DABBAWALLA | 10 marzo 23

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915. Giacomo Cordero abita in Val Maira, con il nonno Girolamo, la madre Lunetta e l'anziana e riservata Desideria. Il ragazzo ha studiato ma gli viene imposto di restare a casa, a Prazzo, dove si vive di taglio del bosco, di piccolo allevamento e agricoltura, e dove gli abitanti delle malghe spesso sopravvivono nella più assoluta miseria. L'Italia è appena entrata in guerra e il vecchio Girolamo, ruvido e determinato capofamiglia, commerciante scaltro e capace, è diventato il fornitore ufficiale di merci per l'esercito. A Giacomo, esonerato dal servizio militare, viene affidata quindi la più delicata delle attività di famiglia, la raccolta dei pels, i capelli, che, accuratamente lavorati durante l'inverno dalle donne del luogo, saranno rivenduti in primavera agli atelier delle grandi città di confine per farne parrucche, ancora molto richieste. Per il commercio dei capelli in Francia, Giacomo si affida a un venditore esperto, Natale Rebaudi, che gli farà da guida confidandogli vecchi segreti riguardanti suo padre. Quando il ragazzo sarà costretto ad affrontare una situazione inattesa e a prendere in mano gli affari di famiglia, tuttavia, il più grande insegnamento gli verrà dal ricordo dei giorni passati da solo in montagna che lo aiuterà ad apprezzare il valore delle piccole cose e la semplicità del vivere quotidiano.

Monza, marzo 1936: sulla riva del Lambro, due ragazzine cercano di nascondere il cadavere di un uomo che ha appuntata sulla camicia una spilla con il fascio e il tricolore. Sono sconvolte e semisvestite. È Francesca a raccontare in prima persona la storia che le ha condotte fino a lì. Dodicenne perbene di famiglia borghese, ogni giorno spia dal ponte una ragazza che gioca assieme ai maschi nel fiume, con i piedi nudi e la gonna sollevata, le gambe graffiate e sporche di fango. Sogna di diventare sua amica, nonostante tutti in città la considerino una che scaglia maledizioni, e la disprezzino chiamandola Malnata. Ma quella sua aria decisa, l'aria di una che non ha paura di niente, la affascina. Sarà il furto delle ciliegie, la sua prima bugia, a farle diventare amiche. Sullo sfondo della guerra di Abissinia, del dolore per la perdita e degli scompigli dell'adolescenza, Francesca impara con lei a denunciare la sopraffazione e l'abuso di potere, soprattutto quello maschile, nonostante la riprovazione della comunità.

Sonnenfeld, agente CIA messo un po' in disparte, ha un'intuizione, una di quelle convinzioni che non si sa da dove vengano ma che possono essere più radicate di un ragionamento articolato: ci sarà un attentato. Ingaggia allora un gruppo di persone tanto assurdo quanto efficace. Bobby Fischer, l'unico americano della storia campione mondiale di scacchi, paranoico, ma capace di anticipare un migliaio di mosse; l'immigrato russo Kozlov, un ubriacone, proveniente dall'Afghanistan, ingegnere esperto di ogni tipo di attentato; il professor Koselleck, cacciato dall'università a causa di una condanna per stalkeraggio contro la moglie, il massimo studioso del pianeta di graffiti offensivi e scritte oscene. Intanto un'ombra si aggira, un altro gruppo affaccendato a tessere una rete di contatti; per loro non è il 2001 ma l'anno 1421 dall'Egira. L'improbabile squadra di Harvey Sonnenfeld da un labile indizio scovato in metropolitana e una conversazione captata per caso, dà l'avvio a una corsa contro un tempo immaginario, in cui si profilano terroristi costruiti sull'equivoco. Siamo arrivati a settembre. La fine è nota. Ma il racconto è pieno di tensione e di sorprese, e pervaso dall'ironia di chi, come Alessandro Barbero, sa guardare alla storia con disincanto.

È il 2001. A New York, Harvey

Grace, Lia e Sky vivono al sicuro su un'isola. Oltre il mare, oltre l'orizzonte, si nascondono insidie mortali: gli uomini. È dalle loro tossine che i genitori hanno protetto le figlie, sottoponendole a duri allenamenti per scongiurare quella minaccia che incombe su ogni donna. King, il padre, ha pensato a tutto: il territorio delimitato con il filo spinato, le boe al largo. Proteggere le figlie è la priorità assoluta. Solo qui, in questa segregazione, Sky, Lia e Grace sono al sicuro. Ma il confinamento non basta. Gli esercizi imposti dai genitori sono un sacrificio più che accettabile: le sorelle ricordano bene quelle donne ferite che si rifugiavano lì per farsi curare. Ricordano i segni, sui corpi e nell'anima, e quanto era difficile, anche con le premure di King e Mamma, anche con la cura dell'acqua, eliminare le tossine con cui gli uomini le avevano contaminate. Grace, Lia e Sky hanno piena fiducia nei genitori, ed è per questo che ogni giorno rinnovano la loro volontà di non allontanarsi, di non fare e non farsi domande, di ubbidire alle regole di quel paradiso rovesciato. Ma un giorno King sparisce misteriosamente e l'autorità materna comincia a incrinarsi sotto il peso della perdita. Poi, all'improvviso compaiono tre naufraghi che con la loro presenza rendono tangibile il pericolo paventato per tutta una vita. E minano ogni certezza di quel mondo in cui le sorelle hanno sempre creduto.

Ogni giovedì Caterina va a trovare Aurelio, il suo ragazzo, nel carcere di Rebibbia. Sono entrambi figli dell'estrema periferia romana, e in passato hanno provato a costruire un sogno insieme: gestire un night club. Ma le cose sono andate diversamente dai loro progetti e Caterina, ex ballerina di danza classica, si è ritrovata a lavorare come spogliarellista proprio nel locale di Aurelio. Adesso lui è in prigione, ed è convinto che lo abbiano incastrato. Come reagirebbe se sapesse che, una volta uscita di lì, la sua ragazza si infila tra le lenzuola del poliziotto che lo ha arrestato? Claudia Durastanti scatta una fotografia vivida e accorata della periferia urbana, il vero luogo dove in questi anni nascono le storie, e soprattutto racconta chi, nonostante le delusioni e i sogni infranti, continua a vivere e ad amare.

Ogni famiglia è un pianeta governato da leggi tanto precise quanto misteriose. Il sole di questa famiglia è il padre, un sole nero, che però esprime un calore ineguagliabile. Malinconia, alcolismo, depressione, malattia sono le eclissi spaventose e inattese, le parole impronunciabili. Parole che la figlia, diventata adulta, insegue e recupera. Perché nel gesto stesso di raccontare, nominare quel che è stato sempre taciuto, nascosto, è racchiuso un potenziale catartico, la possibilità di rifiutare quel che c'è di tossico nel nutrimento che ci ha cresciuti. Senza rancore, perché "non esistono torti, e in questo mio gesto di scrivere c'è tanto di mio padre e di quello che poteva essere, perché le parole non dette degli uomini messi a tacere risuonano nelle voci delle figlie che non hanno più vergogna". L'autrice affianca con grande efficacia il punto di vista della sé stessa bambina - che ha una visione parziale delle cose e non può che interpretare attraverso un filtro infantile e adolescenziale quel che le accade intorno -, e quello della donna adulta che ha ricostruito, compreso e meditato ed è giunta all'accettazione del mistero che spesso i nostri genitori non smettono di essere.

Questo è un romanzo luminoso che ti farà ridere, commuovere e scoprire con che passo la malinconia e la comicità possano andare a braccetto. Un po' come capita nell'amore, ti sembrerà, leggendolo, di guardarti allo specchio, di riconoscere le tue paure e i tuoi desideri, di vedere il tuo passato, presente e futuro. Perché quei ragazzi di sessant'anni che leggono senza occhiali e vanno in scooter anche d'inverno, che la sera vorrebbero bersi un prosecco con gli amici anche se «a un certo punto della vita gli aperitivi tendono a diradare», che hanno mogli e figli capaci di spiazzarli, idee vive sotto la pelle e un'energia testarda con cui prendere di petto l'esistenza, siamo noi. I ragazzi di sessant'anni sono i protagonisti, anzi il protagonista di questo romanzo, dato che nel libro «I ragazzi di sessant'anni» è un nome proprio, quello del marito di Stefania: un plurale singolare di grande potenza simbolica. Piú che la morte, temono, forse, i ragazzi di quattordici anni e la loro pazza elettricità. Intorno la città è cambiata, il mondo è cambiato, ma i ragazzi di sessant'anni continuano a essere ostinatamente se stessi. Non sono né depressi né inossidabili: sorridono.

Ogni sera, Martina apre il suo quaderno a quadretti e decide se colorare una casella in base a com'è andata la giornata. Se la lascia bianca è stata una buona giornata, se è nera... Nessuna via di mezzo. Lei è fatta così. Per ora il bilancio è negativo: ha trentaquattro anni e un lavoro che non la gratifica, non riesce ad avere un bambino e il suo compagno non vuole né sposarsi né comprare casa. Martina sa che le case non sono solo muri, ma fotografie di fasi della vita. C'è la casa dell'infanzia, che ci offre protezione; la casa in cui per la abbiamo vissuto da soli o in condivisione, sinonimo di libertà e di precarietà. Poi c'è la casa definitiva, quella per cui si accende un mutuo che ci accompagnerà per il resto dei nostri giorni. È un passo importante: vuol dire crescere davvero e uscire dal limbo degli «adulti a metà». Martina vorrebbe non esserlo più. Quando i suoi genitori mettono in vendita la casa e l'invito al matrimonio di una vecchia amica riapre una porta sul suo passato, Martina vede crollare tutte le certezze. Martina scopre che, nel diventare adulti, si procede a tentoni, si commettono errori, ci si allontana dall'orizzonte e a volte lo si cambia proprio.

Un neo a forma di stella sopra il polso: Lady Brown non può fare a meno di notarlo mentre conduce il colloquio con Irina Nikolaevna, candidatasi per diventare sua dama di compagnia. Irina le spiega di essere figlia illegittima di un gentiluomo di camera della zarina Maria Aleksandrovna e di essere vissuta "nell'orbita della corte": ora è cerca un impiego, ma nelle vene scorre il nobile sangue dei boiardi. Lady Brown non ha esitazioni, e Irina si trasferisce nella grande casa di Sanremo, accanto a un maggiordomo e a due personaggi capaci di osservare ogni cosa con sorniona intelligenza: i gatti Lady Rowena e Sir Galahad. Per più di vent'anni le due donne vivranno insieme le stagioni della riviera ligure, la mondanità invernale, i languori estivi, le calamità, gli incontri sorprendenti: come quello con un ex insegnante anarchico che sembra riconoscere Irina, o con il barone von Tronka, che vorrebbe chiedere la sua mano, o con Alfred Nobel, tormentato dai presagi riguardo alle proprie invenzioni... Con il rombo del Novecento che si avvicina - in un'atmosfera così simile alla nostra recente "belle époque", spezzata dalla pandemia e dalla guerra - le due protagoniste vivono e amano: o forse sognano, perché è questo il modo migliore di vivere e di amare.

Caro lettore, in queste pagine troverai i documenti necessari per risolvere un caso. Tutto inizia con la comparsa di due nuovi membri della cittadina di Lockwood e termina con una tragica morte. Per il brutale omicidio qualcuno è già stato condannato, ma sospettiamo che potrebbe essere innocente. L'impressione è che segreti piú oscuri debbano ancora essere svelati. L'assassino, se fai attenzione, si è tradito. E le prove sono qui, tra le righe, basta saperle leggere. Se vuoi scoprire la verità non ti resta che accettare la sfida e cominciare l'indagine. Lockwood sembra il posto ideale per mettere radici. O almeno questo è quello che pensa Sam, un'infermiera tornata dall'Africa. C'è persino una compagnia teatrale, perfetta per fare conoscenze e distrarsi. Ma tra le stradine di Lockwood non tutto è privo di ombre. Lizzy, la collega che ha introdotto Sam nella filodrammatica, dà l'impressione di nutrire per lei un morboso interesse. C'è poi una strana raccolta fondi lanciata dalla famiglia Hayward che pare nascondere altro. Qualcuno inizia a fare domande in giro, troppe, e lo uccidono. Un colpevole viene subito trovato, ma due giovani studentesse di Legge sono convinte che qualcosa non quadri. Eppure la verità, lo sentono, è davanti ai loro occhi.

Nel pieno della Seconda guerra mondiale, una collezione di antiche monete d'oro sottratta dalla Gestapo al suo legittimo proprietario, scompare. A rubarla sono stati due soldati tedeschi, che sognavano la libertà lontano dal loro paese. Cinquant'anni dopo, in una Berlino ormai liberata dal Muro, un ex guerrigliero cileno riceve da una compagnia di assicurazioni l'incarico di ritrovare il tesoro là dove uno dei due complici lo ha sepolto: nella Terra del Fuoco. Belmonte, il cui nome ricorda quello di un famoso torero, accetta la proposta, soprattutto per amore di una donna lasciata in Cile: ma la sua missione si trasforma ben presto in una gara micidiale. In quella stessa Berlino, infatti, un ufficiale dei servizi segreti della Germania Est, ormai disoccupato, viene a sua volta ingaggiato per recuperare il tesoro. Chi arriverà per primo alla Collezione della Mezzaluna Errante?

Affascinante, straricco, amato dalle donne - e dagli uomini - della sua vita, eppure ignaro dell'effetto che provoca sugli altri, Stephen Monk riavvolge la propria esistenza dopo la crisi del suo ultimo matrimonio. Mentre il mondo precipita verso il baratro della Seconda guerra mondiale, Monk torna dopo trent'anni alla casa d’infanzia, in una comunità quacchera della Pennsylvania, circondato dalle cure della «zia» che l'ha cresciuto con indefettibile abnegazione. E, costretto all'immobilità da un incidente forse non del tutto casuale, decide di mettere ordine fra le lettere della prima moglie, Elizabeth, una scrittrice di successo scomparsa da pochi anni. Sarà lei a gettare una luce nella sua confusione, aiutandolo a disfarsi del passato«Mettilo in una teca di vetro e ammiralo come fosse un tesoro, se vuoi» -, a riflettere sulle leggi che governano l'attrazione, ad accettare la stranezza del matrimonio. E sarà sempre lei, che in un certo senso ha «inventato» Monk e ne ha fatto «il più realistico» dei suoi personaggi, a fornirgli la chiave per comprendere e perdonare sé stesso.

Efficienti, dinamici, creativi. Ma anche: sovraccarichi, avviliti, depressi. Stanchissimi. Pieni di lavoro. Divisi fra call, impegni familiari e pubbliche relazioni, la luce blu degli smartphone che ci illumina il viso. Oppressi dal lavoro ma anche del lavoro innamorati, rapiti, vittime di una sindrome di Stoccolma aziendale. Perché oggi il lavoro è tutto e tutto è lavoro. Eppure, mai come oggi, la sensazione è che questo lavoro non basti. In un mondo post-pandemico che continua a cantare le magnifiche sorti del neoliberismo, lavorare sembra privo di senso. Una domanda spettrale, allora, ha cominciato ad aggirarsi fra noi: ma chi me lo fa fare? Attraverso esplorazioni storiche e accurate ricognizioni del presente, Maura Gancitano e Andrea Colamedici ci spingono a riflettere sulle origini e gli sviluppi di un concetto, quello di lavoro, sfaccettato e controverso, mettendone in luce i legami con ciò che abbiamo di più sacro, come la religione o la moralità. Ma ci invitano anche a ribaltare la prospettiva sulle retoriche del privilegio o del merito. E soprattutto ci spingono a immaginare: una soluzione, un mondo in cui sia possibile cambiare. "Ma chi me lo fa fare?" diventa allora un atto d'amore verso la nostra finitezza e umanità, verso la nostra stanchezza e la nostra voglia di resistere.

"Cinema speculation" è la storia di un bambino innamorato del cinema che passa le serate con i genitori nelle sale di Los Angeles. Quello spettatore vorace, che preferisce ai giochi l'incanto del grande schermo, cresce affascinato da una nuova generazione di attori e registicome Steve McQueen, Burt Reynolds, Clint Eastwood, Sam Peckinpah, Don Siegel, Brian De Palma, Martin Scorsese - che dalla fine degli anni Sessanta spazza via la vecchia Hollywood. Sono pellicole rivoluzionarie che ispirano l'immaginario di quel ragazzo, un incontro che si rivelerà decisivo per la sua carriera dietro la macchina da presa. Quentin Tarantino è uno straordinario appassionato di cinema, in tutte le sue forme: "Cinema speculation" è il racconto di come è nato questo amore e al tempo stesso una entusiasmante, sovversiva, dirompente storia del cinema secondo Tarantino. Raccogliendo recensioni, ricordi, aneddoti, tra autobiografia, critica e reportage, questo libro offre uno sguardo unico sulla settima arte, nella versione senza filtri di un suo eccezionale interprete.

Per tutti quelli che pensano che la politica sia complicata e distante, ecco una mappa per comprenderne i meccanismi. Un libro per capire come prendono le decisioni i governi, il Parlamento e come funziona la giustizia. Complessa, noiosa, ripetitiva, litigiosa e faziosa: la politica italiana non si fa amare dai cittadini, sempre più disinteressati a ciò che accade nelle stanze del potere. In parte perché la res publica appare distante dal quotidiano, in parte perché districarsi nel dedalo di figure, iter e palazzi sembra un'impresa. Eppure conoscere la politica è uno strumento essenziale per far valere i nostri diritti. Chiara Albanese dal suo osservatorio di corrispondente di Bloomberg spiega la politica italiana agli stranieri e, col suo podcast "Politics", la spiega agli italiani. "That's Politica!" è un libro per tutti: una spiegazione chiara ed efficace di come funzionano il sistema, i partiti, le istituzioni del nostro Paese, e la dimostrazione pratica di come la politica riguarda tutti noi da vicino, anzi vicinissimo. Un'opera che intreccia alla politica l'avventura legale vissuta dall'autrice, "That's Politica!" è la bussola per non restare un passo indietro, capire il nostro Paese e agire in modo consapevole e informato.

Con la prefazione di Francesco Costa!

Chi racconta questa storia di scrittori e editori, stampatori e mecenati, talenti e miserie è stato un protagonista dell'editoria italiana del Novecento. Ha lavorato in case editrici medie e grandissime, si è occupato di patrie lettere e letterature straniere, soprattutto ha incontrato persone e cose, attraversato epoche, inventato collane, assunto e licenziato. Chi racconta somiglia abbastanza all'editoria italiana, elegante e iraconda, generosa e umbratile, colta e commerciale. Perché l'editoria è figlia dell'intellettualità e del commercio, non appartenendo in fondo a nessuno dei due. E poi, sono gli editori capitani d'azienda? Esistono ancora come i primi trent'anni del Novecento ce li hanno consegnati? Chi racconta ricostruisce una storia che si suppone magmatica, casuale, costellata di invidie e affetti, rabbie e riconciliazioni, amori e antipatie. Chi racconta sa che attraverso l'editoria si può raccontare la storia d'Italia, quella tra le due guerre e quella degli anni di piombo, quella dei magnifici anni Ottanta e la più recente, quando i protagonisti sono forse meno eroici ma più inattesi.

Lou Lubie, in un libro a metà tra narrazione a fumetti e saggio critico, analizza il senso moderno delle favole, regalando al lettore un'esperienza narrativa unica, godibilissima e profonda, in cui stereotipi di genere, il ruolo della donna nella società e la morale comune vengono contestualizzati rispetto ai racconti archetipici destinati all'infanzia. Il volume, cartonato e con fregi in oro in copertina, ha il taglio delle pagine labrato in oro lucido. Un'edizione preziosa e sontuosa per un libro imprescindibile per comprendere gli stigma che lottiamo una vita per toglierci di dosso.

La penna profetica di Régis Messac immagina, in anticipo sui tempi, il secondo conflitto mondiale, che tuttavia dura ben poco. L'esplosione di un'arma chimica rende l'aria irrespirabile, deformando i muscoli facciali di tutti gli abitanti del pianeta. Il genere umano si estingue sghignazzando. In una grotta sopravvivono un gruppo di bambini e un unico adulto che, scrivendo il suo memoriale allucinato, testimonia l'ascesa di una nuova umanità. I giovani superstiti plasmano un nuovo linguaggio, reinventano la guerra, la geometria, l'amore, e sono devoti a un dio infantile, che nel loro strano idioma chiamano Quinzinzinzili. Scritto negli anni Trenta del Novecento e pubblicato oggi per la prima volta in Italia, "Quinzinzinzili" è una gemma letteraria ingiustamente dimenticata, un romanzo postapocalittico che sorprende per la sua geniale ironia e per il suo pessimismo visionario.

C'è un libro studiato in tutte le scuole, così famoso che le sue righe iniziali hanno più follower di Lady Gaga: "Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno..." Sulle sponde dove oggi stanno gli yacht delle star di Hollywood, all'inizio dell'Ottocento Alex Manzoni ha ambientato una storia che sembra un classico film d'amore: ci sono un lui, una lei, un prete, la peste, la morte, i classici ingredienti delle commedie sentimentali. In questa versione, opportunamente studiata per non provocare botte di sonno improvvise, troverai molte cose interessanti come la crush tra Renzo e Lucia, perpetue invadenti, personaggi che pur essendo cattivi si fan chiamare bravi, e alcuni che invece preferiscono non essere nominati affatto. E poi matrimoni mancati, tumulti, rapimenti e pestilenze, ma pure cose graziose, come ricette per torte nuziali da 230 invitati, party con il DJ internazionale del momento, molte stelline per recensioni positive e la Provvidenza che (spoiler) fa finire tutto per il meglio. Tra enigmi da risolvere e bivi che sarai tu a scegliere di imboccare, viaggerai per la Lombardia del Seicento in lungo e in largo. E se non fai attenzione, Renzo e Lucia potrebbero trasformarsi LOL in Romeo e Giulietta. Per cui occhio!

Età di lettura: da 11 anni.

30 giugno 1908. Un lampo accecante solca il cielo della taiga russa, seguito da un boato e da un violentissimo spostamento d'aria.

Lo sconvolgimento che ne consegue getta nello scompiglio la prigione in cui Janis, giovanissimo dissidente polacco, sta scontando la sua pena. Il ragazzo riesce così a eludere i controlli e scappa, dirigendosi a est, verso l'esplosione. Quello di Janis sarà un lungo viaggio, segnato dalla continua lotta contro la natura, gli orsi e altri fuggitivi in cui si imbatte per la strada, ma soprattutto dall'incontro con uno sciamano che cambierà il suo modo di percepire la realtà, tanto da arrivare a domandarsi se è vittima di sostanze allucinogene o se un demone lo stia inseguendo. Giunto all'enorme cratere generato dall'esplosione, Janis si ritrova faccia a faccia con un mistero, un terribile segreto che riguarda lui e la sua famiglia.

Età di lettura: da 12 anni.

Quando l'amicizia ti ferisce, l'amore non arriva, i genitori ti deludono e i compagni ti prendono di mira, troverai qualcuno capace di accoglierti dicendo: eccomi? Giulia, tredici anni, racconta in un monologo tragicomico tutto quello che le passa per la testa: peripezie emotive, difficoltà concrete, stupori e tremori di un corpo che cambia. E quando non trova le parole, le inventa: si sente un cristallo in un'elefanteria, l'aspettatrice di tempi migliori... Con le parole se la cava. Davanti a un armadio, invece, non sa cosa mettersi. Alle prese con le prime mestruazioni, i primi innamoramenti e le prime delusioni, si confronta con la migliore amica Lea, più smaliziata di lei. Ma Lea è tutt'altro che affidabile e presto nella «scatola delle prime volte» si accumulano disagi nuovi, la crisi dei genitori, le cattiverie dei compagni, la mancanza di qualcuno che sappia pronunciare l'unica parola capace di rassicurare fino in fondo: eccomi. Così Giulia capirà di essere la sola a poter decidere quale sarà la sua strada. Una storia insieme seria e divertente che racconta, con voce originale, la difficile arte di crescere.

Età di lettura: da 13 anni.

Damiano condivide la passione per i francobolli con l'adorato nonno Oreste, che gli scrive regolarmente dalla casa di riposo. Finché un giorno, dopo aver ricevuto una strana lettera vuota, Damiano scopre che il nonno è scomparso... e che è scomparso anche un preziosissimo dipinto di Raffaello! Per fortuna nonno Oreste ha lasciato una scia di indizi che condurranno Damiano e la sua amica Alice in un'avvincente caccia al tesoro (rubato) in alcune delle città più belle d'Italia. Indizi nascosti nei francobolli, che solo Damiano può interpretare...

Età di lettura: da 10 anni.

La principessa Haya ama la sua famiglia più di ogni altra cosa.

Così, quando una terribile disgrazia si abbatte sul Palazzo Reale, il mondo le cade addosso. La piccola principessa diventa sempre più triste finché, per il suo compleanno, il re le regala qualcosa che le cambierà la vita.

Prendersi cura di Bree, una puledra orfana di madre come lei, a dispetto delle convenzioni e del protocollo che vorrebbero una principessa il più lontano possibile dalle stalle, guarirà il cuore di Haya e, allo stesso tempo, le aprirà le porte di uno straordinario futuro.

Età di lettura: da 10 anni.

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Coltiviamo e addestriamo draghi. Alcuni emanano bagliori luminescenti, altri possono ghiacciarti con un'alitata e altri ancora sputano fiamme che incendiano il cielo. Ma mentre aspettiamo seduti in cerchio a gambe incrociate davanti a un frutto del drago maturo che sta per aprirsi e regalarci un nuovo cucciolo, è meglio che ti dica qualcosa che ancora non sai. Perché non ho raccontato proprio tutto, riguardo a questa storia, e ciò che sto per dirti potrebbe farti passare la voglia di adottare e allevare un drago tutto tuo...".

Età di lettura: da 8 anni

Timo ha letto tutti i libri del suo villaggio e ha una gran voglia di partire all'avventura per diventare un eroe come i protagonisti delle sue storie preferite. Si mette così in marcia e, tra una magia e l'altra, scoprirà che per essere dei veri eroi è necessario avere un obiettivo nobile e che l'amicizia è la magia più grande di tutte.

Età di lettura: da 8 anni.

Quando la dodicenne Lily si trasferisce nella sonnolenta cittadina balneare di Edge, prevede una vacanza piuttosto noiosa... Ma dopo aver casualmente scoperto il museo segreto nascosto nel centro della città, si rende conto che la noiosa vacanza è a una svolta. È il Museo di Emily, pieno di oggetti di una ragazza apparentemente normale. Ma Emily è davvero una ragazza normale che molti anni fa è scomparsa dalla città senza lasciare alcuna traccia! Con l'aiuto dei suoi nuovi amici Sam e Jay, Lily è determinata a risolvere il mistero e a scoprire chi era Emily, perché è scomparsa e qual è il significato dello strano museo nascosto. Ma si tratta di un mistero da svelare... piuttosto pericoloso!

Età di lettura: da 8 anni.

Dalle frondose querce agli eleganti aceri, dalle verdi distese di conifere alle umide e calde foreste tropicali, questo albo illustrato è un invito a scoprire l'incanto e la bellezza dei boschi di tutto il mondo. Grandi tavole naturalistiche introducono il lettore ai segreti degli alberi: semi, foglie, tronchi, radici, fiori, frutti... Ci si meraviglia di fronte allo spettacolare cambio d'abito degli alberi decidui nel corso delle stagioni, si fa la conoscenza degli abitanti che vivono tra le fitte chiome delle conifere, ci si imbatte in piume coloratissime e in temibili animali all'interno della lussureggiante foresta tropicale. Un viaggio visivo per scoprire il polmone verde del nostro pianeta.

Età di lettura: da 8 anni.

Un incantevole libro illustrato che esplora il rapporto tra infanzia e natura. In questa storia semplice ma profonda, un bambino sperimenta un fiore con tutti e cinque i sensi - dal suo colore al suo profumo all'intero universo evocativo, rivelando come un singolo fiore possa espandere la prospettiva di una persona in modi incredibili. Hai mai visto un fiore? è una bellissima esplorazione della percezione, dell'ambiente e dell'umanità. Una lettura ad alta voce perfetta con domande che fanno riflettere. Ideale per gli amanti della natura.

Età di lettura: da 3 anni.

Il ciliegio, dai frutti deliziosi, attira bimbi e uccellini. Il tiglio col suo profumo fa innamorare le api e non solo. Il faggio ha una chioma folta e spettinata, che cambia mille volte colore. Ritratti di alberi, gioiosi e appassionati, che risvegliano il desiderio di giocare all'aria aperta, e ci invitano a coltivare l'amore per la natura.

Età di lettura: da 4 anni.

Completa le sagome, disegna le ombre, crea nuove scene grazie ai numerosi adesivi, taglia i capelli alla strega e la barba al pirata, fabbrica i pupazzetti per giocare con le ombre cinesi... Un libro di attività per divertirsi e sviluppare la creatività giocando con il colore nero. Comprende più di 110 adesivi.

Età di lettura: da 5 anni.

Nel paese di Novi Meste non si legge più. Situato in provincia di ***, il comune fu sconvolto da alcuni cruenti delitti accaduti tra il millenovecentosettantacinque e il millenovecentottantuno, i quali furono la causa di quest’abitudine.

I fatti furono attribuiti alla sanguinosa follia di un serial killer. Chiamato, come era in voga a quei tempi, il Mostro di Novi Meste, l’efferato autore di nove omicidi – sette uomini e due donne, ritrovati in condizioni raccapriccianti – non fu mai identificato.

Cercando dunque di fare luce su questi casi rimasti irrisolti e caduti nel fondo di grigi archivi impolverati, abbiamo voluto approfondire sul campo.

Il resoconto che riportiamo, ci teniamo a sottolinearlo, potrà apparire ridicolo a molti; non ci sorprenderemo se alcuni di voi parleranno di leggende metropolitane, o di mere chiacchiere per

attirare lettori, e nemmeno ci scandalizzeremo se critiche e personaggi ci tacceranno come pennivendoli. Tuttavia crediamo che, per imperitura memoria dei defunti, sia doveroso far conoscere ciò che, passato per leggenda, è nostra convinzione essere verità.

Novi Meste è circondato a nord da colline boschive, le quali sono state lasciate proliferare senza alcun intervento umano, eccezion fatta per le raccolte di legna, funghi, castagne e frutti di bosco dal sapore sempre intenso, per i quali la cittadina è famosa nel circondario. Queste colline, dietro le quali un’impervia vallata le divide da altre colline e altri borghi, con l’arrivo del boom economico, hanno iniziato a punteggiarsi di ville e villette residenziali, tanto da creare una svariata rosa di occasioni per ladri e birboni. Qui, venne ad abitare, secondo atto notarile dal millenovecentosessantadue, lo scrittore Leone Fiordigigli: abruzzese d’origine, di fama sì estesa

ma non al punto d’esser annoverato fra i più del secolo, scriveva soprattutto romanzi di spionaggio e recensioncine su riviste di terz’ordine, mentre in paese aiutava spesso l’oratorio e la scuola nella regia di alcune recite, ma fu anche attivo in comizi o in particolari cerimonie nelle quali fu sempre felice di partecipare. Di temperamento placido, segaligno e con un nasone aquilino, il Fiordigigli era un tranquillo e qualunque cittadino di Novi Meste: qualche misera rimunerazione e una cospicua eredità gli permettevano di vivere nell’agio.

Parliamo di Fiordigigli poiché, dalle nostre indagini, un singolare episodio che lo vede protagonista è necessario per capire lo svilupparsi delle vicende e, soprattutto, perché successivamente verrà additato come servo di Satana.

Secondo la testimonianza della signora Giovanna Rossi – il nome è fittizio – quello fu il primo e lampante indizio della sua follia. La signora, adusa a passare le mattinate ciarlando e zompettando qui e là per la piazza e gli esercizi, dichiara che, nel dicembre millenovecentosettantaquattro, Leone si presentò come un diavolaccio che s’era bevuto d’un fiato il cervello:

[…] Era tutto scombussolato, gli occhialoni con il fondo di bottiglia storti, lo sguardo che pareva aver ingoiato un fantasma. Dovevate vederlo!

Camminava gobbo e scandagliava i dintorni per cercare qualche cosa, si avvicinava alle insegne e le osservava come ipnotizzato, credetemi che era davvero una visione obbrobriosa. Ma non è mica finita: passando il prete con il breviario alle mani, lo vide da lontano, indemoniato vi corse incontro che si sarebbe detto un animale, tanta foga c’aveva quel vecchietto a correre coi pugni chiusi, non sapevamo se ridere o se scandalizzarci. Era una persona normale, semplice. Certo c’aveva anche lui i suoi segreti e particolarità, eh. Sapete che […] Comunque, dicevo, il Leone corre peggio di una belva, si getta sul prete, lo butta a terra e lì in piazza si azzuffano tra le grida dell’uno e i ruggiti dell’altro. Il diavolo era! Quando poi riesce a staccargli dalle mani il breviario, che Don *** teneva stretto stretto, lo alza al cielo, se lo mette al petto e con la corsa di una gallina impazzita scappa via. Da allora, non l’ho più visto.

Altri cittadini confermano la testimonianza. Questo singolare accadimento, tuttavia, sarebbe passato in cavalleria, se non fosse stato per l’aggravarsi degli eventi che colpirono i mesi successivi Novi Meste.

Circa una dozzina di giorni dopo, la signorina

Tecla Pallavicini, fattorina del droghiere, non era ancora rincasata nel pomeriggio. Creduta fuggita con un bel giovanotto, si aspettò fino al tramonto per dare via alle ricerche. Il mattino dopo, venne ritrovata la bicicletta sopra il ponte che, passando sul fiumiciattolo Lubìccolo, portava ai campi a sud del paese, dove la Tecla era solita consegnare derrate ai contadini del luogo. Nessuno l’aveva vista il giorno precedente. Il corpo, a ridosso della riva, era caracollato fin lì. Si poté accertare l’identità della vittima solo dai vestiti e dalla suddetta bicicletta, poiché il viso era irriconoscibile. Lacerato, maciullato, sfregiato fino alle ossa, era una macchia di sangue e carne. Le indagini non trovarono alcun indizio, tranne un foglio tenuto stretto fra le mani dalla vittima, del tutto inservibile essendo inondato di sangue. Chi parlava di una bestia, chi di un omicida, chi di un demone venuto a punire la Tecla – sempre con quei vestitini succinti –, le voci si erano sbizzarrite. Il paese di Novi Meste cominciò a temere la presenza di un assassino e le autorità consigliarono di rincasare entro il tramonto e di non girare mai da soli.

Il funerale della povera Tecla si svolse il lunedì successivo, al quale mancò soltanto lo scrittore Leone Fiordigigli. Per molti non fu nulla, ma per i genitori e alcuni cittadini, tra cui la citata Giovanna Rossi, questa fu la prova della colpevolezza dello scrittore, o perlomeno della sua complicità con il demonio. Dopotutto, chi mai avrebbe potuto maciullare così il volto di una bella ragazza? Si cercò di sbirciare nella casa del Fiordigigli, di spiarlo e seguirlo, ma non se ne ebbe traccia alcuna. Quando, con il secondo omicidio, questa volta il notaio Abelardo Ciappalardi, si scoprì qualche cosa in più.

Il modus operandi dell’assassino era il medesimo, essendo il volto del Ciappalardi non più in essere. La mascella scarnificata mostrò alcuni molari d’oro. La procedura, nonché la furia dell’azione, era dimostrata dall’esplosione rossa circostante sulle coste dei libri scaffalati, dai segni profondi e netti nella carne e nelle frattaglie penzolanti rimaste attaccate al corpo. Ritrovato in biblioteca, intento a leggere un tomo d’economia, anch’egli aveva un foglio in mano – collegabile al precedente della Pallavicini – trovato probabilmente fra le pagine e che, per una fortuita casualità, non del tutto ricoperto di sangue: su un angolino rimasto nitido, si poté leggere qualche lettera. Con una veloce ricerca, la scrittura fu subito attribuita a Leone Fiordigigli. Strana coincidenza, visto che il Ciappalardi non era solito leggere frivolezze: era solo incuriosito, o si trattava di una trappola? Si pensò subito a un collegamento con lo scrittore e con il comportamento “demoniaco” sopra

raccontato. Perdipiù, la scomparsa della sua persona in paese, fu segno di colpevolezza per tutti.

La polizia, spinta dai cittadini e dagli indizi, decise di entrare nella casa dello scrittore in cerca di altre prove.

Quello che non si aspettava nessuno, però, era il corpo mummificato dello scrittore, seduto alla sua scrivania con espressione sofferente e la penna ancora tra le mani. Pareva fosse rimasto lì in attesa per decenni, talmente era scarnificato e rinsecchito. Le piste ora si dividono, poiché ufficialmente, sotto quella parvenza orribile, si scovò che anche il Fiordigigli ebbe le medesime ferite delle vittime precedenti, anche se più leggere, come se anziché in un raptus fossero state inferte con pazienza, erodendo pian piano il viso dello scrittore. Venne dunque scartata l’ipotesi della sua colpevolezza e creato il Mostro di Novi Meste, rimasto ignoto fino ad oggi: le autorità non poterono seguire le infondate accuse e stramberie che, pian piano, andarono a insinuarsi nella cittadinanza.

Difatti, in quell’occasione fu scoperto un codice manoscritto redatto intorno al sedicesimo secolo, di carattere esoterico e stregonesco, aperto in bella mostra sulla scrivania. Le autorità non presero minimamente in considerazione le possibilità paranormali, o magiche, lasciandolo dove l’avevano trovato.

Il manoscritto divenne fulcro della leggenda qualche mese dopo, a seguito di altri due assassini – uno in piazza, proprio di fronte ai necrologi, l’altro nel circolino, precisamente nell’angolo dei quotidiani. Una manciata di spavaldi personaggi, decisi a voler vederci chiaro e senza alcuna fede nel corpo di polizia, si promossero a giustizieri mascherati: uno di costoro era il professore di storia e italiano della scuola elementare di Novi Meste, tale Luca Ottolenghi, il quale, sgattaiolando in cerca di prove nella casa di Fiordigigli, lo notò, ne riconobbe la natura maligna e lo prese per studiarne gli intrighi.

Vi si spiegava, raccontò giorni dopo, un incantesimo grazie al quale le streghe si divertivano a uccidere intellettuali ed ecclesiastici dell’epoca tramite la scrittura, visto che erano assai pochi coloro che sapevano leggere: bastava che leggessero poche lettere per rimanervi incatenati fino alla fine, quando una furia maligna ne avrebbe preso la vita: si trattava di scrivere su alcuni fogli con apposito inchiostro venefico preparato in precedenza – il manoscritto non presentava la ricetta: la pagina era stata strappata –e chiedere la grazia diabolica. La trappola era così pronta, bastava solo nasconderla. Nel corso dei mesi successivi, benché le indagini cercassero di additare indiziati come il Mostro,

nessuno di loro fu mai condannato per mancanza di prove. Il professore e i suoi seguaci giustizieri, invece, convinti della loro pista, smisero seduta stante di leggere in paese: in calce all’incantesimo si aggiungeva un limite spaziale e temporale alla maledizione.

Abbiamo scovato negli archivi di una rivista esoterica, la Chimere e Suppellettili, numero ottantadue del febbraio millenovecentosettantanove, un’intervista a un compare della banda del professore:

- Dunque è vero che chi legge muore?

- Assolutamente sì: tutte le vittime sono state trovate intente a leggere qualche cosa, che fosse un foglio trovato per terra, come la Tecla Pallavicini, o il menù dell’osteria Bell’Uomo con il Giovannone, che buon’anima è stato ucciso con il pane ancora in bocca e c’aveva mollica insanguinata dappertutto. Noi abbiamo provato ad avvertire la cittadinanza tutta, ma in pochi ci hanno voluto ascoltare.

- Ma come facevano queste storie, ci chiedono i lettori, a trovarsi in posti così particolari? È stato qualcuno a nasconderle?

- Non lo sappiamo. Il professor Ottolenghi non ha trovato alcun indizio a riguardo. Si è presunto che il Fiordigigli avesse un complice che lo aiutasse, ma questa idea è stata scartata proprio successivamente all’assassinio del Giovannone. I menù erano nuovi di zecca, il giorno prima erano stati controllati personalmente dall’oste, il quale, oltre che avere alibi di ferro per gli altri omicidi, non avrebbe mai ucciso qualcuno nella sua attività. Difatti, dovette chiudere i battenti poche settimane più tardi.

- Potrebbe essere che lo scrittore Leone Fiordigigli avesse preparato tutto?

- La nostra ipotesi è che Fiordigigli è stato sopraffatto dalla sua stessa creazione. Il suo corpo ritrovato in quelle condizioni ci ha fatto presumere che l’incantesimo lo abbia scarnificato e assorbito, fino a diventare una cosa viva. Nel manoscritto, io non l’ho letto però eh, non c’è alcun incantesimo di ‘locomozione inanimata’, così chiamata da Ottolenghi. Si crede che abbiano assorbito l’intera vita dello scrittore, come una specie di sacrificio, e che grazie a ciò abbiano acquistato vita propria.

- Si sa quante sono le storie?

- No. Finora sono cinque, l’ultima scoperta poco fa.

- E non si sa che cosa raccontino?

Se lo sapessi, ora non sarei qui.

- Consigliate a tutti di smettere di leggere, quindi?

- No, anche perché altrimenti i morti non si concentrerebbero nel nostro paese: la nostra teoria è che esiste un centro nevralgico nella casa del Fiordigigli, dal quale le storie si sostengono fino al compiere ciò per cui sono state create e che perciò non possono allontanarsi troppo. Non c’è la possibilità di capire però quale sia questo limite. In via teorica, ora, è il fiume Lubìccolo, dove è stata ritrovata la Pallavicini: il raggio è dunque di cinque chilometri quadrati.

A Novi Meste, dunque, alla fine degli anni Settanta i cittadini erano terrorizzati e disorientati. La polizia non faceva altro che catalogare gli omicidi e pattugliare, svogliatamente secondo alcuni testimoni, le strade della cittadina. Il Mostro divenne famoso, così come la maledizione della lettura. Il piccolo circolo del professore divenne sempre più popolare, al punto che si presero misure drastiche. Le scuole si spostarono nei paesi limitrofi, i bambini dovettero starsene in classe fino a sera tarda a fare i compiti prima di tornare a casa, la biblioteca venne sprangata, le edicole chiuse e i giornali bruciati, le lettere e le cartoline stracciate, la posta proibita, i necrologi limitati alla sola immagine e data del funerale, gli avvisi municipali imparati a memoria e urlati a squarciagola, così come i menù dei bar e delle osterie, le insegne dei negozi limitate a simboli, i nomi sui citofoni eliminati, i ricettari divennero come le istruzioni dei mobili Ikea, i certificati di matrimoni firmati a occhi chiusi, le Sacre Scritture recitate a memoria e imparate fuori da Novi Meste. Nessuna accozzaglia di parole fu più letta, ammessa o vista e gli abitanti aguzzarono l’ingegno per aver salva la vita.

Nel millenovecentottantuno, si riscontrarono gli ultimi tre omicidi, tutti per sfortunate

dimenticanze: la signora Vitali, tritata a seguito della lettura di alcune lettere di guerra del defunto marito in occasione dell’anniversario di matrimonio, chiuse a chiave in un baule – per questo certa che non ci fosse pericolo – e scoperta solo cinque giorni dopo grazie al fetore; il piccolo

Serafino Pitti, giovincello di seconda elementare che si era dimenticato di fare i compiti e non voleva farsi trovare impreparato il giorno dopo; il vecchio e malato di Alzheimer Giampaolo Molinari,

trucidato dal calendario appeso in cucina in mezzo al quale si era insediata una di quelle dannate storie.

Gli omicidi, alla fine, si fermarono. Ma che cosa cercava, in fondo, Leone Fiordigigli, con queste storie? E soprattutto, egli ha voluto crearle per uccidere e macinare i visi dei novimestini per una qualche vendetta, oppure anch’egli è vittima di una maledizione? La nostra ricerca sul territorio ha trovato opinioni discordanti, seppur la maggior parte degli intervistati sia convinta che Leone Fiordigigli avesse architettato tutto per poter passare alla storia, cosa che effettivamente ha ottenuto. L’ultimo omicidio, il nono, fu quello del professor Ottolenghi, impavido e incessante ricercatore della verità, che deciso a vederci chiaro non volle mai abbandonare la lotta contro il demonio. Tenace fino all’ultimo, volle chiudere una volta per tutte la faccenda entrando nella casa dello scrittore per darvi fuoco e liberare la cittadinanza. Il suo corpo fu ritrovato senza volto, lacerti di carne e muscoli sbrindellati e penzolanti, un occhio maciullato, gli zigomi erosi e le ossa bianche all’aria. Il suo animo eroico e la sua curiosità finirono per ammazzarlo. Riuscì però a salvare la storia assassina, alzata nell’ultimo sprazzo di vita, lasciando intonsa la gran parte dello scritto, che tuttavia si rivelò illeggibile, vergato in una lingua sconosciuta: oggi, svuotata della furia omicida, si può osservare nel museo cittadino, senza ovviamente alcuna dicitura esplicativa.

Delle storie assassine, non si sentì più parlare: tutta Novi Meste smise di leggere e ancora oggi la leggenda e la particolare abitudine perdura. La casa di Leone Fiordigigli è ancora in piedi, fatiscente e terrificante – nemmeno i nostri inviati hanno voluto metterci piede. Il Mostro di Novi Meste fu presto dimenticato e la tranquillità ritornò nel paese che non legge più.

Una curiosità particolare: proprio da qui nacque il modo di dire ‘una storia dal finale mozzafiato’.

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