Dialogo e Famiglia Giornale dell’unità pastorale delle Parrocchie Badia-Mandolossa e Violino N˚ 3 - Luglio 2015
Volgi a noi
il Tuo sguardo
in Gesù
Cristo
il nuovo umanesimo
Sommario Parola del Parroco Verso il progetto di unità pastorale. . . . . . . . . . . . pag. 3 Vita della Chiesa Firenze 2015: una Chiesa alla scuola del Concilio, in mezzo alla sua gente . . . . . . . . . » 5 Convegno Ecclesiale di Firenze: In Gesù Cristo il nuovo Umanesimo . . . . . . . . . . . »
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Alcuni commenti al documento preparatorio del convegno di Firenze. . . . . . . . . . . . »
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Expo: E noi come nutriamo il pianeta?. . . . . . . . . . . . » 13 “Laudato si”: l’enciclica di Papa Francesco. . . . . . . » 14 Vita dell’Unità Pastorale Verifica dei percorsi formativi: - Carità cristiana in cammino! - Percorso liturgico - Percorso famigliare . . . . . » 15 Il Nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale . . . . . . . . . . » 16 Avevano un cuore solo e un’anima sola . . . . . . . . » 18 Vita dei Quartieri Primo Maggio e apertura del 60° » 19 Festa anniversari matrimonio. » 20 A proposito di famiglia . . . . » 21 La comunità educativa degli oratori . . . . . . . . . . » 22 Una definizione di oratorio. . » 24 La sacra Sindone L’amore più grande . . . . . . » 26 La prima Riconciliazione . . . » 27 Party con lo SVI . . . . . . . . » 27
Redazione Don Raffaele Donneschi, Don Fausto Mussinelli, Elena Rubaga, Guerino Toninelli, Elena Vighenzi, Carlo Zaniboni.
Non aspettare di finire l’università, di innamorarti, di trovare lavoro, di sposarti, di avere figli, di vederli sistemati, di perdere quei dieci chili, che arrivi il venerdì sera o la domenica mattina, la primavera, l’estate, l’autunno o l’inverno. Non c’è momento migliore di questo per essere felice. La felicità è un percorso, non una destinazione. Lavora come se non avessi bisogno di denaro, ama come se non ti avessero mai ferito e balla, come se non ti vedesse nessuno. Ricordati che la pelle avvizzisce, i capelli diventano bianchi e i giorni diventano anni. Ma l’importante non cambia: la tua forza e la tua convinzione non hanno età. Il tuo spirito è il piumino che tira via qualsiasi ragnatela. Dietro ogni traguardo c’è una nuova partenza. Dietro ogni risultato c’è un’altra sfida. Finché sei vivo, sentiti vivo. Vai avanti, anche quando tutti si aspettano che lasci perdere. (madre Teresa)
Orari S. Messe Unità Pastorale Feriali:
da lun a giov ore 8.30: Badia da lun a ven ore 18.00: Violino ven ore 18.30: Badia
Festive:
sab ore 8.30: Lodi Mattutine sab ore 18.00: Violino
sab ore 18.30: Badia dom ore 8.00: Badia dom ore 9.00: Violino dom ore 10.30: Badia dom ore 11.00: Violino dom ore 17.00: Mandolossa dom ore 18.00: Violino
Contatti dei presbiteri della Unità Pastorale Parroco (don Raffaele Donneschi): Parrocchia San Giuseppe Lavoratore trav. Ottava,4 - Villaggio Violino tel. (segreteria parrocchiale) 030 312620 e-mail: raffado@alice.it www.parrocchiaviolino.it Curato (don Fausto Mussinelli): Parrocchia Madonna del Rosario via Prima, 81 - Villaggio Badia tel. 030 313492 - cell. 328 7322176 e-mail: donmussi80@gmail.com www.parrocchiabadia.it
Riferimenti per gli oratori: Oratorio San Filippo Neri via Prima, 83 - Villaggio Badia Oratorio Violino via Prima, 2 - Villaggio Violino
Foto in copertina: Particolare del volto di Cristo Pantocratore del Duomo di Monreale
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Parola del Parroco Verso il progetto di unità pastorale
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el Sussidio predisposto dalla nostra Diocesi per le parrocchie in ‘Cammino verso l’Unità Pastorale’ c’è una scheda, la N° 6, che tratta della ‘Progettazione Pastorale annuale’ dell’Unità Pastorale. Si sottolineano i seguenti aspetti: 1. Fare una progettazione pastorale annuale significa non tanto precisare cosa si vuole fare durante l’anno ma quali obiettivi o mete si vogliono raggiungere insieme con le comunità dell’UP. 2. La progettazione pastorale annuale si inserisce inevitabilmente nel progetto pastorale di più ampio respiro (quinquennale?) dell’UP, rispetto al quale identifica uno o più obiettivi intermedi da raggiungere in quell’anno.
È di questo ‘progetto pastorale di più ampio respiro’ che vogliamo accennare qui. Ci si potrebbe chiedere che senso abbia un progetto pastorale, come base per le attività di una comunità parrocchiale o, nel nostro caso, dell’Unità Pastorale. In fin dei conti si potrebbe anche pensare che nella normale attività di una parrocchia, non ci sia nulla da inventare: ogni ambito, da quello liturgico alla carità, dai giovani alla catechesi, seguono percorsi ben fissati, scanditi dai documenti del magistero e dalla prassi consolidata di anni di esperienza di chiunque sia chiamato a reggere la comunità. Ora, all’interno della comunità sono esercitati, a vario titolo, diversi servizi, o ministeri. Ci rendiamo conto,
L'armonia dell'unità
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però, che il servizio a qualcuno implica il conoscere il destinatario del proprio servizio. Ogni comunità è caratterizzata da una sua identità, fisionomia, modo di essere, che è frutto della propria “storia” e delle persone che si sono avvicendate al suo interno. Il progetto pastorale diventa, a questo proposito, uno strumento saggio ed indispensabile a cui tutti questi servizi devono fare riferimento; significa fermarsi in religioso ascolto della propria fisionomia di comunità, effettuare un vero discernimento comunitario per capire tutti insieme chi siamo, le nostre esperienze, le esigenze, le difficoltà e le aspettative di ogni ambito. È un cammino difficile ed impegnativo, che a volte richiede anni di riflessione, di analisi, di preghiera. «Se vuoi insegnare il latino a Pierino, più importante che conoscere il latino, è conoscere Pierino». Una espressione questa, che rende molto efficacemente l’importanza di un adeguato progetto pastorale. Senza avere ben chiara l’identità di una comunità, e nel nostro caso la questione si fa ancora più complessa perché le comunità sono due, ciascuna con la propria storia, con il proprio ‘vissuto’… si rischia in buona fede di mettere in atto iniziative e piani che non si armonizzano con la natura propria della comunità e dell’Unità Pastorale. Quanta fatica, quanti errori si possono commettere in questo senso: spesso iniziative riuscite brillantemente in alcune parrocchie, finiscono con il non funzionare in altre. È chiaro: il messaggio di salvezza e di amore di Cristo è sempre identico, ma ogni comunità è fondamentalmente diversa da un’altra. Basta pensare ai Vangeli, che trasmettono lo stesso messaggio, ma in modi e strutture radicalmente diversi: infatti non di-
ciamo “dal Vangelo di…”, ma “dal Vangelo secondo…”. Un buon progetto pastorale è la roccia su cui costruire il presente e, soprattutto, il futuro delle nostre comunità; riflettere sulla propria identità, sulla storia e soprattutto sulle persone che l’hanno scritta è indice di prudenza e sapienza, cioè spianare l’azione dello Spirito Santo. La tentazione di prevaricare tutto questo, è sempre in agguato: si pensa a fare, ed ogni giorno è un’emergenza. Occorre l’audacia e la sapienza dei santi, che hanno imparato a fidarsi dello Spirito e della sua azione. Da un solido progetto pastorale si può poi partire, anno per anno, con il piano pastorale: questo non è altro che l’attualizzazione, con l’attenzione ai segni dei tempi, del Vangelo annunciato, vissuto e pregato dentro una comunità che non è più anonima. Si realizza in questo modo la duplice presenza del Signore Risorto, nel pastore che guida e nel gregge che cammina. A settembre prossimo l’Anno Pastorale ricomincerà con i nuovi Consigli Pastorali Parrocchiali appena eletti: saranno certamente loro i principali promotori di questo Progetto Pastorale, ma non se lo dovranno inventare… sarà soprattutto il risultato della partecipazione più ampia di chi ha aderito al cammino di formazione dei vari ambiti, che continuerà anche nel prossimo anno, e di tutti coloro che con sensibilità pastorale vorranno mettere mano a questo Progetto. Don Raffaele
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Vita della Chiesa Firenze 2015: una chiesa alla scuola del Concilio, in mezzo alla sua gente
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irenze è il quinto appuntamento nazionale dopo Roma (1976), Loreto (1985), Palermo (1995) e Verona (2006). Programmi pastorali, cattolici, società e politica, si intersecano in questo itinerario di quattro decenni, mettendo in luce uno spicchio d’Italia su cui non è tempo perso soffermarsi. L’appuntamento romano a metà degli anni ’70 si celebra sulla spinta di una riflessione che trova nel referendum sul divorzio (maggio 1974) un tornante storico: l’Italia non è più un paese cattolico. Per la Chiesa significa una perdita di incidenza sulla società italiana, che pone un urgente problema di evangelizzazione. I principali artefici di questa linea furono monsignor Enrico Bartoletti (segretario Cei) e Paolo VI. Papa Montini spinse perché la parola d’ordine fosse: evangelizzazione. Così i documenti Cei degli anni ’70 portano praticamente tutti questo termine nel titolo, fino al convegno di Roma del 1976, “Evangelizzazione e promozione umana”. Si arriva agli anni ’80 e si comprende come, alla luce di un clima di divisione tra cattolici, la parola d’ordine dei programmi Cei diventa: comunione. “Comunione e comunità” è infatti il titolo del documento dei vescovi del 1981, accompagnato dalla famosa nota “Chiesa italiana e prospettive del Paese”, dello stesso anno. Ulteriore articolazione del quadro laicale si ha nel frattempo con il consolidamento sulla scena sociale del volontariato. In questo contesto si celebra il convegno di Loreto (1985). Il nuovo pontefice è Giovanni Paolo II e nel 1986 diventa segretario della Cei Camillo Ruini, che ne fu successivamente presidente dal 1991 al 2007. Proprio a Loreto papa Wojtyla chiese un netto cambiamento di rotta. In quel secondo convegno ecclesiale, intitolato significativamente “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini” (chiarissima eco delle divisioni), famoso resta il passaggio del discorso del pontefice venuto dalla Cortina di ferro: “Le strutture sociali siano o tornino a essere sempre più rispettose di quei valori etici in cui si rispecchia la piena verità sull’uomo”. Ogni diversità doveva passare in secondo piano rispetto a
questa priorità. Riprende fiato il tema dell’evangelizzazione con i nuovi orientamenti pastorali inaugurati da “Evangelizzazione e testimonianza della carità” (1990). I convegni ecclesiali sono altrettante « immagini di Chiesa ». Ovvero altrettanti luoghi in cui la Chiesa manifesta la sua natura profonda, si mostra per quello che è, a se stessa e al mondo: vivendo questi momenti la Chiesa italiana si è potuta conoscere, portando alla luce doni, energie, tensioni, potenzialità, limiti, prima in gran parte poco conosciuti. Grazie a questi convegni la Chiesa italiana è cambiata, è cresciuta, si è appropriata di dimensioni e di elementi altrimenti ignorati, poco valutati e apprezzati. Il Concilio Vaticano II sempre indicato come il grande faro, il punto di riferimento di tutta l’azione della Chiesa italiana; la nostra Chiesa italiana, una Chiesa fatta di molti volti, di molte istituzioni, di luoghi e di gruppi dalle molte sfaccettature; la società italiana vista come un mondo, una cultura e una storia non così facili da decifrare, spesso affrontate dentro un rapporto vissuto nei termini della sfida, del dialogo non così immediato e ricco di difficoltà. Infine il Concilio offre ai convegni ecclesiali anche il metodo di lavoro: la struttura della GS “vedere – giudicare – agire” viene assunta infatti come lo strumento ordinario di lettura e di interpretazione dell’azione. A proposito di trasformazioni, il grande elemento che ricorre in tutte le immagini e in tutte le fotografie dell’album
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dei convegni ecclesiali, è sicuramente la storia presente, il momento attuale che sta vivendo la società italiana, la cultura italiana. In tutti i convegni, la cultura è il termine di confronto: i convegni si aprono con la constatazione che viviamo in « una Italia che cambia » [Roma]; ci si prepara a Firenze convinti di trovarsi in « un mondo che cambia » e che ci lascia storditi per la rapidità e la profondità delle sue trasformazioni. Il debutto di questa storia, della Chiesa italiana a convegno presenta il dato positivo di una Chiesa che apprende lo strumento del “con-venire”: la fatica della diversità, il coraggio di non nascondere la differenze, il lento lavorío della costruzione di un cammino comune, la complessità dell’operazione di condivisione di una identità e di una memoria possedute non solo superficialmente e in modo estrinseco, ma appropriate dall’interno, come un nuovo volto di Chiesa. Firenze è una nuova fase della Chiesa italiana, una nuova stagione del suo “con-venire”: stemperate molte discussioni e molte tensioni, l’assemblea torna ad interrogarsi sul modo di intendere oggi la
missione, l’evangelizzazione, in un mondo e dentro la Chiesa che stanno conoscendo forti trasformazioni (si veda come esempio ciò che stava accadendo a livello politico). Si rilancia l’operazione del discernimento, si intuisce la portata storica, la necessità di un nuovo inizio (« non è più il tempo della gestione dell’esistente, ma della missione »), vengono indicati tre punti fermi: il radicamento nella Parola di Dio, letta nella Tradizione della Chiesa; una attenzione privilegiata ai giovani, e quindi alle tematiche della educazione e della formazione, come modo per preparare il futuro del volto storico del cristianesimo italiano; un rilancio del tema di una Chiesa “estroversa”, in missione, un rilancio del servizio verso i poveri come forma di testimonianza che rende credibile il messaggio di amore e la verità proclamata dalla Chiesa. Guardando la scheda cogliamo lo stile, gli orizzonti e il cuore di Francesco. E sui suoi passi dovremo farci tante domande per uscire dal ripetuto, per incontrare e dare dignità ai volti, specie ai poveri. È questa una fede che si viva concreta, politica.
Convegno Ecclesiale di Firenze:
IN GESù CRISTO IL NUOVO UMANESIMO
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artin Heidegger osserva che «nessuna epoca ha avuto, come l’attuale, nozioni così numerose e svariate sull’uomo. Nessuna epoca è riuscita come la nostra a presentare il suo sapere intorno all’uomo in modo così efficace ed affascinante, né a comunicarlo in modo tanto rapido e facile. È anche vero però che nessuna epoca ha saputo meno della nostra che cosa sia l’uomo. Mai l’uomo ha assunto un aspetto così problematico come ai nostri giorni». Sul problema dell’uomo si è concentrata l’attenzione di tutti gli umanesimi, passati e recenti, laici e cristiani, atei e religiosi, borghesi e marxisti. Effettivamente la storia degli ultimi due secoli non è stata altro che la storia di una serie ininterrotta di tentativi di realizzare una società su modelli umanistici non cristiani. Pertanto, la parola “umanesimo” porta con sé una certa carica di ambiguità. Ricordate come Papa Francesco insiste fortemente in ogni occasione sulla cultura dello scarto: si scartano coloro che la vita ha già messo in un angolo, si scartano i bambini, si scartano gli anziani, si scartano i giovani (in modi violenti nelle due Americhe, privandoli di lavoro e futuro in Europa). Di fronte a questa realtà problematica, sta il messaggio positivo della fede cristiana che conduce i creden-
DialogoeFamiglia ti a rispondere alla crisi antropologica in atto con la proposta di un umanesimo capace di dialogare col mondo, perché profondamente radicato nell’orizzonte di una visione cristiana dell’uomo. Un dialogo che non può prescindere dai linguaggi contemporanei, compreso quello della scienza e della tecnica, ma che non li rende assoluti, bensì li integra con quelli dell’arte, della bellezza e della liturgia, che è per eccellenza il linguaggio della fede. E occorre ripartire da una vera e propria «emergenza educativa», «il cui punto cruciale sta nel superamento di quella falsa idea di autonomia che induce l’uomo a concepirsi come un “io” completo in se stesso, laddove, invece, egli diventa “io” nella relazione con il “tu” e con il “noi”». Il tu e il noi – vale a dire gli altri – nell’epoca in cui viviamo, sono spesso avvertiti come una minaccia per l’integrità dell’io. Vedi le tensioni attuali (pilotate) verso i migranti. Vedi l'affermarsi della teoria del gender che non pone la sessualità come elemento di dialogo, incontro, affetto, vita. Ma come scelta mutevole. La difficoltà di vivere l’alterità fondata sulla gratuità e fraternità emerge anche dalla frammentazione della persona, dalla perdita di tanti riferimenti comuni e da una crescente incomunicabilità. Su questo punto la tradizione cristiana ha sempre sottolineato il mistero del Dio fatto uomo, il Verbo del Padre, l’uomo Gesù di Nazaret in cui Dio e uomo si congiungono in una unità indissolubile e indivisibile. Già Teofilo di Antiochia affermava nel dialogo con chi non credeva in Cristo: «Tu mi dici: mostrami il tuo Dio ed io ti dirò: mostrami il tuo uomo e io ti mostrerò il mio Dio. Mostrami dunque che vedono chiaro gli occhi della tua anima e che bene intendono gli orecchi del tuo cuore» (Ad Autolico I). Davvero conviene fidarsi di Cristo Gesù, poiché – come ci ricorda il Concilio – «chiunque segue Cristo, uomo perfetto, diventa anche lui più uomo» (Gaudium et Spes, 41). È su queste premesse che si innesta il tema del prossimo Convegno ecclesiale di Firenze: “In Gesù Cristo, il nuovo umanesimo”. La verità dell’uomo in Cristo non è opprimente e nemica della libertà: al contrario, è liberante, perché è la verità dell’amore che si dona in perdita verso ogni persona che ne necessita e in cui risplende il volto stesso del proprio Dio e uomo. Il Convegno ecclesiale nazionale si sta preparando e probabilmente si svolgerà anche in un tempo segnato ancora da gravissime situazioni di povertà crescente, difficili da affrontare da parte di tante persone e famiglie, imprese e lavoratori. Oltre al giusto sostegno delle numerose realtà di volontariato o di cooperative sociali che operano giorno per giorno per farsi carico di dare risposte appropriate a chi chiede beni anche fondamentali per la stessa sopravvivenza, oltre che per la mancanza di lavoro, di casa, oltre che qualificare sempre più i servizi, emerge che la persona necessita oggi più che mai di accoglienza, di dialogo, di relazioni cariche di condivisione e di
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amore disinteressato e sincero che aiuti a ritrovare speranza e forza in se stessi. Attiviamo una presenza capillare nel quotidiano delle strade, delle case, degli androni dei palazzi, dei luoghi dove ci sono i poveri, tra la gente, per attivare quella micro solidarietà del dono di sé e dell’interscambio di cui tutti ci si può fare carico. In sintesi, credo che il Convegno potrà far emergere come fattore decisivo del suo messaggio alcuni obiettivi che il decennio sull’educazione sta facendo maturare e che vanno dunque sostenuti da tutti i soggetti ecclesiali come la Caritas. Essi sono: − la crescita di una spiritualità di comunione che veda ogni soggetto ecclesiale mirante alla valorizzazione delle risorse e progetti dentro un quadro di riferimento più ampio di se stesso; − Gesù Cristo, che sta al centro di questo quadro comune di riferimento con la sua piena umanità che salva e redime chi l’accoglie nella fede e la vive nella carità; − lo sforzo di legare sempre insieme nella pastorale di annuncio i tre pani che rivelano e donano Gesù Cristo: il pane della Parola, quello dell’Eucaristia e quello della Carità. − da qui, la necessità di mantenere vivo e forte il richiamo per gli operatori e volontari del mondo del sociale e della educazione, oltre che sulla qualità del loro impegno, ad essere e a vivere da cristiani per nutrirsi dei tre pani e dunque di Cristo e donarlo con spirito gratuito e disinteressato. Anche ogni operatore della carità e volontario deve sentirsi un evangelizzatore sulla frontiera più avanzata della missione della Chiesa; − l’impegno della Chiesa tutta, vescovo in primis, a consolidare la responsabilità circa il fare carità, dunque non solo da parte di alcuni uffici o specialisti che se ne fanno carico a suo nome. Dei poveri tutti dobbiamo interessarci e non solo in modo virtuale, ma reale e permanente Il Convegno, poi, dovrà anche favorire una seria verifica per le nostre Chiese, chiamate a misurarsi sulle vie concrete dell’amore ai poveri e con i poveri, perché ne va della credibilità della loro testimonianza di Gesù Cristo e del loro impegno di conversione continua al vangelo dell’amore.
Don Mario
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Alcuni commenti al documento preparatorio del Convegno di Firenze
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a redazione ha chiesto ad alcuni parrocchiani di leggere e di fare un commento personale alle domande di riflessione che il documento in preparazione al Convegno offre: eccovi le risposte, con l’auspicio che ognuno, leggendo, sia stimolato alla riflessione personale e alla condivisione comunitaria. Per maggiore chiarezza riportiamo di seguito le domande da cui sono partite le riflessioni dei parrocchiani interpellati.
1. Come far si che i cambiamenti demografici, sociali e culturali, con i quali la Chiesa italiana è chiamata a misurarsi, divengano l'occasione per nuove strade attraverso cui la buona notizia della salvezza donataci dal Dio di Gesù Cristo possa essere accolta?
2. Le comunità cristiane stanno rivedendo la propria forma per essere comunità di annuncio del Vangelo? Sono capaci di testimoniare e motivare le proprie scelte di vita, rendendole luogo in cui la luce dell'umano si manifesta al mondo? Sono in grado di generare un desiderio di "edificare e confessare", esprimendo con umiltà
Annunciazione, Beato Angelico (Foto tratta dal documento)
ma anche fermezza la propria fede nello spazio pubblico, senza arroganza ma anche senza paure e falsi pudori? Sanno accendere nel credente la ricerca attiva di momenti di comunione vissuta, nella preghiera e nello scambio fraterno? Sanno vivere e trasmettere una predilezione naturale per i poveri e gli esclusi, e una passione per le giovani generazioni e per la loro educazione? 3. Come disegnereste il futuro del cattolicesimo italiano, erede di una grande tradizione caritativa e missionaria, tenendo conto delle sfide che i mutamenti in atto ci pongono innanzi? Negli anni '80, per dare futuro a questa tradizione di una Chiesa radicata tra i poveri, i vescovi italiani lanciarono un imperativo: "Ripartire dagli ultimi".Come tener fede, oggi, a questa promessa? 4. Come possono le comunità radicarsi in uno stile che esprima il nuovo umanesimo? Come essere capaci, in una società connotata da relazioni fragili, conflittuali, ed esposte al veloce consumo, di costruire spazi in cui tali relazioni scoprano la gioia della gratuità, solida e duratura, cementate dall'accoglienza e dal perdono reciproco? Come abitare quelle frontiere in cui la sterilità della solitudine e dell'individualismo imperante finisce in una nuova vita e in una cultura di persone generanti? 5. Proviamo a rileggere assieme i passi compiuti dopo il Concilio per rendere le nostre liturgie capaci di esprimersi e di parlar dentro la cultura di oggi. Le nostre celebrazioni domenicali sono in grado di portare il popolo ancora numeroso che le celebra a vivere quest'azione di trasfigurazione della propria vita e del mondo? La Conferenza Episcopale italiana ha appena pubblicato un testo sull'annuncio e la catechesi: come introduciamo e educhiamo alla fede un popolo molteplice per provenienza storia, culture? Quanto l'attitudine filiale di Gesù col Padre - espressa nel suo stile di preghiera e nella sua consegna a noi nel sacramento dell'Eucarestia -, quanto lo stile della cura del Maestro di Nazareth, lo stile della misericordia di Dio Padre operante in Gesù stesso, è diventato l'ingrediente principale del nostro essere uomini e donne di questo mondo?
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aprirsi e dialogare con tutti e ogni cristiano dovrebbe offrire il proprio contributo. Quante volte ci lasciamo invece trascinare da chiacchiericci e sterili discussioni! 5. La celebrazione domenicale è il momento in cui ognuno di noi è in comunione con Dio e la comunità intera: è il centro della vita comunitaria, la nostra “ricarica” settimanale. Ricaricati nella fede , da ogni Santa Messa dovremmo uscire tutti con gioia e felicità “contagiose” per le persone che incontriamo nella vita quotidiana. Elena I. Silvano 1. Davanti ai cambiamenti che la nostra società si trova ad affrontare abbiamo il Vangelo che ci mostra la via da seguire. La parola di Gesù ha passato i secoli senza “passare di moda”: è moderna e attuale ad ogni periodo storico . Lasciandoci guidare dalla parola del Vangelo ogni cambiamento sociale o culturale sarà per ognuno di noi una nuova opportunità per migliorare noi e la nostra comunità. 2. La comunità ha bisogno della guida dei sacerdoti. A loro è affidato il compito di accendere nei fedeli la voglia di diventare testimoni del messaggio di Cristo nella vita quotidiana. I centri d’ascolto che abbiamo vissuto quest’ultimo anno sono stati una novità concreta di comunità che annuncia il Vangelo con umiltà fuori dai “muri fisici” della chiesa . Come i rami legati tra loro ad un unico albero, i centri d’ascolto dovrebbero aprirsi a nuovi spazi, nuovi periodi temporali e nuove realtà, magari coinvolgendo le generazioni più giovani. 3. Il futuro è nelle mani dei giovani che saranno la Chiesa di domani. Negli ultimi anni però assistiamo ad un allontanamento prematuro dei nostri giovani dalla catechesi e dalla Santa Messa, momenti fondamentali per la crescita di ogni cristiano. A questo proposito credo che sia giusto fare una profonda riflessione sul fatto che la nuova iniziazione cristiana ha “accorciato” gli anni di catechesi anticipando il momento della Confermazione ad un età che è forse ancora troppo “acerba e piena di distrazioni” per i nostri ragazzi. 4. Educare e comprendere sono il modo per capire le divisioni e i conflitti che ci circondano. Ho sempre pensato che le barriere servono a dividere più che a proteggere. Una comunità dovrebbe
1. Io penso che la Chiesa, intesa come la comunità dei credenti, debba avere la capacita' di ascoltare e dialogare con qualsiasi persona, sia essa credente, non credente, di altra religione o con una fede affievolita che chiede di essere riaccesa, mostrando il volto della misericordia e dell'accoglienza anche di fronte ad atteggiamenti non conformi alla parola del Signore. Cio' non significa che un credente debba accettare acriticamente tutto quello che una persona pensa, dice o compie: un credente deve avere la capacita' e il coraggio di dire all'altro "guarda che stai sbagliando" ma deve anche saper indicare la via della conversione, del perdono e della salvezza grazie all'amore infinito di Dio. 2. Indubbiamente le mutate condizioni della nostra societa' implicano anche da parte delle comunita' cristiane un cambio nel proprio operato: se un tempo era la gente che veniva in chiesa ed essere cristiani era un aspetto naturale, ovvio, quasi scontato, nella vita di una persona, oggi e' la chiesa che deve uscire e andare dalla gente. A questo riguardo ritengo che l'esperienza dei centri di ascolto sperimentata nelle nostre parrocchie rappresenti un primo tentativo di nuova evangelizzazione. Sicuramente il cammino è lungo e faticoso: le comunita' cristiane sono formate da uomini con difetti e debolezze che non sempre sono in grado di vivere in coerenza con il Vangelo, preferendo adattarsi al pensiero comune piuttosto che andare controcorrente, per cui spesso non si nota differenza tra l'atteggiamento di un credente e quello di un non credente. L'annuncio dei valori evangelici richiede coraggio e fermezza: i valori non possono essere relativizzati a seconda delle proprie esigenze e comodità, ma vanno sempre vissuti e seguiti in ogni circostanza. Per fare questo ci vuole tanta forza di volontà, tanta umiltà per saper riconoscere i propri errori e ricominciare e per non assumere un atteggia-
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DialogoeFamiglia Sagrato della Basilica di S. Croce (Foto tratta dal documento)
mento da primi della classe, oltre alla capacita' di affidarci allo Spirito Santo che e' il nostro navigatore verso la meta: la salvezza. 3. Reputo ancora attuale la sfida dei vescovi "Ripartire dagli ultimi" perche' ritengo che partire dagli ultimi stia alla base della nostra fede e dell'insegnamento di Gesu' cosÏ come penso che, tra i vari "compiti" della Chiesa e delle comunita' cristiane, aiutare in termini concreti e pratici i fratelli meno fortunati sia uno dei compiti piu' semplici perche' ancora sentito dalla gente (penso alle varie raccolte missionarie, alle raccolte di abiti usati e di cibo per la Caritas,...). Certo, però, che se una volta ultimi erano considerati i popoli dei paesi del terzo mondo, oggi questa parola ha cambiato "contenuto": oggi la sfida si gioca in casa, nei nostri territori e non si tratta di dare semplicemente un aiuto materiale ma anche e soprattutto un sostegno morale alle fragilità quotidiane. La grande tradizione caritativa del cattolicesimo italiano, secondo me, oggi deve porre in primo piano il dono dell'amore, della considerazione dell'altro per come è, dell'accoglienza e dell'ascolto. Senza disdegnare un buon piatto di pasta e un buon bicchiere di vino. 4. Penso che per questi tutti "come" vi sia un'unica
risposta: educare all'amore. L'amore vero, sincero che non considera l'altro come una proprieta' su cui si ha l'esclusiva ma come un dono da curare e da rispettare. Solo da un amore sano possono nascere relazioni forti, in grado di superare le tempeste della vita, di saper accettare i difetti dell'altro, di perdonare gli errori e le mancanze reciproche, di gioire insieme all'altro, di generare nuova vita e nuovo amore. 5. Ritengo che le nostre celebrazioni domenicali, per quanto non perfette, siano in grado di farci vivere il mistero della salvezza, di un Dio che muore per salvarci e liberarci dal male. Forse sarebbe opportuno prevedere una specifica formazione sui vari momenti della Messa, per aiutarci a comprendere ancora meglio quello che celebriamo nella liturgia eucaristica, incominciando fin dal cammino di iniziazione cristiana dei ragazzi che spesso vengono a Messa senza sapere cosa stanno vivendo e senza comprenderne il significato. Inoltre penso che una maggiore conoscenza della Messa possa essere utile agli adulti per vivere la Messa quotidianamente, per poter operare nel mondo secondo lo stile di Dio: con misericordia, con la capacitĂ di condivisione e di solidarieta' e con la spinta alla conversione del cuore.
DialogoeFamiglia Grazia Basterebbe ricordare e ripetere in continuazione queste poche parole “Padre nostro che sei nei cieli …” Basterebbe questo per ricordare che l’esperienza che tutti abbiamo in comune, padri, madri, insegnanti, dottori e avvocati, psicologi e operai, è quella di essere figli: figli di un Dio grande nei Cieli e di un padre putativo sulla Terra. Basterebbe questo per ricordarci che siamo tutti fratelli e per vivere questo nuovo obbligatorio Umanesimo, in Gesù Cristo. Emergenze e fragilità nuove richiamano l’uomo a uno dei suoi bisogni primari: quello della relazione con persone che siano capaci di essere fratelli, amici, veri compagni di strada. Il nostro mondo, in continua trasformazione, troppe volte snatura i sentimenti e i legami, li riduce ad affetti “usa e getta”, a contatti sul cellulare. Ce lo ricorda papa Francesco, con la sua sfacciata ovvietà nella Evangelii gaudium: è la «responsabilità grave» di «tutte le comunità ad avere – come aveva affermato Paolo VI (Ecclesiam suam19) – una sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi».
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Come far sì che i cambiamenti demografici, sociali e culturali, con i quali la Chiesa italiana è chiamata a misurarsi, divengano l’occasione per nuove strade attraverso cui la buona notizia della salvezza donataci dal Dio di Gesù Cristo possa essere accolta? Cura e preghiera. Sono queste le due parole che descrivono l’atteggiamento di Gesù: Lui si prendeva cura degli uomini (li curava) e pregava Suo padre. Così deve essere per noi. Ne saremo capaci? L’uomo, a partire dal primo originario Umanesimo, ne è stato capace e ha saputo costruire cattedrali e opere che ancora oggi resistono ai segni del tempo. Non solo costruzioni di cemento, ma soprattutto edifici spirituali. Secoli ricchi di santi e di gente comune che hanno saputo vivere gli uni accanto agli altri. Non si tratta di ripartire da zero perché la storia dell’uomo e in particolare del Cristianesimo si innesta su una linea del tempo che ha duemilaquindici anni. Avanti, allora, mettendo i piedi nelle impronte di chi prima di noi ha saputo guardare, accogliere, costruire …
La Chiesa e la città
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Charles Péguy, Il mistero dei santi innocenti Io sono il loro padre, dice Dio. Padre nostro, che sei nei cieli. Mio figlio l’ha detto loro abbastanza, che sono il loro padre. Io sono il loro giudice. Mio figlio l’ha detto loro. Sono anche il loro padre. Sono soprattutto il loro padre. Infine sono il loro padre. Colui che è padre è soprattutto padre. Padre nostro che sei nei Cieli. Colui che è stato una volta padre non può più essere che padre. Essi sono i fratelli di mio figlio; sono miei figli; sono il loro padre. Padre nostro che sei nei cieli, mio figlio ha insegnato loro questa preghiera. Sic ergo vos orabitis. Pregherete dunque così. Padre nostro che sei nei cieli, ha ben saputo quel che faceva quel giorno, mio figlio che li amava tanto. Che ha vissuto tra di loro, che era uno come loro. Che andava come loro, che parlava come loro, che viveva come loro. Che soffriva. Che soffrì come loro, che morì come loro. E che li ama tanto dopo averli conosciuti. Che ha riportato nel cielo un certo gusto dell’uomo, un certo gusto della terra. Mio figlio che li ha tanto amati, che li ama eternamente nel cielo. Ha ben saputo quel che faceva quel giorno, mio figlio che li ama tanto. Quando ha messo questa barriera fra loro e me. Padre nostro che sei nei cieli, queste tre o quattro parole. Questa barriera che la mia collera e forse la mia giustizia non supereranno mai. Beato chi s’addormenta sotto la protezione dei bastioni di queste tre o quattro parole. Queste parole che camminano davanti a ogni preghiera come le mani di chi supplica camminano davanti alla sua faccia. Come le due mani giunte di chi supplica avanzano davanti alla sua faccia e alle lacrime della sua faccia. Queste tre o quattro parole che mi vincono, me, l’invincibile. E che loro fanno venire davanti alla loro miseria come due mani giunte invincibili. Queste tre o quattro parole che s’avanzano come un bello sperone davanti a una povera nave. E che fendono l’onda della mia collera. E quando lo sperone è passato, la nave passa, e dietro tutta la flotta. Adesso, dice Dio, è così che li vedo; E per tutta l’eternità, eternamente, dice Dio. Per questa invenzione di mio Figlio eternamente è così che bisogna che io li veda. (E che bisogna che io li giudichi. Come volete, adesso, che io li giudichi? Dopo di questo.) Padre nostro che sei nei cieli, mio figlio ha saputo sbrigarsela molto bene. Per legare le braccia della mia giustizia e per slegare le braccia della mia misericordia. (Non parlo della mia collera, che non è mai stata altro che la mia giustizia. E qualche volta la mia carità.) E adesso bisogna che io li giudichi come un padre. Per quel che può giudicare, un padre. Un uomo aveva due figli. Per quel che è capace di giudicare.
Un uomo aveva due figli. Si sa bene come giudica un padre. Ce n’è un esempio ben noto. Si sa bene come il padre ha giudicato il figlio che se n’era andato e che è ritornato. Era ancora il padre che piangeva di più. Ecco cosa ha raccontato loro mio figlio. Mio figlio ha svelato loro il segreto del giudizio stesso. E adesso ecco come mi sembrano; ecco come li vedo; Ecco come sono obbligato a vederli. Come la scia di un bel vascello va allargandosi fino a sparire e a perdersi. Ma comincia con una punta, che è la punta stessa del vascello. Così la scia immensa dei peccatori s’allarga fino a sparire e a perdersi. Ma comincia con una punta, ed è questa punta che viene verso di me, che è volta verso di me. Comincia con una punta, che è la punta stessa del vascello. E il vascello è il mio stesso figlio, carico di tutti i peccati del mondo. E la punta del vascello son le due mani giunte di mio figlio. E davanti allo sguardo della mia collera e davanti allo sguardo della mia giustizia Si sono tutti nascosti dietro di lui. E tutto quest’immenso corteo di preghiere, tutta questa scia immensa s’allarga fino a sparire e a perdersi. Ma comincia con una punta ed è questa punta che è volta verso di me. Che avanza verso di me. E questa punta sono queste tre o quattro parole: Padre nostro, che sei nei cieli; mio figlio in verità sapeva quello che faceva. E ogni preghiera sale a me nascosta dietro queste tre o quattro parole.
Pietà di Michelangelo, S. Maria del Fiore
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EXPO: e noi come nutriamo il pianeta?
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fine giugno abbiamo visitato l'Expo milanese per la prima volta. Noi che amiamo viaggiare per il mondo in camper, abbiamo fatto il giro del mondo in 12 ore, o almeno "un assaggio". La sorpresa più grande è stato constatare che finalmente tutte le nazioni, forse spinte più dalla spending review che da uno spirito cristiano e solidale, si stanno orientando verso soluzioni di economia alimentare sostenibile e l'Expo ci offre alcuni spunti in merito. Sono presenti nove cluster tematici che hanno sviluppato i temi dell'agricoltura e dell'alimentazione nelle zone aride, la bio-diversità, il recupero della stagionalità degli alimenti, l'importanza di utilizzo delle spezie e dei legumi, la necessità di ridurre il consumo del junk food, l'importanza di non sprecare acqua nelle nostre abitazioni e nell'uso quotidiano e le possibili applicazioni di agricoltura anche dove sembra impossibile. Vedasi ad esempio le coltivazioni su parete verticale nelle zone aride. E poi ci sono i padiglioni in cui si riscoprono le tecniche di conservazione del cibo secolari, come la conservazione sotterranea in onci, la fermentazione, l'essicazione. Tutti noi nel quotidiano possiamo abituarci alla stagionalità (vedasi i gruppi di acquisto biologici e solidali a km zero), a cucinare l'essenziale per i presenti a tavola, in modo da non far mancare nulla, ma anche da non sprecare nulla. Dobbiamo riappropriarci delle ricette creative del riuso del cibo avanzato e proporlo con fantasia in famiglia il giorno dopo. Dobbiamo aumentare il consumo di alimenti poco raffinati, semplici e introdurre più legumi nella dieta. Vi siete mai chiesti come mai non ci sono obesi nei paesi in via di sviluppo? Casualmente consumano più legumi, più cereali grezzi, più spezie, più frutta! Loro non possono scegliere e magari necessiterebbero di una succosa bistecca ogni tanto o di un dolce, ma noi possiamo iniziare a ridurre il nostro consumo quotidiano in modo che ci siano più risorse per tutti. E se poi spendiamo migliaia di euro per far svolgere sport a tutta la famiglia, perché non provate a fare 1 ora di spinning o tapis rullant all'expo donando pasti in proporzione alle calorie che brucerete? Fantastico, vero? ... la dimostrazione che non serve avere conti in banca gonfi per donare a chi è più bisognoso. E se riducessimo gli imballaggi, imparassimo di nuovo a cucire e a riadattare abiti di buona fattura, se riducessimo la catena di acquisto e favorissimo l'ap-
provvigionamento di mense dei poveri da parte delle catene di supermercati che buttano il cibo prossimo alla scadenza? Tanti già lo fanno, ma non basta. Se lo facessimo tutti partendo dalla nostra piccola economia domestica, il successo sarebbe mondiale. E se imparassimo a conoscere le altre culture attaverso il rispetto e l'apertura a nuovi cibi anche sconosciuti? Utilizziamo la tecnologia per conoscere le proprietà organolettiche dei cibi quando li scegliamo prima di acquistarli e senza pregiudizio sugli alimenti che non conosciamo. E l'Expo in questo vi offre l'occasione di contaminarsi con odori, colori e sapori nuovi. Non abbiate paura a giocare con i 5 sensi e a approcciarvi al cibo e alla vita con l'entusiasmo e la voglia di scoprire di un bambino. E non dite "mio figlio non mangerà mai questo cibo", perché siete voi stessi con la chiusura e il pregiudizio per la non conoscenza del diverso, a condizionarne il giudizio e a non dare l'esempio. La novità fa paura a molti, ma è sempre un'opportunità, se ci poniamo in ascolto e apertura. E anche se alcuni sponsor sono quelli del "cibo spazzatura", è un dovere cristiano rimettersi tutti in discussione sulle nostre abitudini alimentari e casalinghe. E vedrete che il beneficio che ne trarremo in salute sarà solo lo specchio della piccola goccia che cadrà in mare per gli altri, con una vita più sostenibile per tutti. Divertitevi, aprite la mente, vivete emozioni sensoriali, condividete la vostra esperienza. Buona Expo, di voi stessi in primis!
Cinzia Belotti
Expo: il progetto CARITAS italiano
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LAUDATO SÌ L'enciclica di Papa Francesco SALVARE IL MONDO SENZA SCARICARNE IL PESO SUI POVERI Una enciclica. Sulla cura della casa comune, il creato. È da presuntuosi volerne parlare. Ma se posso invogliare alla lettura provo a fare una breve sintesi. Davvero il Papa fa la figura del piccolo Davide di fronte alla complessità dei problemi del creato. Fa la figura del nanerottolo davanti alle mega multinazionali e ai loro interessi. E non mi sorprenderebbe che abbiano tentato di bloccare o raddolcire il testo del pontefice. Ma è davvero con la fede di Davide che Francesco ha l’ardire di parlare con forza di temi complessi ed essenziali. E lo fa con affermazioni di spessore e di prospettiva straordinari: salvare il creato non è per ritornare al mondo del “mulino bianco” o ai “fondali” dei mari esotici. E’ l’uomo che è chiamato a custodire ogni uomo, specie il più povero. Specialmente perché il povero non può difendersi quando vede disboscato il suo ambiente, quando non incontra più quel ciclo vitale di alberi e animali, di aria e di acqua che la violenza della tecnica ha già distrutto. E povero è l’uomo delle megalopoli industriali a cui cibo, aria e acqua sono motivo di malattia e di morte. Povere sono quelle popolazioni a cui è portata via la propria identità culturale perché tutti siano uguali a tutti, restando al margine fino allo scarto dei processi attivati da meccanismi anonimi, ma ben programmati. Ecco dice il Papa: è una visione della vita, della economia, della politica che va cambiata. E parla di autentica rivoluzione ecologica. Perché ogni uomo e il creato tornino a vivere per l’oggi e per il domani. E così definisce i punti basilari del suo pensiero, sviluppati nel testo della enciclica: “L’intima relazione tra poveri e fragilità del pianeta; la convinzione che
tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano della ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita”. (16) Su due ultimi elementi mi voglio soffermare (altri in altro tempo). Il primo riguarda la dimensione religiosa della custodia del creato: dimensione che chiede di leggere in modo non scontato le parole della Bibbia, andando ben lontano dall’uomo condannato al lavoro della terra o padrone della terra e degli animali. Per fare un cammino religioso che diventa educazione/formazione, spiritualità e impegno sociale e politico. Più volte Francesco richiama al coraggio di questo percorso, a non far finta di niente, a non rassegnarsi. Ed è un richiamo forte anche alle nostre comunità cristiane molto impegnate e molto disattente. Per secondo emerge con forza la visione di Chiesa tipica di Francesco, la Chiesa popolo. Popolo che soffre, popolo che si organizza, popolo che interroga, popolo che invoca, che prega, che ogni domenica si ritrova nella Eucarestia per proclamare l’unico Signore e Redentore. Popolo che è consapevole di non essere schiavo né della tecnica politica, aziendale, finanziaria, culturale. La domenica è giorno di Dio, dell’uomo, del creato e della loro libertà. Mi auguro che l’enciclica la leggiamo: insieme nei nostri gruppi, non da soli in poltrona. Problemi non mancano anche da noi: l’aria, la cementificazione, il traffico, aree dismesse, il verde, il lavoro per i giovani, cercare nuovi stili di consumo. Sono convinto che può crescere la sensibilità e sensibilizzazione anche nella Brescia Ovest.
Don Mario
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Vita dell’Unità Pastorale
VERIFICA DEI PERCORSI FORMATIVI Carità cristiana in cammino
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i viene da dire “Unità Pastorale in cammino …. Carità Cristiana in cammino…!”,così sta per nascere la Commissione Pastorale della Carità Badia-Violino. Il percorso è iniziato con l’adesione di alcuni abitanti dei nostri villaggi alla proposta parrocchiale formativa per animatori della Carità in vista della costituzione delle Commissioni pastorali e di servizio all’Unità Pastorale. E’ stata una prima verifica all’interno degli ambiti parrocchiali Badia-Violino della sensibilità verso la Pastorale Caritativa, Missionaria,Sociale. La risposta all’ invito non è stata deludente, anzi, si è riunito un gruppo di circa 20 persone composto da chi è già presente e operoso sul territorio in attività di aiuto e attenzione al “prossimo” e da chi, invece, si è seduto al tavolo come primo approccio in tale ambito. Gli incontri (Laboratorio di Carità) si sono svolti fra aprile/maggio alla guida di un formatore incaricato dalla Caritas Diocesana, il Sig.Diego Mesa, che ci ha accompagnati e guidati in un percorso di riflessione relativo alla nostra scelta di essere seduti al “tavolo” della Carità Cristiana indirizzando il nostro sguardo anche alla Parola di Dio.
La necessità di guardare alla Carità sull’esempio di Gesù è indispensabile per capire in che direzione andare e per comprendere che la Carità cristiana è certamente un “fare “ qualcosa per il “prossimo” vicino e lontano” ma è anche, e soprattutto, il mettersi in “Ascolto” per divenire capaci di percepire i bisogni reali che si celano fra le persone, (adulti giovani e anziani) che vivono tra le case e le strade dei nostri villaggi.Il desiderio è riuscire a leggere le nostre realtà anche grazie all’aiuto di tutta la comunità che dovrebbe essere attenta e sensibile alle povertà che le appartengono! Costruire relazioni vere per comprendere i bisogni e mettersi in cammino partendo dalle attività caritatevoli già presenti nelle nostre realtà parrocchiali di Badia e Violino; questi saranno i primi timidi passi che muoverà la Commissione Pastorale della Carità Badia-Violino che si sta istituendo. Come ha detto il nostro parroco Don Raffaele, fare Carità non è un fare ma un “ESSERE” Carità che non smette mai di formarsi perché è un fare/formandosi e un formandosi/ facendo.
Grazia Giuliani
Percorso liturgico
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na messa. Mercoledì c'è la messa, non c'è l'incontro. Ma come? Alla fine del cammino durato mesi, celebriamo la messa. Ma siamo chiamati a viverla tenendo presente tutto quello che abbiamo imparato. Quante cose nuove, rispolverate, mai sentite, anche solo mai ragionate forse per superficialità, abitudine, disattenzione. Quante cose non si sanno o non si ricordano. Questo corso di formazione (percorso ambito catechistico-liturgico-educativo) è stato un valido e illuminante aiuto nel riscoprire i momenti della S. Messa. Sono
Pane spezzato per noi, M. Rupnik, Cappella Preziosissimo Sangue
stati analizzati e spiegati: non c'è una parola, un gesto, un canto che non abbia il proprio significato e nulla è a caso. È sicuramente impegnativo partecipare agli incontri di formazione la sera; sembrava di essere a scuola di teologia. Quando, però, c'è un relatore in gamba che "sbriciola" i contenuti, tutto diventa comprensibile e avvicinabile. Ora sta a noi saper vivere, condividere e portare a tutti ciò che abbiamo imparato con l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi.
Giulia
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Percorso famigliare
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a commissione di Pastorale Familiare ha ricevuto il compito di riflettere sulle urgenze della pastorale a favore delle famiglie cercando di trovare percorsi e proposte da mettere in campo in tale contesto. Durante i primi incontri, si è deciso di utilizzare come traccia di lavoro il libro “le sfide pastorali sulla famiglia, nel contesto dell’evangelizzazione”, che riprende in buona sostanza il documento preparatorio al Sinodo straordinario dei Vescovi sulla famiglia. Molte delle riflessioni sulla realtà ecclesiale presenti nel libro possono essere facilmente riscontrate anche nel nostro contesto dell’unità pastorale. La commissione ha individuato nella attuale realtà pastorale alcuni nodi critici che investono la vita della famiglia oggi: dal punto di vista pastorale, la famiglia di oggi è alle prese con un difficile confronto con le emergenze sociali (dal lavoro, alla crisi del sistema educativo, alla difficoltà nella trasmissione della fede, al proprio rapporto con Dio,…). Per la commissione pare urgente mettere in campo alcune azioni, si seguito sintetizzate. Di concerto con l’ambito della catechesi, è necessario porre attenzione al percorso dell’ICFR per quanto riguarda i gruppi dei genitori, favorendo al contempo un clima di accoglienza, di
relazione e di confronto sulla fede. La priorità va data ai contenuti, ma soprattutto alla possibilità di favorire la sperimentazione concreta di una significativa esperienza di fede, con esperienze e proposte che guardino anche all’esterno della realtà parrocchiale. A tal riguardo pare importante creare un gruppo di formazione e di riferimento per gli animatori dei gruppi dei genitori dell’ICFR. Un occhio di riguardo deve essere dato – per quanto possibile - alla pastorale dei fidanzati, così come alla pastorale pre/post battesimale, accompagnando così il percorso di integrazione delle nuove famiglie nel tessuto comunitario. Infine, sottolineando l’importanza e l’utilità che le famiglie possono trarre dall’ascolto della Parola, si ritiene importante proporre spazi di ascolto della Parola, orientati a trovare sentieri di integrazione fra Fede e Vita.
Vittorio Rubagotti
Il Nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale Rinnovati i Consigli Pastorali Parrocchiali: compiti, finalità e metodo per un cammino di comunione “…Ma che bisogno c’è del Consiglio Pastorale? Tanto decidono sempre i preti!”. “Ecco, sempre i soliti che fanno tutto, che vogliono mettersi in mostra, che vogliono un po’ di potere anche nella parrocchia!”… Mi sembra di cogliere anche queste voci negative, oltre a quelle dell’indifferenza assoluta dominante (vista l’esigua partecipazione alle Elezioni…), da parte di molti parrocchiani a riguardo della natura e dei compiti di questo che è chiamato ufficialmente ‘Organismo di partecipazione e di comunione’. Per non dilungarmi troppo sulle finalità del CPP mi rifarò quasi alla lettera al Sussidio in Preparazione al rinnovo dei Consigli Parrocchiali 2015-2020 della Diocesi di Brescia. Si parte anzitutto col definire i dinamismi della presidenza e del consiglio.
“La presidenza della comunità fa riferimento alla titolarità del parroco, che ha il compito di fungere da guida di tutte le attività della parrocchia, al fine di promuovere una comunione di vocazioni, ministeri e carismi, in vista della formulazione e realizzazione del progetto parrocchiale. Il far convergere verso soluzioni mature nella comunione richiede nel parroco una capacità di guida che è fatta di ascolto, paziente accoglienza, disponibilità al confronto, lungimiranza e perseveranza”. Del Progetto Pastorale ne parliamo in altra parte del Giornale, del compito della presidenza, che condivido con i confratelli sacerdoti, sia chiaro, si capisce come sia orientato soprattutto al ‘tenere insieme, tenere uniti…’ in vista del raggiungimento dell’unico obiettivo. “Il tema del consigliare richiama l’impegno dei battezzati a mettere al servizio della crescita comune il singolare dono del “consiglio”. Dono dello Spirito, il consiglio diventa momento peculiare per realizzare un
DialogoeFamiglia corretto discernimento pastorale. Il discernimento pastorale (che cosa è meglio fare per vivere, qui ed oggi, il Vangelo) è un’operazione complessa, nel senso che essa non può che essere il frutto di molteplici decisioni. Una decisione pastorale può essere in questo senso considerata come il punto di arrivo di molti elementi, frutto soprattutto di un’accurata capacità di discernere la realtà alla luce del Vangelo. Vale la pena rimarcare qui che la Parrocchia non è una stazione di servizio o ‘di servizi’, non è una fucina di belle iniziative a 360° finalizzate all’aggregazione della gente… La Comunità cristiana ha come finalità proprio il ‘che cosa è meglio fare per vivere, qui e oggi, il Vangelo’ e il CPP ha come compito fondamentale aiutare i cristiani di una Parrocchia a realizzare questo obiettivo. Per raggiungere questo scopo è fondamentale la formazione di consiglieri. “Il tema della formazione di consiglieri merita di essere affrontato all’interno dell’orizzonte più ampio dello sforzo a far crescere laici adulti nella fede e maturi nel sapersi assumere concrete responsabilità ecclesiali. In questa linea, una robu-
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“Quello della comunicazione costituisce un nodo cruciale e di non facile soluzione per l’attività dei Consigli Parrocchiali, soprattutto in ordine al compito di informare e rendere partecipe la comunità della riflessione, della progettazione e delle decisioni adottate. È ragionevole far sì che una breve sintesi dei lavori di ogni seduta del CPP sia divulgata nelle forme opportune a tutti i parrocchiani, in particolare a quanti svolgono attività pastorale o fanno parte di gruppi ecclesiali. In ultima analisi resta la convinzione che il problema della comunicazione non può essere soltanto in senso unidirezionale (solo dai Consigli alla comunità), ma anche viceversa. La comunicazione non costituisce solo un fatto tecnico-organizzativo: il discorso investe la fisionomia della comunità, che in un clima di fraternità e di corresponsabilità, deve divenire luogo di condivisione, di discernimento e di comunicazione nella fede.” Concretamente: i membri del CPP non sono in questo organismo in nome proprio, certamente dovranno esprimere anche il loro parere personale, ma a nome della Comunità che li ha scelti. La comunicazione, nelle due direzioni di cui sopra, è fondamentale per capire come la Comunità recepisce
In cammino...
sta catechesi, l’attenzione alla crescita spirituale e lo stimolo ad una progressiva assunzione di compiti ed uffici nella vita della comunità costituiscono requisiti fondamentali per ricoprire il ruolo di membro del CPP e del CPAE.” Laici adulti nella fede e maturi nel sapersi assumere concrete responsabilità ecclesiali: questo comporta non una vaga collaborazione con i preti della parrocchia ma una autentica corresponsabilità pastorale da parte dei laici del CPP. Le concrete responsabilità ecclesiali forse dobbiamo ancora scoprirle concretamente, quali sono, in quali ambiti… ma il futuro inevitabilmente guarda in questa direzione È necessario anche interrogarsi su quale informazione e quale coinvolgimento della comunità.
una proposta, di quali scelte coraggiose abbiamo bisogno perché l’annuncio del Vangelo sia più incisivo, perché la carità sia autenticamente uno stile di vita dei battezzati… L’invito è proprio quello di ‘tenere d’occhio’ i Consiglieri, che ringrazio anzitutto per aver accettato questa responsabilità, di individuarli, di fermarli per strada o all’uscita della Messa e chiedere loro di aggiornarci, oppure dare loro dei suggerimenti… Non mi resta che augurare ai nuovi CPP un buon lavoro e alle Comunità che siano vicine ai Consiglieri, li sostengano e li ‘preoccupino’ con il loro interesse…
Don Raffaele
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Avevano un cuore solo e un'anima sola La prima comunità cristiana Centri di ascolto della Parola di Dio Avvento 2014 - Quaresima 2015
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ccoci qui, …alla fine di quest’esperienza chiamata “Centri di ascolto della parola di Dio”, a tirare le somme e a chiederci – e a chiedervi – “come è andata?” Gli obiettivi che quest’esperienza si proponeva sono i seguenti: - Valorizzare i tempi di Avvento e di Quaresima riportandoli a ciò che è prioritario nella vita cristiana delle persone e della comunità - Evangelizzare gli adulti tramite l’ascolto della Parola di Dio nei luoghi di vita quotidiana - Fare spazio alla corresponsabilità dei laici per l’annuncio del Vangelo - Sperimentare una catechesi non come trasmissione di conoscenze ma come correlazione di esperienze: che sollecita domande, aperta ai problemi delle persone, che offre risposte che toccano il cuore. Per quanto riguarda il primo punto, a nostro avviso, i Centri hanno permesso di vivere intensamente questi due momenti forti del periodo liturgico: abbiamo evitato il rischio che, trascinati dal vivere quotidiano pieno di impegni e di ritmi a volte frenetici, si giunga al Natale e alla Pasqua senza accorgerci del tempo che passa, perdendo così la bellezza del vivere l’attesa finalizzata a preparare il cuore e la mente all’incontro con Cristo. Per tre mercoledì in Avvento e per quattro in Quaresima, vari gruppetti di persone si sono trovati per mettere al centro la Parola di Dio riscoprendo il gusto dell’attesa. Significativi sono stati il momento del ritiro di Natale e della Via Crucis. È stato positivo portare la Parola di Dio nelle case, dialogando di argomenti profondi con le persone che fanno parte della nostra comunità, nostri vicini e conoscenti, ma è stata anche l’opportunità per fare nuove conoscenze. La Parola ci ha provocato stimolando un dialogo libero e rispettoso e ci ha permesso di condividere un cammino per scoprire quanto sia arricchente il confronto con la Parola collegato alla vita personale quotidiana e quanto questo ci porti ad essere più comunità viva e presente. Abbiamo appro-
fondito come l’evangelizzazione degli adulti sia stata una delle colonne delle prime comunità cristiane e quanto fosse importante per capire il messaggio cristiano, che propone valori per il bene delle persone e che eleva la qualità della vita: anche per noi oggi questo è stato di stimolo per superare la superficialità con la quale a volte viviamo il nostro essere credenti. Prima di vivere l’esperienza del centro di ascolto un buon numero di laici si sono dati più volte appuntamento per formarsi con la guida di don Fausto e di madre Emilia. È stato un momento di formazione molto sentito che ha permesso di affrontare i vari ruoli di animatori, coordinatori e ospitanti con più serenità e “coraggio”, forti di aver ricevuto una ricchezza importante da donare agli altri. Nei centri di ascolto non c’è stata quindi la presenza diretta dei sacerdoti e i laici sono diventati corresponsabili nell’annuncio del Vangelo. È stata una testimonianza importante che ha favorito un maggior confronto sui dubbi e sulle debolezze che ognuno porta con se’. Ci rendiamo conto che annunciare il Vangelo non è qualcosa di automatico e scontato, ma che richiede costanza nella formazione, una fede viva ed entusiasmo. Il filo conduttore dei centri di ascolto è stato il tema “Avevano un cuore solo e un’anima sola”. Abbiamo approfondito, tramite la lettura di brani tratti dagli atti degli apostoli, come era strutturata la prima comunità cristiana, ed è stato inevitabile porci la questione di quanto la fede sia da intendersi in una dimensione strettamente intima ed individuale o piuttosto vada riscoperta la sua dimensione comunitaria (come era fortemente vissuta dai primi cristiani!). Ci siamo quindi messi in cammino verso l’obiettivo di creare una comunità che condivide un’unica fede, riscoprendo la Santa Messa domenicale come momento di comunione con Dio e con i fratelli. Alla fine restano aperte tante questioni (quale può essere stata la ripercussione sulla comunità, cosa pensa chi vi ha partecipato e che significato ha avuto questa esperienza, come coinvolgere persone più giovani…), ma le valutazioni conclusive sono più che positive e ci fanno pensare che proseguiremo questo cammino, perché in fondo lo Spirito Santo, che abbiamo ogni volta invocato, non si stanca di starci vicino.
Domenica
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Vita dei Quartieri PRIMO MAGGIO e apertura 60° Violino 07.12.1955 - 01.05.2015
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uest’anno il nostro Vescovo Luciano ha scelto di celebrare la Festa dei Lavoratori nella nostra Parrocchia, rieditando, grazie alla precarietà del tempo atmosferico, l’uso del nostro primo edificio Chiesa, ora adibito a palestra. Un condensato di emozioni per chi, in questo ambiente, ha vissuto i propri ed altrui Sacramenti, oltre le celebrazioni di cerimonie e SS. Messe per la condivisione Eucaristica. Gli altri, fruitori e non delle attività dell’ambiente, un po’ stupiti della “location” insolita, hanno, nel corso della S. Messa, ascoltato l’omelia del Vescovo che ha voluto ribadire l’importanza del lavoro nel contesto sociale di sempre e don Raffaele, che dalla figura di san Giuseppe lavoratore e della famiglia, di cui era custode e membro, ha tratto l’esempio il padre Marcolini nel fondare i quartieri, che dovevano, dal prototipo del Violino, titolato appunto “La Famiglia” costituire la base del focolare dome-
stico, affinché la cellula famiglia potesse, nel suo svilupparsi sereno, divenire parte importante e produttiva del tessuto sociale civico. Bella e partecipata l’occasione che ha inaugurato così il percorso celebrativo dell’anno anniversario del 60° della Comunità Parrocchiale del Violino. Franco
Il Vescovo Luciano al Violino
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Festa anniversari di matrimonio Violino: 12 aprile 2015
Badia: 3 maggio 2015
Presenti una quindicina di coppie per festeggiare i rispettivi anniversari nella nostra chiesa, addobbata come per le grandi occasioni con fiori e paramenti sui banchi. La cerimonia, celebrata dal parroco, don Raffaele, con la partecipazione del coro, ha saputo creare un’atmosfera suggestiva, da tutti molto sentita e partecipata. Al termine della celebrazione, davanti all’altare, sono state fatte molte fotografie alle coppie, per fissare la cerimonia, presente anche don Raffaele che al termine ha consegnato, come ricordo, un piccolo quadretto raffigurante la sacra famiglia di Nazareth a ciascuna coppia, molto gradito da tutti. Coloro che avevano aderito alla proposta della condivisione del pasto, si sono poi recati nell’aula don Teotti dov’era stata imbandita una tavolata che li attendeva. Il pasto è stato gustoso e gradito e ben preparato e molti dei commensali hanno commentato piacevolmente la circostanza esprimendo un sincero ringraziamento agli autori, volontari della parrocchia. I presenti hanno vissuto festosamente l’incontro, ritrovandosi anche con amici di vecchia data, che, perché trasferitisi altrove, erano presenti con le reciproche memorie e sviluppi successivi, ripromettendosi tutti, per il prossimo anniversario, la riedizione della bella cerimonia. Un sincero ringraziamento va soprattutto a don Raffaele che con le parole e la presenza ha saputo significare adeguatamente il valore della famiglia con una sobria celebrazione.
La Festa degli Anniversari del 3 maggio è stata l’occasione per condividere con la comunità la nostra gioia per essere riusciti a raggiungere un traguardo importante: nel nostro caso, trent’anni di matrimonio. Non è un risultato facile e nemmeno scontato, ci vuole certamente anche un po’ di fortuna, ma soprattutto ci vuole la volontà di stare insieme, di essere sempre “in due”. Insieme a noi c’erano coppie giovani e coppie più anziane: questa presenza contemporanea di diverse generazioni aiuta a dare il senso del tempo che scorre, di una comunità che si mantiene solida sui suoi valori fondanti, mentre si rinnova con l’arrivo di nuove famiglie, anche se queste sono oggi meno numerose. Con la nostra testimonianza ci siamo detti che il matrimonio, e ancor più il matrimonio cristiano, è ancora una scelta importante, che completa e dà senso alla vita. Certamente il mondo cambia e le nuove generazioni hanno davanti una grande varietà di opportunità e di scelte, che possono essere diverse e che non ci permettiamo di giudicare, ma la costruzione di una famiglia fondata sul matrimonio rimane per noi una delle cose più belle che possano capitare nella vita. Questo è tanto più vero oggi, perché si tratta di una scelta difficile e in qualche misura controcorrente: non è più ciò che fanno tutti, chi lo sceglie ci crede davvero. E non è facile, è anzi complicato: i ruoli dell’uomo e della donna, del marito e della moglie, del padre e della madre sono cambiati, grazie a una stupenda e rapida evoluzione verso la parità di genere che ha ridisegnato i nostri schemi culturali e la nostra stessa civiltà; vivere in questo tempo è una grande opportunità, ma richiede di essere capaci ad adattarsi e adeguarsi, mettendo sempre al primo posto la relazione matrimoniale. Noi ci abbiamo provato (e vogliamo continuare).
Beppe Conciatori
Stefano e Emanuela
La purezza e la lucentezza dell'oro continuino ancora per molti anni a contrassegnare la vostra vita.
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A proposito di famiglia
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i chiamo Pamela, mi sono sposata il 20 settembre 2014. Mio desiderio era quello, una volta sposata, di andare a Roma per partecipare all’udienza del Papa. Così è stato, ma mai avrei immaginato che mi sarebbe capitata una cosa tanto bella. Mi metto alla ricerca su internet e trovo una scritta “udienza papale per gli sposi”. Clicco subito e scopro che Papa Giovanni Paolo II riceveva i novelli sposi. Decido di informarmi, faccio qualche chiamata e mi dicono che posso prenotare i biglietti per avere questa udienza “speciale”. Subito penso al fatto che io e mio marito abbiamo avuto due figli durante la convivenza, ero perciò preoccupata di non poter partecipare con loro. Telefono per informazioni e mi dicono “il Papa non ha mai mandato via nessuno”. Il 2 dicembre 2014 partiamo. Ero tanto emozionata, quanto preoccupata. Speravo che tutto andasse per il meglio e visto che il tempo non era dei migliori, che almeno non diluviasse. Come avrei fatto con i bambini? Mi sembrava tutto troppo bello; arriva così mercoledì mattina. Se prima il tempo mi preoccupava, ora non mi interessava, dovevo solo prepararmi per andare dal Papa. Ricordo emozionata il momento in cui, chiusa in bagno, mi preparo. Ero emozionata quasi come il giorno del mio matrimonio, ma è difficile spiegare il mio stato d’animo. Fuori pioviggina, siamo pronti. Bambini tirati a pennello e io che metto il mio abito in una grossa borsa, pronta ad indossarlo in piazza S. Pietro. Arrivati, emozionata mi vesto. Ricordo mia madre che tenta d infilarmi la gonna ed una signora guardava e mi osservava sorridendo. Ecco, ora è proprio arrivato il momento di entrare in Piazza S. Pietro. I miei genitori, mia sorella e mio nipote si fermano alle transenne, noi guidati dalle guardie ci dirigiamo verso il palco. Sembrava una sfilata in mezzo a così tanta gente, tutti ci guardavano e ci facevano gli auguri. Ero emozionata soprattutto perché avevo la mia famiglia al completo. Finalmente arriviamo ai piedi del palco, ci fanno salire e ci sistemano, un pò distanti dagli altri, perché noi eravamo in quattro. Siamo stati accolti benissimo, io che pensavo ci fossero problemi per i miei bambini. Ci sistemiamo ai nostri posti, alla destra del palco. Ad un certo punto dietro di noi vediamo il Papa, uscire dal portone, sulla jeep. Mio marito si gira, io prendo in braccio Matilde e lo salutiamo; la cosa strana è che quello stupito sembrava lui! Ci ha guardati con un sorriso e ci ha salutati. Giuro che solo questo mi sarebbe bastato.
Papa Francesco arriva sul palco e inizia l’udienza. Io guardavo tutte quelle persone davanti a lui nella piazza e pensavo all’enorme fortuna che avevo a stare così vicino a lui. Finita l’udienza la guardia ci dispone dietro la sua seduta, una coppia vicino all’altra. Eravamo anche i primi. C’era molta confusione perché era pieno di guardie del corpo e di fotografi. Vediamo Papa Francesco avvicinarsi, si ferma davanti a noi e dice: “ecco i coraggiosi, perché ci vuole coraggio a sposarsi oggi”. E si avvicina. Si avvicina davvero a noi. Io senza parole, non sono riuscita a dire nulla. È stato un momento davvero particolare e ricco di tanto, tanto amore. Era questo che vidi nei suoi occhi. Tocca il mio piccolo baciandolo, mette una mano sulle spalle di mio marito, poi guarda la mia Matilde e bacia anche lei. Mi prende la mano e si avvicina. Lo fisso con le lacrime agli occhi, non posso descrivere cosa ho provato in quel momento. Prende poi la mano mia e quella di mio marito e Papa Francesco ha benedetto così la mia famiglia. Io ero lì, davanti a lui, con tutta la mia famiglia. Ero felicissima e ancora più felice perché c’erano i mie bambini. Un ricordo che non potrò mai dimenticare e neppure la mia Matilde. Ho solo pensato che Stefano questo momento non potrà ricordarselo, ma ci hanno fatto così tante foto che abbiamo immortalato ogni momento. Non saprei esprimere cosa ho provato, ma una cosa la posso dire. Quel momento mi ha cambiato la vita. Il suo sguardo, i suoi occhi, mi hanno davvero trasmesso qualcosa di profondo. Mi ritengo così fortunata per aver vissuto quel momento e mi ritengo privilegiata di averlo vissuto insieme a tutta la mia famiglia.
Pamela, Gianluca Stefano e Matilde
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La comunità educativa degli Oratori Incontro comunità educativa BADIA 21 maggio 2015
zione che è stata elaborata raccogliendo le risposte, raccolte fra le varie realtà, rappresentate in CDO, interrogate sulla domanda: “L’oratorio e’….”. Dopo un momento di lettura e riflessione personale, ci siamo divisi in alcuni gruppi per discutere e anancontrarsi nell’assemblea della comunità educati- lizzare il documento presentato, per poi condividere va giovedì 21 maggio è stata per il nostro oratorio tutti insieme quanto emerso. un’esperienza un po’ storica. Tutte le realtà che Il documento, ci siamo detti, è un bel traguardo, angravitano intorno all’oratorio sono state convocate per che “alto”, richiede una comunità educativa in campresentare e approvare la DEFINIZIONE DI ORATO- mino e in crescita, che abbia come riferimento l’essere RIO come inizio del nostro progetto educativo che, comunità in Cristo, da cui prendere linfa, attraverso seguendo le linee e le idee progettuali sugli oratori la celebrazione eucaristica, centro di tutta la vita cribresciani presentati nel documento “Dal cortile…”, stiana. verrà elaborato nei prossimi mesi. È richiesta quindi una piena condivisione, da parte Dopo un breve, ma ricco cena/aperitivo, consumato di tutti i gruppi, dei progetti educativi che l’oratorio nei locali del bar dell’oratorio, ci siamo ritrovati in propone e degli obiettivi che di volta in volta, ci preteatro dove Don Fausto ha introdotto l’incontro, illu- fissiamo; la comunità intera dovrebbe sentirsi parte strando il significato di un albero, dipinto su un gran- di un unico corpo, coinvolta nello stesso cammino. de cartellone, appeso in teatro. Spesso la comunicazione fra i vari gruppi è mancante, L’albero è il simbolo, scelto dal consiglio d’oratorio, facciamo fatica a scambiarci opinioni, a confrontarci, per rappresentare l’immagine del nostro oratorio; a condividere priorità, obiettivi e progetti. “dall’immagine alle parole”, la bozza della defini- Partendo da questi difetti, cogliendo la proposta del progetto educativo, abbiamo l’ocOratori0 Badia visto dall'alto casione di accettare insieme una sfida che impegni ognuno ad un cambiamento, ad una maggiore comunione e corresponsabilità, ad abbandonare il proprio “orticello” per un campo comune. Sarebbe bello vedere, all’ingresso del nostro oratorio, un grande albero che ci ricordi il cammino che stiamo facendo e la cui cura dipende dall’impegno che, noi tutti, insieme, poniamo nel crescere come comunità
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Il Consiglio Oratorio Badia
DialogoeFamiglia Oratori0 Violino visto dall'alto
Incontro comunità educativa violino 28 maggio 2015
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pesso si attribuisce la responsabilità dell’educazione ad Istituzioni sociali specifiche quali la scuola o la famiglia , ma in realtà è l’intera comunità che si assume il ruolo di “Comunità Educativa” ovvero una comunità chiamata ad assumersi la responsabilità in ordine ai bisogni educativi dei propri giovani. Possiamo individuare una delle caratteristiche fondanti dell’essere una comunità educativa, quella di prendere in carico i soggetti giovani che della comunità fanno parte per consentire il loro sviluppo e la costruzione di un percorso personale. Si tratta, in poche parole, d’ investire l’intera comunità di responsabilità nei confronti degli obiettivi educativi che ci si assume per i propri giovani, dei bisogni educativi che essi esprimono, della cura che richiedono, del consentire e, in qualche modo, proteggere un percorso di crescita e sviluppo nell’ambito Cristiano a cui la comunità stessa appartiene.In seno alla comunità del Violino esistono diverse realtà sociali, sportive, educazionali che fanno capo alla Parrocchia ed all’oratorio ed in questa prima parte dell’ anno si sono svolti alcuni incontri finalizzati alla sincronizzazione e “accordatura” di queste realtà per giungere ad una definizione comune di Oratorio non solo come luogo ma anche come “strumento” d’educazione.In questi incontri si è
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delineata una bozza di definizione per l’Oratorio del Violino in cui lo si è immaginato come uno strumento musicale, il Violino appunto. Tutti possono godere del suo suono, perché esso è un luogo aperto a tutti un luogo d’accoglienza e di educazione. L’edificio, come il legno del violino, costituisce la strutture visibile ed essenziale che deve essere sicura, solida ed accogliente. La cassa di risonanza dello “strumento oratorio Violino” è lo Spirito Santo, sembra uno spazio vuoto ma in realtà è ciò che consente al suono d’intensificarsi ed ampliarsi. Le corde sono le diverse attività e coloro che le attuano; esse sono fisse su due punti comuni. Il primo “l’ancoraggio alla zona di ponte” nel nostro caso l’oratorio stesso; il secondo “la zona di accordo” il progetto educativo, il modello su cui si basa per mantenere un suono armonioso. Il Consiglio dell’oratorio costituisce l’accordatore perché richiama tutti i componenti allo stile del progetto e quindi accorda ogni attività al meglio. L’archetto che produce la melodia è la Comunità Educativa ovvero ogni singola persona che in oratorio svolge un’attività anche se collaterale. I vari fili del crine sono importanti allo stesso modo e tutti sono parte di un unico corpo che solo così produce un buon suono, senza che nessun crine si rompa o si rovini. Più ogni singola parte entra in sintonia con l’idea profonda del senso dell’oratorio, più il suo suono diventa dolce melodia che porta gioia e felicità, affinchè tutti ci si scopra amati e si cominci ad amare il Signore della Vita che Gesù ci ha mostrato con la sua esistenza. Con l’entusiasmo di questa scoperta la melodia si diffonderà anche tra coloro che sono lontani o si sono stancati di questa bellezza e davanti al mondo l’oratorio potrà dire una Parola importante attraverso la gioia dello stare insieme, acquisendo una dimensione missionaria. Vi saranno altri incontri nella seconda parte dell’anno e si auspica che le presenze siano maggiori rispetto alle prime, consapevoli del fatto che la Comunità di domani nasce da ciò che sapremo seminare oggi e più saranno le corde del Violino più alto ed armonioso si alzerà il suo suono.
La Comunità Educativa
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Una definizione di oratorio dalla BadiA Le radici (dimensione educativa) L’oratorio nasce dal terreno che accoglie il desiderio di educare, generato dalla unione tra Cristo e la Chiesa, in concreto la comunità cristiana della Badia e della U.P. Badia-Violino. Tale terreno è alimentato dalla Parola e dai Sacramenti vissuti. L’Eucaristia domenicale comunitaria costituisce “fonte e culmine” della vita dell’oratorio. Non vi è oratorio, quindi, senza un terreno: la ricchezza dell’oratorio è frutto della ricchezza di quel terreno. Ogni singolo battezzato è auspicabile sia interessato, creda nell’oratorio, quale braccio formativo della comunità, che raggiunge in particolare i ragazzi per educarli per mezzo di cristiani adulti. Essere educati alla luce del Vangelo di Gesù, trova una possibilità rilevante di crescita nell’ambiente dell’oratorio, saldamente radicato nel ricco terreno della comunità. Il fusto (dal grande al piccolo) (dimensione accoglienza) L’oratorio è luogo di crescita, nel suo complesso e per le persone che in esso partecipano. Come il fusto di un albero, ha un’ampia base, perché è luogo accogliente e aperto verso tutti (si pensi alle differenze sociali e religiose). Colui che sceglie di lasciarsi educare in oratorio, man mano cresce nell’appartenenza, punta verso l’Alto e assume sempre più l’immagine di Cristo. I rami (All’interno dell’oratorio le varie attività che si realizzano) (dimensione armonia) In oratorio trovano la loro realizzazione varie attività, più o meno strutturate, come la catechesi, lo sport, le attività teatrali e canore, le attività estive, le attività conviviali, le attività di volontariato e servizio alla struttura e alle persone, il gioco libero dei bambini. Come i rami di un albero che partono dal medesimo tronco, anche le attività oratoriane partono da una base comune e si slanciano verso l’alto; tra queste attività, così come tra i rami di un albero, ci devono essere equilibrio e dialogo, nessuna deve prevalere sull’altra, affinché possano intrecciarsi in un armonioso disegno di comunione. Le foglie (la realizzazione della persona cristiana) (dimensione vocazionale) Nelle varie attività proposte in oratorio, ognuno trova, secondo l’insegnamento di san Giovanni Bosco, la possibilità di realizzarsi come “onesto cittadino e
buon cristiano”: come le foglie che spuntano dai rami del nostro albero. Proprio perché foglie, ciascuno è investito dal soffio leggero dello Spirito Santo, che muove la persona a seguire le ispirazioni migliori, per compiersi secondo il progetto di Dio e manifestarsi nella propria vocazione. Allo stesso tempo, proprio le attività permettono alla foglia di resistere ai venti burrascosi dei momenti difficili. La Chioma (la mia foglia tocca la foglia dell’altro...) (dimensione dell’incontro, dimensione della gioia, del vivere in comunione) L’insieme delle foglie costituisce la chioma dell’albero: l’insieme delle persone in oratorio costituisce la comunità oratoriana. Le singole foglie non prevalgono una sull’altra, ma tutte concorrono a comporre una realtà nuova ed unica, attraverso un dialogo e un confronto continuo. La dimensione comunitaria della vita in oratorio richiede un apposito tempo e spazio dedicato all’informalità dell’incontro. In tal senso anche la struttura dell’oratorio deve favorire l’incontro, il dialogo, la comunione. La manifestazione esteriore della dimensione comunitaria dell’oratorio è la gioia che vi si respira in ogni momento. I fiori (capiamo chi siamo e come ci mostriamo al mondo) (dimensione del dialogo con il mondo)
DialogoeFamiglia L’oratorio è posto in mezzo al mondo. La famiglia, la realtà civile, sociale, politica, l’associazionismo, la scuola, e tante altre dimensioni quotidiane della vita si interfacciano con l’oratorio: cosa mostra di sé a tutte queste realtà, se non l’evidenza di fiori che possono portare dei frutti proprio in ciascuno di quei mondi? I fiori, quindi, sono la finestra dell’oratorio aperta sul mondo, perché non si corra il rischio dell’autorefenzialismo e della chiusura. Il frutto (è l’apertura alla missionarietà…) (dimensione missionaria) Lo “stile di vita oratorio” non può restare nascosto come un tesoro nella stiva, ma innerva la vita della persona, il giovane in particolare, nelle case, nelle strade, sui luoghi di lavoro, a scuola. Questo è il frutto dell’oratorio. Esso giunge proprio là dove serve un seme di vangelo nella quotidianità, realizzando così il sogno educativo della comunità cristiana, che ha generato l’oratorio con questo fine. L’oratorio è arricchito dal ritorno del bene seminato all’esterno.
Comunità Educativa Oratorio Badia
dal VIOLINO Immaginiamo l’Oratorio del Violino come uno strumento musicale, il violino appunto! L’oratorio è uno strumento della comunità cristiana. La comunità cristiana della parrocchia San Giuseppe Lavoratore e, allargandosi anche dell’Unità Pastorale Violino-Badia, tra le tante “urgenze pastorali” a cui cerca di rispondere, ha quella educativa. Per questo nel tempo, e ancora oggi, sceglie di avvalersi di uno strumento per educare alla vita buona del Vangelo: l’oratorio. La parrocchia, avvalendosi di questo strumento “musicale” è allo stesso tempo esecutore e beneficiario del suono. Come il violino emette un suono che si diffonde nell’aria che può essere ascoltato da tutti, così l’oratorio è un luogo aperto a tutti, senza esclusione alcuna (Luogo di accoglienza ampia). Ognuno, tuttavia, recepisce le melodie espresse dallo strumento secondo la propria volontà, indole, desiderio. Chi apprezza il suono e si lascia coinvolgere è aiutato in un percorso di crescita, di maturazione, perché il suono trasforma interiormente. In oratorio avviene la stessa maturazione e crescita per chi si lascia plasmare dal suono educativo che la comunità cristiana emette (Luogo di educazione). Sempre seguendo il paragone del violino, possiamo affermare che come il legno costituisce la struttura
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visibile ed essenziale dello strumento, così l’edificio è la struttura dell’oratorio e in tal senso va curata perché sia sicura, solida e anche accogliente ed educativa. (l’essenzialità strutturale) La cassa di risonanza dello “strumento oratorio violino” è lo Spirito Santo, uno spazio che sembra vuoto, ma in verità è fatto di aria, di Spirito che è all’interno, abita l’oratorio, da vita al suono e lo amplifica all’esterno. Il suono non è generico, ma è una Parola di vita che parla all’uomo e genera alla fede: è Gesù Parola del Padre. Le corde dell’“oratorio violino” sono le diverse attività e coloro che le attuano. Come nello strumento sono corde diverse per natura, ma che hanno due punti di tensione perché possano realizzare un suono armonico. Il primo è l’ancoraggio alla “zona di ponte”, cioè all’oratorio stesso: le varie attività hanno nell’oratorio il punto di partenza e il compimento. Il secondo è la “zona di accordo”: è il progetto educativo, il modello su cui ci si basa per mantenere un suono armonioso. Il consiglio dell’oratorio costituisce l’accordatore perché richiama tutti componenti allo stile del progetto e quindi accorda ogni attività al meglio. L’archetto che produce la melodia è la comunità educativa: ogni singola persona che in oratorio svolge una attività, anche se collaterale. I vari fili del crine sono importanti allo stesso modo e tutti sono parte di un unico corpo che solo così produce un buon suono, senza che nessun crine si rompa o si rovini. Man mano che si comprende e ci si lascia coinvolgere dall’idea profonda, dal senso dell’oratorio, si riesce a produrre un suono che diventa dolce melodia che porta gioia e felicità nei cuori e coinvolge tutta la persona, cosicché tutti, dai piccoli ai grandi, ci si scopra amati e si cominci ad amare il Signore della Vita che Gesù ci ha mostrato con la sua esistenza. Con l’entusiamo di questa scoperta la melodia si diffonderà anche tra coloro che sono lontani o si sono stancati di questa bellezza e davanti al mondo l’oratorio potrà dire una Parola importante attraverso la gioia dello stare insieme (dimensione missionaria).
Consiglio dell’Oratorio Violino
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La sacra Sindone L'amore piu grande
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enerdì 1 maggio noi ragazzi di seconda e terza media siamo partiti alla volta del duomo di Torino per partecipare all’ostensione della Sacra Sindone. La Sindone è un lenzuolo di circa 4 metri per 1 metro nel quale si dice sia stato avvolto il corpo di Gesù dopo la crocifissione. Anche se molte indagini scientifiche sembrano aver avvalorato questa ipotesi, di fatto non esiste ancora una definitiva prova che si tratti proprio di quel lenzuolo. Ci siamo sempre immaginati un telo bianco con visibile la sagoma di Gesù, invece no!, non è così!! Le luci sono offuscate quando entriamo nel duomo, il telo non è bianco candido, ma di un colore “giallo sporco”, la trama non è perfettamente intatta, ma in essa si intravedono fori sia a sinistra che a destra, a causa degli incendi che in passato hanno “perseguitato” la Sindone. La sagoma di Gesù non è evidente, si riesce a malapena a notare i contorni della figura. Devi essere
tu, di tua spontanea volontà, ad avvicinarti, a scrutare, a cercare, proprio come quando ci avviciniamo a Dio nella nostra vita: una ricerca, un desiderio di... Noi ragazzi siamo comunque consapevoli di non aver capito del tutto l’importanza di questo “telo”, per questo crediamo che la Sindone è un’esperienza da vivere a tappe: da giovane quando hai solo la capacità di notare alcuni aspetti, da adulto quando avrai a sostenerti una fede più completa e matura e da anziano, portando magari il proprio nipotino, cercando di fargli capire quanto sia importante quel telo che ai suoi giovanissimi occhi sembra un telo strappato e bucherellato qua e là, ma che rappresenta il segno dell’amore più grande. Grazie al don, Anna, Andrea, Monica, Francesco e Chiara per questa bella occasione! Pollice su anche questa volta!!!
I ragazzi di terza media
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La prima riconciliazione
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urante l’anno Gesù ci ha svelato un segreto: Dio è suo Padre e per tramite di Gesù, anche noi siamo Figli suoi. Per mezzo delle parabole Gesù ci ha insegnato che Dio è un Padre buono e misericordioso pronto sempre a perdonare i nostri errori purché siamo disposti a pentirci e lasciarci amare da Lui. Sulle orme di Zaccheo, a completamento del percorso, si è celebrato il Sacramento della Riconciliazione e il sicomoro si è trasformato in un meraviglioso albero fiorito. Così i bambini hanno vissuto la Prima Confessione, con gioia mista a timore, momento d’incontro con la Misericordia di
Dio e con la certezza di essere sempre perdonati. A volte capita di pensare come i nostri bambini abbiano vissuto alcuni momenti importanti. Uno di loro ha accettato di condividere con tutti noi le sue emozioni di quel momento: “Il giorno della mia Prima Confessione ero un po’ preoccupato, quando i Catechisti mi hanno fatto andare per primo ero ancora più spaventato ma, al momento della confessione, mi sono sentito più tranquillo. Dopo la confessione mi sono sentito emozionato e più leggero.”
Gruppo Cafarnao
Party con lo svi
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on quella che viene sono tre le estati in cui avete aperto le porte del vostro Oratorio per accogliere la nostra festa, per accoglierCi. Prima di tutto il nostro GRAZIE a chi nell'Oratorio ci ha fatto sentire a casa con indicazioni e disponibilità, a Don Fausto che ha rinnovato a nome vostro la vostra apertura, a Ognuno di Voi che ha partecipato a PartyconloSVI con la voglia di conoscerci, di sbirciare o semplicemente di far festa, a ognuno di voi che dalle sue case ha sentito i nostri suoni e profumi. Noi siamo lo SVI – Servizio Volontario Internazionale ci piace dire “siamo quello che facciamo”...ma cosa facciamo? Facciamo Comunità. I progetti che ci ospitano in Africa e Latino America (Brasile, Burundi, Kenya, Mozambico, Uganda, Venezuela, Zambia) sono progetti di piccole comunità rurali o urbane prevalentemente agricoli. Noi siamo ospiti di queste comunità promuovendo agricoltura locale e sostenibile con corsi, dimostrazioni, attività di piccola imprenditoria sostenibili localmente, attività di alfabetizzazione...il
centro dei progetti è la Comunità e sono le Persone che la formano e la vivono. Il centro è l'Incontro tra un noi e un loro che si abbraccia nell'Essere Uomini. La Festa è per Noi un momento di gioia in cui poter condividere ciò che siamo con Voi e con chi partecipa. È un ponte tra il qui e un là non così lontano, alla nostra Festa si è potuto vedere e assaporare un po' quello che siamo incontrandoci, guardando foto, ascoltando musica, assaporando buona cucina, facendo FESTA INSIEME.
Gli Amici dello S.V.I.
...dagli oratori Grest Violino
Torneo di calcio Violino
Grest Badia
Festa oratorio Badia