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Tecnologie e digitalizzazione nella vita degli over

Pronto, dottore...

La pandemia ha dato una spinta importante anche al modo di rapportarsi degli over 50 con l’assistenza sanitaria. Dall’indagine, infatti, risulta che in quest’ultimo anno e mezzo, circa il 73% degli intervistati ha avuto rapporti con il proprio medico di base e/o con altri medici tramite la tecnologia. In particolare, il 52,0% degli intervistati ha dichiarato che durante il lockdown si è raffrontato con il proprio medico di fiducia tramite il telefono, mentre il 48,4% lo ha fatto attraverso Sms, WhatsApp, e-mail, e il 6,5% con videochiamate. C’è stato un 5,9% che ha utilizzato diversi sistemi di telemedicina come: la “televisita” (37,0%), la “teleriabilitazione” (36,1%), la “teleassistenza” (26,0%) ed il “telemonitoraggio” (24,5%). Il rapporto “a distanza” è stato scelto prevalentemente dalle donne e da coloro con età compresa tra i 50 ed i 60 anni e, in lieve prevalenza, dai residenti nelle Regioni meridionali. E se la telemedicina dovesse diventare la nuova frontiera del sistema sanitario dei prossimi anni, certamente gli over 50 sono i più disponibili al cambiamento, tanto che il 53,0% di essi ritiene che la telemedicina possa facilitare le prescrizioni dei farmaci, che arriverebbero direttamente sul cellulare; il 46,2% la considera importante nella riduzione dei tempi di attesa per gli esami clinici; il 34,9% per avere cure più tempestive; il 32,6% per avere tutti i dati sanitari raccolti in formato digitale; il 28,3% per consultare a distanza il medico o lo specialista senza andare in un centro sanitario. In sintesi, il 31,9% degli over 50 ritiene che in un futuro prossimo le tecnologie digitali in campo sanitario permetteranno alle persone in età avanzata di vivere con mag-

La pandemia di Covid-19 ha favorito l’assistenza sanitaria digitale ed il controllo remoto dei pazienti. Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, lei ha mai interagito a distanza con il suo medico curante o con altri specialisti?

Telefono

Messaggi (SMS, WhatsApp, e-mail)

52,0%

48,4%

Videochiamata

6,5%

Sistemi di telemedicina

5,9%

Preferisco andare di persona

22,7%

Il medico non l’ha acconsentito

5,0%

Fonte: Format Research per 50&Più

Lei ritiene che servizi come la telemedicina possano aiutarla a beneficiare di servizi di assistenza sanitaria anche in futuro?

Sì, per avere la prescrizione di farmaci direttamente sul cellulare

53,0%

Sì, per ridurre i tempi di attesa per gli esami

46,2%

Sì, per avere cure più tempestive

34,9%

Sì, per avere i dati sanitari in formato digitale

32,6%

Sì, per consultare a distanza il medico

28,3%

Altro

0,6%

Nessuno

12,0%

Fonte: Format Research per 50&Più

giore serenità e il 29,7% che agevoleranno i senior, rendendoli più autonomi. C’è invece una fetta di intervistati, il 29,9%, che ritiene che le tecnologie digitali possano creare l’isolamento delle persone in età avanzata in quanto incapaci ad utilizzarle, mentre per l’8,5% degli over 50 niente può sostituire il recarsi fisicamente dal medico.

Se la casa si fa intelligente

Luci che si accendono al passaggio, tapparelle che si alzano o si abbassano con un comando vocale, lavatrici che si attivano anche a distanza grazie a un’app, frigoriferi che avvisano con un messaggio sullo smartphone che manca uno specifico alimento, assistenti vocali che danno informazioni. La domotica si sta facendo strada nelle nostre vite, le accompagna, le semplifica, si mette al servizio delle esigenze di ognuno. Il futuro sembra essere già qui, ma cosa pensano gli over 50 della tecnologia applicata alla vita di tutti i giorni? Il 43,4% di essi ritiene senz’altro utile possedere un sistema informatico, se questo permette di risparmiare tempo e fatica o salvaguarda la salute delle persone come fanno i localizzatori, il telesoccorso, i sensori di gas o di fumo, le automazioni per porte o finestre, i sistemi salvavita. Anche in questo caso, i maggiori fan della domotica sono soprattutto donne, chi ha un’età compresa tra i 60 ed i 70 anni, i residenti nelle regioni del Nord e del Centro Italia e i possessori di un alto titolo di studio (laurea o post-laurea).

Un robot per amico

Gli assistenti vocali stanno pian piano accompagnando la nostra quotidianità: da Siri ad Alexa, passando per Google assistant, sono tanti i dispositivi in grado di aiutarci nelle piccole incombenze quotidiane. Ma quali sentimenti ha suscitato la prima interazione degli over 50 con questi dispositivi? Il 45% degli intervistati ha provato gioia e/o eccitazione, mentre un altrettanto 45% ha provato tristezza, angoscia, ansia, paura. E, se un giorno dovesse accadere di vivere in uno dei mondi descritti da Isaac Asimov nei suoi romanzi, e gli over 50 dovessero interagire con dei robot, quali sentimenti li animerebbero? Presto detto. Al campione preso in esame dalla ricerca è stata, infatti, posta la

Lei ritiene che, da qui ai prossimi anni, le tecnologie digitali, applicate al campo della salute…?

Consentiranno alle persone in età avanzata di vivere con maggiore serenità anche all’interno della propria casa 31,931,9

Isoleranno sempre di più le persone in età avanzata che non sono in grado di utilizzare le tecnologie digitali 29,9

Agevoleranno le persone in età avanzata per renderle più autonome

29,7

Non avranno futuro, non sono strumenti che ispirano fiducia quanto recarsi fisicamente dal medico o dallo specialista 8,5

Fonte: Format Research per 50&Più

seguente domanda: “Pensando al prossimo futuro, cosa penserebbe se le dicessero che un giorno i nostri animali da compagnia potranno essere sostituiti da robot in tutto e per tutto uguali? Quale stato d’animo prevale in lei?”. Il 38,5% accetterebbe di vivere con un robot del tutto simile ad un animale domestico, ma non sarebbe poi così contento: il 47,7%, infatti, proverebbe tristezza; il 20,4% sorpresa; il 6,7% angoscia; il 4,8% rabbia; il 4,2%; paura, il 2,9% ansia e solo il 2,9% eccitazione. E, visti i risultati, possiamo dire ai vari Fido e Fuffi, che possono dormire sonni tranquilli.

Da qui ai prossimi anni, lei riterrebbe utile disporre di un sistema che automatizzi alcune funzioni della sua abitazione e che le consenta di risparmiare tempo e fatica?

No,

non lo riterrebbero utile

56,6%

Si,

lo riterrebbero utile

43,4%

Fonte: Format Research per 50&Più

L’ETICA DEI DATI DIGITALI

L’attività digitale garantisce agli anziani una forma di inclusione, sia culturale sia economica, che contribuisce a prevenire il loro isolamento sociale

di Ilaria Romano

La diffusione delle tecnologie digitali e l’aumento dei dati che più o meno consapevolmente ogni utente rilascia in rete, pone una questione etica nella gestione di queste informazioni potenzialmente infinite, e che riguardano tutti i campi della vita dell’individuo. Privacy, inclusione e accesso diffuso sono solo alcuni dei temi che rientrano in questa riflessione, e che abbiamo affrontato con Laura Palazzani, ordinario di Filosofia del diritto all’Università Lumsa e vice presidente vicario del Comitato Nazionale per la Bioetica.

Professoressa Palazzani, nel saggio Etica nella gestione dei dati digitali e persone anziane incluso nel volume

Ipotesi per il futuro degli anziani. Tecnologie per l’autonomia, la salute e le connessioni sociali, fa riferimento al concetto di “dataismo”: di cosa si tratta e quali sono i rischi legati all’immagazzinamento digitale dei dati?

Il “dataismo” è un fenomeno che attiene alla “nuova ondata tecnologica” che sta avvolgendo in modo dirompente l’uomo e la società, che tende a ridurre gli esseri viventi a flusso incessante di dati o “infosfera”. “Big data” è un’espressione che si sta sempre più diffondendo nel contesto del rapidissimo sviluppo delle tecnologie dell’informazione, della comunicazione (ICT) e dell’informatica, e indica l’enorme quantità di dati che possono essere raccolti in modo sempre più rapido, che riguardano le informazioni anagrafiche, personali e sociali, ma anche le abitudini di vita, le preferenze, le convinzioni, l’appartenenza politico-ideologica, gli stati emotivi, gli atteggiamenti, le attitudini. Le caratteristiche dei dati raccolti sono riassunte dalle “4V”: volume (ossia quantità elevata), velocità (rapidità nella raccolta), varietà (diversità delle fonti), veracità (problema dell’autenticità dei dati).

Da consenso informato a consenso informatico: quali sono i dati rilasciati in re-

te con maggiore facilità e quali i più “appetibili” per la profilazione dell’utente? La risposta alla richiesta di consenso al trattamento dei dati è davvero consapevole?

Si inizia a parlare di consenso “informatico” che dovrà essere necessariamente ampio, flessibile, dinamico, con caratteristiche ben diverse dal consenso informato “classico”, usato nella biomedicina, ossia ristretto, specifico e dettagliato. Il consenso informatico diviene una sorta di “presa di coscienza” della raccolta dei dati, della difficoltà dell’anonimato (e della possibilità sempre aperta dell’identificazione, per quanto si possa usare la codificazione dei dati), delle incertezze sui luoghi e sui tempi della conservazione dei dati, dell’impossibilità di garantire sicurezza e confidenzialità sempre e in ogni circostanza, della possibilità di abusi di dati. Una presa d’atto che serve a rendere consapevole l’utente digitale dei possibili rischi della “dazione” dei dati, specie in ambito sanitario, ma anche delle assicurazioni e del lavoro: non sempre i cittadini o utenti digitali ne sono pienamente consapevoli e si limitano a cliccare un “sì” senza davvero leggere le informazioni contenute, spesso lunghe e tecniche. Ciò diviene pericoloso, in particolare, se la profilazione riguarda i dati clinici che implicano informazioni sulla salute.

La profilazione casuale può provocare la discriminazione di alcune categorie sociali, mentre l’accesso degli utenti può presentare alcune “barriere” all’ingresso: guardando agli anziani e alle loro esigenze, come si interviene per limitare le disuguaglianze e aumentare la consapevolezza di quali e quanti dati personali vengono rilasciati in rete?

La scarsa partecipazione alla “sfera digitale” da parte delle persone anziane le porta ad essere escluse dalla profilazione, e questo può causare forme di discriminazione. Il problema per le persone anziane riguarda il “divario digitale” o la diseguaglianza di accesso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Bisognerebbe consentire a tutti di acquisire strumenti, capacità e motivazione all’uso delle nuove tecnologie, per partecipare pienamente alla società e non essere emarginati dalla rete. Va colmata, per quanto possibile, l’ineguaglianza digitale a causa dell’età (con riferimento agli anziani), della condizione socioeconomica, dell’area geografica di appartenenza: anziani, ma anche persone meno colte, povere, abitanti

degli anziani nel campo della digitalizzazione dei dati?

Di particolare interesse il documento Diritti umani, partecipazione e benessere degli anziani nell’era della digitalizzazione (Conclusioni del Consiglio d’Europa del 9 ottobre 2020), che declina gli aspetti specifici della digitalizzazione, soffermandosi sulle sfide specifiche con particolare riferimento alle disparità nell’accesso alle tecnologie (sia per età che per sesso) e nelle competenze necessarie nel mondo digitalizzato. Sono sottolineati il diritto all’istruzione, alla formazione e all’apprendimento permanente, il diritto di accesso ai servizi essenziali - com-

dei Paesi in via di sviluppo, sono i soggetti più vulnerabili dell’era digitale. Al tempo stesso va garantito un accesso alternativo ai servizi (in particolare, proprio ai servizi sanitari) per chi preferisce non entrare nella sfera digitale, senza subire discriminazioni per tale scelta. Le persone anziane, non essendo “nativi digitali”, possono avere difficoltà maggiori. Andrebbero diffusi gli strumenti che sollecitano la loro partecipazione e che offrono nuove opportunità di confronto, condivisione, conoscenza, motivazione.

Quale è stato il contributo del Consiglio d’Europa rispetto ai diritti

presa la comunicazione digitale - nel contesto del diritto fondamentale alla parità di trattamento, a prescindere dall’età, in particolare per quanto riguarda la garanzia di protezione e sostegno a coloro che ne hanno bisogno. Si ribadisce che gli anziani hanno il diritto di partecipare pienamente alla vita pubblica, sociale e culturale, nonché all’istruzione, alla formazione continua e all’apprendimento permanente. L’attività digitale garantisce sempre più la partecipazione e l’inclusione attive a livello sociale, culturale ed economico e contribuisce a prevenire l’isolamento sociale.

Inchiesta 50&Più

SÌ ALLE TECNOLOGIE, MA NON PERDIAMO DI VISTA LO SGUARDO UMANO

A dirlo a 50&Più è il professor Leo Nahon, specialista in Psichiatria e già direttore S.C. Psichiatria dell’Ospedale Niguarda che, assieme al collega, professor Marco Trabucchi, ha curato il capitolo “L’anziano e le sue fragilità nel tempo del progresso tecnologico” nel libro “Ipotesi per il futuro degli anziani. Tecnologie per l’autonomia, la salute e le connessioni sociali”

di Giada Valdannini

Ècon lui che abbiamo voluto affrontare il tema del rapporto tra anziani e tecnologia: nuova via a una crescente forma di tutela e benessere ma anche trappola, se male utilizzata o se troppo complessa nella sua gestione.

Professor Nahon, perché avete deciso di confrontarvi con questo argomento?

Perché ci sembrava imprescindibile muoverci secondo due vettori che sono in grande aumento: il numero degli anziani e la moltiplicazione della tecnologia. La tecnologia intesa sia come singola diffusione dei devices sia come innovazione.

Come si possono aiutare gli anziani a padroneggiare la tecnologia in maniera adeguata?

È un tema di alfabetizzazione tecnologica. Prima di tutto, degli utenti - cioè degli anziani -, e poi, in caso sanitario, del personale atto all’utilizzo. Il tema dell’alfabetizzazione tecnologica degli anziani va affrontato in un duplice modo: da un lato, già oggi, molte tecnologie hanno al loro interno le istruzioni d’uso che spesso, però, non si palesano bene e che dunque bisogna siano rese più accessibili. Inoltre, molto più di frequente, è utile e formativo l’intervento di un operatore sanitario o no, dedicato a questo. Possiamo poi anche dire che esistono delle varianti antropologiche interessantissime, che sono i nipoti che insegnano ai nonni a usare il personal computer, come anche la lavatrice con i display elettronici o la domotica. Nel caso, però, della tecnologia applicata alla salute degli anziani, deve esserci un elemento umano che faccia da cerniera.

Ci sono strumenti culturali e politici per imprimere un simile cambio di passo? Al momento, parte della popolazione in età matura fatica a districarsi con i devices.

È un problema di mutamento culturale. Probabilmente, se l’atteggiamento culturale nei confronti dell’alfabetizzazione tecnologica degli anziani cominciasse a essere ritenuto prioritario, anche l’aspetto economico e l’aspetto formativo ne gioverebbero. Ma prima di tutto, bisogna che, sin dalla progettazione della tecnologia, si tenga conto di una possibile variabilità di utilizzo per persone ipoformate, come sono gli anziani, alla tecnologia di oggi e di domani.

Proviamo a fare degli esempi concreti.

Bisognerebbe pensare oggi a piccoli corsi di applicazione all’utilizzo della tecnologia. Un esempio su tutti, la biomedicina fruita dagli anziani: in sostanza, come far imparare a un anziano a vestire un device che monitorizzi il suo battito cardiaco, la sua pressione, la sua glicemia. Oggi, abbiamo degli strumenti che, grossomodo, con la complicità di un saturimetro, ci possono dare molti parametri. Naturalmente, bisogna che qualcuno si dedichi a insegnare all’anziano come rendersi autonomo. Questo è complicato quando vi siano soggetti con deficit cognitivi, come spesso accade con gli anziani perché, fisiologicamente, con l’età, l’attenzione cala, la memoria cala, le abilità psicomotorie calano. Proprio per questo la tecnologia, che dovrebbe essere una protesi a tutti questi cali, non può trasformarsi in un limite.

Tanto più che il numero dei medici di base è in costante calo mentre le persone che hanno necessità di cure - con l’aumento della longevità - cresce.

Ci sarà dunque necessariamente un rapporto sempre più tecnologico con il proprio medico curante?

Corretto. Non solo andiamo verso una condizione in cui c’è un paziente umano e un caregiver tecnologico, ma l’entità di questa differenza tra umano e tecnologico rischia di diventare eccessiva con l’aumento della sofisticazione delle tecnologie. Sostanzialmente, la relazione di cura rischia di trasformarsi in una relazione di sorveglianza a distanza e quindi di disumanizzarsi, malgrado punti a un obiettivo di prevenzione.

In ambito sanitario, la tecnologia quali vantaggi offre?

La cosa interessante è che le tecnologie, proprio per la loro velocità, hanno degli eccellenti indici di capacità preventiva, però il rischio è che se tutto viene delegato all’hardware e al software, l’uomo scompaia. L’uomo nel senso della figura del curante: che sia il curante medico, che sia il curante infermieristico, che sia il curante badante.

C’è da considerare anche - come 50&Più ha ricordato in una recente inchiesta - , che il lavoro delle badanti, che è prezioso e gravoso, è in una fase assai delicata: il rischio è che, in assenza di adeguate tutele, questi lavoratori - spesso stranieri e donne - possano abbandonare il nostro Paese per tornare a casa. Loro non potranno mai essere sostituite da intelligenze artificiali.

Il caregiver può essere aiutato e aumentato nelle sue capacità da alcuni strumenti tecnologici possibilmente semplici, tipo allarmi di caduta o alcuni di quelli che si usano già nella telemedicina, però non è possibile pensare a una sostituzione totale di tipo robotico.

Come si interviene sul tema del rapporto tra nuove tecnologie e medici di base?

La prima cosa - ahimé - è trovare più medici di famiglia che sono sempre più in carenza perché, già adesso, la loro presenza deve essere parcellizzata tra un numero sempre maggiore di utenti che hanno sempre maggiori esigenze. Una volta risolto il problema del numero sempre più esiguo, vanno formati a un uso della tecnologia flessibile e non troppo delegante. Naturalmente la medicina ha sempre saputo superare questi ostacoli perché sempre, con l’introduzione di nuove tecnologie, il timore era “deleghiamo tutto alla macchina”. Un po’ è successo, ma la medicina ha sempre trovato il modo di far sì che l’elemento dell’intelligenza umana avesse il sopravvento sull’intelligenza artificiale.

IL POTERE DELLE RETI CONTRO LA SOLITUDINE

Quale ruolo possono esercitare le reti sociali, virtuali e reali, per contrastare la solitudine nella terza età? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Elena Rolandi, psicologa, psicoterapeuta e ricercatrice presso la Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso (Mi). Svolge attività di ricerca sull’invecchiamento e patologie collegate, con particolare interesse per i temi della prevenzione e dei trattamenti non farmacologici.

Dottoressa Rolandi, Aristotele sosteneva che l’uomo è un animale sociale. È per questo che la solitudine fa tanta paura al giorno d’oggi? Ne abbiamo parlato con la dottoressa Elena Rolandi, psicoterapeuta e ricercatrice presso la Fondazione Golgi Cenci

di Romina Vinci Il bisogno di intrecciare legami sociali intimi, di sentirsi parte di un gruppo è radicato nel nostro essere umani. L’uomo, da sempre, si è costituito in gruppi e questo gli ha permesso di sopravvivere e di avere anche un vantaggio rispetto ad altre specie che, da altri punti di vista, erano più forti.

Le parole sono importanti, partiamo da quelle. Isolamento sociale e solitudine: sono due facce della stessa medaglia?

Sono due concetti che si influenzano a vicenda. Si parla di isolamento sociale quando c’è una scarsità di contatti sociali. È un parame-

QUANTA TELEMEDICINA NELLE REGIONI ITALIANE?

Qual è stato il rapporto con la telemedicina negli ultimi anni? E ora che il Covid ha modificato le nostre possibilità di spostamento e di incontro? Uno dei contributi contenuti in “Ipotesi per il futuro degli anziani” affronta il tema dal punto di vista dei progetti avviati dalle Regioni. Un’analisi dello stato dell’arte della telemedicina in Italia di Valerio Maria Urru

Mai come nell’ultimo periodo si è sentito parlare così tanto di telemedicina. E non solo tra i professionisti del settore. Anche la politica ha cominciato a guardarla con occhi diversi. Ricorderemo il 2020 come l’anno del Covid, ma anche come quello della “tempesta perfetta” nella Sanità, sia per quella italiana che per quella mondiale. L’emergenza ha messo in evidenza la necessità di incrementare nel settore l’impiego delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione a favore di servizi quali telemedicina, teleconsulto, diagnosi a distanza. Se fino al 2019 infatti questi hanno registrato un incremento non elevatissimo, il 2020 è l’anno spartiacque, quello di una vera e propria rivoluzione copernicana. Questo perché, ad un tratto, la telemedicina si è mostrata come l’unica strada percorribile per erogare i servizi sanitari. Non è un caso se proprio a dicembre 2020 sono state approvate le indicazioni nazionali sulla telemedicina dalla Conferenza Stato-Regioni. Ad un anno di distanza, oggi appare chiaro che ridefinire le regole per erogare da remoto alcune prestazioni sanitarie non era più procrastinabile. Questo ha permesso di cogliere sia i vantaggi della telemedicina che le fragilità territoriali, per superare le quali, in questo momento, è necessario fare riferimento alle priorità che il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR) ha davanti a sé. Parte degli investimenti sono stati dedicati infatti anche allo sviluppo della telemedicina. Ma per comprendere il ruolo che questa sta assumendo sempre più in Italia, basta considerare alcuni dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano: prima dell’emergenza Covid il suo impiego si attestava poco al di sopra del 10%. Dopo la pandemia, il servizio di telemedicina più usato è risultato essere il teleconsulto: ad impiegarlo il 47% degli specialisti e il 39% dei medici di medicina generale. In merito alle soluzioni di telemedicina sull’intero territorio nazionale, lo stesso sito del Ministero della Salute fornisce un quadro, aggiornato alla situazione antecedente la pandemia da Coronavirus. I dati mostrerebbero che il primato per attività di telemedicina rilevate spetta all’Emilia-Romagna, seguita da Lombardia, Lazio, Sicilia e Toscana. In successione ci sono poi Piemonte, Veneto, Campania, Liguria e Umbria. Seguono Puglia e Sardegna, Valle D’Aosta, Marche, Calabria, Provincia Autonomia di Trento e Abruzzo, e infine Basilicata, Molise, Friuli-Venezia Giulia e Provincia Autonoma di Bolzano. Se si considerano gli ambiti specialistici in cui la telemedicina è stata impiegata, la sua applicazione era prevalente in cardiologia (43%), seguita da radiologia (19%), pneumologia e neurochirurgia (14%), etc. Dal canto suo, l’emergenza Coronavirus ha implementato - se non generato - alcune realtà a livello nazionale e regionale. Con l’iniziativa “Innova per l’Italia”, lanciata nel marzo 2020 per individuare le migliori soluzioni digitali di telemedicina e assistenza domiciliare a contrasto del Covid, le Regioni si sono attivate in modo da colmare la distanza tra pazienti e strutture sanitarie. La Regione Lazio, ad esempio, ha adottato la piattaforma “Advice” e l’app “LazioDoctor per Covid”. La Regione Lombardia ha avviato il progetto di telemonitoraggio per pazienti Covid per ridurre i contatti: “Telemachus” (Telemedicine Monitoring and Collaborative Hub-and-Spoke System). È un sistema integrato di telemedicina basato su un’app e un braccialetto smart per monitorare le condizioni di salute dei pazienti Covid a distanza. Anche la Regione Friuli-Venezia Giulia e la Direzione Regionale della Protezione Civile hanno attivato un progetto di telemonitoraggio Covid che si affianca ad un progetto di teleassistenza domiciliare per anziani già esistente. Sono solo alcune delle esperienze e realtà tracciate nella sezione che analizza il rapporto tra le Regioni e la telemedicina nel nostro Paese, la sua crescita e la sua condizione prima e dopo il Covid. Quello che emerge con maggiore evidenza è che un sistema sanitario moderno ha assoluto bisogno di telemedicina e sanità digitale, e che ormai l’efficacia delle misure di monitoraggio e di assistenza della popolazione è senza dubbio legata alla capacità di risposta della sanità territoriale.

tro oggettivo che tiene conto delle caratteristiche della rete sociale di una persona. La solitudine è, invece, il vissuto soggettivo che nasce dal percepire una discrepanza tra la tipologia della rete sociale che io vorrei e quella che in realtà ho. Ovviamente, l’isolamento sociale è un fattore di rischio importante per la solitudine, però non è detto che ad uno consegua sempre l’altro.

Ci sono due tipi di solitudine: quella sociale e quella emotiva. Ci spiega la differenza?

La solitudine sociale è più riferita all’appartenenza a un gruppo, quella emotiva si concentra invece sull’assenza di relazioni intime e importanti rilevanti per la persona.

Quali sono le fasi della vita in cui si soffre di più la solitudine?

Due fasi che, apparentemente, sembrano agli antipodi, ossia quella dell’adolescenza e quella dell’età anziana. In realtà sono due fasi trasformative. L’invecchiamento infatti, può essere paragonabile solo

all’adolescenza, considerando la quantità di trasformazioni che si verificano, sia a livello corporeo che a livello sociale. Nell’adolescenza i ragazzi iniziano a individuarsi, a smarcarsi dal nucleo familiare e ad interagire con il gruppo dei pari. È un’età molto delicata, piena di possibilità, ma anche di rischi.

Anche l’età anziana è una fase piena di rischi?

Sì, lo è. È in questa fase che diminuisce la rete sociale, proprio per questioni anagrafiche. Aumenta, infatti, la possibilità di sperimentare delle perdite, anche di persone molto vicine. È più facile andare incontro alla presenza di malattie croniche che limitano, o rendono più difficoltosa, la partecipazione sociale e la mobilità. Si esce dal mondo del lavoro, che il più delle volte è un ambiente sociale. Insomma, il rischio di solitudine è più alto.

Ed ecco che in questo discorso entra in ballo l’importanza delle reti: sociali ma anche virtuali. Anziani e web: che tipo di rapporto c’è?

Molto eterogeneo. Ci sono persone anche molto anziane che usano gli strumenti digitali con un’alta frequenza, a scopo sociale o anche informativo. E poi c’è una grossa parte di anziani, che non hanno ancora alcun tipo di accesso e di competenza al digitale. Sono generazioni uscite dal mondo del lavoro quando l’era Internet stava per iniziare, oppure persone che esercitavano professioni che richiedevano altre competenze. Alcuni studi mostrano che il divario digitale, in realtà, rifletta un divario socioculturale, e questo è ancora più preoccupante.

Perché gli anziani oggi si avvicinano ai social network? Quali sono le spinte e quali i principali ostacoli?

L’interesse è nell’intrattenere relazioni sociali, avendo un contatto più diretto con nipoti o figli, e sperimentando linguaggi di una generazione differente. D’altro canto però, essendo appunto un mondo nuovo, ci possono essere molti timori legati alla privacy o al pericolo di essere raggirati e truffati. E poi ci sono delle difficoltà tecniche. Pensiamo, ad esempio, ad un social network tipo Facebook: a livello di interfaccia, e di carattere, non è facilmente accessibile per le persone anziane. Non è un caso che la maggior parte prediliga WhatsApp: offre una modalità più diretta, rispetta il criterio di privacy ed è più semplice da usare.

Quali possono essere i benefici, a livello emotivo, dell’uso dei social per gli anziani?

Alcuni studi hanno paragonato alcune dimensioni del benessere psicosociale, in persone che facevano uso del digitale e in persone che non lo facevano. È emerso come chi utilizza il digitale ha un impatto positivo su vari parametri (il grado di soddisfazione di vita, la partecipazione a livello sociale, meno solitudine etc.). Altre ricerche, invece, hanno preso in considerazione persone che non facevano alcun uso del digitale prima, osservando poi come la loro vita sia cambiata, in meglio, dopo essersi avvicinati al web.

Come saranno secondo lei, le nuove generazioni degli over 60, digitalmente alfabetizzate o meno?

Sicuramente più delle precedenti, per un discorso di generazione. Anche il costrutto dell’essere anziano, del resto, non è statico, ma cambia nel tempo. È più facile che un settantenne, fra dieci anni, sarà già entrato in contatto con il digitale, rispetto ad un over 70 di oggi.

FASTIDI ALLA SCHIENA? SPESSO È UNA QUESTIONE DI NERVI!

I ricercatori hanno sviluppato un complesso nutritivo unico

Siete costantemente alle prese con fastidi alla schiena? Non siete gli unici. Ma quello che molti non sanno è che spesso la causa è da ricercare nei nervi. I ricercatori hanno scoperto che per la salute dei nervi sono essenziali dei micronutrienti speciali, contenuti ora in un nuovo complesso nutritivo unico nel suo genere (Mavosten, in farmacia).

IL SISTEMA NERVOSO: LA CENTRALE DIRETTIVA DI STIMOLI E SEGNALI

Nel corpo umano si trovano miliardi di neuroni, il cui compito principale è la trasmissione di stimoli e segnali nel corpo. I nervi hanno bisogno di micronutrienti specifici per poter svolgere questo compito, ma con l’avanzare dell’età essi diventano più difficili da assimilare tramite l’alimentazione. Gli scienziati sono riusciti a combinare in una compressa speciale un complesso di 15 micronutrienti essenziali per nervi sani (Mavosten, in farmacia).

15 MICRONUTRIENTI SPECIALI

Questo avanzato complesso nutritivo di Mavosten contiene l’acido alfalipoico e la colina, che contribuisce al normale metabolismo dei lipidi. Ciò è essenziale per il mantenimento della funzione dello strato protettivo ricco di grassi attorno alle fibre nervose (guaina mielinica). Infatti,

Integratore alimentare. Gli integratori non vanno intesi come sostituti di una dieta equilibrata e variata e di uno stile di vita sano. • Immagine a scopo illustrativo solo con una guaina mielinica intatta la fibra nervosa è protetta e può trasmettere correttamente stimoli e segnali. Inoltre, Mavosten contiene anche il calcio, che contribuisce alla normale neurotrasmissione. In aggiunta, tiamina, riboflavina e rame contribuiscono, tra le loro altre funzioni, al normale funzionamento del sistema nervoso.

UNA COMPRESSA AL GIORNO, BEN TOLLERATA

Sono soprattutto le persone più anziane, che devono già assumere tante medicine, a beneficiare di Mavosten: essendo un integratore alimentare, non pesa ulteriormente sull’organismo. Inoltre, i micronutrienti che contiene supportano l’importante lavoro dei nervi nel nostro corpo, senza interazioni né effetti collaterali noti. Il nostro consiglio: Prendete Mavosten una volta al giorno. Per una regolare sensibilità dalla schiena fino alla punta dei piedi!

Per la farmacia: Mavosten

(PARAF 975519240)

www.mavosten.it

Visto in TV

Questo olio di cannabis è in voga

Per la farmacia:

Rubaxx Cannabis

(PARAF 978575393) La cannabis è considerata una delle più antiche piante officinali. Già da migliaia di anni viene utilizzata nei modi più disparati. Gli scienziati sono riusciti ora ad ottenere un pregiato olio dai semi di una varietà speciale di cannabis che non ha effetti inebrianti: Rubaxx Cannabis. L’olio è prodotto secondo i più severi criteri di qualità, è ben tollerato e adatto al consumo quotidiano. Lo sapevate? L’olio di semi di cannabis è noto per favorire la funzionalità articolare! Oltre al pregiato olio di semi di cannabis, Rubaxx Cannabis contiene inoltre le preziose vitamine D ed E. La conclusione di un consumatore soddisfatto: “L’entusiasmo è grande!”

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