Vincere la pigrizia. Per vivere e non sopravvivere - Estratto

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A proposito di... 23



Leoluca Pasqua

VINCERE LA PIGRIZIA Per vivere e non sopravvivere


Immagine di copertina: Vincent van Gogh, Ritratto del dottor Gachet, 1890, © kwang gallery / Shutterstock Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia nella versione ufficiale a cura della Conferenza Episcopale Italiana © 2008, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena

Per i testi citati dal magistero della Chiesa e dai documenti dei pontefici © Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano

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INTRODUZIONE

C’era una volta un re che aveva tre figli; li amava tutti nello stesso modo, e non sapeva chi dovesse nominare suo successore. Quando fu in punto di morte, li chiamò al suo capezzale e disse: « Cari figlioli, ho pensato una cosa che voglio dirvi: il più pigro di voi diventerà re dopo la mia morte ». Allora disse il maggiore: « Babbo, il regno spetta a me, perché sono così pigro che, se mi stendo e voglio dormire e mi cade una goccia negli occhi, non ho voglia di chiuderli per addormentarmi ». Il secondo disse: « Babbo, il regno spetta a me, perché sono talmente pigro che, quando son seduto accanto al fuoco per scaldarmi, mi lascio bruciare le piante dei piedi, piuttosto che ritirar le gambe ». Il terzo disse: « Babbo, il regno spetta a me, perché sono così pigro che, se dovessero impiccarmi e avessi già la corda al collo e uno mi desse in mano un coltello affilato per tagliarla, mi lascerei impiccare, piuttosto che alzar la mano ». All’udirlo, il padre disse: « Più in là non si può andare; e sarai re »1.

Si tratta di una delle fiabe più conosciute dei fratelli Grimm, dal titolo I tre pigri, che ho voluto

1 J. e W. Grimm, Fiabe, traduzione di C. Bovero, Einaudi, Torino 2015, p. 496.

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ripescare nel bagaglio dei miei ricordi per dare inizio al nostro percorso sul tema della pigrizia. Gli autori, grazie al loro genio creativo e alla loro capacità introspettiva, hanno saputo delineare in poche battute quello che possiamo definire lo statuto della pigrizia con le sue dinamiche e i suoi risvolti poco rassicuranti. Il finale della fiaba: « Più in là non si può andare », con un pizzico di drammatica ironia, sottolinea come la pigrizia, portando all’inerzia fisica e volitiva, conduca lentamente alla morte, raggiungendo quello che è il suo obiettivo: rendere incapaci di cogliere la vita nel suo più vero e profondo significato. In tal senso sono molte le definizioni della pigrizia che ricalcano proprio questo aspetto degenerativo: paralisi, noia, ansietà del cuore; funesta malattia; atonia dell’anima; male oscuro; insidia per la vita; male del nostro tempo ecc. A tali espressioni si aggiunge poi l’interminabile lista dei proverbi che la tradizione popolare ci ha tramandato e che, in modo originale e folcloristico, tratteggiano il volto della pigrizia nelle sue più tipiche manifestazioni, dall’adagio di Seneca: « Il pigro è di ostacolo a se stesso », fino al più conosciuto « Chi dorme non piglia pesci ». Sulla pigrizia, insomma, si è scritto veramente tanto fin dall’antichità e ancora oggi non mancano studi e approfondimenti che affrontano il tema da molteplici punti di vista (psicologico, sociologico, filosofico, spirituale), a testimonianza di quanto sia tenuto in considerazione tale fenomeno che coinvolge veramente tutti. 6


Dirà a questo proposito Gabriel Bunge in un suo saggio: L’accidia, come un’ombra, è inscindibilmente legata alla nostra condition humaine, il che non esclude che possa assumere le forme più svariate. (...) È per così dire la dimensione metafisico-religiosa di una « sofferenza » che è comune a tutti gli uomini e che, nella sua forma profana secolarizzata, viene esperita come ennui, malinconia, depressione2.

Ma non dobbiamo dimenticare i risvolti positivi della pigrizia, una riflessione, questa, che negli anni si è fatta sempre più nutrita e interessante, contribuendo a mettere in luce gli aspetti che ne fanno non solo un malessere, ma anche un’opportunità per la vita, un antidoto per difendersi dalla malsana iperattività. In questo senso si parla di una pigrizia responsabile, sana, feconda, frutto di una scelta volontaria, che non ha cause remote ben precise, ma che è motivata fondamentalmente dall’esigenza di trovare uno spazio di riposo per se stessi. Su questa linea di pensiero non sono mancati contributi letterari, filosofici e psicologici in difesa della pigrizia, considerata come un modo di stabilire dei confini tra la dimensione personale e quella di una società e di una cultura consumiste ed efficientiste, che molto spesso disuma-

2 G. Bunge, Akedia, il male oscuro, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1999, p. 48.

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nizzano e condizionano negativamente la persona. Molti autori la elogiano, la ricercano e la propongono come uno stile di vita, un diritto, un’esigenza profonda della mente e del cuore3. Tra gli autori che descrivono le caratteristiche di questa « pigrizia benefica », mi piace citare Jacques Leclercq che, in un suo piccolo e brillante scritto dal titolo Elogio della pigrizia, provoca il lettore nel considerare come la fretta, che spesso caratterizza la vita umana, non permetta di fermarsi e contemplare la natura che ci circonda e neanche di gustare e di gioire delle piccole cose della quotidianità: Non è correndo, non è nel tumulto delle folle e nella calca di cento cose scompigliate che la bellezza si schiude e si riconosce. La solitudine, il silenzio, il riposo sono necessari ad ogni nascita; e se talvolta da un pensiero un capolavoro scaturisce in un lampo, è perché l’ha preceduto una lunga incubazione di vagabondaggio ozioso4.

Per cui possiamo dire che c’è pigrizia e pigrizia, una degenerativa e l’altra generativa, una che disperde e frammenta, l’altra che unifica, motiva, orienta e aiuta a riappropriarsi di se stessi, inse-

3 Tra i vari testi che approfondiscono questo aspetto della pigrizia: T. Hodgkinson, L’ozio come stile di vita. Perché il tempo libero è più importante del lavoro, Rizzoli, Milano 2006; P. Lafargue, Il diritto all’ozio, Garzanti, Milano 2018; B. Russel, Elogio dell’ozio, Longanesi, Milano 2004; B. Brunner, L’arte di stare sdraiati. Manuale di vita orizzontale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2013. 4 J. Leclercq, Elogio della pigrizia, EDB, Bologna 2018, pp. 24-25.

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gnando a cogliere le piccole gioie della quotidianità, che spesso la velocità delle nostre performance non ci permette di gustare nel loro più autentico significato. La pigrizia di cui tratteremo nel nostro percorso è quella di tipo degenerativo, che presenta aspetti più problematici e subdoli, quella che fa male e che con il suo potenziale negativo incide profondamente nella vita di un individuo, fino ad annebbiarne la coscienza e compromettere tutti gli ambiti dell’esistenza. Essa si manifesta con un suo specifico linguaggio, con tempi e modalità propri, che necessitano di essere ben interpretati, così da conoscere le sue dinamiche e i suoi meccanismi perversi, che ne fanno un male, un peccato ritenuto talmente grave da essere inserito tra i sette vizi capitali. Pertanto, alla luce di tali considerazioni, cercheremo di definire il volto della pigrizia, di comprendere come si manifesta e quali sono le sue principali cause. Ci soffermeremo a trattare della pigrizia spirituale, letta principalmente alla luce dell’insegnamento biblico, ma anche grazie alla testimonianza dei grandi maestri dello spirito che, nel corso dei secoli, hanno contribuito, con i loro scritti e le loro riflessioni, a definirla ulteriormente, intendendola come un grande ostacolo da superare per progredire nel cammino spirituale. Infine viene proposto un itinerario di gua9


rigione, dove sono indicati alcuni possibili rimedi per superare le conseguenze prodotte dalla pigrizia, per ritrovare le ragioni del proprio esistere, il gusto e la gioia della vita.

Un ringraziamento particolare a mio nipote Salvo, che, in occasione di una oziosa, quanto benefica, chiacchierata sulla pigrizia, ha provocato la stesura del libro. Un sincero grazie anche a don Gabriele Tornambè, per la sua disponibilità nel rivedere il testo e per i preziosi suggerimenti. 10


1.

PER UNA DEFINIZIONE DELLA PIGRIZIA

L

a pigrizia viene definita attraverso molteplici sinonimi che, di volta in volta, vengono usati per indicare e connotare, nelle sue varie accezioni, quella che costituisce un’esperienza frequente nella vita umana. Pertanto si parla di noia, apatia, indifferenza, instabilità, inerzia, inoperosità, noncuranza, negligenza, svogliatezza, staticità, indolenza, infingardaggine, lentezza, disgusto, non senso, torpore, mal di vivere, mancanza di resistenza, di perseveranza. Il termine pigrizia, che useremo maggiormente nel nostro percorso, fa riferimento proprio all’etimologia latina piger: lento, che lavora male, senza voglia, incapace di raggiungere determinati obiettivi. Si parla anche di accidia, dal greco akedía (letteralmente « mancanza di cura »), termine usato soprattutto dai Padri spirituali dell’Oriente, per indicare una trascuratezza, una dissolutezza, un torpore, nel portare avanti la propria vita, specialmente dal punto di vista spirituale, che, come vedremo, colorandosi di tristezza e di scoraggiamento, ne impedisce il progresso. per una definizione della pigrizia

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Mentre Dante Alighieri utilizza il termine ignavia, altro sinonimo di pigrizia, un atteggiamento che nella Divina Commedia è fortemente condannato, tanto che le anime ignave non sono neanche ritenute degne di entrare all’Inferno, in quanto durante la loro vita non sono state capaci di compiere scelte fondamentali, se stare dalla parte del bene o del male. Nel Canto III dell’Inferno (vv. 22-69) questa categoria di peccatori viene descritta, secondo la pena del contrappasso, mentre è costretta a inseguire un vessillo che velocemente gira su se stesso a simboleggiare l’incapacità degli ignavi di prendere decisioni, mentre vespe e mosconi li pungono costantemente e il loro sangue misto alle loro lacrime viene succhiato dai vermi. Celebre la frase che Dante mette in bocca a Virgilio: « Non ragioniam di lor, ma guarda e passa », intendendo che costoro, per la loro viltà, non sono neanche degni di essere tenuti in considerazione. Un altro termine che viene spesso usato è ozio (dal latino otium), intendendo un tempo più o meno lungo che, per scelta o costrizione, viene vissuto senza fare nulla, e quindi senza trarne nessun profitto. Esso si manifesta come mancanza di interesse per se stessi e per gli altri, un’apatia generale che nega ogni forma di relazione. Ma il significato originario è completamente diverso da come oggi lo intendiamo; infatti esso ha una lunga storia che risale agli antichi greci, i quali gli davano un significato positivo, traducendo l’ozio con il termi12

capitolo uno


ne scholé (tempo libero, da dedicare allo studio), tempo per la riflessione o per il riposo e la cura del proprio corpo. Mentre i latini con il termine otium intendevano il tempo in cui non ci si dedicava a nessun tipo di affare (nec-otium), un tempo per riposarsi, per riflettere, per incontrarsi, per leggere, attività da cui non si ricava un profitto materiale, ma che, nella loro visione della vita, non erano meno produttive del lavoro. Infine un termine, non usato correntemente, ma che è entrato nel vocabolario italiano, è oblomovismo, che fa riferimento a un atteggiamento apatico e fatalistico, tipico di chi si crogiola in una inattività sterile. Il termine fa riferimento al nome Oblomov, che è il personaggio principale dell’omonimo romanzo del russo Ivan Aleksandrovič Gončarov, del 1859. Il protagonista è un proprietario terriero che vive di rendita e che, per scelta, trascorre le sue giornate tra il letto e il divano senza nessun tipo di impegno e attività. Egli è diventato il simbolo letterario per eccellenza dell’apatico, di colui che ha fatto della pigrizia un modus vivendi, una filosofia di vita. Tanti termini e sinonimi per parlare della stessa realtà che però, come abbiamo notato, ci forniscono sfumature diverse di significato che sollecitano a ulteriori interpretazioni. Perciò da un’accezione negativa si passa a considerare la pigrizia come un’esperienza positiva, anzi necessaria per la vita, per fuggire l’iperattività e la frenesia che impediscono di fermarsi e di godere la vita in pienezper una definizione della pigrizia

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za, sperimentando quella « lentezza » nel fare le cose per gustarle e apprezzarle. Questo ricco ventaglio semantico è anche il segno evidente che la pigrizia coinvolge le varie dimensioni dell’esperienza umana, da quella che fa riferimento agli aspetti esteriori, legati alla fisicità della persona, alle azioni e quindi agli aspetti più pratici, a quella inerente alla sfera psicologica che abbraccia la dimensione intellettiva, la volontà, l’affettività. Per questo si parla non solo di pigrizia come inazione, incapacità di fare, ma anche di pigrizia intellettuale come incapacità di pensare, di riflettere, di elaborare, e anche di pigrizia spirituale, come disimpegno a coltivare i valori dello spirito. Quindi la pigrizia coinvolge tutte le facoltà umane e, come vedremo, diventa capace di determinare la qualità della vita personale e sociale, di trasformare le relazioni, fino al punto di creare un vuoto esistenziale, un torpore che spegne la passione per la vita, le energie nel compiere il proprio dovere e soprattutto nel fare il bene, facendo nascere la sensazione di essere inutili. Raccogliendo i dati che ci vengono forniti dai termini appena analizzati, ma riferendoci soprattutto all’esperienza della vita, vogliamo ulteriormente definire la pigrizia cercando di individuare i modi più comuni con cui si manifesta. Non è un percorso semplice in quanto abbiamo a che fare con una condizione esistenziale che assume connotazioni diverse in base ai contesti e alle situazioni in cui ci si ritrova a vivere. Perciò possiamo dire che 14

capitolo uno


ognuno vive la sua pigrizia, con tempi e modalità proprie, dove entrano in gioco fattori personali e sociali, legati al carattere, alle abitudini, al contesto familiare, al modo di concepire la vita, spesso influenzato dalle mode, dalla cultura di massa, dai sistemi di idee e di principi, tanto che si può parlare della pigrizia come di un sentimento collettivo che si traduce in atteggiamenti e comportamenti che caratterizzano un’intera società. Tale pigrizia, nel suo aspetto più problematico, si manifesta come uno stato di vita in cui si smarriscono le motivazioni del proprio essere e agire. Come una condizione che porta a perdere entusiasmo, che rende incapaci di progettare, di guardare avanti e di sperare. Un senso di noia profonda, di apatia, di indifferenza che porta il soggetto a ripiegarsi sempre più su se stesso, determinando un sistematico annullamento degli stimoli e delle emozioni che permettono di dare significato alla propria vita e quindi di entrare in relazione con il mondo esterno. Francesco Petrarca, nella sua opera Secretum, parla della pigrizia come di « una funesta malattia dell’anima ». Una specie di malessere interiore dai contorni indefiniti, difficilmente descrivibile, che causa abbattimento, scoraggiamento, inquietudine, e trascina l’anima in un baratro di tristezza. Nel suo dialogo immaginario con sant’Agostino, che rappresenta la sua coscienza morale, Petrarca viene rimproverato per la sua debole volontà che non gli permette di scegliere e di agire in vista di una per una definizione della pigrizia

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vita virtuosa. E da una sua risposta si coglie come, tra tutti i vizi, la pigrizia è proprio quello che lo affligge maggiormente: Mentre in tutte quante le passioni da cui sono oppresso è commisto un che di dolcezza sia pur falsa, in questa tristezza invece tutto è aspro, doloroso e orrendo; e c’è aperta sempre la via della disperazione e a tutto ciò che sospinge le anime infelici alla rovina (...). Questo male mi prende talvolta così tenacemente, da tormentarmi nelle sue strette giorno e notte; e allora la mia giornata non ha più per me né luce né vita, ma è come notte d’inferno e acerbissima morte1.

In tempi più recenti il teologo Romano Guardini (1885-1968) ci fornisce un’analisi puntuale di questo stato d’animo che lui chiama malinconia, che nasce nel momento in cui l’uomo non trova la forza di riprendersi nel divenire e non possiede la magnanimità richiesta dal sacrificio, l’audacia di troncare gli indugi, la veemenza di sfondare; quando ciò che voleva uscire rimane impigliato e trattenuto, oppure viene realizzato solo parzialmente e come diminuito (...). Si avverte il pericolo di essere perduti, per non avere fatto quello che andava fatto (...). Può giungere sino allo sconforto e a una disperazione nella quale l’uomo dà partita vinta, ed è persuaso d’aver definitivamente perduto il gioco2.

1 Francesco Petrarca, De secreto conflictu curarum mearum, II,5-12, a cura di E. Fenzi, Mursia, Milano 2019, pp. 177-178. 2 R. Guardini, Ritratto della malinconia, Morcelliana, Brescia 2006, pp. 71-72.

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capitolo uno


E non mancano altre definizioni, che incontreremo nel corso della nostra trattazione, tutte volte a mettere in risalto le molteplici manifestazioni e contraddizioni di una disposizione d’animo che, in modo tentacolare, compromette l’aspetto fisico, psicologico e spirituale della persona. Non poche volte tali manifestazioni sfociano in forme di depressione che dimostrano come la pigrizia può assumere i contorni di una vera e propria malattia. Ma bisogna precisare che la pigrizia non sempre si manifesta nelle modalità suddette, perciò l’idea che il pigro stia sempre sdraiato sulla poltrona o riversato sul letto a sonnecchiare e a non fare nulla, non è proprio esaustiva per definire la pigrizia. Essa infatti, non poche volte, si esprime in modo totalmente opposto, risolvendosi in una preoccupante iperattività. Si tratta di quell’attivismo esasperato che fa diventare schiavi dell’orologio, delle agende, degli appuntamenti, degli incontri, del cellulare continuamente attivo e di tutto ciò che rende la vita una corsa frenetica, con un dispendio enorme di energie fisiche e psichiche. Qualcuno potrebbe obiettare: ma allora in questo caso siamo tutti pigri? La risposta è no. Perché, se è vero che la vita di molti è segnata da orari, turni, scadenze e da molteplici attività che riempiono la giornata, la differenza sta nel comprendere le motivazioni di fondo che accompagnano la gestione di tali attività. È importante cioè capire se si crede a quello che si sta facendo, se si ha consapevolezza delle proprie responsabilità, se per una definizione della pigrizia

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c’è passione, interesse e coinvolgimento, oppure se questa frenesia costituisce il risvolto di una esistenza problematica segnata dall’insoddisfazione, dal disordine interiore, dalla tristezza della vita. A questo proposito scrive un autore contemporaneo, parlando dei vizi capitali: « La pigrizia attecchisce in una vita tutta giocata in superficie, nel fare e strafare: prima o poi da dentro affiora il vuoto, un vuoto intriso di nulla »3. Ecco allora un altro risvolto della pigrizia, non meno problematico del primo, che fa intendere come essa si presenti in modo variegato, ma sempre come espressione di un vuoto esistenziale, di un non senso, di una « nausea » della vita, così come la chiama il filosofo Jean-Paul Sartre, un disgusto e ribrezzo per tutto ciò che ci circonda e che diventa un peso opprimente e angosciante.

3 S. Frigato, Vizi capitali. Come parlarne, oggi?, Elledici, Torino 2010, p. 32.

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capitolo uno


INDICE

Introduzione

pag.

5

1. Per una definizione della pigrizia

»

11

2. La deformazione delle relazioni

»

19

3. Le cause della pigrizia

»

26

4. La pigrizia spirituale

»

36

5. Il pensiero dei maestri spirituali

»

45

6. Itinerari di guarigione

»

68

» » » » » » »

71 74 77 79 81 83 85

7. Un’omissione contagiosa

»

91

8. Esercizi di speranza

»

97

Nota bibliografica

»

105

Decidere di mettere ordine Una regola di vita Essere vigilanti... ... E pregare nello Spirito Essere pazienti... ... E perseveranti Ricollocarsi in Cristo



A proposito di... La collana propone testi che, con l’ausilio di esperti, approfondiscono tematiche di particolare attualità nella vita della Chiesa e questioni emergenti nella prassi pastorale. Destinatari privilegiati: sacerdoti, operatori pastorali, religiosi e laici impegnati a vario titolo nella vita ecclesiale. 6. Giuseppe Alcamo (a cura di), La catechesi educa alla gioia evangelica. Riflessioni teologico-pastorali a partire dall’Esortazione Evangelii gaudium 7. Giuseppe Alcamo (a cura di), Far toccare Dio. La narrazione nella catechesi 8. Giuseppe Alcamo (a cura di), Con il cuore del Padre. Rivelazione di Dio e stile pastorale per la Chiesa 9. Alessandro Palermo, La Chiesa mediale. Sfide, strutture, prassi per la comunicazione digitale 10. Giuseppe Alcamo (a cura di), Nulla è più esigente dell’amore. La famiglia e le sfide di Amoris lætitia 11. Dino Negro, Parrocchia: lavori in corso. La sfida del cambiamento 12. Amedeo Cencini, « Abbracciare il futuro con speranza ». Il domani della vita consacrata 13. Gian Luigi Gigli, Vita e Famiglia. Antidoti all’omologazione culturale 14. Giuseppe Alcamo (a cura di), Educare all’« umanesimo solidale » per nuovi stili di vita 15. Penitenzieria Apostolica, Mi fai incontrare Dio? I giovani, la fede e la riconciliazione 16. Tonino Lasconi, « Il Signore se ne ride ». I cristiani non piangono 17. Massimiliano Padula, Comunica il prossimo tuo. Cultura digitale e prassi pastorale 18. Leoluca Pasqua, Il pettegolezzo. Tra malizia e superficialità 19. Giuseppe Alcamo (a cura di), La vita della Chiesa aurora di umanità alla luce di Gaudete et exsultate 20. Cristiano Bodo, Una voce chiama... Dio si rivela 21. Salvatore Purcaro, Abitare la creazione da fratelli per una conversione ecologica 22. Unione Internazionale Superiore Generali, Unione Superiori Generali, Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori (a cura di), Per una cultura della cura e della protezione. Nuove sfide per la vita consacrata 23. Leoluca Pasqua, Vincere la pigrizia. Per vivere e non sopravvivere


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La pigrizia è una malattia dell’anima che trascina nel baratro della tristezza e dell’inquietudine. Annebbia la coscienza, destabilizza le relazioni, deforma la percezione della realtà, spegne la passione per la vita. La pigrizia non fa vivere, ma sopravvivere, per questo va affrontata con serietà, conoscendone le cause, le manifestazioni e gli effetti, che produce non solo sulla persona, ma sull’intera società. Si può vincerla solo attraverso un cammino di risurrezione, disponendosi a lottare, ad amare e a sperare, per ritrovare il gusto e la gioia di vivere. Leoluca Pasqua (Corleone - PA, 1967), sacerdote della Diocesi di Palermo, attualmente è padre spirituale nel Seminario Arcivescovile di Palermo e Vicario episcopale. Ha scritto: L’ inganno della magia (2007); La preghiera che libera (2007); Lottare per vivere. Il combattimento spirituale (2008); Dal rancore al perdono (2015). Con Paoline ha pubblicato: Fatta per amore. La correzione fraterna (20172); Il pettegolezzo. Tra malizia e superficialità (20192). Alcuni dei suoi libri sono tradotti in diverse lingue.

ISBN 978-88-315-5467-1

€ 10,00


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