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1 La medicina dell’io
Un approccio alla meditazione non può prescindere dall’etimologia della parola. «Meditazione» deriva dal latino meditor, meditari (pensare, riflettere), forma iterativa (o frequentativa) del verbo medeor, mederi, che significa «curare, guarire» e che è strettamente legato al verbo greco meletao, che si può tradurre come «curarsi di qualche cosa», ma anche «riflettere, meditare».
È interessante notare come questa duplice valenza dell’originale termine greco si rifletta nelle accezioni dei due vocaboli latini. Ed è anche straordinario che da lì derivino i campi semantici afferenti: la mente e il pensiero da un lato, la medicina dall’altro. Quasi a volerci dire, simbolicamente, che la pratica della meditazione svolge un’azione guaritrice, che la meditazione può trasformarci nel medico di noi stessi. La meditazione è un medico che cura ciò che ci allontana dal nostro centro, perché infrange la lontananza, dissolve ciò che ci distanzia da noi stessi e ci riporta al nostro centro. Purifica il nostro io malato, il nostro ego. Ma andiamo per gradi. Comunemente noi occidentali siamo portati a credere che la pratica della meditazione sia un fenomeno esclusivamente connesso alle tradizioni spirituali dell’Estremo Oriente, che abbiamo mutuato grazie all’impegno di chi è venuto in contatto con esso, lo ha sperimentato, ha saputo farlo proprio e ha poi voluto trasmetterlo. In realtà le cose non stanno proprio così. Se torniamo indietro, alle origini dell’esperienza cristiana, possiamo constatare che le radici della meditazione si trovano anche nel percorso cristiano: i Padri del deserto non solo ne facevano uso, ma ne hanno affinato tecniche e metodi.