4 minute read

2. Definizione di PDTA

A cura di Carlo Piccinni e Nello Martini

Fondazione Ricerca e Salute (ReS)

Se si dovesse immaginare un lemma in un dizionario per il termine PDTA, questo potrebbe riportare: “acronimo usato come sostantivo maschile di P(ercorso) D(iagnostico) T(erapeutico) A(ssistenziale). Programma di cura rivolto a determinate categorie di pazienti, inteso anche come modello di gestione clinica usato da chi eroga prestazioni sanitarie per definire la migliore strategia di interventi

all’interno delle linee guida di cui, spesso, è usato erroneamente come sinonimo”.

Si tratta di uno strumento organizzativo che delinea l’insieme dei processi e/o delle procedure mediante i quali si applicano nella pratica clinica le raccomandazioni dettate dalle Linee Guida, attraverso l’adattamento al contesto locale, con l’intento di coordinare e realizzare gli interventi nei

confronti dei pazienti con particolare attenzione alle condizioni croniche che richiedono l’integrazione di diversi setting assistenziali e la collaborazione di diverse figure. Il PDTA, pertanto, costituisce l’asse portante del Chronic Care Model [27] e dell’Integrated care [28-30].

Come ampiamente discusso nella guida Costruisci PDTA [2], inizialmente, tra coloro che si occupano di organizzazione sanitaria e di medicina in generale, era presente tanta confusione circa la terminologia [31] e la definizione [32] stessa di questo strumento, dimostrata anche dalla molteplicità e dalla eterogeneità dei documenti approvati dalle Regioni [6]. Ad oggi, al contrario, in Italia si è giunti a un consenso unanime sia in merito alla terminologia di ”PDTA: Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale”, sia alla definizione riportata nel Piano Nazionale di governo delle liste di attesa 2019-2021 del Ministero della Salute [33]. Tale definizione riporta che: “Il PDTA è una sequenza predefinita, articolata e coordinata di prestazioni erogate a livello ambulatoriale e/o di ricovero e/o territoriale, che prevede la partecipazione integrata di diversi specialisti e professionisti (oltre al paziente stesso), a livello ospedaliero e/o territoriale, al fine di realizzare la diagnosi e la terapia più adeguate per una specifica situazione patologica o anche l’assistenza sanitaria necessaria in particolari”. A questa definizione si può anche affiancare quanto riportato nel PNC [1] secondo il quale i PDTA sono da intendere quali “processi capaci di guidare la filiera delle offerte nel governo dei servizi per le patologie croniche”.

Dalla lettura attenta di questa definizione, appare chiaro che ci troviamo di fronte a strumenti di

organizzazione sanitaria che hanno l’obiettivo di garantire, per le patologie croniche, la presa in carico, l’appropriatezza delle cure, la continuità assistenziale, nonché la standardizzazione e l’ottimizzazione del consumo di risorse.

I pilastri su cui si basa il PDTA possono essere riassunti nei seguenti aspetti chiave [34]:

1. essere basato sulla multidisciplinarietà; 2. rappresentare la traslazione delle Linee Guida e delle evidenze a livello locale; 3. riportare nel dettaglio i diversi passaggi spazio-temporali del piano di cura, mediante specifici algoritmi, protocolli o altri strumenti idonei allo scopo; 4. essere strutturato in accordo alla progressione temporale della condizione clinica; 5. consentire una standardizzazione del percorso di cura di un dato problema clinico.

Tralasciando l’esame dei singoli aspetti e degli elementi costitutivi del PDTA, il cui approfondimento è stato oggetto della guida Costruisci PDTA [2], è importante sottolineare il fatto che PDTA e Linee Guida non possono essere considerati sinonimi. Il PDTA deve necessariamente partire dalle evidenze solide riportate nelle linee guida, ma deve attuare un passaggio ulteriore rappresentato dalla loro contestualizzazione nella specifica realtà organizzativa che presenta talune peculiarità: struttura, tecnologia, organizzazione, professionalità, ampiamente descritte nella guida “Organizza PDTA” [3].

Quindi il PDTA non deve essere una mera trascrizione della o delle Linee Guida e, di conseguenza, al suo interno si devono privilegiare agli aspetti clinici (cosa fare?), già oggetto delle linee guida, gli

aspetti organizzativi (chi?, dove? quando fare?), oltre a quelli “esistenziali” inerenti le corrette modalità con cui tenere conto della effettiva centralità della persona, che nel caso specifico, diventa anche paziente. La contestualizzazione delle linee guida operata con il PDTA ha dunque la pretesa di passare da una sorta di sistema “ideale” a un sistema “reale”, in cui si riscontra un aumento della complessità e della variabilità. Infatti il PDTA nasce proprio con l’intento di governare tale complessità quando

questa è una caratteristica del problema di salute che è opportuno gestire con questo strumento

(Figura XX).

Figura xx. Finalità del PDTA in base alla caratteristica del problema di salute a cui è rivolto

Caratteristica del problema di salute

Elevato impatto sulla salute del cittadino Finalità del PDTA

•Governare l’elevata incidenza o prevalenza di una data patologia

Elevato impatto sulla salute della comunità e sulla rete familiare

•Migliorare i benefici per i pazienti in termini di condizioni di salute e di difficoltà evitate

Presenza di linee-guida specifiche

•Migliorare l’applicazione delle linee guida a livello locale

Presenza di variabilità e disomogeneità delle prestazioni

•Ridurre la variabilità dei processi in atto per aspetti sia clinici che organizzativi

Presenza di complessità clinico assistenziali

•Integrare le diverse strutture/organizzazioni coinvolte

Elevato impatto economico

•Evitare sprechi e ottimizzare i tempi

20 Linee guida e PDTA

This article is from: