Mensile Valori n.40 2006

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Anno 6 numero 40. Giugno 2006. € 3,50

valori Mensile di economia sociale e finanza etica

osservatorio

nuove povertà

RAGHU RAI / MAGNUM PHOTOS

Fotoreportage > Bhopal

L’economia di un’area dimenticata mostra segni di grave sofferenza, ma Matera ha le forze per risollevarsi e combattere l’esclusione sociale con una rete di solidarietà

Dossier > Mappa ragionata degli istituti che stanno cambiando il credito

L’etica è in banca Mafia > Anche Palermo cerca il riscatto con il movimento Addio Pizzo Cina > Parla il sindacalista che lotta per i diritti civili e sociali Foreste > La distruzione di un patrimonio delle popolazioni e dell’umanità Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.P.


| editoriale |

La rivoluzione

della finanza etica di Stefano Zamagni

L ETICA SGR

L’AUTORE Stefano Zamagni

Professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna e Adjunct Professor of International Political Economy, Johns Hopkins University, Bologna Center. Laureato in economia e Commercio all’Università Cattolica S. Cuore di Milano Stefano Zamagni, bolognese, è uno dei padri dell’economia sociale italiana. Ha pubblicato decine di volumi di economia, filosofia, politica e di saggi sul terzo Settore, la finanza etica e la responsabilità sociale. Da otto anni ha dato vita al corso di laurea in Economia delle Imprese cooperative e delle organizzazioni non profit presso l’Università di Bologna e dal 1997 presiede l’Aiccon (Associazione Italiana per la Cultura Cooperativa e delle Organizzazioni Non Profit) che organizza le Giornate di Bertinoro sull’economia sociale.

A LOGICA DELLA NICCHIA NON PORTA DA NESSUNA PARTE.

C’è una massima che mi ha sempre colpito e che non mi stanco di ripetere. Appartiene alla scuola economica francescana della fine del XIV° Secolo, inizi del XV°: «l’elemosina aiuta a sopravvivere, ma non a vivere. Perché vivere è produrre e l’elemosina non aiuta a produrre». Questa massima va ripetuta in tutte le sedi perché l’elemosina, che vale oggi per assistenzialismo, paternalismo, ci aiuta sì a mangiare e quindi a sopravvivere, ma non ci inserisce nella capacità di produrre, cioè di vivere. La finanza etica, all’origine del XV° Secolo, nasce per consentire a tutti e tutte di produrre. Il dilemma per gli operatori della finanza etica di oggi è come riuscire a coniugare le finalità con una governance nuova, diversa da quelle di carattere capitalistico. La struttura organizzativa non è neutrale rispetto agli obiettivi che si perseguono. Non si ama il fine se non si ama la via: non basta adeguare alle finalità le strutture organizzative. Altrimenti si può correre il rischio delle Banche Popolari che sono nate nell’800 con finalità ben precise ma sono state snaturate dalle scelte organizzative e operative. Lo sviluppo delle banche etiche dipende oggi da una serie di condizioni. Alcune sono esterne, come la diffusione della cultura del consumo critico o l’apertura del dibattito sulla responsabilità sociale delle imprese alla finanza etica. Altre riguardano il sistema di gestione delle banche, che devono saper investire nella crescita culturale dei dipendenti e, soprattutto, devono evitare di trasferire al loro interno la logica dell’efficienza fine a sé stessa. Altrimenti rischiano di perdere l’identità, la fedeltà ai propri valori originari. Tengo soprattutto a sottolineare che l’identità si perde quando, per stare con gli altri, riproduco e riporto al mio interno esattamente quella logica che per ragioni di contingenza varie sono costretto ad applicare all’esterno. Bisogna resistere alla tentazione dell’ismorfismo o dell’omeomorfismo: «Dal momento che fuori si fa così, lo facciamo anche dentro». Questo vuole dire autodistruggersi. Per esempio non è possibile applicare la logica degli incentivi proprio in una fase nella quale le aziende capitalistiche la stanno abbandonando. Né si può pensare di far valere il principio gerarchico. Al posto degli incentivi va studiato un sistema premiante basato sull’equità e sul rispetto reciproco, sull’autorità più che sulla gerarchia. Bisogna pensare nuovi modelli di gestione d’impresa che portino all’efficienza e alla professionalità senza snaturare i principi. È su queste sfide che si gioca il futuro delle banche etiche.

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giugno 2006 mensile www.valori.it

anno 6 numero 40 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore

Società Cooperativa Editoriale Etica Via Copernico, 1 - 20125 Milano promossa da Banca Etica soci

Le vedove della tragedia di Bhopal si riuniscono fuori dalle loro case. Sono case molto piccole: una stanza, un bagno, un angolo cottura. In condizioni igienico-ambientali molto critiche.

Bhopal, 2000

Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, TransFair Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Agemi, Publistampa, Federazione Trentina delle Cooperative, Rodrigo Vergara, Fondazione Fontana

bandabassotti fotoreportage. Bhopal dossier. Banche etiche d’Europa

consiglio di amministrazione

L’Europa che dà credito alle buone notizie “Creativi culturali”. 30 milioni di potenziali clienti «Un vero laboratorio della finanza etica». Intervista a Fabio Salviato presidente di Banca Etica

Sabina Siniscalchi, Sergio Slavazza, Stefano Biondi, Pino Di Francesco Fabio Silva (presidente@valori.it) collegio dei sindaci

Giuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzone direttore editoriale

SISIFO

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valori

Sabina Siniscalchi (siniscalchi@valori.it) direttore responsabile

Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) redazione (redazione@valori.it)

Via Copernico, 1 - 20125 Milano Cristina Artoni, Paola Baiocchi, Francesco Carcano, Paola Fiorio, Michele Mancino, Sarah Pozzoli, Francesca Paola Rampinelli, Elisabetta Tramonto revisione testi

Silvia Calvi progetto grafico e impaginazione

Francesco Camagna (francesco@camagna.it) Simona Corvaia (simona.corvaia@fastwebnet.it) Adriana Collura (infografica) fotografie

Stefano De Luigi, Giuseppe Gerbasi, Alex Majoli, Eligio Paoni, Raghu Rai, Antonio Scattolon, Shobha, Angelo Turetta (A3/Contrasto/Magnum Photos) stampa

Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 12, Pergine Valsugana (Trento) distributore nazionale

Eurostampa srl (Torino) tel. 011 538166-7 abbonamento

10 numeri 30,00 euro ˜ sostenitore 60,00 euro

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lavanderia finanzaetica

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Anche Palermo cerca di uscire dal buio della paura e del ricatto Dire no al “contributo” significa rimanere Anche una filiale puo’ essere molto diversa

bruttiecattivi osservatorionuovepovertà

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Matera un’anima fragile dietro un volto rassicurante Lasciata a sé stessa Matera cura da sola le sue ferite

macroscopio internazionale

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L’economia vola ma le riforme politiche e sociali restano al palo Filo diretto Parigi-Pechino per ridare al lavoro la dignità perduta La mappa satellitare delle foreste in via di estinzione

utopieconcrete economiasolidale

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Il peso politico dei migranti. Per una democrazia di tutti e per tutti Responsabilità sociale, l’etica sfida il profitto

come abbonarsi I

bollettino postale c/c n° 28027324 Intestato a: Società Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1 - 20125 Milano Causale: abbonamento/Rinnovo Valori

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| bandabassotti |

Finanza di rapina

Il grande sacco dell’industria italiana di Andrea Di Stefano

TECHNOLOGIES, OLCESE, NORD OVEST SRL, un aumento di capitale disinvolto nel settembre 2002 per 100 milioni di euro, fino a una recentissima operazione di aggiotaggio su titoli Schiapparelli. Sono gli ingredienti che hanno portato al dissolvimento della holding della moda Fin.part, dichiarata fallita il 25 ottobre dell'anno scorso, con un indebitamento, nascosto agli organi di Vigilanza, che già al 31 marzo del 2003 superava i 258 milioni di euro. Un crac che ha portato in carcere l’ex amministratore del gruppo Fin.part, Gianluigi Facchini, il suo successore dal 2004, l’imprenditore di Ala di Trento, Gianni Mazzola, l'ex dg di Banca Popolare di Intra, Giovanni Brumana, e l'industriale tessile marchigiano, Michele Paoloni. Altri 12 risultano indagati nell’inchiesta del pm milanese Luigi Orsi. Tra i nomi spicca quello dell’attuale direttore generale della Popolare di Intra, Claudio Ferrari, per il quale il pm ha chiesto l’interdizione dalla carica, numerosi ex componenti del cda di Fin.part, tra i quali Ubaldo Livolsi accusato di concorso in bancarotta fraudolenta per aver «dissipato il patrimonio sociale» con la complicata operazione su titoli Olcese, destinando 13,9 milioni di euro per l’acquisto, non esplicitato in bilancio, di azioni della società tessile. Questo per evitare che Fin.part fosse obbligata a lanciare un'Opa sul suo capitale. Una classica operazione da furbetti. Come quelle sui titoli Frette che hanno portato a enfatizzare artificiosamente» i valori del bilancio della holding, Un nuovo fallimento, quello ideando un aumento di capitale di 100 milioni di euro del gruppo Fin.part, porta del quale almeno 30 milioni costituivano un'alimentazione alla luce l’ennesima storia di depredazione di un patrimonio «fittizia». C'è poi l'operazione, contestata a Mazzola e Paoloni, di aggiotaggio su titoli Schiapparelli industriale con annessi con un turbinio di acquisti e vendite, nella primavera centinaia di posti di lavoro di quest’anno, che hanno determinato una sensibile alterazione del prezzo di mercato. Un presunto depredamento, quello di Fin.part, accompagnato, negli anni, dal compiacente ex dg di Banca Popolare di Intra, Brumana. Ed è stato un funzionario, fino a qualche anno fa a capo dell'area crediti milanese, a raccontare come ciò avvenisse: «Premetto che esistono due modi per ridurre o evitare la segnalazione dei grandi rischi alla Banca d'Italia. Il primo è di conferire denaro, ancorchè temporaneamente, a garanzia del fido. Questa tipologia di affidamento non viene considerata nella somma; un altro modo di omettere o ridurre la segnalazione è quello di non inserire in un gruppo economico alcuni rapporti che in base alla normativa della Banca d'Italia dovrebbero essere inseriti». Per Fin.part furono utilizzati entrambi. Con i soldi della società il signor Gianluigi Facchini si attribuiva uno stipendio superiore a quello di Vittorio Mincato dell'Eni o di Marco Tronchetti Provera. A Parigi il commercialista di Lecco, oggi in carcere, organizzò una cena di quelle da arabi in vacanza, radunando solo bella gente intorno a un tavolo e ingaggiando Eva Herzigova. Il budget? Venticinquemila euro. Voleva «impressionare» il banchiere Ubaldo Livolsi al quale stava chiedendo di affiancarlo nella gestione. Oggi sono tutti indagati dalla procura di Milano che cerca di fare luce nell’ennesima storia di finanza di rapina e saccheggio.

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NOVAMONT

EPPER INDUSTRIES, FRETTE, FRISBY

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> Bhopal foto di Raghu Rai / Magnum Photos

Oltre ventimila morti e 500 mila intossicati. A distanza di 21 anni dal disastro ambientale la cittadina del Madhya Pradesh ne patisce ancora le conseguenze. Da anni Greenpeace è impegnata a monitorare e bonificare l’area e a chiedere alla proprietà americana assistenza sanitaria e acqua potabile per i sopravvissuti.

hopal. Questo nome rievoca il più grande e grave disastro chimico mai avvenuto nella storia. Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, quaranta tonnellate di isocianato di metile (Mic), un gas letale, fuoriescono dall’impianto di produzione di pesticidi della Union Carbide a Bhopal, cittadina del Madhya Pradesh, in India. È una strage. Muoiono ventimila persone, altre 500 mila rimangono gravemente intossicate. Per quasi sette anni, dal 1977 al 1984, la “bella fabbrica” - così viene chiamata produce un insetticida sperimentale detto Sevin, un veleno dall’odore di cavolo lesso. Con tanto di etichetta di avvertimento: “Pericolo mortale in caso di inalazione”. L’obiettivo è produrne almeno trentamila tonnellate l’anno e per farlo occorre partire dall’isocianato di metile. Si tratta di una molecola terribile, capace di scatenare reazioni tremende al solo contatto con qualche goccia d’acqua o qualche grammo di polvere metallica. Un’infiltrazione d’acqua nel serbatoio dell’isocianato di metile è la causa del disastro. La reazione provoca la fuoriuscita di una grande quantità di gas tossico a causa dell’aumento di pressione. Il gas inizia il suo cammino letale mentre il “filtro chimico”, che dovrebbe trattarlo, è fuori uso a causa di alcune riparazioni. Non ci sono nemmeno i deflettori che avrebbero potuto impedire l’infiltrazione dell’acqua e i refrigeratori sono fuori uso, così come le torri antincendio. All’inizio degli anni ‘80 sui giornali indiani compare una pubblicità che recita: “La scienza aiuta a costruire la nuova India” firmato Union Carbide. Agli americani Bhopal è costata poco, solo 43 centesimi per ogni azione sul mercato, ed essendo la multinazionale chimica più potente del mondo, riesce ad impegnare il Governo indiano a non intraprendere alcuna successiva azione civile e penale per qualunque motivo. Quando viene dato l’annuncio dell’accordo, le azioni della Union Carbide a Wall Street balzano verso l’alto di due dollari. Bhopal non è mai stata bonificata e la gente continua a morire di veleno. A venti anni di distanza gli effetti negativi sulla popolazione continuano ad essere notevoli. Le falde acquifere sono fortemente contaminate e tonnellate di rifiuti tossici sono ancora abbandonati sul posto a portata di bambino. Greenpeace è impegnata da anni a monitorare l’area e a chiedere alla Dow Chemicals - dal 1999 proprietaria della Union Carbide - di bonificare a sue spese il sito industriale, assicurare l’assistenza medica e la riabilitazione ai sopravvissuti e fornire acqua potabile alle comunità residenti. La Dow Chemical è quella stessa dell’incendio del novembre 2002 a Porto Marghera, dove sono bruciate da 10 a 20 tonnellate di peci clorurate, liberando acido cloridrico, toluene, xilene, benzene, diossine e altro veleno.

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L’AUTORE Raghu Rai, tra i più conosciuti fotografi indiani, è nato nel 1942. Nel 1965 ha iniziato l’attività di fotografo nello staff di The Statesman. Dal 1982 è stato per dieci anni photo editor del magazine India Today e dal 1977 è membro di Magnum. La sua attività ha presto valicato i confini nazionali e dal 1990 al 1997 Raghu Rai è stato membro della giuria del prestigioso World Press Photo. Rai è specializzato nel racconto del suo paese natale, l’India, cui ha dedicato numerosi reportage e libri. Il Festival Internazionale di Roma “FotoGrafia” ha ospitato una retrospettiva dell’autore. Presentandolo per la prima volta al pubblico italiano, la curatrice Enrica Scalfari ha sottolineato come Rai «utilizzi la macchina fotografica come uno strumento di apprendimento continuo, un modo per arrivare più vicino alla realtà e alla natura e permettere a chi guarda le sue foto di arricchire la propria visione del mondo: questo per lui è il vero scopo della fotografia. Il novanta per cento dei soggetti delle sue foto, infatti, sono persone. Non c’è mai qualcosa che viene sbattuto in faccia, è sempre una narrazione delicata anche quando si trattano temi più duri come la malattia e la povertà». Raghu Rai ha pubblicato numerosi volumi tra cui Calcutta, 1989, Raghu Rai’s Delhi, 1994; Mother Theresa, 1996 e Exposure: Portrait Of A Corporate Crime, 2004.

Jugar Bai Maurya, di 75 anni. Le sue mani si sono rattrappite ed è così debilitata che è da considerare un’invalida

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> Bhopal

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Sopra, Dott. Sathpathy all’ospedale Hamidia di Bhopal con alcuni feti vittime del gas. Dolore senza fine: Radha Bai, età 45 anni, ha perso i suoi tre bambini nella tragedia. Per cercare di superare il dolore ha adottato tre bambini, ma il senso della perdita non si cancella. Nadira, 42 anni, attende con la sua figlia Naseem per il suo turno alla clinica come paziente esterno. È una delle 3.000 persone che fa questo viaggio quotidianamente per avere le medicine e alleviare il dolore acuto. Nela foto grande, il Dott. Sathpathy medico legale dell’ospedale di Hamidia. Ha realizzato finora più di 20.000 analisi e identikit. Nessun parente di una vittima di Bhopal può reclamare un morto senza un suo certificato

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Sopra, da sinistra a destra, vittima del gas, Akbar Khan Bundela. La protesta delle donne per la città, ogni martedì e sabato vanno alla stazione ferroviaria di Bhopal e aspettano il passaggio del treno per Delhi in modo da trasmettere il loro messaggio lontano. Sotto, da sinistra a destra, Mohammed Arif ha la fibrosi polmonare dovuta al gas tossico. Solo un trapianto di polmoni potrebbe salvarlo. Una vittima che è stata identificata come Leela che ha vissuto a Chola vicino alla fabbrica. Sohanlal Soni ha frequenti periodi di tosse dovuti al gas tossico. Questa donna anziana è rimasta invalida e sola, Bhopal non gli ha risparmiato nessuno. Hasan Ali, 70 anni, è una vittima del disastro del gas. Soffre di vari disturbi, con lei le due figlie. La Bi di Zubeda ha perso tutti i suoi parenti nel disastro di Bhopal. I vicini si sono presi cura di lei durante questi diciassette anni. È morta una settimana dopo lo scatto di questa foto.

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Sopra, scarsità di acqua nell’accampamento dei sopravvissuti al gas. Alcune persone anziane passeggiano, foto scatatta di fronte alla fabbrica chimica. Shakeel Quereshi di turno alla fabbrica nella notte del 2 dicembre 1984. È uno dei testimoni del processo e anche una delle vittime, ha subito lesioni pesanti dell’apparato visivo. Foto Grande a destra, veduta della ciità di Bhopal.

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L’Europa che dà credito alle buone notizie >18 Creativi culturali. 30 milioni di potenziali clienti >20 Il ruolo della Casse Trentine >23 «Un vero laboratorio della finanza etica» >22

a cura di Mauro Meggiolaro e Alessia Vinci

SHOBHA / CONTRASTO

dossier

La raccolta delle olive nei terreni confiscati ai clan collegati al boss Bernardo Provenzano. L’Associazione “Libera terra”, casa dei giovani e centro di prima accoglienza per tossicodipendenti diretta da padre “Lo bue”, è una delle realtà finanziate da Banca Etica.

Castelvetrano, Trapani, 2001

Il futuro

Banche etiche d’Europa Il modello di partecipazione di singoli, associazioni e istituzioni si diffonde Un progetto concreto per mettere la finanza a sostegno dello sviluppo sostenibile

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LE BANCHE ETICHE-ECOLOGICHE IN EUROPA

L’Europa che dà credito alle buone notizie

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OLANDA

RUDOLF STEINER E L’ANTROPOSOFIA RUDOLF STEINER (1861 - † 1925), austriaco, fu studioso e ricercatore di Goethe, filosofo ed esoterista. Membro della Società Teosofica dalla quale prese le distanze per divergenze di idee, fondò poi la Società Antroposofica per sviluppare l’Antroposofia o Scienza dello Spirito, un tentativo di investigare e descrivere i fenomeni spirituali con la stessa precisione e chiarezza tipiche delle scienze naturali nello studio del mondo fisico. Steiner tenne più di seimila tra seminari e conferenze in varie città d’Europa. Morì a Dornach (vicino a Basilea, in Svizzera) dove aveva fatto edificare il Goetheanum, un centro di attività scientifiche e artistiche tuttora molto attivo. Di Steiner esistono oggi numerosissimi libri sui più diversi rami del sapere: filosofia, medicina, matematica, fisica, agricoltura, economia, pedagogia, arte e architettura (tradotti in italiano dall’Editrice Antroposofica di Milano). Tra i testi principali: La filosofia della libertà, Teosofia, L’iniziazione, La scienza occulta nelle sue linee generali, La mia vita, I punti essenziali della questione sociale, I Capisaldi dell’economia. Rudolf Steiner è riconosciuto come: ■ fondatore della scuola Steineriana e della pedagogia Waldorf; ■ fondatore della medicina antroposofica (assieme ad Ita Wegmann); ■ ideatore dell’agricoltura biodinamica. Ha inoltre sviluppato l’idea politica della triarticolazione sociale e ha ideato l’Euritmia, un’arte del movimento in grado, attraverso forme, gesti e movimenti, di rendere visibile “l’invisibile” (suoni e forme del linguaggio, stati d’animo, M.M. forme e concetti). Per approfondire www.rudolfsteiner.it

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Una scuola nella Ruhr La prima nasce nel 1974 a Bochum, una delle tante città del bacino della Ruhr, in Germania. Si chiama GLS Gemeinschaftsbank, in italiano “Banca Comunitaria”. La fondano un gruppo di persone ispirate dalle idee del filosofo austriaco Rudolf Steiner (padre dell’antroposofia, 1861 – †1925, vedi BOX ). Vogliono costruire una scuola che applichi la pedagogia steineriana. Servono molti soldi ma le banche sono restie a concedere finanziamenti. Gli antroposofi di Bochum si organizzano e decidono di mettere in piedi loro stessi una banca. «Il nostro scopo era permettere a tutti di realizzare grandi progetti di coesione sociale mettendo insieme molti piccoli contributi», racconta Rolf Kerler, uno dei fondatori. «Le richieste crescevano rapidamente» - continua Kerler, «scuole e asili steineriani, ma anche fattorie bio-dinamiche o altre ini-

ekobanken

Sede: Järna Capitale sociale: 2,65 milioni di euro Raccolta risparmio: 19,43 milioni di euro Finanziamenti: 15,57 milioni di euro Numero finanziamenti: 309 Dipendenti: 8

Triodos bank*

Triodos Bank

BELGIO

Triodos Bank

SPAGNA

Triodos Bank

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In Europa sono una ventina, di cui dieci sono vere e proprie banche. Le accomuna lo sforzo quotidiano di usare il denaro come mezzo per dare credito alla cooperazione internazionale, alla tutela dell’ambiente, alla cultura, all’arte, all’integrazione sociale. Quasi tutte rendono pubblici i finanziamenti che concedono e danno al cliente la possibilità di scegliere il settore o il progetto che preferisce sostenere con i suoi risparmi. Ma come e perché sono state create queste banche particolari?

SVEZIA

NORVEGIA

CRONOLOGIA 1974 GLS Gemeinschaftsbank, Bochum (Germania) 1980 Triodos Bank, Zeist (Olanda) 1982 Merkur Bank, Copenaghen (Danimarca) 1984 Freie Gemeinschaftsbank BCL, Basilea (Svizzera) 1988 Ökobank, Francoforte (Germania) 1990 Banca Alternativa Svizzera (BAS), Olten (Svizzera) 1997 Cultura Sparebank, Oslo (Norvegia) 1997 Umweltbank, Norimberga (Germania) 1998 Ekobanken, Järna (Svezia) 1999 Banca Etica, Padova (Italia) 2002 Charity Bank, Tonbridge (Regno Unito) 2003 la Ökobank viene acquisita dalla GLS Gemeinschaftsbank

GLSGemeinschaftsbank Gemeinschaftsbank GLS

Sede: Bochum Capitale sociale: 31,1 milioni di euro Raccolta risparmio: 487 milioni di euro Finanziamenti: 318,4 milioni di euro Numero finanziamenti: 3.551 Dipendenti: 152

DANIMARCA

Merkur

Sede: Copenaghen Capitale sociale: 7,865 milioni di euro Raccolta risparmio: 77,40 milioni di euro Finanziamenti: 57,54 milioni di euro Numero finanziamenti: 3.282 Dipendenti: 37,5

GERMANIA

Umweltbank

Sede: Norimberga Capitale sociale: 46 milioni di euro Raccolta risparmio: 453 milioni di euro Finanziamenti: 469 milioni di euro Numero finanziamenti: 4.836 Dipendenti: 127

SVIZZERA Banca Alternativa Svizzera Sede: Olten Capitale sociale: 24,35 milioni di euro Raccolta risparmio: 428 milioni di euro Finanziamenti: 385 milioni di euro Numero finanziamenti: 691 Dipendenti: 56

Banca Popolare Etica

SVIZZERA Freie Gemeinschaftsbank BCL

Sede: Padova Capitale sociale: 18,40 milioni di euro Raccolta risparmio: 381 milioni di euro Finanziamenti: 268 milioni di euro Numero finanziamenti: 2.174 Dipendenti: 131

Sede: Basilea Capitale sociale: 7,12 milioni di euro Raccolta risparmio: 95,24 milioni di euro Finanziamenti: 108,18 milioni di euro Numero finanziamenti: 766 Dipendenti: 15

ITALIA

ziative legate al movimento antroposofico erano alla ricerca di nuove forme di finanziamento che tenessero conto della loro particolare base sociale». Gruppi di genitori, gruppi di agricoltori, soci di cooperative. Per loro la nuova banca si inventa le “Leihgemeinschaften” (comunità di credito): il credito viene spezzettato in tante piccole quote, una per ogni socio o genitore, che si impegna a restituire la sua parte. Insieme riescono a ottenere prestiti di oltre 250.000 marchi (125.000 euro) senza bisogno di fornire garanzie. Oggi come allora la GLS è una banca cooperativa, dove ogni socio ha lo stesso peso, ma in trentadue anni è cambiata molto. Pur rimanendo legata all’antroposofia, è uscita progressivamente dalla nicchia e finanzia anche iniziative che non sono riconducibili direttamente al movimento steineriano: pale eoliche, tetti solari, scuole libere, agricoltori biologici, case del parto, imprese femminili, orchestre, ecc.. I progetti finanziati sono oltre 3.500 per un totale di 318 milioni di euro. I clienti più di 45.000. La svolta della GLS è stata accelerata nel 2003 dal-

Dalla Germania al Regno Unito sono migliaia i soci e clienti che scelgono di aderire ad un progetto

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Cultura Bank

Sede: Oslo Capitale sociale: 2,7 milioni di euro Raccolta risparmio: 26,39 milioni di euro Finanziamenti: 18,95 milioni di euro Numero finanziamenti: 361 Dipendenti: 13

GERMANIA

Sede: Zeist Capitale sociale: 120 milioni di euro Raccolta risparmio: 1,07 miliardi di euro Finanziamenti: 665 milioni di euro Numero finanziamenti: 3.682 Dipendenti: 301

REGNO UNITO

andau, Germania. La prima scuola Montessori della regione ha finalmente una sede di mattoni. Appena finita la ristrutturazione si trasferiranno lì 144 scolari. Fino ad oggi hanno seguito le lezioni in due container in affitto. Edimburgo, Scozia. Apre i battenti l’Urbanangel café, un locale che offre ai suoi clienti piatti, snack, bevande con ingredienti forniti dagli agricoltori biologici locali o dal commercio equo e solidale. La Spezia, Italia. La Caritas Diocesana trasforma un’ex base della marina militare in un laboratorio sociale per la formazione e l’inserimento lavorativo. Intanto ad Århus, in Danimarca, si inaugura una macelleria biologica e a Brighton, nel sud della Gran Bretagna, sono pronti nuovi appartamenti per ragazzi e ragazze disabili. L’elenco di buone notizie potrebbe continuare ancora a lungo. Basta scorrere la lista dei crediti concessi da Banca Etica, GLS, Triodos, Merkur, BAS, Ekobanken, La Néf e da molte altre istituzioni finanziarie etiche, ecologiche, sociali.

Charity Bank

Sede: Tonbridge Capitale sociale: 8,53 milioni di euro Raccolta risparmio: 48,6 milioni di euro Finanziamenti: 19,67 milioni di euro Numero finanziamenti: 480 Dipendenti: 23

*i dati includono le attività di Triodos in Olanda, Belgio, Regno Unito e Spagna

di Mauro Meggiolaro

[TUTTI I DATI AL 31.12.2005]

l’acquisizione della Ökobank, la banca degli ecologisti tedeschi, che nel 2000 è entrata in crisi ed è stata costretta a cedere le proprie attività.

Le banche steineriane Su esempio della GLS sono state create in Europa altre cinque banche di ispirazione steineriana: l’olandese Triodos Bank, nel 1980, la danese Merkur, nel 1982, la svizzera Freie Gemeinschaftsbank BCL, nel 1984, la norvegese Cultura, nel 1997 e la svedese Ekobanken, nel 1998. A queste va aggiunta la cooperativa di finanza solidale francese La Néf, fondata nel 1989 e appoggiata dal Gruppo Crédit Coopératif. Il riferimento all’antroposofia varia da banca a banca. La più fedele alle origini è sicuramente la BCL. Nella sede di Basilea il tempo sembra essersi fermato. I dipendenti sono meno di 15 e si respira un’atmosfera molto rilassata, familiare. Una volta alla settimana i colleghi si riuniscono in una sala della banca per leggere e commentare alcuni passi tratti dai libri di Rudolf Steiner. Rallentare il ritmo di lavoro per recuperare il senso di quello che si fa ogni giorno. Sembra essere questa la ricetta della BCL. Di tutt’altro avviso è Triodos. Ha sede a Zeist, una cittadina dalle parti di Utrecht, in Olanda, ma nel ‘93 ha aperto a Bruxelles, due anni dopo a Bristol, in Inghilterra e ultimamente anche a Madrid e Francoforte. Oggi impiega più di 300 persone e concede 665

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milioni di euro di prestiti. È la banca etica più grande in Europa. A differenza di GLS e BCL, Triodos è una società per azioni che ogni anno stacca il dividendo ai suoi soci, molti dei quali sono banche, assicurazioni e fondi pensione. Negli ultimi anni la banca olandese si è specializzata nella promozione di fondi comuni di investimento verdi e di fondi chiusi per il sostegno delle energie rinnovabili. Se fino a qualche anno fa le banche di ispirazione steineriana erano descritte come piccole riserve di banchieri-filosofi un po’ eccentrici, oggi le cose stanno diversamente. Lo sviluppo e la crescita professionale di Triodos e della GLS sono lì a dimostrarlo.

Le banche verdi Energia eolica, solare, agricoltura biologica, recupero di aree naturali ma anche democrazia economica, pari opportunità e partecipazione. Sono questi gli ingredienti principali di quelle che si possono definire “ban-

FEBEA E SEFEA FEBEA (Federazione Europea di Banche Etiche e Alternative) nasce a Bruxelles nel 2001 e riunisce banche e cooperative finanziarie attive nella finanza etica e solidale. Associazione di diritto belga, ha lo scopo di creare strumenti efficaci per lo sviluppo e la promozione della finanza etica in Europa. Gli strumenti operativi finora creati da Febea sono: la società cooperativa di investimento Sefea, il fondo di garanzia mutualistico Garantie Solidaire, il fondo comune di investimento Choix Solidaire e l’Osservatorio della Finanza Etica in Europa. Febea conta 23 soci provenienti da 12 Paesi diversi: Banca Etica, Casse Rurali Trentine e Etimos (Italia), Caixa Pollença, BBK Solidarioa Fundazioa, Fiare Fundazioa, Fundaciò Un Sol Món (Spagna), Crédit Cooperatif, Femu Qui, La Néf, Caisse Solidarie du Nord-Pas-de-Calais, SIDI (Francia), BISE e TISE (Polonia), Vernus Co-op (Rep. Slovacca), Bank für Sozialwirtschaft (Germania), Crédal e Hefboom (Belgio), Cultura Sparebank (Norvegia), Ekobanken (Svezia), Merkur Bank (Danimarca), Charity Bank (Regno Unito), Banca Alternativa Svizzera (CH). SEFEA (Società Europea Finanza Etica e Alternativa) nasce a Trento nel dicembre del 2002 come società cooperativa di diritto italiano gestita da Banca Etica. È uno degli strumenti operativi di Febea. Ha lo scopo di sostenere dal punto di vista finanziario (e non) le istituzioni che si occupano di finanza etica in Europa. Sefea interviene in particolare con: ■ apporto di capitale sociale e concessioni di finanziamenti a medio/lungo termine alle strutture di finanza etica più deboli; ■ formazione e assistenza tecnica. Dal 2002 ad oggi Sefea ha concesso 14 finanziamenti per un totale di 2,57 milioni di euro. M.M. Sefea si candida a diventare la Banca Centrale delle banche etiche europee.

che verdi”. La più famosa di tutte è la Ökobank. Fondata a Francoforte nel 1988 come “banca del movimento”, è nata su iniziativa dei movimenti pacifisti, anti-nucleare, anti-apartheid. Gli stessi che hanno dato vita al partito verde più forte d’Europa. Peccato che la Ökobank oggi non esista più. I suoi conti e i crediti migliori sono stati acquisiti dalla GLS, il resto è passato alla Bank AG Hamm, esperta in risanamenti bancari. Gestione poco oculata, troppa fiducia nelle amicizie politiche e una buona dose di sfortuna, sono i motivi che hanno fatto chiudere le serrande alla banca ecologica tedesca. Erede ideale della Ökobank e, fino a pochi anni fa suo alter-ego svizzero, è la BAS, la Banca Alternativa Svizzera. Fondata nel 1990 a Olten, a metà strada tra Berna e Zurigo, ha oggi più di 20.000 clienti in tutta la Confederazione. Negli ultimi anni l’orientamento ecologista della banca si è unito sempre di più a obiettivi sociali: imprenditoria femminile, cooperazione allo sviluppo, ma soprattutto diritto alla casa, alloggi sociali e multi–familiari, bio-architettura. In effetti, circa la metà dei 385 milioni di euro prestati è stata destinata alla casa, mentre il 9% è finito alle energie alternative e all’agricoltura biologica. La BAS è anche la prima istituzione finanziaria svizzera che ha osato alzare la voce contro il segreto bancario. Non a caso nel bilancio della banca si puo’ leggere l’elenco completo di tutti i crediti concessi, ma anche la retribuzione annua di ogni dirigente e il rapporto tra il salario mensile più basso e quello più alto, che nel 2005 è stato di 1 a 3.

Massimo profitto, minimo impatto Se la Ökobank è ormai storia e la BAS è sempre più “sozial”, l’unica vera banca verde rimasta sembra essere la Umweltbank (Banca dell’Ambiente) di Norimberga. Creata nel 1997 su iniziativa di Horst Popp, exdirigente Ökobank, è una banca virtuale che non ha filiali: si puo’ raggiungere solo via e-mail, telefono o fax. Il 48enne Popp, il “banchiere etico in cravatta”, come lo chiama la stampa tedesca, ripete da anni come un mantra che “l’ambiente è redditizio” e che si puo’ fare del bene senza dover per forza rinunciare alla massimizzazione del profitto. I numeri finora sembrano dargli ragione: 4.800 progetti ambientali finanziati per un totale di 469 milioni di euro, 48.000 clienti, 127 dipendenti e un bilancio che ha raggiunto il punto di pareggio già dopo il primo anno di attività. Il capitale sociale è arrivato a quota 46 mi-

lioni di euro grazie anche al buon andamento del titolo Umweltbank in borsa (+83,6% nel 2005), che sta volando sulla scia dei titoli del solare e dell’eolico. Quanto potrà durare? “Ci sono ancora migliaia di tetti liberi”, ha risposto Popp alludendo al boom del solare. “Nel 2006 possiamo crescere del 50% senza problemi”.

Banca Etica: la forza dei soci Una crescita simile l’ha avuta anche Banca Etica, pur partendo da presupposti molto diversi. Fondata nel 1999 a Padova, è una delle ultime arrivate tra le banche etiche europee. Nasce dalla lunga esperienza delle cooperative finanziarie MAG (Mutue Auto Gestione) e dall’impegno di una serie di associazioni come Ctm-mag (oggi Etimos), Acli, Agesci, Arci, le Botteghe del Commercio Equo, il sindacato Cisl e Manitese. Oggi ha 26.000 soci, dei quali circa 3.700 sono persone giuridiche: ONG, movimenti, banche e 348 tra comuni, province, regioni. I finanziamenti deliberati sono oltre 2.000 per un totale di 268 milioni di euro. Hanno ottenuto credito Libera, l’associazione che coltiva le terre confiscate alla mafia, Ecor, primo distributore italiano di prodotti biologici, ma anche le pale eoliche di Calice Ligure o le case che molti soci hanno deciso di comprare o di ristrutturare usando vernici naturali oppure installando sul tetto pannelli solari. Nata come banca di riferimento delle associazioni non profit, Banca Etica si sta rivolgendo sempre di più al “cittadino responsabile”. Quello che mangia bio, guida auto a metano o ibride, compra lampadine a basso consumo o fa le vacanze da turista consapevole. In sette anni di vita la banca ha aperto 10 filiali assumendo più di 130 persone. Un record se lo confrontiamo con l’evoluzione delle altre banche alternative europee. Un risultato ancora più sorprendente se pensiamo che nello stesso tempo Banca Etica ha dato vita a Etica Sgr, una società finanziaria per la promozione di fondi di investimento socialmente responsabili, ha creato una Fondazione Culturale e una Cooperativa Editoriale. Tutte realtà che, assieme al Consorzio Etimos per il microcredito, costituiscono il Sistema Banca Etica. Ma com’è stato possibile uno sviluppo così rapido? Il segreto sta nell’ampiezza della base sociale e nella partecipazione dei soci. Le migliaia di persone e istituzioni che hanno contribuito a creare la banca

e continuano a sostenerla provengono dalle esperienze più varie: associazionismo cattolico e laico, sindacalismo, ambientalismo, commercio equo. Un mosaico di teste pensanti che si sono organizzate in 65 circoscrizioni in tutta Italia per promuovere la banca in centinaia di comuni, organizzare incontri sulla finanza etica, presidiare banchetti nelle feste cittadine e soprattutto intervenire e fare proposte all’assemblea annuale e nelle riunioni dei Forum d’area. Non esiste nessun’altra banca etica in Europa che possa contare così tanto sull’attività dei soci. È un modello di partecipazione dal basso che funziona e sta dando i suoi frutti anche in termini economici.

Banchieri etici d’Europa, unitevi!

LIBRI

Un modello che Banca Etica sta cercando di esportare con la collaborazione di altre istituzioni finanziarie etiche. È per questo che nel 2001 ha creato Febea, la Federazione Europea delle Banche Etiche e Alternative (vedi BOX ), di cui fanno parte le già citate BAS, Merkur, Ekobanken, Cultura, La Néf, ma anche fondazioni come BBK Solidarioa (Paesi Baschi), Fiare (Spagna) e banche tradizionali sensibili all’economia solidale, come il Crédit Coopératif e le Casse Rurali Trentine. La Federazione ha lo scopo di sostenere e coordinare le varie iniziative di finanza etica in Europa e di accompagnare la creazione di nuove banche o finanziarie. Dalla fine del 2002 Febea si appoggia a Sefea, una società che fornisce gli strumenti finanziari per la realizzazione degli scopi della Federazione. Nelle intenzioni dei suoi fondatori, Sefea è destinata a diventare la Banca Centrale delle banche etiche europee. Il cuore pulsante di tutti i soggetti finanziari che vogliono continuare a dare credito alle buone notizie.

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Massimo Calvi Sorella Banca, il mondo di Banca Etica Editrice Monti, Saronno 2003 Nuova Ed. Ampliata

Riccardo Milano La Finanza e la Banca Etica Edizioni Paoline, Milano, 2001

Stephan Rotthaus, Grüne Geldanlagen, Falken Verlag, 2001

“Creativi culturali”. 30 milioni di potenziali clienti Istruiti, cosmopoliti, tolleranti, attenti alla qualità della vita e al rispetto dell’ambiente. I post-materialisti bussano alle porte dei negozi bio e delle banche etiche. Siete alla costante ricerca di un equilibrio tra corpo e spirito? Vi piace mangiare bio o curarvi con rimedi naturali? Preferite essere stimati per la vostra cultura e creatività piuttosto che per i beni che possedete? Se avete di Mauro Meggiolaro risposto di sì ad almeno un paio di queste domande c’è una buona probabilità che siate anche voi dei “post-materialisti”. Lo dice uno studio di Sinus Sociovision, un istituto di Heidelberg che ha sondato la popolazione tedesca alla ricerca dei “Bio-Käufer”, i consumatori (reali o potenziali) di prodotti biologici. In

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I INTERESSATE DI ARTE, ECOLOGIA, ALIMENTAZIONE?

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Germania sarebbero otto milioni: il 10% della popolazione. Una categoria di persone (definite appunto “post-materialiste”) che ha acquisito importanza solo negli ultimi dieci – quindici anni ma è destinata ad averne sempre di più. È una tendenza che si registra, con sfumature diverse, in tutti i Paesi occidentali e potrebbe creare interessanti prospettive per i negozi bio, ma anche per le banche e le finanziarie etiche. «Chi compra bio è alla ricerca di autenticità, legge le etichette, vuole sapere cosa c’è dietro a ogni singolo prodotto, è preoccupato per la sua salute e per quella dell’ambiente» -

spiega Annette Bohland, responsabile marketing della GLS Gemeinschaftsbank. «Se trasportiamo queste considerazioni in campo finanziario è naturale che prima o poi il bio-consumatore si rivolga a una banca etica per investire anche solo una parte dei propri risparmi». È in questo nesso che Bohland legge il futuro della sua banca: «in tutto GLS e Umweltbank – le due banche alternative tedesche NdR - hanno meno di 100.000 clienti. Secondo la ricerca di Sinus in Germania ci sono almeno altri 7,9 milioni di risparmiatori che potrebbero aprire il conto da noi. È un mercato talmente ampio che c’è po-

sto per tutti: al momento non possiamo parlare di vera e propria concorrenza». Applicando la percentuale di Sinus agli abitanti dell’Europa occidentale, i post-materialisti, la pietra filosofale della finanza etica europea, risulterebbero essere più di 30 milioni. Ma da chi è composta questa avanguardia culturale? «I post-materialisti sono in genere persone molto istruite (diploma o laurea), si sentono a loro agio in una società multirazziale perché sono tolleranti e aperti alle novità», si legge nello studio. «Sono abituati a pensare in modo globale anche se criticano le conseguenze socio-ambien-

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Deml, Gelbrich, Prinz Rendite ohne Reue Eichborn Verlag, 2002

AA. VV. Les placements éthiques, Alternatives Economiques, Guide pratique n° 15, settembre 2004

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LIBRI Paul H. Ray, Sherry Ruth Anderson The Cultural Creatives: How 50 Million People Are Changing the World Harmony Books, New York, Ottobre 2000 Brands, Fleischer, Hemmerle Unterschiede zwischen Bio-Käufer und Bio-Nichtkäufern Sinus Sociovision, Heidelberg, Aprile 2002

tali della globalizzazione. Il loro valore più alto è la qualità della vita». E ancora: «vogliono avere successo nel lavoro, ma non ad ogni costo, si interessano di letteratura, arte, cultura, hanno uno stile di vita sostenibile, sono critici nei confronti del consumismo perché il loro motto è comprare meno, comprare meglio». Per completare il quadro, la ricerca di Sinus dà una serie di indicazioni su età, reddito, tipo di lavoro: «dai 30 a 70 anni, spesso vivono in famiglie con più figli e guadagnano più della media. Tra di loro sono molti gli impiegati, i funzionari pubblici, i dirigenti, i liberi professionisti, ma c’è anche una buona percentuale di studenti». A conclusioni analoghe è giunta una ricerca degli studiosi americani Paul H. Ray e Sherry Ruth Anderson. Insieme hanno pubblicato “The cultural creatives. How 50 million people are changing the world” (I creativi culturali. Come 50 milioni di persone stanno cambiando il mondo). Secondo Ray e Anderson i “creativi culturali” (la versione americana dei post-materialisti) sarebbero addirittura 50 milioni solo negli Stati Uniti (1/5 della popolazione). Rispetto allo studio di Sinus, i due ricercatori aggiungono alcuni tratti interessanti al profilo dei potenziali bioconsumatori o investitori etici. Come l’attivismo sociale e ambientale, il volontariato, l’altruismo e un importante dato di genere: il 60% dei creativi culturali, infatti, sarebbe di sesso femminile. «Le donne sono naturalmente por-

tate a sentire empatia e simpatia per gli altri, a ragionare con il punto di vista di chi parla, a rifiutare la violenza come mezzo di soluzione dei conflitti, a preoccuparsi per il benessere delle famiglie e dei bambini» - si legge nella ricerca. E infine un elemento da non trascurare: «i creativi culturali in genere non sanno di esserlo e non riescono a immaginare che milioni di persone si comportano e la pensano come loro». Almeno per ora, il “post-materialismo” o la “creatività culturale” sembrerebbero quindi confinati alla sfera individuale. Quello che preoccupa di più Annette Bohland è però un altro aspetto: «spesso queste persone non sanno nemmeno che esistono banche e istituzioni finanziarie particolari che possono rispondere al meglio alla loro domanda di trasparenza e di coerenza. Abbiamo milioni di clienti potenziali, dormienti, che hanno bisogno di essere svegliati». La ricetta di Frau Bohland ha ingredienti semplici: partecipazione alle fiere del bio e del solare, articoli e pubblicità su riviste specializzate, siti internet chiari e accessibili, collaborazione con le reti di economia solidale, ma soprattutto servizi bancari sempre più professionali e opportunità di investimento diversificate, per tutte le tipologie di clienti. «In poche parole dobbiamo diventare efficienti come le altre banche senza annacquare i nostri ideali di riferimento», conclude Annette Bohland. Una sfida su cui, probabilmente, si giocherà il futuro di tutte le banche etiche europee.

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GLI STILI DI VITA DEI “CREATIVI CULTURALI” Libri e radio FONTE: PAUL H. RAY, SHERRY RUTH ANDERSON, THE CULTURAL CREATIVES: HOW 50 MILLION PEOPLE ARE CHANGING THE WORLD

Annette Bohland, 34 anni, responsabile marketing GLS Gemeinschaftsbank

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I creativi culturali (CC) leggono più libri e riviste e ascoltano di più la radio e la musica classica di tutti gli altri gruppi sociali. Non amano buona parte dei programmi televisivi.

Arte e cultura

I CC sono in genere grandi consumatori di arte e cultura.

Consumatori consapevoli

I CC amano avere una visione d’insieme di tutti i fenomeni. Quando comprano un prodotto vogliono sapere da dove viene, come è stato fatto, e cosa succederà quando si trasformerà in rifiuto. Sono gli unici che leggono regolarmente le etichette.

Autenticità

I CC sono sempre alla ricerca di ciò che è autentico e sono critici nei confronti delle cose finte, delle imitazioni, dei cliché e dei prodotti di cattiva qualità.

Cibo

Amano parlare di cibo, sperimentano nuovi tipi di cucina, cucinano con gli amici e provano cibi naturali e salutari.

Auto

I CC comprano auto di prezzo medio e sono attenti alla sicurezza e ai consumi. Sognano un’auto ibrida gas-elettrica e l’auto a idrogeno. Molti guidano una Volvo.

Viaggi

Per i CC il viaggio deve essere un’esperienza che rigenera il fisico e lo spirito. Amano i posti poco frequentati dai turisti e i campi di lavoro estivi. Evitano i viaggi organizzati, le crociere e i villaggi turistici.

Esempi di creativi culturali

Tony Blair, Vaclav Havel, Giovanni Paolo XXIII, Martin Luther King, Dalai Lama, Isabel Allende, Doris Lessing, Anita Roddick, Robert Redford, Enya, Robin Williams, Keith Jarrett

«Un vero laboratorio della finanza etica»

LE CASSE TRENTINE A SOSTEGNO DELLA FINANZA ETICA IL TRENTINO HA UNA TRADIZIONE di finanza solidale che coincide con la storia delle Casse Rurali. Nate sul finire dell’Ottocento per rispondere ad esigenze di sopravvivenza e di equità di un’intera popolazione, nel 2002 hanno contribuito alla costituzione di SEFEA (Società Europea Finanza Etica ed Alternativa – vedi BOX), con lo scopo di creare strumenti finanziari per il sostegno e la promozione della finanza etica in Europa.“I ragionamenti sull’etica sono all’origine della nostra nascita, il Dna dell’impresa cooperativa” – ha dichiarato il presidente della cooperazione trentina Diego Schelfi. Franco Senesi, presidente di Cassa Centrale, il consorzio delle casse rurali trentine, crede nella necessità di arrivare alla costituzione di una Banca Europea Alternativa, una specie di “Cassa Centrale” europea della finanza etica. “Attenzione però – mette in guardia Senesi – oggi i prodotti etici si stanno moltiplicando sensibilmente, ma per lo più si tratta di operazioni di marketing, con le quali ci si limita a fare un po’ di beneficenza a spese dei soli clienti. La vera finanza etica parte dall’uso trasparente del risparmio”. Iniziative di finanza etica in Trentino sono state sperimentate anche attorno agli anni Ottanta, quando il credito cooperativo locale aveva immesso sul mercato i certificati di deposito “Solidea”. Da quell’esperienza partirono i primi progetti nella Locride a fianco di mons. Bregantini, e la costruzione di una università in Ecuador con la cooperativa “Il Canale”. La formula Solidea è stata sostituita dai nuovi prodotti di Banca Etica, con la quale la cooperazione trentina ha costruito una stretta collaborazione. Attraverso un’apposita convenzione, le Casse Rurali Trentine distribuiscono i fondi di investimento etici “Valori Responsabili” di Etica Sgr (società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Etica). Sono fondi che investono in titoli di imprese e Stati rispettosi dell’ambiente e dei diritti dell’uomo. “Si tratta di una scelta strategica fondamentale per il movimento del credito cooperativo” – spiega Senesi. “Una risposta ai cittadini e alle istituzioni che, in misura sempre maggiore, chiedono conto della destinazione dei propri investimenti”.

Fabio Salviato racconta l’esperienza di Sefea che vede intorno ad uno stesso tavolo banche etiche doc e istituti di credito tradizionali a vocazione sociale. EFEA È UN VERO E PROPRIO LABORATORIO della finanza etica del vecchio continente. Nata a fine 2002, la Società europea finanza etica e alternativa ha svolto in questi anni un lavoro, forse poco visibile ma prezioso, di allargamento e rafforzamento delle istituzioni di A.V. finanziarie solidali nei diversi paesi. Con un approccio attento alle specificità locali e nazionali, ma capace di inserirle in un più ampio disegno transnazionale, come spiega il presidente Fabio Salviato, che in Sefea ha portato l’esperienza di Banca Etica e il suo modello di partecipazione dal basso.

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modello. La seconda è rappresentata da banche tradizionali a forte vocazione mutualistica e sociale, come Crédit Cooperatif in Francia, che puntano a diventare interlocutori privilegiati delle reti di economia solidale. Intendiamoci, la sensibilità sociale di Crédit Cooperatif è autentica ma rischia di mettere in ombra la novità rivoluzionaria rappresentata dalle banche etiche vere e proprie. E Sefea cosa rappresenta? Una sorta di terza via… Definiamola pure così. In Sefea convivono banche etiche doc e banche tradizionali a vocazione sociale. Gli obiettivi principali e condivisi sono la creazione e il consolidamento di una rete di dieci/quindici banche etiche nei diversi paesi europei: istituti di credito dotati di una propria autonomia operativa, in grado rispondere alle esigenze di una base sociale sempre più allargata ed eterogenea.

Presidente, il panorama della finanza etica europea è piuttosto eterogeneo, se guardiamo alle origini e all’evoluzione delle diverse istituFabio Salviato, zioni. Come si inserisce il lavoro di Sefea in presidente di Banca Popolare Etica questo contesto? Il progetto che coinvolge in Spagna Banca Etica e Fondazione Fiare è esemplare di questo approccio… È vero, siamo di fronte ad uno scenario estremamente vario e ad una pluralità di prospettive. Io ne individuo alcune. La priCerto. Non si è trattato dell’apertura di una filiale di Banca Etica nei ma è incarnata da Triodos, che esporta la finanza etica dall’Olanda Paesi Baschi, ma di un’azione di supporto e accompagnamento alla agli altri paesi europei, aprendo nuove filiali e imponendo il proprio nascita di un istituto di credito etico spagnolo. Fondazione Fiare, che

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riunisce la maggior parte delle organizzazioni del Terzo Settore basco, ha individuato in Banca Etica un modello privilegiato, perché nasce dal territorio, punta su una rete di relazioni, coagula le istanze dal basso e le traduce in un’operatività sostenibile. A ottobre Fiare ha fondato una società che, per ora, colloca alcuni prodotti di risparmio e di impiego di Banca Etica. Una volta raggiunti i volumi di raccolta, impieghi e capitale sociale sufficienti, il nuovo istituto di credito potrà operare in piena autonomia.

li. In Italia la nascita di Banca Etica ha richiesto una gestazione di diversi anni; ora, in altri paesi europei, il know-how e i capitali di Sefea possono contribuire ad accelerare enormemente analoghi processi di start-up e consolidamento. In un secondo momento, in presenza di una rete ormai sufficientemente estesa di banche nazionali, sarà necessario un organismo che funga da banca centrale, coordinando le singole politiche finanziarie. Potrà essere Sefea stessa oppure una vera e propria Banca etica europea; quando sarà il momento, vedremo.

E dopo la Spagna? In Francia Sefea sta lavorando per la trasformazione de La Nef da cooperativa di finanza solidale a vera e propria banca etica. Nei paesi scandinavi si tratta invece di rafforzare le realtà già attive, stessa operazione richiesta in Germania da GLS Gemeinschaftsbank, attraverso interventi di capitalizzazione diretta o sottoscrizioni di prestiti obbligazionari subordinati.

Nel frattempo Sefea guarda con interesse anche al sostegno di progetti di portata europea in ambiti innovativi. Ci può fare qualche esempio? I settori che ci sembrano più interessanti sono due. Da un lato quello delle energie alternative e rinnovabili; e dall’altro quello del commercio equo e del consumo critico. In questo caso compito di Sefea non è il sostegno ai produttori nei Paesi in via di sviluppo, bensì alle reti di distribuzione in Europa. Penso soprattutto alla creazione di canali e sbocchi alternativi e concorrenziali rispetto alla grande distribuzione organizzata e allo stesso tempo complementari alle Botteghe del mondo, che continuano a svolgere un lavoro prezioso ma non assicurano una capacità di penetrazione capillare sul territorio.

La costituzione di una Banca europea alternativa è il passo successivo? Direi che è il naturale punto di approdo di un percorso inevitabilmente lungo. Prima è necessario lavorare a livello di banche naziona-

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Legname

Un bel traffico per i signori della guerra di Paolo Fusi

L DIRETTORE DEL SANTUARIO NATURALE DEL MONTE AURAL, il generale Ty Sokhun, si muove nervoso sulla sua poltrona. Il militare cambogiano è un uomo d’azione e si trova a disagio ad un tavolo cui seggono rappresentanti di diverse organizzazioni internazionali – specialmente gli danno fastidio gli inviati del Fondo Monetario Internazionale, che devono decidere se la Cambogia ha diritto o no a ricevere crediti per lo sviluppo. Gli danno fastidio perché ripetono sempre le stesse cose: che la popolazione della Cambogia è alla fame, che una ristretta oligarchia nata dalla fusione degli eserciti del governo di Pnomh Penh e dei Khmer rossi guida con il pugno d’acciaio un paese allo sbando – ma solo in una direzione, quella dell’arricchimento personale degli ufficiali dell’esercito stesso. Quindi niente soldi, perché è chiaro in quali tasche finiranno. Ad un tratto sbotta: «Ma basta! Ci ripetete da anni che la corruzione è uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo… ma a chi volete darla a bere? Mi chiedo se gli scandali Enron o WorldCom, negli ultimi mesi abbia mai impedito agli Stati Uniti di arrivare alla ricchezza!» Imbarazzo, sdegno, ma anche qualche risatina complice. Per esempio da parte dei cinque generali che spartiscono i proventi di uno dei più gravi disastri ecologici del pianeta: la distruzione sistematica delle foreste dell’Indocina. Hanno nomi impossibili da ricordare: Tea Banh, Nhek Bun Chhay, Ke Kimyan, Pol Saroeun e Meas Sopheas. C’è poco da ridere. Sullo spazio di migliaia di ettari di quella che per milioni di anni è stata una foresta inestricabile, patria di migliaia di specie animali e di piante – polmone dell’intero emisfero meridionale della Il “povero” Ty Sokhun terra, c’è ora un paesaggio lunare. Terra bruciata, trucioli, gomme e vende migliaia di bidoni abbandonati, cadaveri di animali ed uomini abbandonati agli tonnellate di legno insetti, un odore che sa di ecatombe. Lontano, lontanissimo dalle nostre pregiato a 1983 società città… eppure così vicino. E già, perché il “povero” Ty Sokhun non ce italiane non direttamente l’ha con gli occidentali in generale. Anzi. Perché le migliaia di tonnellate ma grazie a pulitissimi intermediari internazionali di legno pregiato lui le fa tagliare non per gusto personale, ma per profitto: perché qualcuno gliele compra. Solo in Italia ci sono 1983 società che comprano legno proveniente dall’Indocina. Legalmente, s’intende. Noooo! Mai comprerebbero dai contrabbandieri, che noi siamo gente per bene. Loro comprano dagli intermediari internazionali. Da chi poi si riforniscono, chi se ne frega. L’importante è che la facciata sia legale. Con qualche sbavatura. Volete comprare legno intriso di sangue proveniente dalla Cambogia ed aiutare Hun Sen, Ty Sokhun ed i loro compagni di merende a programmare una serena vecchiaia? Basta digitare www.ihb.com oppure www.timber-exchange.com ed iscriversi al mercato virtuale (e segreto). Naturalmente i proprietari di queste websites non hanno colpe. Ci mancherebbe altro. Però hanno inserito una serie di misure atte a coprire l’identità degli intermediari. Mmh. Chi sono questi? Per esempio il più grande esportatore di legno delle isole Cayman, coperto dallo pseudonimo “dazzlingb”, che offre legno sottocosto ma solo via email. Oppure quello del Liechtenstein, o quelli dell’Albania, della Romania, delle isole Vanuatu! Nessun nome o numero di telefono, solo un email criptato. E 1983 società italiane, se vogliono, possono accedere al legno proibito (che è più economico di quello legale e non è vincolato alle strettissime norme dell’Unione Europea). Alla fine della riunione Ty Sokhun offre da bere al bar e scrive volentieri il suo indirizzo email ai giornalisti presenti. Con una penna di una grossa banca tedesca presente anche in Italia. L’ha rubata l’ultima volta che è andato a prelevare dal suo conto segreto a Francoforte, dice. E stavolta ridacchiano tutti. Che schifo.

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NUOVA ECOLOGIA

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Palermo vuole uscire dal buio della paura >28 Dire no al contributo significa libertà >30 Anche una filiale di banca può essere diversa >32

finanzaetica BANCA ETICA FINANZIA IMPIANTI TERMICI A BIOMASSE LEGNOSE

ABN AMRO CRITICATA DAGLI AMBIENTALISTI

NANOTECH L’EUROPA SEGNA IL PASSO

SKY CONDANNATA PER PUBBLICITÀ INGANNEVOLE

ETICA SGR CHIEDE PIÙ TRASPARENZA SUI COMPENSI DEI MANAGER DI TELECOM ITALIA

ING INVESTE IN SOCIETÀ CHE VIOLANO I DIRITTI UMANI

Un plafond di due milioni di euro per finanziare la diffusione di impianti termici a biomasse legnose di media taglia, che utilizzano combustibili rinnovabili come legna da ardere, cippato di origine agroforestale, pellet o briquettes. È questa la nuova proposta di Banca Popolare Etica, rivolta a soggetti sia pubblici che privati, singoli o associati, su tutto il territorio nazionale. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con Aiel (Associazione italiana energie agroforestali) attiva dal 2001 su iniziativa della Confederazione italiana agricoltori. Per accedere ai finanziamenti sarà necessario partecipare al bando di selezione inviando il proprio progetto entro il termine ultimo, fissato per il 18 luglio prossimo, ad Aiel. I vantaggi che il bando offre riguardano sia le procedure di finanziamento bancario, semplificate ed accelerate, che le condizioni, particolarmente favorevoli. I tassi di interesse sono agevolati e la quota finanziabile da Banca Etica può arrivare fino ad un massimo del 90%. I progetti devono riguardare impianti di piccola-media taglia e saranno valutati in base ad una serie di criteri, tra cui: la situazione economico-finanziaria del proponente, l’entità dell’investimento e il suo impatto sociale, ambientale ed economico. Questi parametri premieranno i progetti che prevedano, tra gli altri, la certificazione del combustibile, la vicinanza dell’approvvigionamento ed il coinvolgimento della popolazione locale. Le risorse a disposizione verranno destinate al finanziamento dei progetti in graduatoria, fino ad esaurimento del plafond. Ogni progetto potrà essere finanziato fino ad un massimo di 500 mila euro. La fase di analisi dei progetti prevede due momenti: la valutazione tecnica, ambientale e sociale del progetto; l’analisi del merito creditizio del proponente per verificare l’effettiva finanziabilità del progetto. Per ulteriori informazioni è possibile scaricare il bando completo dai siti web di Banca Etica (www.bancaetica.com) e di Aiel (www.aiel.cia.it).

Durante l’assemblea annuale degli azionisti, il gigante olandese Abn Amro è stato al centro delle proteste di alcune organizzazioni ambientaliste. Motivo della aspra critica è stato il finanziamento accordato dalla banca al progetto Sakhalin-II in Russia. Si tratta di una delle maggiori operazioni al mondo di sfruttamento di gas e petrolio, nella zona del mar di Ohotsk, racchiuso tra la costa orientale della Siberia, la penisola della Camchatka con l’arco delle Isole Curili e la costa settentrionale dell’isola di Hokkaido. Le associazioni – tra cui Friends of the Earth International, Sakhalin Environment Watch and Pacific Environment e Wwf - accusano il colosso bancario olandese di violare gli Equator Principles, cioè le linee guida sociali e ambientali riconosciute e sottoscritte dalla stessa Abn Amro. Capofila del progetto è la Shell, che detiene il 55% dell’impresa incaricata di realizzare il progetto, la Sakhalin Energy Investment Company Ltd, partecipata con quote di minoranza da Mitsui & Co Ltd (25%) e Mitsubishi Corp. (20%). Uno dei rischi maggiori riguarda le ultime 100 balene in via di estinzione, ma le conseguenze dell’attività di estrazione metteranno in pericolo l’intera fauna marina della zona ed anche la stessa sopravvivenza della comunità di pescatori che abita ancora quella terra.

I dati dicono che a livello mondiale aumenta la richiesta di brevetti che hanno per oggetto le nanotecnologie. Ma il Vecchio Continente sta rischiando di perdere il passo sui ritorni commerciali nelle nanotecnologie, mentre gli Stati Uniti e il Far East primeggiano per il numero di richieste di brevetto che è quasi triplicato in tutti i settori. Mentre le aziende e le università europee stanno richiedendo molti meno brevetti delle loro controparti americane e del Far East. Nella nanoelettronica, considerando che solo i primi 30 player possiedono circa la metà del numero totale di brevetti di quel settore, solo l’8% di questi sono stati richiesti da aziende europee, contro il 24% richiesto da aziende statunitensi e il 51% da aziende Giapponesi. Lo stesso scenario si ripropone per la nanoenergetica, dove l’Europa è scarsamente rappresentata. In questo settore il maggior numero di brevetti proviene dalla Germania (35), seguita dalla Gran Bretagna (18) e dalla Francia (10). Solo 28 richieste sono state estese all’Ufficio brevetti europeo. La penuria di richieste di brevetti per applicazioni nanotecnologiche in Europa è in controtendenza rispetto ai livelli da record degli investimenti nella ricerca, in particolare dai finanziamenti provenienti dai fondi pubblici, pari a 1,7 miliardi di dollari.

Sky è stata condannata a pagare una multa di 39 mila euro per pubblicità ingannevole. Il provvedimento è dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, a seguito della denuncia di Adiconsum. Oggetto del provvedimento sono i messaggi promozionali di "Sky Uefa Champions League" apparsi sui giornali e diffusi attraverso volantini nelle cassette della posta. I messaggi sono "ingannevoli" perché indurrebbero i consumatori a credere che l’abbonamento Sky sia unico ed esclusivo. Mentre non si accenna per niente al fatto che il consumatore potrebbe utilizzare altre tecnologie o soluzioni commerciali, come Fastweb, ad esempio. L’inganno è inoltre amplificato perché la scelta dell’abbonamento Sky vincola il consumatore alla piattaforma satellitare, disincentivando così soluzioni tecnologiche e contrattuali diverse. La sanzione originaria era di 29.100 euro, a cui sono stati aggiunti altri 10 mila euro perché Sky risulta già destinatario di provvedimenti per ingannevolezza adottati dall’Autorità. Il garante ha aperto un altro procedimento nei confronti di Sky, sempre su denuncia di Adiconsum, per pubblicità ingannevole per i messaggi promozionali dei Mondiali di calcio 2006, in corso sui principali giornali italiani e nei negozi di elettronica.

«Etica Sgr si astiene dalla votazione del primo punto all’ordine del giorno in quanto non ritiene che le informazioni relative ai compensi degli amministratori, contenute nel bilancio 2005, siano sufficienti per effettuare una corretta valutazione del loro operato. Etica Sgr propone a Telecom Italia di inserire nel bilancio 2006 dati più dettagliati sulla determinazione dei compensi dei manager, per continuare a tenere alto il livello di qualità e trasparenza dell’informativa societaria». Con questa dichiarazione il rappresentante di Etica Sgr, la società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Popolare Etica, chiude il proprio intervento all’assemblea di Telecom Italia. Nel 2005, infatti, il compenso variabile (bonus e altri incentivi) del direttore generale, Riccardo Ruggiero, è sceso da 5,817 milioni di euro a 4,527 milioni di euro. Il compenso variabile dell’amministratore delegato, Orazio Buora, è invece quasi raddoppiato, passando da 1,25 a 2,25 milioni di euro. ll bonus del presidente, Marco Tronchetti Provera, è quasi triplicato, passando da 1 a 2,9 milioni di euro. I compensi degli amministratori Telecom risultano in genere sensibilmente più elevati rispetto a quelli dei loro colleghi europei. Nel bilancio della società, però, non vengono spiegati in modo preciso i criteri di determinazione dei compensi variabili e dei premi straordinari destinati agli amministratori. Il bilancio riporta che la determinazione dei compensi è “subordinata al raggiungimento dell’obiettivo di Ebit consolidato a budget 2005 in presenza di delta Eva positivo”, senza riportare i valori dell’Eva (Economic value added) nel 2003, nel 2004 e nel 2005. Inoltre, nel bilancio, non sono riportate le motivazioni dei premi straordinari deliberati, dal consiglio di amministrazione di Telecom Italia spa il 7 aprile del 2005, a favore di Tronchetti Provera e di Buora. Né è riportato il dettaglio dei compensi erogati a Ruggiero a titolo di management by objectives (Mbo) e di long term incentive (Lti) e dei compensi quale premio straordinario.

Gli azionisti hanno criticato aspramente ING per gli investimenti in aziende e società che violano i diritti dell’uomo. Una recente inchiesta proverebbe, infatti, i collegamenti finanziari tra la banca e le aziende che hanno sostenuto regimi dittatoriali, deportazione della popolazione e lavoro forzato. ING Direct è la banca online più grande del mondo, con 12 milioni di clienti, ed è presente in 8 paesi. Fa parte di ING Group, uno dei più importanti gruppi bancari ed assicurativi internazionali. Le accuse sono state pubblicate in un ampio rapporto, stilato dall’ong belga Netwerk Vlaanderen, che ha fatto luce sui collegamenti finanziari di cinque gruppi bancari e aziende che violano i diritti umani. IING ha investito in 13 su quattordici di tali società, per un valore complessivo di 1,3 miliardi di dollari, di cui 600 milioni in Wal-Mart e Total. L’azienda olandese ha finanziato gli oleodotti BTC (Baku, Tbilisi, Cheyan) e Trans Thai-Malaysia, nonché il Sakhalin II gas project in Russia. Tutte queste operazioni sono al centro di aspre critiche a causa del supporto a regimi non democratici, al rischio connesso di conflitti locali, alle violazioni di diritti umani e ai danni ambientali.

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Anche Palermo cerca di uscire dal buio della paura e del ricatto

ELIGIO PAONI / CONTRASTO

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Addio Pizzo è una associazione antiracket. Oltre 100 commercianti hanno reso pubblico

il loro rifiuto di subire le estorsioni mafiose. Una vera rivoluzione per Palermo. Un messaggio di legalità chiaro e forte. Oltre settemila palermitani hanno deciso di essere solidali con i loro concittadini e così vanno a comprare nei negozi “ribelli”. Una forma di commercio critico e solidale che rende liberi. Via D’Amelio MUNÌ PICCIOTTI , A QUESTO PUNTO NON POSSIAMO NON FARLO». Così in una notte il giorno dopo di giugno del 2004 un gruppo di una trentina di giovani siciliani, in buola strage mafiosa in cui il giudice na parte universitari, ruppe gli indugi e creò a Palermo l’associazione antiPaolo Borsellino racket “Addio Pizzo”. e la sua scorta vennero assassinati. Quella notte uscirono a piedi e in bicidi Piero Bosio e Franco CIappa Palermo, 1992 cletta per tappezzare la città con adesivi listati a lutto con scritto “un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. L’azione sciolse una sorta di incantesimo, affermando quello che era ed è sotto gli occhi di tutti e che nessuno osava dire pubblicamente: la mafia taglieggia i cittadini. L’80% dei commercianti della città – secondo la procura di Palermo - paga il pizzo; la mafia intasca 10 miliardi di euro all’anno dalle estorsioni. Da allora sono passati quasi due anni durante i quali l’assonome è inventato) 43 anni, con 4 figli. È un impresario edile che ciazione “Addio Pizzo” è cresciuta raccogliendo consensi e solinel 1993 subì un estorsione dai mafiosi ; non pagò e li denunciò. darietà tanto da comunicare a maggio, con orgoglio, una lista dei «Non sono pentito di quello che ho fatto. Certo, mi è rimasta primi 106 commercianti e imprenditori che hanno deciso di opmolta rabbia dentro perché il giudice li condannò a tre anni di porsi pubblicamente al racket delle estorsioni mafiose. Una “ricarcere ma dopo poche settimane erano già in libertà». voluzione” per Palermo. Anche Enrico fa parte del gruppo dei 106. Ha 54 anni e gestisce una piccola società di formazione con tre collaboratori. «Il pizzo è una prepotenza di una minoranza verso una maggioranIl coraggio del no. za e chi lo accetta lo fa perché si sente solo. Se dovessero chiederPer essere liberi mi il pizzo risponderò che non sono interessato a pagare, e poi La pubblicazione della lista dei negozi e delle imprese è stata una farò la denuncia». denuncia e un no preventivo: «noi il pizzo non lo paghiamo e La magistratura palermitana ha accolto con soddisfazione l’inon lo pagheremo». Buona parte delle persone che si sono esponiziativa di Addio Pizzo. «Questi cittadini con il loro lavoro - ha ste hanno la loro attività a Palermo, ma non mancano quelli deldetto il procuratore Guido Lo Forte - aiutano i giudici. La società la provincia presenti a Cinisi, Partinico, Termini Imerese. Nella di oggi è molto diversa da quella del passato, ora c’è la consapelista ci sono un po’ tutti i settori: abbigliamento, edilizia, agenzie volezza della possibilità di ribellarsi alla mafia». di viaggio, alimentari, liberi professionisti. Tra loro Giacomo (il

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Un consumo critico e solidale. Contro la mafia A sostegno dei commercianti si sono schierati 7300 palermitani che hanno sottoscritto l’impegno a comprare nei negozi che hanno aderito alla campagna “Addio Pizzo”; un consumo critico e solidale «senza boicottare gli altri esercenti» ci tengono però a precisare gli organizzatori dell’iniziativa. Un passo indietro, ritornando a quella notte di giugno 2004. Cosa spinse definitivamente un gruppo di universitari a schierarsi pubblicamente contro il pizzo? «L’amor proprio e la coerenza e la determinazione di una donna come Pina Maisano Grassi, vedova di Libero Grassi, imprenditore ucciso dalla mafia perché si rifiutò di pagare il pizzo» dice uno degli organizzatori dell’Associazione. Nel documento fondativo di Addio Pizzo si legge: «Le nostre azioni sono atti di ribellione a una sottocultura mafiosa, noi agia-

mo con forme di dissociazione attiva dal quietismo che si è consolidato soprattutto intorno al problema delle estorsioni mafiose. Per questo lanceremo una guerriglia comunicativa a bassa intensità per almeno un anno». Lottare contro la mafia vuol dire fare anche una festa, coinvolgere una parte della città, rompendo il silenzio e l’isolamento. È accaduto così che il 5 maggio di quest’anno, 3000 persone si sono trovate in piazza Magione a Palermo per stare a fianco dei 106 commercianti e imprenditori che hanno detto no pubblicamente al pizzo.

Acqua, terra, cielo. Qui non c’è posto per Cosa Nostra «La cosa bella - dice Enrico Colajanni, uno dei promotori di Addio Pizzo - è che erano venuti tantissimi studenti con le loro famiglie, più di 50 scuole». Il colpo d’occhio guardando quel gior|

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no la piazza colpiva: c’erano gli stand (una trentina) dei commercianti no pizzo, striscioni, cartelli, tanti i giovani. Vennero organizzati spettacoli teatrali e tornei sportivi. Uno striscione di una scuola media attirava l’attezione: su un grande lenzuolo bianco erano disegnati la frutta, il sole, la terra, il mare, il cielo e i contorni della Sicilia. Intorno c’era la scritta “questa terra è la nostra felicità, qui in Sicilia non c’è posto per la mafia”. Capitava poi di vedere circolare tra gli stand il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, poco più in là Rita Borsellino o il deputato dell’Ulivo Giuseppe Lumia che salutava il sindaco di Palermo Diego Cammarata. Tutti erano venuti, insieme agli studenti, a portare una solidarietà attiva.

Io non ho paura. La primavera siciliana

«Sembra un sogno vedere cosi tanti giovani in piazza contro la mafia, questi giovani non sono solo il futuro ma anche il presente» disse commentando quella giornata Betta Caponnetto, vedova del giudice “padre” del pool antimafia. Nelle stesse ore a Firenze un collaboratore di giustizia, Francesco Campanella, raccontava durante il processo l’attività del clan mafioso dei Mandalà: «la linea privilegiata di Cosa Nostra è quella di fare impresa». «Se proprio non gli riesce allora si impone il pizzo. Il pizzo ha aggiunto Campanella - è diffuso ovunque perché se Cosa Nostra non riesce a fare da sé estorce denaro a aziende terze. È cosi da sempre».

Di racket ne sa qualcosa un ragazzo che si trovava in piazza Magione il giorno della mobilitazione . In un testimonianza raccolta dal “Giornale di Sicilia” raccontò di essere stato colpito quasi a morte dagli estorsori che aveva denunciato. Per mesi nessuno si era fatto vivo nel pub che gestiva per colpa del passaparola della ritorsione. In sostanza il suo era un locale segnato. Sono stati i ragazzi di “Addio Pizzo” a tirarlo fuori dalla crisi e dalla depressione. Ora quel ragazzo ha una nuova attività, non ha più paura, vende panini ed è allegro. Adesso sarà il tempo a dire se nascerà da lui, dai ragazzi di Palermo,da quelli di “Addio Pizzo”, dai cittadini che hanno alzato la testa, una nuova primavera siciliana. Loro ci credono.

Alzò la testa e gli estorsori lo ferirono quasi morte. Il suo pub venne boicottato. Ora grazie ad “Addio Pizzo” è tornato a lavorare come prima

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Dire no al “contributo” significa libertà

Dare l’Addio al Pizzo e denunciare i mafiosi

Intervista a Rita Borsellino. Dopo 14 anni passati nelle scuole a parlare di legalità, ha deciso di entrare in politica.

Intervista a Tano Grasso. Commerciante filosofo, è il fondatore della Fai, Federazione italiana associazioni antiracket.

di P. B.

Si può convivere con la paura? «Sì, si può e si deve convivere con la paura, altrimenti si rischia di diventare degli schiavi».

Molti giovani si sono schierati contro le mafie, e la criminalità. Lo stanno facendo a Palermo, come a Locri. Lei quale messagio vuole mandare alle nuove generazioni? «Il mio rapporto con i giovani è di grande affetto. Sono loro i miei primi sostenitori. In questi anni li ho incontrati, ho parlato con loro e percepito i loro disagi e insicurezze ma anche la voglia di mettersi in gioco e di farlo nella propria terra di origine. Una delle grandi “rivoluzioni” a Palermo è stata fatta proprio da ragazzi, quelli di “Addio Pizzo”, che hanno aiutato i commercianti a dire no al racket delle estorsioni. Gli studenti che mi sostengono politicamente hanno organizzato il treno Ritaexpress perché, dicono, vogliono votare per tornare. Come vede i giovani non

Cosa vuol dire oggi parlare di legalità in Sicilia? «Significa innanzitutto parlare di etica, di senso morale dei comportamenti e delle azioni. Proprio quello che è venuto a mancare in questi anni alla politica e che oggi va recuperato. Per questo ho chiesto ai partiti che mi sostengono di adottare un codice etico nella composizione delle liste elettorali. Vede, per 14 anni ho parlato di legalità nelle scuole, nelle piazze, tra la gente. Lei mi chiede cosa significhi oggi parlare di legalità: significa continuare a promuovere una cultura antimafia ma, anche, ed è per questo che ho deciso di entrare in politica, creare uno sviluppo vero, libero dal giogo mafioso. La cosa più gratificante per me è vedere oggi rinascere l’orgoglio di essere siciliani in tante persone».

GIUSEPPE GERBASI/CONTRASTO

Rita Borsellino è il primo candidato donna alla presidenza della Regione Sicilia. Corre per l’Unione

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ano Grasso, un centinaio di commercianti che si schierano pubblicamente contro il pizzo a Palermo è un fatto senza dubbio rilevante ma i problemi restano. «Sì, l’iniziativa del gruppo raccolto intorno a Addio Pizzo è una codi Piero Bosio sa seria, efficace che indica un percorso: incidere sul cuore della mafia e toccare direttamente i loro affari, il loro business. Non dobbiamo però dimenticarci che nello stesso tempo ci sono decine di migliaia di persone che continuano a pagare il pizzo. Le estorsioni oggi fruttano almeno 10 miliardi di euro all’anno ai clan mafiosi».

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La Sicilia ha voglia di riscatto, ma le difficoltà restano. Quali sono le strade per cambiare? «L’entusiasmo e la partecipazione che ho trovato nei siciliani durante le primarie nazionali è stato un forte segnale di riscatto. Il cambiamento deve avvenire necessariamente su tre punti fondamentali, gli stessi su cui si muoverà l’attività del nostro Governo: scuola, sanità e sviluppo». La Sicilia però vive il peso della mafia. Cosa si deve fare per sconfiggerla? «Pensare di sconfiggerla è utopistico ma trovare il modo di restringere il suo potere fino a confinarla in un ambito molto ristretto è possibile. Per contrastare la mafia è fondamentale togliere i siciliani dallo stato di necessità e di emergenza perenne e far diventare questa terra normale. È necessario che il lavoro non sia più un fatto clientelare o una elargizione, ma un diritto».

Per battere la mafia bisogna togliere i siciliani dallo stato di necessità

hanno bisogno di messaggi ma di punti di riferimento».

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Tano Grasso

Roma, 2002

ANTONIO SCATTOLON/A3/CONTRASTO

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ita Borsellino cosa si sentirebbe di dire a un commerciante che paga il pizzo? «Di trovare la forza di reagire, di tornare a essere libero. So che può sembrare ovvio dirlo, ma anch’io per tanti anni sono stata titolare di un esercizio pubblico, una farmacia. E anche da me all’inizio sono venuti a chiedere il “contributo”. Ho detto di no, e hanno capito con chi avevano a che fare e non ci hanno più riprovato. Nessuno meglio di me sa cosa significa temere per se stessi e per i propri familiari. Quando mio fratello Paolo istruiva il maxi processo alla mafia venne da me e mi chiese di farmi un’assicurazione sulla vita. In quel momento, per la prima volta, ebbi paura».

estorsioni oggi “Le fruttano almeno 10 miliardi di euro all’anno ai clan mafiosi

Le manifestazioni di Addio Pizzo sono un primo passo per sconfiggere, isolare la mafia, ma solo un primo passo, non crede? «Sì è vero. Ma è un passo importante che ha scatenato entusiasmo. Io ero in piazza il 5 maggio con studenti, insegnanti, commercianti durante la giornata di Free Pizzo e vi garantisco che sino a tarda sera la gente continuava a venire, a portare solidarietà e dirci andate avanti. Ma tutto questo non basta, ora bisogna fare un salto in avanti. È la cosa più difficile».

A cosa si riferisce? «Bisogna passare dal dire no, io non pago il pizzo, a de-

nunciare i mafiosi quando il pizzo te lo vengono a chiedere». Facile a dirsi, piu complicato a farsi visto che ci si espone alle ritorsioni della criminalità mafiosa. «Questo è senza dubbio vero ed è per questo che il problema diventa politico. Ovvero c’è bisogno che i partiti, le istituzioni a partire dallo Stato siano consapevoli della diffusione del fenomeno delle estorsioni, un fenomeno che ipoteca lo sviluppo di una economia sana. Se a questi ragazzi di Addio Pizzo mancano interlocutori politici seri e affidabili è la fine». Tano Grasso e lei cosa farà? «Io ho intenzione di portare a Palermo una sede distaccata della Fai (Federazione italiana associazioni antiracket ndr) per dare un supporto operativo ai commercianti che dicono no al pizzo. E sarò presente personalmente una volta alla settimana nel capoluogo siciliano». C’è qualcosa che le è rimasto impresso durante questa settimana a Palermo? «Sì, ed è la prima volta che lo racconto. Una sera abbiamo fatto una riunione con Prefetto, Questore, i vertici dei Carabinieri e della Finanza palermitani e un centinaio di cittadini, commercianti. Abbiamo discusso più di due ore, con tanti interventi su cosa fare concretamente contro la mafia. Una cosa simile non era mai avvenuta a Palermo. Ecco il dialogo, il confronto tra cittadini, istituzioni e forze dell’ordine, sapersi assumere delle responsabilità questa è una delle strade da seguire».

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Anche una filiale può essere molto diversa

Quei 120 mq a San Salvario erano un pezzo di mondo aperto dentro quattro mura di tanti colori

E chi l’ha detto che una banca debba essere austera e poco allegra? La sede di Banca Etica a San Salvario ha fatto una scelta diversa. Colori sgargianti, un intonaco di argilla e terra cruda posato su una rete di juta, lampade a basso consumo energetico. Pavimento giallo e in legno massello certificato Fsc, che consente al consumatore finale di riconoscere i prodotti fabbricati con materie prime che vengono da foreste gestite in modo corretto dal punto di vista ambientale e sociale.

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ALIA SAREBBE USCITA DI CASA MOLTO PRESTO QUELLA MATTINA malgrado risentisse ancora della stanchezza del viaggio di ritorno. Ven-

titré anni, con i suoi grandi occhi neri e la pelle color del cioccolato al latte, cominciava ad affacciarsi al mondo con estrema curiosità, anche se in realtà il quartiere in cui era nata e cresciuta le aveva dato modo di farsi già un’idea. In quei ventitré anni San Salvario era cambiato molto, diventando un quartiere eterogeneo, caratterizzato dalla compresenza di gruppi socio-etnici molto distanti fra loro per capacità economiche e orientamenti socioculturali. Questo avedi Alessia Vinci va creato una situazione instabile, polarizzata e intrinsecamente conflittuale, che corrispondeva in modo speculare alle contiguità fra le parti più prestigiose del patrimonio storico-architettonico della città e le componenti degradate e fatiscenti delle vecchie case a ballatoio. Si trattava di una situazione che poteva evolvere secondo esiti diversi nel lungo periodo, situazione che però Dalia non avrebbe cambiato per nulla al mondo. Le piaceva San Salvario, proprio per i suoi colori e i suoi contrasti. Da un isolato all’altro si passava dalla moschea al tempio Valdese, dalla parrocchia nella quale sua madre, italiana, la portava da bambina per il catechismo, al tempio ebraico, e poi gli Spazi d’Intesa del Gruppo Abele, il mercato di piazza Madama Cristina, associazioni, botteghe, artigiani… insomma di tutto. Era tornata la sera prima dall’Egitto, paese natale di suo padre, dopo averci trascorso i sei mesi seguenti la sua laurea. La cartolina gialla di una raccomandata in giacenza l’aveva trovata sul suo piccolo scrittoio. Non sapeva di cosa si trattava, ma la curiosità dei suoi pochi anni l’aveva buttata giù dal letto quella mattina. Mentre scendeva di corsa le scale di casa, con il sorriso di una giornata di primavera, cercava di immaginarsi il contenuto di quella lettera… l’Università, la risposta a una delle tante richieste di lavoro… chissà. A grandi passi tra i colori delle bancarelle del mercato, si avvicinava all’ufficio postale. Era sempre stato lì, in via S. Pio V, proprio dietro al tempio Valdese, vicino alla libreria. Ma come cercò di aprire la porta a vetri, s’accorse di qualcosa di diverso. Innanzitutto non si apriva, ma l’attesa durò poco, fino al rumore sordo del comando elettrico. Il lungo bancone con il vetro blindato non c’era più e un grande spazio si apriva davanti a lei. Entrò timidamente, forse solo per l’improbabile timore di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato. In quel momento, un sorriso chiaro e fresco come il suo, l’accolse. Mentre domandava del destino dell’ufficio postale i suoi grandi occhi curiosi cominciavano a squadrare quello spazio, tutto nuovo per lei. Dalia scoprì che l’ufficio postale si era trasferito, bastava girare a sinistra in via Principe Amedeo, ma qualcosa la tratteneva lì. Notando il suo stupore la persona che l’aveva accolta incominciò a parlarle di quello spazio, delle sue funzioni e dei principi che avevano guidato la sua ristrutturazione e il suo allestimento. Era una banca ma non sembrava proprio una banca. I progettisti avevano ritenuto che quello spazio poteva tranquillamente diventare un laboratorio dimostrativo del plausibile, del “possibile”, di quelle tecniche o piccoli I lavori sono stati effettuati dalla Coop. accorgimenti volti al risparmio energetico, all’uso di materiali bioSociale La Porta di Courgnè (opere edili), Coop. Sociale Piero & Gianni di Torino (arredi). compatibili, alla riduzione dei rifiuti. Progetto e direzione lavori sono Innanzitutto quel muro curvo proprio davanti all’ingresso. Aveva di Francesca Grilli e Enzo Gargano.

Anche una banca può mostrare il suo volto bio-compatibile

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il colore della terra, della capanna nella quale suo padre era nato e cresciuto. Dalia lo toccava. Al tatto era ruvido, s’intravvedevano piccoli pezzetti di paglia. Era un intonaco di argilla, di terra cruda posato su una rete di juta ed era il rivestimento di una parete radiante. I progettisti avevano lasciato a vista la stratigrafia del muro evidenziando il marchio stilizzato della banca. Sul mattone, un normale mattone forato, quello che normalmente si usa per costruire i tramezzi all’interno degli appartamenti, era posato un tubo di rame collegato all’impianto centralizzato del riscaldamento del condominio raccogliendo l’acqua di ritorno dei termosifoni prima della sua rimmissione in caldaia. L’intonaco di argilla è stato scelto dai progettisti per due motivi. In primo luogo perché possiede lo stesso coefficiente di dilatazione del rame e in secondo luogo per il suo potere di assorbire l’umidità in eccesso presente nell’aria e di rilasciarla in caso di necessità.

La certificazione che salva le foreste Sempre da un punto di vista impiantistico, Dalia notava sul soffitto dei lunghi tubi di acciaio inox. Per soddisfare i dettami delle leggi, bisognava assicurare un certo numero di ricambi di aria. La macchina preposta a questa funzione era di nuova concezione ed era in grado di recuperare più del 90 % del calore presente nell’aria in uscita. Dalia continuava a guardarsi in giro e sempre al soffitto notava l’illuminazione. Era caratterizzata da luci al neon e soprattutto da lampade a basso consumo. Aveva anche notato dei piccoli faretti vicino alla fotocopiatrice: si trattava di faretti a Led (Light Emitting Diode, cioè dio-

do a emissione luminosa) che a parità di luce emessa consumano fino all’80 % in meno e durano circa 10 volte di una normale lampada ad incandescenza. E poi vicino ai bagni, in compagnia di un frigorifero classe A e di una macchinetta del caffè del commercio equo e solidale, c’era un piccolo rubinetto. Per evitare di comprare la costosa e poco controllata acqua minerale in bottiglia, si era deciso di utilizzare un filtro a struttura composita che elimina gli effetti collaterali della clorazione e della distribuzione lungo le tubature dell’acqua potabile, dimostrando una efficacia depurativa per il cloro attivo e anche nei confronti di prodotti chimici quali fenoli, clorofenoli, ammine, che possono essere presenti, a bassissime concentrazioni, in acque potabili distribuite dalle reti urbane. Dalia sgranava i suoi occhioni curiosi, guardava colori, quel giallo carico e quel blu, i colori della banca e toccava superfici. Era nel retro, nell’ufficio del direttore. C’era quel muro arancione che non era liscio come gli altri. Le dissero che era un intonaco a base di calce e che per denunciarlo come diverso dagli altri era stato rifinito in questo modo. Qui era stato usato meno cemento possibile. Già, Dalia ricordava di aver letto da qualche parte, forse a proposito del protocollo di Kyoto che un chilo di cemento produce un chilo di CO2 emessa in atmosfera. Camminava su un pavimento di legno massello certificato Fsc ( Forest Stewardship Council) significa “Consiglio per la gestione forestale sostenibile” ed è un’organizzazione internazionale indipendente e senza fini di lucro fondata da un gruppo di associazioni ambientaliste tra cui Greenpeace, rappresentanze di popoli indigeni, organizzazioni per la cooperazione allo sviluppo, produttori forestali, lavoratori, industrie del legno, scienziati e tecnici forestali per creare un’alternativa alla distruzione delle foreste: la certificazione. Il Fsc è un sistema di certificazione che consente al consumatore finale di riconoscere i prodotti fabbricati con materie prime che vengono da foreste gestite in modo corretto, dal punto di vista ambientale e sociale. Nel resto della banca il pavimento era giallo. Si trattava di linoleum, prodotto trattando opportunamente il sughero, l’olio di lino e coloranti naturali su un supporto di tela di juta. Dalia passeggiava rapita e dimentica della sua raccomandata . Fortunatamente quasi, anche perché non poteva pensare di trascorrere la sua giornata lì dentro. Uscì e s’incamminò verso l’ufficio postale convinta che sicuramente ci sarebbe tornata presto e che quei 120 mq a San Salvario erano un altro pezzo di mondo, un pezzo di mondo “aperto“ dentro quattro mura di tanti colori.

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Pfizer

a cura di Francesca Paola Rampinelli e Elisabetta Tramonto

osservatorio

Bimbi nigeriani utilizzati come cavie A REALTÀ VA BEN OLTRE LA FICTION CINEMATOGRAFICA de Il Giardiniere tenace. Secondo un rapporto medico, completato cinque anni fa ma da allora rimasto segreto, nel 1996 un centinaio di bambini nigeriani fu sottoposto dalla società farmaceutica Pfizer a una sperimentazione medica non autorizzata. Nel rapporto - scoperto dalla testata statunitense Washington Post e rilanciato dal Daily Champion, uno dei quotidiani più letti della Nigeria - la commissione medica che lo ha redatto afferma che la Pfizer selezionò nell’ospedale di Kano 100 bambini somministrando loro il Trovan, un medicinale contro la meningite non ancora approvato dalle autorità farmaceutiche americane. Nel 1997, infatti gli Usa approvarono l’utilizzo del medicinale sugli adulti (sottoponendolo comunque due anni più tardi a forti restrizioni) ma non concessero mai i permessi per l’infanzia. La stessa medicina non è approvata dall’Unione Europea. Non è chiaro se i piccoli scelti fossero davvero affetti da meningite, ma cinque di quelli che presero il farmaco morirono, altri svilupparono l’artrite o ebbero danni celebrali; anche altri sei bambini cui era stato dato un placebo di controllo persero la vita. Non fu possibile stabilire se la morte dei bambini o l’insorgenza di altre malattie fossero in correlazione con l’esperimento. Secondo la commissione medica Solo un’inchiesta giornalistica nigeriana non ci sono prove che le famiglie furono adeguatamente informate dei rischi della ha fatto emergere una storia sperimentazione; inoltre il certificato del comitato a dir poco sconvolgente etico della Nigeria, in cui si approvava l’operazione, che supera la fiction risultò essere stato falsificato dal capo dei ricercatori del “Giardiniere tenace” della Pfizer a Kano. Nel rapporto stilato all’epoca dei fatti dalla commissione medica nigeriana incaricata si affermò che l’esperimento era “un test illegale di una medicina non registrata”, in contravvenzione alla Dichiarazione internazionale di Helsinky e alla Dichiarazione Onu dei diritti dell’infanzia, e un «chiaro caso di sfruttamento dell’ignoranza della gente». Il panel di medici suggerì alle autorità di «sanzionare adeguatamente» la compagnia farmaceutica, di chiedere risarcimenti e di pretendere le scuse ufficiali al governo e alla popolazione nigeriana ma anche di prendere misure affinché simili episodi non si ripetessero. Nulla di ciò venne fatto e il rapporto non è stato mai reso pubblico, prima dell’inchiesta giornalistica. A novembre - ricorda il Washigthon Post - una corte federale statunitense aveva respinto l’incriminazione nei confronti della Pfitzer, azienda con quartier generale a New York, per non aver informato le famiglie nigeriane del rischi del Trovan mentre era ancora in attesa dell’approvazione della U.S. Food and Drug Administration; nella sentenza si afferma che le autorità competenti sul caso sono quelle nigeriane. In un comunicato della società farmaceutica, citato dal Daily Champion, la compagnia continua a sostenere che le autorità nigeriane erano al corrente dei fatti e respinge le accuse di comportamento non etico.

L

ANGELO TURETTA / CONTRASTO

di Andrea Di Stefano

nuove povertà

La fabbrica di ceramiche Ideal Standard.

matera Brescia, 2002

Il disagio non esce dalle case, ma funzionano un senso del vicinato ancora presente e una rete di volontariato molto attiva.

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Matera, un’anima fragile dietro il volto rassicurante di Elisabetta Tramonto L CARRO, BELLISSIMO, COLORATO, SFILA PER LE VIE DELLA CITTÀ. La gente è tutta per strada. È

I

il 2 luglio, la festa della Madonna della Bruna, una ricorrenza molto sentita a Mate-

ra. La città è in fermento, per l’occasione è vestita a nuovo. Addobbi, luci, fuochi d’artificio. Oggi non si bada a spese. Solo oggi però. Il resto dell’anno la situazione è diversa. Passeggiando per le vie della città in festa chi immaginerebbe di trovarsi in una delle regioni più povere d’Italia? Nella classifica stilata dall’Istat sulla povertà in Italia, riferita al 2004, la Basilicata si colloca al secondo posto dopo la Sicilia. Il 28,5% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà (valutata dall’Istat in 919 euro al mese nel 2004 per una famiglia di due persone), più di una persona su quattro (nel Lazio la percentuale scende all’8,8%, in Toscana al 5,1%, in Lombardia al 3,7%). Una povertà fatta di disoccupazione, di un reddito insufficiente, di una casa troppo piccola per una famiglia.

ELISABETTA TRAMONTO

Il carro della festa della Madonna della Bruna, ricorrenza molto sentita a Matera

La Basilicata si colloca al secondo posto dopo la Sicilia nella classifica delle regioni italiane più povere | 36 | valori |

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Matera manifesta tutti questi sintomi. Lo conferma il Rapporto sulle povertà redatto dalla Caritas diocesana. Un lavoro, un reddito più elevato e una casa. Questi i bisogni insoddisfatti che rendono difficile la vita per una fetta consistente degli abitanti di Matera. «E negli ultimi anni la situazione è peggiorata, per colpa della crisi economica e occupazionale che sta attraversando la provincia», spiega Pietro Petrillo, direttore della Caritas diocesana, «le famiglie che avevano un reddito basso ma non ancora al di sotto della soglia di povertà, sono passate al di là». Oggi un materano guadagna in media 11.235 euro all’anno. È il reddito pro-capite nella provincia di Matera rilevato da Unioncamere, decisamente più basso della media nazionale: 15.541 euro. Sempre che un reddito ci sia. Con un tasso di disoccupazione che a Matera tocca il 12%, sono in molti a non vedere alcuna busta paga a fine mese. Solo nell’ultimo anno (dal 2004 al 2005) 2.200 persone hanno perso il lavoro nella provincia di Matera, una cifra rilevante su una popolazione di 55 mila abitanti. In queste condizioni anche fare da comparsa in un film girato tra i Sassi diventa un lavoro ambito (vedi BOX ). Le richieste di denaro sono le più fre-

ACCOGLIENZA A MISURA D’UOMO «ALTRO CHE CENTRI DI PERMANENZA TEMPORANEA. Per accogliere i migranti servono soluzioni a misura d’uomo che permettano di vivere la normalità della vita quotidiana, di favorire le relazioni umane, di essere inseriti nel tessuto sociale». Questa è accoglienza secondo suor Lucia, una giovane suora tutto-fare con un’energia contagiosa. Tra le sue mille attività si occupa dei progetti della Caritas di Matera legati ai migranti. Sono molte le associazioni di volontariato in città che si occupano di accoglienza dei migranti, di inserimento nel mondo di lavoro, di favorire la loro integrazione nel tessuto sociale. La Caritas diocesana si è specializzata in una particolare categoria di immigrati: i rifugiati e richiedenti asilo politico. «Tutto è nato per caso, o meglio per la necessità di rispondere a un’emergenza», racconta suor Lucia, «nel gennaio 2004, in pieno inverno quindi, ci è stata segnalata la presenza a Metaponto di un gruppo di 37 uomini, sudanesi ed eritrei, tutti richiedenti asilo politico. Erano in un ex magazzino ortofrutticolo dimesso, senza acqua né luce, con pezzi di amianto sul tetto, a patire il freddo e la fame. Con loro è iniziato il nostro progetto di accoglienza». Cinque appartamenti a Matera , uno a Montescaglioso e una casa cantoniera a Pisticci data in comodato d’uso dalla Provincia, che possono ospitare in tutto 40 persone. «Non assiepati e prigionieri in un centro Suor Lucia, di permanenza temporanea o in un centro si occupa di identificazione, come vengono chiamate le strutture di migranti previste dallo stato per i rifugiati. Vivendo in normali appartamenti, gli immigrati possono entrare in contatto con la comunità e la comunità può entrare in contatto con loro, a piccole dosi, in modo da permettere un’integrazione morbida», spiega suor Lucia. Il questo momento sono 30 gli immigrati ospitati negli appartamenti Caritas, tutti sudanesi ed eritrei tra i 23 e i 30 anni. Due hanno già trovato un lavoro e, quando saranno in grado di pagare un affitto lasceranno il posto a qualcun altro. Fino a pochi anni fa la Basilicata era solo un luogo di transito per chi era diretto nel Nord-Italia o nel Nord-Europa. Negli ultimi anni invece il fenomeno si sta allargando. Secondo l’ultimo rapporto Caritas-Migrantes, nel 2004 in Basilicata vivevano 7.100 immigrati, in netto aumento rispetto ai 5.780 del 2003 e ai 3.470 del 2002. A Matera sono 3.400. Cifre esigue rispetto ai 652 mila migranti della Lombardia o ai 390 mila del Lazio, ma che iniziano ad avere un peso sulla vita della città, soprattutto considerando che Matera ha solo 55 mila abitanti.

quenti nei centri di ascolto della Caritas. «Ci sono famiglie che non hanno proprio di che vivere, altre che non riescono a pagare l’affitto o le bollette», racconta Petrillo. La casa è tra le prime emergenze. «Con il boom del mercato edilizio a Matera, è assurdo che ci siano problemi abitativi», continua il direttore della Caritas, «ma i prezzi sono diventati irraggiungibili, sia per gli affitti sia per acquistare». Emerge uno scenario drammatico della vita a Matera, dai numeri e dalle testimonianze di chi con la povertà si rapporta ogni giorno. Eppure a prima vista non si direbbe. Passeggiando per le vie della città, tranquille ma vivaci, l’impressione che si trae è completamente diversa.

ELISABETTA TRAMONTO

matera

La stazione della Ferrovia Apulo Lucana che da Bari collega Matera e i comuni della Basilicata. Nonostante sia presente nella pubblicità a Matera non arrivano le Fs.

Dietro la facciata Matera è bravissima a nascondere il suo lato oscuro, quello fatto di povertà e miseria, e a mostrare un’immagine di sé rassicurante. Girandola in lungo e in largo non si incontrano baracche, quartieri malfamati o case che cadono a pezzi. Certo, ci sono zone più o meno eleganti, quartieri popolari ma comunque dignitosi, soprattutto se paragonati con altre città italiane. Non si vedono persone che chiedono l’elemosina e, agli angoli delle strade, non ci sono clochard che dormono per terra. «Il senso del vicinato è ancora forte», racconta suor Maria Vittoria, pilastro della Caritas diocesana, «spesso sono gli amici o i vicini di casa a intervenire in aiuto di chi è in difficoltà». «Le associazioni di volontariato, poi, sono molto attive», precisa l’assessore alle politiche sociali Rosa Rivelli (vedi INTERVISTA ). Matera ha tutto l’aspetto di una cittadina serena, tranquilla, sicura. E, in un certo senso lo è. «A Matera la criminalità è un fenomeno limitato, sotto Suor Maria Vittoria, della Caritas diocesana controllo», dicono fonti investigative, «piccoli furti ma niente di più. La gente vive ancora con le porte aperte, le case non hanno sistemi di allarme. Ci si sente sicuri a camminare per strada». E la criminalità organizzata? Siamo proprio all’incrocio tra la camorra campana e la sacra corona unita pugliese. «La Basilicata oggi è esente da fenomeni malavitosi», è la sentenza delle forze dell’ordine, «negli anni 90 gruppi criminali provenienti dalla Puglia hanno cercato di espandersi in Basilicata, ma sono durati poco». In apparenza Matera è così, una cittadina tranquilla e pacifica. Se si guarda un po’ più a fondo però si scopre il suo lato oscuro. «Il disagio profondo non sfocia nella criminalità, ma si consuma nell’intimità delle case», spiega Rosa Rivelli, «è un disagio che spezza gli equilibri di una famiglia, che provoca separazioni, violenza, ricorso a droghe e alcol». «L’alcolismo è un fenomeno |

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in aumento nella provincia di Matera», spiega Natale Pepe, sociologo del Sert della città. «Un fenomeno che coinvolge gli adulti, ma purtroppo anche i ragazzi. Dagli insegnanti ci arrivano segnalazioni di abuso di alcol tra gli studenti. In molti la mattina, lungo il tragitto verso la scuola, entrano in un supermercato e

UNO A UNO CONTRO L’USURA comprano una bottiglia birra o wodka alla frutta che bevono prima di entrare in classe», conclude Pepe. E tra le mura domestiche nasce anche un’altra piaga che si insinua nei sotterranei della vita di Matera: l’usura. «È un fenomeno radicato, anche se ufficialmente inesistente», spiegano fonti investigative, «l’anno scorso abbiamo avuto solo due denunce per usura, che non significa che il problema non esista, solo che la gente non ha il coraggio di denunciarlo». Padre Basilio Gavazzini conosce bene questo fanta-

sma, lo combatte da vent’anni (vedi BOX ). È il fondatore della fondazione lucana antiusura “Monsignor Vincenzo Cavalla”. «L’usura non è esercitata in forma organizzata. È un metodo per approfittare di uno stato di bisogno», precisano le autorità. E padre Basilio lo conferma: «a Matera l’usura è una pratica artigianale, ma è fatta bene. Così è anche più difficile da debellare. È una piaga multiforme, mobilissima e carsica. In queste terre trova un terreno fertile in cui nascondersi».

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Lasciata a sé stessa La città cura da sola le sue ferite La povertà si insinua tra i Sassi di Matera. La gente la nasconde, il volontariato si rimbocca le maniche, le istituzioni hanno le mani legate. Parola dell’assessore alle politiche sociali Rosa Rivelli.

«M di E.T.

ANCA UNA POLITICA SOCIALE che riesca a rispondere al profon-

do disagio delle famiglie». Strano sentire parole simili uscire dalla bocca di chi, queste politiche sociali, dovrebbe realizzarle. A pronunciarle infatti è Rosa Rivelli, dal 2004 assessore alle politiche sociali della Provincia di Matera. Nessuna rassegnazione nella sua voce, solo uno sguardo lucido e consapevole sullo stato di salute della città, dove la povertà è molto diffusa, anche se ben nascosta. Un mea culpa, quello dell’assessore che, però, non deve trarre in inganno. In questi due anni non è certo rimasta con le mani in mano, scontrandosi purtroppo con una serie di ostacoli difficili da sormontare: la mancanza di risorse economiche, l’isolamento della città, la crisi economica. Ma la Rivelli non sembra avere nessuna intenzione di arrendersi. Le maniche della felpa sono già rimboccate, pronta a partire.

Manca una politica sociale che riesca a compensare le condizioni di disagio

L’assessore alle politiche sociali Rosa Rivelli

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La povertà è un problema grave per Matera? «Purtroppo sì. A Matera c’è una presenza massiccia di povertà e di nuove povertà. Un problema legato alla mancanza di lavoro, ma anche a una complessiva precarietà nel mondo del lavoro. Rispetto a qualche anno fa si è modificato il livello di povertà e il profilo dei poveri».

In che modo è cambiata? Chi sono i nuovi poveri? «Il disoccupato è il povero tradizionale, e a Matera ce ne sono molti. Ma oggi i poveri sono anche i pensionati, che con l’aumento vertiginoso del costo della vita non riescono più ad arrivare a fine mese, e i lavoratori dipendenti che perdono il lavoro o che passano da un lavoro precario a un altro. Prendiamo, per esempio, un lavoratore che guadagna 1.200 euro al mese, un ottimo stipendio a Matera, un operaio nei salottifici può anche prendere 700 euro al mese. Come può sopravvivere con un mutuo da pagare, una famiglia da mantenere e, magari, anche un figlio che studia all’università a Bologna o anche solo a Bari»?

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Matera però non porta segni evidenti di povertà, non ci sono baraccopoli, persone che dormono per strada o che chiedono l’elemosina… «È vero, a Matera la povertà non si vede, almeno non a prima vista. Da un lato questo è positivo perché evidenzia il forte senso di vicinato e di solidarietà ancora vivo in città. Siamo in pochi (circa dieci mila), anche oggi se qualcuno è in difficoltà ci si aiuta a vicenda. L’amico, il vicino di casa, l’associazione di volontariato, c’è sempre qualcuno disposto a darti una mano. D’altro canto però questa povertà invisibile non è affatto un segnale positivo. Le persone vivono con più vergogna e umiliazione e cercano di nascondere la loro condizione di povertà. Però poi i drammi si consumano nelle famiglie, con indebitamenti consistenti e separazioni. Una condizione in cui l’usura dilaga, soprattutto nel metapontino a causa della crisi delle aziende agricole. Si stanno poi aggravando problemi correlati alla povertà, come la dipendenza da droga o alcol. L’alcolismo è sempre più diffuso e la tossicodipendenza che oggi si vede di meno, in realtà è anche più consistente di dieci anni fa». Come state rispondendo a questi problemi: povertà, disoccupazione, disagio sociale? «Manca una politica sociale che riesca a compensare in maniera significativa le condizioni di disagio delle famiglie. Ad esempio manca una strutturazione ordinata dell’assistenza domiciliare per gli anziani. Una voce che incide più di quanto si immagini sul bilancio delle famiglie. Sempre più spesso si ricorre all’aiuto, a pagamento, di qualcuno, di solito una badante. Considerato l’aumento della popolazione anziana, sono molte le famiglie che affrontano questo problema. Ma quando parlo di politiche sociali insufficienti mi riferisco a una serie di misure che possano sostenere la famiglia: come i servizi per disabili o gli asili nido. In alcune zone una donna che lavora non sa dove lasciare i propri figli. Gli asili sono pochi e spesso l’unica possibilità è rivolgersi alle strutture private che però costano molto».

Strano sentire queste parole proprio dal rappresentante di un’istituzione incaricata di provvedere a quelle politiche sociali di cui parla, perché non le avete realizzate? «Dalle scelte effettuate a livello nazionale dipendono a cascata quelle di Regioni, Province e Comuni. Se nella finanziaria non vengono attribuite risorse per le politiche sociali, gli enti si ritrovano a mani vuote. La provincia di Matera ha una condizione finanziaria sana, ma la finanziaria e il patto di stabilità impongono di tagliare proprio le spese che influiscono sulla qualità della vita delle persone. I tagli riguardano cultura, sport e politiche sociali. Il mio assessorato (politiche sociali, cultura e sport, ndr) è stato travolto». Quindi come riesce Matera a rispondere a queste esigenze a cui gli enti pubblici non provvedono? «Gran parte delle attività vengono svolte in maniera qualificata dalle associazioni di volontariato. È una sconfitta che si debba affidare tutto e solo al volontariato. Dovrebbe certamente svolgere un ruolo centrale, ma un ruolo di raccordo, di sostengo di coordinamento, non può mancare l’intervento pubblico». Che cosa offre Matera ai giovani? Che cosa dovrebbe indurli a rimanere? «È un tema molto delicato, soprattutto per me. Ho un figlio di 17 anni che non vede l’ora di andarsene. E la maggior parte dei ragazzi, quando arrivano all’età dell’università, se ne vanno. A Matera manca un’intera generazione, quella dai venti ai trent’anni, molti poi non ritornano neanche una volta finiti gli studi. Matera è una città vivace, ma manca un coordinamento tra i diversi ambiti. Bisognerebbe rafforzare l’università, creare spazi di gratuità per i ragazzi, luoghi di aggregazione. Se non riusciamo a creare condizioni affinché i ragazzi possano crescere e trovare qui quanto serve loro, sarà Matera a pagarne le conseguenze».

Padre Basilio Gavazzini, punto di riferimento della Fondazione Lucana antiusura intitolata a Monsignor Vincenzo Cavalla

LA STORIA DELL’ANTIUSURA A MATERA inizia ufficialmente con un’esplosione. Un chilo di tritolo davanti alla chiesa di Sant’Agnese. Un modo caloroso per ringraziare chi da anni lottava contro gli strozzini. Padre Basilio è un prete combattente, spero mi passi il termine. 61 anni, occhi azzurri, jeans e una voce roca, vissuta, che conserva ancora l’accento bergamasco, sua terra natia, nonostante viva a Matera da quasi trent’anni. Arrivò nel 1978 e dal 1985 iniziò la sua battaglia contro l’usura. Una battaglia mai vinta, che continua ancora oggi. Nel 1994 nacque ufficialmente la Fondazione Lucana antiusura “Monsignor Vincenzo Cavalla”. Lo stesso anno della bomba davanti alla chiesa. A piazzarla, o meglio a commissionarla, fu Pier Donato Zito, la primula rossa della mafia di Montescaglioso. Lo si scoprì solo molti anni dopo. «Oggi non c’è più malavita organizzata nel materano, ma all’epoca sì. A Montescaglioso c’erano ben 90 latitanti», spiega padre Basilio. Evidentemente il suo lavoro contro l’usura dava molto fastidio. La bomba non fu l’unico, né il più forte, tra i colpi che padre Basilio dovette incassare. Quattro anni più tardi, nel 1998, arrivò la vera doccia fredda: un avviso di garanzia. Destinatario: proprio lui, padre Basilio Gavazzini. L’accusa: malversazione. Se si apre il codice penale, articolo 316 bis, si legge: “chiunque [...] avendo ottenuto dallo Stato [...] sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire [...] attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità [...]”. Insomma, il padre dell’antiusura in Basilicata era accusato di usare in modi “non consoni” i fondi pubblici destinati alla prevenzione dell’usura, in pratica di intascarsi i soldi. Grazie alla legge antiusura, infatti, le fondazioni (tra associazioni e fondazioni, in Italia esistono 78 organismi contro l’usura), ricevono dallo Stato fondi, che usano per garantire i prestiti concessi dalle banche a chi è a rischio usura. Sono i cosiddetti “soggetti non bancabili”, cioè persone a cui una banca non concederebbe mai un prestito. Prede ideali per gli usurai. Scopo della fondazione antiusura è proprio intervenire prima che si rivolgano a uno strozzino. «Chi è già vittima dell’usura non può rivolgersi alla fondazione. Dovrà seguire un iter diverso, passando necessariamente per la denuncia», spiega padre Basilio. Per attribuire i fondi esistono dei criteri, anche se piuttosto vaghi. «I requisiti sono quattro», elenca padre Basilio, «la difficoltà di accesso al credito (devono essere soggetti non bancabili), la seria ragione dell’indebitamento (devono avere un buon motivo per richiedere il prestito), la capacità del rimborso (il reddito deve essere sufficiente) e l’effettiva possibilità di sottrarre la persona al prestito usuraio (il prestito non deve finire nelle mani degli usurai)». Dopo sei anni di processo il giudice ha stabilito che padre Basilio, questi criteri li rispettava e i fondi finivano effettivamente a chi ne aveva bisogno. Nel 2004 arrivò l’assoluzione “perché il fatto non sussite”. Sei anni buttati al vento, perché la fondazione di fatto è stata azzoppata: per due anni il suo patrimonio è stato bloccato e i fondi pubblici sono sospesi ancora oggi. L’attività è ripresa, ma a ritmo ridotto. Nel 2005 la fondazione ha garantito 64 prestiti, per un finanziamento di 685 mila euro. «Ma avremmo potuto fare molto di più». Evidentemente era questo l’obiettivo di chi ha denunciato padre Basilio, paralizzarlo. Ma chi è stato? Ancora non si sa. «Secondo me non è un attacco nello stile della malavita, oppure di un tipo di malavita diversa. Com’è possibile essere arrivati dalla denuncia al processo? Perché la procura ha preso sul serio la denuncia contro di me? Ti viene il sospetto che ci siano altre committenze». Padre Basilio non sa rispondere a queste domande, però sa chi sono gli usurai di Matera. «Alcuni li incontravo quando andavo in tribunale e sono ancora liberi». Questo è il secondo, grave, risultato che ha ottenuto chi ha denunciato padre Basilio: infondergli una totale sfiducia nella giustizia italiana. Ormai, dopo anni di battaglia, padre Basilio la conosce bene, l’usura. La descrive come fosse una creatura mitologica e pericolosa.

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Una fase declinante con export in forte calo (-15%) e 2000 posti di lavoro persi in un solo anno NATALITÀ E MORTALITÀ AZIENDALE 8

NATALITÀ MORTALITÀ 7

6

5

1999

2000

2001

2002

2003

2004

MENO MALE CHE C’È SASSIWOOD…

MATERA PRECIPITA SUL DIVANO: I CUSCINI NON ATTUTISCONO IL COLPO

«FORSE AVRÒ UNA PARTE IN NATIVITY». Mentre pronuncia questa frase, a Bernadette brillano gli occhi. Gireranno il film tra i Sassi di Matera e in questi giorni, a metà aprile, è in corso il casting. Bernadette lavora nella bottega del commercio equo della città lucana. Ad entusiasmarla non è la speranza di diventare una star. Di sicuro la possibilità di visitare il Marocco, dove verrà girata una parte del film. Ma, a farla sorridere, me lo confida lei stessa, è soprattutto l’opportunità di ottenere un lavoro, uno stipendio. «In questo periodo è grigia a Matera. Non si trova lavoro e anche una piccola parte in un film, è sempre qualcosa», racconta Bernadette, «dovevi vedere che fila il giorno del casting, cercavano 2000 comparse. Non eravamo solo ragazzi, c’erano persone di tutte le età». Ogni tanto qualche troupe invade la città, attratta dalla bellezza dei Sassi. I materani sono abituati a telecamere, microfoni e ciak, che diventano l’occasione per ottenere un lavoretto. Anche se piccolo è sempre qualcosa. Nativity, della regista americana Catherine Hardwicke, è solo l’ultimo di una lunga serie di film girati a Matera. Il più celebre (foto a fianco) è “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini (1964), prima ancora “La lupa” di Alberto Lattuada (1953), “Gli anni ruggenti” (1962) con Nino Manfredi e Gino Cervi, “I Basilischi” di Lina Wertmuller (1963), “C’era una volta” con Sofia Loren (1967), “King David” con Richard Gere (1985) e, più recentemente, “L’uomo delle stelle” di Giuseppe Tornatore con Sergio Castellitto (1995) e il contestato “The Passion” di Mel Gibson girato nel 2002. Solo per citare i più famosi.

«QUANDO SI VIVEVA NEI SASSI non esisteva il soggiorno nelle case, c’era il vicinato, gli spazi di incontro all’aperto. Negli anni ’60, poi, quando i Sassi si svuotarono e la gente andò a vivere negli appartamenti, con i televisori a gettone, nacque l’esigenza di un salotto». Così Saverio Calìa, figlio del fondatore dell’omonima impresa materana di arredamento imbottito, descrive la nascita del polo del salotto di Matera, fino a pochi anni fa fiore all’occhiello dell’economia locale. Tra gli anni ’60 e gli anni ’90, infatti, nella murgia tra Matera, Santeramo e Altamura, a cavallo tra Basilicata e Puglia, si sviluppa un vero distretto industriale. Tre nomi principali, Natuzzi innanzitutto, noto per il marchio Divai&Divani, Calìa e Nicoletti, intorno ai quali ruota una miriade di piccole imprese e singoli artigiani, circa 500, che formano l’indotto e forniscono tutto il necessario per la produzione di un divano, dal legno ai tessuti, dal ferro alla componente chimica. Passo dopo passo il salotto di Matera scala il mercato internazionale, Stati Uniti in testa, attirando anche capitali stranieri. Chateaux d’Ax, per esempio, apre uno stabilimento a Matera. Fino alla fine degli anni ’90 il polo del salotto dava lavoro a 14 mila lavoratori. «Essere assunti in un salottificio significava vincere alla lotteria, era considerato alla stregua di un posto statale, tanto era solido il settore», racconta Margherita Dell’Otto, sindacalista della Cisl di Matera. «Oggi la situazione è molto diversa», continua la Dell’Otto, «negli ultimi due anni sono andati persi 3 mila posti di lavoro e le aziende più piccole sono state costrette

a chiudere». In picchiata le esportazioni (-23,9% tra 2004 e 2005), soprattutto verso gli Stati Uniti. Peccato che fosse il mercato principale per le aziende materane. «Il 90% dei nostri affari erano rivolti al mercato estero e oggi l’export è calato almeno del 30%, soprattutto verso Stati Uniti e Gran Bretagna», racconta Saverio Calìa. «Quella del salotto è una produzione tecnicamente semplice, che, almeno finora, si è collocata nella Saverio Calìa fascia medio-bassa del mercato», spiega Franco Bitetti, del Centro Studi Unioncamere Basilicata, «la più è penalizzata di fronte a alla concorrenza del sud est asiatico. Non è possibile per una piccola impresa italiana competere con i prezzi cinesi». Come se non bastasse, ci si è messo anche l’euro, sempre più forte rispetto al dollaro, che ha penalizzato così le esportazioni italiane. «Anche gli imprenditori però hanno le loro colpe», avanza Margherita Dell’Otto, «mentre le cose andavano bene, hanno sperperato e non hanno saputo pensare al futuro». E adesso? «Stiamo puntando sulla qualità e l’innovazione, rivolgendoci a target di clientela diversi, anche di fascia alta», conclude Saverio Calìa. A questo si aggiunge il taglio del personale e la delocalizzazione. Calìa per esempio ha aperto uno stabilimento in Cina.

2005

Economia scoraggiata e con poca voglia di rischiare il bue del capoluogo lucano fatica a rialzarsi Un momento grigio per l’economia materana. Con il salotto nella bufera, l’agricoltura in balia del vento e il turismo che si fa trasportare dalla corrente, i muri dell’edilizia appaiono l’appiglio più solido. Ma la voglia di rischiare sta scomparendo. di E.T.

I

LE FORZE DI LAVORO NELLA PROVINCIA DI MATERA

FONTE ISTAT

VALORI ASSOLUTI

VARIAZIONE 2004/05 ASSOLUTE %

Forze di lavoro

73,3

-3,3

-4,3

Occupati totali

64,5

-1,5

-2,2

Agricoltura Industria di cui: in senso stretto costruzioni

7,5 16,9 10,4 6,5

0,0 -2,2 -2,2 0,0

0,2 -11,5 -17,5 0,0

Servizi

40,1

0,7

1,8

Dipendenti

46,3

-2,0

-4,2

Indipendenti

18,3

0,5

3,0

8,8

-1,8

-17,1

Persone in cerca di lavoro

Agricoltura dalle radici fragili, agroalimentare in crisi, distretto del mobile in picchiata | 40 | valori |

L BUE STANCO È ARRIVATO A MATERA. È il simbolo della città. Una figura che rappresenta bene la fase che stanno attraversando le imprese locali. Gli ingredienti per parlare di crisi economica ci sono tutti. Export in picchiata, con un calo del 15% nel 2005, 2.200 posti di lavoro persi solo nell’ultimo anno, piccole imprese che chiudono una dopo l’altra. «Ma quello che preoccupa di più è che Matera sembra aver perso la voglia di fare impresa». È questo l’allarme lanciato da Franco Bitetti, coordinatore scientifico del Centro Studi Unioncamere Basilicata. «Lo dimostrano», dice, «i tassi di natalità aziendale, cioè la percentuale di nuove imprese avviate in un anno, che si rivelano tra i più bassi in Italia». Se nel 2000 la provincia di Matera aveva visto nascere l’8% di nuove imprese, nel 2005 il tasso è sceso al 6,3%, il livello più basso mai toccato finora. «Una tendenza opposta rispetto al resto del Mezzogiorno, che invece è ai primi posti in termini di natalità aziendale», commenta Bitetti, «spesso accade, infatti, che proprio quando c’è poca offerta di lavoro, si accenda la scintilla dell’iniziativa privata e nascano molte nuove imprese. A Matera non sta succedendo. È come se la crisi che sta colpendo le imprese avesse tolto loro la voglia di rischiare».

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Gli ingredienti della crisi «Fino al 2001, Matera e, più in generale, la Basilicata vantavano numeri eccellenti: in crescita esportazioni, profitti e occupati», spiega

Bitetti, «la regione era considerata un modello positivo per tutto il Mezzogiorno. Poi sono iniziati i problemi e negli ultimi cinque anni la situazione è decisamente critica. Una crisi che si sta manifestando in tutta Italia, ma che Matera sta scontando in modo particolare a causa di una combinazione di fattori. Una struttura produttiva fondata sulla piccola impresa, più esposta all’attacco di concorrenti forti come la Cina. Ancora più importante, una scarsa diversificazione. L’aver basato la propria crescita su pochi settori, in particolare l’arredamento imbottito, è stata la condanna di Matera. È bastato che iniziasse a vacillare questo comparto per mandare in crisi l’intera economia della zona. A ciò si aggiunge il fatto che questi, pochi, comparti su cui Matera ha puntato sono stati proprio quelli maggiormente sottoposti alla concorrenza cinese». Vediamo quindi, uno ad uno, questi settori su cui la città si è appoggiata negli ultimi anni e cerchiamo di capire le loro condizioni di salute.

SALOTTO, IN PICCHIATA. Alcuni grandi marchi e centinaia di piccole imprese, per formare un vero e proprio distretto industriale a cavallo delle province di Matera e Bari. Il polo del mobile imbottito negli anni ’90 era l’emblema della crescita di Matera (vedi BOX ). Poi il tonfo, dal 2001 a oggi un’emorragia di vendite, export, posti di lavoro, sotto l’assedio della concorrenza asiatica. A pagare sono state soprattutto le imprese più piccole, molte hanno chiuso i bat-

tenti, mentre le grandi sono ricorse a drastici tagli del personale e alla delocalizzazione.

AGROALIMENTARE, IN ESTINZIONE. Agroalimentare a Matera significa pasta e da qualche anno significa Barilla (vedi BOX a pag. 43). Però ormai è un comparto che fa parte più della sfera dei ricordi, dal momento che il gruppo alimentare di Parma ha deciso di chiudere lo stabilimento di Matera. Ottimizzazione dei costi, strategie a livello nazionale. Di fatto Matera ha visto scomparire i suoi storici mulini e presto la pasta, un tempo orgoglio della città, potrebbe arrivare addirittura dall’America.

AGRICOLTURA, RADICI FRAGILI. Negli ultimi due anni l’agricoltura materana, anzi del metapontino, è questa l’area dedicata alla coltivazione dei campi, sembra dare buoni frutti, con un valore aggiunto cresciuto del 12,1%, contro il 5,4% del resto della regione. «Ma sono dati che variano molto da un anno all’altro, fortemente legati alle condizioni climatiche», precisa Franco Bitetti, «e, soprattutto, c’è un problema di fondo: nel materano non si è mai sviluppato un sistema di commercializzazione e trasformazione dei prodotti in loco. Buona parte della produzione agricola è venduta ad imprese di altre regioni, soprattutto Emilia e Lombardia, che provvedono alla trasformazione e alla distribuzione anche all’estero. Questo toglie agli agricoltori di Matera gran parte dei profitti».

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BARILLA CHIUDE I MULINI DELLA TRADIZIONE

EDILIZIA, MURI SOLIDI. È il settore che ha retto meglio alla crisi (+5,7% il valore aggiunto nel biennio 2003-2004), trascinato da un comparto immobiliare in grande espansione. Anche a Matera la gente investe nel mattone. E negli ultimi anni i palazzi fioriscono come funghi, fin troppo, dicono in molti.

TURISMO, GRANDI POTENZIALITÀ SENZA UNA GUIDA. I Sassi di Matera,

Troppi aiuti, poca autonomia Se l’amministrazione pubblica si è dimostrata carente nel mettere in campo una politica turistica, su altri fronti, forse, si è mossa fin

INTERVENTI DELLA CIG PER TIPOLOGIA MONTE ORE COMPLESSIVO ANNUALE

-5

400.000

SERVIZI

COSTRUZIONI

0

MANIFATT.

ANDAMENTO DELL’OCCUPAZIONE PER SETTORI VARIAZIONI PERCENTUALI ANNUE

AGRICOLTURA

FONTE: ELABORAZIONI UNIONCAMERE BASILICATA SU DATI ISTAT

patrimonio dell’Unesco; il parco delle chiese rupestri, 155 sparse nel territorio (vedi BOX ); Metaponto e la costa ionica. La provincia di Matera ha tra le mani un tesoro ineguagliabile. «Se ben sfruttato, il turismo potrebbe trasformarsi in un volano per l’economia

materana», commenta Franco Bitetti, «per ora però non esiste nessuna politica turistica. È paradossale che una città come Potenza, che indubbiamente non ha le stesse risorse artistiche di Matera, abbia un piano di marketing turistico, mentre Matera non ancora. Dagli anni Novanta in molti hanno investito nel turismo, fin troppi, talvolta senza avere alcuna esperienza. Risultato: oggi Matera fatica a trattenere i turisti, c’è un turismo prevalentemente escursionistico, di passaggio, dove la città è solo una tappa di un itinerario più articolato. Servirebbe invece più qualità e un progetto unico che coordini le iniziative sul territorio».

L’EXPORT A PICCO

[VARIAZIONI % ANNUE]

30

CIG ORDINARIA CIG STRAORDINARIA

BASILICATA MATERA

20

300.000

10

200.000

-10

0

MATERA BASILICATA

-15

100.000

2002

-10 2003

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2001

2002

2003

2004

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Matera e i suoi Sassi, da vergogna a paravento Simbolo della città, affascinanti da lasciare i turisti a bocca aperta, fissati sulle pellicole di Hollywood, i Sassi hanno rischiato di essere rasi al suolo. Invece sono rimasti in piedi, svuotati, in parte risanati, catalizzatore di fondi per Matera. Intanto la città è invasa dal cemento.

Da sinistra a destra, gli architetti Lorenzo Rota, Luigi Acito e Renato Lamacchia. Il loro studio si è occupato del progetto di recupero dei Sassi. | 42 | valori |

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che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case, e dall’altro costeggiava un precipizio. In quel precipizio è Matera. La forma di quel burrone era…quella di due mezzi imbuti affiancati. Questi coni di E.T. rovesciati…si chiamano Sassi…Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l’inferno di Dante....in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto…”. Nel ‘43 Carlo Levi descriveva così i Sassi di Matera, nelle pagine di “Cristo si è fermato a Eboli”. In un anno di esilio in Lucania, nel 1935, aveva avuto modo di conoscere bene e di essere catturato dal fascino di quelle case scavate nella roccia. Oggi agli occhi del mondo Matera è i Sassi. Eletti nel 1993 dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità, attirano ogni anno migliaia di turisti. Ma non è sempre stato così. Fino agli anni Cinquanta erano la “vergogna d’Italia”. Così li definì Alcide De Gasperi du-

“A

RRIVAI A UNA STRADA,

troppo. «Si è stabilito un rapporto tra politica e società che non ha favorito l’emergere di uno spirito imprenditoriale», critica Bitetti, «la Regione Basilicata negli ultimi anni ha concesso molti incentivi per la nascita di nuove imprese, troppi direi. Nel lungo termine hanno avuto un effetto negativo, perché hanno tolto all’imprenditoria locale la voglia di rischiare, favorendo lo sviluppo di attività che si giustificavano solo per la presenza dell’incentivo, non in funzione del mercato. Sono pochi oggi in Basilicata gli imprenditori veramente indipendenti, che possano dire di non avere ricevuto nulla, seppur lecitamente, dall’amministrazione pubblica». Si spiega anche così, secondo Bitetti, la mancanza di voglia di rischiare. «Molti imprenditori danno l’impressione di essere fermi, aspettando che arrivi qualcuno che pensi al loro futuro».

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MATERA, DALLA PREISTORIA A PATRIMONIO DELL’UNESCO PER RITROVARE LE ORIGINI DI MATERA bisogna fare un salto nella preistoria. La presenza umana dal paleolitico ai giorni nostri è celata, strato su strato, nella roccia tufacea dei Sassi: Greci e Romani, Goti, Longobardi e Bizantini. Il nucleo originario della città è costituito dalla Civita, dominata dalla Cattedrale. Ai lati l’imbuto formato dalle due conche carsiche, dove si sono sviluppati i rioni Sassi, Barisano e Caveoso. Dal X secolo la città ospitò numerosi insediamenti religiosi, a cui va il merito delle meravigliose chiese rupestri che si nascondono nelle viscere della città, 155 sparse nella zona. Statue e capitelli, colonne e affreschi che riproducono sotto terra l’arte religiosa che si può trovare normalmente nelle cattedrali. Tra il XII e il XIII secolo Matera passò sotto il controllo degli Angioini, poi toccò alle più importanti famiglie di feudatari meridionali, quindi agli Aragonesi. Nei secoli XV e XVI arrivarono a Matera albanesi e serbo-croati, costretti ad emigrare sotto la pressione delle invasioni turche. Avvicinandoci ai giorni nostri, il riconoscimento dell’Unesco: dal 1993 i Sassi sono Patrimonio mondiale dell’umanità. In rete: www.sassiweb.it, www.gingen.it

rante un comizio. I parlamentari dell’epoca puntavano il dito contro le misere condizioni di vita tra quelli che chiamavano i “quartieri trogloditi di Matera”, una “bolgia infernale” piena di “tuguri e topaie fatte case”. Ne chiedevano a gran voce la distruzione. Per fortuna, nessuno mise in pratica i loro auspici.

Tutti fuori dai Sassi In effetti nel dopoguerra i Sassi erano diventati simbolo di

ELISABETTA TRAMONTO

matera

A MATERA DICONO CHE LA BARILLA LI HA “DERUBATI DUE VOLTE”: la prima comprando le storiche attività di panificazione cittadine e la seconda chiudendole nel giro di pochi anni. «La chiusura dello stabilimento del gruppo emiliano a Matera (120 persone) insieme alla vendita del mulino di Termoli (22 persone) viene vissuta da tutti i cittadini come un tradimento da parte della società», spiega il portavoce della Flai Cgil, Lorenzo Rossi Doria, aggiungendo che la società parmense, dopo aver beneficiato di risorse pubbliche di varia provenienza per l’acquisizione di antichi mulini e pastifici, ha trasferito altrove sia il know how sia le tecnologie lasciando a Matera solo gli impianti in disuso. La delusione è grande anche perché l’arrivo di Barilla aveva generato l’illusione di dare, a quella che è da sempre una produzione tipica di queste terre, la panificazione appunto, un profilo di ampio respiro nazionale o addirittura sopranazionale. Eppure, dopo un periodo che pareva essere decisamente poco brillante, il fatturato 2005di Barilla, presentato poche settimane fa, ha registrato un aumento del 3% su ricavi (2,6 miliardi di euro) e volumi di vendita (1,48 milioni di tonnellate). Sono stati nettamente positivi anche i dati relativi a margine operativo lordo (Ebitda) a quota 341 milioni (+6%), utile netto a 113,4 milioni (+8,3) e generazione di cassa che, dopo cinque anni, torna positiva chiudendo a +113,5 milioni da -92 milioni dell'anno precedente. Proprio sulla scia di un anno positivo la società ha anche varato un piano di investimenti per il 2006 pari a 200 milioni di euro che serviranno per raddoppiare lo stabilimento di Caserta, ampliare l’impianto di Foggia e realizzare il mulino a Parma. Altri 50 milioni verranno utilizzati per il nuovo impianto che sorgerà ad Avon, nello Stato di New York, affiancando quello di Ames, nell'Ohio. «Intanto però a Matera hanno smantellato le linee produttive che già erano attive e, ora, a chiusure avvenute», spiega ancora Rossi Doria. Barilla ha ceduto gli impianti al gruppo Tandoi, capofila di un team di mulini a grano duro e tenero, situati in Puglia, a Corato e a Bari, e di un pastificio a Corigliano d'Otranto in provincia di Lecce. «Almeno l’intesa raggiunta tra la Barilla e la Tandoi Filippo e Adalberto Fratelli», conclude Rossi Doria «prevede che, dovendo assumere nuovo personale, anche a tempo determinato, la nuova proprietà darà precedenza ai lavoratori in mobilità, già dipendenti della Barilla dello stabilimento di Matera ed infatti tutti i lavoratori ex Barilla, dopo qualche incertezza e contrattazione, sono stati reintegrati nella nuova gestione». F.P.R.

povertà e miseria. L’aumento vertiginoso della popolazione aveva mandato in frantumi quel fragile ecosistema che aveva retto per secoli. Molte cisterne dell’acqua, scavate nella roccia, furono svuotate e usate come abitazioni, per ospitare famiglie numerose. Spesso in spazi piccolissimi vivevano insieme persone e animali. Non c’era acqua corrente né fognature. Nel ‘52, quindi, fu varata la Legge Speciale per lo sfollamento dei Sassi. Furono letteralmente svuotati: quindicimila persone, due terzi degli abitanti di tutta la città, furono costrette ad abbandonare le loro case. Un vero sfollamento che cambiò radicalmente gli equilibri della società materana, spezzando gli antichi legami di vicinato. «Lo sfollamento non era necessario, sarebbe stato sufficiente rimettere in sesto i Sassi e continuare ad abitarli. Ma fu più conveniente, politicamente pagò molto di più il trasferimento totale della popolazione e la costruzione di nuovi quartieri», rivela Luigi Acito, noto architetto di Matera, che con il suo studio |

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osservatorio

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nuove povertà CHIÈCHI

CARLO LEVI Celebre scrittore e pittore, nato a Torino nel 1902 e morto a Roma nel 1975. Dal suo esilio, nel 1935, in Basilicata a causa del suo impegno antifascista, nacque nel 1943 il suo libro più conosciuto “Cristo si è fermato a Eboli”, con il quale attirò l’attenzione su Matera in un momento in cui la città era dimenticata. GIOVANNI PASCOLI Dal 1882 al 1884 inizio la sua carriera da professore a Matera, dove insegnò al Liceo classico. MICHELE D’ELIA Ex direttore dell’istituto centrale per il restauro di Roma ed ex sovrintendente ai beni artistici e culturali della Basilicata, ha promosso e seguito il restauro di numerose opere a Matera e degli affreschi nelle cripte rupestri della zona.

si occupò del risanamento dei Sassi. La necessità di dare alloggi a così tante persone si trasformò in un’occasione per costruire da zero la città. Una palestra per la creatività dell’elite dell’architettura italiana dell’epoca, per lo più della scuola romana. Alla fine degli anni ‘50 sorsero i nuovi quartieri di Matera, progettati da nomi del calibro di Quaroni, che realizzò il rione la Martella, Aymonino e De Carlo, che disegnarono il quartiere Spine bianche insieme ad altri grandi nomi dell’architettura romana come Fiorentino, Ottolenghi, Selem e Sangirardi. Coppa e Fabbri progettarono Lanera, mentre Piccinato e Anversa firmarono Serravenerdì e Venusio. «Mentre nel resto d’Italia sorgevano palazzoni e imperversava la speculazione edilizia privata, Matera aveva la più bella periferia d’Italia, quartieri a misura d’uomo, con standard di tipo nord europeo: case basse, molto verde, parcheggi, spazi pubblici, servizi, scuole», racconta Acito. Merito anche della valanga di finanziamenti ricevuti, che ruotavano attorno al risanamento dei Sassi. «La città deve molto ai Sassi» – rivela Acito - «Matera è stata sempre una città assistita dallo stato. Questo le ha permesso di salvarsi dalla cementificazione selvaggia, almeno fino a dieci-quindici anni fa. Oggi non più». Negli ultimi anni

La città è stata una palestra per la buona architettura ma oggi è invasa dal cemento

FILIPPO BUBBICO Ex presidente della Regione Basilicata, senatore dell’attuale legislatura nelle schiere dell’Ulivo. Era in prima fila durante le proteste del novembre 2004 contro lo stoccaggio delle scorie nucleari a Scanzano Jonico, in provincia di Matera. EMILIO-NICOLA BUCCICO Noto avvocato materano, per due mandati presidente dell’ordine degli avvocati e dal 2002 membro del Consiglio superiore della magistratura

a Matera non si smette di costruire, tanto che l’edilizia è uno dei pochi settori che sta reggendo alla crisi economica. Peccato però che si costruisce anche dove non si dovrebbe. «Dagli anni ‘90 è iniziato il disastro» – racconta Acito - «varianti al piano regolatore hanno reso edificabili aree che prima non lo erano. L’attenzione per la buona architettura è svanito: palazzi alti, parcheggi sotto dimensionati, strade strette. Matera aveva bisogno di una classe dirigente capace di capire il valore del suo patrimonio e preservarlo. Non è stato così». «I Sassi hanno fatto da paravento a tante porcherie», critica Lorenzo Rota, architetto nello stesso studio di Acito e da poco direttore dell’ufficio urbanistico di Matera. «Sono diventati il fiore all’occhiello della classe dirigente materana. Il resto è stato abbandonato alle forze più becere della speculazione edilizia», conclude Rota.

E i Sassi? Una volta svuotati, i Sassi furono abbandonati per almeno vent’anni. Un paesaggio spettrale, deserto, che diventò set ideale per le pellicole dei registi di tutto il mondo. Per assistere ai primi lavori di recupero dei Sassi si dovette aspettare il 1986 e l’opera continua ancora oggi. «Non esiste nessuna zona nei Sassi interamente recuperata. Sono stati eseguiti interventi a macchia di leopardo»,

spiega Acito. «Finora il risanamento è costato tre-quattrocento miliardi di lire, tra risorse pubbliche e private», spiega Lorenzo Rota, «le risorse però stanno finendo, dal 2002 non arrivano più finanziamenti. Il rischio è che i lavori di recupero si fermino e che ci possa essere un’ondata di degrado di ritorno. Perché i Sassi tornino a vivere devono essere abitati». Adesso lo sono, ma solo in parte. Prima dello sfollamento era una zona malfamata, povera, ma viva. Oggi i Sassi hanno cambiato aspetto: i vicoli sono in ordine, le case in gran parte ristrutturate, il loro fascino cattura gli sguardi dei turisti, che possono trovare ristoranti scavati nella roccia, piccoli alberghi suggestivi, qualche negozio di artigianato locale. Ma i materani lamentano la mancanza della vita vera. I Sassi sono un centro storico anomalo, più simile a una cartolina che a un quartiere vivo. Mancano i servizi, manca la gente. I prezzi delle case sono lievitati, qui più che nel resto della città, in pochi se le possono permettere. Matera oramai non abita più nei Sassi.

ELISABETTA TRAMONTO

matera

Una vista della zona industriale di Matera

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La sindrome endemica della raccomandazione L’antropologa statunitense Dorothy Zinn per amore e per passione decide di vivere a Matera. Cinque anni fa attira l’attenzione della stampa sul paesino del materano dove abitava. Il motivo di tanta attenzione, però, agli abitanti del paese non piace un granché.

U

NA GIOVANE ANTROPOLOGA AMERICANA arriva in Italia, si sta-

bilisce in un paesino della Basilicata, a Bernalda in provincia di Matera, e proprio in quel paesino decide di condurre una ricerca antropologica e pubblicare un libro. Fin qui nessun problema. Ma codi E.T. me reagirebbero gli abitanti di quel paesino scoprendo che il libro in questione si intitola “La raccomandazione”? Non benissimo. D’altra parte finire su tutti i giornali, come simbolo della bustarella non fa piacere a nessuno! In realtà, però, le intenzioni dell’autrice erano tutt’altro che moralistiche. «La mia è stata un’analisi scientifica, per capire perché questo fenomeno sia comuneDorothy Zinn mente associato all’Italia e soprattutto al Mezzogiorno, quando in realtà riguarda tutto il mondo». Così si difende Dorothy Zinn, statunitense di nascita, da 15 anni a Matera, i primi cinque vissuti proprio a Bernalda. Da qui è iniziata la sua ricerca sul clientelismo, pubblicata nel 2001.

non solo in Italia. Ho preso Bernalda come campione. Ho cercato di esaminare il fenomeno con un’ottica scientifica, per capirne la natura: come viene vissuto, giudicato. Non volevo imporre i miei giudizi, ma evincere la percezione della gente. Mi interessava capire perché sia un concetto associato soprattutto con il meridionale. In realtà esiste anche al centro-nord, magari in forme diverse, ma l’ideologia della raccomandazione esiste, il fatto, cioè, che sia riconosciuto il valore e l’efficacia della raccomandazione. Esiste anche il linguaggio della raccomandazione. Perché è anche una forma di comunicazione». Che cosa intende per raccomandazione? «Questo è un aspetto importante della mia ricerca. Ho voluto analizzare il fenomeno a 360 gradi, in tutte le sfere della vita quotidiana, non solo in quella più classica della ricerca di un lavoro. E ho cercato di capire fino a che punto la raccomandazione è accettata e da quale soglia invece inizia ad essere giudicata male. Ad esempio suggerire ad un’amica un idraulico, è comunemente considerato normale e giusto. Un’altra cosa è la raccomandazione intesa in senso classico, che equivale a mediocrità, quando una persona è presa in considerazione per motivi non di merito».

La mia “ è stata un’analisi

scientifica sul fenomeno

Perché ha scelto proprio Bernalda per parlare di raccomandazioni? Pensa che il fenomeno sia particolarmente diffuso nel materano? «È molto diffuso certo, ma non solo qui, non solo nel Meridione e | 44 | valori |

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È un fenomeno visibile? «Ci sono forme visibili e altre meno visibili. C’è un diffuso giudizio morale sulla questione, per questo molte volte la gente cerca di nasconderlo, però esiste comunque».

legato a questo, la mancanza di verde urbano. Secondo, una certa passività dei materani. La gente qui si lamenta ma non si muove. Terzo, la politica troppo presente. Diciamo che ci sono molti aspetti della vita a Matera troppo politicizzati».

Raccomanderebbe Matera come luogo in cui vivere? «Certo! È un luogo meraviglioso».

Da quando è arrivata a Matera, dieci anni fa, ha visto la città cambiare? «Purtroppo c’è una scarsa attenzione alla cura di quello che dovrebbe essere il salotto della città, i Sassi. E la povertà è aumentata. È evidente, anche se ben nascosta, perché c’è molta dignità. Ma vedo i pensionati al supermercato che scelgono la carne o la verdura di ultima scelta. La città sta facendo fatica ad affrontare problemi come la chiusura dello stabilimento Barilla o la crisi del salotto. L’usura è una piaga invisibile ma diffusa. È un disagio nascosto. Riguarda sempre più la gente comune, i colletti bianchi. Però è una città sicura, non ho mai avuto problemi a passeggiare da sola la sera».

Mi dica tre aspetti positivi e tre negativi di Matera… «Tra quelli positivi, innanzitutto la dimensione umana. Prima di stabilirmi qui ho girato molto, in grandi capitali, ma qui c’è una dimensione umana che altrove non ho trovato. Poi la viLIBRI vacità culturale. Matera è molto viva, è una delle cose che mi ha attratto di più. I primi anni in cui vivevo in Italia ed ero a Bernalda, nel paese di mio marito, ogni sera andavamo a Matera perché c’era sempre qualcosa di diverso da fare: musica, cinema, mostre, poesia. Infine direi la vita nei Sassi. È faticoso, ma è stata la nostra scelta di vita. C’è un’atmosfera unica e il paesaggio di fronDorothy Zinn La raccomandazione. te, la murgia, è stupendo». …e gli aspetti negativi? «Primo, la speculazione edilizia, lo scriva con tre punti esclamativi, stanno costruendo palazzi ovunque. E, col-

Clientelismo vecchio e nuovo Donzelli Saggi. Storia e scienze sociali, 2001

Che cosa dovrebbe indurre i giovani a non lasciare Matera? «È una città che offre molto, ma i giovani non se ne rendono conto. A volte li trovo passivi. Vorrei invitare i giovani a liberare la creatività, realizzare idee nuove, riscoprire i mestieri artigianali».

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Risorse rinnovabili

Incentivare la Bioenergia di Walter Ganapini

A STRATEGIA COMUNITARIA INDIVIDUA NELLA MULTIFUNZIONALITÀ la prospettiva dell’agricoltura europea. In tale concetto trova spazio sia la nozione di custodia ambientale in capo al nuovo settore primario che si va a designare , sia quella di miniera di nuove materie prime, soprattutto energetiche. È dalla multifunzionalità che originerà il nuovo assetto reddituale degli operatori agricoli , essendo il precedente entrato in crisi a fronte della competizione deregolata tipica della attuale fase della globalizzazione dei mercati. Lo sviluppo del settore bioenergetico in Italia risulta condizionato da fattori quali gli aspetti finanziari ed i limiti nelle percentuali di utilizzo dei nuovi biocombustibili (in particolare i biocarburanti). Esaminiamo il caso del biodiesel: dal punto di vista dell’incentivazione con risorse pubbliche occorre assicurare l’invarianza del gettito proveniente dall’accisa sul gasolio ad uso autotrazione, considerato che la defiscalizzazione del biodiesel immesso al consumo (indispensabile per conseguire equivalenza del prezzo fra il biocarburante e il corrispondente gasolio minerale) implica minori introiti per lo Stato. Lo strumento finanziario più adeguato potrebbe essere l’incremento dell’accisa sul gasolio in considerazione del fatto che, tenuto conto dei quantitativi distribuiti annualmente in Italia, un piccolo aumento per litro (da cui si potrebbe esentare, per i probabili effetti inflazionistici, il settore dell’autotrasporto commerciale) è sufficiente per assicurare il necessario gettito, senza gravare in maniera eccessivamente sfavorevole sui consumatori. Le eccezionali risorse In effetti, un aumento dell’accisa sul gasolio per autotrazione potenziali dell’agricoltura (esclusi i consumi del settore dell’autotrasporto commerciale) di un solo come nuova risorsa centesimo al litro sarebbe di gran lunga meno influente sul rincaro energetica da fonti dei prezzi dei carburanti della quotidiana oscillazione del prezzo del greggio. rinnovabili e a basso Considerato il maggior costo industriale del biodiesel rispetto impatto ambientale al gasolio, la spesa erariale per sostenere l’offerta al mercato di ulteriori 100.000 tonn. di prodotto risulterebbe di circa 60 milioni di Euro, mentre un aumento di 2 centesimi per litro di gasolio genererebbe maggiori introiti per oltre 400 milioni di Euro, sufficienti a finanziare, agli attuali costi industriali di produzione dello stesso, quasi 700.000 tonnellate/anno di biocarburanti sostitutivi . Il differenziale da coprire con il contributo erariale corrispondente all’agevolazione o esenzione fiscale potrebbe ridursi ulteriormente con il migliorare delle tecniche di produzione dei nuovi biocarburanti. Di conseguenza, una volta determinato il maggior costo industriale del biocarburante da agevolare, l’incremento dell’accisa dovrà riguardare tutti i quantitativi di gasolio immessi al consumo, compresi quelli di biodiesel, per i quali sarà esentata la quota parte dell’accisa corrispondente ai predetti costi ed a quelli di distribuzione del biodiesel (superiori a quelli del gasolio, essendo le unità produttive e gli stoccaggi dedicati non confrontabili con quelli del settore petrolifero) Ad approfondimento delle riflessioni sin qui sviluppate, va anche ricordato il diverso potere calorifico e la diversa densità del biodiesel rispetto al gasolio fossile. In fase di combustione questa differenza non genera un incremento dei consumi di pari entità, in ragione del recupero di efficienza termica che caratterizza il biodiesel (dovuto all’assenza di zolfo), della minor formazione di incombusti, dell’elevata presenza di ossigeno molecolare.

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AIAB

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L’economia vola ma le riforme politiche restano al palo >50 Parigi-Pechino per ridare al lavoro la dignità perduta >56

internazionale LE UNIVERSITÀ AMERICANE BOICOTTANO IL SUDAN

IL CORALLO ROSSO DEL MAR MEDITERRANEO È IN PERICOLO

IL CHIP CINESE È UN FLOP CLAMOROSO

GIOCA E SALVA LA BALENA DI GREENPEACE

BRUTTA ACCOGLIENZA PER GLI STAGIONALI

INDIA E CINA IN TESTA PER EMISSIONI DI C02

Le università americane ritirano gli investimenti da quelle imprese che hanno rapporti commerciali con il Sudan. Si tratta di un'azione di protesta che va ad aggiungersi alle mobilitazioni degli studenti contro le violenze nella regione del Darfur. Sono almeno sette le università che hanno aderito a questo boicottaggio, tra cui: Harvard, Yale e Stanford. La campagna sta prendendo piede anche nelle università del Maryland, dell’Indiana e della Virginia. Il primato della protesta contro la politica del Governo sudanese spetta, però, allo Stato dell’Illinois che ha ritirato da quel Paese miliardi di dollari. La campagna ricorda quella condotta negli anni 80 contro il regime di segregazione razziale del Sud Africa. Tra gli investimenti presi in considerazione c’è l’impiego di fondi pensionistici pubblici in compagnie che direttamente o indirettamente aiutano le azioni militari del Governo sudanese contro i civili del Darfur. Gli studenti dell’università della California hanno stimato in 2,6 miliardi di dollari gli investimenti fatti in più di 70 compagnie multinazionali. Gli universitari hanno presentato il loro lavoro ai legislatori, ai leader religiosi e al procuratore della California. In sede Onu, sia la Russia che la Cina hanno spesso bloccato le azioni proposte contro il Sudan. La ragione sta nel fatto che la prima è interessata alle vendite degli aerei Mig e di altri armamenti; la seconda è presente in Sudan con la PetroChina, una filiale della Chinese National Petroleum Company (Cnpc). Questa ha investito direttamente in quel Paese e possiede il 40% della Greater Nile Petroleum Operation Company (Gnpoc) che opera in Sudan dal 1997 e ha costruito un oleodotto lungo 1.540 km che arriva fino a Port Sudan, sul Mar Rosso.

Un gruppo di ricercatori dell’Unep (Programma ambiente Mediterraneo delle Nazioni Unite) si è riunito a Tabarka, in Tunisia, per attuare una strategia di difesa del corallo rosso del Mediterraneo, diventato ormai molto raro. In Italia è localizzato nei parchi marini di Capo Caccia in Sardegna, nell’Arcipelago Toscano e a Portofino, in Liguria. Ogni anno nel Mare Nostrum se ne pescano 70 tonnellate, anche se le legislazioni nazionali e internazionali hanno contribuito a ridurre notevolmente il fenomeno. La minaccia più consistente è rappresentata dalla pesca clandestina che si serve di congegni distruttivi, come la croce di Sant’Andrea (una croce di legno, e più recentemente di acciaio, che ara i fondali), o direttamente dai sub. Un’altra minaccia è rappresentata dall’inquinamento e dal cambiamento climatico che fanno aumentare la temperatura delle acque marine. Le colonie di corallo crescono a ritmi lentissimi: per raggiungere un centimetro di diametro, un ramo impiega dai 40 a 50 anni. Ne occorrono 20, in media, per crescere in altezza di 4 centimetri. In questo momento sono soprattutto le aree marine protette a essere entrate nel mirino dei ladri di corallo, perché sulle coste “normali” si trova ormai a profondità difficilmente raggiungibili da un sub dilettante.

Il chip di produzione cinese, che doveva contrastare la produzione americana, si è rivelato un flop. Infatti, il ricercatore dell’Università di Jiaotong di Shanghai che aveva sviluppato il chip Dsp Hanxin, ha ammesso di aver copiato la struttura del processore da alcuni componenti fabbricati all’estero. La serie Hanxin, costituita da 4 processori, avrebbe dovuto essere utilizzata nella produzione di lettori multimediali ed era finanziata dal Governo cinese. Il chip non è riuscito a superare i test funzionali fondamentali: non è stato in grado di riprodurre semplici file mp3, di eseguire normali operazioni quali l’identificazione dei dati utilizzati. Dopo alcune indagini condotte all’interno dell’università, il Governo ha ottenuto un’ammissione di colpevolezza da parte del ricercatore, che adesso è interdetto da qualsiasi tipo di studio o ricerca nel campo tecnologico. Il ricercatore ha confessato di aver copiato le specifiche tecniche del chip da dati riservati, sottratti a fonti non appartenenti a quelle universitarie. Il chip tutto made in China è stato, dunque, un totale fallimento dal punto di vista etico ed accademico. Una doccia fredda per il primo ministro che già vedeva l’entrata trionfale della Cina nel mercato internazionale dell’alta tecnologia. Tutti i fondi destinati al progetto sono stati congelati e sono stati intensificati i controlli su tutte le ricerche.

Quando si apre la pagina del sito (http://www.greenpeace.org/italy/ sotieni/cartoon), una bella e sorridente balenottera invita il navigatore a giocare: «Cliccami, dai» dice il cetaceo. Una musichetta allegra fa da sottofondo, la balena continua a ridere e invita a muovere il mouse. Inizia a fare capriole, tuffi e acrobazie varie. «E poi la gente paga per vedere i delfini» dice con un po’ di supponenza, continuando a giocare. Ma quando viene annunciato il gran finale la musichetta diventa cupa, irrompe un arpione che colpisce la balena, tingendo l’acqua di sangue, e una fune che aggancia la sventurata per la pinna caudale. Sono le baleniere che hanno fatto irruzione nel gioco che non è più tale. Ogni anno, infatti, vengono uccise 2000 balene illegalmente. Greenpeace ha lanciato una campagna di sensibilizzazione scegliendo i cetacei per publicizzare la propria campagna per la destinazione del 5 per mille. Tra i paesi che praticano la caccia alle balene, c’è il Giappone che ha dichiarato di volerla estendere anche a specie minacciate, avanzando discutibili motivazioni scientifiche. La caccia alle balene è diffusa anche in Norvegia, Paese in cui la carne dei grandi cetacei è liberamente consumata, e in Islanda, paese che dichiara di ucciderle per discutibili scopi di “ricerca”.

Vengono in Italia a migliaia per lavorare nei campi e nelle piantagioni del Sud, per raccogliere le primizie. Per loro, però, non c’è nessun tipo di accoglienza e così vivono in condizioni “indescrivibili”, come ha denunciato l’associazione “Medici senza Frontiere” (Msf), dopo un sopralluogo a Cassibile in provincia di Siracusa. Erano almeno 300 gli immigrati che vivevano in capanne di fortuna senza acqua e bagni, tanto che l’associazione ha deciso di avviare un intervento di emergenza per garantire assistenza sanitaria e servizi minimi di accoglienza agli stranieri. Si tratta di lavoratori che vengono impiegati nella raccolta delle patate. Molti di loro sono richiedenti asilo e rifugiati che arrivano da zone di guerra. I problemi sanitari principali riscontrati sono diarrea, malattie respiratorie e dermatologiche. Tutte patologie riconducibili alle precarie condizioni abitative. Il primo punto acqua, la fontana del paese, si trova ad più di un chilometro di distanza. Questo, come la mancanza di latrine e tende, è lontano persino dagli standard minimi fissati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nei campi profughi. “Medici senza frontiere” ha costruito latrine, docce e un sistema di smaltimento dei rifiuti. Ha distribuito taniche per la raccolta dell’acqua e kit per l’igiene personale.

Aumentano le emissioni di anidride carbonica (Co2) nel mondo. L’allarme è stato lanciato dalla Banca mondiale, nel corso della pubblicazione dell’edizione 2006 del suo “Piccolo Libro verde dell’ambiente”. Si tratta del gas considerato tra i principali responsabili dell’effetto serra, vale a dire del riscaldamento planetario del clima. L’incremento è del 15% in più tra il 1992 e il 2002, aumento che si è verificato in particolare in Cina e in India. Le emissioni di Co2, infatti, hanno raggiunto i 24 miliardi di tonnellate nel 2002, ultimo anno per cui sono disponibili dati completi, che equivale ad un più 15% rispetto a dieci anni prima. La Cina, che puo’ già vantare il secondo posto come maggior inquinatore nel mondo, tra il 1992 e il 2002, ha aumentato le sue emissioni del 33%, mentre nello stesso periodo quelle dell’India sono cresciute del 57%. Una tendenza che, secondo la pubblicazione, dovrebbe continuare di pari passo con la crescita economica. L’aumento c’è stato lo stesso, nonostante i miglioramenti nell’utilizzazione dell’energia in Cina che nel 1992, creava emissioni di CO2 per 4,8 chilogrammi, contro i 2,5 del 2002. I principali inquinatori restano tuttavia i paesi ricchi: gli Stati Uniti contribuiscono per il 24% del totale e i Paesi della zona euro per il 10%. Oltre la metà dell’energia prodotta nel mondo è consumata dalle nazioni occidentali. Secondo la Banca mondiale, solo tra il 2000 e il 2002, in queste aree le emissioni di anidride carbonica sono cresciute del 2,5% all’anno, con i 2/3 dell’aumento provenienti dalle nazioni con reddito basso e medio.

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L’economia vola, ma le riforme politiche e sociali restano al palo Tra cento e centocinquanta milioni di contadini sono pronti a fuggire dalle campagne dove il salario medio, per le fasce più povere, è un sesto di quello delle fabbriche che sorgono nei sobborghi delle metropoli. Ma a Pechino o Shanghai per questo popolo di disperati le cose non vanno meglio e la povertà dilaga sotto i ponti delle nuove autostrade in costruzione. ingresso nel Wto (World Trade Organisation), incrementando ancora di più la sua forza commerciale. Oggi è un mercato appetibile per le aziende straniere, sia per gli investimenti, sia per le potenzialità della domanda interna di beni di consumo. Ma i progressi dell’economia non vanno di pari passo con quelle politiche e sociali. di Paola Fiorio La rivoluzione di Mao, partita proprio dalle campagne, ha lasciato in eredità ai contadini la collettivizzazione delle terre. In teoria, ogni villaggio possiede i campi che lo circondano e ogni famiglia ne gestisce una parte come fosse un prestito a lungo termine. In pratica, i governi locali considerano la terra di loro proprietà e non si fanno scrupoli a venderla al miglior offerente lasciando ai contadini solo poche briciole di indennizzo. Infatti, con la crescita delle grandi città negli ultimi vent’anni più di 6 milioni di ettari di terreno sono stati inglobati in eleganti quartieri periferici delle metropoli. Agli abitanti delle zone rurali, che già soffrono di un notevole divario economico rispetto a chi vive in città (il salario medio è infatti in rapporto di uno a sei), rimangono poche possibilità. In molti allora decidono di trasferirsi nei grandi centri urbani. Si tratta di un numero di persone compreso tra i 100 e i 150 milioni, sui 700 milioni totali di residenti nelle campagne. Ma a Pechino o a Shanghai per questo popolo di disperati le cose non vanno meglio. La maggior parte lavora, sottopagato, nel settore edile e vive nei dormitori messi a disposizione dal datore di lavoro. Altri cercano un’occupazione agli angoli delle strade e dormono nelle stazioni o sotto i ponti. Non godono degli stessi benefici sociali dei residenti urbani e ai loro figli non è consentito l’accesso nelle scuole migliori. Ma non tutti i contadini si rassegnano ad andare in città. Negli ultimi tre anni sono sempre più frequenti le proteste, anche violente, contro gli espropri illegali delle terre e le denunce contro i funzionari locali che si sono arricchiti vendendole a prezzi esorbitanti. Nel 2005 ce ne sono stati 87 mila di quelli che Pechino chiama “incidenti di massa”. E i leader delle rivolte rischiano il carcere. Come Huang Weizhong che potrebbe essere condannato a sette anni per aver istigato i contadini di Chengxinang contro gli indennizzi troppo bassi concessi per la requisizione delle loro terre, utilizzate per la costruzione di un’autostrada

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I Governi locali non si fanno scrupoli a vendere la terra al miglior offerente, lasciando ai contadini solo poche briciole di indennizzo

Sichuan region. Non tutti i contadini si rassegnano ad andare in città. Negli ultimi anni sono aumentate le proteste anche violente contro gli espropri illegali delle terre e le denunce contro i funzionari locali che si sono arricchiti vendendole a prezzi da capogiro.

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Il costo umano della fame di energia Quasi non passa giorno senza che dalla Cina arrivi notizia di un incidente in una miniera di carbone. Il Paese asiatico è il primo al

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ALLA LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO NEGLI ANNI OTTANTA, l’economia cinese ha continuato a crescere. Nel 2001 Pechino ha fatto il suo

mondo per estrazione di carbone (1,8 miliardi di tonnellate nel 2004) e il terzo per le riserve. Pechino ricava da questi giacimenti il 66 per cento dell’energia necessaria a sostenere la sua prepotente crescita economica e gli esperti ritengono che nel 2030 coprirà ancora il 53% del suo fabbisogno energetico con il carbone. Ma a quale costo? I minatori lavorano dieci ore al giorno, sette giorni su sette e guadagnano a cottimo in base alla quantità di minerale che estraggono. Si tratta in media di appena 120 dollari al mese. Ma quello del minatore non è solo un lavoro faticoso e malpagato. In Cina è soprattutto un lavoro rischioso. Ogni anno sono infatti circa 6000 le vittime di esplosioni di gas, incendi o allagamenti. Le miniere più pericolose sono quelle private, gestite da piccole imprese che trascurano le più elementari norme di sicurezza. Secondo il regista Li Yang, intervistato dalla Bbc dopo aver passato 18 mesi a girare un film nelle piccole miniere private, i minatori non ricevono alcun addestramento, indossano elmetti non rinforzati, non hanno calzature adatte e nemmeno protezioni acustiche per le orecchie. Ma più scioccante è il suo racconto dell’indifferenza mostrata quando è crollato il tetto di un dormitorio. Nell’incidente sono morte due persone, ma i responsabili hanno reagito come fosse un dato di fatto. Lo stillicidio di minatori sembra però aver finalmente smosso l’apparato politico. Per limitare gli incidenti sul lavoro, la Cina

avrebbe infatti deciso la chiusura entro il 2007 di tutte le miniere con una produzione annuale inferiore alle trentamila tonnellate.

Internet e media cercano la libertà di espressione Il dissenso corre attraverso la rete. Certo si tratta più di un salto a ostacoli che di uno sprint sui cento metri, ma lo spazio dedicato ai dibattiti nei blog sta lentamente avviando un processo di democratizzazione. E recentemente una serie di siti internet sono arrivati a denunciare un caso di repressione violenta delle proteste dei contadini, ripreso poi dalla televisione di Stato, la Cctv. Un fatto senza precedenti. In Cina, infatti, i giornali, ma anche Internet, sono strettamente controllati dalle autorità. I quotidiani riportano casi di corruzione, ma qualsiasi critica al potere assoluto del Partito comunista è passata sotto silenzio. La repressione è molto forte. Molti giornalisti finiscono in carcere per aver espresso le loro idee. Ne è un esempio il corrispondente del New York Times a Pechino, liberato dopo 18 mesi di carcere e prosciolto dall’accusa di aver rivelato un segreto di Stato a cittadini stranieri. Il segreto altro non era che la notizia di un dissenso tra l’ex presidente Jang Zemin e il suo successore Hu Jintao. Quando non finiscono in manette, i giornalisti sono imbavagliati come nel caso del settimanale Bingidan, sospeso lo scorso gennaio per aver pubblicato un articolo “reazionario” in cui si proponeva di eliminare la propaganda politica dai libri di storia. La rivista in marzo è tor|

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| internazionale | nata in edicola, epurata del suo direttore. In prima pagina, campeggiava un’aspra critica dell’articolo incriminato a gennaio. Non va meglio ai cyber-dissidenti. Blog e chat-line sono diventati negli ultimi anni i principali strumenti dell’opinione pubblica cinese e con la diffusione in rete di scritti considerati “sovversivi” il governo è

IL GIGANTE CINESE particolarmente duro. Secondo le organizzazioni umanitarie sono circa 60 i navigatori della rete in prigione per reati di opinione. Nella lista delle parole proibite dalla censura, accettata da Yahoo!, Cisco, Microsoft, Google e Skype, ci sono il Dalai Lama, il leader tibetano in esilio, o la setta religiosa Falun Gong, messa al bando sette anni fa.

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stipendio medio “Lo di un lavoratore è di 60 euro al mese e nelle

campagne ancora meno, dai 20 ai 30 euro

Filo diretto Parigi-Pechino per ridare al lavoro la dignità perduta Combattere per migliorare le condizioni di lavoro in Cina all’ombra della Tour Eiffel. È l’obiettivo di , sindacalista cinese scappato a Parigi dopo la strage di Tienammen. Cai Chongguo

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ELLA CORSA SFRENATA DELL’ECONOMIA CINESE, restano sul sel-

ciato i diritti fondamentali. Nel lavoro innanzitutto. «Le condizioni dei lavoratori cinesi sono invivibili: orari disumani, stipendi bassi, quando ci sono, nessuna tutela, nessuna sidi Elisabetta Tramonto curezza. E i sindacati indipendenti non esistono, sono vietati. I focolai di rivolta però aumentano, manifestazioni e scioperi in tutto il paese. Ma sono sparpagliati, non esiste un coordinamento, un progetto unico. Il regime lo impedisce». È per questo che Cai Chongguo è costretto a cercare di difendere i diritti dei lavoratori cinesi da migliaia di chilometri di distanza. È un sindacalista cinese, ma vive a Parigi, dal 1989. Dopo il massacro di Tienammen fu costretto a lasciare la Cina e a rifugiarsi in Francia. Ha fondato il China Labours Bulletin, un’organizzazione per promuovere il sindacalismo indipendente cinese.

La Cina corre, con tassi di crescita economica vertiginosi. Ma a che prezzo? «A caro prezzo. In Cina la vita è invivibile, stretta tra un capitalismo selvaggio e un regime dittatoriale. È vero, oggi la Cina è più ricca di dieci anni fa, se per ricchezza si intendono ingenti capitali nelle mani di pochi, più cellulari in circolazione, vestiti più belli. Il prezzo da pagare però è stata la sicurezza sociale, la dignità del lavoro, i diritti fondamentali. In Cina la vita è precaria. I lavoratori praticamente non hanno diritti. Lavorano 1214 ore al giorno, sette giorni su sette, senza alcuna garanzia sociale. I salari sono bassi. Lo stipendio medio di un lavoratore in fabbrica si aggira sui 60 euro al mese e nelle campagne ancora meno, anche 20-30 euro al mese. E spesso i salari non sono neanche pagati. Nel 2005 ci sono stati 10 miliardi di euro, di salari non pagati. E la parola sicurezza non esiste. Basta pensare a tutte le

esplosioni nelle miniere di carbone. Almeno 20 mila minatori muoiono ogni anno». In Cina è impossibile tutelare i diritti lavoratori? «In Cina esiste un solo sindacato ufficiale, come all’epoca sovietica, non è un vero sindacato. I dirigenti sono controllati dal governo e dai padroni delle aziende. I sindacati indipendenti sono vietati». Ma com’è possibile da Parigi, a migliaia di chilometri di distanza, coordinare un’attività sindacale in Cina? «Non abbiamo alternative. Per fortuna oggi possiamo usare il telefono e internet. Negli ultimi dieci anni abbiamo costruito una rete di avvocati, attivisti, docenti, giornalisti con cui comunichiamo tutti i giorni. Agiamo a due livelli paralleli. Da un lato usiamo dei canali per raggiungere il pubblico più vasto possibile, per diffondere informazione e la giusta cultura del lavoro. Ogni giorno intervengo nelle trasmissioni delle radio internazionali francesi, tedesche americane con sedi in Cina, come la Bbc. Decine di milioni di cinesi ascoltano queste radio. Contemporaneamente comunichiamo con un target più mirato. E lo facciamo attraverso telefonate, videoconferenze, mail, forum di discussione su Internet». È possibile quindi promuovere l’attività sindacale anche su internet, nonostante la lunga mano del governo? «I metodi per aggirare i controlli del governo ci sono. Ad esempio usando le e-mail e i forum, difficili da controllare. Oppure mettendo le informazioni in rete solo per poche ore, giusto il tempo per farle circolare, e poi cancellando ogni traccia». Qual è il vostro obiettivo? «Aiutare i lavoratori cinesi a rivendicare i loro diritti: salari più alti, uno stipendio sicuro, il rispetto delle norme di sicurezza, garanzie sociali. Vogliamo svegliare le coscienze sui problemi sindacali, del lavoro, della giustizia. Le manifestazioni e gli scioperi stanno aumentando ma sono ancora puntini qua e là, non sono coordinati. Se-

CON I SUOI NOVE MILIONI E MEZZO DI CHILOMETRI QUADRATI di superficie (31 volte quelli dell’Italia), la Cina è uno dei Paesi più vasti del mondo e sicuramente il più popolato: 1 miliardo e 300 mila abitanti. Da qualche anno è anche una delle nazioni con il più alto tasso di crescita del prodotto interno lordo (10,2% nel primo trimestre del 2006) e un polo di attrazione per gli investimenti stranieri (nel 2004 oltre 150 miliardi di dollari concordati). Ma i record della Cina non finiscono qui. E non sono tutti positivi. Mentre l’economia nazionale vola, infatti, la disparità di reddito tra le aree rurali e quelle urbane è tra le più grandi al mondo e le città cinesi registrano tassi altissimi di inquinamento. Le associazioni del settore denunciano la continua violazione dei diritti umani e l’alto numero di esecuzioni capitali, 1770 nel 2005, l’80 per cento del totale mondiale. Inoltre, tra i reati che prevedono la pena di morte in Cina ci sono anche la frode fiscale e l’appropriazione indebita. LA POLITICA. Dalla sua costituzione nel 1949, dopo la guerra civile tra i comunisti di Mao Zedong e i nazionalisti di Chan Khai Shek, la Repubblica popolare cinese è guidata dal Partito comunista (Pcc), unico movimento legale. Il politburo, composto da nove membri del Pcc, esercita il controllo su ogni atto amministrativo, legale ed esecutivo. Non esiste un’opposizione formale ed ogni dissenso è duramente represso. Dal 2003, presidente della Cina è Hu Jintao, che ricopre anche la carica di segretario del Pcc. L’ECONOMIA. La produzione industriale cinese ha registrato un balzo di sedici punti percentuali nel 2005 facendo tremare l’Unione europea che teme la concorrenza soprattutto nel comparto tessile. E un accordo è stato siglato proprio l’anno scorso per limitare le esportazioni tessili del Paese asiatico verso l’Europa nei prossimi tre anni. Dopo aver introdotto riforme di mercato e aver aperto alla liberalizzazione negli anni ottanta, nel 2005 il governo ha lanciato un piano di privatizzazione di grandi industrie siderurgiche, chimiche ed elettroniche per un valore di 200 miliardi di dollari. In passato però, la ristrutturazione di grandi imprese pubbliche aveva portato con sé anche un aumento della disoccupazione, oggi al 4,2%. `P.F.

condo lo stesso ministero della pubblica sicurezza cinese nel 2005 ci sono stati 87 mila tra manifestazioni e scioperi, 2 o 3 volte più del 2002. Ogni volta le manifestazioni finiscono con molti arresti». Pensa che la situazione in Cina possa cambiare? «Certamente, ma non all’improvviso. La situazione è esplosiva, il governo teme queste proteste, da un anno il primo ministro è stato personalmente incaricato di seguire il problema dei salari non pagati». Pensa che in Cina possa avvenire una rivolta popolare di massa? «No, non credo. Non c’è la giusta coscienza né la necessaria organizzazione. Ogni forma di organizzazione viene duramente repressa. E non c’è il supporto degli intellettuali cinesi, sono troppo egoisti. Hanno un doppio linguaggio, con uno straniero, all’estero, parlano di democrazia, libertà. Con un cinese no. Sono ipocriti. È difficile sapere che cosa accade veramente in Cina, perché il regime lo tiene ben nascosto. La Cina dichiara di essere in prima linea nella lotta alla povertà. In realtà 900 milioni di persone hanno un reddito medio di 275 dollari all’anno, cioè meno di un dollaro al giorno».

Cai Chongguo, sindacalista cinese. Vive a Parigi. Grazie al telefono e alla la Rete si tiene in contatto con giornalisti, professori e intellettuali del suo Paese.

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La mappa satellitare delle foreste in via di estinzione

La mappatura fatta da Greenpeace consente di stabilire qual è lo stato attuale delle foreste in Europa, Africa e America latina. Solo l’8 per cento di questo patrimonio viene messo sotto tutela. Il tasso più alto di deforestazione spetta al Brasile. Con le foreste sono a rischio anche le popolazioni indigene.

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GNI DUE SECONDI VIENE DISTRUTTA UN’AREA DI FORESTE

grande come un campo di calcio. Metà delle foreste distrutte negli ultimi 10.000 anni sono andate perdute negli ultimi 80 anni. La metà di questa distruzione è avvenuta a partire di Angelo Miotto dagli anni settanta. Numeri e statistiche. Molte quelle che leggeremo nel rapporto stilato da Greenpeace su foreste e boschi, sul verde in via d’estinzione. Non è un problema ambientalista. Perché dove brucia un albero, dove si desertifica la terra, dove l’industria illegale del legno fa affari e distribuisce solo briciole degli immensi guadagni, sono le specie animali che scompaiono. Prima gli animali, poi l’uomo.

Guardiamo dal cielo Dal satellite. O anche in omaggio a un antichissimo racconto celtico. Gli alberi, narra la tradizione, erano ritenuti sacri e venerati per la loro importanza, per la funzione unica e solenne che erano chiamati a svolgere, quella di sorreggere la volta celeste, il Cielo. Tagliare alberi, distruggerli, rovinare il loro ecosistema era profanare quel ruolo e scatenare disgrazia per gli umani. Il Cielo, senza quei fronzuti e verdi pilastri, sarebbe caduto sulla Terra, schiacciandola con violenza. Ecco perché l’albero, i suoi rami, le sue radici, erano l’elemento necessario, essenziale per la giusta distanza fra cielo e terra in una architettura dai tratti perfetti. Il metodo di Greenpeace per ricavare questa mappa, un atlante | 54 | valori |

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Paesaggi delle foreste incontaminate foreste chiuse,intricate, che hanno una “volta” continua tra gli alberi foreste aperte, dove vi è discontinuità tra gli alberi, boschi e savane Altre foreste foreste chiuse,intricate che hanno una “volta” continua tra gli alberi foreste aperte dove vi è discontinuità tra gli alberi, boschi e savane Scala 1:70.000.000

vero e proprio delle foreste del pianeta è basata sulle più aggiornate immagini satellitari ad alta definizione e un insieme di criteri coerenti che permettono di affrontare l’indagine in maniera completa. Sette aree, con sette particolarità diverse e uno stesso rischio che le accomuna: quello di scomparire e di causare così altre estinzioni: il tasso di sparizione di specie animali e floreali si è moltiplicato mille volte rispetto al ritmo precedente alla comparsa dell’uomo. E le stime dicono che, di questo passo, entro il 2050 raggiungeremo un tassi di estinzione di altre diecimila volte superiore.

Le grandi regioni forestali La mappatura effettuata taglia a spicchi, ben sette, la fotografia che certifica lo stato attuale delle foreste. Ne scegliamo tre: America Latina, Africa ed Europa.

AMERICA LATINA E PATAGONIA La prima tappa, quindi, è l’America Latina tropicale, la più grande regione forestale al mondo. Ma nonostante l’immensa ricchezza che rappresenta questa vegetazione, solo l’8% di tutti questi territori viene sottoposto a un regime di protezione. E proprio nel bacino del rio delle Amazzoni troviamo la più vasta foresta tropicale del mondo che si estende dalle foreste di montagna alle pendici delle Ande. Nella rete fluviale del bacino amazzonico vivono la metà di tutte le specie animali e vegetali terrestri. E sullo stesso territorio, quello brasiliano, troviamo un dato del tutto op-

DOVE SI TROVANO LE FORESTE

LE MINACCE SONO TANTE

I primi dati per l’esplorazione della mappa satellitare sono semplici: ■ meno di un decimo delle terre emerse consiste in foreste intatte ■ 82 i paesi che hanno già perso l’integrità di ogni loro paesaggio forestale ■ il 49% delle foreste tropicali si trova in America Latina, Africa e Pacifico Asiatico ■ il 44% delle foreste boreali è in Russia, Canadà e Alaska.

Le principali minacce per le foreste primarie, intatte, sono: ■ taglio distruttivo e illegale ■ rimozione della foresta per farne piantagioni o pascoli ■ costruzione di strade o infrastrutture ■ sfruttamento minerario o petrolifero ■ costruzione di dighe per l’energia elettrica ■ riscaldamento globale.

posto che ci riporta al tasso mondiale più alto di deforestazione, sempre in Brasile. Ma scendiamo sempre più giù, fino alle distese sconfinate della Patagonia. Diecimila ettari di foresta pluviale sono stati salvati grazie alla campagna di mobilitazione che ha fermato nel 2004 il progetto di costruire un’enorme diga che avrebbe sommerso tutto il territorio. Il polmone della Patagonia è uno dei più ricchi anche di specie viventi e di piante come l’aurucaria, il pino cileno e il cipresso patagonico. Pachamama. Madre Terra. Il rischio che corre la foresta e i boschi della Patagonia sono una reale preoccupazione per le genti che abitano una nazione quasi sconosciuta. È la nazione Mapuche, un nome che, scomposto, significa proprio ‘Gente della Terra’ (mapu=terra). Reyen Kuyeh è una signora sui sessant’anni, il volto è ricco di rughe che segnano il tempo sulla sua fronte, agli angoli dei suoi oc-

chi. È arrivata in Europa per raccontare del suo popolo e della repressione che sta vivendo ancora oggi in Cile, nonostante la nuova presidenza socialista della Signora Bachelet. La cosmogonia mapuche è legata ancestralmente alla terra. Reyen ci racconta delle favole, le fiabe che vengono raccontate ai piccoli mapuche e che narrano proprio della natura, del rapporto fisico fra l’essere umano e la Terra. Non possono mancare gli alberi. E così il pehuen, che i Conquistadores e i missionari spagnoli ribattezzarono aurucaria, è considerata la pianta sacra. «Il pehuen», dice Reyen a Valori, «per noi ha due sessi. C’è il maschio e c’è la femmina. Ed esiste una cerimonia sacra, molto bella: il matrimonio del pehuen. L’emblema di questa unione, che porta ai fiori e ai frutti di cui ci cibiamo, stanno ai piedi dell’albero sacro. Sono le radici che si intrecciano, e grazie a quell’incrocio il matrimonio è consumato». Fiabe, leggende, ma anche religiosità che vive non solo di oralità nel tramandarsi di padre in figlio. «Per noi», dice stupita la signora mapuche «non c’è niente da raccontare come se fosse una magia… basta vedere la pianta e le sue radici e i bambini capiscono immediatamente!».

AFRICA Sono bastati trenta anni perchè l’Africa perdesse gran parte dei propri paesaggi forestali intatti. Uno dei colpevoli? L’industria del legno, ma meno genericamente la forte richiesta di mercato, i |

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IL LEGNO ILLEGALE: AFRICA-ITALIA GABON. 70% del legno illegale. 44.857 metri cubi di segati importati dall’Italia nel 2003 + 50.430 di tronchi e 13.152 metri cubi di compensati. LIBERIA. 100% legno di conflitto, legato direttamente a conflitti armati. 37.636 metri cubi di tronchi importati dall’Italia nel 2003 +808 di segati). Dalla Liberia si importava l’azobé, un legno resistente e durissimo usato per traversine ferroviarie, banchine e infrastrutture, e il pregiato mogano sipo, apprezzato nella fabbricazione di mobili di lusso. COSTA D’AVORIO. Legno di conflitto: la guerra civile tocca anche questo paese, coinvolgendo il settore del legno. 114.767 metri cubi di segati importati dall’Italia nel 2003 + 31.543 di tronchi e 1.652 di compensati GHANA. 60% del legname tagliato in violazione alla legislazione nazionale. 64.000 metri cubi di segati importati dall’Italia nel 2003 e 2.633 di compensati R.D. CONGO. Altro paese sconvolto dalla guerra civile; e in cui il settore del legno viene diretta,ente o indirettamente coinvolto.3.062 metri cubi di segati importati dall’Italia nel 2003 + 38.341 di tronchi. Il wengé congolese è considerato di ottima qualità, e molto apprezzato per la fabbricazione di parquet.

viato il processo di creazione di due nuovi parchi nazionali nell’area di paesaggio forestale intatto. Gran parte delle residue foreste primarie europee si trova nel nord e nord-est della regione. Solo il 14 per cento delle foreste europee consiste in paesaggi forestali intatti. Oltre il 90 per cento di essi si trova nella Russia europea, ed il 3 per cento si trova in Finlandia e Svezia. Questi paesaggi forestali intatti, che includono laghi, fiumi e paludi circondate da foreste, sono l’ultimo rifugio di specie animali e vegetali come l’orso bruno, il cui habitat un tempo si estendeva dalla Scandinavia alle rive del Mediterraneo. Ogni anno oltre 150 chilometri quadrati di paesaggi forestali intatti in Europa cade vittima delle motoseghe e le ultime aree di paesaggi forestali intatti nella Russia europea declinano rapidamente. Il taglio di legname, la costruzione di strade, oleodotti e ferrovie che tagliano paesaggi intatti, riducono le foreste in frammenti sempre più piccoli.

Legno illegale: l’illegal logging e i conflict timber

Secondo l’OCSE il giro d’affari legato ai traffici internazionali di legno illegale si aggira intorno ai 150 miliardi di dollari annui. Ma BIRMANIA/MYAMMA. 100% legno di conflitto: il governo militare non è solo l’aspetto di un business parallelo a spaventare gli ame le fazioni armate utilizzano l’industria del legno per finanziare guerra bientalisti o chi vuole difendere l’equilibrio del pianeta. La presene oppressione. Le compagnie del legno supportano direttamente i le varie za sul mercato di stock di legname a basso prezzo, infatti, impedimilizie ribelli o il governo dittatoriale. 5.054 metri cubi di segati importati sce uno sfruttamento sostenibile delle foreste perché risulta troppo dall’Italia nel 2003, oltre e 2.182 metri cubi di tronchi, prevalentemente caro sul mercato. La diffusione del legno illegale è causata purtropdi teak con cui si fabbricano barche, mobili di lusso, parquet, imbarcazioni. po anche dalla mancanza di scrupoli in larghe parti del mercato inINDONESIA. 89% Il taglio illegale in Indonesia è ormai considerato ternazionale del legno. Il nostro Paese è il primo esportatore monun’emergenza nazionale. Per tagliare alberi di ramino, vengono assaltati diale di mobili in testa a testa con la Cina (esportazioni nel 2002 illegalmente perfino i parchi nazional. Ma anche grandi quantitativi 1.932.230 di tonnellate pari a 8.409.638 dollari). Attorno a questa di meranti sono frutto di taglio illegale. Il meranti è molto usato industria girano in Italia miliardi di euro ogni anno. Secondo la deper fabbricare infissi, mobili e pannelli. L’Italia era il primo importatore finizione fornita dal Royal Institute of International Affaire l’illegal di ramin, illegale fino a quando non è stato protetto dalla convenzione logging si verifica quando il legname è estratto, trasportato, acquistato o venduto in violazione alle leggi nazionali. CITES. 12.388 metri cubi importati dall’Italia nel 2001 La procedura di estrazione è da considerarsi illegale quando fa uso della corruzione per ottenere l’accesso alla foresta, e comprende il taglio senza autorizzazione, il taglio in aree protette, il taglio di specie protette, estrazione di legname in eccesso rispetto ai limiti previsti. L’illegalità può veriguadagni, la corruzione, il traffico d’armi. ficarsi nel trasporto, per esempio in proceUna spirale che pare quasi impossibile. L’IPORTE E FINESTRE dure illegali di lavorazione ed esportazione, talia figura tra i primi importatori di lenel caso di dichiarazioni false o fuorvianti gname da diversi paesi africani. In anni di Ma gli infissi? L’Italia ha importato 9.949 fornite alle autorità doganali, l’evasione delinvestigazioni, l’Unità Crimini Forestali di tonnellate di finestre e 11.789 tonnellate le tasse e di altri pagamenti previsti”. Con il Greenpeace ha scoperto e denunciato nudi porte. Impieghiamo annualmente nome di “conflict timber” (o legno di guermerosi casi di taglio illegale in Africa, secirca 40.000 metri cubi di laminati ra) si definisce quel legno che viene gestito e guendo le rotte commerciali del legname per finestre, e 50.000 metri cubi commerciato direttamente da gruppi armadi origine illegale o distruttiva, fino ai di stipiti e pannelli per porte, oltre ti, fazioni ribelli, militari o dall’amministramercati italiani ed europei. ad una ingente quantità di legname grezzo zione civile allo scopo di alimentare un conimpiegato dai produttori che fabbricano flitto o di trarre vantaggio e guadagno dal EUROPA direttamente. Spesso sono in abete, conflitto stesso. Questa definizione è stata Secondo la mappatura satellitare disegnata ma si impiegano anche specie tropicali. impiegata per la prima volta nel rapporto del da Greenpeace, la maggioranza degli ultimi Comitati degli Esperti del Consiglio di Sicupanorami intatti di paesaggi forestali è nel rezza dell’ONU, incaricato di indagare sul legame tra il conflitto nelquadrante boreale di Russia, canada e Alaska. Per quanto riguarda la le Repubblica Democratica del Congo e lo sfruttamento delle risorse Russia, Greenpeace ha ottenuto una moratoria sul taglio in 12 didel paese da parte dei diversi eserciti occupanti. verse aree di foresta già assegnate a compagnie del legno, ed ha av-

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Finanza solidale

I due fiumi dell’economia di Massimiliano Pontillo

S

E CI FERMASSIMO A RIFLETTERE SULLA STORIA ECONOMICA E SOCIALE DELL’OCCIDENTE ci accorgeremmo dell’esistenza

di due fiumi. Il primo, largo e potente, racconta la storia di imprese, mercanti e banche che hanno concepito l’economia come un mezzo per procurarsi denaro e ricchezza, da impiegare nella propria esistenza. Parallelamente è sempre esistito un altro corso d’acqua, più piccolo e a volte sotterraneo, rappresentato dalle “imprese sociali” di ogni tempo e dal movimento cooperativo, che ha vissuto la vita economica come luogo di umanizzazione, come espressione di valori più alti del solo profitto. Ma è anche la storia del credito solidale che ha affiancato le banche nate con vocazioni spesso speculative. Possiamo collocare la nascita della finanza solidale nella metà del ‘400 in Umbria e nelle Marche con i Monti di Pietà, per iniziativa di “alcuni uomini amanti dell’umanità”. Cominciarono ad estendersi in tutta Italia e nel resto d’Europa, per poi scomparire come tali nel secolo scorso e riemergere oggi nelle varie forme di microcredito e di finanza etica. Le famiglie meno abbienti non avevano accesso al credito, erano costrette a rivolgersi agli usurai precipitando spesso in miseria. Per loro fortuna i francescani della riforma, molto attenti agli aspetti concreti dell’evangelizzazione, promossero i Monti di Pietà come mezzo di cura della povertà e di lotta all’usura. Queste istituzioni, come il microcredito, nascono per i poveri: sono i “banchieri dei poveri”. I prestiti erano e sono di piccola entità e l’obiettivo non è mai stato Il microcredito non il profitto, ma l’economicità oggettiva è solo un vincolo per poter è più solo una “roba” svolgere la propria missione, che resta innanzitutto e prevalentemente da poveri e una questione sociale. I fidi, inoltre, si inseriscono dentro una dinamica comunitaria: decisiva per i Pvs ma in passato i Monti prestavano ai cittadini bisognosi del contado un’opportunità e delle città, oggi il microcredito si rivolge alle comunità. È il legame per gli Occidentali sociale ad aver sempre rappresentato la principale garanzia. Il prestito è un intervento per curare un organismo sociale malato perché in esso vi sono persone povere che vanno recuperate. Ecco perché l’obiettivo di questi prestiti è la reciprocità: non sono regali ne forme di assistenzialismo, ma puntano allo sviluppo integrale della società e di ciascun individuo. Un esempio su tutti: la Grameen Bank, fondata da Muhammad Yunus (foto), che in questi mesi compie trent’anni. Se fino ad oggi al “Banca dei poveri” ha incentrato il suo metodo di finanziamento sul livello collettivo, adesso si avvia a dialogare direttamente con ogni singola persona, consentendogli di poter beneficiare di programmi di microfinanziamento ad hoc. Rispetto alle origini, dunque, in cui la persona veniva considerata in modo assolutamente omologo e indistinto attraverso la politica collettivistica dei gruppi, in futuro verrà a delinearsi un nuovo programma di incentivi basati sul metodo del singolo che permetterà ai soggetti più corretti e intraprendenti di poter beneficiare di trattamenti favorevoli e procedure più rapide. Il microcredito non è più solo “roba” da poveri e una questione decisiva per i Paesi in via di sviluppo: dal 2005, che le Nazioni Unite hanno dedicato a questi temi, è sempre più al centro del dibattito economico-finanziario dei cosiddetti Paesi ricchi, come dimostra la diffusione in Europa dei piccoli prestiti e di una serie di servizi finanziari che agevolano l’autoimprenditorialità, soprattutto di donne e giovani. C’è ancora tanta strada da percorrere!

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Il peso politico dei migranti al meeting di Loreto >60 Responsabilità sociale, l’etica sfida il profitto >65

economiasolidale NASCE LA GUIDA AL VESTIRE CRITICO

IL SUCCESSO DI TERRA FUTURA, 72 MILA VISITATORI IN TRE GIORNI

IMPRESA SOCIALE, NUOVA FIGURA SOCIETARIA

LA TOSCANA VARA IL PIANO INTEGRATO SOCIALE

“DIFENDIAMO I LORO DIRITTI”, DAI PALLONI DI SIALKOT PARTE LA CAMPAGNA EUROPEA

UN METRO DI FILARE DI VIGNA PER UNA DOCCIA

Quanto sfruttamento c’è dietro una maglietta, un paio di scarpe o di pantaloni? Che cosa accomuna tanti prodotti diversi per colore, forma e stile? In molti casi il comun denominatore è lo sfruttamento o le condizioni di lavoro ingiuste, umilianti e oppressive in cui sono realizzati. Francuccio Gesualdi e il “Centro nuovo modello di sviluppo” hanno realizzato una “Guida al vestire critico”. Un’impresa difficile per la vastità del settore e per la complessità produttiva, che ha costretto gli autori a raccogliere informazioni da un capo all’altro del mondo. Le imprese, infatti, delocalizzano la produzione in Paesi in cui lo sfruttamento del lavoro minorile, il divieto di organizzazione sindacale, i salari al di sotto della soglia di povertà e le condizioni di lavoro disumane e insalubri sono la normalità. La difficoltà è accentuata dal fatto che nel commercio equo e solidale l’abbigliamento è un prodotto agli esordi. L’obiettivo, dunque, di questa guida è far conoscere la complessità del settore, divulgare le informazioni disponibili sulle imprese più in vista e fornire ogni possibile traccia per poter orientare i nostri acquisti verso prodotti ottenuti nel rispetto dei diritti, dell’equità, della sostenibilità. Un primo punto di riferimento, anche se gli stessi autori ribadiscono che la miglior arma per contrastatre il potere delle multinazionali è ridurre gli acquisti.

La terza edizione di “Terra Futura” è stata un successo per i numeri, per il livello del dibattito e per la partecipazione. Alla Fortezza dal Basso di Firenze sono arrivate oltre settantamila persone per visitare i padiglioni allestiti dai 390 espositori, in un’area fieristica di 100 mila metri quadrati, i laboratori e i 180 appuntamenti culturali, per oltre 680 relatori intervenuti. Tra questi Susan George, direttore del Transnational Institute, che ha affermato: «A Terra Futura abbiamo potuto discutere assieme le possibili soluzioni per riuscire a salvare l’ambiente. Il cambiamento necessario non può avvenire spontaneamente, perché tocca equilibri politici e rapporti di forza: ha bisogno di strategie e soluzioni comuni». E ancora, Gunter Pauli, fondatore di “Zero emission research & initiatives”, e Suor Patricia Wolf, direttore dell’Iccr, Centro interreligioso sulla responsabilità sociale. Si tratta di una coalizione internazionale di 275 investitori cristiani ed ebraici che investono i loro patrimoni per votare ogni anno più di 100 risoluzioni di carattere sociale e ambientale nelle assemblee degli azionisti delle maggiori imprese americane. A “Terra Futura”, oltre ai dibattiti di alto livello e alle grandi azioni che agiscono sui principali meccanismi del sistema, è stato dato spazio a ciò che aiuta a praticare ogni giorno la sostenibilità. Stand e laboratori con impianti solari o minieolici, soluzioni per il risparmio idrico, impianti fotovoltaici, detersivi alla spina, tintura naturale degli abiti, gioielli realizzati con oggetti di riciclo, l’Energy Camper (alimentato con fonti energetiche alternative), il veicolo Reva (l’auto elettrica che rispetta l’ambiente), il risciò a pedali per una mobilità totalmente ecologica, la “casa sostenibile”, il trattore a olio di colza, la “cucina solare”, la carne vegetale “muscolo di grano”, gli “ecogiochi”, tra cui i giochi creati con materiali di scarto, i palloni equosolidali, abbigliamento in fibre naturali.

A partire da maggio, si è affiancata alle tradizionali forme societarie una nuova figura: l’impresa sociale, organizzazione privata commerciale senza scopo di lucro. Infatti è entrato in vigore il decreto legislativo sulla disciplina di questa nuova forma societaria. Possono acquisire questa qualifica tutte le organizzazioni private che esercitano stabilmente e principalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale. I beni e servizi di utilità sociale sono quelli prodotti o scambiati nel settore dell’assistenza sociale, sanitaria e socio-sanitaria; educazione, istruzione e formazione; tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; valorizzazione del patrimonio culturale; turismo sociale; formazione universitaria e post-universitaria; ricerca ed erogazione di servizi culturali; formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo; servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al settanta per cento da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale. Per la costituzione della società è necessario l’atto pubblico.

Tracciate dalla Regione Toscana le linee d’intervento in materia di welfare per il quinquennio 2006-2010. L’obbiettivo è quello di dare vita ad un “welfare di comunità” a carattere universalistico. Si tratta di interventi a favore di famiglie, giovani e nuove coppie. Politiche per il rilancio della natalità e sul disagio abitativo. Promozione delle pari opportunità e integrazione degli immigrati. Assistenza ai disabili e a chi non è autosufficiente. Contrasto alle povertà e qualificazione della rete dei servizi. Sono queste le priorità del nuovo Piano integrato sociale, nel quale saranno proprio le comunità a prendersi cura delle persone che soffrono o vivono in condizioni di disagio, grazie anche alle organizzazioni di volontariato. Si tratta di realizzare un “welfare municipale”, in cui avranno un ruolo da protagonista con Comuni, Comunità montane e Province. Il nuovo Piano dovrà definire anche i livelli essenziali di assistenza e promuovere l’integrazione socio-sanitaria, grazie ad un unico documento di programmazione, elaborato in stretto rapporto con il Piano regionale si sviluppo, ed allo sviluppo delle Società della salute. Resta però aperto il problema delle risorse. L’assessore Gianni Salvadori ha ricordato che i trasferimenti dal Fondo nazionale per le politiche sociali sono stati dimezzati. Un taglio che in termini assoluti supera i 30 milioni di euro.

La rete europea delle botteghe del commercio equo e solidale, che rappresenta circa 2.500 punti vendita equosolidali in 13 Paesi, ha lanciato l’iniziativa “Difendiamo i loro diritti” contro lo sfruttamento del lavoro minorile nel Sud del mondo. Uno dei progetti più conosciuti, che rientrano in questa campagna, è “Diritti in gioco” che riguarda la produzione di palloni di cuoio commercializzati dalla cooperativa ferrarese Commercio Alternativo. Il progetto è un esempio di successo di questa campagna europea. I palloni, infatti, sono prodotti in Pakistan, a Sialkot, nel cui distretto viene lavorato il 70 per cento di tutta la produzione mondiale e dove fino a dieci anni fa il lavoro minorile era dilagante. Dopo la forte campagna di pressione internazionale e dopo l’intervento dell’Organizzazione internazionale del lavoro, il fenomeno di sfruttamento oggi è praticamente scomparso. I palloni della cooperativa Commercio Alternativo sono il risultato di una partnership con Fairtrade-Transfair Italia (ente di certificazione equosolidale) e Iscos (organizzazione di cooperazione internazionale della Cisl). Le risorse raccolte tramite la vendita dei palloni, insieme ai proventi di altre forme di cooperazione, uniti all’esperienza a Sailkot di Iscos, serviranno per creare una serie di iniziative di sviluppo e formazione sindacale. A partire da un programma formativo per i lavoratori delle imprese produttrici di palloni, un corso specifico per le donne lavoratrici, un centro educativo e ricreativo per i bambini della comunità e infine un centro per le donne, che incoraggerà la loro partecipazione attiva alla comunità.

Il caro petrolio e la prospettiva dell’esaurimento delle scorte di oro nero stanno portando al centro del dibattitto mondiale le energie rinnovabili. La Fiper (Federazione italiana energie rinnovabili), che riunisce oltre 40 produttori di energia da biomasse, da molto tempo afferma le potenzialità energetiche che le biomasse rappresentano per il Bel Paese. Chi utilizza gli impianti di teleriscaldamento a biomassa oggi può risparmiare almeno il 35% in bolletta rispetto a chi usa il gasolio e, soprattutto, non deve subire gli aumenti. Ad esempio, da un metro di filare di vigna si può avere un kg di biomassa, tanta quanta ne serve per fare una doccia al giorno. I vantaggi economici e ambientali sono, dunque, molti: si stima, infatti, che grazie al teleriscaldamento e alla cogenerazione il risparmio di fonti fossili sarebbe, da qui al 2010, del 12,5%. Nei prossimi anni l’utilizzo energetico del legno potrebbe aumentare grazie anche ad una corretta gestione dei boschi. Ipotizzando un aumento delle operazioni di manutenzione del bosco sarebbe possibile destinare ad uso energetico circa 15 milioni di metri cubi. Secondo stime della Fiper di fronte alla costruzione di 500 nuovi impianti, la quantità di biomassa legnosa richiesta sarebbe nell’ordine di almeno 4 milioni di tonnellate all’anno.

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Sopra, padre Beniamino Rossi A sinistra, Sbarco di immigrati albanesi. In Europa vivono 25 milioni di immigrati stranieri ai quali vanno aggiunte le seconde generazioni naturalizzate. Attualmente l’Europa ne attrae più che l’America.

A luglio si terrà la nona edizione del Meeting di Loreto. Dibattiti e tavole rotonde per discutere della “voglia di politica” degli immigrati. Gli incontri, a cui parteciperanno studiosi italiani e stranieri, si articoleranno su tre livelli: le politiche regionali nei confronti dei migranti, la politica di emergenza e contrasto attuata in Italia, le politiche differenziate in Europa. Le problematiche delle seconde generazioni esigono una revisione profonda delle politiche dei Paesei europei. di Beniamino Rossi

MONS. GIOVANNI BATTISTA SCALABRINI DEL novembre 1997, un gruppo di laici, entusiasti del carisma di colui che era stato definito il “Padre degli emigrati”, ha elaborato un’idea interessante: creare un momento ed un luogo di riflessione sulle problematiche e sulle politiche migratorie in Italia, proprio durante l’estate, per fare il punto sulla situazione e per rilanciare il dibattito e l’azione su una tematica che diventava sempre più corposa ed impegnativa. Dopo anni di interventi assistenziali generosi ma spesso un po’ disordinati e dopo varie sanatorie più o meno improvvisate o ragionate, si stava approntando un legge quadro (la Turco - Napolitano) perché ci si era ormai confrontati con una nuova fase di stabilizzazione e di inserimento in un’Italia che da Paese di emigrazione stava camminando velocemente per diventare, come altri Stati europei, un vero e proprio Paese di immigrazione. Diventava necessario offrire un contributo, sia pur modesto, per una riflessione ragionata e pacata al dibattito politico italiano spesso esasperato ed esagitato e, comunque, inquinato da posizioni ideologiche o populiste. Il primo Meeting di Loreto del 1988 aveva come titolo: “Nessun luogo è lontano”, che poi diventerà il nome dell’Associazione Onlus che l’aveva promosso. L’Associazione organizzerà altri due Meeting: 2° Meeting sull’integrazione (1999), Europa: la memoria e il futuro (2000). IL PESO POLITICO DELLE MIGRAZIONI Con il 2001 l’organizzazione del Meeting di Loreto (MIM) passa sotto la responsabilità dei Missionari e Laici Scalabriniani. In QUALE GOVERNANCE LOCALE, NAZIONALE continuità con le tre precedenti manifestazioni si è cercato di alED INTERNAZIONALE DEL FENOMENO MIGRATORIO? largare la riflessione anche al dibattito europeo: Europa: dialogo tra Si svolgerà a Loreto dal 7 al 12 luglio 2006 il 9° Meeting Internazionale sulle Migrazioni, dedicato alla politica delle migrazioni. le culture, una sfida (2001), Migranti in Europa: cittadini o forza laIl Meeting è riconosciuto dal Presidente della Repubblica voro (2002), Globalizzazione e migrazioni in Europa (2003), Migrancon il conferimento di una medaglia d’argento. L’ASCS (Agenzia ti, cittadini della nuova Europa. Mobilità e diritti (2004). Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo) organizza l’evento con i Missionari Scalabriniani e avrà la qualificata collaborazione Nel 2005 l’organizzazione del Meeting passa sotto la responsadalla Fondazione Giovanni Agnelli di Torino e dell’ISMU (Iniziative bilità della Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Svilupe Studi sulla Multietnicità) di Milano. po (ASCS) Onlus, il braccio operativo nel campo cultura, sociale e Per informazioni aggiornate sull’evento si può consultare il sito politico dei Padri Scalabriniani, che promuoverà l’8° MIM di Lorewww.meetingloreto.it to, dal titolo Figli di stranieri o figli di nessuno? (2005). Con l’edizio-

Brindisi, 1997

INDOMANI DELLA CELEBRAZIONE DELLA BEATIFICAZIONE DI

L’

Occorrono politiche nelle quali gli immigrati siano visti come parte integrante e normale della vita sociale

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GIUSEPPE LANZI SISIFO

STEFANO DE LUIGI/CONTRASTO

Il peso politico dei migranti Per una democrazia di tutti e per tutti!

ne del 2003 si è incominciata la pubblicazione degli Atti del Meeting, con il patrocinio ed il finanziamento della Provincia di Ancona.

Dall’ottavo al nono Meeting Il tema delle seconde generazioni, argomento dell’8° MIM si è rivelato di grande attualità: in effetti, le seconde generazioni in Europa stanno facendo emergere le contraddizioni delle politiche migratorie ed il loro fallimento: da esse sono scaturite vere e proprie situazioni esplosive.

Gli immigrati sono da sempre stati considerati come una minoranza che deve essere “oggetto” della politica della maggioranza: sono stati considerati fino alla crisi energetica della metà degli anni ‘70, “merce lavoro” funzionale alle congiunture economiche; successivamente, l’immigrazione è stata bloccata e si è andata espandendo la presenza di immigrati clandestini, accanto ai vecchi immigrati disoccupati o che hanno dovuto rimpatriare. Negli ultimi anni, anche in Italia, si è consolidata la presenza di una “popolazione immigrata”, che avrebbe dovuto interessare tutto il tessuto sociale ed istituzionale delle società di accoglienza. La politica, invece, ha continuato a guardare alla presenza straniera principalmente sotto l’aspetto economico e nell’ottica di contenimento delle nuove entrate: dall’ideologica “opzione zero” alle quote di immigrazione, fino alle periodiche sanatorie o regolarizzazioni degli immigrati irregolari, adottate da tutti i Paesi europei. Così, gli immigrati sono rimasti sostanzialmente ai margini della società locale, relegati in una specie di “limbo” culturale, sociale e politico: un pezzo della società, quella formata dalla popolazione immigrata della prima e delle seconde generazioni, è stata volutamente mantenuta “fuori” dalla convivenza sociale, culturale e civile. Il mondo sindacale ha spesso preferito la difesa degli autoctoni a |

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I DATI SULLE MIGRAZIONI

scapito degli immigrati e dei loro figli, rompendo l’unità e la solidarietà di un mondo operaio in crisi a causa della perdita di importanza del mondo industriale nelle economie e nelle società europee. La scuola, ossessionata dal mito ottocentesco della monocultura nazionale, non ha saputo offrire alla popolazione scolastica, sia autoctona che immigrata, una formazione che spaziasse oltre i confini della cultura nazionale per preparare i giovani a diventare protagonisti dell’Europa e del mondo di domani. Non si è riusciti a trovare la strada dell’intercultura, e non si è operato uno sforzo pedagogico e didattico che permettesse ai figli degli immigrati di avere la stessa opportunità di riuscita, per inserirli in modo pieno nella società del futuro. Le problematiche delle seconde generazioni esigono una revisione profonda delle politiche dei singoli Paesi dell’Unione e dell’Unione stessa. Per questo il Meeting 2006 vuole affrontare il tema delle politiche migratorie. Una “voglia di politica”, probabilmente implicita ed inespressa, da parte della popolazione immigrata stabilmente residente sul territorio. La politica sociale, culturale ed economica di ogni Paese non può continuare ad ignorare sistematicamente le minoranze immigrate, che risultano strutturali alla sua vita. Per questo è giunto il momento di pensare a politiche nazionali ed europee nelle quali la popolazione immigrata sia vista come parte integrante e “normale” della vita sociale, culturale, civica del paese di residenza.

Una democrazia per tutti e di tutti! L’Europa all’inizio del terzo millennio ha superato il Nord America come polo di attrazione dei flussi migratori mondiali. La presenza sul territorio europeo di quasi 25 milioni di immigrati “stranieri”, ai quali vanno aggiunte le seconde generazioni naturalizzate, esige una visione politica veramente “nuova”.

Bisogna, infatti, superare le attuali impostazioni, che hanno fossilizzato e settorializzato le politiche migratorie in modo quasi esclusivo alle problematiche relative al mercato del lavoro, alla sicurezza interna e al contrasto dell’immigrazione clandestina. Si può giustamente parlare di “politiche migratorie” quando il fenomeno è agli inizi e i migranti risultano provvisori e non ancora inseriti nel contesto sociale, culturale e politico di un territorio. Si continua a parlare di “politiche migratorie” quando prevale una visione “ideologica”, che pretende di relegare i migranti in una “categoria” sociale ed economica, considerandoli quasi esclusivamente come portatori di problemi, o ingabbiarli in una situazione di esclusione. La presenza di una vera e propria popolazione straniera ha investito ormai in modo globale tutti i settori della società: dall’economia al mercato del lavoro, dalla politica interna alla politica estera, dalla istruzione-formazione alla sanità, dalla produzione al commercio, dal welfare all’edilizia abitativa. Le nostre società europee risultano socialmente, culturalmente e religiosamente composite e meticcie. Nella realtà plurietnica e pluriculturale, che costituisce il nuovo volto dell’Europa e delle singole società locali, gli immigrati, se risultano strutturali al mercato del lavoro, lo sono anche allo sviluppo sociale, economico e culturale, al normale convivere civile e perfino alla gestione dei conflitti societari. L’obiettivo generale della politica è proprio quello di trovare le strutture e le modalità per la realizzazione di una società coesa nel panorama delle diversità di cui essa è composta, tra le quali non si possono ignorare le minoranze etniche, sociali e culturali dei migranti. Si può dunque pensare che sia maturata la stagione nella quale più che di “politiche migratorie” si debba pensare ad una politica di gestione della società reale, composta da tante situazioni, proble-

matiche, conflittualità e potenzialità, tra le quali risulta come parte integrante anche la dimensione dei migranti. Il 9° Meeting di Loreto vuole sviluppare questi concetti “politici” con l’apporto di studiosi ed esperti locali, italiani ed europei, attraverso il modulo consolidato di tavole rotonde, che si articoleranno su tre giorni ed in tre livelli: il livello locale delle politiche regionali nei confronti dei migranti (lunedì 10 luglio); il livello nazionale italiano, che è ancorato ad una politica di emergenza e di contrasto e stenta a trovare la strada di una gestione della società italiana diventata multiculturale (martedì 11 luglio); il livello europeo (mercoledì 12 luglio), nel quale si trovano esperienze politiche e riflessioni molto differenziate, che ci possono aiutare ad una riflessione globale. All’interno del Meeting si celebrerà sabato 8 luglio la “festa dei popoli” con la partecipazione delle comunità etnico linguistiche presenti sul territorio, mentre la domenica si svolgerà un torneo multietnico. Nel fine settimana si cercherà di riflettere sul quadro mondiale attuale della mobilità umana con una finestra sulle premesse politiche che stanno alla base del rapporto tra società civile e religioni. L’approccio interculturale si esprimerà attraverso altri linguaggi: i laboratori, che si svolgeranno nei pomeriggi di lunedì, martedì e mercoledì, mentre le serate saranno animate da spettacoli di musica etnica. Non mancherà un “grande spettacolo”, organizzato dalla Delegazione Pontificia del Santuario di Loreto in onore a Papa Giovanni Paolo II. Interventi, dibattiti, riflessioni, laboratori, mostre, feste popolari e spettacoli, che si articoleranno per quasi una settimana all’interno del contenitore Meeting, per coniugare, attraverso vari linguaggi, lo stesso tema di ricerca di una politica “nuova” per la società di oggi, della quale i migranti sono parte integrante ed insostituibile.

SECONDO LE STIME DELLE NAZIONI UNITE, gli immigrati nel mondo erano circa 75 milioni nel 1965 e sono 175 milioni nel 2002. Di questi 175 milioni di non-nazionali nel mondo, 25 milioni sono in Europa e 35 in America del Nord (Stati-Uniti, Canada, Australia). I 110 milioni restanti si trovano altrove, nel Sud del pianeta. La maggioranza dei poveri resta dai poveri e non ha i mezzi di emigrare verso il Nord. La minaccia troppo spesso ventilata di una grande invasione è ingiustificata. Se i 175 milioni di migranti internazionali registrati nel 2000 formassero una singola entità politica, essi rappresenterebbero il quinto paese più popoloso del mondo. Quasi la metà di questi migranti in tutto il mondo, circa 86 milioni di adulti, è economicamente attiva, impiegata in attività remunerative. Le donne costituiscono il 49 per cento del totale dei migranti internazionali. Esse rappresentano sempre di più la prima fonte di reddito per le loro famiglie. Oltre ai migranti per ragioni economiche, oggi nel mondo ci sono più di 30 milioni di rifugiati (80% sono donne). Le migrazioni sono spesso la conseguenza di situazioni di violenza che generano flussi di rifugiati e di sfollati (circa 12 milioni di rifugiati e 20 milioni di “sfollati” nel mondo che non sono considerati tecnicamente rifugiati perché non hanno varcato nessuna frontiera internazionale). Dal 1945, quasi tutti i conflitti armati sono avvenuti nei paesi poveri. Dal 1989 sono scoppiati 82 conflitti, di cui 79 a carattere civile. Ben 4 su 5 vittime di conflitti sono civili. L’80% sono donne e bambini. Quasi 2 milioni di bambini sono morti negli ultimi 10 anni a causa di conflitti armati. Quattro uomini su cinque uccisi nel mondo lo sono con un’arma costruita nei paesi del Nord. Ci sono 110 milioni di mine, disseminate in 68 paesi. Il commercio delle armi ammonta a 815 miliardi di dollari all’anno e i membri del Consiglio di Sicurezza ne controllano l’86%.

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Sbarco di immigrati albanesi. Fino agli 1970-80, l’emigrato si identificava con l’italiano, lo spagnolo, il portoghese. Oggi l’emigrato è sempre più un non europeo e spesso di religione musulmana.

Sono scalabriniano dalla parte degli ultimi

Brindisi, 1997

IOVANNI BATTISTA SCALABRINI MUORE NEL 1905, lasciando una Congregazione che aveva solo 18 anni di vita ed era presente, fuori Italia, essenzialmente in Brasile e negli Stati Uniti. Dopo quasi 120 anni di esistenza quella congregazione nata dall’intuizione profetica di Scalabrini ha continuato a crescere e ad allargare i confini della sua azione “socio-pastorale” in favore dei migranti. La Francia, che in più di cent’anni ha accolto quasi 5 milioni d’italiani, è stata la prima nazione europea dove si sono diretti i missionari scalabriniani. Nel 1936 la prima comunità scalabrinian è stata aperta a Parigi. Sono seguite altre installazioni nei maggiori Paesi di emigrazione italiana : l’Argentina (1940) con i suoi 3 milioni di emigrati italiani, la Svizzera (1942) che ha accolto più di 4 milioni d’italiani, Belgio e Lussemburgo (1946) con 600 mila italiani, Australia e Cile (1952) con 600 emigrati italiani, Canada (1953) con 700 mila, Inghilterra (1954) con 300 mila, Ger-

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mania (1957) con più di 2 milioni e mezzo, Venezuela (1858) con 300 mila, Uruguay (1962) con 200 mila. Negli anni 1960, la Congregazione scalabriniana capisce che è venuto il momento di piantare le sue tende non solo fuori dall’Italia, ma anche fuori dalla propria cultura. Viene allora modificato lo scopo iniziale (“in favore degli emigrati italiani”) cancellando ogni barriera etnica. Dal 1966 la nuova finalità dei missionari di Scalabrini diventa l’assistenza pastorale dei migranti più bisognosi, indipendentemente dalla loro nazionalità. Da questa data la congregazione scalabriniana s’internazionalizza: i suoi missionari si preoccupano dei migranti di ogni origine e, allo stesso tempo, i giovani di ogni etnia cominciano a far parte delle comunità scalabriniane. Altre posizioni pastorali sono così aperte: Portogallo (1971), Paraguay e Porto Rico (1974), Colombia (1979), Messico (1980), Filippine (1982), Guatemala (1991), Haiti e Repubblica Dominicana (1992),

STEFANO DE LUIGI/CONTRASTO

In 120 anni di storia la congregazione si è affermata in tutto il mondo. Una presenza profetica non solo per la Chiesa.

Monzambico e Sud Africa (1994), Taiwan (1996), Bolivia (1999), Perù (2000), Indonesia (2002), Giappone (2003). Quest’allargamento di finalità esige alcuni cambiamenti radicali nella maniera di considerare l’emigrazione. Fino agli anni 1970-80, l’emigrato s’identificava con italiano, portoghese, spagnolo, cioè un europeo, di cultura e religione cristiana. D’ora in poi l’emigrato sarà sempre più non-europeo (africano, asiatico, latino-ame-

ricano) e spesso di cultura e religione musulmana. La stessa Italia da serbatoio di mano d’opera per l’emigrazione mondiale è diventata, da qualche decennio, paese di accoglienza per numerosi (quasi 3 milioni) immigrati extra-comunitari. La reazione immediata è quella di dimenticare il proprio passato di emigrazione e di esigere che gli immigrati di oggi paghino lo stesso prezzo (con gli interessi naturalmente) pagato dagli italiani di un tempo. Quali sono le forme di accoglienza e gli attegiamenti di apertura più adatti ad affrontare la nuova realtà migratoria mondiale? A questa domanda cercano di rispondere oggi i 700 missionari scalabriniani sparsi in 29 paesi del Mondo attraverso la loro variegata attività.

Cosa fanno gli scalabriniani? Durante i centovent’anni di storia la congregazione scalabriniana ha imparato ad inserirsi gradualmente nelle |

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LE CIFRE SULL’IMMIGRAZIONE IN EUROPA NEL 2002 L’UE DEI 15 CONTAVA 20.200.000 stranieri regolari (su 375 milioni d’abitanti, cioè il 5,4%). Aggiungendo gli 850 mila stranieri dei 10 nuovi paesi allora candidati alla UE e gli 1,5 milioni di Svizzera a Norvegia arriviamo a circa 22.550.000 stranieri presenti in questa parte d’Europa (= il 4,8% di 460 milioni di abitanti totali) Un confronto con altri grandi paesi d’immigrazione rivela che gli immigrati (o residenti nati all’estero) sono, rispetto alla popolazione residente: il 23,6% in Australia (4,5 milioni su 19 milioni di persone in totale) il 19,3% in Svizzera (1.385.000 su 7.170.000) / 37,3% in Lussemburgo (165.000 su 440.000) / 20,1% in Estonia (275.000 su 1.370.000) il 17,4% in Canada (4.971.000 su 30.570.000) il 10,4% negli Stati Uniti (28.400.000 su 280 milioni di persone) L’immigrazione nella UE è un fenomeno prevalentemente continentale: più della metà degli stranieri presenti (56,7% =11.500.000) provengono da altri paesi europei (di cui il 29%=5.800.000 erano cittadini di paesi UE); il 16% (3.200.000) provengono dall’Africa; l’11,5% (2.300.000) dall’Asia, il 5,6% (1.100.000) dall’America e lo 0,7% (150.000) dall’Oceania. Circa 8 milioni di persone, originarie essenzialmente del Maghreb, della Turchia e del Pakistan sono musulmane. Quasi 70% di questi vive in 4 paesi: Germania, Francia, Inghilterra e Italia. Fra le 30 comunità più importanti residenti nei 15 paesi dell’UE, cinque comunità (Turchi, ex-Iugoslavi, Italiani, Portoghesi e Marocchini) rappresentano più di 40% degli stranieri.

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INFO www.scalabrini.org/fcms

diverse chiese locali. Essa non vuole costrire una “chiesa parallela” fatta solo per i migranti, ma vuole invitare tutti, cristiani autoctoni, cristiani migranti e non-cristiani, a vivere lo spirito dell’apertura, della solidarietà e dell’accoglienza di modo che ognuno possa ritrovarsi all’interno dell’unica famiglia di Dio. In questa prospettiva, la congregazione scalabriniana si prefigge di servire la Chiesa e la società civile come “presenza provocante e profetica” che aiuti l’una e l’altra a prendere coscienza delle proprie responsabilità verso i migranti. Le principali strutture pastorali degli scalabriniani fra i migranti sono: parrocchie e missioni che possono essere “personali” (per un gruppo specifico di emigranti sparsi in una nazione), “territoriali” (per un gruppo di persone, migranti e non, abitanti una certa zona) o “pluriculturali” (per diversi gruppi etnici); missioni volanti fatte soprattutto in Australia, in Brasile, in Argentina e per i filippini sparsi in Asia e in Europa. Era la forma pastorale privilegiata da Mons. Scalabrini e si rivela ancora utile là dove dei gruppi di migranti vivono lontani dalle sedi di missione; apostolato del mare fatto dagli scalabriniani nei porti principali del mondo (Santos, Buenos Aires, Manila, New York...) in favore degli equipaggi delle navi per difendere i loro diritti e promuovere la loro fe-

La prima scoperta del migrante è che la terra che pensa aperta è sempre la terra dell’altro

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de soprattutto sul piano ecumenico, di dialogo con tutte le religioni; centri di accoglienza e di prima assistenza creati soprattutto per rispondere alle situazioni di emergenza per i migranti (specialmente “indocumentati” alla frontiera tra Stati Uniti e Messico); centri di animazione pastorale per coordinare la formazione dei migranti in modo da inserirli gradualmente nelle parrocchie locali; centri di animazione per le vocazioni e di formazione dei laici per proporre ai giovani dei diversi movimenti ecclesiali e agli adulti sensibili ai problemi dei migranti il carisma scalabriniano e la possibilità d’impegnarsi nella congregazione. Gli scalabriniani hanno anche alcune presenze significative negli organismi ecclesiali per la pastorale dei migranti, nelle organizzazioni civili e nei mass-media. Un esempio di tale attività viene dai Centri Studi per le Migrazioni la cui finalità specifica è l’analisi del fenomeno migratorio sia dal punto di vista sociologico che teologico-pastorale. I Centri Studi Migratori degli Scalabriniani, presenti oggi a Roma, Parigi, Basilea, New York, San Paolo del Brasile, Buenos Aires, Manila, sono tra loro aggregati in Federazione ed hanno come obiettivo primario di sensibilizzare - tramite la documentazione, l’informazione, l’edizione e la formazione - la società locale per condurla a considerare le migrazioni internazionali come fattore di trasformazione e di ricomposizione del paesaggio sociale, culturale e religioso delle diverse società nazionali. I Centri Studio Migratori scalabriniani si propongono inoltre di aiutare gli immigrati a conservare e a ravvivare la memoria storica, sociale, politica e culturale delle loro comunità, aiutandoli a superare il cambiamento psicologico causato dall’emigrazione sull’identità del migrante. Di fatto, il primo cambiamento cui l’immigrato è sottoposto è quello dovuto alla scoperta che la terra che lui immaginava aperta e accogliente rimane sempre la terra dell’altro. Il secondo cambiamento è conseguente all’esperienza che questo altro (= “padrone della terra”) è disposto a riconoscere l’immigrato solo nei suoi figli. Il terzo cambiamento del migrante è dovuto alla percezione che i suoi figli saranno riconosciuti dall’altro solo e nella misura in cui saranno diversi da lui. A questo punto il cerchio è completo e l’emigrante-immigrato non riconosce più né se stesso né i suoi. Lo sforzo dei Centri Studi Migratori, come di ogni scalabriniano, è di continuare ad unire in dialogo l’unicità della persona, la particolarità delle diverse appartenenze e l’universalità propria di coloro che condividono la dignità umana, coscienti che gli scalabriniani non pretendono di risolvere tutti i problemi delle migrazioni, ma vogliono proporre alcuni gesti di speranza che possano invogliare altre persone nell’opera continua di trasformazione del mondo.

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Responsabilità sociale, l’etica sfida il profitto Il primo sistema multicanale di informazione ha organizzato una serie di convegni e incontri dedicati alla responsabilità sociale d’impresa. L’associazione organizzatrice, Pentapolis, vuole portare tra i consumatori e la gente comune cinque temi chiave: finanza, solidarietà, ambiente, comunicazione, cultura. All’iniziativa partecipano enti, università, banche e ordini professionali, tra cui quello dei giornalisti. Un evento che ha il sapore dell’impresa pionieristica. interlocutori privilegiati dell’associazione ci sono quanti operano IUGNO, MESE DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE per le imnel terzo settore e le istituzioni. prese. Lo ha organizzato Pentapolis, associazione I promotori dell’iniziativa comprendono un ampio gruppo di che si propone come il primo sistema multicanale, enti ed istituzioni che vanno da università a istituti bancari passancostituito dall’aggregazione di strumenti di infordo per alcuni ordini professionali direttamente coinvolti nell’iniziadi F.P.R. mazione, comunicazione e divulgazione, rivolto sia tiva come quello dei giornalisti (Altis/Università Cattolica, Sda Bocalla business community sia ai consumatori per coni, Isvi, Cidospel/Università di Bologna, Iuav/Università di Venecontribuire a creare una nuova cultura d’impresa, capace di cozia, Fondazione Cariplo, Anima (Unione Industriali Roma), Ordine niugare etica e profitto. Nazionale dei Giornalisti, Borsa Progetti Sociali, Fondazione PubbliIl Presidente dell’associazione, Enzo Argante, spiegando la nacità Progresso). tura e gli scopi di Pentapolis, ha affermato che, in Italia, «siamo nelTra i partner si annoverano invece perlopiù società di comunicala fase ‘pre-pionieristica’ della Csr, poichè a tutt’oggi si sono mossi zione ma anche centri studi e altre istituzioni che operano più prettain questo senso solo i pionieri. Le aziende sensibili creano un cirmente in ambito finanziario (Abi, Cittadicuito fra loro, ma si tratta di un recinto piutnanzattiva, Nielsen Media Research, Ascai, tosto chiuso al di fuori del quale non si GIUGNO MESE DELLA Editoriale La Nuova Ecologia, Ecoradio, Plamuove ancora molto. E proprio per camRESPONSABILITÀ SOCIALE net Life Economy Foundation, Centro Studi biare questa situazione Pentapolis si propoLogos, Club Santa Chiara, Hill & Knowlton ne di andare verso il pubblico delle imprese I CONVEGNI Gaia, Ethos di Lorien Consulting, Chiara & e dei consumatori: la Csr deve pervadere la Dalla Comunicazione al Consumo Associati, Frorida2, Amicucci Formazione). nostra economia settore per settore. PosiResponsabile, Milano, 13 giugno Tra le iniziative di Pentapolis che si svolzionandosi come partner di informazione, Dall’impresa etica alla mobilità geranno nei prossimi tempi, oltre al mese comunicazione e divulgazione della Csr, sostenibile, Roma, 15 giugno della responsabilità sociale che prevede iniPentapolis si pone come alleato di tutti i Infanzia negata, Roma, 16 giugno ziative convegnistiche e culturali dedicate ai soggetti che credono nella responsabilità Le aziende integrate, 5 temi chiave di finanza, impresa, ambiensociale e operano in quella direzione. PenMonza, 19 giugno te, comunicazione, cultura e solidarietà, c’è tapolis, nelle sue componenti diversificate e L’ Italia che va, Monza, 19 giugno la Convention “Distribuzione Responsabile di prestigio, rappresenta una visione orgaMeno indici più contenuti, e Premio Consumabile”, la manifestazione nica e approfondita di questi processi». Roma, 21 giugno “Un mare di Bambini” (aziende pubbliche e Infatti l’obiettivo che si prefiggono gli Le Città Sostenibili, Venezia, 22 giugno private si uniscono per sostenere la famiglia enti che hanno dato vita all’iniziativa è Comunicazione interna e Csr: separati e i bambini, dando vita ad una settimana di quello di contribuire a creare una nuova in casa?, Roma, 23 giugno giochi, spettacoli, solidarietà e formazione cultura d’impresa, capace appunto di coTecnologia & Sostenibilità, sulla spiaggia) e il “Premio Areté” che punta niugare etica e profitto, di consentire il Milano, 27 giugno a mettere in luce aziende pubbliche e privaraggiungimento di interessi individuali e Partnership Trilaterali, te, enti e istituzioni che comunicano in macontemporaneamente la creazione di un Milano, 28 giugno niera responsabile. benessere collettivo. In quest’ottica, tra gli

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RIBELLI IN CERCA DI UNA CAUSA

TASSE GLOBALI PER FORNIRE BPG

SCANDALI FINANZIARI SEMPRE IN AGGUATO

ASCETISMO, LA RISPOSTA AI NUOVI PROBLEMI

IL MONDO NUDO, IL FUTURO DEL ROMANZO

IL SENSO DELLA VITA IN UN VIAGGIO SPAZIALE

Che cosa c’è dietro la rivolta violenta delle banlieues parigine? Perché i nipoti degli immigrati, presenti da due generazioni sul territorio francese, hanno deciso che quella terra non rispondeva più alle loro domande esistenziali? Se un uomo non si riconosce nel proprio Stato e nel Paese dove è nato, perché mai dovrebbe farlo uno straniero? Jean Daniel, fondatore e direttore del celebre “Le Nouvel Observateur”, affronta questi quesiti partendo da una prospettiva glocale, perché le risposte stanno nello spazio e nel tempo in cui viviamo. Nei momenti di crisi economica, nei periodi storici dove la miseria irrompe nella ricchezza del Vecchio Continente, le prove di senso civico lasciano il posto alla rivendicazione violenta. La distruttività ludica, la disperazione esistenziale, il nichilismo esasperato, la rivolta e il risentimento verso la proprietà, sono anche una risposta all’assenza di una politica sull’immigrazione. Se vivere in una società frammentata e disintegrata è difficile per chi non è immigrato, lo è ancor di più per chi è clandestino, in quanto vive la propria vita senza futuro e quindi senza speranza. Un mese di incendi e caos nelle città francesi, non significa che il problema sia però solo francese. Il grido di allarme di Jean Daniel riguarda qualsiasi Paese dove ci sia immigrazione: «Quello che io chiedo da sempre è di esaminare i mille modi in cui accogliamo, riceviamo, ospitiamo nei nostri centri... ritengo che preoccuparsi di coloro che si sono accolti non implichi meno generosità e senso di dovere morale che schierarsi a favore dell’accoglienza».

Le prime teorie sui beni pubblici globali (Bpg) risalgono alla prima metà del Settecento, quando David Hume postulò il suo discorso sulla fornitura dei beni comuni. Se ne occuparono anche Ricardo, Malthus e Smith. Ma è solo con Samuelson che la teoria dei beni pubblici raggiunge una maturità analitica. I Bpg sono beni pubblici i cui benefici, o costi, coinvolgono più o meno tutta l’umanità in termini geografici, i cui effetti esprimono una forte componente inter-generazionale e la cui fornitura richiede la cooperazione tra gli Stati. Quando parliamo di Bpg parliamo di biodiversità, sicurezza alimentare, stabilità finanziaria, controllo delle malattie infettive, equità. La fornitura di questi beni dipende dalle scelte politiche. Alla domanda di come migliorare la fornitura di questi beni, c’è già una risposta praticabile: introdurre tasse globali, (un esempio è la Tobin tax) che permettono una redistribuzione più equa delle risorse disponibili, la cui governance dovrebbe essere affidata ad un’agenzia internazionale.

Guardare gli scandali finanziari degli ultimi dieci anni con gli occhi di “Robocop”. Già, così veniva soprannominato nell’ambiente finanziario Fabrizio Tedeschi, l’uomo chiamato nel 1994 dalla Consob per costituire e presiedere l’Ufficio insider trading, un pool di professionisti al servizio dello Stato e dei risparmiatori. Tedeschi ha alle spalle una brillante carriera finanziaria, ma anche una passione giovanile per il mestiere di pubblico ministero. Introduce innovative tecniche d’indagine che già tra il 2001 e 2002 lo portano sulle tracce di Gianpiero Fiorani e la Popolare di Lodi. Una strana operazione di rastrellamento titoli, attraverso una fiduciaria svizzera, per mettere le mani sulla Popolare di Crema. Un’inchiesta che si rivelerà profetica alla luce del recente scandalo, una sorta di prova generale della scalata ad Antonveneta. Tedeschi, rispondendo alle domande del giornalista Fabio Macchi, ripercorre le scalate bancarie, i crack di Parmalat e Cirio, gli scandali Bipop e Tango bond.

A distanza di trent’anni dalla sua prima uscita con Einaudi, Raffaele Crovi ripubblica “Il mondo nudo”, questa volta con Fanucci. Alla ricerca di un nuovo linguaggio, affascinato dal futuro che fa entrare in crisi i paradigmi a cui si rivolge il vecchio romanzo, Crovi sperimenta una nuova via. Tanto che Walter Pedullà scriverà: «Il romanzo di Crovi ha una struttura di complessa e ammirevole modernità, tra le più avanzate della narrativa attuale». Una attualità visionaria condivisibile, nonostante lo sguardo dell’autore arrivi dritto dritto dagli anni Settanta. Otto giorni nella vita di sei diversi personaggi: un generale demiurgo impegnato a omologare o disintegrare il mondo che gli si muove attorno; un bambino che cresce nell’isolamento assoluto; un uomo e una donna che comunicano a distanza, cercando di recuperare i linguaggi del corpo e dell’amore; un individuo anonimo che desidera integrarsi in un sistema sempre più oppressivo; uno scriba destinato a sopravvivere solo per raccontare l’apocalisse.

Si dice che nel futuro prossimo i viaggi nello spazio saranno a portata di tutti. Kurt Vonnegut anticipa i sogni e spinge la sua navicella del racconto in uno strampalato viaggio intergalattico, compiuto da Winston Niles Rumford, uomo molto ricco e con qualche vizio di troppo. A due giorni di viaggio da Marte, Winston s’imbatte nel cuore di un infundibulo cronosinclastico non registrato dalle carte di bordo. Ma cos’è un infundibulo cronosinclastico? È un luogo dello spazio dove le diverse facce della verità si incontrano e convivono, dove le nozioni di tempo e spazio non hanno più senso e dove Winston verrà a conoscenza del senso della vita sulla Terra. Qui Vonnegut si serve di tutti gli archetipi del romanzo di fantascienza. Ma questo libro non è ciò che sembra. “Le sirene di Titano”, infatti, è un libro di feroce satira sociale in cui l’autore si prende gioco dei dogmi della moderntà: dei militari, della religione e della finanza. Un viaggio all’estremo del mondo esteriore è quasi sempre un viaggio nell’estremo interiore, ovvero la ricerca del significato ultimo della vita.

L’ARTE DELLA GIOIA SECONDO GOLIARDA SAPIENZA Un nome evocativo: Goliarda Sapienza. Un titolo che non è da meno: “L’arte della gioia”. Un romanzo pubblicato postumo da Stampa Alternativa nel 1998, a soli due anni dalla morte dell’autrice e riproposto oggi in una nuova edizione, corredata anche da un album fotografico. Passato sotto silenzio per molti anni in Italia, il libro di Goliarda Sapienza, a dieci anni dalla sua scomparsa, ha trionfato in Francia e in Germania, e presto sarà tradotto in molti altri Paesi. Un successo di pubblico e critica che, come ricorda Alessandro Pellegrino nella sua presentazione, ha dovuto affrontare una lunga e ingiusta marcia, costellata di grandi rifiuti dei principali editori italiani. L’autrice aveva affidato proprio a Pellegrino il romanzo per la revisione fin dal 1975. Ed è solo grazie a lui, che ne sostenne le spese, che viene pubblicato in Italia, dopo la stroncatura feroce della critica. Il successo europeo restituisce all’autrice il giusto riconoscimento. “L’arte della Gioia” è il racconto di una vita intera di coraggio, in compagnia di una fantastica famiglia di personaggi, attraverso le vicende e le peripezie del più drammatico Novecento. Opera dei pupi siciliani, guerriero femmina, cantastorie, la potente protagonista di questo romanzo nasce miserabile in una landa desolata, e lì dovrebbe compiersi il suo destino di esclusa. Goliarda Sapienza, seguendo solo l’intelligenza delle cose, approda a ciò che tutti noi cerchiamo: la gioia.

Doris Lessing sa indagare nei sentimenti dei giovani e dei vecchi con grande maestria, riuscendo a cogliere tutta la loro vulnerabilità. Una sensibilità che pervade tutti e tre i racconti che compongono “Nonne”. Si inizia con la strana storia di due amiche, che hanno più confidenza tra loro che non con i rispettivi mariti. Alla loro scomparsa, iniziano una relazione ciascuna con il figlio adolescente dell’altra che va avanti per anni. Una ragazzina di colore, orfana e povera, ha una breve relazione con un ragazzo ricco, bianco che appartiene agli Staveney, una famiglia liberale. All’insaputa del giovane, ha una figlia e quando la bambina ha sei anni, non potendo più mantenerla, si mette in contatto con gli Staveney che, felici di accoglierla, si rivolgono a Victoria con un atteggiamento così affettuoso e “politicamente corretto”da risultare esilarante e terribile al tempo stesso. Durante la Seconda Guerra Mondiale un soldato sbarca a Cape Town per qualche giorno di riposo. Qui ha un incontro con una giovane del luogo. Avrà sempre la convinzione di aver concepito un figlio e di aver condotto una vita sbagliata.

JEAN DANIEL RIBELLI IN CERCA DI UNA CAUSA

ANDREA BARANES, KIM BIZZARRI IL MONDO È DI TUTTI

FABRIZIO TEDESCHI, FABIO MACCHI GLI INTOCCABILI DEL QUARTIERINO

Il tempo che non basta mai, la bassa qualità della vita, la minaccia per l’ambiente, l’inquinamento, i consumi inutili che si trasfromano in sprechi e mai in felicità. L’insoddisfazione per il proprio tempo serpeggia tra la gente e al tempo stesso si fa largo una risposta che guarda all’ascetismo come soluzione praticabile. Si tratta di un nuovo ceto che punta ad uno stile di vita. Le nuove forme di ascetismo si correlano a più ambiti di crisi: all’ambiente, al lavoro, alle istituzioni e ai consumi. Non riguarda solo i singoli, ma anche a quelle imprese che cercano soluzioni a basso impatto ambientale. Alle istituzioni il compito di trovare risposte innovative e non accontentarsi di inseguire le tendenze. Il nodo irrisolto rimane quello del rapporto tra lavoro e ambiente. L’autore individua tre strade per conciliarli: la riduzione del volume complessivo, la promozione di lavori che permettano di coordinare meglio i sottosistemi sociali e lo sviluppo di stili di lavoro, che inducano un maggiore controllo dell’incertezza che deriva dalla differenziazione sociale. GIORGIO OSTI NUOVI ASCETI

RAFFAELE CROVI IL MONDO NUDO

KURT VONNEGUT LE SIRENE DI TITANO

GOLIARDA SAPIENZA L’ARTE DELLA GIOIA

DORIS LESSING NONNE

Baldini Castoldi Dalai editore, 2006

Emi, 2006

Aliberti Editore, 2006

Il Mulino, 2006

Fanucci, 2006

Feltrinelli, 2006

Stampa Alternativa, 2006

Feltrinelli, 2006

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NONNE, STORIE DI ORDINARIA SENSIBILITÀ

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fotografia

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SENZA DI LORO , NEMMENO IO ESISTO

contrasto

Le centoventi opere dei più grandi artisti del Novecento racchiuse nel libro consentono di ripercorrere la storia della fotografia. Da Eugène Atget ad Arnold Newman, da Irving Penn a Henri Cartier-Bresson, fino alle opere fotografiche di artisti più noti come pittori, come Hans Bellmer. Le foto appartengono al collezionista francese Pierre Borhan (conosciuto anche come Pierre Bonhomme), autore di monografie e curatore di mostre fotografiche, già direttore del Patrimoine Photographique del ministero della Cultura di Francia a Parigi. Curato da Sandro Parmiggiani, il volume contiene un suo saggio introduttivo e i testi di Gilles Mora e dello stesso Pierre Borhan, che racconta di aver cominciato la raccolta di fotografie senza saperlo. «Ho comprato un’opera, una seconda, una terza... La prima, Vita, di Jan Saudek, l’ho acquistata nel 1977 a Parigi, nella Photogalerie che presentava un’esposizione del giovane “pornografo” messo alla gogna nel suo paese, di cui avevo appena scoperto le creazioni ad Arles, durante una proiezione dei “Rencontres internationales de la photographie”». A CURA DI SANDRO PARMIGGIANI SENZA DI LORO NEMMENO IO

Skira, 2006

NON CAMMINARE DA SOLO. L'ESISTENZIALISMO FOTOGRAFICO Non camminare da solo. Don't walk alone. Così il fotografo Francesco Nencini ha intitolato una sua foto, scattata in un'anonima periferia. Le fotografie di Nencini ritraggono spesso sguardi solitari. Sono volti malinconici, anche quando sorridono. Occhi carichi di solitudine nella folla della città, la condizione principale della nostra contemporaneità. Di Nencini avevamo parlato a proposito di “Non luoghi”, una dimensione di assenza d'identità che pervade molti spazi esistenziali, connotati solo dal consumo e senza relazioni simboliche. Una solitudine nella moltitudine. Nencini riesce a cogliere in modo perfetto questo sentimento in qualsiasi punto della terra si trovi, perché la solitudine è presente nella popolosa e affascinante New York, come nell'assolato e carnevalesco Brasile. Sul suo sito (www.francesconencini.com) è possibile vedere un'ampia carrellata di foto realizzate nei suoi numerosi viaggi: New York stories, By nigth, Habanera, Namastè, East is east, Tudo isto è fado, Mi-la-no. Francesco Nencini è nato a Firenze nel 1965. Da piccolo si trasferisce con la famiglia prima a Venezia e poi negli Stati Uniti, per poi approdare a Milano dove oggi vive. Le sue foto sono state pubblicate da molti magazine nel mondo. Nel febbraio 2005 la sua prima mostra personale: “Private Eye”, alla Galleria L’Affiche di Milano. Nell'autunno dello stesso anno Nencini replica con “Non luoghi”, mostra, ispirata all'omonimo testo dell'antropologo francese Marc Augè. WWW.FRANCESCONENCINI.COM

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CHERNOBYL, CONFESSIONI DI UN REPORTER

REAL WORLD, SULLE STRADE DI SPRINGSTEEN

Due “esploratori nucleari” si sporgono da un elicottero per misurare la radioattività che esce dal sarcofago della centrale nucleare di Chernobyl (Ucraina). Indossano delle tute leggere bianche e una mascherina davanti alla bocca. L’aria che respirano è carica di radioattività. I piloti hanno dei malesseri durante il volo, perché devono sporgersi dalla carlinga per scaricare i sacchi di sabbia nell’orifizio incandescente della centrale. Il fotoreporter Igor Kostin il 26 aprile del 1986 è a bordo di uno di questi elicotteri militari. Scatta una ventina di foto, poi la macchina si blocca. Quando cerca di sviluppare il rullino si accorge che la pellicola è coperta da uno strato opaco e i negativi sono tutti neri, come se la macchina fosse stata esposta alla luce. E’ l’effetto della radioattività. Solo una foto si salva, è il primo scatto fatto lo stesso giorno dell’incidente. L’unico al mondo. Ha un aspetto granuloso dovuto al livello altissimo di radiazioni. Non sarà mai pubblicata. Maria Primachenco, pittrice ucraina, abita ai margini della zona proibita. Poco prima dell’incidente disegnò l’incendio della centrale. L’arte anticipa sempre la storia.

Ci sono le immagini dei concerti, della folla dei fan che lo aspetta trepidante, ma anche dei luoghi della sua esistenza americana. La cartina geografica degli amanti di Bruce Springsteen porta nel New Jersey, ad Asbury Park. La stessa rotta seguita dal giornalista musicale Ermanno Labianca e dal fotografo Giovanni Canitano, che ha immortalato i grandi del rock mondiale. Gli autori di questo “Real World” ci raccontano i visi, i sorrisi, i palazzi , i teatri, le biblioteche, le case e la gente di Bruce. Foto e testi che interrogano il mondo che ha ispirato la rabbia creativa del giovane cantautore, fino alla maturità. Sono le storie di baristi, homeless,afroamericani, che popolano i testi delle sue canzoni. Un viaggio in quel New Jersey decadente e un po’ romantico che ha ispirato “Burn to run”e incarnato il sogno americano e al tempo stesso la sua disillusione. Uno spazio fotografico è dedicato alla “E street band”, seconda famiglia di Springsteen, un nucleo musicale trentennale, al suo fianco fin dal 1969.

IGOR KOSTIN CHERNOBYL

E. LABIANCA, G. CANITANO REAL WORLD

Ega, 2006

Arcana, 2005 |

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multimedia

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SPACE ART, LA SCIENZA INCONTRA L’ARTE «Fra i molti e diversi studi delle lettere e delle arti, di cui si nutrono le menti degli uomini, stimo si debbano coltivare soprattutto, applicandovisi con grande passione, quelli che concernono le cose più belle e più degne di essere conosciute. E tali sono quelli che trattano delle divine rivoluzioni del mondo e del corso delle stelle, delle grandezze, delle distanze, del sorgere e del tramontare e delle cause degli altri fenomeni celesti, e che, alla fine, ne spiegano l’ordinamento. E cosa mai c’è più bello del cielo, che contiene sicuramente tutte le cose belle? Lo dichiarano i nomi stessi di cielo e di mondo: questo con l’appellativo di purezza e ornamento, quello, di artistico cesello». Con questo pensiero di Copernico (1473-1543), i promotori del sito astroarte.it accolgono il navigatore appassionato di arte legata all’astronomia. Nei saggi e nelle riviste di astronomia spesso si ricorre alla creatività degli artisti per illustrare nuove scoperte e teorie scientifiche. La corrente artistica che risponde a queste caratteristiche, ossia basata sull’antica e mai decaduta relazione fra scienza ed arte, risponde al nome di Space art .

STEFANO BENNI FINISCE IN UNA ENCICLOPEDIA COME WIKIPEDIA

WWW.ASTROARTE.IT

WWW.BENNILOGIA.ORG

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A Stefano Benni, il celebre scrittore autore di “Bar Sport”, “Il bar sotto il mare”, “La compagnia dei celestini”, “Baol” e tanti altri successi editoriali è stato dedicato un sito particolare. Si tratta di Bennilogia (www.bennilogia.org). Una sorta di enciclopedia sul mondo letterario di Benni, della quale i lettori sono anche autori, sul modello di Wikipedia. Bennilogia è un contenitore dei mondi creati dalla fantasia dello scrittore. Si puo’ creare una nuova voce, oppure trovarne una esistente e completarla. Chiunque può modificare qualsiasi termine ed essendo aperta al contributo di tutti, compreso quello di utenti anonimi, è sempre esposta a vandalismi. I contenuti sono organizzati per categorie tematiche: personaggi, luoghi, metafore, flora e fauna, scenari. Non si tratta però di una classificazione rigida e se la voce che il navigatore ha intenzione di compilare non rientra in nessuna delle categorie già esistenti, egli può crearne una nuova. Le voci inserite devono ricalcare le voci di un dizionario ed è per questo che le citazioni dai libri o dagli articoli di Stefano Benni non possono superare i 110 caratteri. È possibile segnalare qualche articolo che è piaciuto particolarmente nella pagina di discussione. Il ritrovo per antonomasia dei seguaci di Benni non puo’ essere che il Bar Sport. Qui si possono lasciare messaggi, fare proposte o semplicemente chiedere consigli agli altri appartenenti alla comunità.

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MONDO TECHNO, UNA RIVOLUZIONE ELETTRONICA

H2 ODIO, STORIA DI UN SUCCESSO IN EDICOLA

Sono passati ormai vent’anni quando il termine Techno venne usato in Europa da alcuni giornalisti per indicare la scena New wave inglese più marcatamente elettronica. Di quel “marchio” si fregiavano gruppi come i Depeche Mode, gli Ultravox e i Kraftwerk. Questi ultimi nel loro album Electric café inserirono un brano con quel titolo. Il termine però si diffuse grazie alla compilation “Techno. The new sound compilation sound of Detroit” stampata dalla Virgin nel 1988. Dopo il punk, la musica Techno rappresenta la rivoluzione sonora più significativa degli ultimi anni. A questo movimento socio-musicale, anche l’Italia ha dato il suo prezioso contributo. La cultura Techno ha aperto un nuovo modo di pensare la musica, rappresentando l’estrema simbiosi tra uomo, macchina e note. Andrea Benedetti racconta la storia dei gruppi nostrani, con tanto di cd contenente i brani di alcuni esponenti di spicco della Techno italiana. Un fenomeno con più sfaccettature che si è evoluto in modo discontinuo, assecondando le caratteristiche dei vari territori.

Il caso del film “H2odio” di Alex Infascelli farà discutere a lungo. Il regista romano, infatti, ha deciso di non uscire nelle sale cinematografiche, bensì direttamente in edicola. È la prima volta che il cinema d’autore italiano si rivolge al grande pubblico in questo modo: un dvd come supplemento del settimanale “Espresso” e del quotidiano “La Repubblica”. La decisione è stata presa partendo da alcune considerazioni: è in calo il numero di spettatori nei cinema, ed è in forte aumento il numero di acquirenti dei dvd, soprattutto quelli allegati a quotidiani o periodici. Il film è interpretato da Mandala Tayde, Chiara Conti, Anapola Mushkadiz, Olga Shuvalova, Claire Falconer e Carolina Crescentini. “H2odio” racconta la storia di cinque ragazze che decidono di fare una dieta a base di acqua per purificare il corpo, la mente e pulire l’organismo dai veleni di tutti i giorni. Donne che si affacciano all’età adulta trascinando con sé le questioni irrisolte della adolescenza. Alex Infascelli con “Almost Blue” ha vinto il David di Donatello.

ANDREA BENEDETTI MONDO TECHNO

ALEX INFASCELLI H2ODIO

Stampa Alternativa, 2006

Gr. Editoriale Espresso, 2006

guerra e pace


stilidivita DIVENTARE INVISIBILI? LA MATEMATICA DICE OK

LA SARDEGNA TASSA I BENI DI LUSSO PER FINANZIARE LO SVILUPPO SOSTENIBILE

ACCORDO TRA WWF E LIPU PER GLI APPENNINI

I DITTATORI USANO INTERNET PER SPIARE

DIAMANTI ETICAMENTE PURI, MADE IN MILANO

Quante volte avete desiderato essere invisibili? Un desiderio da sempre relegato nel mondo dei sogni. Oggi, però, potrebbe diventare realtà, grazie agli studi compiuti da Graeme Milton, matematico dell’Università dello Utah, e da Nicolae-Alexandru Nicorovic, fisico che lavora alla Sydney University of technology. I due studiosi stanno progettando una macchina in grado di rendere invisibili, a specifiche lunghezze d’onda, gli oggetti che le si avvicinano. A livello teorico, i calcoli dimostrano la possibilità di realizzare un dispositivo in grado di eliminare la luce riflessa da un oggetto, in modo da essere invisibile all’occhio umano. Un ulteriore passo avanti rispetto al “mantello dell’invisibilità”, realizzato in materiale retro-riflettente, messo a punto da alcuni scienziati giapponesi e presentato alla fiera della tecnologia di San Francisco di due anni fa. La scoperta delle “superlenti”, in grado di eludere la sorveglianza di radar o dispositivi elettronici all’interno di un forte campo magnetico, ha riscosso notevole interesse nella Nasa e nel settore militare statunitense per le eventuali applicazioni belliche.

La Sardegna ha deciso di introdurre nuove tasse. Il Consiglio regionale, infatti, su proposta della Giunta, presieduta da Renato Soru, ha istituito quattro imposte “turistiche” a carico dei cittadini che non sono residenti sull’isola. Le entrate serviranno per finanziare progetti di sviluppo locale, suddividendoli tra comuni costieri e le zone interne meno sviluppate. A questo scopo è stato creato un Fondo per la coesione territoriale. Le nuove imposte sono già state rinominate: “tasse sul lusso” e andranno a colpire le seconde case, la compravendita immobiliare, barche e jet privati. In base ai metri quadrati di superficie, i proprietari, o comunque i possessori, delle case per le vacanze costruite nella fascia dei tre chilometri dal mare, dovranno versare un tributo annuale. Nel mirino della Regione è finito anche chi d’estate attracca in porto l’imbarcazione di lunghezza superiore ai 14 metri e chi fa scalo negli aeroporti dell’isola con jet privati. La tassa si pagherà dal primo giugno al 30 settembre, una volta all’anno al primo arrivo. Naturalmente il legislatore ha previsto anche le esenzioni tra i non residenti: i nati in Sardegna e i rispettivi coniugi, i figli degli emigrati, chi lascia la barca tutto l’anno nell’isola, le navi da crociera e le imbarcazioni impegnate in regate o manifestazioni sportive. I natanti a vela con motore ausiliario avranno uno sconto del 50 per cento. Il nuovo sistema di imposizione fiscale punta a sostenere un modello di sviluppo alternativo, fondato sulla riqualificazione ambientale e sul blocco dell’edilizia che imperversa sui litorali.

Il presidente del WWF, Fulco Pratesi, e quello della Lipu, Giuliano Tallone, hanno sottoscritto a L’Aquila la convenzione degli Appennini. Si tratta di un importante protocollo per tutelare la biodiversità delle montagne del Mediterraneo. Gli Appennini rappresentano un comprensorio di straordinaria importanza naturalistica e sono l’unica vera chance di sopravvivenza per molte specie animali e vegetali minacciate. Il protocollo, che coinvolge 15regioni, è quello di assicurare un importante grado di tutela della biodiversità per tutta l’area appenninica e della Sicilia, identificando le aree più importanti e le specie di vertebrati più a rischio, fra i quali ci sono: l’orso bruno marsicano, la lepre appenninica, il capriolo italico e numerose altre specie di mammiferi e uccelli. Un progetto che serve a raggiungere quegli obiettivi che l’Italia si è posta sottoscrivendo il Countdown 2010 in difesa della diversità biologica. La convenzione degli Appennini è stata sostenuta e commentata positivamente dalla Federparchi, cui aderiscono anche Wwf e Lipu.

L’ultimo rapporto sulla libertà dei mezzi di comunicazione stilato dall’associazione Reporters sans frontières non lascia dubbi: la censura on line è la forma più praticata di controllo statale sull’informazione. Vittime della museruola mediatica sarebbero milioni di utenti dalla Cina fino a Cuba. I dittatori usano Internet per spiare e disinformare, così come per mettere alla sbarra i dissidenti politici. Questa è ormai la regola nella maggior parte dei paesi governati da regimi antidemocratici. Nonostante la Rete sia riuscita e continui ancora oggi a mobilitare la gente anche attraverso forme nuove come i blog, web-forum e la messaggistica istantanea, anche i regimi dittatoriali si sono adeguati. Sul libro nero ci sono Stati come la Repubblica Popolare Cinese, con ben 62 ciberdissidenti arrestati. Lì Internet viene usato per intercettare ogni tipo di tensione sociale ed agire anche con blitz militari per sventare, ad esempio, anticipatamente una rivolta sindacale. Non stanno meglio: Iran, Egitto, Siria, Libia, Tunisia, Zimbabwe, Corea del Nord, Burma, Cuba, Nepal, Arabia Saudita e Turkmenistan.

Molto spesso acquistare un diamante significa diventare, anche non volendo, complici di un sopruso. Le multinazionali produttrici di diamanti non rispettano i diritti dei lavoratori, deturpano l’ambiente e, in alcuni casi, sradicano popolazioni indigene dalle loro terre per poter scavare indisturbati le miniere. Donne e uomini vengono costretti ad allontanarsi dal proprio ambiente, a cambiare abitudini, a rinunciare alle loro tradizioni ancestrali, alle loro radici, alla loro storia. Oggi esiste un’alternativa. Grazie all’impegno di una storica gioielleria milanese è nata la prima linea di diamanti etici, estratti, lavorati e commercializzati nel pieno rispetto dei diritti umani. Si offre al consumatore una pietra “pura” in senso etico. Si tratta di diamanti provenienti dal Canada e, precisamente, da una miniera situata nello stato dei Territori del Nord Ovest. La miniera basa la sua attività su alcune priorità tra cui: la sicurezza dei lavoratori, l’instaurazione di un rapporto corretto e rispettoso con le popolazioni locali, un alto grado di responsabilità ambientale. Standard garantiti dalla legislazione canadese, molto severa nel controllare l'operato della miniera.

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MANCA IL PETROLIO, L’INGHILTERRA RIAPRE LE MINIERE DI CARBONE La notizia è comparsa sul “Financial Times” e annunciava che a breve sarebbe stata riaperta una delle ultimissime miniere di carbone presenti in Gran Bretagna. Budge, uno dei principali imprenditori del settore carbonifero, non ha dimenticato che nel Regno Unito il 35% dei consumi energetici è ancora coperto dal carbone e sta già lavorando al progetto per riattivare l’estrazione dalla miniera di Hatfield, nello Yorkshire, a nord dell’Inghilterra. Era stata chiusa due anni fa, a causa del crollo del prezzo del carbone e dei ritardi nei pagamenti dei sussidi previsti dal governo. Considerata da vent’anni come una fonte energetica obsoleta, anche per via del suo alto tasso d’inquinamento, l’industria carbonifera britannica, a causa dei continui rialzi del petrolio, sembra destinata a risollevarsi nei prossimi anni. Grazie ad un finanziamento di oltre 35 milioni di sterline (50,6 milioni di euro) ottenuto da una società carbonifera russa, Kru, Budge, la cui nuova società si chiama Powerfuel, si dice convinto di poter riaprire l’impianto entro 12 mesi. Da considerare, inoltre, che con il caro petrolio il prezzo del carbone è tornato, purtroppo per il clima, a livelli apprezzabili, attestandosi a 60 dollari la tonnellata. La Powerfuel, scrive il “Financial Times” prevede di estrarre circa 27 milioni di tonnellate di carbone dalla miniera di Hatfield tra il 2007 e 2023, impiegando circa 350 dipendenti, tra minatori, geologi e tecnici di estrazione. In Inghilterra l’industria carbonifera oggi può contare su sei miniere in profondità e una forza lavoro pari a 5 mila minatori.

MUSICA ON LINE TROPPO CARA, SCATTA LA PROTESTA

GERMANIA LEADER NEL BIODIESEL

I consumatori statunitensi hanno presentato ben quattordici denunce collettive contro Warner music group, major discografica di primo piano. Motivo di tanto accanimento è l’accordo raggiunto con Apple dai big dell’industria multimediale che fissa a 99 centesimi di dollaro il prezzo della musica online venduta su ITunes. Secondo i denuncianti tale accordo sarebbe una palese violazione delle leggi antitrust. L’azienda di Steve Jobs è responsabile per almeno il 70% delle vendite globali di musica digitale online. A Washington le denunce hanno già prodotto degli effetti. Infatti il Dipartimento di Giustizia ha avviato un'indagine per scoprire se le major abbiano violato le norme sulla concorrenza. Inchieste analoghe sono scattate anche a New York. I vari firmatari delle denunce sostengono che il prezzo fissato dalle major e dall’azienda di Steve Jobs, sarebbe il frutto di una decisione degna di un cartello monopolistico. I rappresentanti di Warner hanno annunciato strenua difesa, in attesa di sapere se le richieste dei consumatori siano legittime o meno, e se queste pretese avranno un seguito giudiziario.

ll biodiesel, ovvero il carburante ricavato da prodotti vegetali come la colza o i semi di girasole, ha trovato nella Germania la sua patria di elezione. I dati pubblicati dallo European biodiesel board, dicono, infatti, che su un totale di circa 3,2 milioni di tonnellate, più della metà – 1.669.000 – sono prodotti in Germania. L’incremento rispetto all’anno precedente è di oltre il 50%. ll biodiesel ha influssi benefici sull’impatto ambientale perché si miscela con i carburanti tradizionali, contribuendo a diminuire le emissioni inquinanti degli autoveicoli. Al secondo posto si piazza la Francia, dove si è passati dalle 348 mila tonnellate del 2004 alle 492 mila dell’anno scorso, con un aumento del 40%. L’Italia nel 2005 è al terzo posto per produzione, passando dalle 320 mila tonnellate del 2004 alle 396 mila dell’anno successivo, con un incremento del 23%. A seguire la Repubblica Ceca e la Polonia, due tra i nuovi paesi della Ue. I primi hanno raddoppiato la propria produzione, passando dalle 60 mila tonnellate del 2004 alle 133 mila del 2005. Benissimo in termini percentuali è andato il mercato in Slovacchia cresciuto da 15 a 78 mila.

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future

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INNOVATIVE FORME DI CREAZIONE DEL CINEMA

LO SGUARDO DEI TOUCH SCREEN INTERATTIVI

Il cinema cerca nuove idee per la distribuzione e si affida a inediti mercati distributivi e modernissime forme produttive. In Italia i primi esperimenti erano stati “Forza Cani” di Marina Spada (realizzato grazie ad una sottoscrizione via internet), “Fame chimica” di Antonio Boccola e Paolo Vari (partecipazione del cast al budget in forma produttiva, sottoscrizione via web) e, più recentemente, “Il vangelo secondo Precario” (copie preacquistabili in Rete per permettere l'autoproduzione). Una strategia resa necessaria dalla difficoltà di operare con le case di produzione, con il sistema distributivo e ora accessibile grazie allo sviluppo delle tecnologie digitali di produzione e post produzione professionali. H2odio di Alex Infascelli, distribuito nelle edicole tramite le testate del Gruppo Espresso, è un esempio di questa nuova strategia. Punta maggiormente sul marketing “Sangue, la morte non esiste” dell'esordiente Libero De Rienzo. Il team di Guerriglia marketing, partner del progetto autoprodotto, ha ideato una promozione porta a porta del film oltre ad una originale campagna che ha disseminato oggetti di scena in università e locali, luoghi in cui è ambientato il film giallo.

Schermi in grado di tracciare percorsi seguendo la direzione delle mani o in grado di catturare immagini. Le ricerche nel campo dei touch-screen sembrano destinate a segnare a breve lo sviluppo del rapporto tra l’uomo e il computer. Le ricerche di Jefferson Y. Han, responsabile della “Multi-Touch Interaction Research” alla New York University hanno mostrato le potenzialità di sviluppo dei monitor e di integrazione con software legati al tema della Digital Life. Apple Computer, come le grandi multinazionali del settore, registra ogni anno decine di brevetti di cui una minima parte destinata poi alla integrazione in sistemi destinati alla commercializzazione. Un brevetto in grado non solo di riprodurre ma anche di catturare immagini è stato registrato dalla società di Cupertino in vista di applicazioni future. Il brevetto si basa sull’utilizzo di migliaia di microsensori Ccd diffusi sulla superficie dello schermo. Le immagini vengono ricomposte via software per creare una unica immagine mentre a un dispositivo aggiuntivo regola i parametri della regolazione del fuoco e della resa cromatica. La tecnologia è destinata a numerosi sviluppi, in particolare con riferimento alle tecnologie mobili (pda, cellulari).

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INFORMARE LA POLIZIA PER UNA RICARICA ATTRAVERSARE IL CANADA A BORDO DI UN’AUTO ALIMENTATA AD ENERGIA SOLARE Si chiama Marcelo da Luz, è di Toronto e XOF1 (Power of one) è il nome del progetto che ha condotto a termine. Si tratta di un veicolo dalla forma futuristica alimentato solo ed esclusivamente ad energia solare e che ora, dopo anni di duro lavoro compiuto nonostante le risorse piuttosto limitate, è finalmente pronto. Alla sua realizzazione ha lavorato un team di ingegneri, scienziati e volenterosi studenti universitari. Grazie ad alcuni finanziamenti non-governativi, Marcelo ha avuto inoltre la possibilità di coronare il suo sogno: attraversare il Canada a bordo del nuovo veicolo percorrendo una distanza record. La vettura pesa poco più di trenta chilogrammi ed è pensata, in questa fase di studio, per trasportare unicamente il suo pilota che deve governare il veicolo in uno spazio molto ristretto e in posizione sdraiata. La sfida della canadese Solid Works, produttrice di Power of one, sarebbe ora quella di trasferire la complessa tecnologia delle auto solari ai veicoli di tutti i giorni. Secondo indiscrezioni apparese sul web, sarebbe ad uno stadio avanzato la creazione di un prototipo con caratteristiche di velocità, frenata e stabilità necessari per la circolazione su strada. Dopo il fallimento del progetto francese Eolo, l’avveniristica auto ad aria compressa di cui non si è riusciti a realizzare la produzione, il progetto di Solid Works si inserisce nella ricerca di sistemi finalizzati al risparmio energetico e al contrasto all’aumento del tasso di inquinamento dell’aria.

A tutti capita qualche volta di ritrovarsi senza spiccioli per ricaricare il cellulare. Se capita nel Sussex, l’Inghliterra del sud, non è più un problema. Qui infatti basta inviare un sms contenente qualche informazione utile alle investigazioni della polizia locale per ritrovarsi sul conto telefonico una ricarica da quattordici Euro. Il servizio è stato creato su richieste delle forze dell’ordine locali, ha il nome di Textme ed ha come obiettivo sensibilizzare i giovani alla piaga del crimine, offrendo ad essi la possibilità di contribuire al mantenimento dell’ordine pubblico via sms, inviando cioè un messaggio ogni qual volta notassero qualche evidenza di crimine. Molti ovviamente i teenagers che hanno aderito con entusiasmo all’iniziativa. L’approccio delle forze dell’ordine del Sussex rappresenta una differenza di prospettiva rispetto alle politiche tradizionalmente repressive finora adottate nei confronti delle possibilità comunicative dei recenti sistemi di telefonia mobile e di videofonia, sottoposti in numerosi paesi a censure e controlli.

diario


FONTE: SOLE 24 ORE SU DATI ISMEA E UN CONTRADE

EXPORT AGROALIMENTARE NEL MONDO

COSA ESPORTA L’ITALIA

10,2% 6,9%

4%

4,5%

4,5% 21.301

7,4%

7,9%

4,6%

18.627

21.076

21.661

32.381

34.826

36.973

Italia

Belgio Spagna Brasile Germania Olanda Francia

Formaggi 10%

Olio d’oliva 9%

Salumi-insaccati 6%

Vino 26%

Ortaggi scatolati 9%

Frutta fresca 14%

Succhi di frutta 3%

Pasta 11%

Pane-biscotteria 9%

Riso 3%

48.004

numeri Usa

123

CISL 5 X MILLE

I produttori di cacao tentano di allearsi

È

UNO DEI TANTI SCANDALI. Il mercato delle materie prime

negli ultimi mesi è letteralmente terremotato dagli effetti della speculazione finanziaria. Ma c’è chi non ne beneficia in alcun modo. Sono i produttori di cacao che come e peggio di quelli del caffè sono alla mercè delle politiche delle multinazionali. Alla fine degli anni Settanta il prezzo del cacao era di 4000 dollari la tonnellata. Oggi si trova intorno ai 1500 dollari. Un disastro per i produttori, soprattutto piccoli e dei paesi africani più poveri. Gli otto maggiori paesi produttori africani, Costa d’Avorio, Ghana (i due giganti mondiali) Nigeria, Cameroun, Gabon, Sao Tomè e Principe, Togo e Uganda, hanno deciso di mettere a punto una strategia comune per difendersi da questo stillicidio. Si sono riuniti a Abujia in Nigeria e hanno discusso le strategie già efficacemente praticate dai paesi produttori di oro nero. «Vogliamo ottenere prezzi più remunerativi per il cacao africano, è scandaloso che siano decisi in L’ALTRO ORO NERO: IL CACAO Europa e negli Stati Uniti senza teProduzione mondiale ner conto del costo di produzione» in tonnelate 3.280.000 ha detto il presidente nigeriano Prezzo annuale 70,08* Obasanjo. Per assicurare un maggioPrezzo minore ultimi 30 anni Gennaio 2000 41,23* re equilibrio tra domanda e offerta Prezzo massimo ultimi 30 anni Luglio 1977 197,84* * Centesimi di dollaro alla libbra (0,450 kg)

sulle cui sfasature i compratori occidentali arrotondano i dividendi (negli ultimi 40 anni la produzione è cresciuta di tre volte) si prepara una politica di riserve comuni di prodotto. Per scompigliare il fronte «nemico» sono pronti nuovi mercati, in rapida ascesa, la Cina e l’India che non chiedono altro di mettersi in efficace concorrenza con gli occidentali. Finora la facevano da padroni: l’Europa con seicentomila tonnellate assorbe l’80% della produzione della Costa d’Avorio. Ai produttori resta ben poco di questa manna: dallo 0,4 allo 0,5 euro al chilo, in Ghana leggeremente più generoso si arriva allo 0,8. Nelle piantagioni lavorano milioni di immigrati da paesi ancora più disperati, spesso bambini-schiavi. In Ghana sono due milioni di persone, in Costa d’Avorio sei milioni (su una popolazione totale di 15). In questo paese il cacao costituisce il 50% dell’export, il 40% degli introiti dello Stato e il 15% del prodotto interno lordo. La classe dirigente del Paese ha utilizzato tutti i proventi della vendita del cacao per acquistare aerei MAGGIORI PRODUTTORI da caccia (esatto! cacciabombardieri) Costa d’Avorio 1.300.000 che sono stati, peraltro, distrutti dalle Ghana 475.000 forze armate francesi dopo che nove Indonesia 440.000 militari di Parigi erano stati uccisi. Nigeria 169.000

.

Brasile

150.000

Camerun

135.000

Ecuador

89.000

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| numeridell’economia |

Il miracolo cileno non è legato solo al rame mario sarà ancora quest’anno pari al 4% del Pil, lo stesso del 2005. Pure la disoccupazione, ancora relativamente alta, si sta riducendo: quella media annua scenderà sotto l’8% nel 2006. Il “miracolo” del Cile è legato a doppio filo al rame, minerale di cui è il primo produttore del mondo.

RODOTTO INTERNO LORDO aumentato nel 2005 di circa il 6% rispetto all’anno precedente, il salto più ampio compiuto da otto anni a questa parte. Nel 2006 la crescita prevista è del 6%. I conti fiscali sono straordinariamente positivi: il surplus pri-

P

FONTE: CORRIERE DELLA SERA

| numeridell’economia | TRASPORTI PUBBLICI Utilizzo dei mezzi pubblici per andare al lavoro (% sul totale della popolazione)

Ma non solo: anche al salmone, al vino, ai prodotti forestali, a tutto quello che sta alimentando le esportazioni, raddoppiate negli ultimi due anni e favorite dagli accordi di libero scambio conclusi con una serie di Paesi, dalla Ue alla Cina sino al prossimo col Giappone.

Tokio

New York

Los Angeles

Londra

Barcellona

78%

53%

10%

42%

41%

.

LE NAZIONI EMERGENTI

19

60 50

35

40

18

40

30

35

17

30

25

30

16

20

25 2001

22%

La popolazione di Los Angeles che usa l’auto per andare a lavoro. È tra i risultati peggiori

La popolazione di Tokio che usa l’auto per andare al lavoro. È la città che meno ricorre ai mezzi privati

LE PREVISIONI SUI PAESI RICCHI PIL

Australia Austria Belgio Gran Bretagna Canada Danimarca Francia Germania Italia Giappone Olanda Spagna Svezia Svizzera Stati Uniti Area Euro

MIN/MAX 2006

MIN/MAX 2007

2,9/3,7 2,0/2,4 2,0/2,6 1,9/2,8 2,7/3,5 2,5/3,3 1,7/2,4 1,5/2,2 0,8/1,6 2,5/3,5 1,7/3,1 2,8/3,7 2,9/4,1 2,0/2,9 2,8/3,7 1,8/2,4

2,7/3,8 1,5/2,2 1,6/2,2 1,9/2,8 2,6/3,1 1,7/3,1 1,6/2,4 0,3/2,0 0,6/1,6 1,5/3,9 1,4/2,7 2,4/3,1 2,5/3,1 1,1/2,5 2,4/3,3 1,3/2,4

ACCESSO AL MERCATO DEL LAVORO [dati in %]

20

50 Fino a 19 19-24

45

19

40

18

35

17

30

16

INFLAZIONE MEDIA 2006

MEDIA 2007

3,2 2,2 2,2 2,4 3,1 2,8 2,0 1,8 1,2 3,0 2,5 3,2 3,4 2,3 3,4 2,1

3,4 1,9 1,8 2,5 2,8 2,2 2,0 1,2 1,1 2,4 2,0 2,8 2,8 1,8 2,8 1,7

21,6 21,3 21,0

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2005

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GIUGNO 2006

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2002

2003

2004

0 15-19

20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-54 55 e oltre

2002

2003

2004

Belgio

2004

Francia

2003

15 2005

BILANCIO STATALE (IN % DEL PIL) 2006 2007

2,7 1,8 1,8 1,9 2,1 2,0 1,5 2,3 1,9 0,6 1,5 2,8 1,8 1,2 2,3 2,0

-5,6 0,1 +2,0 -2,6 2,3 2,5 -1,8 3,8 -1,6 3,7 5,7 -7,0 6,4 13,1 -6,8 -0,3

[dati relativi a Febbraio 2006]

-5,0 0,1 2,1 -2,5 1,6 2,5 -1,3 4,0 -1,5 3,5 5,7 -6,9 6,0 12,4 -6,7 -0,1

20,2 20,0 18,0 17,8

ITALIA

2002

25 2001

2007

35,7 24,4

Grecia

2001

15 2005

2,9 1,8 2,1 2,0 2,2 1,9 1,7 1,6 2,1 0,4 1,5 3,5 1,2 1,1 3,1 2,0

DISOCCUPAZIONE GIOVANILE IN EUROPA

20 10

2006

FONTE: EUROSTAT

PAESE

16,3 16,2 10,0 8,5

8,6

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7,7

Olanda

A progetto A termine

70

81%

Danimarca

45

[dati in %]

75% La quota della popolazione mondiale che vivrà nelle città nel 2050. Oggi è al 50% circa

Irlanda

40

20

CONTRATTI A TERMINE PER FASCE D’ETÀ

2,34 5,72 13,21 3,77 9,43 3,44 4,37 1,70 5,25 9,75 15,77 4,80 5,99 7,22 4,77 10,55 8,63 5,35 7,15 14,00 2,13 6,13 4,16 12,00

Austria

50

Marzo Marzo Marzo Marzo Febbraio Marzo Aprile Aprile Marzo Febbraio Marzo Febbraio Gennaio Marzo Febbraio IV Trim. IV Trim. Marzo Marzo Marzo Marzo Marzo Febbraio Marzo

Portogallo

45

[dati in %]

+108,1 -39,4 +30,5 +26,7 -3,8 +32,5 +18,8 +10,4 -5,9 +11,3 +45,8 +9,7 +1,4 -4,9 +5,2 +31,5 -11,1 -8,6 -5,0 -45,8 +1,7 - 3,4 -2,6 +129,9

Germania

CONTRATTI A TERMINE

Mar. Feb. Apr. Mar. Mar. Mar. Apr. Feb. Apr. Apr. Apr. Apr. Apr. Apr. Apr. Apr. Mar. Mar. Mar. Mar. Apr. Apr. Mar. Apr.

Spagna

+0,8 +5,0 +15,4 +4,8 +7,6 +1,2 +2,0 +1,0 +6,0 +11,6 +4,6 +3,7 +4,1 +3,2 +2,9 +11,4 +3,2 +3,6 +3,4 +8,9 +2,8 +2,3 +0,4 +10,0

Svezia

CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO [dati in %]

+17,8 Mar. +8,8 Feb. -17,5 Feb. +3,6 Mar. -11,8 Feb. +25,2 Mar. +10,0 Mar. +7,2 Mar. +8,2 Mar. +3,7 Mar. +5,2 Mar. +7,6 Mar. +5,6 Feb. +5,4 Feb. +3,6 Feb. +13,6 Gen. +4,0 2005 +8,9 Feb. +3,8 Feb. +8,9 Mar. +11,8 Feb. +11,3 Mar. +16,4 Mar. +4,1 Mar.

TASSI INTERESSE

Lussemburgo

Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Febbraio IV Trimestre 2005 IV Trimestre IV Trimestre IV Trimestre IV Trimestre IV Trimestre IV Trimestre IV Trimestre

BILANCIA COMMERCIALE

Finlandia

I IV IV IV IV I I IV IV IV IV IV IV IV

PREZZI AL CONSUMO

Gran Bretagna

Cina +10,2 India +7,6 Indonesia +4,9 Malesia +5,2 Filippine +6,1 Singapore +9,1 Corea del Sud +6,2 Taiwan +6,4 Tailandia +4,7 Argentina +9,2 Brasile +1,4 Cile +5,8 Colombia +3,7 Messico +2,7 Perù +4,9 Venezuela +10,2 Egitto +4,9 Israele +4,8 Sud Africa +4,5 Turchia +9,5 Repub. Ceca +6,4 Ungheria +4,3 Polonia +4,2 Russia +7,0

PRODUZIONE INDUSTRIALE

FONTE: OSSERVATORIO MERCATO DEL LAVORO

PIL

FONTE: OSSERVATORIO MERCATO DEL LAVORO

PAESE

GIUGNO 2006

| valori | 79 |


|

indiceetico

| numeridivalori |

| numeridivalori |

|

IL PORTAFOGLIO DI VALORI

NORDISKT HÅLLBARHET INDEX NOME TITOLO

ATTIVITÀ

BORSA

Electrolux H&M Trelleborg Orkla Kesko Statoil Svenska Handelsbanken Storebrand Gambro Coloplast Novozymes Metso Skanska Tomra Tietoenator Nokia Holmen UPM-Kymmene Telenor Volvo

elettrodomestici abbigliamento componenti meccaniche alimentari/media distribuzione petrolio servizi bancari assicurazioni tecnologia medica tecnologia medica farmaceutici macchine industriali edilizia macchine industriali software telefoni carta carta telecomunicazioni automobili

Stoccolma, Svezia Stoccolma, Svezia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Helsinki, Finlandia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia Copenaghen, Danimarca Copenaghen, Danimarca Helsinki, Finlandia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Helsinki, Finlandia Helsinki, Finlandia Stoccolma, Svezia Helsinki, Finlandia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia

CORSO DELL’AZIONE AL 03.05.2006

RENDIMENTO DAL 31.12.2004 AL 03.05.2006

221,00 SEK 288,50 SEK 168,50 SEK 338,00 NOK 28,560 € 208,50 NOK 209,50 SEK 74,50 NOK 109,00 SEK 472,00 DKK 467,50 DKK 33,33 € 130,00 SEK 64,25 NOK 24,37 € 18,01 € 327,00 SEK 18,28 € 72,00 NOK 372,50 SEK

40,82% 20,70% 44,43% 97,49% 59,11% 133,58% 17,29% 35,53% 11,42% 56,64% 68,20% 185,85% 57,88% 105,34% 4,15% 54,99% 37,70% 11,74% 39,32% 10,50%

Rendimento del portafoglio dal 31.12.2004 al 03.05.2006 *Il rendimento di Volvo è calcolato dall’entrata del titolo nell’indice (2 settembre 2005)

+57,27%

BORSA

Sabaf Heidelberger Druck. CSX Body Shop International Henkel Aviva Svenska Handelsbanken Novo Nordisk Merck Kgaa 3M Company FLS Industries Mayr – Melnhof Karton Verizon Intel Canon Stmicroelectronics BG Group Severn Trent Vestas Wind Systems Boiron

pezzi per forni a gas macchine per la stampa trasporti cosmetici detergenti, cosmetici assicurazioni servizi bancari farmaceutici farmaceutici/chimica grafica, edilizia edilizia cartone telecomunicazioni tecnologia Informatica tecnologia digitale semiconduttori gas ciclo acqua pale eoliche medicina omeopatica

Milano, Italia Francoforte, Germania New York, USA Londra, Gran Bretagna Francoforte, Germania Londra, Gran Bretagna Stoccolma, Svezia Copenaghen, Danimarca Darmstadt, Germania New York, USA Copenaghen, Danimarca Vienna, Austria New York, USA Santa Clara, USA Tokyo, Giappone Milano, Italia Londra, Gran Bretagna Londra, Gran Bretagna Copenaghen, Danimarca Parigi, Francia

CORSO DELL’AZIONE AL 03.05.2006

RENDIMENTO DAL 31.12.2004 AL 03.05.2006

23,72 € 40,40 € 73,18 USD 297,89 £ 95,18 € 803,00 £ 209,50 SEK 384,50 DKK 85,27 € 85,90 USD 273,50 DKK 154,33 € 32,64 USD 19,16 USD 8.930,00 JPY 14,51 € 745,50 £ 1.182,00 £ 170,75 DKK 17,60 €

24,66% 61,60% 97,43% 91,12% 48,72% 31,68% 17,29% 28,23% 69,52% 13,18% 164,78% 23,17% -12,87% -28,20% 58,30% 2,08% 113,02% 25,86% 150,39% -28,16%

+48,42%

€ = euro, £ = sterline inglesi, USD = dollari USA, SEK = corone svedesi, DKK = corone danesi, JPY = yen giapponesi

Creatività al potere così è nato il Post-it pagine a cura di Mauro Meggiolaro

S

ESSANTAMILA PRODOTTI DIVERSI. Li crea e commercializ-

za 3M, una società americana nella quale investe il portafoglio etico di Valori. Ha un buon sistema di 48,42% gestione ambientale, impone ai fornitori precise linee guida sui diritti umani ma, soprattutto, investe nella creatività. I tecnici 3M MSCI DM World price Index [in Euro] 27,26% possono usare il 15% del loro tempo per sviluppare le proprie idee con la massima libertà. È così che è stato inventato il Post-it, il prodotto più noto di 3M. L’ha ideato nel 1977 Art Fry, un ricercatore 3M della società. Fry cantava nel coro della sua Sede Saint Paul (USA) Borsa NYSE – New York Rendimento 31.12.2004 – 03.05.2006 +13,18% parrocchia ed era stufo che i foglietti che usaAttività 3M è un’impresa attiva in tre aree di business: industriale, elettronico e medico - scientifico. Produce e commercializza più di 60.000 diversi prodotti. I “Post It” sono probabilmente il va come segnalibri per i libretti dei canti voprodotto più conosciuto dai consumatori. 3M impiega più di 70.000 persone in tutto il mondo. lassero via all’apertura delle pagine. Un giorno gli venne in mente di attaccare i foglietti alle Responsabilità sociale pagine sfruttando le proprietà di una colla parGiudizio complessivo Stimola l’innovazione con forti incentivi ai collaboratori più creativi. Politica ambientale basata ticolare, scartata anni prima da 3M perché sulla prevenzione dei rischi. Linee guida sui diritti umani per i fornitori. “perdeva la propria capacità adesiva dopo poPolitica sociale interna Molto spazio all’iniziativa dei singoli. I tecnici dell’impresa possono impiegare il 15% del loro co tempo”. Erano nati i primi Post-it. Intanto tempo per sviluppare in piena libertà le proprie idee. Basso turnover dello staff. il titolo 3M è tornato a salire dopo mesi di riPolitica ambientale Pioniere nel suo settore nella politica ambientale. La maggior parte degli impianti sono certificati sultati negativi. Un buon segnale per il porISO14001. tafoglio etico, che ha chiuso aprile a +48,42% Politica sociale esterna Quasi tutte le attività di produzione sono in capo a 3M. I sub-fornitori devono garantire un da inizio gioco. 21 punti in più della media dei ambiente di lavoro sano e sicuro. mercati internazionali. Portafoglio di Valori [in Euro]

UN’IMPRESA AL MESE

I primi dieci titoli di buona parte dei fondi di investimento azionari italiani sono più o meno gli stessi: General Electric, Exxon, Vodafone, BP, PfiRendimenti dal 31.12.2004 al 03.05.2006 Nordiskt Index [in Euro] 57,27% zer, Microsoft, Citigroup. Si tratta delle imprese più capitalizzate, più analizzate, più conosciute al mondo. I gestori finanziari preEurostoxx 50 price Index [in Euro] 29,50% feriscono puntare sul sicuro, ma spesso finiscono per copiarsi, ottenendo rendimenti simili tra loro e non di rado inferiori al mercato. Nel nostro indice etico scandinavo Nordiskt (che - lo ripetiamo - è soKesko Sede Helsinki (Finlandia) Borsa HSE – Helsinki Rendimento 31.12.2004 – 03.05.2006 +59,11% lo una simulazione) abbiamo inserito delibeAttività Kesko è la maggiore società commerciale finlandese. Attraverso una serie di divisioni si occupa ratamente titoli di imprese sconosciute ai più, di gestione di grandi magazzini, vendita, logistica e marketing. Impiega più di 12.000 persone. che sono però molto attente agli aspetti sociali e ambientali della loro gestione. Responsabilità sociale Dopo 16 mesi di investimento i risultati Giudizio complessivo Crescita costante dell’occupazione, buona politica per le pari opportunità, certificazione sono sorprendenti. L’indice Nordiskt ha reso Sa8000 dei fornitori. il 57,27%, battendo di ben 28 punti l’andaPolitica sociale interna Evidenti progressi nella comunicazione interna e nella promozione dell’equilibrio tra lavoro e tempo libero per tutti i dipendenti. mento dei mercati europei. Questo mese vi Politica ambientale Impegno per la riduzione dell’impatto ambientale dei centri commerciali. Incentivi ai clienti facciamo conoscere un po’ meglio l’impresa che comprano prodotti eco-compatibili. finlandese Kesko. Gestisce grandi magazzini e Politica sociale esterna Kesko promuove la certificazione Sa8000 dei suoi fornitori perché si sente responsabile della si sente responsabile della condotta sociale loro condotta sociale. dei suoi fornitori. Tanto che dà la precedenza Politica economica I rischi ambientali e sociali della gestione sono inseriti a pieno titolo nel modello di business a quelli che hanno ottenuto la certificazione della società. sociale Sa8000. UN’IMPRESA AL MESE

ATTIVITÀ

Rendimento del portafoglio dal 31.12.2004 al 03.05.2006

O SAPEVATE?

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NOME TITOLO

€ = euro, SEK = corone svedesi, DKK = corone danesi, NOK = corone norvegesi

Largo agli sconosciuti del Nord

L

portafoglioetico

Rendimenti dal 31.12.2004 al 03.05.2006

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in collaborazione con www.eticasgr.it | 80 | valori |

ANNO 6 N.40

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GIUGNO 2006

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ANNO 6 N.40

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GIUGNO 2006

| valori | 81 |


| padridell’economia |

Federico Caffè

Il pieno impiego obiettivo primario

+

di Francesca Paola Rampinelli

ONO DAVVERO ATTUALISSIME, IN QUESTI ULTIMI ANNI, le posizioni che Federico Caffè espresse nel corso di una vita di studi e di insegnamento a partire dagli anni trenta. Come, infatti, ha ricordato Guido Rey nel gennaio del 1994, in occasione dell’intitolazione della Facoltà di Economia e Commercio di Roma all’economista di origine abruzzese, Caffè «scrisse sulla convertibilità della lira, analizzò i movimenti di capitali e denunciò il semplicistico richiamo alla libertà dei mercati senza che venisse ugualmente considerato l’interesse del Paese a vedersi tutelato nei confronti degli incappucciati (come egli amava definirli), ossia gli anonimi speculatori finanziari che privilegiano il lucro di breve periodo e intralciano l’accumulazione produttiva. Del resto i mercati monetari e finanziari nonché le Borse sono sempre stati criticati da Caffè per la loro scarsa trasparenza e per la illusoria capacità di allocare efficientemente il risparmio». Il professore pur restando fedele all’insegnamento, affiancò sempre una vita politica di tutto rilievo a quest’ultimo: «il compito dell’intellettuale è quello di rimanere fedele al dubbio sistematico come appropriato antidoto alla riaffermazione intransigente di cui spesso si finisce di essere prigionieri» e soprattutto «è innaturale ed illusoria la scissione mentale dell’economista in quanto teorico ed in quanto cittadino». Fedele a questo ideale Caffè è stato antifascista e poi, più tardi, vicino al riformismo cattolico di Cronache Sociali di Dossetti e infine critico consigliere del sindacato unitario. Si autodefiniva un riformista di questo stampo. Il professore abruzzese sostenne «Il riformista preferisce, il poco al tutto, il realizzabile un riformismo che preferisce all’utopico, il gradualismo delle trasformazioni “il poco al tutto, il realizzabile a una sempre rinviata trasformazione radicale all’utopico, il gradualismo del sistema. In sintesi però l’obiettivo primario deve delle trasformazioni a una sempre essere «il pieno impiego che non è soltanto un mezzo rinviata trasformazione radicale” per accrescere la produzione e intensificare l’espansione. È un fine in sé, poiché porta al superamento dell’atteggiamento servile di chi stenta a trovare un lavoro o nutre il timore di perderlo». Federico Caffè nasce a Pescara nel 1914, si laurea con lode in Scienze Economiche e Commerciali presso l’Università di Roma dove resta come assistente alla cattedra di Politica economica e finanziaria fino al 1946 quando vince una borsa di studio per la London School of Economics. Libero docente di politica economica e finanziaria, vince nel 1954 il primo concorso a cattedra di Politica economica e finanziaria tenutosi dopo la fine della guerra, ed è chiamato a Roma nel 1959 come professore ordinario presso la facoltà di Economia e Commercio. Nel 1984 gli è stato conferito il diploma di prima classe, con medaglia d’oro, per i benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte, mentre fin dal 1970 è stato socio corrispondente dell’Accademia nazionale dei Lincei ed è divenuto socio nazionale nel 1986. Caffè scompare nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1987. Scompare è il termine esatto da usare per definire, infatti, la fine del professore che, oltre a rappresentare un pilastro fondante nella storia dell’economia, ha anche offerto ai posteri uno dei più affascinanti gialli irrisolti della recente storia italiana. L’economista aveva 73 anni ed era da poco andato in pensione dall’insegnamento, con non poco dispiacere, quando, avendo lasciato occhiali, chiavi e documenti, ben in vista sul tavolo del soggiorno, uscì da casa sua a Monte Mario, a Roma, e sparì nel nulla.

S

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| 82 | valori |

ANNO 6 N.40

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GIUGNO 2006

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Leggo doppio Leggo solidale Novità 2006 per i lettori: Valori a casa vostra, insieme a Nigrizia, l’unico mensile dell’Africa e del mondo nero. Alleanza di pagine e idee, a un prezzo conveniente.

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Valori

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