DAUDresearch Dottorato in Architettura e Urbanistica Scuola Superiore “G. d’Annunzio”
RACCOLTA DEI SAGGI BIBLIOGRAFICI DEI DOTTORANDI DEL XXVII CICLO. a cura della Prof. ssa Susanna Ferrini
VISIONI SULLA CITTA’ DAL PASSATO ALLA SMART-CITY
TRACING ROME Conversazione sull’architettura e la città Roberta Scocco SMART CITIES AND COMMUNITIES Un viaggio nel passato della città del futuro Lorenzo Massimiano
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ORIENTAMENTI SULLO SPAZIO PUBBLICO
RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI SPAZIO PUBBLICO DALLA MODERNITA’ AD OGGI: Crisi vs Rinascita Patrizia Toscano
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WAYFINDING E/È PROGETTO DEI LUOGHI Evoluzione teorica del wayfinding nella progettazione e nella comunicazione dei luoghi. Stefano Picciani
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DALLE TRASFORMAZIONI TERRITORIALI AL MEDITERRANEO IMPROGETTABILE
SUSTAINABILITY VS SUITABILITY Dalla sostenibilità all’idoneità nei processi decisionali per il governo delle trasformazioni territoriali Donato Piccoli
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PAESAGGI DELLA SOPRAVVIVENZA Crisi del modello mediterraneo? Veronica Salomone
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PATRIZIA TOSCANO
ORIENTA SUL SPAZIO P
Il fine ultimo dell’architettura è costruire il benessere sociale. |Cedric Price| Casa da Musica, Porto OMA, foto di Patrizia Toscano
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AMENTI LLO PUBBLICO
STEFANO PICCIANI
Progettare ambienti che favoriscono l’orientamento degli individui risulta più efficace che appendere segnali. |P. Arthur, R. Passini| Achievement First Endeavor Middle SchoolBrooklyn, NY Pentagram Design
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Simcoe WaveDeck, Central Waterfront di Toronto
West 8, foto di Patrizia Toscano
PATRIZIA TOSCANO Curriculum in Architettura Si laurea con lode nel 2007 in Composizione Architettonica con tesi sul tema: “Quanta Fuit. Il sistema Museale Archeologico di Roma. Virtuale, Pedagogico, Ludico, il Nuovo Museo della Civiltà Romana all’Eur”, sotto la direzione del Prof. Francesco Garofalo. Nel 2009 e 2010 collabora con Ipostudio Architetti a Firenze, partecipando a numerosi concorsi nazionali e internazionali. Nel 2011 è vincitrice di una borsa di studio in Composizione Architettonica e Progettazione Urbana presso il Dipartimento IDEA, collabora alla redazione del Piano di Ricostruzione Post Sisma 2009 di Goriano Sicoli (AQ), sotto il coordinamento della Prof.ssa Carmen Andriani, per la quale è tutor nel primo semestre dell’a.a. 2011/2012. Partecipa nel Febbraio 2012 alla Missione in Giordania in qualità di tutor per il workshop internazionale “Nuovi Paesaggi mediterranei: Design with Heritage/Cpntext Sensitive Design”, svoltosi presso l’Università di Al Bayt di Al Mafraq. Partecipa come tutor alla Summer School internazionale Open City 2012 a Piacenza, organizzata dal Politecnico di Milano. Accompagna alla ricerca la libera professione.
Nuovi Spazi Pubblici (SP): capannoni, container, sottopassi / SP indeterminati / SP virtuali / SP intermittenti / SP sovrapposti / SP temporanei / SP potenziali / SP attivi / SP auto-organizzati / Spazi incompiuti / Spazi di confine / Spazi marginali / Spazi dell’in-between / Vuoti urbani / Amnesie Urbane / Spazi residuali / Terrain vague / … Davanti a tale ricchezza/incertezza (?) terminologica, sintomo di una condizione urbana indefinita e in continua trasformazione, la mia ricerca si interroga sul valore del Progetto per lo Spazio Pubblico Contemporaneo, su un ritrovato ruolo etico dell’Architetto, sul grado di definizione e di indeterminatezza che il progetto deve mantenere, sul valore della partecipazione pubblica nel processo progettuale, infine, sulle chiavi di lettura delle nuove pratiche di uso extraordinario dello Spazio Pubblico. Il saggio tenta di ricostruire le posizioni teorico-critiche che costituiscono lo sfondo della ricerca, a partire dalla crisi del concetto di SP. Gli autori selezionati provengono da settori disciplinari differenti: architetti, urbanisti, sociologi, antropologi, artisti e filosofi. Tale scelta è dettata dalla volontà di presentare uno sguardo sul tema il più ampio e multidisciplinare possibile, nella convinzione che soltanto allargando gli orizzonti e adottando punti di vista multipli è possibile comprendere i complessi fenomeni che interessano la città contemporanea.
RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI SPAZIO PUBBLICO DALLA MODERNITA’ AD OGGI Crisi vs Rinascita
“...ad ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa di esistere”. |Italo Calvino|Le città invisibili|1972|
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00 | INTRO
o Spazio Pubblico è la trama di cui si intesse la città, un filo rosso che connette persone, luoghi e percorsi, luogo in cui la città si riconosce come comunità, luogo di incontro e di scambio, di crescita democratica, in cui è possibile superare le differenze e risolvere i conflitti. Si tratta quasi sempre di luoghi al confine tra due mondi che si incontrano, si toccano e si scontrano. Spazi diversi ma con un comune denominatore: sono di tutti e sono ovunque: c’è chi vi si ferma, chi li attraversa e chi li trasforma semplicemente con la propria presenza. La creatività dei suoi utenti è dunque il loro elemento portante e strutturante. L’idea di spazio pubblico quale garanzia di democrazia e spazio di libertà è oggi in profonda crisi. La popolazione urbana è attualmente caratterizzata da un’elevata eterogeneità e frammentazione, in cui convivono gruppi molto differenti sotto il profilo sociale, economico e di provenienza geografica. Offrire uno spazio di convivenza ed eguaglianza non è facile. La città contemporanea, che un tempo rappresentava a tutti gli effetti la sua civitas, non risulta più capace di comunicare queste rapide trasformazioni sociali attraverso l’elaborazione di nuove forme urbane, tanto da affidarsi sempre di più ad azioni di carattere temporaneo e reversibile, che offrono, tuttavia, la possibilità di sperimentare nuove approcci possibili. Tali tentativi si basano su un concetto di spazio pubblico che si discosta dalla tradizionale concezione monumentale che lo riguardava e si muovono verso un’accezione attiva, operativa e inclusiva degli spazi residuali presenti nella città diffusa. Solo accettando la sfida di ragionare in termini di uno spazio non più ‘finito ma sensibile al cambiamento e all’interazione, si può arrivare ad un progetto di spazio pubblico attuale e compatibile con le richieste di una società in continuo e rapido mutamento. Un progetto il cui fine sia quello di compiere una traslazione dall’idea di una forma alla definizione di strategie relazionali: processi complessi che hanno successo se il risultato finale è l’emancipazione degli utenti coinvolti, che diano vita ad un luogo che sia “proiezione fisica dei bisogni del cittadino” . |M. Gausa, 2010|
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01 | CHIUSURE LA CRISI DELLO SPAZIO PUBBLICO INDAGATA IN CAMPO POLITICO-FILOSOFICO E SOCIOLOGICO
Hannah Arendt Vita Activa. La condizione umana 1958
Lo SP non è solo un luogo fisico, ma anche una rappresentazione simbolica delle libertà civili e democratiche che consentono di regolare i conflitti sociali e politici e di confrontarsi con i poteri costituitivi. In quanto nozione cardine delle scienze umane e sociali, la maggior parte dei pensatori, a partire da Kant, se ne sono occupati concentrandosi sulle profonde trasformazioni avvenute nell’ultimo secolo nel rapporto tra sfera pubblica e privata e nell’ultimo ventennio con l’avvento di internet: strumento che sembra aver assorbito, in forma telematica, quello che era il vero ruolo comunicativo dello SP. Il filo conduttore che lega gli autori selezionati denota un atteggiamento nostalgico verso lo SP inteso in senso classico: quello della polis greca, in cui i cittadini erano espressione di una società compatta e coesa che si radunava nell’agorà per discutere del bene comune secondo un’ideale di vita politica retto dal dialogo e dall’argomentazione. Nella sua opera Vita Activa, La condizione umana (1958), Hannah Arendt individua tre momenti della condizione umana: il lavoro, la produzione e l’azione: quest’ultima attività è la sola a mettere realmente in rapporto gli uomini, costituendo la condizione necessaria per ogni vita politica. Secondo la Arendt dopo il collasso del mondo romano, la storia ha registrato la scomparsa della sfera pubblica causando, dal Medioevo in poi, la modellazione di tutte le forme di rapporto politico a livello privato fino a giungere all’età moderna, che appare segnata da una marcata alienazione del soggetto dal mondo, evidente nel trionfo della teoria sull’azione. I rapporti tra le tre attività umane variano costantemente nella storia, anche se nella polis greca raggiunsero un’integrazione armonica: la città pre-filosofica a cui pensa la Arendt è quella dell’azione comune e libera, quella in cui la politica si configura come azione collettiva, quella in cui lo spazio pubblico è il luogo in cui i cittadini interagiscono mediante la discussione. “Discorso e azione sono le modalità in cui gli esseri umani appaiono gli uni agli altri non come oggetti fisici, ma in quanto esseri umani”. |H. Arendt, 1958| Particolarmente interessante e attuale è il discorso sugli “spazi dell’apparenza”, luoghi presenti potenzialmente in qualsiasi luogo in cui le persone si riuniscano, non necessariamente e non per sempre. “La polis non è la città-stato in quanto situata fisicamente in un territorio, è l’organizzazione delle persone così come scaturisce dal loro agire e parlare insieme, e il suo autentico spazio si realizza tra le persone che vivono insieme a questo scopo, indipendentemente dal luogo in cui si trovano. Ovunque andrete vi sarà una polis.” e ancora ,“ Lo spazio dell’apparenza si forma ovunque gli uomini condividano le modalità dell’azione e del discorso (…) La sua peculiarità è che, diversamente dagli spazi che sono opera delle nostre mani, non sopravvive alla realtà del movimento che lo crea, ma scompare non solo con la sparizione degli uomini ma con la stessa scomparsa e arresto delle loro attività”. |H. Arendt, 1958|
Jürgen Habermas Teoria dell’agire comunicativo 1981
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La riflessione in campo filosofico sullo SP lega ad Hannah Arendt, passando così dal concetto di Spazio Pubblico a quello di Sfera Pubblica.
Nella pubblicazione Teoria dell’agire comunicativo (1981), Jürgen Habermas descrive “il processo nel corso del quale il pubblico costituito d’individui facendo uso della ragione s’appropria della sfera pubblica controllata dalle autorità e la trasforma in una sfera dove la critica si esercita contro il potere dello Stato”. Il concetto di pubblicità, nel senso di ampia diffusione delle informazioni e degli argomenti di dibattito, è fondamentale nella sua elaborazione teorica, e viene intesa come dimensione costitutiva dello SP. Tuttavia, i mezzi di comunicazione di massa hanno ampliato apparentemente, ma ridotto nella sostanza, gli ambiti di uno spazio pubblico inteso come luogo di argomentazione pubblica. Habermas sottolinea il rischio del declino di uno spazio pubblico governato dalla ragione, che rischia di trasformarsi in occasione per pubblicizzare il privato divenendo mero palcoscenico per la messa in scena dell’avvenimento piuttosto che dell’argomento, perdendo così la sua natura di luogo nel quale si formano e si discutono le opinioni. Le posizioni prese in analisi imputano all’avvento della Modernità la messa in crisi del concetto di Pubblico nelle sue varie accezioni (spazio pubblico, sfera pubblica, bene pubblico, ecc...). Zygmut Bauman in Modernità Liquida (2000) descrive il passaggio dalla modernità “pesante” a quella “liquida”: fase segnata della disintegrazione della rete sociale, della disgregazione degli organismi di azione collettiva, dal disimpegno e dalla leggerezza. Afferma che “il nostro è un tipo di Modernità individualizzato e privatizzato”. Disimpegno, elusività, evasione facile possono essere letti non solo come effetti collaterali della liquidità ma anche come arma principale del potere che, sfruttando l’inconsistenza dei legami sociali, può agire liberamente. Nel terzo capitolo Tempo/Spazio vengono affrontati i temi della comunità, della diversità e della paura urbana e si richiamano le due strategie di cui parla Claude Levi Strauss in Tristi Tropici (1955) per risolvere la questione della diversità: Annullamento e Distruzione della diversità, quindi, spinta all’omogeneità. L’idea di bene comune viene guardata con sospetto e la ricerca di sicurezza in un’identità comune diventa il modo più sensato di procedere, “operare una separazione territoriale, il diritto ad uno spazio difendibile” diventa operazione legittima.
Zygmut Bauman Modernità Liquida 2000
“L’attuale avatar del comunitarismo è una risposta razionale alla reale crisi di spazio pubblico e dunque di politica, quella attività umana di cui lo spazio pubblico è il semenzaio”(…) “ La patologia dello spazio pubblico è il risultante di una patologia della politica”.|Z. Bauman, 2000| “Tutte queste diagnosi (...) denotano una nostalgia per lo spazio pubblico. All’unisono rammentano la disaffezione verso la politica, la degradazione dell’opinione pubblica, la burocratizzazione e tecnicizzazione della politica, l’abbandono dei doveri della cittadinanza”.|D. Innerarity, 2008|
Daniel Innearity Il nuovo spazio pubblico 2008
LA CRISI DELLO SPAZIO PUBBLICO INDAGATA IN CAMPO ARCHITETTONICO E URBANO “Non è possibile abitare la città se la città non dispone per l’abitare e cioè non dona luoghi. Il luogo è dove sostiamo, è pausa (è analogo al silenzio in una partitura) non si dà musica senza silenzio. Il territorio post-metropolitano ignora il silenzio, non ci permette di sostare, di raccoglierci nell’abitare”. “Nomadi in prigione” |M. Cacciari, 2004|
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L Richard Sennet La coscienza dell’occhio 1992
e difficoltà, che attraversano le città nel rappresentare la loro dimensione pubblica attraverso la conformazione degli spazi aperti, non possono essere semplicemente imputabili all’incapacità politica di determinare il significato odierno di cultura pubblica comune e alla conseguente disaffezione verso la politica, ma vanno anche rilette attraverso le critiche di quella larga parte del pensiero contemporaneo in architettura e urbanistica che sembra giunto alla conclusione che la vita pubblica nelle città sia avviata al suo dissolvimento. Gran parte della critica analizzata imputa alla progettazione urbana moderna la causa della decadenza dello SP. Richard Sennet in La coscienza dell’occhio (1992) critica aspramente la struttura a griglia proposta dai progettisti del Movimento Moderno, la cui attività viene definita di Neutralizzazione coatta, mentre la griglia viene dichiarata la struttura meno adatta alle esigenze degli uomini, poiché consiste nella continua ripetizione di elementi sempre uguali. In particolare, si fa riferimento al Plan Voisin di Le Corbusier come “l’emblema più appropriato della città neutrale e disincantata” e aggiunge: “L’antiumanesimo che Le Corbusier professava in quel momento aveva un nemico: la strada”. Il suo dissenso riguardo la progettazione urbana della prima metà del Novecento ben si evidenzia in questo passaggio: “Se si chiedesse ad un architetto di progettare spazi capaci di favorire lo sviluppo della democrazia, questi deporrebbe subito la penna: la progettazione moderna non prevede l’equivalente dell’assemblea antica”. Tuttavia, la sua non è una critica esclusivamente distruttiva ma lascia spazio alla speranza di riuscire nuovamente a progettare spazi urbani umani, così come era stato nel passato (riferendosi nello specifico agli architetti rinascimentali) e introducendo il concetto di Esperienza dei Limiti: “Non è di copiare le forme del passato che abbiamo bisogno, ma di capire quali fossero i principi della loro attività inventiva (…) gli spazi possono diventare pieni di tempo quando consentono l’intervento di certi aspetti narrativi nella vita quotidiana”. |R. Sennet, 1992| “L’artefice di una città moderna e umana vorrà sovrapporre tante diversità, invece che frammentarle. La sovrapposizione è anche un modo per creare confini complessi e aperti. È lo spostamento continuo non certo la linearità che costituisce una disposizione veramente umana” e ancora “Abbiamo bisogno di vedere le differenze nelle strade, o negli altri, senza avvertirle né come minacce né come tentativi di seduzione bensì come visioni necessarie”. |R. Sennet, 1992|
Mike Davis Città di quarzo. Indagando sul futuro di Los Angeles 1993
Anche Sennet quindi affronta, in netto anticipo rispetto a Bauman, la dialettica tra Stabilità e Definizione vs Immediatezza ed Imperfezione, assimilabile alla dicotomia baumaniana Modernità solida / Modernità liquida. Egli tratta, inoltre, la questione della ghettizzazione delle differenze e della paura urbana, più specificatamente affrontata negli stessi anni da Mike Davis, teorico dello sviluppo urbano. A tal proposito lo stesso Sennet afferma: “All’urbanista moderno mancano i precetti visivi che indichino come le varie razze possano mescolarsi in luoghi pubblici, come si possa concertare la suddivisione dei quartieri, o la progettazione di strade che si adattino in modo conveniente alle diverse destinazioni economiche (…) la diversità umana sembra porsi al di là delle capacità umane di progetto”. Queste stesse problematiche vengono ampiamente trattate da Mike Davis nel libro Città di Quarzo. Indagando sul fututo a Los Angeles (1993), in
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cui vengono analizzate le condizioni in cui versano le città nordamericane e nello specifico la città di Los Angeles. “Viviamo in città fortezze, brutalmente divise in cellule fortificate della società benestante e luoghi del terrore dove la polizia combatte i poveri criminalizzati”. |M.Davis, 1993| La conseguenza di una politica che incrementa la paura urbana, anche attraverso i media, è proprio quella di una massiccia privatizzazione dello spazio pubblico e dell’architettura pubblica e il sovvenzionamento di enclave razziste. Davis sostiene, infatti, che a Los Angeles nei quartieri residenziali abitati dai benestanti, quindi dotati di un certo peso politico, si è arrivati a privatizzare gli spazi pubblici, separandosi così dal resto della metropoli e imponendo un “controllo passaporti agli estranei”: “La conseguenza universale e ineluttabile di questa crociata per la difesa della città è la distruzione dello spazio accessibile al pubblico”, e ancora : “In una città che è meta di milioni di immigrati, gli spazi pubblici sono in drastico declino, i parchi in rovina e le spiagge sempre più segregate, vengono chiuse le biblioteche e i giardini pubblici, le normali riunioni dei giovani sono sommariamente vietate, le strade diventano più desolate e pericolose”. |M.Davis, 1993| In particolare Davis critica il modello di pianificazione urbana postmoderno, largamente adottato nelle città nordamericane a partire dagli anni ‘80. “In una città come Los Angeles, sulla cattiva strada della post-modernità, si può osservare la fusione senza precedenti della progettazione urbana, dell’architettura e dell’apparato di polizia in un unico, totale, sistema di sicurezza”. Il rischio più grave di tali politiche urbane intenzionalmente adottate, non è solo quello di “uccidere la strada”, ma di “uccidere la folla”, eliminando quella mescolanza democratica che si può trovare nei parchi e sui marciapiedi. Anche Aaron Betsky nel saggio Nothing but flowers: against public space, contenuto nel volume Slow Space di M. Bell e S. T. Leong (1998), affronta i medesimi temi legati alla sicurezza urbana ma li lega alla paura per l’assenza di forma della città e del vuoto e alla conseguente domanda di ritorno all’ordine pubblico nello spazio urbano. Betsky sostiene che le nuove tendenze New Urbanism, che insistono sul ritorno ad una città leggibile e ad un vuoto chiamato spazio pubblico, distruggono di fatto quello che da sempre consideriamo essere lo spazio urbano, quale luogo denso in cui si mescolano tante attività.
Aaron Betsky Nothing but flowers: against public space 1998
“Public space is a space where many activities overlap: rich confusion, commerce , seductionand filth. Public space works not as a designed element, but is instead carved out by wheeling and dealing, crossroads, and the chance at freedom, where a person emerges from shadows into light that grows into the everextending space of public gathering and demostration, and seeps into every open pore of the city. Along with this truly public space comes meaning: the physical context of actions itself signifies. this meaning does not exist in the silence of an empty square or grand avenue, but emerges in urban form, in all aspect of social life, as well as in the narrative richness of the everyday, and is crystallized into dense form by those we call artists. (...) Paradoxically, we need dense spaces of layers, fractures, and confusion to find over”. | Aaron Betsky, 1998|
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Italo Calvino Le città invisibili 1972
Italo Calvino, nel descrivere Zaira, una delle sue Città Invisibili (1972), esprime sostanzialmente lo stesso concetto: per comprendere un luogo, per conoscere una città, non basta la descrizione fisica degli elementi che la compongono, è necessario uno sguardo sensibile rivolto alle pratiche quotidiane di uso dei cittadini e di come queste trasformino i luoghi. “Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato: la distanza dal suolo d’un lampione e i piedi penzolanti d’un usurpatore impiccato; il filo teso dal lampione alla ringhiera di fronte i festoni che impavesavano il percorso del corte nuziale della regina; l’altezza di quella ringhiera e il salto dell’adultero che la scavalca all’alba, l’inclinazione d’una grondaia e l’incedervi d’un gatto che s’infila nella stessa finestra; la linea di tiro della nave cannoniera apparsa all’improvviso dietro il capo e la bomba che distrugge la grondaia; gli strappi delle reti da pesca e i tre vecchi che seduti sul molo a rammendare le reti si raccontano per la centesima volta la storia della cannoniera dell’usurpatore, che si dice fosse un figlio adultero della regina, abbandonato in fasce lì sul molo”.
Vito Acconci Public Places 1990
Anche in campo artistico sono numerose le dimostrazioni di interesse verso lo spazio pubblico e le sue trasformazioni. Nel 1988 si svolge al Moma di New York la mostra Public Places, curata da Linda Shearer, interamente dedicata a Vito Acconci e alle sue installazioni urbane che invitano all’interazione dei passanti, originariamente concepite per l’outdoor ed appositamente ricostruite per essere esposte all’interno del museo. Come si evince dal comunicato stampa pubblicato dal Moma nel Febbraio 1988, in vista dell’inaugurazione della mostra, Acconci “intends that these works convey the notion of a kind of discussion place, argument place, start-a-revolution place”. A due anni di distanza dalla mostra, Vito Acconci pubblica un saggio su Critical Inquirity n°16/1990 intitolato Public Space in a Private Time nel quale afferma : “Public space was dead; there wasn’t time anymore for public space; public space was next to go” (...) “The space that is made public began as its own opposite. This was a space that was never meant to be public at all: a royal space, or a presidential space, or a corporate space” e ancora, “Private Space becomes public when the public wants it; public space becomes private when the public that has it won’t give it up”. La critica di Acconci va oltre le argomentazioni sulle relazioni tra spazio pubblico e quello privato ed arriva ad interessarti del Pubblico: “...these are people in the form of the city, they are public when they act in the name of the city. They own the city only in quotes. The establishment of certain space in the city as public is a reminder, a warning, that the rest of the city isn’t public. New York doesn’t belong to us, and neither does Paris, and nether does Des Moines”. “Setting up a public space meand setting aside a public space”. |Vito Acconci, 1990|
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02 | APERTURE LA RINASCITA DELLO SPAZIO PUBBLICO NELLA CITTÀ CONTEMPORANEA: POSIZIONI TEORICHE
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due saggi proposti, scritti da Margareth Crawford e James Holston, titolari rispettivamente delle cattedre di Environmental Design e di Antropologia Socio-Culturale presso la UC Berkley, Southern California Instituite of Architecture, offrono delle risposte alle “architectural narrative of loss” : posizioni assunte da quei numerosi critici che recriminano la scomparsa dello spazio pubblico. Questi autori mettono in evidenza come i cittadini metropolitani stiano costantemente ridisegnando gli spazi pubblici e ridefinendo la sfera pubblica
By eliminating the insistence on unity, the desire for fixed categories of time and space, and the rigid concepts of public and private that underlie these narrative of loss, we can begin to recognize a multiplicity of simultaneous public interactions that are restructuring urban space, producing new forms of insurgent citizenship, and revealing new political arenas fo democratic action”. |M. Crawford|Contesting the Public Realm: Struggles over Public Space in Los Angeles|1995|| attraverso le loro esperienze di vita urbana, per cui la sensazione della perdita sarebbe in realtà più percettiva che reale e dipenderebbe dalla nostra incapacità di ridefinire continuamente i concetti di pubblico, spazio, democrazia e cittadinanza, sulla base delle esperienze vissute. Margareth Crawford nel saggio Contesting the Public Realm: Struggles over Public Space in Los Angeles, pubblicato nel Febbraio 1995 sul Journal of Architectural Education n.49, sostiene:
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“By eliminating the insistence on unity, the desire for fixed categories of time and space, and the rigid concepts of public and private that underlie these narrative of loss, we can begin to recognize a multiplicity of simultaneous public interactions that are restructuring urban space, producing new forms of insurgent citizenship, and revealing new political arenas fo democratic action” | M. Crawford, 1995| Nel brano si evidenzia, inoltre, come il pluricitato ideale di democrazia ateniese, così come la sfera pubblica e borghese di cui parla Habermas, non siano stati spazi realmente democratici nel momento in cui rispettivamente escludevano donne, schiavi e le classi sociali proletarie. Per far si che un singolo spazio fisico possa rappresentare uno spazio di democrazia completamente inclusivo, bisogna invece iniziare a parlare di una molteplicità di spazi che, a differenza di quelli normati, impegnati solo nel riprodurre l’ideologia esistente, si configurano spesso come
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luoghi di lotta e contestazione, processi che stanno cambiando la società localmente e globalmente, oltre che produrre cambiamenti di significato. Si rende pertanto necessaria una riflessione sul Pubblico che vive questi spazi, a riguardo la Crawford sostiene: “The multiple and counterpublics (…) necessarily produce multiple sites of public expression, creating and using places that are partial and selective, responsive to limited segments of the population and to a limited number of the multiple public role individuals play in urban society”. Le strade, i marciapiedi, i lotti vuoti, i parchi ed altri luoghi della città, reclamati dalle comunità di immigrati, dai poveri e dai senza tetto, sono diventati luoghi in cui il dibattito sul significato della democrazia viene affrontato quotidianamente. Senza sostenere che questi processi rappresentino la totalità degli SP, nelle loro molteplici forme queste attività pubbliche collettive costruiscono e rivelano una logica alternativa di vita pubblica. Quando i residenti con nuove storie, culture e domande appaiono nelle città, inevitabilmente introducono forme di disturbo e le loro richieste di diritto alla città introducono nuovi tipi di diritti, basati sulle necessità di vivere esperienze che vanno al di fuori delle normative e delle definizioni istituzioni di stato e dei suoi codici legali. I luoghi pubblici in cui gli scontri si verificano sono la prova della ricerca di un nuovo statuto emergente, non ancora completamente comprensibile: qui infatti si sfocano le differenze tra domestico ed economico, pubblico e privato. La chiave di lettura costruttiva offerta dalla Crawford ci invita a guardare al cambiamento, alla molteplicità e alla contestazione come elementi che aiutano a leggere la vera natura dello SP, senza decretarne il fallimento: “By recognizing these struggles as the germ of an alternative development of democracy, we can begin to frame a new discourse of public space, one no longer preoccupied with loss, but filled with possibilities”.
James Holston Spaces of Insurgent Citizenship 1998
In questo modo Margareth Crawford afferma che la vitalità urbana esiste ancora ma è contrassegnata dallo scontro, che avviene in quei siti emergenti che l’antropologo James Holston chiama Spaces of Insurgent Citizenship, titolo del saggio contenuto nel libro Making the Invisible Visible: A multicultural Planning History (a cura di Leonie Sandercock, 1998). L’autore, in risposta all’affermazione di Aldo van Eyck circa l’assenza di forma della società e la non conoscenza della vasta molteplicità, individua come questione centrale nella teoria architettonica e urbana la necessità di sviluppo di un’immaginazione sociale differente: “As I do not believe that “society has no form” or that “we know nothing of vast multiplicity”, I want to argue that one of the most urgent problems in planning and architectural theory today is the need to develop a different social imagination. (…) I suggest that the sources of this new imaginary lie not in any specifically architectural or planning production of the city but rather in the development of theory in both fields as an investigation into what I call the spaces of insurgent citizenship (…). By insurgent, I mean to enphasize an opposition of these spaces of citizenship to the modernist space that physically dominate so many cities today. I also use it to emphasize an opposition to the modernist political project that absorbs citizenship into a plan of state building and that, in the process, generates a certain concept and practice of planning itself ”.
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Holston prosegue muovendo anch’egli una critica al modello moderno di pianificazione, definito utopico e arrogante poiché non ammette la contraddizione e il conflitto, l’inaspettato e il non intensionale. Alla base di una nuova forma di pianificazione dovrebbe esserci l’obiettivo di comprendere la società come reinvenzione continua del sociale, del presente e del moderno e delle loro modalità narrative e comunicative. “What planners need to look for are the emergent sources of citizenship – and their repression – that indicate this invention. (…) The new spaces of citizenship that result are especially the product of the compaction and reterritorialization in cities of so many new residents with histories, cultures, and demands that disrupt the normative and assumed categories of social lyfe. This disruption is the source of insurgent citizenship and the object af a planning theory that includes the ethnographic present in its constitution”. | J. Holston, 1998| Holston, come la Crawford, suggerisce una visione che ribalti il problema in possibilità: questioni come il razzismo ed il multiculturalismo possono costituire nuovi focus per la pianificazione urbana, la quale dovrebbe assumere, come presupposti delle sue indagini, l’eterogeneità delle esperienze vissute, vale a dire considerare il presente etnografico e non il futuro utopico. Il suo ragionamento va oltre quando afferma che il ruolo della pianificazione non deve limitarsi ad indagare lo sviluppo di queste tendenze etnografiche insorgenti, ma ha il compito di ridefinire le risorse dello Stato, imponendo dove necessario un concetto più ampio di diritti. Incoraggiare, quindi, l’antagonismo complementare tra i due impegni e operare simultaneamente sui due fronti, mantenendo una tensione produttiva tra l’apparato statale rivolto al futuro e la ricerca delle nuove forme sociali incorporate nel presente. Movimento Occupy Wall Street
New York City da www.polisblog.org
LA RINASCITA DELLO SPAZIO PUBBLICO NELLA CITTÀ CONTEMPORANEA: ESPERIENZE DI ATTIVISMO URBANO E PROGETTAZIONE RESPONSABILE IN MOSTRA
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a vitalità di cui si nutrono gli spazi urbani nelle città contemporanee, trattata dagli autori precedentemente considerati, nasce dalla presenza e dalle azioni di specifici gruppi sociali, composti da attivisti urbani, designer e architetti, artisti o semplici cittadini. Negli ultimi anni, sono emersi infatti numerosi casi di designer che agiscono su propria iniziativa per risolvere situazioni urbane problematiche, creando nuove opportunità e servizi per il pubblico. Provisional, improvisational, guerrilla, unsolicited, tactical, temporary, informal, DIY, unplanned, participatory, opensource sono solo alcune parole che sono state usate per
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2008 - 2011
descrivere questa crescente modalità di lavorare. Tali fenomeni sono stati oggetto di studio di vari progetti curatoriali, a partire dal 2008 fino ad oggi, che li hanno ritratti attraverso scatti fotografici e documentazione video, nel tentativo di capire e spiegare la tendenza ad occupare e trasformare autonomamente lo spazio pubblico attraverso azioni temporanee e spesso intenzionalmente provocatorie. Tra le mostre selezionate se ne possono citare alcune: POST IT CITY. OCCASIONAL URBANITIES, CCCB, Barcellona 13 Marzo - 25 Maggio 2008 (successivamente esposta a Santiago del Chile, Buenos Aires, Montevideo, Cadiz, Madrid). Curatori: Martí Perán, Filippo Poli, Giovanni La Varra, Federico Zanfi; ACTIONS: WHAT YOU CAN DO WITH THE CITY, Canadian Centre for Architecture, Montreal 26 Novembre 2008 – 19 Aprile 2009, Graham Foundation for Advanced Studies in the Fine Arts, Chicago 16 Ottobre 2009 – 13 Marzo 2010. Curatori: Giovanna Borasi e Mirko Zardini; INTO THE OPEN. POSITIONING PRACTICE, XI Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia, Padiglione U.S.A. Autunno 2008. Curatori: William Menking, Aaron Levy, and Andrew Sturm; HANDS-ON URBANISM 1850 – 2012, Architekturzentrum Wien, 15 Marzo – 25 Giugno 2012. Curatore: Elke Krasny; SPONTANEOUS INTERVENTIONS. DESIGN ACTIONS FOR THE COMMON GOOD, XIII Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia, Padiglione U.S.A. Autunno 2012. Curatore: Cathy Lang Ho. Nella mostra Actions. What you can do with the city, Mirko Zardini definisce alcuni movimenti di attivismo urbano (richiamati peraltro un po’ in tutte le mostre sopra citate), quali Freegans, Trash Safari, Green Workers, Critical Mass, Shared Space, Guerrilla Gardening, Precare e Dumpster diving, come forme di microbe-like, singular and plural practices. Si tratta di pratiche che si sviluppano fuori dalle regole del nostro sistema urbano, che nascono negli anni Sessanta e Settanta ma riemergono oggi con forme inaspettate, suggerendoci di ripensare radicalmente l’esperienza urbana. Le loro modalità di attuazione richiamano tre concetti a noi già noti: l’azione |H. Arendt|, la temporaneità |Z.Bauman| e la pubblicità|J. Habermas|. In tutti i casi si tratta di interventi sullo spazio urbano dal carattere attuativo, immediato, che non prevedono una progettualità lunga ma che si basano su azioni concrete.
Olanda, Bas Princen 1998-2003, da “Post-it Citiy. Occasional Urbanities”
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Emirati Arabi, Actions n.79, 2007, da “Actions. What you can do with the City”
San Francisco, bar, 2008, da“In
Il più delle volte si tratta di interventi temporanei che durano il tempo necessario per l’utilizzo del luogo da parte di una specifica porzione di pubblico. Inoltre, il coordinamento dell’azione avviene spesso all’interno della rete virtuale: attraverso blog, social network e web-site si diffondono informazioni e si stabiliscono gli incontri fisici. Il concetto che possiamo considerare come l’assunto teorico di base per molte di queste iniziative è quello di Droit à la Ville, teorizzato dal sociologo francese Henry Lefebvre nel 1968, così descritto da David Harvey, intellettuale inglese e docente di Antropologia e Geografia alla City University di New York:
Henri Lefebvre Le droit à la ville 1968
“The right to the city is far more than the individual liberty to access urban resources: it is a right to change ourselves by changing the city. It is, moreover, a common rather than an individual right since this transformation inevitably depends upon the exercise of a collective power to reshape the processes of urbanization. The freedom to make and remake our cities and ourselves is, I want to argue, one of the most precious yet most neglected of our human rights”. |David Harvey| Le “utopie sperimentali”, teorizzate da Lefebvre come primo passo nell’acquisizione dei diritti alla città, si concretizzano nel campionamento di progetti urbani informali e improvvisati, oggetto di indagine delle esposizioni citate, che stanno proliferando in modo esponenziale nelle metropoli del mondo indipendentemente dalla localizzazione geografica e dalla cultura locale, a dimostrazione della globalizzazione della cultura urbana. Queste attività rappresentano un movimento in cui migliaia di artisti, architetti, designer, agiscono al di fuori dei limiti della professione in senso classico e insieme a fasce diverse di cittadinanza nel tentativo di dare forma e vita ad una città più umana, giusta e creativa. Le mostre vanno alla ricerca di quelle che potrebbero entrare a far parte di un archivio comune di strategie attuabili e replicabili in altre città con problemi simili. I progetti presentati aderiscono all’idea di attuare ciò che porta un beneficio alla maggior parte delle persone nel rispetto delle necessità quotidiane, evidenziando una molteplicità di modi di pensare il benessere collettivo, fisico ed emotivo.
, Panhandle Bandshell Flyout, Rento the Open. Positioning practice”
Orti urbani in Oriente, da “Hands-on Urbanism 1850-2012. The Right to Green”
Project n.88, New York, 2010, da “Spontaneous Interventions. Design actions for the common good”.
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Q Cristina Bianchetti Il Novecento è davvero finito 2011
03 | RIFLESSIONI VERSO LA TESI
uesto nuovo approccio alla città provoca inevitabilmente domande e dubbi sul ruolo dell’architetto e del progetto, sugli strumenti abitualmente impiegati per la trasformazione della città, che oggi appaiono ormai inadeguati dal punto di vista temporale poiché non consentono di cogliere e registrare in tempo reale le trasformazioni immediate della società e dei suoi bisogni. Viene inoltre messo in crisi il concetto di Pubblico, non più entità coesa e compatta, ma esplosa in una miriadi di piccole parti, che non esprimendo più una volontà collettiva, sembra contribuire al venir meno della legittimità del progetto stesso. Così come sostenuto da Cristina Bianchetti in Il Novecento è davvero finito (2011), quello odierno è un Pubblico minore. La minorità a cui si accenna però non denota riduzione, ma apertura: “incontri casuali e passeggeri al posto di un impegno obbligante e vincolante”. “Questo apre anche a nuove possibilità del progetto, a nuovi esperimenti, alla creazione di spazi che potrebbero trarre qualche vantaggio dall’essere considerati non più come ambito separato, patrimonizzato e caricato do valori (estetici e simbolici) specifici: le fughe nell’estetizzazione mostrano scarsa rilevanza e poca ironia. La sfida è piuttosto immaginare uno spazio minore, depotenziato, protetto. Non è questione di lessico, né di innovazione di un repertorio figurativo. È’ una diversa collocazione che si vuole discutere”. |C. Bianchetti, 2011| Alla luce di quanto detto finora circa la crisi del concetto di Spazio Pubblico in chiave teorica e progettuale e la sua potenziale rinascita, attraverso le variegate pratiche auto-organizzative tese alla riappropriazione e risignificazione dello SP, infine un nuovo concetto di Pubblico e di progetto per lo SP, emergono numerosi interrogativi tali da diventare quesiti fondamentali della mia ricerca: - Come gli usi temporanei possono riconfigurare i luoghi pubblici che non sono né effimeri, né provvisori? - Come può uno spazio fisico emulare le condizioni di socializzazione di uno spazio virtuale? - Possono manifestarsi spazi pubblici ibridi, altamente tecnologizzati? - Come leggere i dati che la città ci offre e riportarli nel progetto? - Se la città in cui viviamo è frammentata, composta da isole, in cui il libero movimento è spesso impedito per via della presenza di cancelli, separazioni, limiti, divieti, se lo stesso Pubblico è eterogeneo e frammentato, ha ancora senso parlare di continuità dello SP? Il quadro di incertezza che avvolge il tema proposto fa emergere una questione latente: la ridefinizione del ruolo dell’Architetto all’interno di un sistema troppo spesso portato avanti da sole logiche economiche e speculative, che poi conducono ad una trasformazione sconsiderata della città. Oggi numerosi gruppi di progettazione lavorano su uno sfondo sociale e collettivo, vedi Stalker/Osservatorio Nomade, a12, ma0, Cliostraat, TAM associati, Rotor, Ecosistema Urbano in Europa, Public Architecture, Rural studio e Lot-ek negli Stati Uniti, Studio Mumbai in India e Atelier Bow-Wow in Giappone. Comprendere attraverso quali meccanismi si possa lavorare in tal senso, uscendo fuori da un ruolo marginale e imponendo nuovi approcci progettuali e di ricerca che ridefiniscano un ruolo etico della professione, credo sia un primo nodo da sciogliere, utile alla comprensione degli altri punti. Osservare, quindi, quali sono i possibili punti di contatto tra le forme di spontaneismo e attivismo e le consolidate modalità di piani-
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ficazione e trasformazione. Come ha dimostrato la 13. Mostra di Architettura di Venezia, curata da David Chipperfield, tale preoccupazione accomuna molti dei gruppi invitati ad esporre: dall’installazione di Public Work Surban Project Bureau per il Padiglione della Gran Bretagna |The image of the Architect - an open charter| a quella di MVRDV nel Padiglione Centrale|The why factory|, dal lavoro di Ecosistema Urbano presente all’interno del Padiglione spagnolo|Dream your city - Dream Hamar| alla mostra collaterale allestita da Gehl Architects nella Sala del Convitto dell’Isola di San Giorgio Maggiore|Life between buildings|, emerge una volontà comune di adottare una visione nuova, per usare le parole di Jan Gehl, una “humanist perspective” nella pianificazione e progettazione dei nuovi spazi della città. Molto probabilmente un approccio umanistico, più attento alla realtà sociale che alla forma autoriale del progetto, comporterà un depotenziamento dello stesso in chiave estetica, una rinuncia all’autografia a tutti i costi e alla cifra stilistica a vantaggio della comprensione di ciò che sta realmente accadendo nei nuovi spazi pubblici delle nostre città. All’architettura spetterà forse ripensare il ruolo del progetto come atto di negoziazione, che comporterà una decisiva traslazione del progetto in processo e dell’architetto nella figura centrale di mediatore.
| BIBLIOGRAFIA ARENDT H., Vita Activa. La condizione umana, Milano, Bompiani,1964; CALVINO I., Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972; LEFEBVRE H., Le Droit à la ville, Paris: Anthropos (2nd ed.); Paris: Ed. du Seuil, Collection “Points” 1968; HABERMAS J., Teoria dell’agire comunicativo, vol. 2° Critica della ragione funzionalistica, Bologna, Il Mulino 1986; ACCONCI V., “Public Space in a Private Time”, Chicago, in Critical Inquirity, 1990; SENNET R., La coscienza dell’occhio, Milano, Feltrinelli 1992; CRAWFORD M., “Contesting the Public Realm: Struggles over Public Space in Los Angeles” in Journal of Architectural Education n.49, Washington, 1995; BETSKY A. , “Nothing but flowers: against public space” in Slow Space di BELL M. e LEONG S. T., New York, The Monacelli Press 1998; HOLSTON J., “Spaces of Insurgent Citizenship” in Making the Invisible Visible: A Multicultural Planning History di SANDERCOCK L., Berkeley, University of California Press 1998; DAVIS M., Città di Quarzo. Indagando sul futuro a Los Angeles, Roma, Manifestolibri 1999; BAUMAN Z., Modernità liquida, Roma – Bari, Laterza 2002; CACCIARI M., “Nomadi in prigione”, in La città infinita di BONOMI A. e ABRUZZESE A., Milano, Bruno Mondadori 2004; AA.VV. Post-it City. Occasional Urbanities, Barcellona, CCCB 2008; BORASI G. e ZARDINI M., Actions: What you can do with the city, Montreal - Amsterdam, Canadian Center for Architecture - SUN 2008; INNERARITY D., Il nuovo spazio pubblico, Roma, Meltemi 2008; MOSCO V.P., “Intervista a Manuel Gausa” a cura di, in Zero Volume, Area n.111/2010. BIANCHETTI C., Il Novecento è davvero finito, Roma, Donzelli 2011; AA.VV., “Spontaneous Interventions”, in Architect, The Magazine of the American Institute of Architects , Buffalo NY, 2012; KRASNY E., Hands-on Urbanism 1850 – 2012. The Right to Green, Architekturzentrum Wien, Hong Kong , MCCM creations 2012.
ma0|Piazza Risorgimento, Bari
Cliostraat|Slacklines, Villamanin
Rotor|Grindbakken, Ghent
Ecosistemaurbano|Dream your city
Lot-Ek|Apap Open School, Anyang
Studio Mumbai
Atelier Bow-How|BMW Guggenheim Lab, NY
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