Molinella a Confronto | Giugno 2017 | n°19

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MAC N°19

Direttore responsabile: Raffaele Donini | Progetto grafico: Alice Cesari, Dario Mantovani, Riccardo Tullini | Redazione: Via del Lavoro 25, Molinella Stampato c/o Tipografia Cava, Castel S. Pietro Terme | Aut. Tribunale di Bologna n.7901, 12 nov. 2008 | Prop. Partito Democratico Coord. Bologna

GIUGNO 2017

Riformare l’Europa - in Francia Macron vince contro la Le Pen chiedendo un cambiamento dell’Unione, senza però metterne in discussione lo spirito fondativo

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PALLA LUNGA E

TRACCHEGGIARE

L’eterno presente di chi vuole morire con il pallone tra i piedi

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h, le care, vecchie, affascinanti e sempreverdi metafore calcistiche. Ah, che bello avere qualche certezza quando, invece, il nostro quotidiano ci prosciuga di linfa vitale fino a farci sentire dei

l 18 novembre dell’anno scorso ho preso un giorno di ferie. Mi sono alzato con calma, ho fatto una doccia e ho scelto in maniera del tutto approssimativa – con lo spirito di chi è abituato a fare sempre tutto all’ultimo minuto – i vestiti per stare fuori casa quattro giorni. Li ho infilati in uno zaino da viaggio e sono andato a Barcellona. La sola cosa seria che ho dovuto fare è stata assicurarmi di prendere con me la carta d’identità, e di avere nel portafoglio un numero di banconote sufficiente a campare fino al lunedì sera. Un’operazione abbastanza semplice, considerato che erano le stesse banconote che uso qui a Molinella. A Barcellona, insieme a un ragazzo che volava da Milano, ho raggiunto due amici belgi, con i quali avevo vissuto lì qualche anno prima. Ci siamo incontrati direttamente in ostello, e abbiamo iniziato a chiacchierare allegramente per ore, sorseggiando whiskey da una

flaconi vuoti. Ah, sì, sono proprio soddisfatto di come tutto sia sempre metaforizzabile partendo da eventi puramente scollegati. Sarà che ormai mi ci ritrovo nella mia definizione di “katto-kompagno-konfuso-koglione” – grazie Johnny Georg E. – in cui praticamente tutto mi è permesso, in cui la mia condizione di esistenza è buttare giù due righe a caso per riempire un foglio (ps: in matematica ero e sono un asino, le condizioni di esistenza sono per me un cruccio algebrico quanto filosofico). Ma siamo davanti alla storia, e pure i vegani del calcio ammetteranno che un colpetto al cuore l’hanno

sentito alla notizia del ritiro dal calcio giocato di Torri (si ritira? Non si ritira? Passa alla Lazio?): un campione, un simbolo, un personaggio controverso (chiedere a Poulsen o Balotelli), che ha deciso di appendere al chiodo le scarpe da calcio, che stanno a Totti come un tornio sta all’operaio (ps: non ho mai lavorato in fabbrica, attendo con trepidazione insulti alla naftalina). La storia è una strada piene di buche (prendetene una a caso qui a Molinella, che ci prendete), che invece di avere rattoppi inutili viene mascherata con strade nuove concepite da megalomani, ma che spesso finiscono in vicoli ciechi. segue a pag. 3

scadentissima bottiglia importata, senza dazi, dalla Gran Bretagna. Settantasei anni prima, la Germania di Hitler, alleata con l’Italia, invadeva il loro Belgio. Quasi tutti gli Stati europei presero schizofrenicamente a bombardarsi a vicenda, in quello che sarebbe stato il più grande conflitto armato della storia. Quel giorno di novembre di (non) molti anni dopo, io non ho fatto assolutamente nulla di incredibile. Ciò che è incredibile, a ben pensarci, è proprio l’assenza di incredibilità del prender su uno zaino e incontrare compagni di Erasmus in una capitale europea. E di più, ciò che è davvero incredibile, è sentire che in molti vorrebbero che quella cosa stupenda che è l’Unione Europea - che permette di fare tutto questo a pochi decenni da quando gli europei erano intenti ad ammazzarsi a vicenda – scompaia dalla faccia della Terra. Per carità, negare che l’Unione abbia degli evidentissimi problemi è da sciocchi. L’avvento della crisi economica ha messo a nudo tutte segue a pag. 2

ADDIO A TULLIO E CELESTINO

22 anni dopo il 1995 - furono i protagonisti, pur con ruoli diversi, di una stagione politica di grande cambiamento nel contesto molinellese

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ono stati mesi difficili: in pochi giorni abbiamo detto addio al Dottor Tullio Calori e all’Architetto Celestino Sovrani. Entrambi, a modo loro e certamente con le peculiarità date ai singoli, sono stati personaggi di primo piano del-

la comunità molinellese e, cosa che su queste pagine credo sia giusto e doveroso ricordare, personaggi non certamente neutri all’interno dello scenario politico locale. Facevano parte della nostra comunità politica, di quel centrosinistra che tanti anni fa, accantonando le differenti posizioni di partenza, aveva dato via a un progetto politico comune

che, partendo da “Molinella che cambia”, sarebbe poi confluito nell’esperienza nazionale dell’Ulivo per poi sfociare, nella storia più recente, nel PD. Entrambi ci hanno lasciati circondati dall’affetto delle loro famiglie, a cui vanno le nostre sentite condoglianze. Il Dottor Calori si è spento, novantenne, in ospedale: segue a pag. 4


EUROPA MON AMOUR

(...) le fragilità dell’architettura su cui si basa l’euro, oltre ai problemi derivanti dalla mancanza di reale solidarietà fiscale tra i Paesi membri, a causa della quale gli Stati maggiormente colpiti dalla crisi sono stati lasciati sanguinare sotto i colpi dell’austerità. Le ondate migratorie hanno poi drammaticamente evidenziato quanto sia assurda la mancanza di coordinamento in tema di immigrazione e accoglienza. Ma altrettanto sciocco, e anzi delittuoso, è attaccare le meravigliose conquiste di libertà e pace raggiunte con gli strumenti creati nel processo di integrazione europea. Una su tutte: pensare che la soluzione agli attacchi terroristici di matrice jihadista che stanno colpendo l’Europa sia chiudere le frontiere, rinunciare a Schengen o addirittura abbandonare l’Unione Europea è assolutamente illogico. Basti pensare che tutti gli attentatori che hanno colpito sinora erano nati qui, quasi sempre nello stesso Stato in cui hanno attaccato. Chiudendo le frontiere, ci chiudiamo dentro ai nostri Paesi insieme a loro. Non risolveremmo in nessun modo il problema e avremmo la sola conseguenza di limitare la nostra libertà personale, con buona pace di chi avesse voglia di fare un salto in tutta tranquillità in una capitale europea. Buon senso vuole, per farla banale, che quando una cosa meravigliosa si guasta si tenti di aggiustarla, non che la si butti via. E in un mondo in cui stanno emergendo

LA MEMORIA DELLE FORMICHE (ROSSE) GIUGNO 2017

economicamente Paesi con mercati enormi composti da milioni o miliardi di abitanti (vedi Cina e India su tutti), pensare di poter contare ancora qualcosa come singoli Stati delle nostre dimensioni significa vivere fuori dalla realtà. Ai problemi europei vanno date risposte europee, comuni, integrate, sistemiche. Perché la moneta unica funzioni, per esempio, occorre che oltre alla politica monetaria, anche la politica fiscale sia gestita a livello comunitario, diminuendo le distanze e i disequilibri tra i Paesi dell’Eurozona, tenendo in vita vincoli di bilancio che evitino agli Stati di indebitarsi in maniera insostenibile ma creando allo stesso tempo un sistema di solidarietà fiscale in virtù del quale uno Stato in difficoltà non sia lasciato fallire. Perché si sconfigga il terrorismo jihadista, per dirne un’altra, è vitale che i servizi di polizia e di intelligence europei collaborino tra loro in maniera stretta, scambiandosi dati e informazioni in maniera sistematica e cooperando gomito a gomito nelle indagini. È poi fondamentale dare vita a politiche di integrazione che permettano a chi viene in Europa da Paesi extracomunitari di integrarsi e di vivere esistenze dignitose, ma va anche preteso e garantito che chi si volesse stabilire nel nostro continente rispetti e aderisca ai nostri valori fondamentali: libertà individuali, rispetto delle diversità, tute-

la delle minoranze, parità di genere. Tutto questo va compreso e va affrontato con coraggio, o il pericolo cui si andrebbe incontro sarebbe la dissoluzione del progetto europeo e di tutte le conquiste che ci ha garantito, che oggi si tendono colpevolmente a dare per scontate. In Francia la Le Pen è arrivata a contendersi il ruolo di Presidente della Repubblica, con proposte che avanzate da uno degli attori principali dell’Unione avrebbero messo in serio pericolo il futuro dell’Europa. Il popolo francese, però, ha votato un candidato che ha messo al centro della propria campagna la necessità di riformare l’Unione Europea, un europeista tanto convinto da festeggiare la propria vittoria sulle note dell’inno alla gioia. Questo è forse il segnale che i cittadini europei (britannici a parte, che europeisti non lo sono mai stati) sono ancora in maggioranza consapevoli della straordinaria importanza delle conquiste del progetto comunitario. Di un’Unione che non va distrutta, ma va assolutamente riformata. Perché è certamente meglio armarsi di carta d’identità e andare a Barcellona a sorseggiare whiskey scadente insieme a vecchi amici belgi, piuttosto che muover loro guerra. di Marco Calcinai

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Riflessioni, libere associazioni e disarticolazioni obbligate sull’Italia politica del Terzo Millennio

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n uno dei più bei libri di fantascienza che abbia mai letto (“City” di Clifford D. Simak) è contenuto un ragionamento che dice, più o meno, che l’umanità è stata fortunata per il fatto che le formiche non hanno memoria e sono costrette, ad ogni generazione, a ricominciare daccapo la realizzazione della loro storia. Se così non fosse, se potessero ricordare e quindi apprendere, grazie alla loro straordinaria organizzazione sociale, sarebbero la specie dominante sul pianeta Terra. Gli spunti di riflessione intorno a questo assunto sono molti e meritevoli di approfondimenti

accurati, ma quello che a me interessa è il ruolo che, indirettamente, viene attribuito alla memoria, come fattore di crescita. Perché tra le tante funzioni ascrivibili alla memoria ve n’è una di capitale importanza: impedirci di ripetere gli stessi errori. La parola “Fine” è comparsa tra i titoli di coda del congresso del PD. Le primarie hanno decretato oltre ogni ragionevole dubbio che il popolo democratico vuole Matteo Renzi come Segretario del Partito (e quindi candidato premier alle prossime elezioni), ma chi pensava che i giochi fossero chiusi e non rimanesse che riaccendere il motore e ripartire, ha dovuto ricredersi prontamente. Si parla in pubblico della nuova legge elettorale, che potreb-

be essere proporzionale “ma anche” un po’ maggioritaria (così come il “Mattarellum” è maggioritario ma anche un po’ proporzionale), mentre dietro i paraventi, l’argomento del giorno, da più o meno dieci anni a questa parte, è la “vexata quaestio” delle alleanze. Ogni tanto un velo si squarcia e allora il big di turno si lascia sfuggire dichiarazioni d’intenti che lasciano quanto meno perplessi: si vagheggia di recuperare il rapporto con Bersani perché “i bersaniani stanno nel nostro campo”. Pisapia raccoglie consensi tra i dem vaticinando di un campo comune dei “Progressisti”. Prove generali di coalizione. Grandi manovre per far sì che il PD torni a dialogare con “pezzi di mon-


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PALLA LUNGA E TRACCHEGGIARE

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(...) Qual è il vicolo cieco, oggi? Il futuro. Paradossale, ma è così. C’è chi il muro vuole aggirarlo, c’è chi vuole continuare a sbatterci contro, o addirittura costruirne un altro per raddoppiarne l’efficacia. Quello che mi chiedo è quanta umiltà (o consapevolezza, o giunture spaccate) ci voglia quando è ora di fare un passo di lato. Prendiamo Totti, per esempio: una vita in giallorosso, ma è bastata una stagione da capitano in panca per convincerlo a dire basta, a salutare tutti e mollare quel che gli ha dato il pane fino a 40 primavere suonate. Il problema è quando non si hanno alternative ai mezzi per guadagnarselo, quel pane. Se sei un professionista, un uomo vero, capisci quando è ora di lasciare spazio agli altri, ai GIOVANI (copyright

do” (CGIL-ANPI-ARCI) che al referendum del 4 Dicembre 2016 gli hanno sparato alle spalle assumendosi la responsabilità di aver fatto naufragare una delle più importanti e necessarie riforme del Paese: la Riforma Istituzionale. Ma la tentazione identitaria è forte, l’etica dei principi, la schiena dritta, il bisogno di dire qualcosa di sinistra ad ogni costo tornano a pesare sul dibattito interno, rilanciando le posizioni dei nostalgici dell’Ulivo, dei patiti delle coalizioni, vera rovina del Paese in quel triste periodo noto come Seconda Repubblica. Il Governo, dal canto suo tentenna e qualche volta inciampa, vedi legge sulla legittima difesa, destinata ad essere modificata al Senato (cosa che ha fat-

to dire a un gongolante Grasso: “Per fortuna che il Senato c’è!”). E intanto il mondo della palude rialza la testa, rinfrancato dallo scampato pericolo, salvato da una sinistra che ha preferito votare NO con Berlusconi, Salvini e Casa Pound, pur di far cadere il Governo Renzi. Eppure il messaggio contenuto in quel 40% ottenuto dal PD alle Europee era chiaro: riforme, cambiamento, trasparenza, per un Paese finalmente normale, finalmente europeo. Ora l’essenziale è riguadagnare la fiducia degli elettori, della gente che ci aveva aperto una così importante linea di credito e questo sarà possibile solo recuperando lo slancio iniziale, quella straordinaria voglia di cambiarlo, questo Paese.

E non sarà con le coalizioni, con le alleanze con una sinistra che non ha mai avuto una vera cultura di governo, non sarà con le riserve indiane o con le nostalgie uliviste. Sarà soltanto se sapremo fare tesoro delle esperienze di questi ultimi anni, se sapremo fare memoria di quello che abbiamo visto passare in questi ultimi anni. Noi, al contrario delle formiche (rosse o nere che siano) la memoria l’abbiamo. Usiamola. Per non ripetere gli errori del passato, per non rituffarci in schemi e situazioni già fallite altre volte. Usiamola per riconoscere gli errori già compiuti. Usiamola per dare al Paese un PD davvero nuovo, unito e vitale. di Valentino Calori

di GIOVANI in tutte le sue declinazioni: non mio); non puoi rimontarti gambe nuove, ma puoi permettere a chi ha fiato di correre per te. Alternative? Morire col pallone tra i piedi, accontentarsi dei 38 punti stagionali (che nella mediocrità di oggi, quasi sempre, significano salvezza) e affrontare il domani con il solito, grande e tempestoso male di vivere di oggi. Non c’è fine alla mediocrità, non c’è teoria che tenga se la pratica si basa su una filosofia da anni ’30, non c’è evoluzione in un organismo rattrappito a protezione dei bauli della storia (questa l’ho già usata, ma è mia, chemmefrega): non c’è futuro, soprattutto per chi pensa di incarnarlo da tanto, troppo tempo. Un tempo in cui ci si accorge di essere stati sorpassati solo nel momento in cui, alzando la testa dal volante,

non si scorge più nessuno dietro. Si è rimasti ultimi, lenti, prevedibili e con la guida incerta. Come quando muori con la palla tra i piedi, e traccheggi aspettando che l’arbitro fischi. Come quando ti riduci ad usare un parallelo tra calcio e motori, ammazzando qualsiasi libido intellettuale: ma forse è l’unico modo perché il messaggio passi, e spinga ad una risposta, ad un risveglio, che induca a qualcosa di buono (non necessariamente di nuovo) ad una squadra sfiancata da anni di monotonia. Prendere l’esempio di Totti, quindi: se non puoi più rendere quanto vorresti, cerca qualcuno che porti risultati. A meno che l’obiettivo non sia retrocedere: in quel caso, contenti tutti. di Lorenzo Gualandi


UN SISTEMA GIUDIZIARIO DA TERZO MONDO GIUGNO 2017

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A 25 anni dalla strage di Capaci ancora inascoltate le parole di Falcone: serve una riforma della giustizia che regoli l’obbligatorietà dell’azione penale e i rapporti tra politica e magistratura

(...) nelle occasioni ufficiali (è stata allestita la Camera Ardente, presso la Sala Consiliare del Comune di Molinella, come doveroso nei confronti di chi ha ricoperto la posizione di Sindaco) è stato ricordato il suo impegno come medico e come storico del paese. Credo che su queste pagine, dove possono essere rappresentate anche suggestioni più “di parte” non si possa non ricordare come il Dottor Calori sia stato il primo sindaco dopo i 45 anni di sindacatura dell’On. Anselmo Martoni. Fu un cambiamento, da qualunque lato si guardi, epocale: Tullio rese per la prima volta non solo possibile (quello lo era anche prima, bastava prendere i voti) ma “praticabile” l’alternativa politica nel nostro paese. Lui, eminente medico di simpatie liberali, si mise sulle spalle la rappresentanza di un gruppo talmente eterogeneo (popolari, comunisti, socialisti, indipendenti, ambientalisti) che solo un personaggio al di sopra di ogni sospetto avrebbe potuto rappresentare e portare

alla vittoria. Senza la candidatura di Calori (gli aneddoti vogliono attribuirla a una proposta buttata sul tavolo dal segretario del PDS di allora, Danilo Draghetti: ad oggi l’unico segretario politico di una formazione di centrosinistra, assieme a chi scrive, ad aver portato localmente il proprio partito alla vittoria elettorale) non ci sarebbe stato il 1995, per lo meno come oggi lo conosciamo. Tullio è stato il Sindaco della gente, sempre pronto a una battuta, un consiglio, una pacca sulla spalla, rendendo vera una lezione che oggi più che mai dovrebbe tornare di attualità ovunque: la politica, tanto più quella amministrativa, non è semplicemente la somma di tante realizzazioni tecnico/infrastrutturali. E’ anche una cifra personale, non solo protocolli e delibere. Celeste ci ha abbandonati anzitempo, invece: una brutta malattia, fulminante, in pochi mesi ha fatto il suo corso. Abitante di San Pietro Capofiume, paese che ha sempre portato nel cuo-

re, ha svolto per anni l’attività professionale di architetto. Celestino veniva dalla sinistra, dal PCI: anche lui ha svolto con maggior vigore l’attività politica in quegli anni, tra la fine dell’epopea martoniana e l’inizio dell’alternativa, ricoprendo ruoli attivi come il Consigliere Comunale e il dirigente di partito. Era impossibile prendersela con l’Architetto Sovrani, anche quando le posizioni politiche potevano essere divergenti: l’intelligenza fulminante del battutista, di chi con due parole poteva sdrammatizzare il tragico, di chi non prendeva tutto con la tetraggine che per molti anni ha caratterizzato alcuni ambienti politici (spesso proprio l’ambiente comunista). Rideva sotto i baffi, folti, che ha sempre tenuto e con cui lo ricordiamo. Oggi ripercorriamo quei tempi, in cui sia Tullio che Celeste sono stati protagonisti della vita del paese e ci facciamo prendere un po’ dalla nostalgia: è una dimensione umana, dell’anima, che soffre il distacco

di due compagni di viaggio dalla vita terrena (per chi crede) o semplicemente dalla vita che conosciamo (per tutti gli altri). Ci mancheranno perché sono stati due personaggi ricchi di cultura e di varietà umana. Sono stati uomini politici nella definizione etimologica del termine (uomini che si occupano della “polis”) che hanno vissuto, pur con ruoli diversi, un periodo importantissimo della vita di Molinella. I tempi oggi sono cambiati, e le soluzioni politiche di 20/30 anni fa oggi ci paiono scritte su un vecchissimo libro di storia: ogni stagione ha i suoi frutti, il mondo va avanti, ovviamente. Ciò non toglie il ricordo, il rispetto, e il valore che attribuiamo a chi con noi ha fatto molti chilometri di viaggio. Vi sia lieve la terra, a entrambi. La comunità politica del Partito Democratico, ad oggi la più grande comunità politica di questo paese, vi ricorderà, sempre, con stima e affetto. di Dario Mantovani

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ono passati vent ic i nq u e anni da quando, sull’autostrada A29 allo svincolo verso Capaci, tre chili di tritolo hanno fatto saltare in aria l’auto del magistrato Giovanni Falcone e di sua moglie Francesca Morvillo assieme alla sua scorta. Molte sono state le iniziative volte a commemorare quel sacrificio umano. Da allora in Italia molti sono stati i luoghi, le vie, le piazze intitolate a suo nome. Di quel sacrificio sappiamo il motivo: la lotta per la legalità e per la giustizia, ma ancora non vi è chiarezza non tanto(o non solo) sui mandanti e sugli eventi che hanno, di fatto isolato, quello che era capo ufficio affari penali del ministero della giustizia. Il Consiglio Superiore della

Magistratura, anche se dopo 25 anni, ha fatto un passo in avanti nella ricostruzione della vicenda pubblicando gli atti che riguardano Giovanni Falcone ovvero i giudizi disciplinari di professionalità che su di lui dava il “parlamentino” dei magistrati, e le delibere riguardo alle nomine ad incarichi che lo vedevano candidato. Inoltre per ricordarlo il plunum del Csm, sotto la presidenza del Capo della Stato, ha voluto dedicargli una seduta straordinaria. Maria Falcone ha detto lì parole chiarissime: “non posso fare a meno di pensare alle sofferenze che questa aula ha inflitto a Giovanni”. In particolare, ha ricordato la sofferenza umana più grande, che ha segnato nell’intimo la vita del fratello: la bocciatura della sua candidatura a capo dell’ufficio istruzione di Palermo. Era la bocciatura non solo


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di una persona, ma anche di un metodo d’indagine innovativo quello del “poll” che aveva portato tanti successi dello Stato nei confronti di Cosa Nostra . Penso che quei fascicoli andranno studiati per fare ancora più luce su quegli eventi. Tuttavia in questi venticinque anni, nel ricordare la memoria di un grande magistrato, non vengono ricordate per intero le sue idee di riforma dell’ordinamento giudiziario. Le sue idee in proposito erano chiare, erano idee radicali. Pochi mesi prima di morire aveva rilasciato un’intervista al quotidiano La Repubblica. Le parole che il magistrato Falcone aveva detto allora rimangono ancor oggi attuali. Parole dure sullo stato della giustizia e proposte lucide di riforma dell’ordinamento giudiziario. Tre sono le idee principali di riforma che si possono rac-

cogliere da quell’intervista: la separazione delle carriere tra magistrati requirenti e magistrati giudicanti, la rivisione dell’obbligatorietà dell’azione penale e un ripensamento dell’organizzazione del governo della magistratura. Vediamo le ragioni di questi tre capitoli di riforma. Anzitutto, in quasi tutti i paesi democratici vi è una netta separazione tra i giudici e i pubblici ministeri, a parte l’Italia e la Francia. Ma soprattutto in quasi tutti paesi (anche in Francia, ma non in Italia) la valutazione dei giudici e dei PM non sono fatti dallo stesso organo. Sulla questione, nell’intervista che prima richiamavo, Falcone aveva un’idea netta: “La questione centrale (..) sta nel trarre tutte le conseguenze sul piano dell’ordinamento giudiziario che il passaggio dal processo inquisitorio al processo accusatorio com-

porta. Se questa riforma dell’ ordinamento non sopravviene rapidamente il nuovo processo è destinato a fallire. Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’ obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para- giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti.” Penso che questa “parentela” tra giudice e pubblico ministero sia una delle cause che portano il 69% degli italiani a considerare la magistratura politicizzata (come

rilevava un’indagine fatta da Swg,pochi mesi fa). La seconda riforma ordinamentale che Falcone proponeva, era una revisione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Questo principio costituzionale dispone che il Pubblico ministero sia tenuto a valutare la fondatezza di ogni notizia di reato. In realtà questo sarebbe un principio sacrosanto, sennonché l’esperienza e la valutazione di varie commissioni sulla riforma del sistema giudiziario dimostrano che è irrealizzabile. Vari studi dimostrano che il Pubblico ministero, attore razionale nella concreta attività giudiziaria è “obbligato a prendere decisioni discrezionali che incidono sulla conduzione delle singole indagini, sull’attività di repressione della criminalità, sull’eguaglianza del cittadino di fronte alla legge, sulla modalità con cui si rende giustizia”. (M. Fabbri,

“Discrezionalità e modalità di azione del pubblico ministero nel procedimento penale”, Polis, 2/08/1997). Il problema non è la discrezionalità del Pm, il punto è che non è adeguatamente gestita attraverso una politica giudiziaria. In molti paesi europei è il Parlamento che, annulmente, fornisce i criteri e le priorità dell’azione penale. Infine voglio soffermarmi sulla valutazione dei magistrati. Nel 2007 c’era stato un provvedimento di riforma che disponeva criteri più rigidi per quanto riguarda gli avanzamenti di carriera dei giudici. Ma anche questo provvedimento è rimasto inapplicato. Dal 2007 la percentuale delle promozioni è diminuita di nemmeno un punto percentuale. Questo non crea una sana cultura competitiva tra i giudici, perché anche il magistrato più produttivo viene valuta-

to praticamente allo stesso modo di chi svolge in modo inefficiente le sue funzioni. Qualche mese fa vari quotidiani hanno messo in evidenza come anche i magistrati che non svolgono le loro funzioni, in quanto politici, vengono costantemente promossi. Se vogliamo una giustizia degna di una liberaldemocrazia dobbiamo fare attenzione che i politici si facciano portatori di vere riforme, facendo attenzione ai loro programmi. Il nostro voto alle elezioni dovrà essere dato, tenendo conto anche delle proposte che questo o quel partito ha sulla riforma della giustizia. Io, da iscritto al Partito Democratico, penso che la nostra comunità politica debba raccogliere la lezione di Giovanni Falcone a 360 gradi e fare proprie le sue idee di riforma. di Lorenzo Beltrame


MA LA MARGOTTI

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Il 17 maggio 1949 moriva Maria Margotti falciata da una raffica di mitra. I fatti di allora sono stati spesso trasversalmente ricostruiti cedendo alle logiche di parte e alle convenienze politiche del momento. Cerchiamo oggi di trovare un punto di caduta quanto più vicino alla realtà. Senza Reticenze e convenienze politiche.

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aria Margotti nacque ad Alfonsine il 9 settembre 1915. Fu mondina in giovanissima età a seguito della morte del padre, e durante la seconda guerra mondiale partecipò attivamente alla resistenza dall’occupazione nazifascista nella zona del Ravennate. A seguito della morte del marito in guerra, rimase vedova con due bambine da crescere; per questo motivo nel 1946 prese il posto del marito, come operaia, all’interno della fornace cooperativa di Filo di Argenta e nei mesi in cui la fornace rimaneva chiusa, lavorava come bracciante nel momento di pulitura o battitura del grano. Proprio per cercare di garantire un futuro umano alle sue figlie, durante un clima di tensione e ribellione che durava ormai da 37 giorni, il 17 maggio 1949, Maria Margotti decise di aderire allo sciopero generale di 6000 tra braccianti e mondine provenienti della province di Bologna, Ferrara, e Ravenna indetto nella zona delle risaie di Marmorta di Molinella. La manifestazione ebbe il suo apice nella notte del 16 e nella mattinata successiva. L’intento era quello di ottenere 7 ore di lavoro giornaliere, il rispetto della legge di collocamento, l’assistenza in caso di malattia, il miglioramen-

to del vitto e, soprattutto - il fino ad allora inesistente contratto di lavoro. Questa agitazione faceva parte dei primi scioperi dei lavoratori della terra che si tennero a livello nazionale e si svolsero nei mesi di Maggio e Giugno di quell’anno, coinvolgendo oltre 2 milioni di persone in tutta Italia. Giunta sul Ponte Stoppino di Marmorta, però, Maria Margotti trovò nuclei di celere militarmente organizzati in motocicletta, un reparto di autoblindo e uno di carabinieri che caricarono gli scioperanti manganellando, sparando all’impazzata raffiche di mitra e distruggendo le loro biciclette per evitare che cercassero di dissuadere chi, non aderendo allo sciopero, era intenzionato a prestare comunque il proprio servizio lavorativo indebolendo di conseguenza le istanze di chi a quello sciopero aveva aderito. In questo clima di tensione, poco valsero le raccomandazioni dello stesso Massarenti, che solo 3 anni prima, nel 1946, in un discorso tenuto in piazza a Molinella aveva esortato tutti i lavoratori a rimanere uniti per poter portare avanti con successo quelle battaglie di riscatto e giustizia lavorativa, sociale e di classe per cui entrambe le parti avevano tanto lottato e sofferto, e che già il fascismo aveva ridotto ai minimi termini. L’11 Maggio 1949, (6 giorni prima), come pubblicato da “La Voce di

Molinella” il 9 ottobre 1949, nell’ultima riunione del” Consiglio delle Leghe” i socialisti democratici di Molinella avevano annunciato il loro distaccamento dalla CGIL dividendo l’organizzazione operaia in vista dello sciopero generale dei braccianti. Il contesto politico era quello dell’Italia del post 1948, quello seguente alla mancata elezione di Massarenti al Senato, in cui si era consumata la divisione a sinistra tra le forze “Frontiste” e quelle che avevano seguito la componente socialista di Saragat nella scissione di Palazzo Barberini, dando vita al Partito Socialista democratico Italiano. A rendere ulteriormente incandescente la situazione vi erano state le elezioni sindacali locali pochi mesi prima, in cui la CGIL non aveva riconosciuto il risultato che premiava le forze più riformiste. In questo clima di grandi divisioni nel campo dei rappresentanti delle classi più deboli, dove, come spesso è accaduto nel ‘900, le decisioni sindacali si sono sovrapposte completamente con il piano politico, a trarne vantaggio furono le classi padronali. È in questo panorama che si svolsero gli scioperi del 1949, che videro un’altissima partecipazione (ma che a Molinella videro, di conseguenza all’evoluzione dei fatti sopra descritta, un’adesione alle agitazioni proveniente in larga parte

dai paesi limitrofi). Proprio in questo scenario di divisione, assieme alle sue compagne e ad altri braccianti, Maria Margotti si recò a manifestare. Quando tutto sembrava ormai finito e tutti stavano tornando alle proprie case, Maria Margotti con alcune mondine e braccianti, si apprestava ad attraversare la passerella di ponte Stoppino: a quel punto vide un carabiniere in motocicletta armato di mitra, che appena prima del ponte aveva già fatto correre al riparo altri lavoratori di Argenta.

La Margotti cercò subito di girarsi e correre sulla passerella nella direzione apposta, e le sue compagne si gettarono lungo gli argini per proteggersi dagli spari, reagendo in un momento di pericolo nell’unica maniera possibile. Una raffica di tre colpi raggiunse proprio la Margotti: non appena la videro colpita, i suoi compagni la sollevarono per portarla al sicuro protetta dagli argini. Maria Margotti non era sola in quel momento, e nessuna tra le persone presenti si ritirò lasciandola inerme.

Non era sola durante lo sciopero, affiancata dalle sue compagne che cantavano con lei, e non lo fu nemmeno nel momento del suo ferimento e morte. Fortunatamente c’è ancora qualcuno, vivo, che può testimoniarlo anche oggi, semplicemente perché era lì. Non basta non dimenticare, è necessario ricordare, considerare sempre vivi i motivi e i valori per cui queste donne e uomini lottarono. Semplicemente, perché lo fecero anche per noi.

NON MORÌ DA SOLA

di Sara Vestrucci



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NON SOLO FIGLI DELLA NOIA E DELLO SBADIGLIO

C’è una generazione sicuramente lontana dall’impegno e dalla consapevolezza che la contemporaneità richiede: ma generalizzare non serve a nulla, anzi, serve mettere in campo politiche che invertano la tendenza. A selva Malvezzi, ad esempio, è stato inaugurato il centro civico: e in larga parte sono stati i giovani volontari attivi sul territorio a riqualificare la struttura.

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mmaginate un Paese in cui i giovani non sanno (o, peggio, non vogliono sapere) quello che accade intorno a loro, nel Paese in cui vivono, negli altri Paesi, nel resto del pianeta. Immaginate un Paese in cui i giovani trascorrono gran parte della loro giornata, da mattina a sera (e anche oltre), sul cellulare (e su tutti gli altri dispositivi che la razionalità tecnologica post-illuminista ha inventato). Immaginate un Paese in cui i giovani

sono sempre meno informati (per volontà propria o di altri), leggono sempre meno (gli unici libri letti sono ormai solo quelli obbligati a scuola). Immaginate un Paese in cui i giovani hanno come hobby quello di avere l’ultimo modello di telefono, l’orologio che va di moda, le scarpe che hanno tutti (perché, in questa società consumistica, ormai avere è meglio che essere). Immaginate un Paese in cui i giovani hanno perso la fiducia verso il mondo, la società, lo Stato, la cosa pubblica, e ne sono completamente disinteressati (per non dire disgusta-

ti). Immaginate un Paese in cui i giovani non hanno più spirito di intraprendenza, voglia di fare, responsabilizzazione. Ahimè, purtroppo, questa non è solo immaginazione, ma spesso anche realtà. E (piccola nota di moralismo) ne siamo tutti colpevoli, “giovani” e “vecchi”, figli e genitori (e nonni). Ma generalizzare è una malattia che lasciamo ad altri. Per noi teniamo la consapevolezza che ci sia del buono in ogni cosa. Ebbene, immaginate un paese (da notare la p minuscola) in cui dei giovani hanno

deciso di prendere in mano la loro vita e di spenderla in maniera costruttiva per loro stessi, per i loro coetanei, per i loro concittadini, per gli altri in generale. Immaginate un paese in cui dei giovani hanno deciso di impegnarsi, di fare progetti, di realizzare le proprie idee. Immaginate un paese in cui dei giovani hanno deciso di migliorare il bene comune, la cosa pubblica, con le loro passioni, i loro desideri. Immaginate un paese in cui ai giovani vengono dati strumenti, possibilità, forze. Eh già, per fortuna, questa non è solo immaginazio-

ne, ma realtà, a Molinella. Sabato 27 maggio è stato inaugurato il centro civico a Selva Malvezzi, all’interno dei locali delle ex scuole elementari. Il risultato è il frutto della collaborazione tra il Comune di Molinella e l’associazione Animal Blue House. Questi ragazzi hanno fatto (e continuano a fare) molto, impegnandosi affinché questo nuovo luogo di aggregazione sia vivo e bello da vivere, per tutti. Perché i giovani di oggi che si impegnano ci sono, ma occorre dar loro responsabilità e fiducia. di Michele Simone


SCAVI E MOVIMENTO TERRA LAVORI EDILI PUBBLICI E PRIVATI IMPIANTI IDRICI E FOGNARI ASFALTATURE PAVIMENTAZIONI ESTERNE Molinella (BO) Via Madonna Bottarda 4 Tel. e Fax 051 887630 info.ecoscavi@gmail.com


de l’Unità

9-10-11 / 16-17-18 GIUGNO 2017 ROSSELLA ROSS


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