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Inquinamento mentale
Il nostro mondo è pieno di informazioni e di notizie diffuse dai grandi mezzi di comunicazione e, oggi, anche dai social network mediante il digitale di massa. Si tratta di un potere enorme che condiziona gli stili e i comportamenti a livello globale. Un taglio di capelli, un modo di vestire, un prodotto alimentare, una scelta di vita si globalizzano subito e diventano atteggiamenti e abitudini delle masse, da nord a sud e da est a ovest del pianeta.
Ho sottolineato nel libro Dipende da noi:
In questo mondo mediatico, purtroppo fa notizia il male e non il bene. E lo si può constatare spesso, come dice il poeta Lao Tzu: «Fa più rumore un albero che cade che un’intera foresta che cresce» 1 .
Ecco perciò la grande responsabilità dei mass media che, attraverso la loro programmazione giornaliera, martellano sulla testa della gente con notizie negative. Non solamente nei telegiornali, ma anche nei talk show televisivi, nei reality show e nei tanti film di azione violenta.
1 A. Sella, Dipende da noi. Idee e azioni di solidarietà intelligente in un’economia globale, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2017, p. 194.
E poi si aggiunge il web, con i social network che tendono a mettere nella piazza virtuale tante lamentele, ma anche a evidenziare soprattutto video e notizie di realtà problematiche e scandalose. Non manca tuttavia la responsabilità dei telespettatori, che a loro volta tendono a far aumentare l’audience di programmi con contenuti negativi: le risse mediatiche fanno grandi ascolti, come pure i film violenti. La stessa cosa fanno gli internauti cliccando su video e siti con contenuti in cui il male prevale sul bene. E c’è anche la responsabilità della tecnologia, in quanto gli algoritmi, a causa delle tante visualizzazioni, portano in primo piano quei video intrisi di negatività.
In tutto questo, i mass media sembrano interessati non tanto a informare quanto a influenzare i cittadini. È ancora molto vero ciò che disse tempo fa il grande educatore e profeta don Lorenzo Milani: «E qual è mai il giornale che scrive per il fine che in teoria gli sarebbe primario, cioè informare, e non invece per quello di influenzare in una direzione?» 2
Questione, questa, molto rilevante: influenzare invece che informare. In altre parole, significa non solamente provocare inquinamento mentale, ma anche generare un pensiero unico. L’inquinamento mentale accade perché si è formata una cappa di smog che fa respirare fatti, vicissitudini e storie pieni di negatività, pessimismo, tristezza e amarezza. La mente è la prima a esserne inondata, ma poi si paralizza tutto il corpo a livello psicofisico.
2 Ibid., pp. 195-196.
Secondo gli studiosi, infatti, questo inquinamento mentale è tossico in quanto produce un malessere psicofisico che può condurre a patologie anche serie e gravi.
C’è un fenomeno chiamato doomscrolling, che è la tendenza a cercare e far scorrere nella propria mente brutte notizie, digitandole e visualizzandole sullo schermo del cellulare o del tablet oppure facendo zapping con il telecomando del televisore 3. Un fenomeno che è aumentato durante la pandemia da coronavirus. Secondo gli esperti, è tipico delle persone depresse che cercano conferma alla propria visione negativa della realtà. La brutta azione attrae la nostra attenzione e ci soffermiamo volentieri, più che davanti a un’azione di bene. Basti pensare alla folla che si forma quando accade un incidente per strada oppure quando scoppia una rissa.
3 La rivista Focus ha dedicato uno speciale al fenomeno doomscrolling. Cfr. https://bit.ly/3DArciA (ultimo accesso 2 febbraio 2023).
In un suo articolo, Rosalba Miceli fa cogliere l’influsso delle notizie diffuse dai mass media e dai social network sul benessere psicologico della popolazione. Esiste un impatto dannoso, dichiara la professoressa, a causa delle emozioni suscitate dagli eventi cattivi e anche drammatici. Questo effetto non viene compensato dalle buone notizie perché queste sono poche e poco pubblicizzate. Miceli cita lo psichiatra Giorgio Maria Bressa, docente di Psicobiologia del comportamento presso l’Università Pontificia Salesiana di Viterbo, il quale sostiene che l’esposizione mediatica del cervello a brutte notizie genera due reazioni: una di indifferenza, con la perdita di empatia e compassione, un metodo difensivo per mantenere l’equilibrio e che passa attraverso un meccanismo di distacco, e un’altra che «assorbe» le negatività sviluppando ansia, insicurezza sino a depressione e attacchi di panico 4 .
Tale impatto negativo sulla nostra mente può essere rilevato attraverso un piccolo esperimento quotidiano. Verifichiamo come è stato il nostro sonno dopo aver visto, prima di andare a dormire, un film drammatico e di azio- ne violenta. Facciamo la stessa analisi del sonno dopo aver assistito a un film positivo e bello. Riusciremo a cogliere la differenza: nel primo caso il sonno è stato turbolento, mentre nel secondo è stato decisamente migliore. Si tratta di un piccolo esercizio per comprendere quanto le cattive o le buone notizie agiscano sul nostro essere a livello psico-fisico, generando malessere oppure benessere.
4 R. Miceli, Le cattive notizie sui media influiscono sulla salute mentale?, in La Stampa, 9 marzo 2012 (https://bit.ly/3wMHUaG, ultimo accesso 2 febbraio 2023).
Il periodo pandemico è stato un altro laboratorio nel quale abbiamo potuto constatare che il martellante notiziario di fatti negativi (la diffusione del virus con la sua alta pericolosità, i numeri quotidiani delle infezioni, le immagini di persone intubate, l’evidenziazione dei morti con le tante bare, il lockdown con la sua prigionia domestica, le numerose chiusure, la mancanza delle libertà primarie ecc.) ha generato nella popolazione una lunga serie di fattori preoccupanti: paure, ansie, solitudine e segregazione, conflitti a vari livelli, aggressività sociale e relazionale, depressioni e addirittura suicidi.
Le cattive notizie creano maggiore negatività nelle persone depresse e in quanti tendono al pessimismo, ma influenzano anche gli altri soprattutto quando vengono ripetutamente diffuse, provocando inquinamento mentale che attraversa le varie generazioni: dai bambini fino agli anziani.