Cooperativa Editoriale Etica
Anno 16 numero 135 febbraio 2016
€ 4,00
ULET IFANSASTI / GREENPEACE
Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità DERIVATI SUI TASSI DIECI BANCHE ALLA SBARRA
finanza etica
COMMERCIO EQUO IL FUTURO È SOTTO CASA?
PECHINO ESULTA LA SUA VALUTA NEL PANIERE FMI
internazionale
Non chiamatela agricoltura 9 788899 095154
ISBN 978-88-99095-15-4
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, NE/VR.
economia solidale
Si moltiplicano le colture per scopi non alimentari: veri flagelli per ambiente e comunità locali. A trarne vantaggio, solo gli speculatori
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valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
editoriale
L’APPROCCIO DESIDERABILE di Andrea Di Stefano
valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
L
a conferenza di Parigi sul clima non è stata all’insegna del business as usual. L’accordo ha sicuramente sancito la fine dell’era del carbone e dei combustili fossili e quello che è accaduto durante e subito dopo sui mercati finanziari è la conferma che la decarbonizzazione dell’economia è inevitabile. Ma la transizione non sarà né lineare né indolore se non sarà fortemente condizionata dalla pressione di quei settori della società civile, che hanno già dimostrato concretamente la sostenibilità di modelli distribuiti, condivisi e diffusi. Accanto all’indubbio risultato di aver indicato una soglia di incremento della temperatura più sfidante dei 2°C e alle misure di controllo e verifica degli impegni, l’accordo non delinea (e non poteva neppure farlo) come debba essere perseguito il cambio di paradigma. Il rischio di adottare soluzioni peggiori delle esistenti c’è ed è massimo soprattutto nei Paesi dove i beni comuni non sono tutelati. Basti pensare alla differenza sostanziale che esiste tra un sistema di generazione e distribuzione dell’energia come il fotovoltaico (strutturalmente basato sull’autoproduzione, lo scambio territoriale e la condivisione) da quello delle bioenergie (potenzialmente più distruttivo del petrolio, conflittuale con il sistema agricolo, estensivo e concentrato in termini di risorse finanziarie e di capitale). Una vera sostenibilità (ambientale, sociale e economica) richiede un completo ridisegno dei territori e delle comunità, una visione completamente diversa da quella che continua a contrassegnare un approccio economico lineare e dissipativo, che brucia le risorse rapidamente producendo scarti (umani e materiali), rifiuti ed emissioni. Partendo dal fare quotidiano di ciascuno, si generano conseguenze a vari livelli: si creano visioni condivise, si alimentano i sistemi produttivi, si sviluppano tecnologie fun-
zionali alla comunità. Può nascere una cultura, un modo di pensare e di fare che si struttura in regole adatte ai singoli territori. Sono i presupposti essenziali per l’affermarsi di un modello economico sistemico che genera valore a partire da ciascun territorio, e garantisce benessere collettivo enfatizzandone le risorse, il capitale umano, i know-how . È un sistema fondato sulla collaborazione tra soggetti accomunati dagli stessi obiettivi. Non esistono multinazionali che controllano il mercato, ma reti di attività che a livello locale interagiscono con la comunità e i suoi bisogni. Ciascun elemento del sistema ha il potere di influenzare l’economia; ogni azienda è responsabile dei flussi di risorse in entrata e in uscita ed è conscia che la qualità dei prodotti è cruciale per essere accettata nel sistema. In questo approccio viene incentivata la conservazione delle produzioni locali nel loro territorio, sollecitata la garanzia della massima qualità nel rispetto delle altre attività e dell’ambiente circostante. Tutte le risorse rientrano come flussi di materia in trasformazione, che generano valore durante tutto il ciclo di vita. Non è previsto alcun “rifiuto”, poiché tutto ciò che viene generato come output viene trasformato in input per un nuovo processo, con conseguente generazione di valore e diminuzione della spesa pubblica per danni ambientali. Si formano gruppi di consumatori che acquistano direttamente dai produttori, che così sono strettamente connessi alla domanda, capiscono i bisogni della collettività e rispondono meglio alle esigenze del loro mercato. I consumatori ottengono prodotti di qualità, a costi accessibili. Il sistema economico diventa resiliente, è generato dalle stesse relazioni tra i soggetti. Una sfida che porta a ridisegnare i paradigmi e a redistribuire la ricchezza con conseguenze “rivoluzionarie” per le comunità. ✱ 3
sommario
febbraio 2016 mensile www.valori.it anno 16 numero 135 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 ROC. n° 13562 del 18/03/2006 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica soci Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, First Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, First Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina della Cooperazione, Circom soc. coop. consiglio di amministrazione Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Maurizio Gemelli, Emanuele Patti, Marco Piccolo, Sergio Slavazza, Fabio Silva (presidente@valori.it). direzione generale Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci Mario Caizzone, Danilo Guberti, Giuseppe Chiacchio (presidente) direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) caporedattore vicario Emanuele Isonio (isonio@valori.it) redazione Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano (redazione@valori.it) hanno collaborato a questo numero Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Alberto Berrini, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Luca Martino, Mauro Meggiolaro, Andrea Vecci grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) fotografie e illustrazioni Daniel Beltrà, Ulet Ifansasti (Greenpeace); Archivio Novamont; Stephen Melkisethian (flickr.com); Manuel Kottersteger; Izein Alrifai (AFP/GImages) distribuzione Press Di - Segrate (Milano)
È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri.
fotoracconto 01/04 Prima e dopo l’intervento umano: una linea netta divide ciò che rimane della foresta tropicale di Kalimantan, nel Borneo indonesiano, habitat degli oranghi, dalla parte deforestata a causa della coltivazione dell’olio di palma, autorizzata dal governo.
dossier
NUOVI CAMPI 8 IDEGLI AVVOLTOI
Palma, colza, jatropha, pellet. Un viaggio lungo le filiere dei biocarburanti che stanno sottraendo milioni di ettari di terre fertili alle foreste pluviali e all’agricoltura alimentare a vantaggio di pochi big dell’agrobusiness
global vision finanza etica
7
I derivati (di nuovo) nella bufera Dal diritto allo studio all’ipoteca sul futuro Rischio finanziario: il club dei trilionari
la mappa del mese Dietro le quinte del Terrore economia solidale Commercio equo: il futuro è vicino a casa? Piccoli agricoltori, dure critiche a Cop21 Il clima rovente affamerà il mondo Turismo più pulito. Ma chi fa i calcoli?
Involucro in Mater-Bi®
ABBONAMENTI 2016 valori [10 numeri]
social innovation internazionale
43
Yuan & Fondo monetario. Aggiungi un posto a tavola La lotta alle dighe risveglia il Cile Povertà estrema, uscirne costa poco Il tempismo del “Duca Bianco”
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fotoracconto 02/04
Ce ne sono di cose che si possono fare con una manciata di semi: recuperare terreni marginali, offrire un'opportunità di sviluppo pulito a un territorio finora martoriato dalla chimica “tradizionale”, sostenere i piccoli agricoltori e dimostrare cosa può fare la ricerca italiana quando ci sono lungimiranza e soldi da investire. Quanto di più distante dall’agricoltura di “rapina” portata avanti da molte multinazionali in Africa e Sud-Est asiatico. I semi alla base di questa best practice sono quelli del cardo, coltivati nella Nurra, area nordoccidentale della Sardegna, 6
grazie al progetto Matrìca. Novamont, leader mondiale delle bioplastiche, ci sta lavorando da ormai un quinquennio, attraverso una joint-venture che coinvolge anche Eni, interessata a riqualificare il suo petrolchimico di Porto Torres. I cardi vengono coltivati in terreni marginali e improduttivi. Insieme a Coldiretti sono stati selezionati finora circa 50 agricoltori, proprietari di un’area totale di 500 ettari (a regime il fabbisogno sarà di 4mila). A loro, Novamont assicura un reddito minimo di 250 euro ad ettaro, facendosi anche carico di eventuali
perdite causate da eventi meteo avversi. E anticipa le spese che i contadini dovranno sostenere per i primi due anni di coltivazione, quelli più costosi. Una volta raccolto, il cardo servirà a parecchie cose: l’olio verrà utilizzato per produrre i monomeri alla base della bioplastica Mater-bi; dal residuo del seme spremuto si otterrà una farina proteica per l’alimentazione ovina. E la fibra legnosa della pianta alimenterà la caldaia della nuova bioraffineria. Un segno tangibile che i progetti in cui tutti vincono possono esistere. Anche in Italia.
Quattro fasi delle coltivazioni di cardo avviate in Sardegna da Novamont nell’ambito del progetto Matrìca: il momento di maggiore impatto visivo è durante la fioritura della pianta, che, tra giugno e luglio, colora di viola intere vallate. Ma la raccolta vera e propria avviene un paio di mesi più tardi, una volta che i fiori si sono seccati. Da quel momento parte l’attività industriale: dai semi si estrae l’olio, che verrà a sua volta trasformato in acido azelaico (base per le plastiche compostabili) e acido pelargonico, erbicida di origine naturale usato anche nella sintesi di lubrificanti e come emolliente nel settore cosmetico.
FOTO: ARCHIVIO NOVAMONT
valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
global vision
Che cosa aspettarsi dal 2016
La domanda per uscire dalla crisi di Alberto Berrini crolli di Borsa di inizio anno hanno fatto dimenticare che solo due settimane prima la Federal Reserve, interrompendo un’era che durava da nove anni e mezzo, aveva alzato, anche se di poco, i tassi di interesse. Con tale decisione si affermava la solidità della crescita americana e si valutava che l’economia mondiale avrebbe complessivamente ottenuto benefici da tale scelta o comunque sarebbe stata in grado di “sopportare” tale provvedimento. Ma da allora, lo scenario mondiale, anche e forse soprattutto a causa di fattori economici, è profondamente mutato. Del resto Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario, già a fine 2015, ossia prima delle turbolenze finanziarie di inizio anno, sosteneva che, «la crescita globale del 2016 sarà deludente e incostante». Gli elementi della nuova “tempesta perfetta” sono noti: 1. il rallentamento, sempre più accentuato, dell’economia cinese. Data la dimensione di tale economia non è difficile immaginare cosa ciò implichi per la domanda mondiale. Un problema che va oltre la cattiva gestione dei mercati finanziari in quel Paese; 2. le tensioni geopolitiche, in particolare nel Medio Oriente, con effetti economici diretti. In particolare la spinta al ribasso del prezzo del petrolio non aiuta certo a uscire da uno scenario deflazionistico di per sé già complicato. Inoltre più in generale il calo del prezzo delle materie prime è sicuramente la causa principale della difficoltà in cui si trovano le economie di molti Paesi emergenti (Brasile, Russia); 3. le tensioni crescenti sulle piazze finanziarie, a partire dalla principale Borsa mondiale, Wall Street, lasciano seri dubbi sul fatto
I
valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
che i livelli raggiunti dagli indici di quei mercati negli ultimi anni siano coerenti con lo sviluppo economico raggiunto; 4. la debolezza della ripresa economica europea è messa a dura prova dalle sfide rappresentate dal terrorismo e dal fenomeno migratorio che mettono in luce la criticità della mancanza di un pur minimo coordinamento politico. Il 2016 non si presenta dunque con i migliori auspici. Il tema di fondo, il fattore comune degli elementi che compongono la possibile tempesta perfetta, è la scarsità della domanda, che, come è noto, è il vero e indispensabile propellente dello sviluppo. In un recente intervento apparso su Il Sole 24 Ore nei primi giorni dell’anno (“L’unica cura è ampliare la domanda aggregata”), il premio Nobel Joseph Stiglitz ribadisce la necessità di una politica economica che vada oltre la politica monetaria e contro l’austerità fiscale. Le esigenze globali da soddisfare non mancano – si pensi anche solo al tema del riscaldamento climatico – ma tanti sono i temi che potrebbero essere oggetto degli investimenti pubblici. Inoltre l’aumento della domanda aggregata sarebbe favorito da una lungimirante politica fiscale a favore di una più equa distribuzione del reddito che ancora non si vede. «Gli ottimisti – conclude Stiglitz – dicono che il 2016 sarà migliore del 2015. Questo potrebbe rivelarsi vero, ma solo impercettibilmente. Se non affronteremo il problema di una insufficiente domanda aggregata globale, il Grande Malessere continuerà». ✱
7
DOSSIER
fotoracconto 03/04 Già nel 2009, l’obiettivo del fotografo spagnolo Daniel Beltrà documentava le devastazioni causate alle foreste tropicali del Sud-Est asiatico dalle colture intensive per scopi non alimentari. In questa immagine, catturata a Sungaihantu, nella parte indonesiana del Borneo, lo scheletro di un albero è l’ultimo, spettrale, ricordo di un territorio incontaminato spazzato via per sempre. E con esso, la speranza di uno sviluppo sostenibile per le comunità locali.
10 / Terre fertili. La gara è aperta 12 / Oro rosso per le multinazionali 14 / Disboscamenti al servizio del pellet 16 / Le materie prime giocano al ribasso
IN DEG
Nel mirino, il controverso olio di palma, ma non solo: la stessa logica si ritrova in altre filiere. Dalla colza alla jatropha, fino all’insospettabile pellet
NUOVI CAMPI GLI AVVOLTOI
DANIEL BELTRĂ€ / GREENPEACE
Gli usi non alimentari delle terre fertili arricchiscono gli speculatori ma stanno snaturando il settore agricolo e mettono a rischio il futuro di intere popolazioni
DOSSIER I NUOVI CAMPI DEGLI AVVOLTOI
Terre fertili La gara è aperta di Paola Baiocchi
FONTE: GESTORE SERVIZI ENERGETICI
La richiesta di biomasse da usare per biocarburanti o biomateriali aumenta. E scatena la competizione tra piccoli agricoltori e grandi gruppi finanziari che vedono nei suoli coltivabili solo una nuova forma di profitto
T
ra il 2007 e il 2008 il sistema economico mondiale ha mostrato una sua nuova fragilità: l’aumento speculativo del prezzo del petrolio, che l’11 luglio 2008 ha toccato il record di 147,25 dollari al barile, ha trascinato nella sua corsa al rialzo anche i cereali. In soli tre mesi – tra novembre 2007 e febbraio 2008 – il prezzo del grano ha registrato una crescita del +48,8%, seguito dal +28,3% e +23,5% del mais e del riso. La corsa dei prezzi dei cereali è continuata fino al massimo storico del 2010, provocando una strage silenziosa nei Paesi più poveri, dove il 50% del reddito è destinato al cibo. E ha fatto da detonatore per lo scoppio delle rivolte nordafricane del 2011. Il 2009, invece, ha segnato il picco nella corsa all’accaparramento dei terreni. Queste dinamiche hanno reso tangibile un cambiamento avvenuto progressivamente sui campi di tutto il mondo: la trasformazione dell’agricoltura in un’industria finanziarizzata e globalizzata, dipendente dal petrolio che viene utilizzato per sintetizzare fertilizzanti e pesticidi, ma anche per muovere le macchine necessarie alle coltivazioni intensive e ai trasporti. Le terre fertili e i loro prodotti sono diventati per i grandi speculatori un redditizio investimen-
GLOSSARIO BIOCARBURANTI Carburanti, liquidi o gassosi, per i trasporti, ricavati dalla biomassa. Con il termine bioliquidi, invece, si denotano i combustibili liquidi, prodotti dalla biomassa, usati a fini energetici diversi dal trasporto. I principali biocarburanti sono il bioetanolo, il biodiesel e il biometano. BIOETANOLO è prodotto dalla fermentazione di biomasse ricche di zuccheri, come il mais, le vinacce, le barbabietole. Ultimamente ci si sta orientando verso la produzione di bioetanolo a partire da biomasse legnose, evitando così l’uso di biomasse destinabili a scopi alimentari. Può essere utilizzato in motori a benzina, miscelato con il carburante tradizionale. BIODIESEL viene prodotto principalmente dagli oli vegetali, estratti da semi di piante, come il girasole, la colza, la palma. Può essere utilizzato in motori diesel, miscelato con il gasolio. Biodiesel possono anche essere prodotti a partire da oli di scarto, come l’olio di frittura. La ricerca è impegnata a sviluppare sistemi che permettano l’uso delle alghe. BIOMETANO è il gas prodotto dalla purificazione del biogas, avente caratteristiche tali da consentirne l’immissione nella rete del gas naturale. Può essere utilizzato senza particolari precauzioni nei veicoli a metano. 10
to alternativo, equivalente a qualunque materia prima non edibile e dipendente, come tutte le commodity, dalle fluttuazioni borsistiche. I milioni di ettari acquistati, soprattutto da società Usa (vedi MAPPA ), ma anche dai fondi pensione svedesi, sono stati destinati per la maggioranza a coltivazioni adatte alla produzione di bioenergia (vedi GRAFICO ).
NON SOLO IN BRASILE O NEGLI USA I biocarburanti non sono una realtà brasiliana o nordamericana: l’Unione europea dal 2009 ha imposto l’obiettivo vincolante del 10% di energia rinnovabile entro il 2020 nel settore dei trasporti. Suscitando la pessimistica reazione dell’Economist che ha intitolato “Gli investimenti in biocarburanti scendono e lo scetticismo è in crescita”, l’Ue lo scorso anno ha disposto che solo il 7% di questa quota può essere raggiunto con biocarburanti di prima generazione. «La differenza – spiegava The Economist – deve essere costituita da biocarburanti innovativi, basati su prodotti di scarto e altre materie prime che non influiscano sulla produzione alimentare», tecnologie per le quali servirebbero almeno altri quattro anni di ricerca per arrivare alla produzione su larga scala. Lo strumento che principalmente gli Stati membri stanno adottando, per raggiungere questo limite, è l’introduzione di bioenergia. Gli operatori che immettono benzina e gasolio in consumo hanno l’obbligo di miscelarli con biocarburanti: per il 2015 la quota è stata pari al 5% del valore energetico dei carburanti fossili immessi in consumo nello stesso anno. La miscelazione è incentivata dal Gse attraverso il sistema delle quote d’obbligo, regolate dai Certificati di immissione in consumo (Cic), che sono bancabili per due anni e possono anche essere acquistati da soggetti che hanno superato la propria quota d’obbligo. Secondo l’Osservatorio energie rinnovabili ed efficienza, il livello di invalori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
aree aGricoLe: compratori e comprati
7
Classifiche dei 10 principali Paesi per ettari di terreno acquistati all’estero e dei 10 primi Stati per terreni venduti 1 USA 8.431.709
10 UCRAINA 1.650.815
5 CANADA 1.981.272
6 REGNO UNITO 1.976.483
(4.643.322 ha)
18%
31%
(10.311.871 ha)
(5.850.022 ha)
9
8 INDIA 1.697.630
Colture alimentari Colture non alimentari Colture flessibili Usi multipli
2
10 ARABIA SAUDITA 1.599.764
3
7 CONGO 2.148.000
8
BRASILE 1.677.589 2.033.074
2 PAPUA NUOVA GUINEA* 3.719.991
5
REP. DEM. CONGO 2.762.026
3
1
4
SUD SUDAN 4.091.453
EMIRATI ARABI 2.871.727
la di combustibili fossili con quelli di origine vegetale, ha «creato una crescita artificiosamente rapida della produzione di bioenergia», come affermava già nel 2008 la Fao nel Rapporto sullo Stato dell’alimentazione e dell’agricoltura dedicato ai biocarburanti. Forse per questo motivo ci viene proposto di modificare la nostra dieta mangiando insetti. ✱
tre GeNerazioNi Di aGricarburaNti NE N ZIO RA
E
Carburanti prodotti a partire dalle microalghe, possono utilizzare acque reflue, salmastre o di falda. La tecnologia è ancora in fase di ricerca.
E
ION AZ ER
Utilizzano come materia prima oli non commestibili o substrati generalmente non utilizzabili a fini alimentari: materiali lignocellulosici provenienti da attività forestali, potature, scarti delle industrie alimentari e parte organica dei rifiuti urbani. Oppure derivano da coltivazioni dedicate come il miscanto.
GE
N GE
Raggruppano il bioetanolo e i biodiesel derivati dalla trasformazione di colture alimentari oleaginose (colza, soia, girasole, palma) o zuccherine (mais, grano, barbabietola). In questa categoria sono inclusi anche gli oli vegetali utilizzabili in certi motori.
E
La competizione tra piccoli agricoltori che sfamano il mondo e latifondi destinati a coltivazioni industriali, concentrati in poche mani, è destinata ad aumentare. Anche per la domanda crescente di biomasse per bioplastiche e altri biomateriali, che ci fa chiedere se l’allarme lanciato per aumentare la produttività dei terreni sia rivolto a soddisfare bisogni alimentari o la produzione di nuove merci. La maggiore redditività delle biomasse, alimentata anche dalle politiche che promuovono la misce-
SUDAN 2.778.847
ION AZ ER
BIOMASSE O INSETTI?
4
N GE
centivazione del biometano per autotrazione è particolarmente vantaggioso: aspettiamoci a breve la moltiplicazione dei distributori di metano. Il Rapporto Outlook 2014-2023, redatto da Ocse e Fao, prevede che la produzione e il consumo mondiale di etanolo e biodiesel cresceranno del 50%, raggiungendo entro il 2023 rispettivamente 158 e 40 miliardi di litri, continuando a essere prodotti principalmente da materie prime edibili. Entro il 2023 il 12% dei cereali, il 28% della canna da zucchero (per l’etanolo) e il 14% degli oli vegetali dovrebbero essere utilizzati per la produzione di biocarburanti.
valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
SINGAPORE 2.944.250
6 MOZAMBICO 2.155.706
ON DA
Stati investitori [ettari di terreno acquistati] Paesi obiettivo [ettari di terreno venduti]
SE C
1
PR IM A
1
MALESIA 3.308.457
INDONESIA 3.367.412
RZ A
37%
14%
FED. RUSSA 1.933.896 1.900.981
TE
(12.006.804 ha)
9
11
FONTE: LAND MATRIX
I NUOVI CAMPI DEGLI AVVOLTOI DOSSIER
DOSSIER I NUOVI CAMPI DEGLI AVVOLTOI
Oro rosso per le multinazionali di Corrado Fontana Le principali compagnie coinvolte nella filiera dell'oro rosso cercano di rispondere alle critiche pubblicando report dedicati (Danone, Nestlè…), aderendo a soggetti come la Tavola rotonda sull'olio di palma sostenibile (RSPO) o il Palm Oil Innovation Group, e mostrando di accogliere standard meno impattanti sul piano della deforestazione e dei diritti umani.
Per il Sud-Est asiatico l’olio di palma è una immensa fonte di ricchezza: venduto a prezzi stracciati ha invaso l’industria del cibo e alimenta quella dei biocarburanti. Ma la torta fa ricche quasi solo le corporation
I
ndonesia, Malesia e Thailandia ben difficilmente rinunceranno a sfruttare la manna dell’olio di palma fino all’ultima goccia, nonostante gli incalcolabili e irreversibili costi ambientali per produrlo, o i pericoli per la salute connessi al suo consumo eccessivo. Per capirlo basta leggere la classifica diffusa dal Dipartimento dell’Agricoltura USA sui Paesi maggiori produttori nel 2014, dove i tre Stati sono stabilmente in testa, rispettivamente con una quantità di 33 milioni, di quasi 20 milioni e di 2 milioni di tonnellate prodotte. Africa e Sudamerica fanno da comprimarie nel mercato, a grande distanza. Un fiume d’olio di palma (il più pregiato, di colore rossastro, estratto dai frutti; quello di qualità inferiore, il Palm Kernel Oil, dai semi) che viene raccolto grazie alla devastazione di ampie aree di fore-
ta pluviale e torbiere nel Sud-Est asiatico, rase al suolo con incendi controllati e disboscamento (generando così enormi quantità di CO2 in modo diretto, col fuoco, e indiretto, riducendo la vegetazione che possa assorbirla), in un circolo vizioso in cui i profitti dell’olio si sostengono reciprocamente con quelli del fiorente mercato di legname (l’Indonesia è il primo esportatore mondiale). Il fiume d’olio invade Paesi come Cina e India a tal punto da renderli dipendenti dalle importazioni (attorno ai 7-8 milioni di tonnellate ciascuno tra 2014 e 2015); e che risponde a una domanda globale in crescita esponenziale nel corso dell’ultimo ventennio, favorita da una riduzione progressiva del prezzo, che ha reso concorrenziale l’utilizzo di questa materia prima nell’industria manifatturiera
Le sette DeLLe paLme
REGINE
12
ARCHER DANIELS MIDLAND www.adm.com
Padrona, insieme a Cargill, Bunge e Dreyfus, di grandi fette del mercato alimentare globale, dalle materie prime per agricoltura e allevamento alla trasformazione. Ha più di 33mila dipendenti e clienti in oltre 140 Paesi, con centinaia di sedi di immagazzinamento e produzione. Ha sede a Chicago (Illinois, USA) e dichiara ricavi dalle vendite per 81,2 miliardi di dollari nel 2014. Sul proprio sito indica al primo posto l’Oilseeds Processing, ovvero il trattamento di semi oleosi, tra le attività principali.
SIME DARBY PLANTATION www.simedarbyplantation.com
Divisione di Sime Darby Group, holding malesiana con attività in 26 Paesi e 130mila dipendenti impegnati su 5 settori chiave. Quello dell’olio di palma è predominante: 108mila dipendenti e un profitto a giugno 2015 di 1,2 miliardi di dollari. Aderisce a Rspo ed è il più grande produttore di olio di palma certificato sostenibile, con una produzione nel 2014 di 2,03 e 0,47 milioni di tonnellate di olio estratte rispettivamente dai frutti e dai semi, e ricavate da 527mila ettari di piantagioni tra Malesia e Indonesia.
WILMAR INTERNATIONAL www.wilmar-international.com
Con oltre 90mila dipendenti, un utile netto nel 2014 da 1,16 miliardi, un fatturato e un patrimonio netto stimati in 43 miliardi di dollari, la compagnia di Singapore ha proprio nello sfruttamento dell’olio di palma il suo core business (Unilever è tra i suoi clienti di primo piano). Wilmar punta a espandersi in Africa, dove gestisce 59mila ettari coltivati a olio di palma, ma sfrutta 238mila ettari complessivi di piantagioni di oro rosso sul Pianeta (il 70% in Indonesia, il 24% in Malesia), stando ai dati dichiarati nel 2014. valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
I NUOVI CAMPI DEGLI AVVOLTOI DOSSIER
COLOMBIA 4 1.108 3 6,54% ECUADOR 7 575
proDuzioNe oLio Di paLma 2008
625.669
35.250
RSPO: 90%
Biologico: 2%
2012
THAILANDIA 3 2.000
8.184.201 37.688
MALESIA 19.800
2
HONDURAS 9 470 5 4,44%
FILIPPINE 10,66%
1
GUATEMALA 10 440 4 4,76% 1 1
GHANA 8 495
per Paese
(alimentare e non solo) e nella produzione di combustibili di origine vegetale. L’oro rosso viene impiegato praticamente ovunque (margarine, saponi, rossetti, oli da cucina, gelato, merendine, lubrificanti industriali) e consumato soprattutto in Europa e Stati Uniti, con una media – rivela il rapporto Oil World 2013 – di 60 e 55,3 chilogrammi per persona; mentre la produzione di biodiesel del 2014 ne avrebbe assorbiti 9,7 milioni di tonnellate, ovvero circa il 16% dell’intera produzione mondiale. Secondo i dati 2015 elaborati dal progetto britannico di monitoraggio Sustainable Palm Oil Transparency Toolkit, a godere di tutto questo sono so-
Divisione di Genting Group specializzata nell’olio di palma. Dopo aver avviato l’attività nell’aprile 1980 con l’acquisizione di circa 14mila ettari di terreno coltivati a piantagione nella Malesia peninsulare, oggi vanta 7300 dipendenti e ha allargato il proprio business grazie ad alcune acquisizioni in altre zone del Paese, fino a controllare 71mila ettari di piantagioni.
valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
INDONESIA 1 33.000 2 8,20%
NIGERIA 5 930
Produzione per Paese [dati in migliaia di tonnellate] Tasso di crescita % annuale
GENTING PLANTATIONS www.gentingplantations.com
FONTE: INDEXMUNDI
OLIO DI PALMA Classifiche dei 10 principali Paesi produttori e dei 10 primi Stati per tassi di crescita delle coltivazioni
PAPUA NUOVA GUINEA 6 630
prattutto le multinazionali, a partire dalle padrone del mercato delle commodities alimentari (Valori lo denunciava già nel dicembre 2013): le quattro maggiori compagnie del settore per capitalizzazione hanno un valore compreso tra i 21 miliardi di dollari di Archer Daniels Midland e gli 11,9 miliardi di Genting Plantations (seconda e terza piazza per Sime Darby Plantation e Wilmar International); mentre la top four del settore per superficie di terra coltivata vede in testa la solita Sime Darby, con quasi un miliardo di ettari, seguita da Felda Global Ventures (741,5 ha), Golden Agri Resources (451 ha) ed Eagle High Plantations (425 ha). ✱
FELDA GLOBAL VENTURES www.feldaglobal.com Nata nel 2007 in Malesia e quotata dal 2012 alla Borsa indonesiana, FGV si autodefinisce come il maggior produttore mondiale di Crude Palm Oil e il secondo operatore malese nelle attività di raffinazione. Con 19mila dipendenti, lavora su impianti anche in Indonesia, Cina, Turchia e Sudafrica tramite una joint venture con IFFCO, multinazionale del cibo con sede negli Emirati Arabi.
GOLDEN AGRI RESOURCES www.goldenagri.com.sg
Compagnia di Singapore – come Wilmar International – dichiara una superficie totale coltivata a palme da olio di 484,221 ettari in Indonesia al 30 settembre 2015. Quotata alla Borsa di Singapore dal 1999, ha una capitalizzazione di mercato di 2,9 miliardi di dollari e attività anche in Cina e India. Oltre a ricavare olio di palma per l’industria, produce olio da cucina, margarina, noodles.
LINK Rainforest Action Network www.ran.org Greenpeace International www.greenpeace.org Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO) – www.rspo.org Palm Oil Innovation Group http://poig.org
EAGLE HIGH PLANTATIONS eaglehighplantations.com Società indonesiana dedita alla coltivazione di palme da olio, produce sia dai frutti che dai semi. Dispone dei diritti per una superficie totale di circa 419mila ettari di terra e piantagioni nelle province indonesiane di Kalimantan, Sulawesi, Papua e Sumatra. Quotata all’Indonesia Stock Exchange dall’ottobre 2009.
13
DOSSIER I NUOVI CAMPI DEGLI AVVOLTOI
Disboscamenti al servizio del pellet di Andrea Barolini
Le esportazioni dagli Stati Uniti verso l’Europa crescono a ritmi sostenuti. Ma gli ambientalisti rivelano: il legname è frutto di ampie opere di deforestazione. Dito puntato contro Enviva, primo fornitore mondiale
L’
apparenza, a volte, inganna. Il pellet, in Europa, è considerato un’energia pulita, perché si pensa sia legname di scarto. In realtà, una parte importante del materiale (spesso utilizzato per le centrali a biomassa) proviene dagli Stati Uniti. E non si tratta di rifiuti. Per comprendere l’accaduto bisogna tornare al marzo 2015, quando una coalizione di ecologisti americani ha manifestato davanti al consolato inglese di Atlanta, per protestare contro le esportazioni (importazioni, dal punto di vista britannico) di pellet, che secondo quanto riferito al giornale americano ThinkProgress da Shelby White, uno degli organizzatori del sit-in, sta provocando «un gigantesco disboscamento nel Sud-Ovest degli Usa». Il legname utilizzato in Europa, in altre parole, arriverebbe direttamente da alberi abbattuti a tale scopo. Un’inchiesta della stessa rivista web punta in parti-
NoN soLo paLma aLtre coLture sotto accusa Cresce il fronte di chi denuncia i lati negativi sottovalutati di molti biocarburanti. Nel mirino finiscono colza e jatropha Contro l’uso dei biocarburanti ong come oxfam, actionaid, Grain hanno lanciato campagne che mettono in dubbio i calcoli sulla loro minore produzione di gas serra 14
colare il dito contro il gruppo Enviva, considerato «il più importante fornitore mondiale di pellet», proprietario di sei siti di produzione tra la Carolina e la Georgia, che ha investito 100 milioni di dollari nel segmento, prevedendo una crescita della domanda pari al 21% all’anno, di qui al 2020: una dinamica legata soprattutto alla riconversione di alcune centrali a carbone in Europa, Corea del Sud e Giappone.
UN CAMION OGNI 30 MINUTI Un rapporto del Southern Environmental Law Center ha svelato che dal febbraio 2015 negli Usa sono stati presentati venti progetti di sfruttamento delle foreste per produrre pellet. La stessa inchiesta rivela poi che nei 65mila ettari utilizzati da Enviva ad Ahoskie (in Carolina del Nord) si trovano numerose zone umide, ricche di vegetazione e fauna, particolarmente vulnerabili. Secondo l’organizzazione am-
perché non verrebbe tenuto conto dei costi ambientali della loro coltivazione. Nel mirino ci sono gli effetti che il land grabbing provoca: riduzione delle colture alimentari, emigrazione dei contadini, deforestazioni, maggior consumo di risorse idriche, fertilizzanti e pesticidi. il modello della monocoltura intensiva verrebbe riprodotto anche per le piante destinate ai biocombustibili, come jatropha e colza.
La jatropha, originaria del Centro america, è una pianta robusta, dalla propagazione facile, che può crescere in terreni aridi e in condizione di siccità. Ha rendimenti molto alti: fino a 1,5 litri di olio a pianta. Nel 2007 uno studio di Goldman Sachs ha incoronato l’olio di jatropha candidato ideale per la produzione di olio combustibile, biodiesel o carburante per aerei. i siti che promuovono investimenti nei biofuel promettono rendimenti del 24,6% annui dall’olio di jatropha; specificano anche che, mentre i soldi rendono, si salva il Pianeta dai gas serra, si agevola la stabilità politica, creando occupazione e sradicando la povertà nel Terzo mondo. valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
OLIO DI COLZA CANADA 3 3.160
Classifiche dei 10 principali Paesi produttori e dei 10 primi Stati per tassi di crescita delle coltivazioni
EU27 1 10.251
FED. RUSSA 8 488
USA 6 776 10 7,48%
2
BIELORUSSIA 9 8,33% UCRAINA 3 62,90% TURCHIA 2 81,01%
PARAGUAY 8 147,06%
ETIOPIA 7 11,54%
CILE 8 8,77%
EMIRATI ARABI UNITI 4
345 23,21%
bientalista Audubon Society, ogni 30 minuti da tale sito di produzione esce un camion carico di pellet destinato all’Europa. Per questo Adam Macon, direttore della Ong Dogwood Alliance, ha definito «un gigantesco malinteso» la decisione dell’Unione europa di includere il pellet nella lista delle energie utili per raggiungere gli obiettivi di produzione da fonti rinnovabili: «Si credeva che tale materiale sarebbe arrivato soprattutto dalla “valorizzazione” di rifiuti, ma ad essere bruciati, in realtà, sono alberi». Già nel 2011, Greenpeace Canada – altro Paese impegnato nell’export di pellet – aveva pubblicato un rapporto in cui spiegava che tali fonti di energia «stanno registrando un boom. È per questo che non si utilizzano più solo legnami di scarto, ma anche alNel 2012, in una ventina di Paesi africani, 55 aziende per lo più europee hanno destinato 2,8 milioni di ettari, oltre due terzi del totale, alla coltivazione della jatropha. Ma l’entusiasmo iniziale è stato ridimensionato: un rapporto dell’Usaid (l’agenzia statunitense per gli aiuti internazionali), pur sottolineandone l’importanza nell’economia di sussistenza per produrre saponi, olio illuminante, medicine, ricorda che per arrivare a una resa ottimale servono acqua, insetticidi e fertilizzanti e che i terreni marginali sono distanti e non serviti da strade. anche bp deve aver creduto alle previsioni della Goldman, prevedendo un investimenvalori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
CINA 6.436
GIAPPONE 5 1.012
MESSICO 7 610
10
FONTE: INDEXMUNDI
I NUOVI CAMPI DEGLI AVVOLTOI DOSSIER
4
KAZAKHSTAN 5 20,00%
PAKISTAN 9 474
INDIA 2.450
AUSTRALIA 6 13,33% 1
Produzione per Paese
1
Tasso di crescita annuale
[dati in migliaia di tonnellate] per Paese
beri prelevati da foreste naturali». Un anno fa, inoltre, decine di scienziati americani hanno firmato una lettera indirizzata a Gina McCarthy, che dirige l’Environmental Protection Agency, denunciando che «l’uso di biomasse a base di legno per produrre energie, anziché ridurre le emissioni di gas a effetto serra, le aumenta». Pochi mesi prima, la stessa Dogwood Alliance, con altre associazioni, aveva inviato ai governi europei una petizione firmata da 50mila americani per chiedere di non concedere più sovvenzioni alle biomasse. Queste ultime, infatti, secondo la European Biomass Association rappresentano oggi il 75% delle rinnovabili europee. E tra il 2011 e il 2013 dagli Usa le importazioni sono raddoppiate, a quota 4,7 milioni di tonnellate. ✱
to da 160 milioni di sterline con la D1 oils; ma dopo aver perso un milione di sterline, nel 2009, ha preferito farsi liquidare la società e rivolgere i suoi interessi verso il biobutanolo in brasile e negli Stati Uniti. Storia analoga per la Sun biofuels: nel 2008 la società britannica di biocarburanti ha comprato un quarto del territorio del villaggio di Mhaga, nel distretto di Kirasawe in Tanzania, con la promessa di una compensazione finanziaria, 700 posti di lavoro, pozzi d’acqua, il miglioramento di scuole, centri sanitari e strade. Ma l’azienda nel 2011 è fallita, lasciando gli abitanti del villaggio non solo senza lavoro, ma anche senza terra.
TRA DUBBI E SPERIMENTAZIONI La colza è invece prodotta soprattutto in Canada, Cina, Stati Uniti, india, Germania, Pakistan e francia. Proprio quest’ultima, negli anni ’90 ha lanciato una produzione di biodiesel da colza, chiamato diester. Nel 1995 la Monsanto ha ottenuto la prima varietà di colza ogm, seguita poi da basf e aventis. Utilizzata come coltura di rotazione, non può però essere coltivata per molto tempo sullo stesso terreno, per il rischio di malattie. La statunitense Cargill e l’anglo-olandese Unilever, due colossi dell’alimentare, hanno sottoscritto nel 2013 un accordo per sperimentarne la produzione in Germania. [Pa.Bai.] ✱ 15
DOSSIER I NUOVI CAMPI DEGLI AVVOLTOI
Le materie prime giocano al ribasso U
di Matteo Cavallito
Le impennate del passato sono ormai un ricordo. I prezzi delle commodities restano in forte calo. E il petrolio non fa eccezione
n’onda lunga di ribassi seguita da un’ulteriore e pesante correzione negativa tuttora in corso. È il trend sperimentato dai prezzi dalle materie prime, sempre più distanti dai picchi del passato. Alla metà di gennaio, il Bloomberg Commodity Index, uno dei principali indici generali del comparto, viaggiava attorno ai 74 punti, il livello più basso dall’inizio del XXI secolo. Negli ultimi cinque anni il valore dell’indice si è più che dimezzato. Quello del Bloomberg Crude Oil, il sottoindice che traccia il solo andamento del greggio, ha fatto ancora peggio cedendo il 75% circa (vedi GRAFICO ). Il prezzo medio delle materie prime alimentari, al tempo stesso, appare in linea con la tendenza generale: a dicembre 2015 il Food Price Index della Fao si è collocato a 154 punti spingendo la media annuale a quota 164, il livello più basso dal 2009. Nel 2011, l’anno del picco, l’indicatore aveva sfiorato i 230 punti. Cosa determina i ribassi? «Una combinazione di eccesso di offerta e di debolezza della domanda» ha sostenuto a dicembre un’analisi del World Econo-
petroLio e materie prime secoNDo L’iNDice bLoomberG 2011-16 FONTE: BLOOMBERG (HTTP://WWW.BLOOMBERG.COM/QUOTE/BCOM:IND), 15 GENNAIO 2016.
2012
2013
2014
2015
2016
0 -20.000 -40.000 -60.000 -80.000 Bloomberg Commodity Index Bloomberg Crude Oil 16
01/15 -54,0061% -100.000
mic Forum. Da un lato, pesa la persistente crisi delle economie emergenti. Dall’altro, ed è un aspetto decisivo, si evidenzia una condizione da eccesso di disponibilità delle materie prime, frutto della maxi produzione facilitata negli anni passati dal diffuso credito a basso costo. L’eccesso produttivo pesa per il rame, l’alluminio e il ferro ma anche per altre commodities particolarmente promettenti. Alla fine di novembre, il prezzo dell’olio di palma sul mercato indiano segnava un -17% su base annuale a fronte di una crescita degli stock (+28% a 12 mesi) accumulati dalla Malesia, principale produttore mondiale. A dicembre, un’analisi della Kansas State University per la stagione 2015-16 ha collocato il prezzo del sorgo sul mercato Usa a quota 157 dollari per tonnellata, il valore più basso dal 2009-10.
ORO NERO, STRATEGIA ANTI-SHALE Diverso il caso del petrolio sul quale, oltre ai fattori già citati, pesa soprattutto il rifiuto saudita di tagliare la produzione. Una decisione, ribadita nell’ultima riunione Opec a dicembre, che mirerebbe a penalizzare il mercato dello shale oil Usa, la cui redditività è condizionata da un prezzo del greggio non inferiore ai 70 dollari al barile (vedi Valori n. 125, febbraio 2015), oltre il doppio di quello odierno (analoga situazione per i biocarburanti di nuova generazione, competitivi anch’essi con l’oro nero oltre quota 70). Rispetto alle altre commodities, in ogni caso, il petrolio pare rispondere a logiche diverse e più complesse. «L’elemento in comune è l’aspettativa di un rallentamento della crescita dei mercati emergenti che influisce negativamente sulla domanda di tutte le materie prime» spiega a Valori un analista di mercato. «Per il resto, l’andamento del prezzo del petrolio è condizionato da fattori peculiari che contribuiscono a produrre un eccesso di offerta: la guerra dei prezzi in sede Opec, il rientro dell’Iran sul mercato internazionale e il miglioramento dell’efficienza energetica dell’Occidente». ✱ valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
I NUOVI CAMPI DEGLI AVVOLTOI DOSSIER Classifiche dei 10 principali Paesi produttori e dei 10 primi Stati per tassi di crescita delle coltivazioni
EU27 9 19,48% USA 1 10.988
NIGERIA 3 6.300 MALI 3 58,54%
7
FONTE: INDEXMUNDI
SORGO
CHAD 20,81%
REP. CENTRAFRICANA 5 25,00% 1
BRASILE 10 2.000 ARGENTINA 7 4.000
MOZAMBICO 8 19,68%
aNche iL sorGo FiNirà NeL serbatoio? Per l’Onu è la soluzione alle carestie da cambiamenti climatici. Ma interessa anche la lobby del biofuel. Risultato: boom produzioni e rischio land grabbing il futuro dell’agricoltura potrebbe ruotare attorno a un cereale facile da coltivare, nutriente e sicuro. Capace di crescere perfino ai bordi del Sahara e che, rispetto ad esempio al mais, richiede un’irrigazione inferiore del 40%. Si chiama sorgo, ed è particolarmente diffuso soprattutto in africa. Di esso si è parlato anche a margine della Cop21 di Parigi, partendo dall’assunto che, viste le previsioni relative alla crescita della temperatura media globale, le colture di altri cereali potrebbero diventare sempre più difficili. Un ragionamento affrontato già da alcuni agricoltori: proprio in francia, sono ormai circa 300mila le tonnellate di sorgo prodotte ogni anno. Già nel 1995 la fao, in un rapporto intitolato “il sorgo e il miglio nell’alimentavalori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
5
INDIA 5.000
SUDAN 6.281 179,28%
BOTSWANA 4 30,43%
ETIOPIA 6 4.000
2.700
4
MESSICO 2 7.300 COLOMBIA 10 16,96%
CINA
8
SOMALIA 6 23,89%
zione umana”, sottolineava i vantaggi della pianta, in particolare per quanto riguarda gli elementi nutritivi: essa è infatti ricca di fibre, proteine, vitamine e sali minerali, che la rendono utile sia per l’alimentazione umana che per quella animale. Proprio quest’ultima, infatti, spiega l’agenzia delle Nazioni Unite «ha rappresentato il motore principale dell’aumento della produzione mondiale e degli scambi internazionali a partire dagli anni Sessanta». inoltre, il cereale risulta particolarmente facile da digerire. e il costo per la coltivazione è stato stimato dal Dipartimento per l’agricoltura degli Usa in 142 dollari all’acro, contro i 497 del cotone, i 350 del mais e i 181 della soia. La stessa fao, nel 2002, si è concentrata sulla varietà dolce del sorgo, utile per produrre zucchero: «in Cina le cattive condizioni del suolo in venti province obbligano il governo a importare grandi quantità di zucchero ogni anno». eppure, ha spiegato Peter Griffee, agronomo del servizio colture dell’agenzia onu, «le terre agricole di quelle regioni sono perfettamente adatte a coltivare sorgo da zucchero, che necessita di un apporto idrico
AUSTRALIA 9 2.000 6 80,67%
1
Produzione per Paese
1
Tasso di crescita annuale
[dati in migliaia di tonnellate] per Paese
tre volte inferiore rispetto alla canna, e che ha il vantaggio di presentare un ciclo di crescita corto. Si possono infatti effettuare due raccolte all’anno». Proprio tale proprietà, tuttavia, ha ingolosito alcuni produttori di biocarburanti. Dallo zucchero derivante dal sorgo, infatti, si può ottenere etanolo per distillazione. Non a caso, nello scorso mese di aprile il Sole 24 Ore riferiva di un incremento record delle semine negli Usa: in un solo anno la crescita degli acri coltivati è stata pari al 10,7% (dal 2014). immaginando, un domani, un utilizzo intensivo del cereale a tale scopo, il rischio è di sottrarre una porzione non indifferente di terre agricole all’alimentazione umana (proprio mentre l’incremento demografico che ci attende renderà necessario un grande sforzo per nutrire la popolazione mondiale). anche l’Ue ha studiato il potenziale in termini di produzione di energia, attraverso il progetto “Sweetfuel - Sweet sorghum”, concludendo che «il sorgo dolce presenta molti vantaggi rispetto ad altre colture quando si tratta di produrre zucchero per biocarburanti». Nel frattempo, la multinazionale Total ha annunciato un investimento nella società americana NexSteppe, specializzata proprio nella produzione di semi di sorgo adatti alla produzione industriale di bioenergie. [A.Bar.] ✱ 17
FINANZA ETICA
WWW.FLICKR.COM / STEPHEN MELKISETHIAN
I DERIVATI (DI NUOVO) NELLA BUFERA
U
di Matteo Cavallito
Un fondo di Chicago porta in tribunale le principali banche del Pianeta con l’accusa di violare le norme antitrust. Al centro della causa i derivati sui tassi di interesse. Già protagonisti di diffuse azioni legali valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
n cartello per chiudere le porte alla concorrenza nel mercato degli interest rate swaps (Irs), i prodotti derivati pensati per coprire i rischi connessi all’oscillazione dei tassi di interesse. È l’accusa lanciata dai promotori di una class action depositata mercoledì a New York contro dieci delle maggiori banche di Wall Street e due piattaforme di scambio: ICAP e Tradeweb (quest’ultima controllata dal gruppo Thomson Reuters che, in ogni caso, non è stato oggetto di querela). Nel mirino dei querelanti, ha riferito la Reuters, ripresa in seguito dalla stampa internazionale, ci sarebbero Goldman Sachs, Bank of America Merrill Lynch, JPMorgan Chase, Citigroup, Credit Suisse, Barclays, BNP Paribas, UBS, Deutsche Bank e Royal Bank of Scotland. Secondo l’accusa, presentata dal fondo pensione degli insegnanti di Chicago (Public School Teachers’ Pension and Retirement Fund of Chicago), assistito dallo studio legale Quinn, Emanuel, Urquhart, & Sullivan LLP, gli istituti avrebbero agito illecitamen19
finanza etica derivati alla sbarra
LA VALANGA PORTOGHESE
Come è possibile che un prestito da 89 milioni di euro ad un tasso di interesse del 4,79% si trasformi nello spazio di qualche anno in una pendenza debitoria da quasi mezzo miliardo? Semplice: realizzando uno swap sul tasso interesse destinato a premiare oltremisura la banca in caso di tracollo dell’euribor. È ciò che è accaduto alla compagnia pubblica lusitana Metro do Porto dopo un’intesa, datata 2007, con l’istituto banco Santander. il calo del tasso di riferimento europeo, ha spiegato la stampa britannica, avrebbe prodotto secondo i termini del contratto un accumulo dei pagamenti dovuti generando un tasso effettivo superiore al 60% annuale. Un fenomeno definito in gergo snowball, palla di neve, con un chiaro riferimento all’effetto valanga sui tassi. Metro do Porto, che accusa Santander di frode, ha sospeso i pagamenti nel 2013 così come le colleghe Companhia Carris de ferro de Lisboa Sa, Metropolitano de Lisboa ePe e Sociedade de Transportes Colectivos do Porto Sa, tutte coinvolte in swap simili con l’istituto spagnolo. La vicenda è attualmente all’attenzione di un tribunale britannico. il debito complessivo sullo swap delle quattro compagnie ammonterebbe a 1,4 miliardi di euro.
te «per lo meno a partire dal 2007» per limitare la concorrenza nel mercato determinando così un aumento del prezzo dei derivati e ottenendo «miliardi di dollari di rendita monopolistica anno dopo anno». Interpellati da Bloomberg, gli istituti coinvolti nel caso non hanno rilasciato alcuna dichiarazione. A parlare, in compenso, è stato Steig Olson, partner dello studio legale impegnato nella causa. «La denuncia – ha spiegato a Valori – è stata depositata sotto forma di class action, il che significa che il fondo pensione di Chicago chiederà alla corte il permesso di rappresentare altri fondi che sono stati analogamente danneggiati». Detto questo, ha precisato ancora Olson, «i fondi pensione e i fondi di investimento che hanno operato sugli interest rate swaps potrebbero decidere di chiedere una consulenza legale per valu-
tare i loro diritti e le opzioni a loro disposizione». Tradotto: accodarsi alla causa, o, in alternativa, avviarne di nuove.
UN MERCATO FACILMENTE MANIPOLABILE Il punto principale della questione, per il momento, è essenzialmente questo: l’azione avviata a Chicago, infatti, potrebbe essere soltanto la prima di una lunga serie a fronte della portata potenziale della vicenda. Lo evidenziano implicitamente le caratteristiche del mercato che, manco a dirlo, appare smisurato quanto concentrato. Nel marasma dei titoli derivati, dicono i più recenti dati della Banca dei Regolamenti Internazionali, gli Irs restano i protagonisti principali, pesando da soli per 320mila miliardi di biglietti verdi. Nel corso degli anni, il loro ammon-
$$$$
tare è cresciuto in linea con l’esplosione del settore (vedi GRAFICO ) coinvolgendo però pochi e selezionati attori: le grandi banche, ovviamente. Nel mercato americano, segnala l’ultima rilevazione dell’Office of the Comptroller of the Currency, la massima autorità di vigilanza bancaria statunitense, i derivati in mano ai primi 25 istituti valgono circa 200 trilioni di dollari (vedi INFOGRAFICA ). Quelli controllati dai primi quattro ammontano da soli a 9/10 del totale e buona parte di essi, ovviamente, è costituita da titoli legati ai tassi di interesse (Irs e non solo). Tutti elementi, insomma, che contribuiscono a dipingere un quadro generale decisamente poco rassicurante. «L’effettiva esistenza del cartello, ovviamente, è ancora da dimostrare, ma l’ipotesi su cui si basa la causa non mi sembra, per così dire, strampalata» osserva Alberto Lanzavecchia, ricercatore e docente di Finanza aziendale all’Università di Padova. «Quello degli interest rate swap, infatti, non è il classico mercato order driven in cui si fissano liberamente i prezzi, bensì, al contrario, un cosiddetto quote driven, dove a gestire il mercato sono pochi grandi soggetti, ovvero le banche, che fanno il prezzo secondo una logica da “prendere o lasciare”. Date queste premesse, inevitabilmente, la collusione è sempre possibile». Quello della tutela della concorrenza resta ovviamente un obiettivo fondamentale, a maggior ragione in un mercato come quello dei tassi di interesse, già sconvolto dai recenti scandali attorno a Libor,
I sIgnorI del mercato
TOTALE TOP 25 197.428 77,7% 20
29.063 71,5%
$
$
$
6.092 90,5%
4.567 67,2%
2.154 0,9%
1.315 1,1%
$
PNC Bank National
$
Bank of New York Mellon
State Street Bank & Trust
Morgan Stanley
Bank of America
Goldman Sachs
45.719 94,7%
HSBC
52.170 76,5%
Wells Fargo
53.319 72,5%
Citibank
JP Morgan
FONTE: OFFICE OF THE COMPTROLLER OF THE CURRENCY (OCC), "OCC’S QUARTERLY REPORT ON BANK TRADING AND DERIVATIVES ACTIVITIES SECOND QUARTER 2015", GIUGNO 2015; NOSTRE ELABORAZIONI. DATI IN MILIARDI DI DOLLARI.
$
1.188 375 57,3% 94,5%
Valore derivati [mld $] Derivati su tassi di interesse/totale valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
derivati alla sbarra finanza etica la crescIta deI derIvatI 2000-15
FONTE: BIS - BANK OF INTERNATIONAL SETTLEMENTS, SEMIANNUAL OTC DERIVATIVES STATISTICS, NOVEMBRE 2015; NOSTRE ELABORAZIONI. DATI IN MILIARDI DI DOLLARI.
GLOSSARIO
800.000
INTEREST RATE SWAP Contratto derivato, stipulato tra due parti che si impegnano a scambiare periodicamente flussi di cassa, ovvero somme di denaro, calcolate rispetto a un capitale di partenza. Il suo obiettivo teorico consiste nel ridurre i costi ammortizzando i rischi connessi alle variazioni dei tassi d’interesse.
700.000 600.000 500.000 400.000 300.000 200.000 100.000 0
2000
2002
Interest rate swaps
2004
2006
2008
2010
Euribor e Tibor (il tasso elaborato a Tokyo, finito anch’esso sotto la lente degli inquirenti) che si sono tradotti, in molti casi, in maxi multe ai danni delle banche. Va in questa direzione, per altro, anche la recente riforma europea sul mercato dei derivati che imporrà in particolare l’utilizzo di un sistema di clearing centralizzato (vedi ARTICOLO nella pagina seguente) sui derivati abitualmente scambiati nel cosiddetto mercato Over-the-Counter (vedi GLOSSARIO ). Una normativa, quest’ultima, che dovrebbe favorire la trasparenza. Ma che non basterà, per forza di cose, a risolvere tutti i problemi che caratterizzano il mercato dei derivati.
CONTRATTI NULLI Il fatto è che gli interest rate swaps non sono materia nuova per le aule di tribunale, e non solo sul fronte dell’antitrust. Lo evidenziano le cause intentate negli ultimi anni in Europa che hanno coinvolto imprenditori, aziende ed enti pubblici, vittime di ristrutturazioni debitorie basate sull’acquisto di prodotti derivati ad hoc rivelatisi, in definitiva, incomprensibili e dannosi. Dalle compagnie di trasporto portoghesi chiamate a versare interessi al 40% (vedi BOX ), passando per le imprese britanniche e i comuni italiani di piccola e grande dimensione (da Prato a Milano, per intenderci) sono stati in molti a sperimentare problemi che con il libero mercato hanno poco o nulla a che fare. «Costruire prodotti finanziari comcontinua a pagina 22 valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
2012
2014
15*
* 1° semestre 2015
Derivati
OVER-THE-COUNTER Qualsiasi spazio di mercato esterno alle borse vere e proprie. In un mercato Over-the-Counter (letteralmente “dietro il bancone”) i titoli possono essere scambiati liberamente sulla base del semplice incontro tra la domanda e l’offerta.
Finanza strutturata Europa all’attacco di Matteo Cavallito
Nell’Unione europea si stringe sempre di più il cerchio attorno ai prodotti finanziari complessi. Grazie alle nuove regole e ai precedenti legali
«r
icorda il maxi swap del Monte dei Paschi con Nomura? all’epoca della sottoscrizione nessuno, nemmeno la banca d’italia, ebbe modo di conoscere i dettagli del contratto. basta questo esempio per capire quanta importanza assuma la nuova normativa europea sul clearing». a dichiararlo, a colloquio con Valori, è Paolo righini, avvocato del foro di Parma ed esperto di strumenti derivati. il suo studio, spiega, assiste da anni privati e imprese vittime di contratti pensati per ridurre i rischi sulle fluttuazioni dei tassi ma che, in definitiva, si rivelano dannosi e illeciti. accordi complessi siglati, come nel caso della banca senese, nel mercato Over-the-Counter, ovvero nel marasma di quelle intese bilaterali che sfuggono agli organi di vigilanza. e che, a partire dal giugno 2016, non sarà più
possibile sottoscrivere “privatamente”. a imporlo il regolamento Ue sul tema (eMir, European Market Infrastructure Regulation) che prescrive l’obbligo di clearing centralizzato. ogni contratto derivato scambiato nel Vecchio Continente, in altre parole, dovrà passare da un intermediario comune (la cosiddetta “clearing house”) costringendo così i contraenti a operare in condizioni di certezza dell’entità dei valori e dei prezzi accantonando i differenziali di copertura – le somme necessarie a coprire le eventuali perdite – con tutte le ovvie ricadute positive in termini di trasparenza.
LEGGI E SENTENZE
La norma, approvata lo scorso dicembre, rappresenta l’ultimo capitolo, in ordine di tempo, del giro di vite in atto in europa sul continua a pagina 22 21
finanza etica derivati alla sbarra segue da pagina 21 fronte dei prodotti strutturati. Un processo di regolamentazione non ancora concluso, che inizia però ad assumere una certa rilevanza. Merito delle norme, ovviamente, ma anche delle decisioni dei tribunali che nelle infinite contese sui derivati fissano da tempo alcuni precedenti importanti. Tra queste, due recenti sentenze pronunciate dalla Corte d’appello di Milano (11 novembre) e dal Tribunale di roma (25 novembre) che hanno di fatto cancellato i contratti sottoscritti dagli enti pubblici in assenza di “terzietà della consulenza”. Tradotto: i derivati viziati all’origine dall’implicito conflitto di interesse degli istituti, venditori ma anche “consulenti” dei loro stessi prodotti. «È la prima volta, in italia, che la mancanza di terzietà si traduce nell’annullamento contrattuale» spiega righini. «Un principio importante – aggiunge – soprattutto nel caso degli enti pubblici, per i quali il denaro, in ragione della funzione espletata, è finalizzato al perseguire valori di rango costituzionale ancora più elevati rispetto alla tutela del risparmio in genere, che, comunque, resta un valore di primo piano». Ma le novità non si esauriscono qui. Nella sfera delle nuove norme, infatti, rientra anche il decreto legislativo 139 del 18 agosto 2015 (“decreto bilanci”) che recepisce il regolamento Ue sul tema (numero 34, giugno 2013) e che impone l’aggiornamento periodico del fair value dei derivati non di copertura in portafoglio: ovvero l’iscrizione a bilancio dei derivati speculativi prezzati secondo il loro valore “corretto” (a partire da quello di mercato) che, come noto, può differire anche ampiamente da quello nominale.
REGNO UNITO ALL’ATTACCO
Sul fronte delle contese legali, ricorda ancora righini, spicca l’intensa attività in corso nelle corti del regno Unito, sede designata (lo prevede buona parte dei contratti) di
A Roma e Milano due sentenze storiche: dichiarati nulli i contratti finanziari se i consulenti non sono imparziali 22
molti arbitrati legali. Tra questi la causa intentata dal Comune di Prato contro l’istituto Dexia Crediop conclusasi il 25 giugno scorso con una sentenza che ha riconosciuto le ragioni dell’ente toscano annullando i contratti sottoscritti da quest’ultimo. Determinante, secondo il giudice, il mancato rispetto da parte di Dexia delle normative previste dalla legge italiana, anche questa di derivazione comunitaria, sul diritto di recesso entro sette giorni (che nei contratti derivati venduti al Comune non compariva). Una decisione che si affianca idealmente ai provvedimenti della Financial Conduct Authority britannica in favore della clientela privata che hanno stabilito la nullità dei contratti “opachi” imponendo i dovuti risarcimenti. il conto di questi ultimi, ha dichiarato la stessa authority, ammonta a oltre 2 miliardi di sterline. ✱
segue da pagina 21
plessi richiede tempo, energia e costi» spiega ancora Lanzavecchia. «Chi li assembla cerca ovviamente un profitto, il che implica la necessità di caricare margini crescenti sulla clientela. È come per le automobili: il modello super accessoriato costa ovviamente di più rispetto a quello base ed è normale che sia così. Ma se gli optional si rivelano inutili o persino dannosi e l’automobile non cammina, allora la questione fondamentale non è più relativa al prezzo bensì al mancato funzionamento. È proprio su questo aspetto – conclude – che si basano le cause promosse dai clienti “deboli” contro le banche che hanno venduto loro i derivati: non più un problema di concorrenza, insomma, ma una vera e propria questione di nullità contrattuale». Le battaglie legali, come noto, sono ancora in corso. ✱
Multe bancarie: in attesa del cambio di rotta di Matteo Cavallito
In cinque anni le principali banche del Pianeta hanno affrontato spese legali per oltre 300 miliardi di dollari. Ma in futuro i costi potrebbero diminuire
Q
uaranta miliardi di sterline, 30 dei quali nel primo biennio in esame. È la spesa legale prevista per le sette maggiori banche britanniche nel periodo 2016-20 secondo le più recenti stime della banca d’inghilterra. L’ipotesi, ha precisato l’istituto, è basata sulle informazioni attualmente disponibili relative agli illeciti finanziari commessi in passato e tuttora oggetto di procedimenti giudiziari. Come dire, insomma, che il conto definitivo potrebbe risultare più salato.
Le previsioni, vale la pena ricordarlo, sono emerse all’interno degli stress test di fine anno, ovvero negli esami relativi allo stato di salute e alla capacità di tenuta degli istituti. Un segnale evidente di come il peso degli illeciti sia considerato ormai un fattore critico rispetto alla stabilità stessa del sistema bancario. il problema è ovviamente generale, e la domanda, va da sé, è d’obbligo: a quanto ammonta il costo complessivo dei misfatti a livello globale? valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
derivati alla sbarra finanza etica
BANCHE ITALIANE: QUATTRO PROPOSTE PER UNA COMMISSIONE D’INCHIESTA
Istituire una commissione di inchiesta sulle banche italiane e il settore finanziario nazionale. È la richiesta avanzata nelle ultime settimane da esponenti parlamentari di diversi schieramenti. L’ultimo in ordine di tempo è stato il Movimento 5 Stelle, con un disegno di legge (Ddl 2196) firmato dal senatore Gianni Girotto e da altri venti esponenti dello stesso partito. L’iniziativa, depositata in Senato, si richiama direttamente all’esempio del governo Usa che sette anni fa istituì una commissione «per far luce sulle cause e le distorsioni che avevano portato alla gigantesca crisi finanziaria del 2008 e che poi sfociò in un provvedimento di regolazione della finanza statunitense e di tutela dei consumatori». il Dodd Frank Act, ovviamente. «ormai da troppo tempo assistiamo a logiche e pratiche distorte da parte del sistema bancario, che hanno provocato ingenti danni ai risparmiatori e ai clienti degli istituti coinvolti e dell'intero sistema creditizio – ha spiegato Girotto in una nota –. Le vicende della Cassa di risparmio di ferrara, della banca delle Marche, della banca popolare dell'etruria e
Difficile valutarlo, anche perché, Usa e regno Unito a parte, la regola generale delle authority resta quella di non rendere pubblici i dati (soprattutto quelli disaggregati, ovvero le spese delle singole banche). Qualche studio “internazionale” tuttavia esiste, anche se il suo campo di analisi resta ovviamente parziale. È il caso del Con-
IL CONDUCT COST PROJECT
I costI della cattIva condotta: 2010-14
del Lazio e della Cassa di risparmio della Provincia di Chieti sono lì a testimoniarlo». Ma quella del M5S, come si diceva, non rappresenta l’unica iniziativa emersa negli ultimi tempi. il crack degli istituti sopracitati, infatti, aveva ispirato anche tre diverse proposte emerse già a dicembre. La prima (Ddl 2160), presentata il 9, a firma dei senatori enrico buemi e fausto Guilherme Longo (Per le autonomie, Psi, Maie) propone l’istituzione «di una Commissione parlamentare d’inchiesta sui fallimenti delle banche e delle assicurazioni nonché sulla cattiva gestione del sistema finanziario ad esse collegato»; la seconda (Ddl 2163), firmata il 14 dicembre dal senatore di forza italia ed ex ministro per lo Sviluppo economico del quarto governo berlusconi, Paolo romani, insieme ad altri 52 colleghi, punta il dito sulle quattro banche e gli organi di vigilanza (con riferimento esplicito a bankitalia e Consob) ma anche sulla Commissione europea e la nota bocciatura del piano originario di salvataggio proposto dall'abi. Presentato lo scorso 23 dicembre, infine, il Ddl 2178, firmato dal senatore andrea Marcucci e da altri 41 esponenti del PD, mira a «verificare efficacia e appropriatezza delle attività di vigilanza sul sistema bancario» nel periodo 2000-2015.
duct Cost Project, l’iniziativa avviata nel 2013 dalla London School of Economics e successivamente ereditata dalla CCP Research Foundation. Nel periodo 2010-14, evidenzia l’ultima edizione della ricerca, 16 delle principali banche del Pianeta avrebbero sostenuto costi legati alla cattiva condotta (spese legali, multe e accantonamenti in previsione di procedimenti in cor-
FONTE: CONDUCT COST PROJECT (HTTP://CONDUCTCOSTS.CCPRESEARCHFOUNDATION.COM), 2015. DATI IN MILIARDI DI STERLINE.
Société Générale 0,94 Standard Chartered 1,01 National Australia BG 2,83 UBS 5,41 Credit Suisse 5,85 Goldman Sachs 6,13 Banco Santander 6,94 BNP 7,76 HSBC 8,68 Deutsche Bank 9,38 Royal Bank of Scotland 10,90 Barclays 12,59 Citigroup 14,75 Lloyds 15,62 JP Morgan 32,91 Bank of America Totale 0,00 50,00 valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
64,05 205,75 100,00
150,00
200,00
250,00
so) per 205,75 miliardi di sterline, circa 300 miliardi di dollari. i risultati dettagliati, diffusi in estate, hanno prodotto un responso fatto di luci e ombre. Da un lato c’è la preoccupante crescita del dato in valore assoluto, il più alto – su base quinquennale – rilevato dall’avvio della ricerca. Dall’altro, la riduzione del valore degli accantonamenti, ad oggi, forse, l’unico tangibile segnale positivo. Tra il 2010 e il 2014, le somme messe da parte dagli istituti in previsione di future spese legali (comprese le multe) sono state pari a 45 miliardi di sterline contro i 65 del quinquennio 2009-13. il segnale di un’imminente inversione di tendenza sul dato generale? «Questo è ancora da verificare» spiega a Valori Chris Stears, il direttore della ricerca. «Nella misura in cui possono essere considerati attendibili, i dati suggeriscono che le cose starebbero migliorando». Per saperne di più, in ogni caso, occorrerà attendere il mese di aprile quando il CCP avrà accesso alle relazioni annuali degli istituti. il prossimo rapporto sui costi della condotta, ha ricordato Stears, si concentrerà sul quinquennio 2011-15. Quello, forse, dell’ipotetica inversione di tendenza. ✱ 23
finanza etica il mutuo fra i banchi
Dal diritto allo studio all’ipoteca sul futuro di Paola Baiocchi
Mentre in Germania l’istruzione universitaria è diventata totalmente gratuita in tutti i Länder, in Italia crescono le spese a carico delle famiglie. E le banche si adeguano con i finanziamenti per gli studenti
GLI ESODATI DEL NUOVO ISEE
Introdotto nel 1998 per definire la situazione economica di un cittadino e del suo nucleo familiare e utilizzato dalle amministrazioni dello Stato e da altri enti per riconoscere il diritto a godere di prestazioni sociali o agevolate, l’isee (indicatore situazione economica equivalente) è stato modificato lo scorso anno, provocando uno tsunami per quanto riguarda la determinazione della tassazione universitaria e l’assegnazione delle borse di studio. il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali calcola che il 51,4% delle famiglie vedrà aumentare il valore dell’indicatore rispetto allo scorso anno e che le tasse saranno almeno il 10% più alte. Ma il danno principale si è registrato a causa dell’ispe (indicatore situazione patrimoniale equivalente), che ha riclassato su fasce di reddito più alte studenti che avevano già ottenuto borse di studio, di fatto “esodandoli”, come afferma l’Unione degli universitari: sono 30mila gli studenti non più considerati meritevoli – calcola l’Udu – alcuni per il solo fatto che il nuovo meccanismo inserisce anche la borsa di studio tra i redditi: in Toscana non avranno aiuti in denaro 2.729 studenti, il 18% in meno. il 20% in Lombardia; 11mila gli esclusi nel Lazio, il 22% a Cagliari, il 28% ad ancona, il 18% a Macerata. La situazione di partenza era già critica, per l’Udu: «in italia, solo il 2,4% degli studenti percepisce una borsa di studio; erano 137.487 nell’anno accademico 2013/2014, contro 322.753 in Spagna, 423.842 in Germania e 639.884 in francia». grafIco 1 I tassI d’accesso all’IstrUZIone terZIarIa FONTE: OCSE (2014).
Australia Lettonia Islanda Polonia Nuova Zelanda Norvegia Slovenia Danimarca Stati Uniti Russia Corea del Sud Regno Unito Finlandia Olanda Portogallo Slovacchia Svezia Israele Repubblica Ceca Argentina Arabia Saudita Media OCSE Irlanda Ungheria Germania Austria Spagna Giappone Cile Italia Svizzera Estonia Francia Turchia Grecia Messico Belgio Lussemburgo Indonesia Cina
100 80 60 40 20 0
Tutti gli studenti
24
Esclusi gli studenti internazionali
S
erve ancora la laurea in Italia? Sì, stando allo studio della Fondazione Res (Istituto di Ricerca su economia e società in Sicilia). Ma entrando in dettaglio nei dati, si registra una serie di preoccupanti inversioni di rotta: l’Italia non solo ha la presenza di laureati nel mondo del lavoro tra le più basse della Ue (solo la Romania ha numeri peggiori di noi), ma è anche l’unico tra i grandi Paesi Ocse che vede diminuire il numero degli studenti universitari tra il 2005 e il 2011. Dopo esser costantemente cresciuto dall’inizio del nuovo secolo, il numero complessivo degli immatricolati subisce una drastica diminuzione del 27,5% in dieci anni, a partire dall’anno accademico 2003-04 (vedi GRAFICO 2 ). Entrando più nel dettaglio si vede che la lunga serie di riforme di cui è oggetto l’Italia dagli anni ’90 sta facendo di nuovo crescere le differenze tra Nord e Sud e la diseguaglianza. A partire dal 2007-08 la contrazione nelle iscrizioni è stata molto più intensa nelle zone del Mezzogiorno e delle Isole: nella media nazionale si è passati da 302mila iscritti nel 2007-08 a 262mila nel 2013-14. Dei 40mila iscritti in meno, 27mila sono delle regioni meridionali dove, con un circolo vizioso, gli atenei ricevono meno finanziamenti per il diritto allo studio, in base al sistema premiale, e la popolazione studentesca è in diminuzione sia per i maggiori abbandoni scolastici sia per la minore natalità. Mentre resta costante il numero di studenti del Sud che si iscrive agli atenei del Centro e del Nord. Un fenomeno inesistente in direzione contraria. Mentre in Italia l’università è quasi definitivamente destinata a chi è ricco di famiglia, in Germania l’istruzione universitaria è diventata totalmente gratuita in tutti i Länder. valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
il mutuo fra i banchi finanza etica grafIco 2 matrIcole trIcolore: dIecI annI dI cadUta lIBera FONTE: ELABORAZIONI SU DATI ANVUR (2014).
120,0
[immatricolati (a.a. 2000-2001 = 100)] Mezzogiorno Italia
110,0 100,0 90,0
Nell’emozionante momento della consegna del libretto universitario, dopo una coda durata tutta la mattinata, con in mano la contabile di un bel bonifico comprovante il pagamento di una cifra di oltre 400 euro, alla matricola di Pisa viene messa in valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
A.A. 12-13
A.A. 11-12
A.A. 10-11
A.A. 09-10
A.A. 08-09
A.A. 07-08
A.A. 06-07
grafIco 3 evolUZIone del fondo dI fInanZIamento ordInarIo FONTE: CUN (2013).
8.000
Moratti
5.500 5.000
FFO
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
Mussi 1997
4.500
2013
6.000
Gelmini Profumo
Berlinguer
7.000 6.500
Zecchino
7.500
FFO corretto per l’inflazione (base 1996)
Hanno periodi di ammortamento che vanno da uno a 10 anni e sono a rate fisse, ma sono a tutti gli effetti prestiti in cui gli interessi corrono, anche se generalmente più contenuti dei finanziamenti personali. Forme di indebitamento che negli Stati Uniti sono arrivati a oltre mille miliardi di dollari. ✱
clIentI per caso Dall’università allo stadio, cresce il numero delle card di servizio che contengono anche un conto corrente oppure sono carte di debito
A.A. 05-06
A.A. 04-05
A.A. 03-04
A.A. 02-03
A.A. 00-01
70,0
A.A. 01-02
80,0
Salvini
Date queste premesse, con il nuovo Isee che riduce la platea degli idonei alle borse di studio (vedi BOX ) e visto che nel Def 2015 il governo individua «il rafforzamento dello strumento dei prestiti d’onore», ma ha tagliato il fondo di garanzia che li alimenta, le banche hanno moltiplicato l’offerta dei finanziamenti per gli studenti, creando un vero mercato e molta confusione. Il prestito ad honorem è stato regolamentato per la prima volta a livello nazionale nel 1991. Nella legge 390 si specifica chiaramente che la restituzione rateale del prestito non è soggetta a interessi, perché sono i vari enti per il diritto allo studio che, attingendo al fondo nazionale, se ne fanno carico. Si tratta di linee di credito aperte in conto corrente senza la richiesta di garanzie personali, di importi variabili a partire da mille euro, erogati dalle banche in accordo con le università, da restituire dopo la laurea e dopo un periodo di “grazia” variabile da qualche mese a due anni. Masticando amaro bisogna dire che gli studenti che con più facilità possono accedervi sono gli “idonei non beneficiari”, quelli cioè che per meriti e per reddito sono in graduatoria per una borsa di studio (in alcuni casi la lista è anche del 50%), ma non possono percepirla perché i fondi sono esauriti. Così come per le borse, anche per i prestiti d’onore il credito fisso annuale viene concesso a patto che durante gli studi si resti in pari con esami e media voti. Altra cosa, invece, sono le decine di prestiti per gli studenti che le banche chiamano d’onore perché non richiedono garanzie, ma ipotecano il futuro:
1996
PRESTITI. D’ONORE?
mano una tesserina plastificata con il logo dell’ateneo pisano, assieme a quello Mastercard. «È la carta di riconoscimento che l’Università di Pisa – dice il sito dell’uniPi – ha ideato per i suoi studenti. Potrai usarla come tessera identificativa all’interno dell’ateneo e per avere accesso ai servizi universitari come la mensa e il prestito universitario». Segno inequivocabile della commistione università-banca: la carta
diventa un conto corrente online se viene attivata, cosa che succede per la maggior parte degli studenti fuori sede, 22mila su una popolazione universitaria di circa 50mila. Permette anche di rateizzare le tasse universitarie in 12 mesi attraverso il “prestito Unipi zero”. La card dell’università pisana con la banca di Pisa e fornacette è solo un esempio di come ci si possa trovare clienti di una banca per “accostamento” se non per amore del calcio. Come il conto corrente rossoNero, pensato per i tifosi del Milan da banca Popolare di Milano, con costi di gestione annui che possono superare i 185 euro (bolli esclusi). ora per promuovere il conto e la carta di credito “rossonero per sempre”, bpm mette pure in palio biglietti del campionato. [Pa.Bai.] ✱ 25
finanza etica concentrazioni fuori controllo
Rischio finanziario: il club dei trilionari di Matteo Cavallito
I primi istituti di credito del mondo sono esposti sul mercato per 60 trilioni di dollari: 50 di questi sono implicitamente assicurati dai governi di cinque Paesi
L
a medaglia d’oro spetta a ICBC, meglio nota come Industrial and Commercial Bank of China. Nel corso del 2014, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati definitivi, il valore degli asset totali nelle sue mani ha raggiunto quota 3.771 miliardi e 570 milioni di dollari: un terzo della ricchezza prodotta nello stesso anno dalla seconda economia del mondo. Un dato che garantisce all’istituto il primato nella graduatoria globale davanti all’americana JP Morgan e alla britannica HSBC. A far discutere, però, non è la composizione del podio, quanto l’aspetto globale della classifica.
TROPPO GRANDI… Ad oggi, ha rivelato un’analisi di S&P Capital IQ e SNL Financial, sussidiaria della società di consulenza McGraw Hill, le 30 banche più importanti del mondo avrebbero accumulato un’esposizione finanziaria di quasi 60mila miliardi di dollari, pari, per capirci, al 76,7% del Pil del Pianeta. Il raffronto con il Prodotto interno lordo, precisano i ricercatori, non rappresenta di per sé una misura precisa del
le 10 Banche pIù esposte del mondo
FONTE: S&P CAPITAL IQ, SNL FINANCIAL, NOVEMBRE 2015. DATI IN MILIARDI DI DOLLARI AL 31 DICEMBRE 2014.
1
2 3 4 5 6 7 8 9 10
Banca
Industrial and Commercial Bank of China JP Morgan HSBC China Construction Bank Bank of China Agricultural Bank of China Mitsubishi Financial Group Bank of America Citigroup BNP Paribas
1-23 Top 23
1-30 Top 30
26
Paese Cina
Usa Regno Unito Cina Cina Cina Giappone Usa Usa Francia Cina, Usa, Regno Unito, Giappone, Francia Cina, Usa, Regno Unito, Giappone, Francia, Germania, Spagna, Olanda, Svizzera, Italia, Svezia
Asset in portafoglio
Asset / Pil nazionale
3.743 3.253 3.061 2.937 2.883 2.823 2.810 2.766 2.735
22% 109% 29% 28% 28% 61% 16% 16% 96%
59.759
77%
3.772
50.203
36%
65%
rischio reale – che dipende, ovviamente, dalle congiunture economiche e dai trend di mercato – ma evidenzia, ed è questa la vera notizia, quale livello di concentrazione abbia assunto col tempo il comparto. A oltre sette anni di distanza dal collasso Lehman, in altre parole, i protagonisti della finanza internazionale sono ancora pochi e decisivi attori. Troppo grandi per non esercitare un potere potenzialmente distorsivo. E per per fallire “liberamente”. «Minore il numero delle banche e maggiore la loro esposizione in termini di asset in rapporto al Pil, più grande sarà la pressione esercitata sui governi per un salvataggio» ha evidenziato il docente della Auburn University, James Barth, in una nota diffusa dagli autori dello studio. E il riferimento, ovviamente, corre ai dati aggregati. I primi 23 istituti in graduatoria coprono i 5/6 della cifra complessiva (50,2 trilioni di dollari) e, soprattutto, si concentrano in soli cinque Paesi: Cina, Stati Uniti, Giappone, Regno Unito e Francia. L’esposizione delle banche sistemiche americane resta la più elevata in valore assoluto – 15 trilioni di dollari – ma anche la più bassa in termini relativi ammontando, a conti fatti, all’86,4% del Pil. Per tutte le altre, evidenzia la ricerca, si va oltre quota 100. Come dire che il peso degli asset in portafoglio vale più dell’intera economia nazionale: 121% in Cina, 135% in Giappone. Nel Regno Unito e in Francia si viaggia attorno al 274% e al 288%. Negli Stati Uniti, un recente regolamento attuativo del Dodd Frank Act, la legge di riforma del mercato finanziario,ha escluso la possibilità di salvare le banche in default tecnico, ovvero destinate alla bancarotta in assenza di interventi esterni. Ma la norma, hanno notato i critici, come la senatrice dem del Massachusetts Elizabeth Warren, consentirebbe ancora alla Fed di effettuare un intervento di emergenza valutando a sua discrezione la capacità della banca di restituire il prestito pubblico. Un giudizio, quest’ultimo, decisamente problematico. Soprattutto per gli istituti a forte rischio fallimento. ✱ valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
la bacheca di valori ?? finanza etica
NEWS
Grandi investitori, appello alle imprese: usate solo energia pulita L'obiettivo è semplice: sostenere le realtà industriali che si impegnano a passare all'energia pulita al 100%. Per centrarlo, 20 investitori istituzionali, che, tutti insieme, gestiscono più di 450 miliardi di euro, hanno lanciato un appello alle grandi imprese affinché firmino l'impegno “re100” e
accettino di produrre energia solo da fonti rinnovabili. L'iniziativa, coordinata dall'associazione per gli investimenti responsabili Shareaction, è stata presentata durante la Cop21 di Parigi. Tra gli aderenti, molti big dell'industria globale, da Google a bMW, fino a Unilever e Marks & Spencer.
VALORITECA SPUNTI DA NON PERDERE NEL MESE APPENA TRASCORSO
USA, CAPODANNO SENZA BONUS
% di aziende che non hanno elargito gratifiche ai propri dipendenti a fine 2015 FONTE: SOCIETY FOR HUMAN RESOURCE MANAGEMENT
I MIGLIORI TWEET DEL MESE China's manufacturing sector shrank for a fifth straight month in December [A dicembre, il settore manifatturiero cinese si è ridotto per il quinto mese consecutivo ] 1 gennaio Financial Times @FT
New Year brings #MinimumWage hikes for Americans In 14 states. Let's keep the momentum going! #FightFor15
[Il Nuovo Anno porta un aumento del salario minimo per gli americani in 14 Stati. Vediamo di mantenere lo slancio! #FightFor15] 1 gennaio Occupy Wall Street @OccupyWallStNYC
Per questa #befana basta #carbone! Dalle centrali italiane il 13,5% dell’elettricità e il 40% delle emissioni di CO2 BANCHE, MEZZO MILIONE DI POSTI PERSI DAL 2008 Posti di lavoro persi dalle principali banche dall'inizio della crisi [dati in migliaia al 30 settembre 2015] FONTE: COMPANY FILINGS
6 gennaio Etica Sgr @EticaSgr
NEWS
Nel 2015 nati 47 nuovi fondi etici L’anno scorso hanno visto la luce 47 fondi azionari sostenibili: lo rivela uno studio di bloomberg, secondo cui il boom è guidato dagli investitori istituzionali. accanto a loro, determinanti anche i privati, in primis donne e giovani. Ma la strada da percorrere è ancora lunga. il valore totale di questi fondi è tutt’oggi limitato: 165 miliardi di dollari contro i 3500 miliardi complessivamente investiti in società a larga capitalizzazione. valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
27
numeri della terra
UN ARCHIVIO A PROVA DI BOMBA
Dietro le quinte del Terrore 44
ITALIA TIPO DI ATTENTATO
2001-2014
89
3
79
70
Altro
7
5
7
4
AUTORI PRINCIPALI: Federazione anarchica informale; anarchici; CCCCC (gruppo anarchico)
20
15 14
TIPO DI ATTENTATO
1970-1991
7
1.358
384
1.047
545
318
Altro
210
5
285
AUTORI PRINCIPALI: Brigate rosse; Prima linea; Nuclei armati proletari (NAP)
1
IRAQ
12 TIPO DI ATTENTATO
2001-2014
15.854
di Emanuele Isonio
10 2
2
28
Altro
99.702
11.350
832
2.609
1.063
AUTORI PRINCIPALI: Stato islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL); Al-Qaeda in Iraq; Stato islamico dell'Iraq (ISI)
9
Se è vero che fa più paura ciò che non si conosce, 11 3 c'è da esser grati ai ricercatori dello Start (National Consortium for the Study and Responses to Terrorism) attivato dall'Università del Maryland: dopo anni di duro lavoro sono riusciti a costruire il più completo archivio finora 1 esistente sugli attentati terroristici avvenuti nel mondo dal 1970. Il Global Terrorism Database, consultabile al sito www.start.umd.edu/gtd, contiene informazioni su oltre 140mila eventi: autori, tipo di attacco, numero di morti e feriti. Una macchina del tempo che permette di capire come cambia il volto del Terrore. In questa mappa la classifica dei 20 Stati più colpiti nel 21esimo secolo è messa a confronto con quella del ventennio precedente la fine della Guerra Fredda. Molti gli elementi di novità: cambia la localizzazione geografica («Solo 5 Stati sono presenti in entrambe le classifiche. Europa e Latinoamerica – spiega a Valori la ricercatrice Erin Miller – hanno lasciato il posto a Medio Oriente, Nord Africa e Asia»). Si concentrano poi le aree degli attacchi («oggi i ¾ avvengono in appena 10 Stati contro il 61% del ventennio 1970-90»). Cambia la matrice dei terroristi, con la politica spesso sostituita dalla religione. E, purtroppo, cresce il numero medio di vittime per ogni azione: da 1,8 morti si è saliti a 2,3.
49.092
PAKISTAN
8 TIPO DI ATTENTATO
2001-2014
9.659
16.555
29.083
5.684
Altro
2.424
602
949
AUTORI PRINCIPALI: Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP); Armata repubblicana Baloch (BRA); Armata per la liberazione del Baloch (BLA)
3
AFGHANISTAN TIPO DI ATTENTATO
2001-2014
7.627
20.341
23.860
4.233
Altro
1.625
552
1.217
AUTORI PRINCIPALI: Taliban; Haqqani Network; Hizb-I-Islami
Attacchi totali
TIPO DI ATTENTATO
19
Espolosione Assalto armato
Vittime
6
Feriti
Assalto a mani nude
N
Paesi che hanno subito più attentati [1970-1991]
N
Paesi che hanno subito più attentati [2001-2014]
AUTORI PRINCIPALI • Organizzazione
Assassinio Rapimento
Attacco a infrastrutture Sconosciuto
valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
quarantacinque anni di attentati
INDIA
4
10
5.844
7.942
15.111
2.558
1.714
631
941
2.844
Altro
5.894
1.233
144
1.198
269
2.740
15
2.765
5.049
949
928
Altro
462
104
896
153
COLOMBIA
1.601
12
TIPO DI ATTENTATO
10
5.544
TIPO DI ATTENTATO
3.879
861
2.224
248
Altro 220
272
AUTORI PRINCIPALI: Forze armate rivoluzionarie di Colombia (FARC); Armata di liberazione nazionale di Colombia (ELN); Unità per l'autodifesa della Colombia (AUC)
FILIPPINE
2001-2014
2.946
2001-2014
AUTORI PRINCIPALI: Separatisti; altri, Runda Kumpulan Kecil (RKK)
6
1.615
11 TIPO DI ATTENTATO
2.051
AUTORI PRINCIPALI: Ribelli ceceni; Emirato del Caucaso; Forse armate della Repubblica cecena di Ichkeria
THAILANDIA
2001-2014
TIPO DI ATTENTATO
Altro
AUTORI PRINCIPALI: Partito comunista indiano (CPI); Maoisti; Fronte unito di liberazione di Assam (ULFA)A)
5
RUSSIA
2001-2014
TIPO DI ATTENTATO
2001-2014
284
ALGERIA TIPO DI ATTENTATO
2001-2014
Altro 579
AUTORI PRINCIPALI: Nuova armata popolare (NPA); Abu Sayyaf (ASG); Fronte di liberazione islamico Moro (MILF)
1.173
3.121
2.972
612
393
53
Altro 115
AUTORI PRINCIPALI: Estremisti islamici algerini; Gruppo salafita di lotta e preghiera (GSPC); Al-Qa'ida nelle terre del Maghreb islamico (AQLIM)
44 15 17 16 14 18
18
1
3
12 13
2
17
19
4
8 5
9
6
13
20 11 7 7
SOMALIA
13 TIPO DI ATTENTATO
2001-2014
2.304
4.901
4.814
914
669
264
457
1.084
NIGERIA
4.838
980
558
Altro 274
351
AUTORI PRINCIPALI: Boko Haram; Militanti Fulani; Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger (MEND)
YEMEN
FONTE: GLOBAL TERRORISM DATABASE, NATIONAL CONSORTIUM FOR THE STUDY OF TERRORISM AND RESPONSES TO TERRORISM (START).
1.811
4.028
4.063
670
491
249
AUTORI PRINCIPALI: Al-Qa'ida nella penisola arabica (AQAP); Huthis; tribù locali
valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
141
222
1.010
914
4.100
Altro 401
897
89
14
Altro 10
AUTORI PRINCIPALI: Hamas (Movimento di resistenza islamica); Jihad islamica palestinese (PIJ); Brigata dei martiri di Al-Aqsa
UCRAINA TIPO DI ATTENTATO
2001-2014
TIPO DI ATTENTATO
2001-2014
268
TIPO DI ATTENTATO
15
9
453
Altro
ISRAELE
TIPO DI ATTENTATO
12.698
1.551
2001-2014
2001-2014
2.163
956
AUTORI PRINCIPALI: Fondamentalisti musulmani; Ansar al-Sharia; milizia Haftar
14
16
TIPO DI ATTENTATO
Altro
AUTORI PRINCIPALI: Al-Shabaab; Movimento giovanile Mujahideen (MYM); Hizbul al Islam
8
LIBIA
2001-2014
917
1.400
1.278
437
249
Altro 88
143
AUTORI PRINCIPALI: Repubblica popolare di Donetsk; Repubblica popolare di Luhansk; Milizia filo-russa
29
30
valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
ECONOMIA SOLIDALE
COMMERCIO EQUO IL FUTURO È VICINO A CASA?
C
di Corrado Fontana
A sessant’anni dalla nascita, il futuro del mondo fair trade è tutto da scrivere. Le relazioni con i colossi mondiali dell’alimentazione rischiano di danneggiare le piccole aziende. Nascono così nuove alleanze e l’idea di circuiti solidali delle produzioni locali valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
ambiamenti in vista nello scenario del commercio equo e solidale. A partire dal cuore del continente europeo (Belgio, Francia, Germania, Italia, Spagna) ma toccando anche grandi Paesi d’oltreoceano come il Brasile, gli Stati Uniti e il Canada. E persino l’India. Sono queste, infatti, le frontiere più calde dove hanno preso piede le esperienze solide del cosiddetto domestic fair trade (vedi SCHEDE pag. 32), ovvero la creazione di marchi e circuiti di garanzia delle produzioni locali quale risposta ai limiti evidenziati nel tempo dall’ombrello comune di Fairtrade International e delle altre etichette transnazionali dell’equosolidale. Una risposta, ma non l’unica, per un comparto che, specie in Italia, ha subito la crisi economica. Se è vero infatti che «non esiste un mercato equo e solidale internazionale omogeneo perché ogni Paese ha sviluppato un proprio modo di realizzarlo», come ci ricorda Rudi Dalvai, presidente del31
economia solidale il futuro del commercio equo TUTTI I NUMERI DELLE BOTTEGHE DEL MONDO FONTE: RAPPORTO AGICES 2015
300
100.000.000
180
€ 14.786.491
€ 68.977.726
€ 74.751.266
€ 16.000.988
20.000.000
253
€ 11.775.759
30.000.000
€ 78.723.462
40.000.000
€ 12.176.283
50.000.000
256 240
€ 10.243.717
60.000.000
€ 71.761.711
80.000.000 70.000.000
247
242
€ 73.893.361
90.000.000
257
120
60
10.000.000 0.000
2009
2010
2011
2012
2013
28.676
29.733
30.496
29.776
32.770
N° BDM (punti vendita)
0
N° soci delle organizzazioni
Totale ricavi dalla vendita dei soli prodotti di commercio equo (Comes) Ricavi da vendita prodotti Comes a canali commerciali “tradizionali” (non economia solidale)
la World Fair Trade Organization (Wfto), è però altrettanto vero che il successo dei prodotti fair trade è fortemente legato al loro marchio, che in molti Paesi ha finito per identificarsi quasi completamente coi valori di cui sono portatori l’intera filiera e i soggetti che la animano (produttori, centrali d’importazione, organizzazioni di sostegno e distribuzione, botteghe). Una so-
vrapposizione che, da forza che era, rischia ora di trasformarsi in una debolezza: «in Inghilterra – dove il marchio Fairtrade è noto a circa l’80% dei consumatori, contro il 10% di quelli italiani – le organizzazioni del commercio equo si trovano ad affrontare colossi multinazionali come Nestlè e Unilever, le quali possono utilizzarlo per certi loro prodotti. Ma come può
tutte le realtà del FAIR TRADE domestico Si chiama domestic fair trade e potrebbe rappresentare il prossimo sviluppo di una economia locale certificata equa e solidale, non più esotica o d’importazione bensì a filiera corta.
In tanti Paesi sta prendendo piede una filiera equa e solidale orientata per il mercato locale, talvolta capace di esprimere propri standard di certificazione e marchi. È il commercio equo su base nazionale, o domestic fair trade, fotografato a settembre 2014 in un documento interno al Wfto: 32
BELGIO
distinguersi sugli scaffali una organizzazione di commercio equo che fa solo quello e lo fa da quarant’anni se lo stesso marchio appare sulla confezione del Kit Kat, snack al cioccolato di Nestlè? Come puoi spiegare al consumatore che il tuo cacao certificato Fairtrade è comunque “diverso” perché tu, oltre a rispettare tutte le condizioni e a corrispondere i prezzi minimi imposti dal marchio, collabori con il produttore, fai assistenza, attivi campagne di sostegno, scambi culturali?». In Italia, che ha volumi di vendita assai ridotti rispetto al Regno Unito (68 milioni contro oltre 2 miliardi di euro nel 2013, vedi GRAFICI ), il pericolo pare scongiurato dal fatto che l’equosolidale si identifica ben più con le Botteghe del mondo che con l’etichetta Fairtrade, ma all’estero (Germania, Inghilterra, Belgio, Austria, Francia) il marchio è stato fortemente utilizzato e sostenuto fino a pochi anni fa, e le organizzazioni che fanno del commercio equo la loro attività principale stanno avendo seri problemi: «Ad esempio la britannica Cafèdirect, che alla fine degli anni ’90 vantava circa il 7% del mercato del caffè solubile in Inghilterra, ora si trova a competere con aziende molto più grosse, che possono avere il caffè equosolidale e possiedono maggiori risorse per la promozione, oltre a contare su costi di esercizio minori grazie alle economie di scala», prosegue Dalvai.
Protagonisti sono i Magasins du monde, cioè la rete di botteghe della ong internazionale Oxfam che, in collegamento col movimento belga per la sovranità alimentare, ha sviluppato tre prodotti da agricoltura contadina certificati direttamente con standard propri, commercializzati con un proprio marchio con la dicitura Paysans du Nord (cioè “Agricoltori del Nord”).
SPAGNA
Ben 250 organizzazioni della penisola iberica fanno parte di REAS (Red de Economía y alternativa Solidaria), che le riunisce ma non ha propri prodotti in vendita sul mercato. Alcune di queste organizzazioni fanno parte della Wfto e trattano beni e servizi improntati all’utilità sociale, alla sostenibilità ambientale e a principi di equità e democrazia.
BRASILE
In Brasile si stima che 1,8 milioni di persone lavorino per l’economia solidale. Un settore dalla forte valenza politica, di rivendicazione per una maggiore democrazia ed emancipazione dai dettami del mercato. Il commercio equosolidale, concepito all’interno delle politiche sociali e regolato per legge (Brazilian Fair Trade System Law, 2007), è gestito dalla piattaforma nazionale Faces do Brasil, che riunisce ong, istituzioni e produttori, ed è orientato in primis alla domanda locale. valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
il futuro del commercio equo economia solidale
LA SANTA ALLEANZA? Ci si chiede insomma se il commercio equo non abbia aperto certi mercati e migliorato le filiere a vantaggio di Nestlè, Starbucks, Unilever o delle nostrane Caffè Kimbo e Riso Scotti. Se imprese che non fanno riferimento esclusivo ai principi del fair trade potranno ora sfruttarne il nome, generando magari confusione tra i consumatori. Di fronte a tale scenario la Wfto gioca su più tavoli, correndo tuttavia qualche rischio di ambiguità. Da un lato punta a costruire, sulla base delle tante affinità, alleanze sempre più strette sia con il comparto dell’economia sociale, in forte espansione in Europa come nel Sud-Est asiatico (vedi Valori settembre 2015) e in America Latina (Cile, Brasile, Ecuador), sia con quello dell’agricoltura biologica. Non a caso, a novembre 2017 si svolgeranno in contemporanea a Nuova Delhi la conferenza del Wfto e il congresso di Ifoam, cioè l’organizzazione globale che presiede all’agricoltura biologica. Dall’altro lato, Wfto spera invece in un effetto a catena virtuoso, e guarda con interesse alle voluminose richieste di materie prime certificate fair trade da parte delle corporation (Ferrero, terzo produttore al mondo di alimenti a base di cioccolato, ha annunciato a giugno 2015 che entro il 2020 utilizzerà solo cacao equosolidale). Una domanda cui tuttavia il modello dell’agri-
vENDITa aL DETTaGLIO STIMaTa pER paESE
Dati 2013 e confronto percentuale rispetto all’anno precedente FONTE: FAIRTRADE FOUNDATION - UNLOCKING THE. POWER OF THE MANY
15 9
19
4
17
14 10 2 13 3 1 18 7
16
6
5 11 12
8
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
2013 [in €]
Austria 130.000.000 Belgio 93.209.845 Rep. Ceca 6.439.976 Danimarca 81.080.778 Estonia 1.756.251 Finlandia 156.785.309 Francia 354.845.458 Italia 76.355.675 Irlanda 197.296.405 Germania 653.956.927 Lettonia 975.010 Lituania 842.258 Lussemburgo 9.628.859 Olanda 197.142.624 Norvegia 68.441.00 Spagna/Portogallo 23.663.783 Svezia 231.668.646 Svizzera 353.206.210 Regno Unito 2.044.926.208
tasso di crescita 21% 9% 142%* 13% 65% 3% 3% 17% 13% 23% 4% 16% 6% 9% 6% 29% 13% 12%*
* Il tasso di crescita è basato sull’incremento di percentuale riportato nella valuta locale.
coltura familiare – da sempre cardine nella filiera fair trade – fa fatica a star dietro, tanto che negli ultimi dieci anni Fairtrade ha introdotto nel proprio circuito, dopo quella del tè, anche la certificazione di piantagioni di banane, caffè e cacao, scatenando però «una forte opposizione da parte dei piccoli produttori», minacciati da concorrenti con ben altre capacità organizzative. Un potenziale conflitto interno stemperabile solo attraverso un rafforzamento delle realtà più piccole,
FRANCIA
La French Fair Trade Platform è la rete nazionale di commercio equo che raccoglie una trentina di organizzazioni. Almeno cinque di queste (Biocoop, Bio Solidaire, Alter Eco, Ethiquable, Ecocert) hanno sviluppato programmi di economia solidale che prevedono propri standard condivisi (riguardo alla definizione del “prezzo equo”, il prefinanziamento dei raccolti, un sistema di premi, la durata degli accordi di fornitura, la certificazione 100% biologico, la preferenza per il modello cooperativo) e vari prodotti sul mercato. Ecocert e Bio Solidaire hanno anche dato vita a propri marchi di certificazione (Ecocert Solidaire e Bio Solidaire).
molte italiane, che intraprendono rapporti esclusivi con il mondo cooperativo e dei piccoli produttori, in cui l’agricoltura familiare rimane maggioritaria. ✱
LINK WFTO - http://wfto.com IFOAM - www.ifoam.bio Solidale Italiano - www.altromercato.it/solidale-italiano Agices / Equo garantito - www.equogarantito.org Domestic Fair Trade Association - www.thedfta.org
STATI UNITI E CANADA
La Domestic Fair Trade Association (Dfta) conta affiliati sia negli USA che in Canada, coinvolgendo agricoltori, braccianti agricoli, organizzazioni non governative, produttori, trasformatori e rivenditori. Alla base il rispetto di principi per un commercio equo interno mutuati da quelli del fair trade, con particolare cura per i diritti del lavoro e la novità di un’attenzione al benessere degli animali, al marketing responsabile e ai diritti delle popolazioni indigene. La Dfta adotta il Food Justice Certified come una sorta di marchio di certificazione fair trade e vanta tra i progetti collegati il Centre for Small Farms in Nova Scotia Canada, centro di educazione, ricerca e formazione sull’agricoltura, ispirato all’organizzazione Navdanya, avviata da Vandana Shiva in India.
GERMANIA
Cuore del domestic fair trade tedesco è Germany Naturland (53mila iscritti e più di 500 prodotti da 21 aziende), associazione di piccoli agricoltori, concentrati soprattutto sul territorio nazionale ma presenti in circa 50 Paesi. Certifica fair trade (Naturland Fair) il latte proveniente dalle fattorie della Baviera nonché prodotti nazionali e internazionali del commercio equo. Riservando particolare attenzione a chi opera nel settore bio ed è economicamente più ai margini. valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
INDIA
Il rapporto Wfto cita Shop for change, organizzazione non profit con propri standard e criteri di certificazione e un marchio specifico per l’equo e solidale. Di recente ha avviato un programma pilota dedicato alla filiera delle produzioni di juta che punta a garantire salute e diritti per i lavoratori, formazione e assistenza alle imprese, equità nel rapporto coi consumatori.
ITALIA
Solidale Italiano è il marchio “domestico” nato sotto l’ala di Ctm altromercato: si appoggia, tra gli altri, all’economia carceraria, ai piccoli produttori delle terre confiscate alla mafia, alle cooperative che impiegano lavoratori svantaggiati. E tratta agrumi, olio d’oliva, pomodori da trasformare in concentrato, prodotti da forno, garantendo che i braccianti siano pagati secondo il contratto nazionale di lavoro. 33
economia solidale movimenti contadini
Piccoli agricoltori dure critiche a Cop21 di Paola Baiocchi
L’agricoltura familiare produce l’80% del cibo. Ma le organizzazioni che la tutelano, come Via campesina, sono state escluse dalla Conferenza sul clima. «Il sistema di potere delle multinazionali non è stato scalfito»
ssistere a un incontro di Via campesina, durante l’Expo dei popoli, in un’area agricola recuperata nel pieno centro di Milano, sotto i grattacieli delle assicurazioni della zona Melchiorre Gioia è stata un’esperienza straniante. Ma l’affermazione di Ibrahima Coulibaly, maliano fondatore della Coordination nationale des organisations paysannes, organizzazione aderente a
LINK http://caicocci.noblogs.org/ http://tbcfirenzemondeggi. noblogs.org/ http://www.ilcambiamento.it/ chilometro_zero/genuino _clandestino.html
A
La faTTORIa SENza paDRONI A Mondeggi, sulle colline fiorentine, un’esperienza di gestione comunitaria di un bene pubblico abbandonato 170 ettari collinari nel comune di Bagno a Ripoli (Firenze), con vigneti, pascoli, oliveti, boschi, giardini, fabbricati rurali e la villa rinascimentale intorno a cui, un tempo, ruotavano queste attività. Mondeggi è di proprietà della Provincia di Firenze, che sta cercando di vendere il bene, dopo averne abbandonato la gestione dal 2009 a causa dell’indebitamento. Ma dal 2014 un eterogeneo gruppo di contadini senza terra non solo ha ripreso le coltivazioni con una gestione comunitaria, ma è anche tornata ad abitare le antiche costruzioni della fattoria. Ci racconta Niccolò, giovane che lavora come stagionale nel turismo: «Tra giovani e 34
Via campesina, è stata ancora più sconvolgente: «L’agricoltura che fa mangiare il mondo non è quella industriale, ma quella dei piccoli agricoltori: 470 milioni di coltivatori con meno di 2 ettari». La Fao gli dà ragione: «Le aziende agricole a conduzione familiare producono l’80% del cibo a livello mondiale» dice il rapporto 2014. «Il 90% dei 570 milioni di aziende agricole esistenti al mondo
meno giovani siamo in 22-23 ad abitare a Mondeggi, ma il progetto ha il sostegno della cittadinanza di Bagno a Ripoli, che ci aiuta e a cui sono stati assegnati gli orti. L’oliveta è stata ripulita due anni fa, abbiamo raccolto qualche quintale di olive e l’olio prodotto è stato regalato». A Mondeggi le decisioni sono prese collegialmente da un Comitato che «ha sempre agito nella sostanziale attuazione dell’art. 118 della Costituzione che prevede il
principio di sussidiarietà con cui i cittadini partecipano alle scelte delle amministrazioni locali». Collettivamente ora stanno preparando l’incontro con la Provincia, per cercare soluzioni alternative alla vendita. «Di fronte alla distruzione del paesaggio ogni cittadino può opporre la propria azione popolare sovrana» spiegano, e intanto sono riusciti a mettere a dimora circa 400 piante da frutto grazie alla campagna di finanziamento “Adotta un Albero” lanciata nel 2014, a cui hanno risposto da tutta la piana fiorentina. [Pa.Bai.] ✱
valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
movimenti contadini economia solidale
sono gestite da famiglie». Eppure l’agricoltura familiare non è stata invitata alla Conferenza sul clima di Parigi, nonostante la Fao abbia definito questa componente «tra i soggetti più vulnerabili agli effetti dell’esaurimento delle risorse e del cambiamento climatico» e allo stesso tempo «cruciale per una migliore sostenibilità ecologica e la salvaguardia delle risorse». «La società civile è stata esclusa da questo negoziato, dove non è stato scalfito il sistema di potere, non si è andati contro il modello di concentrazione e sfruttamento imposto dalle multinazionali» denuncia Andrea Ferrante, presidente Aiab e responsabile per l’Europa di Via campesina. «La lobby petrolifera ne è uscita meglio del previsto, e non ci sono sanzioni se gli impegni presi vengono disattesi». Una conseguenza di un percorso ormai decennale: «Dal biennio 2007-08 – prosegue Ferrante – si perde la centralità dell’agricoltura e tutto cambia. Non se parla mai nei G7 e G8, ma i grandi investitori ne riscoprono il valore economico con l’accaparramento delle terre». «Ma i contadini si sono invitati al “banchetto della mondializzazione – spiega Silvia Pérez-Vitoria, economista ed ecologista francese –. Sono emersi nuovi movimenti un po’ ovunque e la Via campesina ha permesso la loro strutturazione su
sotto la lente di Valori
Oltre centomila ettari di terreno agricolo e forestale di proprietà demaniale, in larga parte non coltivati e quindi esposti a rischio idrogeologico o di incendio. È da questi numeri e dalla possibilità di preservare il territorio dando lavoro ai giovani che, nel 2012, la Regione Toscana ha lanciato per prima in Italia la Banca della terra. La prima azione della Banca è stata quella di inventariare tutti i terreni e i fabbricati rurali disponibili per affitto, concessione, compravendita, sia di proprietà demaniale, che di enti o di privati. L’effetto è stato dirompente: centinaia di ettari sono stati assegnati attraverso 25 bandi in questi anni e la richiesta di terreni da parte dei giovani sta aumentando. Il bando chiuso il 16 novembre scorso, per l’assegnazione di 100 milioni di euro per il Pacchetto giovani in agricoltura, ha visto arrivare 1.761 domande di giovani che intendono avviare un’impresa agricola. Il bando precedente, che risale al 2012, ne aveva raccolte 634. L’Istat ha censito 140mila ettari di superficie agricola utilizzabile, per un valore stimato di 2,8 miliardi di euro e altre sette regioni hanno seguito l’esempio della Toscana (Abruzzo, Campania, Liguria, Puglia, Sicilia, Umbria, Veneto) mentre cinque (Lombardia, Lazio, Calabria, Marche, Molise) hanno il progetto in itinere.
scala internazionale. Ormai i contadini rifiutano il destino che gli era stato assegnato: diventare braccianti o emigrare verso le città. Si tratta di una vera forza sociale – conclude Silvia Pérez-Vitoria – che combatte il potere delle multinazionali dell’agroalimentare e le distruzioni politiche e sociali prodotte dall’industrializzazione dell’agricoltura». ✱
’eccellenza italiana sotto la lente di Valori V lori Va FATTI F FA ATTI ITA T LIA L’L’eccellenza TA T IN ITALIA
FATTI IN ITALIA L’eccellenza italiana
Banca della terra la BUOna PratIca tOscana fa scUOla
IL LIBRO DI VALORI DEDICATO ALL’ITALIA CREATIVA E CAPACE FATTI IN ITALIA Isonio Emanuele to tta Tramon ed Elisabe prefazione ci ac al Ermete Re
a L’eccellenz italiana nte sotto la le di Valori
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economia solidale allarme del Wfp
Il clima rovente affamerà il mondo di Andrea Barolini
Il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite prevede: entro il 2080, il surriscaldamento getterà nell’insicurezza alimentare 600 milioni di persone in più. Africa, Sud America e India le aree più a rischio
S
enza azioni rapide, l’impatto dei cambiamenti climatici sulla fame nel mondo sarà devastante: entro il 2080, infatti, centinaia di milioni di persone in più rispetto ad oggi potrebbero non essere in grado di procurarsi il cibo necessario per vivere. Si tratta di una cifra gigantesca, se si tiene conto che attualmente sono circa 795 milioni gli abitanti della Terra già considerati in condizione di “insicurezza alimentare”. A lanciare l’allarme è uno studio effettuato dal Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite e dal Centro Hadley per la Ricerca e le previsioni sul clima del Met Office britannico. L’analisi è stata presentata nel corso della Cop21, la Conferenza mondiale sul clima dell’Onu, che si è tenuta a Parigi nelle prime due settimane di dicembre. Per consentire a tutti di comprendere facilmente il rischio che corre l’umanità, i due organismi hanno messo a punto un mappamondo inte-
36
rattivo, pubblicato online sul sito dell’ufficio meteorologico inglese, che offre una proiezione del grado di insicurezza alimentare a livello globale a due scadenze: nel 2050 e nel 2080. La stima è stata effettuata sulla base di due fattori principali, ovvero sul quantitativo di emissioni di gas a effetto serra che saranno disperse nell’atmosfera nei prossimi decenni e sugli effetti delle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici che potranno essere introdotte dai governi.
UNA PREVISIONE COMPLESSA «Il lavoro di costruzione delle mappe – ha spiegato Richard Choularton, che dirige il Programma di riduzione dei rischi ambientali del Wfp – ha richiesto l’utilizzo di un’ampia serie di informazioni. Abbiamo tenuto conto delle condizioni in cui verseranno i sistemi agricoli, così come dei problemi che potranno manifestarsi nell’accesso all’acqua potabile,
valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
allarme del Wfp economia solidale
dell’impatto del clima sulle foreste e ancora delle difficoltà specifiche che si registreranno in alcune aree del Pianeta nel rifornirsi di beni alimentari secondo le analisi della Fao». Nella pagina web è possibile scegliere tre livelli per entrambe le variabili, modificandole di volta in volta, e generare così delle mappe che mostrano in modo chiaro quale sarà la situazione in numerose nazioni del mondo a due scadenze: nel 2050 e nel 2080. Qualora il mondo non agirà in tempo sia attraverso politiche efficaci volte a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, sia diminuendo drasticamente le emissioni di gas a effetto serra, il risultato sarà catastrofico.
DUE RIMEDI INSCINDIBILI Se infatti si modificano i parametri della mappa scegliendo un quantitativo alto di inquinamento nell’atmosfera e un basso grado di adattamento da parte dei governi, in particolare in alcune aree del mondo, i problemi peggioreranno in modo dirompente. È il caso soprattutto della quasi totalità del continente africano. Ma anche in India, America Centrale e parte dell’America Latina, nonché del Sud-Est asiatico, l’insicurezza alimentare potrebbe diventare un problema insormontabile. «Quello che abbiamo ideato – ha dichiarato Ertharin Cousin, direttrice esecutiva del Programma alimentare mondiale – è uno strumento che consente di comprendere quali cambiamenti si registreranno nel pianeta in funzione delle risposte che l’uomo saprà dare alla questione climatica. In gioco c’è il futuro di centinaia di milioni di persone». Ciò che risulta particolarmente interessante è il fatto che, modificando uno solo dei due fattori, la situazione migliora ma in modo largamente insufficiente. In altre parole, con alti livelli di emissioni di gas a effetto serra e importanti politiche di adattamento (o viceversa), la situazione appare di certo
PrOgettO FOODSECURE: cOsì l’OnU vUOle antIcIPare le catastrOfI
lo scorso 2 dicembre il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite ha annunciato l’avvio di una nuova iniziativa umanitaria. Battezzato Foodsecure, il progetto è stato messo a punto in collaborazione con la Federazione internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, e prevede lo stanziamento di fondi e l’avvio di azioni mirate in funzione delle previsioni meteorologiche, al fine di anticipare eventuali catastrofi. Come noto, infatti, una delle principali conseguenze dei cambiamenti climatici è legata al moltiplicarsi degli eventi estremi: cicloni, tempeste, siccità, inondazioni sono cresciute negli ultimi anni e continueranno a farlo in futuro. Foodsecure – che prevede uno sforzo finanziario complessivo pari a 376 milioni di euro – è stato sperimentato di recente, per la prima volta, in Uganda, con l’obiettivo di prevenire e attenuare i danni provocato da un episodio (annunciato) di El Nino: il fenomeno di accumulazione di calore nelle acque del Pacifico, che normalmente provoca forti precipitazioni in numerose aree del globo, come ad esempio in America Latina, Sud-Est asiatico e Australia. Nell’ambito del programma dell’Onu sono state distribuite alle famiglie più vulnerabili compresse per la purificazione dell’acqua. Mentre in Guatemala e Zimbabwe il dispositivo è stato attivato nelle aree maggiormente minacciate dalla siccità: sono stati organizzati dei corsi di formazione rivolti agli agricoltori locali, per introdurre l’utilizzo di semi resistenti alla mancanza di acqua, ma anche per far conoscere nuove pratiche in grado di preservare il suolo. Secondo quanto spiegato al quotidiano francese Le Monde dalla direttrice esecutiva del Programma alimentare mondiale, Ertharin Cousin, «fornire una risposta anticipata alle catastrofi non soltanto consente di proteggere vite umane, ma fa anche risparmiare denaro. È per questo che servono nuovi approcci che permettano di agire prima che il problema si produca: è il solo modo che abbiamo per aiutare in modo sostenibile le persone più vulnerabili ad affrancarsi da fame cronica e povertà».
meno grave rispetto allo scenario peggiore, ma una parte importante dell’umanità si ritroverebbe in ogni caso condannata a patire la fame. Il messaggio lanciato dalle Nazioni Unite è dunque che occorrerà agire obbligatoriamente su tutti i fronti se si vogliono contrastare seriamente il climate change e le sue conseguenze. In caso contrario, il rischio concreto è di rendere vane tutte le speranze riposte, ad esempio, nei nuovi “Obiettivi del Millennio” (adottati il 25 settembre scorso dalla comunità internazionale, vedi Valori n. 133) tra i quali figura proprio l’eliminazione della fame nel mondo, in tutte le sue forme, entro il 2030. Un impegno ambizioso, tenuto conto del fatto che, secondo i dati del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, circa 600 milioni di persone in più rispetto ad oggi potrebbero soffrire la fame nel 2080. ✱ Come aumenterà l’insicurezza alimentare nel mondo se gli Stati continueranno a emettere livelli alti di gas a effetto serra e se non saranno introdotte politiche di adattamento ai cambiamenti climatici. I Paesi più a rischio sono colorati dal giallo chiaro (rischio basso) al rosso scuro (rischio alto). In grigio le nazioni che sono state escluse dall’analisi perché economie ricche o prive di produzione agricola o per mancanza di dati.
valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
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economia solidale viaggiare a basso impatto
Turismo più pulito Ma chi fa i calcoli? di Emanuele Isonio
I big fra le compagnie di viaggio esultano: impronta di carbonio diminuita del 20% in dieci anni. E promettono di dimezzare le emissioni di CO2 entro il 2035. Ma i conteggi sono fatti dalle stesse aziende
“A
pensar male – è noto – si fa peccato. Ma...”. Un “ma” tante volte richiamato, che rischia di essere perfetto per un’analisi presentata negli ultimi giorni del 2015 dal World Travel & Tourism Council (Wttc), organizzazione che riunisce i big del turismo globale. Nomi del calibro di Hilton, NH, Hyatt, Etihad, Emirates, Tui, Marriott. Obiettivo dello studio: evidenziare i progressi fatti dalle imprese turistiche sul fronte della riduzione delle emissioni nocive. Un problema non da poco visto che, secondo i calcoli dell’Università di Waterloo, dal settore proviene il 5% della CO2 prodotta dall’uomo (vedi BOX a pag. 40). Nel rapporto, i toni sono trion-
I risultati
green secondo i tour operator
18,3% di riduzione per
metro quadro tra il 2007 e il 2014.
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falistici. A ragione, se ci si basa sui numeri presentati: «Nell’ultimo decennio, le maggiori compagnie di viaggio e turismo mondiali hanno migliorato la propria efficienza energetica del 20% e hanno la possibilità di dimezzare le emissioni di anidride carbonica entro il 2035 e di tagliarle del 25% già entro il 2020».
LE BEST PRACTICE SUSCITANO DUBBI Nel rapporto, oltre a descrivere i risultati per ogni singolo marchio (vedi SCHEDE ), si sottolinea come la diminuzione dell’impronta ecologica delle varie catene alberghiere sia connessa con azioni in diversi settori: investimenti in responsabilità sociale
[THE HONG KONG AND SHANGHAI HOTELS, LIMITED]
24% di miglioramento
20,2% di riduzione di emissioni per metro quadro nel quinquennio 2009-2013.
22% di riduzione per metro quadro confrontando la media del biennio 2006-2008 con i risultati 2014.
17% di riduzione per metro quadro rispetto alle emissioni del 2006.
69,4% di riduzione
20,1% di riduzione nelle emissioni per passeggero / a viaggio / al giorno nel 2013 rispetto alle performance del 2005.
Nel 2012 neutralizzata la CO2 per le operazioni dirette nei resort e, nel 2014, per quelle indirette grazie a fonti rinnovabili e progetti di mitigazione.
10% di riduzione nelle emissioni aeree tra 2008 e 2014. Meno 25% per le emissioni del proprio patrimonio alloggi.
nelle emissioni di CO2 per passeggero tra il 2006 e il 2014.
delle emissioni di CO2 rispetto al 2007, su un campione di hotel pari a 2/3 del totale.
valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
viaggiare a basso impatto economia solidale
Il tUrIsMO MOndIale In cIfre 9%
1/11
PIL (diretto e indotto)
$ 1,5
trilioni di $ in export
posti di lavoro mondiali (diretti e indotto)
6%
dell’export mondiale
valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
30%
dell’export di servizi
TURISTI: NUMERI DOppI NEI pROSSIMI 20 aNNI FONTE: UNWTO WORLD TOURISM ORGANIZATION - EDIZIONE 2015.
Previsioni
Attuale
Arrivi di turisti internazionali [milioni]
e ambientale, utilizzo di filiere corte per le forniture di beni e servizi, finanziamento di programmi per la tutela del patrimonio naturale, marittimo e forestale o per sensibilizzare i propri ospiti al rispetto della biodiversità. Un profluvio di best practice tanto rilevanti da far nascere dubbi su come sono stati raccolti i risultati contenuti nel rapporto. Sospetti confermati dalla stessa Wttc: «I dati – spiega a Valori la responsabile delle Relazioni esterne, Annebeth Wijtenburg – ci sono stati forniti dalle singole aziende». E il metodo di calcolo per confrontare le emissioni attuali rispetto al 2005? «Ogni compagnia ha calcolato la CO2 in modo autonomo, anche se i conteggi che si rifanno a sistemi di rilevazione internazionali, come il Carbon Disclosure Project o il Global Reporting Initiative (due schemi di rendicontazione della prestazioni ambientali di enti e società, ndr) vengono effettuati sempre allo stesso modo». Gridare al green washing sarebbe probabilmente eccessivo ma il valore del rapporto ne esce comunque depotenziato. «Per essere credibile – osserva Sebastiano Venneri, responsabile Territorio di Legambiente e membro del consiglio direttivo dell’Associazione italiana Turismo responsabile – un’analisi deve essere affidata a soggetti indipendenti che possano certificare con terzietà gli effetti delle performance. Di enti in grado di farlo ne esistono molti e se si vogliono fare calcoli seriamente bisogna affidarsi a loro». Stroncare del tutto i risultati sarebbe comunque impietoso: «La crescita di attenzione e di azioni virtuose per ridurre le emissioni da parte degli operatori turistici è indiscutibile. Gli interventi si moltiplicano anche perché si sono resi conto che sono diventati un elemento per acquisire credibilità agli occhi degli utenti». Ma per poter definire sostenibile il turismo, non sono sufficienti l’efficienza energetica, i pannelli fotovoltaici o le policy a tutela delle risorse naturali. «Il turismo è destinato a crescere nei prossimi anni (vedi GRAFICO ) e
1.800
1.8 mld
1.600 1.400
1.4 mld
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940 mln
800 600 400 200 0 1950 Africa
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Medio Oriente
1980 America
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2000 Asia e Pacifico
2010
2020
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Europa
La sostenibilità viaggia su rotaia di Emanuele Isonio
T
Val di Sole e Val Pusteria hanno deciso di scommettere sul treno al servizio dell’industria turistica. Due prove dei risultati possibili con i giusti investimenti re quarti in meno di energia consumata e 85% in meno di inquinamento dell’aria rispetto all’auto: due dati cruciali a comprendere come l’opzione treno sia irrinunciabile per far imboccare al turismo la strada della sostenibilità. Una forma di tutela per la biodiversità di territori fragili e di popolazioni locali preoccupate dalle puntuali invasioni di auto nei momenti di alta stagione. In principio, a capirlo, fu Zermatt: la perla svizzera, 250mila arrivi ad ogni inverno, accoccolata ai piedi del Cervino, che lì chiamano Matterhorn, è auto-free. Da più di 30 anni, le quattro ruote si lasciano al paese più vicino, 6 chilometri prima. Da lì solo treno. Per girare in città, taxi elettrici e carrozze a cavalli.
rIscOPrIre la trentO-Malé Un’esperienza, così radicale, in Italia non è stata replicata da nessuno. Ma c’è chi sta cercando di insinuare nella testa dei turisti le rotaie al posto degli pneumatici. Ci ha provato ad esempio il Trentino, che, primo nel nostro Paese nel 2003, ha pensato di recuperare un pezzo di storia ferroviaria (la TrentoMalé, inaugurata nel 1909) per metterla al servizio del Dolomiti Express lungo la Val di Sole. Un primo tassello di una strategia che ha portato, cinque anni più tardi, a inaugurare una telecabina direttamente dalla stazione ferroviaria di Daolasa. «In questo modo – spiega Alberto Penasa dell’Azienda di promozione turistica – abbiamo voluto offrire continua a pagina 40 39
© MANUEL KOTTERSTEGER
tre cOMPrensOrI In 50 MInUtI Scelta analoga (e ampliata) l’hanno fatta in Val Pusteria in Alto Adige. Simile il nome del treno (Ski Pustertal Express) in servizio tra
Undici euro per “decarbonizzare” il turismo. Il calcolo è stato effettuato dai ricercatori dell’Università di Waterloo in uno studio pubblicato sul Journal of Sustainable Tourism. Fra trasporti, alloggi e attività ricreative – è il ragionamento degli analisti – il settore turistico incide per il 5% delle emissioni umane di anidride carbonica. Per compensare l’impatto sull’ambiente, ogni viaggio dovrebbe essere caricato di una sorta di tassa pari a una manciata di euro. Undici, appunto. «Il settore turistico si è impegnato a ridurre le proprie emissioni di CO2 del 50% entro il 2035. Il nostro studio dimostra che ciò è realizzabile, ma richiede azioni decise e investimenti significativi, pari a poco meno di un miliardo di dollari all’anno», spiega il professor Daniel Scott, autore della ricerca. Considerando la notevole crescita del settore, il costo relativo è meno dello 0,1% dell’economia turistica globale nel 2020 e il 3,6% nel 2050. «Un mondo che si surriscalda pericolosamente non è nel miglior interesse del turismo globale. Molte delle destinazioni e delle attività più amate dai viaggiatori sono a rischio a causa del cambiamento climatico, dallo sci di alta montagna alle spiagge tropicali» osserva Scott. «Dobbiamo perciò domandarci se siamo disposti a pagare meno del costo di un bagaglio extra in aereo per permettere alle generazioni future di ammirare le bellezze che oggi ci ispirano».
LIENZ
ASSLING
MITTENWALD
ABFALTERBACH
STRASSEN
SILIAN
VIERSCHACH-HELM VERSCIACO-HELM
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TOBLACH DOBBIACO
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WELSBERG MONGUELFO
OLANG VALDAORA
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MÜHLBACH RIO PUSTERIA
BRENNER BRENNERO
BRUNECK NORD BRUNICO NORD
KRONPLATZ
Fortezza e l’austriaca Lienz. Lungo il suo percorso, tre comprensori sciistici in 50 minuti: Plan de Corones (100 chilometri di piste) raggiungibile dalla cabinovia di Percha, la cui partenza è proprio accanto al binario ferroviario; le Dolomiti di Sesto (60 km tra Monte Elmo e Croda Rossa), servito dalla stazione di Versciaco, inaugurata nel 2015 e costata 8 milioni di euro. E l’ultimo, sette minuti dopo, oltre confine, in Austria, a Sillian (55 km), dove però non esiste un collegamento diretto tra treno e impianti di risalita. «L’introduzione dello Ski Pustertal – spiega Christian Erroi, direttore impianti di Plan de Corones – ha portato i primi ingressi nella funivia di Percha legati al treno dai 51mila nella prima stagione 2011-12 ai 75mila dell’anno scorso». Il merito del risultato, per la parte altoatesina,
cOMPensare le eMIssIOnI? cOsta 11 eUrO a vIaggIO
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Il percorso dello Ski Pustertal Express in Val Pusteria tra Alto Adige e Austria.
BRIXEN BRESSANONE
l’opportunità di arrivare in treno direttamente da Trento. D’inverno si scende dal vagone e si sale sull’impianto che porta ai 150 km di piste delle Dolomiti di Brenta tra Marilleva, Folgarida e Madonna di Campiglio. D’estate si può viaggiare in treno con la bicicletta e fruire poi delle ciclabili e dei sentieri sulle montagne». Per incentivare l’uso, il biglietto viene detratto dal prezzo dello skipass e chi lo usa da Trento può parcheggiare gratuitamente in stazione.
FRANZENSFESTE FORTEZZA
segue da pagina 39
PERCHA-KRONPLATZ (RIED) PERCA-PLAN DE CORONES (RIED)
economia solidale viaggiare a basso impatto
SEXTNER DOLOMITEN
è anche in un accordo con l’azienda provinciale dei trasporti e gli albergatori grazie al quale l’uso del treno è gratuito per gli ospiti degli hotel. «Quelli del Trentino e dell’Alto Adige sono gli esempi più interessanti in Italia di cosa si può ottenere con un approccio di sistema in un comprensorio turistico. Fruibili in tutte le stagioni, al servizio di sci e cicloturismo» commenta Sebastiano Venneri, di Legambiente, che ricorda come gli investimenti in materiale rotabile e nelle stazioni abbiano fatto quasi triplicare i passeggeri lungo la tratta. Uno schiaffo alle scelte di altri comprensori sciistici: uno su tutti la vicina (e blasonata) Cortina e la sua Valle del Cadore, che, pur disponendo di una linea ferroviaria ha deciso, da ormai cinquant’anni, di eliminarla in favore delle quattro ruote. ✱
per ridurre l’impatto sociale e ambientale serve un intervento globale» spiega Venneri. Un risultato impossibile con scelte singole. «Sono necessari “patti di territorio”: alleanze tra attività ricettive, tessuto commerciale, comunità locali, turisti, amministratori pubblici e gestori dei servizi di trasporto e rifiuti». Ovviamente i big del settore possono in tal senso giocare un ruolo positivo: «Potrebbero sicuramente farsi capofila di un nuovo turismo e portare tali sensibilità in territori in cui non sono ancora radicate». Ma qualunque approccio, per quanto virtuoso, deve fare i conti con le peculiarità di un territorio. Alcuni sono comunque troppo fragili per resistere senza danni a un eccessivo afflusso di turisti. «In quei casi – conclude Venneri – parlare di selezione del pubblico e introduzione del numero chiuso per i visitatori non è un tabù. Spesso, sono gli stessi residenti a chiederlo. Alle Cinque Terre ad esempio sono state avviate petizioni per denunciare l’insostenibilità degli afflussi turistici causati dalle navi da crociera». ✱ valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
economia solidale ??
la bacheca di valori ?? economia solidale
GOOD NEWS
I MIGLIORI TWEET DEL MESE Costs for 5 clean energy technologies have dramatically reduced in recent years. Revolution is now!
[I costi di 5 tecnologie energia pulita si sono drasticamente ridotti negli ultimi anni. La rivoluzione è adesso!] 30 dicembre 2015 mauro meggiolaro @meggio_m
Altro importante risultato dopo COP21: Cina blocca per 3 anni nuove miniere carbone e ne riduce uso 31 dicembre 2015 Gianni silvestrini @Giasilvestrini
Quattro corsie per due ruote. In Germania nasce la “bicistrada” Sessanta chilometri di strada in doppia carreggiata, con quattro corsie, che uniranno Dortmund e Duisburg. Le uniche autorizzate a percorrerla saranno le biciclette. Un'infrastruttura imponente, la Radler B-1, che correrà a fianco dell'attuale autostrada: totalmente in pianura, studiata per evitare pendenze o curve pericolose e senza incroci. L'obiettivo è stimolare l'uso delle due ruote anche per percorsi più lunghi dei classici tragitti urbani, grazie a opere pubbliche ad hoc. Non una questione solo ambientale o sanitaria. Anche i rientri economici per la collettività sono positivi: uno studio danese, il Bicycle Account, ha calcolato che ogni km “pedalato” genera un beneficio di 0,16 euro per la società. I “PARADISI” DEGLI INSEGNANTI
salari annuali degli insegnanti delle scuole medie con 10 anni di anzianità [dati 2013 in us$] FONTE: OECD
Q. Why is my husband's medication $1000 here versus $56 in Canada? A: Last year big pharma employed 1400+ lobbyists.
[Domanda: perché le cure mediche di mio marito costano 1000 dollari qui e 56 in Canada? Risposta: l'anno scorso Big Pharma ha impiegato più di 1400 lobbisti.] 3 gennaio Bernie sanders @Berniesanders
VALORITECA sPUntI da nOn Perdere nel Mese aPPena trascOrsO
GOOD NEWS
Performance climatica: Italia scala 7 posizioni
LAUREATI DISOCCUPATI
% rispetto al totale dei laureati in alcuni stati ocse [dati 2013] FONTE: OECD
Tra i 58 Stati più industrializzati, responsabili del 90% delle emissioni, l'Italia si piazza nel 2015 all'11° posto nella classifica di performance climatica messa a punto da Germanwatch. Sei posizioni meglio dell'anno precedente. Un risultato discreto reso possibile dalla riduzione delle emissioni prodotta sia dalla recessione economica sia dallo sviluppo delle rinnovabili e degli interventi di efficienza energetica. Male invece le politiche climatiche nazionali: l’Italia è 51esima. Gli Stati Uniti, saliti dal 45° al 34° posto, fanno registrare il balzo maggiore. Ma, nella top10 dei Paesi più virtuosi, i primi nove sono europei (sul podio, Danimarca, Regno Unito e Svezia) seguiti dal Marocco. valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
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Quello che in occidente arriva con’eco sfumata e si trasforma in un allarme per gli effetti nocivi sulla qualità della nostra alimentazione, nel Sud-est asiatico è una realtà fatta di violenze quotidiane contro l’ambiente, le popolazioni locali e gli animali che nelle foreste vivono. Tutte vittime immolate sull’altare dei profitti delle “Signore delle Palme”, le multinazionali che controllano uno dei mercati più controversi eppure promettente degli ultimi anni: un settore da 44 miliardi di dollari forte di una domanda che, senza inversioni di rotta, si prevede raddoppi entro il 2030 e triplichi entro il 2050. a meno che qualcuno finalmente non decida di far ricadere su di loro le esternalità negative prodotte dalle loro attività. e l’approccio che snatura il rapporto con la terra e la rende una forma di sopruso sociale e ambientale finisce per toccare settori apparentemente insospettabili. Come quello del pellet: nato per essere una forma di energia sostenibile perché basata sugli scarti della lavorazione del legno, in alcuni casi si è trasformata in una paradossale fonte di disboscamento. e in europa viene immesso in commercio pellet proveniente dalle foreste abbattute nel Sud-ovest degli Stati Uniti.
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© GREENPEACE
fotoracconto 04/04
Nella foto grande: un’abitante di un villaggio indonesiano cerca di sfuggire ai fumi prodotti dagli incendi appiccati per disboscare le aree di foresta tropicale destinate alla coltura di palme.
Qui sopra: uno degli scatti realizzati dai fotografi di Greenpeace per denunciare il commercio di pellet derivante non da scarti legnosi ma dall’abbattimento di alberi. valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
social innovation
Un nuovo modello di finanziamento
Progetti sociali a caccia di risorse di Andrea Vecci e infrastrutture alla base del nostro modello di sviluppo si stanno deteriorando. La mancanza di investimenti imporrà costi enormi alla collettività a causa di una sempre minore efficienza delle stesse. Gli Stati Uniti prevedono di perdere 3,1 miliardi di dollari all’anno di Pil se non colmeranno entro il 2020 il fabbisogno finanziario per infrastrutture pari a 1.100 miliardi. La domanda di investimenti supera notevolmente l’offerta finanziaria pubblica. Esistono, però, abbondanti risorse private nelle banche di investimento, nei fondi comuni, nei fondi pensione e nelle compagnie di assicurazione, che potrebbero svolgere un ruolo importante. Ma sulla base di quale modello? Da un decennio, anche in Italia si è diffuso il project finance, un partenariato pubblico-privato in cui una società finanzia, esegue e gestisce un’opera pubblica in cambio degli utili che derivano dai flussi di cassa generati da una efficiente gestione dell’opera stessa. Non tutte le infrastrutture pubbliche riescono però a generare utili appetibili o a dare garanzie sufficienti agli investitori privati, soprattutto quelle per l’housing o i servizi assistenziali per gli anziani. A Soweto, una delle più grandi township sudafricane, l’Agenzia di Sviluppo di Johannesburg, ha introdotto un approccio di co-finanziamento per costruire case e servizi in un’area di popolazione a basso reddito e con bassissime garanzie di rientro per gli investitori, attraverso un modello di project finance a impatto sociale (Sipf) di 20 milioni di dollari. Il progetto di housing sociale da solo non riusciva ad essere finanziato, ma con altri tasselli quali un piccolo centro commerciale, una pompa di benzina, la stazione dei taxi e la sistemazione dei collegamenti con la stazione ferroviaria, il progetto è diventato appetibile. Ubi Comunità, a Torino, ha finanziato con un project finance sociale da 8 milioni di euro la riqualificazione dell’Istituto Buon Riposo, una residenza sanitaria per anziani che non è solo una infrastruttura sociale ma porta avanti anche un progetto di rete di servizi territoriali e domiciliari. Quello di Ubi Comunità è il primo finanziamento italiano che propone questo modello, connesso a una concessione cinquantennale tra il Comune di Torino e la cooperativa sociale TSC. In entrambi i casi il modello
L
valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
di investimento si basa sul “finanziamento a strati”, che consiste nell’utilizzare diverse fonti di capitale, compresa la filantropia, con diversi livelli di rischio, tenuti insieme da una Società di Progetto (SPV) con lo scopo di finanziare risultati sociali. Quattro strati accomunano Soweto a Torino: il primo è l’identificazione degli elementi di un progetto che possono attrarre autonomamente finanziamenti. Il secondo è la scomposizione del progetto in lotti con livelli di bancabilità decrescente, in modo da far partire prima i lotti più solidi e procedere con quelli meno garantiti solo dopo il raggiungimento di obiettivi concordati con l’ente pubblico e con i finanziatori. A Soweto nel primo lotto sono compresi solo 10 alloggi, i successivi 50 saranno realizzati solo dopo un primo round di affitti andati a buon fine. A Torino si prevede che i servizi territoriali e domiciliari avranno bisogno di un supporto finanziario medio-lungo prima di raggiungere l’autosufficienza economica. Il terzo è la ricerca di strumenti finanziari “socialmente-friendly” che rispettino nella forma quegli strumenti del mercato finanziario già conosciuti, riadattati però per calmierare i tassi agli obiettivi sociali dei progetti. La chiave di questo strato è quella di separare la quota degli interessi in almeno due parti, il rendimento di base e il rendimento di impatto. Il primo può essere fisso o variabile, mentre quello di impatto sociale dovrebbe essere specificato nel contratto e valutato caso per caso da un audit indipendente in ottica di “pay for success”. Il quarto è quello di trovare un meccanismo di incentivazione endogena, capace di fornire sia infrastrutture migliori che effetti sociali. A Soweto è stato introdotto un contratto di affitto “rent-to-buy”: in un contratto di locazione standard viene inserita un’opzione di acquisto dell’alloggio a un prezzo predeterminato. A Torino la cooperativa sociale TSC riceve da Ubi Comunità un “pay for success” in forma di donazione di 10mila euro all’anno, più 18mila iniziali, come sostegno del progetto di rete di servizi territoriali e domiciliari. Questo nuovo modello potrà svolgere un ruolo utile al fabbisogno di investimenti infrastrutturali: anche la componente ambientale, come quella sociale, potrà essere facilmente incorporata come fattore di impatto nel quadro futuro delle infrastrutture sostenibili. ✱ Maggiori approfondimenti sul blog Social Innovation di valori.it
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INTERNAZIONALE
YUAN & FMI AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA
P
di Matteo Cavallito
L’ingresso della valuta cinese nel paniere del Fondo Monetario è un riconoscimento al ruolo primario di Pechino. Ma anche il preludio a un nuovo equilibrio economico mondiale valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
romosso senza esitazioni. Come impone la ragione prima ancora che la diplomazia. Con una decisione ampiamente attesa, il Fondo Monetario Internazionale ha dato il definitivo via libera all’ingresso dello yuan nel club degli Special Drawing Rights, altrimenti detti “diritti speciali di prelievo” (DSP), il paniere delle valute che compongono le riserve internazionali. Come dire, la Serie A del mercato valutario. Ovvero, in senso lato ma neanche troppo, il gotha dell’economia globale. Un provvedimento, arrivato a fine novembre, che si materializzerà ufficialmente il primo ottobre 2016 quando i quattro membri storici del club – dollaro, euro (erede del franco francese e del caro vecchio Deutsche Mark), yen e sterlina – si stringeranno (letteralmente) per far spazio alla moneta di Pechino (vedi GRAFICO ) nel rispetto della logica stessa dello scenario globale. «La decisione del FMI rappresenta la definitiva conferma della rilevanza internazionale della Cina» spiega a Valori Raffaele Marchetti, docente di Relazioni Internaziona45
internazionale nuovi equilibri economici
li presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma (vedi INTERVISTA ), ma anche – aggiunge – «un riconoscimento che implica per il futuro maggiori investimenti e una più ampia disponibilità degli operatori esteri a portare i loro capitali nel Paese». Non solo un fatto simbolico, insomma, ma una vera e propria svolta carica di conseguenze. A partire dagli effetti diretti per la stessa moneta cinese.
IL NUOVO CORSO DI PECHINO Attualmente, è bene ricordarlo, il controllo del valore di mercato dello yuan resta saldamente in mano al governo, ovvero al vertice stesso di un sistema fortemente accentrato. Ma questa situazione, almeno in parte, è destinata a mutare. «La posizione chiave di moneta che concorre a formare la disponibilità delle riserve internazionali impone ai governi di queste valute
il vincolo di lasciare al mercato l’azione di definire il valore del loro cambio reciproco» sottolinea Leandro Conte, docente di Storia Economica presso l’Università di Siena. Una vera e propria rivoluzione per lo yuan, chiamato anche ad adeguarsi alla fine del Quantitative Easing statunitense, la politica monetaria espansiva promossa dopo la crisi e ormai abbandonata in via definitiva. «Ad oggi lo yuan risulta sopravvalutato sul dollaro – prosegue Conte – e a maggior ragione lo sarà nei prossimi mesi dopo che la Fed avrà iniziato una manovra restrittiva». Ne deriverebbe, secondo il docente, una possibile «graduale svalutazione» della moneta cinese con l’obiettivo di raggiungere un equilibrio fondato su un cambio sostenibile nel quadro dell’ormai celebre svolta “domestica” di Pechino (vedi Valori n. 131, settembre 2015). «L’orientamento attuale del
governo cinese (che nel 2017 manderà in pensione 5 dei 7 membri attuali del suo Politburo, ndr) è quello di far crescere i servizi e la domanda interna, condizioni che si associano alla scelta di impegno a sostenere la stabilità monetaria e la tutela del risparmio» spiega ancora Conte. «La consapevolezza che la valuta in cui sono espressi gli investimenti e i risparmi della popolazione cinese contribuisce a formare le riserve internazionali ed è stabile favorisce la domanda interna della Cina; condizione che trova concordi sia il governo cinese sia quelli delle economie occidentali ed è la più probabile ragione dell’ammissione dello yuan nella coorte dei Diritti Speciali di Prelievo».
IL FONDO SI RINNOVA? Equilibrio e stabilità sono i concetti chiave. E non solo sul fronte interno cinese. Le
«MERCATO E TRASPARENZA MA CON CAUTELA». COSÌ (NON) CAMBIA LA NUOVA CINA Marchetti (Luiss): «Da Pechino maggiori aperture a mercato e trasparenza». Senza riforme radicali «Una partita aperta». Così raffaele Marchetti, docente di relazioni internazionali presso l’Università LUiSS Guido Carli di roma, definisce il nodo delle riforme cinesi. «Una battaglia politica ma non solo», che vede Pechino sottoposta alla pressione proveniente dall’estero. Ma che, al tempo stesso, non sembra destinata a concludersi con una svolta radicale. Il FMI ha promosso lo yuan. Ora la Cina si prepara a riformare la sua economia? bisogna dire innanzitutto che la decisione assunta dal fMi sull’ingresso dello yuan può essere letta come una vittoria della Cina, che ha ottenuto il via libera prima dell’effettiva conclusione delle riforme richieste dal fondo stesso. Detto questo, è evidente che l’economia cinese rimane sottoposta ad im46
portanti vincoli sistemici. Per il futuro possiamo attenderci sicuramente una maggiore apertura da parte di Pechino sul fronte del mercato e della trasparenza. Nell’economia cinese la trasparenza sembra ancora un elemento carente. Perché? L’occidente punta molto al concetto di trasparenza inteso come sviluppo delle autorità di vigilanza indipendenti. Ma questa visione contrasta con l’idea cinese di un controllo macroeconomico accentrato, una caratteristica, quest’ultima, che ha avuto, per altro, un ruolo chiave nel successo del Paese. Per questo Pechino procede su questo fronte con molta cautela. È una sfida complicata. Come si risolverà? occorre capire quanto la Cina sarà in grado di resistere alle pressioni delle altre economie avanzate che puntano a una riduzione del peso del governo nell’economia. Personalmente, ritengo che si arriverà a un compromesso. Ma questo non significa che as-
Raffaele Marchetti docente di Relazioni Internazionali presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma
sisteremo a una trasformazione completa verso un modello tipicamente “occidentale”. Con l’eccezione del presidente e del premier, la Cina sostituirà tutti i membri del Politburo nel 2017. Cambierà qualcosa sul fronte delle riforme? Non mi aspetto una grande svolta. L’autorità di Xi Jinping resta molto salda. Per questo è assai probabile che al momento del ricambio saranno selezionate persone in linea con l’orientamento dell’attuale leadership. allo stato attuale, il governo cinese è sufficientemente forte. Per questo può permettersi di non scendere a patti con nessuno. [M.Cav.] ✱ valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
nuovi equilibri economici internazionale
difficoltà attualmente incontrate dai Paesi emergenti rappresentano un problema per «le grandi economie industriali – Stati Uniti, Europa e Giappone – che chiedono un maggiore sostegno alla domanda di questi ultimi». Ma il problema, rileva ancora il docente, è che «le economie emergenti non possono essere spinte a fare investimenti in valute che risultino loro eccessivamente “pesanti”». Un’impasse – evidente in particolare nel mercato energetico in cui il dollaro è ampiamente egemone – risolvibile soltanto attraverso un nuovo “ordine” valutario che passi attraverso la riduzione del peso della moneta americana a livello internazionale (l’idea – «volendo fantasticare, ma neanche troppo» – di una valuta internazionale legata ai DSP spendibile nel comparto dell’energia e delle materie prime) in linea con quell’idea originaria di un FMI “meno statunitense” e più “internazionale” che Pechino, come noto, sostiene da sempre. È proprio per queste ragioni, in definitiva, che la mossa del Fondo può essere interpretata come un successo della Cina e della sua visione del mondo. Una vittoria “culturale” che non sembra sminuita da quelle richieste di apertura al mercato in senso occidentale che la futura prima economia del Pianeta dovrà, in parte – e la precisazione è d’obbligo – soddisfare. «La pressione alle riforme cui è sottoposta oggi la Cina non rallenta in ogni caso quel processo di transizione dell’economia mondiale verso un equilibrio multi-currency» sottolinea Raffaele Marchetti. «Lo yuan avrà un ruolo sempre maggiore nelle riserve valutarie di molti Paesi e sarà protagonista di una quota crescente del commercio e delle transazioni finanziarie. La capitalizzazione delle borse cinesi, inoltre, è destinata ad aumentare». Tutti aspetti, questi ultimi, che impongono necessariamente la ricerca di un equilibrio sostanziale. «Negli ultimi decenni il mercato dei capitali è cresciuto enormemente» aggiunge Conte. «Se non si riesce a stabilizzarlo c’è il rischio che l’opinione pubblica finisca per premere per un eccessivo controllo dei flussi attraverso politiche restrittive e nazionaliste. Uno scenario che il Fondo Monetario vuole evitare». ✱ valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
FMI: COME CAMBIA LA COMPOSIZIONE DEL PANIERE
FONTE: IMF, INTERNATIONAL MONETARY FUND (HTTP://WWW.IMF.ORG/EXTERNAL/NP/EXR/FACTS/SDR.HTM)
9,40%
10,92% 8,09% 元
£ £
¥ $
¥
2010 €
37,40% 11,30%
2016
$
€
41,90%
30,93%
41,73%
8,33%
NUOVA SVALUTAZIONE ALL’ORIZZONTE? SULLA MONETA CINESE C’È ANCORA INCERTEZZA
«La Cina non ha alcuna intenzione di svalutare o di avviare una politica di svalutazione». Lo ha dichiarato il vice presidente cinese Li Yuanchao, intervistato lo scorso 21 gennaio da Bloomberg News. Un’affermazione, pronunciata a margine del World Economic Forum di Davos, che suona come una risposta esplicita alle perplessità sollevate da ben bernanke, ex governatore della Federal Reserve degli Stati Uniti che, nei giorni precedenti, non aveva mancato di esprimere le proprie preoccupazioni in merito. «Contrariamente al solito la banca centrale cinese non è stata trasparente» aveva dichiarato l’economista statunitense, agitando lo spettro di una mossa forte da parte delle autorità di Pechino sulla falsariga della svalutazione dello scorso agosto. L’ipotesi, come detto, è stata smentita. Ma non tutti sembrano essere convinti. Tra gli scettici, c’è da giurarlo, non mancherà il gestore del fondo hedge Corriente Advisors, Mark Hart, già noto alle cronache finanziarie per aver previsto la crisi dei mutui subprime. intervistato dell’emittente real Vision TV, Hart ha sostenuto che il processo di deprezzamento valutario sarebbe in realtà appena all’inizio. Pechino, ha spiegato il gestore, dovrebbe svalutare lo yuan di oltre 50 punti percentuali per ricondurlo all’equilibrio. L’ipotesi, insomma, è che la Cina scelga la strada di una maxi svalutazione con l’obiettivo di favorire le esportazioni rilanciando la crescita e frenando il sempre più preoccupante deflusso di capitali (meno 676 miliardi nel 2015 secondo le stime dell’Institute of International Finance). Ma questa strategia, in realtà, non sarebbe di certo esente da rischi. a evidenziarlo, in particolare, l’Economist, secondo il quale un ulteriore indebolimento dello yuan rispetto al dollaro potrebbe aprire la strada a un preoccupante circolo vizioso. i debiti accumulati in Cina e denominati in dollari, ha ricordato il settimanale britannico, valgono circa 1 trilione di biglietti verdi, ovvero 1/28 dell’ammontare totale delle pendenze pubbliche e private del Paese (28mila miliardi). in termini relativi sembra poca cosa, «ma dal momento che le imprese cinesi sono soggette a un elevato livello di leva (vale a dire a un elevato indebitamento, ndr), anche un lieve rialzo dei costi di gestione dei debiti denominati in dollari potrebbero spingere alcune di queste alla dismissione degli asset o alla bancarotta». il che, ovviamente, «favorirebbe maggiori deflussi di capitale deprezzando ulteriormente lo yuan». 47
internazionale grandi opere oltreoceano
La lotta alle dighe risveglia il Cile di Emanuele Isonio
Enel e altri big dell’energia da anni cercano di sfruttare i bacini idrici della Patagonia. Contro di loro si è però compattata la società civile. Che alla presidente Bachelet chiede di cambiare la Costituzione di Pinochet
rmai somiglia a una partita di tennis la vicenda che contrappone la società civile cilena e le aziende che sognano di costruire nel Paese latinoamericano una imponente rete di dighe per lo sfruttamento dell’energia idroelettrica. Terreno di gioco, la Patagonia, che con i suoi numerosi corsi d’acqua ha scatenato le mire dei big dell’energia. La storia, nonostante i 12mila chilometri di distanza, ci interessa da vicino: tra i protagonisti principali c’è infatti Endesa Chile, la più grande utility elettrica del Paese, società controllata da Enel.
IL LIBRO
L'ACQUA LIBERATA di Elvira Corona Emi, 2015
O
I TOMPKINS, DUE MECENATI ANTISPECULAZIONE
Chiamatelo, se volete, pragmatismo ma probabilmente se non fossero stati accettati i loro soldi, la protesta che ha portato alla clamorosa vittoria contro il megaprogetto HidroAysén non avrebbe avuto la stessa capacità di penetrazione. C’è chi ha storto il naso, ma tra i maggiori finanziatori del movimento Patagonia sin represas c’è una coppia di magnati statunitensi: Douglas e Kristine Tompkins. Lui, scomparso a inizio dicembre in un incidente in kayak, fondatore della casa d’abbigliamento sportivo The North Face. Lei per vent’anni amministratore delegato della sua concorrente diretta, l’altrettanto famosa Patagonia. il loro impegno ambientalista li ha portati, a partire dal 1991, ad acquistare terreni nella provincia di Palena, al confine tra Cile e argentina, per sottrarli al rischio di speculazione. Nel 2005 è stato così ufficialmente inaugurato il Parque Pumalín: 3.250 chilometri quadrati, la più grande riserva naturale privata del Paese latinoamericano.
L’ultimo punto a favore l’hanno segnato gli oppositori: il 29 dicembre, Endesa ha deciso di ritirare lo studio di impatto ambientale per l’impianto da 490 megawatt che sarebbe dovuto sorgere a Neltume, nel sud del Paese. Il progetto, già modificato nel 2010, sarà di nuovo ridisegnato – assicura Endesa – per venire incontro alle preoccupazioni della comunità locale, a partire da quella Mapuche. Che sia sufficiente a farli gioire è improbabile visto che il no alle megadighe è radicale. Lo aveva chiarito già cinque anni fa Jorge Hueque, rappresentante dei Mapuche, intervenuto all'assemblea degli azionisti di Enel nel 2011, grazie alla Fondazione Banca Etica: la diga di Neltume sommergerebbe terreni agricoli, alterando per sempre un ecosistema nel quale coesistono circa 150 comunità indigene e migliaia di ettari di boschi dichiarati riserva biologica dall’Unesco. Molto meglio investire sulle fonti rinnovabili non convenzionali (vedi INFOGRAFICA ).
RIVOLUZIONARE LA CARTA Una vittoria importante, ma non la prima. Il successo più clamoroso risale a due anni fa quando la presidente Michelle Bachelet, tornata al governo dopo il mandato del conservatore Sebastian Piñera, bloccò il progetto HidroAysén (coinvolta, di nuovo, En-
IL MIX ALTERNATIVO PROPOSTO DAGLI OPPOSITORI
Energia potenziale ottenibile nel territorio cileno dalle energie rinnovabili non convenzionali
GEOTERMIA
16.000 MW
FONTE: UNIVERSIDAD DE CHILE, 2006
48
PICCOLE E MEDIE IMPRESE PASSAGGIO CENTRALE
33.000 MW
FONTE: ACERA A.G., 2006
ENERGIA DALLE MAREE
161.900 MW
FONTE: GERALD HASSAN, 2009 BID/CNE
FOTOVOLTAICO
937.000 MW
FONTE: UNIVERSIDAD DE CHILE, 2006
EOLICO
40.000 MW FONTE: UTFSM, 2008
BIOMASSA
6.985 GWh/anno FONTE: SOLO RESIDUOS FORESTALES
valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
grandi opere oltreoceano internazionale
desa, insieme alla cilena Colbun della potente famiglia Matte, il cui capostipite Eliodoro fu ministro della Salute durante gli anni della dittatura di Pinochet). Un piano da 3 miliardi di dollari e cinque centrali lungo i fiumi Baker e Pascua per produrre 2750 MW di energia e 2.300 chilometri di rete elettrica da realizzare attraverso 4 parchi, 8 riserve forestali, 16 aree per la tutela della biodiversità e 3 zone turistiche. In quell’occasione, determinante fu il movimento Patagonia sin represas nel quale confluirono decine di sigle sindacali, ambientaliste e studentesche. Talmente compatte (e, a dirla tutta, ben finanziate, grazie a soldi arrivati anche da mecenati a stelle e strisce, vedi BOX ) da riuscire a convincere Bachelet, che pure, ricorda a Valori Elvira Corona, autrice del libro L’acqua liberata, «durante il suo primo mandato (tra il 2006 e 2010, ndr) aveva appoggiato il piano delle 5 dighe». Ma nonostante i punti fatti segnare in questi due casi, i tentativi della lobby energetica non si esauriscono. Anzi, «sono molti i progetti ancora in piedi» ricorda Corona. E in alcuni casi l’obiettivo è vicino: «come per la Diga sul Rio Cuervo, portato avanti dalla Energia Austral (formata dalla svizzera Glencore e dall’australiana Origin)». Ecco perché tra la società civile cilena si è ormai diffusa una convinzione: gli appetiti delle multinazionali non potranno essere fermati senza un cambio complessivo della Carta costituzionale introdotta da Pinochet nel 1980 e tuttora in vigore. «Un testo – spiega Corona – che rende legale ogni tentativo di accaparramento dei beni comuni». E dà copertura a molte successive norme, come il “Codice delle acque” dell’anno successivo
I PROGETTI CONTESTATI [ENDESA CHILE]
PROGETTO HIDROAYSÉN
BAKER 1 BAKER 2 PASCUA 2.2
PASCUA 2.1 PASCUA 1
DIGA NELTUME [ENDESA CHILE]
La California ricorderà il 2015 come l'anno più arido da almeno 119 anni. Nestlé, nel frattempo, continuerà a contare i soldi che riesce a incassare dall'acqua estratta ogni giorno dalle falde dello Stato americano, nonostante abbia un permesso scaduto 27 anni fa. Le devalori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
[ENERGIA AUSTRAL]
che ha dato il via alla gara tra fondi d’investimento, banche e industrie per conquistare i certificati di proprietà sull’acqua dei fiumi. Enel si piazzò in ottima posizione e detiene tutt’oggi l’81% dei diritti. Una situazione che i manifestanti sperano di riuscire a cambiare presto, anche sfruttando alcuni loro rappresentanti eletti in Parlamento in seno alla composita maggioranza che sostiene Bachelet. ✱
E IN CALIFORNIA È GUERRA CONTRO L'ACQUA NESTLÉ La multinazionale paga 524 dollari per estrarre ogni anno 25 milioni di galloni da una foresta protetta. E il suo permesso è scaduto nel 1988
DIGA CENTRAL CUERVO
nunce arrivano da numerose associazioni ambientaliste. Che non si scagliano solo contro il colosso mondiale ma accusano anche lo US Forest Service, l'agenzia federale che ha permesso alla Nestlé Waters di attingere acqua tra le montagne di San bernardino per tutto questo tempo. La giustificazione dell'agenzia è nella mole di lavoro arretrato: parla di 2.500 permessi scaduti da gestire (1.200 solo per l'uso delle risorse idriche). La multinazionale statunitense ci ha però messo del suo: nonostante i movimenti di pro-
testa, ha aumentato le estrazioni dalle sorgenti naturali collocate in un'area naturale protetta di 2700 chilometri quadrati per imbottigliare la sua Arrowhead 100% Mountain Spring Water (tra l’altro le arrowhead Springs che danno il nome al marchio si trovano lontane 800 miglia, in Wyoming). Quanta acqua è stata estratta lo rivela la stessa Nestlé: 25 milioni di galloni (95 milioni di litri) nel 2014. Ciò che non dice è il prezzo pagato per estrarla: 524 dollari di concessione. il colosso Usa si limita a ricordare che «è dal 19esimo secolo che la sua società arrowhead ha diritti di estrazione e li ha sempre usati. e in California i diritti “pre-1914” sono, per legge, tuttora diritti validi». [Em.Is.] ✱ 49
internazionale lotta alla fame
Povertà estrema uscirne costa poco Un mix di aiuti diretti per qualche mese, corsi di formazione e cure sanitarie: così il programma Graduation ha permesso di aumentare il livello di vita di 10mila famiglie in cinque Stati. E gli esiti sono duraturi
di Emanuele Isonio
Q
ualche analista indipendente già parla di «arco di volta per il futuro delle strategie contro la povertà estrema». Al di là dei facili entusiasmi, ci sono molti aspetti interessanti nei risultati del programma Graduation che la rivista Science ha pubblicato qualche mese fa: l’iniziativa era nata nel 2007 per verificare le conseguenze di un intervento una tantum nella vita delle persone più povere, che vivono con 1,25 dollari al giorno e rappresentano il 20% della popolazione mondiale. Il progetto pilota è durato sette anni e ha coinvolto 10.495 famiglie rurali in sei Stati: Etiopia, Ghana, India, Pakistan, Perù e Honduras. Ad eccezione del-
SOLDI SPESI BENE (QUASI OVUNQUE) L'investimento medio per famiglia e il suo ritorno economico nei sei Stati del progetto Graduation FONTE: SCIENCE
PAKISTAN ↸ $ 864 + 179%
HONDURAS ↸ $ 1.335 -198%
GHANA ↸ $ 1.777 + 133%
PERÙ
↸ $ 2.604 + 146%
↸ Costo medio per famiglia Ritorni sugli investimenti 50
ETIOPIA ↸ $ 884 + 260%
INDIA
↸ $ 330 + 433%
l’ultimo Stato, gli esiti, verificati a un anno di distanza dalla fine del sostegno, sono stati tutti positivi: in cinque casi su sei infatti i nuclei familiari inseriti in Graduation erano ancora fuori dalla povertà estrema. E per di più, il ritorno economico dell’investimento è stato sempre rilevante (vedi MAPPA ): da un minimo del 133% nel caso del Ghana fino al massimo del 433% nel caso dell’India, Paese che ha deciso di ripetere il programma ampliando il numero dei soggetti coinvolti. A risultare in crescita non sono stati solo i bilanci economici ma anche altri indicatori utili ad aumentare il benessere complessivo: livello dei consumi, sicurezza alimentare, inclusione finanziaria, salute fisica e mentale, coinvolgimento politico e ruolo femminile nelle decisioni. Alla base del successo, un mix di aiuti diretti e di investimenti in formazione che, in termini economici, oscillava tra 451 e 1.228 dollari: alle famiglie sono stati forniti alcuni animali da utilizzare come beni produttivi dai quali era possibile ricavare un reddito. Inoltre sono stati erogati sostegni tra 26 e 71 dollari al mese per un anno e sono stati organizzati corsi di formazione tecnica che hanno insegnato agli adulti a gestire i beni ottenuti. Allo stesso tempo, sono state garantite le cure mediche di base che potesse metterli al riparo da malattie invalidanti, seguite da lezioni di educazione sanitaria. In più, un tutor a domicilio aiutava nella gestione delle proprie attività. E il fallimento dell’esperimento in Honduras? A quanto pare non erano stati scelti bene gli animali da donare alle famiglie: le galline sono infatti morte ben presto di malattia. ✱ valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
la lungimiranza di un mito internazionale
Il tempismo del “Duca Bianco” I
mprenditore di enorme successo e operatore finanziario di rara scaltrezza. Può apparire di cattivo gusto, forse blasfemo, celebrare in questi termini David Bowie, scomparso lo scorso 10 gennaio all’età di 69 anni. Ma la nostra scelta, chiariamo da subito, è dettata dalle migliori intenzioni. Perché il successo economico dell’artista britannico, quantificato in 239 milioni di dollari di patrimonio netto secondo la stima della rivista Fortune, non è solo figlia della qualità (immensa) della sua opera. Ma anche – ed questo ciò che ci preme ricordare – l’effetto di una capacità innata di prevedere gli scenari futuri dell’industria musicale globale.
THE MAN WHO SOLD THE... BOND Lo evidenzia, in particolare, l’epopea dei sorprendenti Bowie bonds, avviata grazie all’incontro decisivo con il banchiere David Pullman. Visionario anch’egli, e dotato di una certa passione per la musica, il finanziere ipotizzava che i profitti futuri derivanti dalla vendita dei dischi potessero essere trasformati nella garanzia di obbligazioni immediatamente collocabili sul mercato. Ovvero, per dirla in termini tecnici, nel sottostante di una vera e propria asset-backed security. È il principio base della cartolarizzazione: usare un derivato per convertire un flusso di cassa futuro in liquidità presente. Proprio ciò che fece Bowie. Nel 1997, il cantautore firmò un accordo con il colosso discografico EMI garantendo a quest’ultimo il diritto di ripubblicare gli album realizzati tra il 1969 e il 1990. In circostanze normali, le relative royalties sarebbero state incassate progressivamente in base alle vendite, ma Bowie, ovviamente, giocò d’anticipo. Acquistati dalla società di assicurazione Prudential Insurance, i bond decennali garantirono all’artista un ricavo immediato di 55 milioni di dollari. Gli investitori, da parte loro, avrebbero incassato un interesse del 7,9% (1,6 punti percentuali in più rispetto al rendimento garantito all’epoca dai titoli valori / ANNO 16 N. 135 / febbraio 2016
di Stato Usa a 10 anni) scommettendo sul successo perpetuo di capolavori come Heroes, Low, The Man Who Sold The World o Let’s Dance. Ma perché tanta fretta di incassare? La spiegazione arrivò nel giugno del 2002: in un’intervista al New York Times, lo stesso Bowie predisse l’imminente fine del vecchio concetto di copyright. “La musica sta per diventare come l’acqua corrente o l’elettricità” dichiarò. “Si tratta di approfittare di questi ultimi anni”. Una sentenza, che i numeri avrebbero confermato in pieno. L’anno successivo, le vendite dei dischi su scala globale iniziarono a calare: l’inizio di una crisi inarrestabile (vedi GRAFICO ). Le agenzie di rating intuirono il problema e lanciarono l’allarme: nel 2004 i Bowie bonds furono declassati al livello delle obbligazioni spazzatura ma non andarono mai in default. Un lieto fine che premiava la prontezza, per così dire, di collocatori e investitori, capaci, ha ricordato il Wall Street Journal, di agire all’alba della “crescente fascinazione della Borsa per i prodotti finanziari esotici, ma anche prima che le vendite dei dischi fossero schiantate da Napster & Co”. Un’operazione, per dirla con il quotidiano statunitense, caratterizzata da “un tempismo perfetto”. ✱
di Matteo Cavallito
L’avventura di David Bowie a Wall Street. Ovvero, come l’artista britannico intuì prima degli altri il destino dell’industria musicale
I RICAVI DELL’INDUSTRIA MUSICALE GLOBALE 2004-14 (ALBUM VENDUTI)
FONTI: INTERNATIONAL FEDERATION OF THE PHONOGRAPHIC INDUSTRY (WWW.IFPI.ORG) IN STATISTA (WWW.STATISTA.COM), “MUSIC INDUSTRY REVENUE WORLDWIDE FROM 2002 TO 2014, BY SECTOR” (ACCESSO A GENNAIO 2016); TELEGRAPH, “DIGITAL MUSIC REVENUES OVERTAKE PHYSICAL SALES FOR THE FIRST TIME”, 14 APRILE 2015; NOSTRE ELABORAZIONI. DATI IN MILIARDI DI DOLLARI.
30 25 20 15 10 5 0
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 Supporti
Digitale
Totale 51
giganten
Adidas
Il colosso risorge e batte gli hedge di Mauro Meggiolaro
Una posa storica di David Bowie negli anni ’70 mentre indossa le altrettanto storiche Stan Smith, modello di scarpe intitolate da Adidas a una star del tennis Usa.
erano una volta i fratelli Rudolf e Adolf Dassler. Nati a cavallo tra Ottocento e Novecento ad Herzogenaurach, cittadina bavarese di 20mila abitanti, iniziano a produrre scarpe sportive all’inizio degli anni '20. Dopo la guerra, i fratelli si separano: Rudolf fonda Puma nel 1948 mentre nel 1949 Adolf si inventa il marchio Adidas unendo il nomignolo Adi con l’inizio del suo cognome. Le due società si fanno una concorrenza spietata per anni ma continuano a risiedere a Herzogenaurach, dove si trovano ancora oggi, lontano dai riflettori del jet set sportivo internazionale. La sfida la vince Adidas, che oggi impiega oltre 53mila lavoratori con un fatturato (2014) di 14,5 miliardi di euro ed è il secondo produttore di articoli sportivi al mondo dopo Nike. Mentre Puma si ferma al terzo posto ma è cinque volte più piccola dell’antico rivale. L’azionariato di Adidas è diffuso mentre Puma è saldamente in mano (74%) alla holding Kering di François Pinault.
C’
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La premessa storica è d’obbligo perché nell’Adidas di oggi scorre ancora un sangue profondamente provinciale che gli avvoltoi, le cavallette, gli squali e le altre belve feroci del bestiario finanziario internazionale odiano come la peste. Nel settembre del 2014 un gruppo di fondi hedge, preoccupati per il rendimento anemico delle azioni Adidas, aveva annunciato un duro attacco alla società. Volevano comprare azioni sul mercato e chiedere le dimissioni immediate del CEO Herbert Hainer, la vendita del marchio Reebok (rilevato da Adidas nel 2005) e di TaylorMade (accessori per il golf), entrambi in grosse difficoltà. «Serve una svolta radicale», avevano tuonato gli hedge. Adidas allora navigava in cattive acque soprattutto negli Stati Uniti, dove il secondo posto le era stato soffiato dal concorrente americano Under Armour. Gli Usa sono una brutta bestia per i giganti dell’economia tedesca. Non a caso è proprio lì che Volkswagen ha sbattuto la testa. Un mercato troppo veloce, sempre alla rincorsa di nuovi modelli e tendenze, che manda in crisi la flemma dei teutonici, riflessivi e conservatori. All’annuncio degli hedge il titolo era subito salito del 4%. Una fiammata, spenta dai risultati deludenti della trimestrale. Adidas, però, ha continuato a fare di testa sua. Ha annunciato la ricerca di un successore per Hainer (anche lui figlio della “Bavaria felix”, in sella da 15 anni) ma ha dichiarato che rimarrà fino alla scadenza del mandato, nel 2017. E si è tenuta ben strette sia Reebok sia TaylorMade. Nel frattempo in Adidas sono entrati altri investitori di peso, come l’americano Mason Hawkins, il belga Albert Frère e il miliardario egiziano Nassef Sawiris (fratello del Naguib noto in Italia per l’acquisizione di Wind). Intanto, nel 2015, il titolo Adidas è salito di oltre il 60%, il migliore tra i trenta componenti dell’indice della Borsa tedesca DAX, il marchio si è ripreso negli Stati Uniti e continua a far segnare vendite record in Cina. Il gigante dello sport ha premuto sull’acceleratore del marketing, che vale oggi il 14% del fatturato contro l’11% medio della concorrenza. E ha spinto sugli sport nordamericani come hockey e football. Nel 2016, con le Olimpiadi e gli europei di calcio, la crescita è destinata a continuare. «I nuovi investitori non ci stanno facendo alcuna pressione», ha dichiarato il responsabile finanziario di Adidas, Robin Stalker, a fine anno. E si guardano ben dal farlo. Il gigante si è risvegliato ma non tollera che si disturbi la quiete del villaggio. ✱ valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
la bacheca di valori ?? internazionale
NEWS
Alaska, petrolio basso fa tornare tasse sui redditi?
LA CRISI NON FA BENE AI BAMBINI
Tasso di povertà fra i minori e variazione % nel quadriennio 2008-2012 FONTE: UNICEF
Per ora è un'ipotesi messa sul tavolo del governatore Bill Walker (ex repubblicano), ma la sola possibilità segna una svolta storica: il ribasso del prezzo del petrolio potrebbe costringere l'Alaska a far versare le imposte sul reddito ai propri cittadini per la prima volta dopo 35 anni. Finora, gli introiti dell'industria petrolifera locale sono stati sufficienti sia a coprire il budget statale sia a garantire un dividendo annuale alla cittadinanza, fruitrice di uno dei rari esempi di reddito universale garantito al mondo (vedi Valori n.130). Ma il valore del barile di greggio, allo stato attuale, copre appena un terzo dei 5,2 miliardi di dollari del bilancio statale. L’idea è quindi di introdurre una tassa sul reddito del 6%.
VALORITECA SPUNTI DA NON PERDERE NEL MESE APPENA TRASCORSO
I MIGLIORI TWEET DEL MESE #ONU: "Attacchi sproporzionati" dei sauditi sui civili in #Yemen. [A cui Italia invia bombe] 22 dicembre 2015 Giorgio Beretta @beretta_g
INNALZAMENTO DEI MARI: LE CITTÀ PIÙ A RISCHIO Percentuale di popolazione colpita dalla crescita del livello del mare in alcuni agglomerati urbani con più di 10 milioni di abitanti FONTE: CLIMATE CENTRAL
Narco state rolls on: "Mayor of Mexican city killed only one day after taking office"
[Narcostato impaziente: “Sindaco di una città messicana uccisa il giorno dopo aver assunto l'incarico”] 2 gennaio francesca fiorentini @franifio
Only 10% of migrants have bought a home in the places they have moved to, according to the World Bank. [Solo il 10% dei migranti ha comprato casa nei luoghi in cui sono giunti, secondo Banca Mondiale] 3 gennaio Fuad Alakbarov @DrAlakbarov
As President, I will reverse Obama's unconstitutional gun rules on day one.
LEADERSHIP IN ROSA
Anni di governo a guida femminile dal 1964 al 2014 FONTE: PEW RESEARCH CENTER
[Se eletto presidente, il primo giorno ribalterò le incostituzionali regole di Obama sulle armi] 5 gennaio Marco Rubio @marcorubio
The gun lobby may be holding Congress hostage, but they can't hold America hostage. We can't accept this carnage in our communities.
[La lobby delle armi può forse tenere in ostaggio il Congresso, ma non può tenere in ostaggio l'America. Non possiamo accettare questa carneficina nelle nostre comunità] 5 gennaio President Obama @POTUS
valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
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bancor
I tragici errori dell’Occidente
Una Terra troppo Promessa dal cuore della City Luca Martino
(IZEIN ALRIFAI/AFP/GIMAGES)
leppo, Tikrit, Mosul, Homs, Bassora: oggi cumuli di macerie, un tempo, sulle orme delle civiltà mesopotamiche e della via della seta, metropoli floride. Tra quelle lande aride nei secoli si sono diffuse le varie branche dell’Islam, un mondo grandemente articolato e complesso che l’Occidente non musulmano rappresenta spesso in maniera sbagliata e stereotipata: eppure anche la chiesa di Roma ha avuto i suoi scismi. È quindi alla storia antica e a quella più recente che si deve guardare per orientarsi nel labirinto medio-orientale. I nomi stessi di molte tra le odierne milizie rievocano il passato: le Brigate dei Martiri di Yarmouk si rifanno alla battaglia dell’anno 636 tra l’Impero Bizantino e il califfato dei Rashidun; i Leoni di Al-Rahman ricordano il condottiero berbero che arrivò fino a Poitiers prima di arrendersi a Carlo Martello; le Brigate di Al-Mukhtar onorano l’imam Senussi, impiccato durante l’occupazione italiana in Libia. Le terre dell’Islam sono da sempre strategiche nei rapporti tra Occidente e Oriente, e lo sono ancor di più dalla scoperta delle immense riserve fossili di inizio secolo scorso. Nel 1915, per guadagnarsi il favore degli Arabi contro l’Impero ottomano, gli Inglesi si impegnarono all’indipendenza di quelle terre, il colonnello Lawrence guidava truppe di beduini in Palestina, e da Londra arrivò addirittura l’idea di un vessillo simbolo per la rivolta pan-araba, che ispirò in seguito le bandiere di tutti gli Stati della regione. In quegli anni, la Germania si affidava alle limitate doti diplomatiche di un modesto professore di lingue semitiche, Crut Prufer, e all’eccentrico Max von Oppenheim, che incitava invece gli Arabi alla guerra santa contro gli Inglesi, mentre gli Americani già pensavano al petrolio con
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lo sconosciuto impiegato della Standard Oil, William Yale, che divenne poi l’unico uomo dell’intelligence americana in Medio Oriente. Dopo pochi mesi però, nella primavera del 1916, la Gran Bretagna cambiò verso e si accordò segretamente con i Francesi: il colonnello Sykes e il commissario François Picot decidono perché Siria, Libano e Cilicia vadano ai Francesi, mentre Transgiordania, Palestina e Iraq rimangano agli Inglesi. Ma, appena un anno dopo, Lord Balfour dichiarò di vedere con grande favore la creazione in quelle stesse terre di una nazione ebraica, tradendo Arabi e Palestinesi una seconda volta. La lettera di Balfour ai banchieri della Rothschild fu subito di dominio pubblico, mentre l’accordo tra Sykes e Picot venne scoperto negli archivi russi solo dopo la Rivoluzione d’Ottobre e oggi, un secolo dopo, l’ostilità del mondo arabo verso l’Occidente è dovuta in gran parte a quell’accordo: in un sermone alla moschea di Mosul del 2014, il leader del Daesh Al-Baghdadi esortava alla jihad fino a che «non verrà messo l’ultimo chiodo nella tomba del complotto di Sykes-Picot». L’ex ministro di Tony Blair, Jack Straw, già nel 2003, affermava che «molti dei problemi che abbiamo davanti sono una conseguenza del nostro passato coloniale». Oggi, operarsi per un ritorno a quelli che George Wells definiva confini naturali delle comunità, appare ancora più complicato. Molti sciagurati errori da parte delle potenze occidentali hanno infatti causato altri effetti rovinosi: il sostegno al progetto di una monarchia saudita che unificasse la penisola araba e controllasse per conto dell’Inghilterra la via marittima Suez-Aden-Bombay; l’ostruzionismo a qualsiasi movimento, anche i più laici e riformatori, all’interno della Fratellanza Musulmana e del Partito Bath; l’uso strumentale dei movimenti islamisti più fanatici, che non terminò con il ritiro dell’Armata Rossa dall’Afghanistan ma continuò con il sostegno al separatismo bosniaco e kosovaro e l’assistenza ai fondamentalisti in Asia centrale e nella stessa Siria. Un discorso a parte merita poi l’ostinata riserva ad abbandonare l’impero coloniale da parte della Francia, non a caso colpita oggi più di altri dal terrore jihadista, che trascinò l’Algeria in una guerra civile fino al 1962. La tragica verità è che il colonialismo occidentale ha una responsabilità enorme nella fine del risorgimento arabo e nell’aver portato (pochi) musulmani a tradire il loro stesso credo: «Chiunque uccida un uomo sarà come se avesse ucciso l’umanità intera» (Corano 5:32). ✱ todebate@gmail.com valori / ANNO 16 N. 135 / FEBBRAIO 2016
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