1957/2010 Un percorso nella storia della biennale di scultura di Carrara

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI CARRARA

UN PERCORSO NELLA / 1957 STORIA DELLA BIENNALE DI

2010 SCULTURA DI CARRARA



PERCORSO NELLA 1957/ UN STORIA DELLA BIENNALE DI 2010 SCULTURA DI CARRARA

a cura di

Lucilla Meloni

Accademia di Belle Arti di Carrara


1957/2010 UN PERCORSO NELLA STORIA DELLA BIENNALE DI SCULTURA DI CARRARA a cura di Lucilla Meloni Accademia di Belle Arti di Carrara Centro Arti Plastiche di Carrara 29 giugno | 8 settembre 2013

Progetto di allestimento Vanessa Ghio e Maria Elena Marchetti Corso di Pittura di Gianni Dessì Realizzazione allestimento Mondopi Trasporti Alessandro Maggi Ufficio Stampa e Comunicazione Lorenzo Marchini , Monica Zanfini Catalogo Giuseppe Cannilla Lucilla Meloni Grafica Annalisa Guerisoli Stampa Avenza Grafica

Si ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione della mostra: gli artisti, Luciano Massari, Rosa Sandretto, galleria Cardelli e Fontana; i docenti dell’Accademia di Belle Arti di Carrara Paolo Bresciani, Marco Baudinelli, Luana Brocani, Sergio Cervietti, Gianni Dessì, Piero Marchetti, Massimiliano Menconi, Alberto Semeraro; il personale non docente e in particolare Roberto Maggiani e Gianluca Iardella. Un ringraziamento speciale a Ettore Spalletti per la sua generosità.


La mostra sulla storia della Biennale di Scultura di Carrara non poteva che essere esposta nel Palazzo del Principe, sede dell’Accademia di Belle Arti di Carrara. Qui infatti si è svolta la maggior parte delle edizioni storiche della manifestazione che oggi andiamo a celebrare, per quanto di importante ha rappresentato nella storia dell’arte contemporanea. L’Accademia e la Biennale Internazionale di Scultura hanno costituito i contesti in cui Carrara ha ribadito anche negli ultimi sessant’anni la sua naturale vocazione artistica e quella centralità che deve riconquistare e da cui non potrà prescindere per il suo futuro. Dopo due anni nei quali l’Accademia è stata impegnata nel restauro e nell’esposizione della sua straordinaria gipsoteca, è arrivato adesso il momento di ritrovare e riscoprire i grandi artisti che hanno partecipato negli anni alla Biennale di Carrara e inserirli in un percorso ideale che presenta inoltre opere mai esposte in città. Un viaggio che ha la sua guida nella direttrice dell’Accademia Lucilla Meloni che ci presenta un’esposizione storica da un lato ma nuova dall’altro che si unisce a quella del Centro di Arti Plastiche di San Francesco per fare, una volta di più, del centro di Carrara e dell’asse di via Verdi il luogo delle belle arti cittadine, che vedrà il suo naturale completamento, già avviato con il restauro di Palazzo Binelli, con l’apertura di Palazzo Cucchiari attualmente in fase di recupero per volontà della Fondazione Giorgio Conti. La mostra rappresenta quindi un’occasione per unire, una volta di più, la grande tradizione alla contemporaneità, consapevoli del fatto che solo nell’abbinamento dei due momenti stia il futuro non solo dell’Accademia ma anche della città di Carrara. E’ anche l’occasione per ribadire la centralità dell’Accademia di Belle Arti come luogo non solo di apprendimento, ma anche di produzione di importanti manifestazioni. Dopo la rappresentazione dell’opera di Henry Purcell Didone e Enea, prodotta nella scorsa primavera dalla nostra Istituzione con il Conservatorio Paganini di Genova, con questa esposizione l’Accademia apre nuovamente le sue porte al pubblico, confermandosi come bene cittadino. Il Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Carrara Simone Caffaz


Marcello Mascherini, Narciso, 1951


SEGNI DI UNA COSTELLAZIONE IMMAGINARIA Lucilla Meloni L’intento di questa mostra, come si evince dal suo titolo, è quello di tracciare un percorso di esemplarità all’interno della storia della Biennale Internazionale di Scultura di Carrara: una manifestazione caratterizzata dalla specificità di un linguaggio - quello della scultura - la cui prima edizione risale al 1957. Il “Premio Internazionale di Scultura Città di Carrara”, così il titolo della prima edizione, ambiva, come scrive nella prefazione al catalogo il Sindaco della città Leo Gestri, a “fare della ‘Capitale del Marmo’ la sede di una rassegna periodica di quanto di più valido si realizza, in fatto di scultura, nel mondo”. La mostra registrò la presenza di 264 artisti di 16 Paesi, e contemplava, oltre alla scultura, anche una sezione dedicata ai “Disegnatori e Incisori”. La mostra era a inviti e nella commissione di giuria figuravano artisti e critici: Ossip Zadkine, Giulio Carlo Argan, Enzo Carli, Pericle Fazzini, Renato Guttuso. Tra gli scultori italiani invitati: Mirko Basaldella, Franco Cannilla, Alik Cavaliere, Pietro Consagra, Arturo Dazzi, Agenore Fabbri, Lucio Fontana, Nino Franchina, Emilio Greco, Leoncillo, Edgardo Mannucci, Giacomo Manzù, Marino Marini, Marcello Mascherini, Francesco Messina, Luciano Minguzzi, Francesco Somaini, secondo una scelta intergenerazionale, che dava conto della diversità delle poetiche, incentrata sul recente passato e sul presente. E, tra i “disegnatori e incisori”: Afro Basaldella, Renato Birolli, Giuseppe Capogrossi, Antonio Corpora, Gianni Dova, Fausto Pirandello. Svoltasi con cadenza biennale, tranne qualche eccezione, fino al 1973, dopo un lungo periodo di sospensione la mostra riprende nel 1996. Scorrendo i cataloghi delle diverse edizioni e guardando le opere che sono state acquisite dal Comune di Carrara o


Carlo Sergio Signori, Scultura n.1, 1962


a esso donate, risulta evidente il carattere internazionale dell’esposizione, che pur ha sempre mantenuto uno stretto legame con la produzione locale, e la vitalità e l’eccellenza dei laboratori cittadini, centri di produzione a tutt’oggi della maggior parte delle opere in marmo esposte. Esaminando la prima parte della vita della Biennale, quella che va dal 1957 al 1973, tra i commissari della giuria giudicatrice e gli ordinatori della mostra, vanno segnalati: Mario De Micheli, Franco Russoli, Carlo Ludovico Ragghianti, Fortunato Bellonzi, Pier Carlo Santini. Tra gli stranieri troviamo, tra gli altri: Fritz Wotruba, Henri Laurens e Pablo Picasso, a cui sono dedicati gli omaggi, Manolo (I edizione, 1957); Ossip Zadkine, Kenneth Armitage, Anthony Caro, Lynn Chadwich, Eduardo Paolozzi (II edizione, 1959); Henri Georges Adam, Jean Arp, Barbara Hepworth, Henry Moore, Jacques Lipchitz (IV edizione, 1965); Max Bill, Eduardo Chillida, Antoine Poncet, Joe Tilson, Takis (V edizione, 1967); Louis Bourgeois, Cesar, Branco Ruzic (VI edizione, 1969); Jocelyn Chewett, Gert Marcus, Hilda Morris (VII edizione, 1973). Sono molto numerosi gli autori italiani che in quegli anni prendono parte alla Biennale di Carrara, tra cui, oltre ai già citati: Gigi Guadagnucci, Giuliano Vangi, Carlo Sergio Signori, Rinaldo Bigi, Pietro Cascella, Andrea Cascella, Lorenzo Guerrini, Giò Pomodoro, Arnaldo Pomodoro, Floriano Bodini, Carlo Lorenzetti, Gino Marotta, Costantino Nivola, Augusto Perez, Alberto Viani, Nardo Dunchi, Enzo Mari (con Struttura n. 743) e Alberto Burri (con un Grande Ferro), entrambi nell’edizione del 1965. Proprio per la sua lunga storia, la Biennale di Carrara documenta la trasformazione dei linguaggi della scultura e l’uso dei diversi materiali che nel tempo si sono affiancati al marmo, al bronzo e al gesso. Sebbene la maggior parte delle sculture fosse realizzata in marmo, fin dalle prime edizioni, accanto al marmo, alla pietra, al gesso e al bronzo,


Franco Cannilla, Nastro, struttura a fasce, 1958


si trovano sculture in cemento (Mirko), in laminato metallico (Cannilla), in acciaio (Lorenzetti). Dopo la lunga pausa, Maurizio Calvesi nel 1996 cura l’VIII edizione della Biennale; tra i 34 artisti invitati: Getulio Alviani, Mario Ceroli, Cesar, Pietro Consagra, Paolo Borghi, Louise Bourgeois, Enzo Cucchi, Claudio Parmiggiani, Giuseppe Uncini, Robert Morris. Nel testo il curatore ribadisce la centralità della città di Carrara nella produzione della scultura: “Nella sede di Carrara, tuttavia, parlare di artisti ‘stranieri’ risulta quasi improprio, giacché nessuno che pratichi seriamente la scultura può sentirsi straniero nella patria di questa arte. Soprattutto per gli artisti che trattano il marmo, e di ogni nazionalità, questa città è una meta quasi obbligata. Fin da quando l’unificazione dell’Europa era lontana, Carrara è sempre stato un centro ‘europeo’, anzi del mondo, teatro di ricerche, anche, tra le più avanzate e pionieristiche.” (1) L’ edizione successiva, per la cura di Enrico Crispolti con Luca Massimo Barbero (IX edizione, 1998), dal titolo “Scultura, Architettura, Città”, si apre a una dimensione più decisamente ambientale. Nello spazio dell’Accademia che accoglie una copia in gesso della Nike di Samotracia, compreso tra la Biblioteca Ezio Dini e l’Aula Ammannati, Carrino realizza un’installazione di Costruttivi Trasformabili. Anna Vittoria Laghi, Antonio Paolucci e Carlo Bordoni nel 2000, per la X edizione, concepiscono una mostra dal taglio storico: “Il Primato della Scultura. Il Novecento a Carrara e dintorni”. “Non è una mostra di tendenza, non è una scelta di campo”, scrive Paolucci nel testo in catalogo, e, continua: “Questa è una mostra storica, storica nel senso letterale della parola perché intende raccontare la scultura del XX secolo in Italia e nel mondo vista dall’ ‘osservatorio-laboratorio’ di Carrara e dintorni”. (2) Le esposizioni successive, curate da Giuliano Gori (XI edizione, 2002), da Bruno Corà (XII edizione, 2006), da Francesco Poli (XIII edizione, 2008), da Fabio Cavallucci (XIV edizione, 2010)


Nicola Carrino, Costruttivo 1/71, 1998


testimoniano tanto l’attualità del marmo come materia, quanto un rinnovato concetto di scultura. Queste ultime edizioni, anch’esse dal carattere internazionale e dal cospicuo numero di partecipanti, si collocano a pieno titolo nella storia delle esposizioni biennali contemporanee. In occasione della X, dell’ XI e XII edizione, inoltre, furono posizionate nel cittadino Parco della Padula le installazioni ambientali di Anne e Patrick Poirier (il cui lavoro nel 2000 inaugurò il parco ambientale), di Ian Hamilton Finlay, di Sol LeWitt, di Luigi Mainolfi, di Mario Merz, di Dani Karavan, di Robert Morris, di Claudio Parmiggiani. Per la XII edizione Jannis Kounellis collocò una sua opera a vocazione ambientale nel chiostro interno del Centro di Arti Plastiche: un Senza titolo in ferro e cavo d’acciaio che si presenta come un corpo solido in tensione, come una struttura piramidale da cui si dipartono alcune vele bianche, arrotolate. Per anni l’Accademia di Belle Arti è stata l’unica sede della Biennale, che poi si è andata articolando in diversi luoghi cittadini, tuttavia l’Accademia, pur non essendo più il cuore della manifestazione, ha continuato a promuovere e ospitare alcune mostre all’interno della manifestazione, tra cui nella XII Biennale l’installazione di Giulio Paolini Aula di Scultura. Il percorso espositivo che viene da noi proposto in questa occasione, articolato in due nuclei tematici, non ha certo la pretesa di sintetizzare la lunga storia della Biennale di Carrara, ma vuole offrirne uno sguardo a volo d’uccello attraverso la lettura di alcune opere d’arte. Il primo è costituito dal corpus dei lavori di proprietà del Comune (acquisto o donato) allestito presso il Centro di Arti Plastiche e presenta, tra gli altri, lavori di: Kenneth Armitage, Marco Bagnoli, Mirko Basaldella, Bizhan Bassiri, Lynn Chadwick, Agenore Fabbri, Gigi Guadagnucci, Jannis Kounellis, Marcello Mascherini, Vittorio Messina, Ohad Meromi, Luciano Minguzzi, Hidetoshi Nagasawa, Nunzio, Nakis Panayotidis, Augusto Perez, Pedro Cabrita Reis, Carlo Sergio Signori, Giuseppe Spagnulo, Giuliano Vangi, Alberto


Giulio Paolini, Aula di Scultura, 2008


Viani, a cui si è aggiunta, per l’occasione, una scultura di Lorenzo Guerrini del 1956, restaurata dalla Scuola di Restauro dell’Accademia di Belle Arti. L’ordinamento presso la sede del Centro di Arti Plastiche, che mostra per motivi di capienza solo una parte della collezione proveniente dalla Biennale, si propone come uno spaccato dei linguaggi formali che dagli anni Cinquanta arrivano all’ attualità e mette a confronto il segno essenziale delle sculture di Lorenzo Guerrini con le figure tese di Marcello Mascherini, la figurazione di matrice espressionista di Augusto Perez e Agenore Fabbri, con le forme astratte di Carlo Sergio Signori e di Alberto Viani, le forme allusive delle opere di Luigi Guadagnucci con i personaggi silenziosi di Giuliano Vangi. La parte più contemporanea testimonia, da parte sua, la coesistenza dei linguaggi che compongono oggi il mondo della scultura: dalla scritta di Panayotidis Vedo dove devo che campeggia sulla facciata esterna del museo, al piccolo frammento marmoreo proveniente dal World Trade Center di New York, presentato da Cyprien Gaillard, alla grande scultura in polistirolo di Meromi, “monumento” a un mendicante. Il secondo, ospitato nell’Aula Magna dell’Accademia di Belle Arti, in Palazzo Cybo Malaspina, propone un percorso, non filologico, di opere di artisti che hanno partecipato negli anni alla Biennale: Enrico Castellani, Mario Merz, Hidetoshi Nagasawa, Luigi Ontani, Giulio Paolini, Claudio Parmiggiani, Giuseppe Penone, Vettor Pisani, Michelangelo Pistoletto, Ettore Spalletti. A differenza della mostra ospitata al Centro di Arti Plastiche, infatti, le opere allestite in Accademia non sono le stesse esposte nelle diverse edizioni della Biennale, ma, come segni indicativi, si propongono di testimoniare un percorso di esemplarità, non solo all’interno della storia della Biennale di Carrara, ma nella storia dell’arte contemporanea. Segni di una costellazione immaginaria, i lavori esposti dialogano con i gessi delle sculture classiche e con i dipinti


Lorenzo Guerrini, L’uomo di sempre, 1956 Peperino romano, 153 x 45 x 36 Dopo le fasi di pulitura e consolidamento, si è intervenuti con il ripristino di una lacuna che comprometteva la leggibilità dell’opera. Per effettuare un intervento non invasivo, la mancanza è stata ricostruita con materiale diverso ma reso simile alla pietra peperino. L’integrazione è rimovibile e resa riconoscibile a una distanza ravvicinata. L’intervento è stato realizzato dalla Cattedra di Restauro Lapideo della Prof.ssa Luana Brocani con gli studenti del corso di Restauro e di Scultura.


che adornano l’Aula Magna. La suggestione di un’ideale continuità che lega opera a opera, presiede infatti la scelta del suo allestimento, che permette una veduta simultanea di tutto ciò che in essa è contenuto. Nella coesistenza dei linguaggi e delle poetiche, lo sguardo dell’osservatore scorre, per così dire, tra mondi poetici paralleli. La Superficie blu e la Superficie bianca di Enrico Castellani, dove la superficie monocroma si presenta come una sequenza ritmata da rilievi e avvallamenti su cui si appunta la luce, sono luoghi asemantici della pura percezione. Nel principio di un’ ipotetica indefinita ripetizione, l’opera, secondo un concetto espresso dall’artista fin dagli esordi del suo lavoro, ha la “concretezza di infinito”, ponendosi al di là dell’espressione di “soggettive reazioni a fatti e a sentimenti”. Anche i quattro lavori di Giulio Paolini degli anni Sessanta: Bandiere; Bozzetto di Delfo II; Senza titolo; Senza titolo, si pongono al di là di ogni evidente narrazione e, metalinguisticamente, mostrano gli strumenti all’origine dell’immagine, sia essa fotografia, disegno, o pittura: il negativo fotografico, la carta, il cartoncino, il passe-partout, l’attaccaglia, il telaio, la cornice. E, come in Disegno geometrico del 1960, che indicava nella squadratura del foglio bianco “il disegno preliminare di qualsiasi disegno”, additano il luogo di ogni possibile epifania dell’immagine. Procedendo per contrasti, la narrazione è reintrodotta dalle opere di Luigi Ontani, di Mario Merz, di Michelangelo Pistoletto, di Vettor Pisani, di Claudio Parmiggiani. Il tondo dipinto da Luigi Ontani a New York nel 1985, visionario nell’immagine e nel titolo: Fortunatallormisericordiosamerikano, è una figura del doppio, dalla testa fitomorfa recante i simboli oppositivi dell’ angelo e del demonio, del falco e del coccodrillo, del giglio e del garofano, a cui si accompagnano due


Gigi Guadagnucci, Passaggio di meteora, 1973-1982 Fotografo: Reinhold Kohl


maschere: figure ricorrenti nella sua opera, nel recupero di un antichissimo mondo simbolico. Nelle opere dell’artista infatti, che intende l’arte come la ricerca di sentieri “devianti” e “distraenti” dalla realtà, si mischiano mitologie sacre e profane, allegorie e emblemi, dati folclorici, cultura orientale e cultura occidentale, che danno vita a un vertiginoso universo di dislocazioni. Le due grandi tele dipinte da Mario Merz Stromboli e Tenda viola fanno parte di quel corpus pittorico che l’artista realizza a partire dalla metà degli anni Settanta, quando su grandi tele grezze dipinge enormi figure di animali “preistorici”: iguane, rinoceronti, coccodrilli, con una pittura gestuale vicina ai suoi quadri degli anni Cinquanta. Una pittura “eccentrica”, potente, impagina sulla tela l’energia primordiale del vulcano, e raffigura la tenda, segno simbolo nella sua poetica, come l’igloo o la cupola. La narrazione esce dal perimetro della cornice con il Black and light flux di Michelangelo Pistoletto, che accoglie in sé porzioni di realtà. I quadri specchianti realizzati dall’artista fin dal 1961, che riflettono la presenza di ciò che li circonda, vivono nella contingenza, annullano il concetto metastorico dell’opera d’arte e l’unicità della rappresentazione. Ma, soprattutto, generano una particolare percezione nell’osservatore che vi si specchia, che entra così a far parte dell’opera: “Lo spettatore si vede riflesso come spettatore, vede se stesso all’interno del quadro. Questo è il raggiungimento di una terra pomessa”, ha dichiarato l’artista.(3) Claudio Parmiggiani e Vettor Pisani hanno intessuto, differentemente, una relazione continua con la storia dell’arte. Parmiggiani ha frequentato a lungo i frammenti scultorei, i calchi statuari, inserendoli nelle sue opere sia come innesti testuali che come allegorie. L’opera qui esposta è il calco di una mano aperta, adagiata su un piano e chiusa in una teca; dal palmo scorre una


di colore azzurro che si deposita sul piano d’appoggio. Forse è un omaggio alla pittura, si tratta comunque di un’opera enigmatica, aperta a diverse interpretazioni, come di consueto nel lavoro dell’artista, poiché, come egli ha detto, la realtà di un’opera ha inizio oltre tutto ciò che di essa è visibile. Il mondo poetico di Vettor Pisani, onirico e surreale, è il luogo del doppio e del rovesciamento. L’artista mette in atto una moderna “ars combinatoria”, caratterizzata dalla stratificazione dei segni e dei significati e da immagini simboliche. Tra queste, l’eros è una potenza onnipresente e soggiacente, quanto Thanatos, il suo opposto. Nell’opera Eros e Thanatos qui presentata sono assemblati su uno stesso piano un Eros, (dall’ iconografia rivisitata) una mano insanguinata, un teschio: moderno “memento mori”. Infine, le opere di Hidetoshi Nagasawa, di Giuseppe Penone e di Ettore Spalletti magnificano in tutta la sua potenza formale la scultura. Nagasawa, che ha utilizzato per i suoi lavori differenti materie, dal marmo ai metalli, dal legno alla carta all’acqua e le qualità immateriali della luce e dell’ombra (intesa comunque come luce), del pieno e del vuoto e ha concepito la scultura sempre in termini ambientali, è presente con Triangolo nel pentagono. Un lavoro in marmo e legno la cui composizione è generata dal rapporto tra la figura geometrica del triangolo e quella del pentagono, o meglio, tra i numeri 3, 5 e 7, poiché la scultura è delimitata da un perimetro composto di sette travi lignee. “Numeri cosmici”, dice l’artista, che da sempre adotta dei principi compositivi che riposano sui numeri. La scultura di Giuseppe Penone Anatomia, che si erge nello spazio adiacente l’entrata di Palazzo Cybo Malaspina, è un blocco di marmo Bianco di Carrara, alto più di tre metri, scolpito soltanto su due facce, che mostra le sue “vene” portate alla luce dal lavorio dello scalpello che ha scavato il marmo circostante. Il titolo dell’opera rimanda a un corpo vivo, così come quello di Pelle di marmo, che consisteva invece in una lastra di marmo orizzontale, di cui erano messe in luce, con lo stesso procedimento, le venature.


Il blocco monumentale mostra così la sua anatomia e l’intreccio disegnato dai sentieri marmorei somiglia a quello delle radici degli alberi o al percorso fluido della linfa. Struttura verticale come il corpo umano è anche il lavoro di Ettore Spalletti, che nella sua poetica utilizza la geometria secondo quell’ “esprit de finesse” che ne trasgredisce la rigidità, riplasmata dall’uso particolarissimo del colore, sempre attraversato dal bianco. Colonna persa per amore: un titolo poetico quanto enigmatico, una colonna in gesso alta due metri e cinquanta, la cui forma circolare è interrotta come da un’improvvisa mancanza, e la rotondità cede così il passo a due sfaccettature, a due superfici piane, come lesene. “Pittura tridimensionale”, come l’artista definisce le sue sculture, un rosa molto pallido, che evoca l’incarnato del corpo umano, la colora e così si offre come una traccia luminosa disegnata nello spazio, secondo quel linguaggio della leggerezza che avvolge le sue opere. Il colore sembra infatti smaterializzarne il volume. Quest’opera, su generosa proposta di Spalletti, è stata prodotta dalla nostra scuola di Scultura e, finita la mostra, sarà lasciata in dono all’Accademia stessa e collocata nella sua prestigiosa Biblioteca. Questo felice incontro tra il progetto dell’artista e gli studenti, che, seguiti dai loro docenti, lo hanno potuto realizzare, non solo ha rappresentato un’eccezionale esperienza didattica, ma è stato per tutti noi la condivisione di una grande emozione.

M. Calvesi, Stabilità della scultura, in C. Giumelli (a cura di), VIII Biennale Internazionale di Scultura, catalogo della mostra, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 1996, p.17 2) A. Paolucci, Un secolo di Scultura a Carrara, in A. V. Laghi (a cura di), X Biennale Internazionale Città di Carrara.Il Primato della Scultura. Il Novecento a Carrara e dintorni, catalogo della mostra, Maschietto & musolino, Firenze 2000, p.11 3) cfr M. Pistoletto, in G. Celant, Pistoletto, Fabbri, Milano 1992, p. 28. 1)



Enrico Castellani, Superficie bianca, 1974 acrilico su tela, 150 x150 cm



Enrico Castellani, Superficie blu, 1965 acrilico su tela, 120 x150 cm



Giulio Paolini, Bandiere, 1969 fotografia a colori e collage, 32 x 28,2



Giulio Paolini, Bozzetto di Delfo II, 1968 negativo fotografico su carta, 47,5 x 33 cm



Giulio Paolini, Senza titolo, 1967 inchiostro su carta applicata su cartoncino 46 x45cm



Giulio Paolini, Senza titolo, 1967-68 collage, 47,5 x 34 cm



Luigi Ontani, FortunatallormisericordiosameriKano, 1985 olio su tela, 100 cm di diametro



Mario Merz, Stromboli, 1980 acrilico e inchiostro su carta Kraft, 149,2 x 167 cm



Mario Merz, Tenda viola, 1978 acrilico su tela, 199 x 150,5 cm


Michelangelo Pistoletto, Black and Light flux, 2008 specchio nero e argento, legno, dittico 130 x 170 x 5 cm ciascuno




Vettor Pisani, Eros e Thanatos, 2006 fusione in alluminio, figura in legno e acrilico, misure variabili



Claudio Parmiggiani, Senza titolo, 1994 gesso e pigmento, 22 x 25 x 39 cm



Hidetoshi Nagasawa, Triangolo nel pentagono, 2010 marmo e legno, 120 x 300 x 150 cm



Giuseppe Penone, Anatomia, 2013 marmo Bianco di Carrara, 166 x 200 x 310 cm



Ettore Spalletti, Colonna persa per amore, 2013 impasto di colore su gesso, h. 250 cm, diametro 32 cm


In questa e nelle immagini successive le fasi della realizzazione dell’opera di Ettore Spalletti presso la sede di Scultura di Via Carlo Fontana









Vedute d’insieme della mostra. Aula Magna dell’Accademia di Belle Arti









La colonna persa per amore di Ettore Spalletti riflessa nel Black and Light flux di Michelangelo Pistoletto





In questa e nella immagine precedente alcune fasi del restauro dell’opera di Lorenzo Guerrini




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