi perché chi l’ha messo al mondo ha anteposto se stesso e il proprio desiderio di morte alla forza della vita che ogni essere, dal momento del concepimento, porta con sé? Sono preoccupanti i dati che ci raccontano un momento storico complesso, reso ancora più difficile dalla pandemia che ha slatentizzato difficoltà emotive, paure, vuoti. Sono preoccupanti le testimonianze degli esperti, dei medici, degli psichiatri, dei responsabili delle comunità terapeutiche. E di chi ha vissuto sulla propria pelle la tossicodipendenza. Ma di fronte a questo come si fa a non fermarsi a riflettere? Come si può rimanere sordi alla richiesta d’aiu to che queste scelte estreme portano con sé? Come si può continuare a ignorare un fenomeno che coinvolge milioni di persone? Troppo spesso questa richiesta rimane inascoltata e lo si intuisce dalla scarsa attenzione rivolta al tema tossicodipendenza al quale si guarda solo in campagna elettorale o per parlare di legalizzazione di quelle che impropriamente sono chiamate « droghe leggere ». Lo si intuisce dagli scarsi investimenti, dai pochi posti disponibili nelle comunità italiane dedicate ai giovanissimi 8
e nelle strutture mamma-bambino, dalle disuguaglianze tra regioni nel trattamento delle dipendenze, sebbene queste siano come una livella che ci rende tutti simili, al di là di ogni distinzione economica, culturale e sociale. Sono molte le domande alle quali in questo viaggio attraverso l’Italia e le comunità di recupero provo a dare delle risposte, e sono tante le risposte che producono nuove domande, nel tentativo di comprendere dove si annidi quel dolore che ne mette al mondo altro. Eppure, in questo abisso, loro, i bambini, non di rado mostrano una forza sconosciuta, misteriosa come quella di chi è più vicino all’ignoto. Li salva a volte quel legame ancora con l’Aldilà, dal quale sembriamo allontanarci con il taglio del cordone ombelicale. Dicono che sia la medicina a farlo. Ma c’è qualcosa di più profondo che li rende talvolta immuni, che li fa nascere, nonostante tutto, che li spinge verso l’esterno con una forza propulsiva che non può avere radici nella scienza. Miracoli? Lezioni? Segni? Non c’è una risposta, o forse sì, come raccontano alcuni operatori che si trovano di fronte a neonati sani, di fronte a occhi spenti che tornano a prendere vita, di fronte a donne che scoprono di poter essere madri, di fronte a fiori che sbocciano, di fronte a ragazzi persi, che con grande fatica ritrovano il senso, di fronte a chi non aveva più uno scopo, se non assumere cocaina, e ora ha tutto il mondo da inventare tra le sue mani. Angela Iantosca
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0.
IL GEL SULLA PANCIA Storia di Antonella – La gravidanza
Lo odio il gel sulla pancia. Le gambe divaricate sul lettino, innaturali, i piedi appoggiati come artigli sul ferro freddo e quella sottile ansia, preludio di qualcosa di oscuro e imperscrutabile che, con il nostro corpo, proteggiamo e nascondiamo a noi stesse. Non mi piacciono le visite ginecologiche e quelle mani sconosciute che mi attraversano. Non lo sopporto questo medico che mi costringe a questo rito tribale, a questa immobilità. Mi stanca rimanere qui ad aspettare, così, in attesa che l’oracolo guardi dentro di me e poi pronunci il suo vaticinio. Avrò una ciste o un polipo... Sì, è vero, sono magrissima, il ciclo non mi viene da sei mesi e mia madre è molto preoccupata. Ma sia io sia lei conosciamo la risposta a quel vuoto nella mia pancia. Mi chiamo Antonella1, ho diciannove anni e da molto tempo non mi importa di niente. Neanche di morire. Anzi, è quello che tento di fare da quando di anni ne ho dodici, da quando ho cominciato a camminare cocciuta verso il precipizio. La verità è che sono stesa su questo lettino solo per far star zitta mia madre. Ma la mia testa, 1 Antonella (nome di fantasia) è inserita nel programma Coccinella dell’associazione Il Ponte di Civitavecchia, previsto per le mamme e i loro figli, da una intervista rilasciata all’autrice il 4 maggio 2021 presso la comunità. La storia di Antonella proseguirà nei capitoli 12 e 17.
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inchiodata lontano da qui, pensa a quando uscirò da questa clinica e andrò a casa: pregusto già quel sapore amaro e quella pace infinita nella quale non c’è spazio per i rimproveri materni, per l’assenza di mio padre, per quei fratelli arrivati dopo di me e che mi hanno portato via tutte le attenzioni, e neanche per il dottore e il suo verdetto inappellabile... « Sei incinta al settimo mese. È femmina ». La voce del vate spezza il silenzio e la salivazione della mia bocca. Eccola la sentenza. Chiara e senza possibilità di fuga. “Finalmente risolto il mistero delle mestruazioni scomparse!”, penso sorridendo cinica, mentre per un istante l’unica idea che mi dà pace si mette in un angolo a osservarmi e a nutrirsi di ciò che ho dentro, come una faina prima di un agguato. Che cosa sento? Nulla, solo un altro vuoto. Dentro di me non ci sono movimenti, emozioni e neanche qualcosa che abbia a che fare con la paura: si registra un elettrocardiogramma piatto. « Posso andare? ». Sono le uniche parole che pronuncio. Poi mi alzo, indifferente, mi rivesto, prendo le mie cose e, seguita da mia madre, mi allontano da lì. Il viaggio in macchina è un tempo sospeso tra il ginecologo e l’eroina nascosta nella mia cameretta durante il quale la voce isterica di mia madre, coperta dal rumore del motore e da quell’ovatta che mi avvolge, arriva fievole e martellante: intercetto solo frammenti delle sue parole. Credo mi stia rinfacciando gli ultimi sette anni di vita, episodi del passato, la scuola, i miei fratelli... La verità è che non sa niente di me, da molto tempo: troppo presa da altro, distratta, superficiale o forse semplice12
mente ha preferito non accorgersi di niente per sopravvivere. Ma non me ne frega un cazzo di sapere ora i suoi perché: tra poco sarà tutto finito e tornerà il silenzio. Appena entro in casa, lancio la borsa all’ingresso, salgo le scale di corsa, vado dritta nella mia stanza, chiudo la porta dietro di me, apro un pezzo, lo squaglio e metto a tacere la voce lontana dell’oracolo, rimasta nella mia testa come un’inutile interferenza. Le sue parole sono lì da qualche parte in quella nebbia costante in cui mi sembra di nuotare. Ma lo so bene che non sono più sola nel mio corpo: ora qui dentro c’è qualcosa che si aggira in un liquido prodotto dal mio utero che credevo incapace di generare vita. C’è un essere attaccato alle mie viscere con un cordone che lo nutre e lo avvelena. Ma tra me e questa cosa c’è un vetro spesso che mi impedisce di vederla e percepirla. Mi fa ribrezzo il pensiero di essere diventata il contenitore di altro, di averlo prodotto io, di avere un estraneo dentro la mia pancia, di avere qualcosa che può farmi pensare alla parola « domani », che rischia di farmi sopravvivere a me stessa... Spero solo che muoia, questa è la verità, spero si spezzi questa corda che è il mio appiglio verso il futuro, la mia staffetta verso l’eternità. Così faccio di tutto perché ciò accada, continuando testarda sulla mia strada, fino all’ultimo giorno. Fino al momento prima del parto. Vado in ospedale il giorno prestabilito: abbiamo programmato il cesareo, perché ho l’epatite. Ma ciò non mi impedisce, la sera precedente, di farmi e di prendere il metadone poco prima di arrivare al mio appuntamento. Per questo, appena mi fanno l’anestesia, dopo aver vomitato verde color kryptonite, collasso. Quando riapro 13
gli occhi, la sala operatoria è scomparsa, non sono ancora nella mia stanza e la bambina non c’è, neanche nella mia pancia svuotata... In quella frazione di secondo in cui rimango sola, sogno che sia accaduto ciò che speravo. Sogno la sua assenza, per tornare alla mia schiavitù che io chiamo libertà. Ma le illusioni cadono presto, come foglie prive di linfa: un infermiere, per tranquillizzarmi, mi dice che la bimba è in reparto. È nata. Silenzio. Vuoto. Non è servito a nulla tutto quello che ho fatto, non è servito far finta che non ci fosse, non è servito inseguire quella solitudine che mi fa compagnia da tanto tempo. Non è servito farmi ogni giorno per cancellare tutto. Lei è venuta al mondo: in astinenza e con una crisi respiratoria, ma viva. Eppure, io continuo a non sentire niente: ho intorno qualcosa che mi avvolge come un bozzolo e che mi impedisce di attivare le emozioni, di formulare pensieri. Mi schiaccia verso il basso, mi anestetizza, mi isola. Il mio cuore, il mio stomaco, la mia pelle dormono. Dormono e vogliono continuare a dormire. Sono lontani da quella bambina, dal parto, dal dolore che non mi ha squarciato l’addome, da quella stanza in cui mi trovo, dal padre, da me. Sto lì, chiusa in un’intercapedine, da qualche parte, sospesa in quel rifugio chimico che ho scelto come casa dove non c’è nulla, dove annaspo nell’assenza, nella pace, nell’incoscienza.
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INDICE
pag.
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0. Il gel sulla pancia. Storia di Antonella – La gravidanza
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1. La scimmia sulla culla. Neonati in crisi di astinenza Il trend della poliassunzione Gli effetti sui bambini Lo stato di salute delle mamme L’intervento dei Servizi sociali Miracoli?
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2. La vita in un istante. Prima di mio figlio veniva la droga
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3. SAN: e poi? La forza delle risorse personali La « cura » I segni nel tempo Prima infanzia in comunità
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4. Oxygen. Il mio film dell’orrore
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Premessa
5. Effetti collaterali. La tossicodipendenza non nasce con il figlio Madri al bivio Mamme figlie del disagio La figlia del benessere Più forte della droga
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6. Se la dipendenza è affettiva. Tre figlie senza la madre
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7. La nascita di una madre. La ricostruzione della donna e della relazione con il figlio L’ingresso La motivazione La disintossicazione In cammino
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8. Il senso di colpa. Rimanere incinta sotto effetto di stupefacenti
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9. Il risveglio. Tornare a sentire L’alba di un nuovo inizio I segnali del risveglio La scoperta della serenità
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10. Il mio San Valentino. Quella cosa nella bottiglia
11. Giochi di ruolo. Le famiglie d’origine Imparare a fare i nonni C’era una volta la famiglia
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12. La strada davanti a me. Storia di Antonella – La tossicodipendenza » 13. Infanzie drogate. Prima di diventare madri e padri Droghe vecchie e nuove Tra piazze di spaccio reali e virtuali Non solo droga Le ragioni dello sballo L’era dell’anestesia Ieri come oggi Diagnosi e trattamento Profili psichiatrici indefiniti Quando il problema sono le risorse esterne L’origine dei disturbi mentali Frustrazione e gratificazione
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15. La porta sulla vita. Il percorso in comunità » Quando la soluzione non è la comunità » Un solo Stato ma molte regioni »
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14. Pandemia e lockdown. Tutto cambia perché nulla cambi I dati Non solo giovani
Gli approcci di alcune comunità di riferimento Di chi è la colpa? Riprendere il contatto con la realtà
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16. La nuova alleanza. La famiglia tra conflitti e sistemi ammalati La tossicodipendenza come un’opportunità Quando la famiglia è un legame (tossico) Tutta la vita davanti
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17. Sta a te decidere se farti schiacciare o combattere. Storia di Antonella – Sulla buona strada
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Contatti utili
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Ringraziamenti
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