Cooperativa Editoriale Etica
Anno 15 numero 134 dicembre ’15 - gennaio ’16
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ANCHE LE AUTO NELL’INCUBO DERIVATI
finanza etica
BIODIVERSITà: ECCO I CONTRATTI PER CHI NE FRUISCE
economia solidale
MISURE DI PROGRESSO: LA GRAN BRETAGNA PERDE 3 A 2
internazionale
Dieta tedesca
9 788899 095147
ISBN 978-88-99095-14-7
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, NE/VR.
VALENTIN TOSCHNER
Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
Il vero volto del Paese-traino dell’Europa: banche in crisi, infrastrutture datate, industria in affanno, consumi interni al palo. Il caso Volkswagen è solo la punta di un iceberg che dovrebbe preoccupare l’intero continente
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valori / ANNO 15 N. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
editoriale
UN MODELLO NON RIPETIBILE di Heiner Flassbeck*
L’AUTORE
HEINER FLASSBECK
(1950) è un economista tedesco. Dal 1998 al 1999 è stato sottosegretario dell’allora ministro delle Finanze, Oskar Lafontaine (primo governo Schröder). Dal 2003 al 2012 è stato capo economista dell’UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo) a Ginevra. Opinionista critico su temi economici e finanziari, ha all’attivo quindici pubblicazioni in tedesco e due in inglese, tra cui il libro “Against the Troika: Crisis and Austerity in the Eurozone” (Contro la Troika: Crisi e austerità nella zona Euro), pubblicato nel 2015 assieme al professore greco Costas Lapavitsas. Si possono leggere i suoi contributi (anche in inglese) sul blog flassbeck-economics.de
I
l problema principale del modello economico tedesco e dei suoi impatti sul resto d’Europa è che si tratta di un modello non ripetibile. Si basa sul cosiddetto principio del “beggar thy neighbour” (“metti sul lastrico il tuo vicino”): in Germania con la riforma Schröder e l’agenda 2010 si è puntato sulla moderazione salariale e quindi i salari non sono saliti di pari passo con la produttività, come invece è successo in Francia. Negli ultimi 15 anni la Germania ha potuto approfittare di salari in proporzione più bassi rispetto al resto d’Europa e questo ha permesso al Paese di costruire un modello economico incentrato sulle esportazioni grazie a un vantaggio competitivo, basato sul costo del lavoro, che è diventato uno svantaggio per gli altri Stati. La Germania si trova poi ad essere il maggiore creditore in Europa e, in un periodo di crisi, il creditore vince sempre perché può fornire liquidità a prezzi ragionevoli a chi non ha risorse e troverebbe troppo costoso reperirle sul mercato. Il problema, in realtà, è strutturale e riguarda l’intera costruzione dell’Euro che si basa sulla fiducia cieca nel monetarismo. Quando si è dato il via alla moneta unica si è pensato che con la sola leva dell’offerta di moneta si sarebbe riusciti a tenere l’inflazione intorno al 2%, l’obiettivo che la zona Euro si è posta. Alla fine degli anni Novanta, quando ero sottosegretario del ministro delle Finanze Oskar Lafontaine nel governo Schröder, abbiamo cercato in tutti i modi di convincere le nostre controparti italiane e francesi che si sarebbe dovuto puntare anche sui salari. Ma non siamo stati ascoltati. Oggi nessuno, nemmeno il presidente della Bce Mario Draghi, crede più che l’offerta di moneta possa essere sufficiente per regolare l’inflazione ma è troppo tardi per fare un passo indietro. Eppure l’equazione sarebbe sem-
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plice: per mantenere l’inflazione intorno al 2% sarebbe necessario che i salari salissero sempre del 2% in più rispetto alla crescita della produttività. In Germania non è successo, anzi, è successo il contrario e il livello dei salari è oggi troppo basso rispetto alla produttività. Per colmare il divario che si è creato, la Germania dovrebbe alzare ogni anno del 5% il livello dei salari per i prossimi dieci anni. Ma questo non succederà. Gli stessi sindacati si oppongono perché temono che si perdano posti di lavoro. È chiaro che si perderebbero posti di lavoro, soprattutto nelle grandi imprese automobilistiche, che si reggono sulle esportazioni. Ma si creerebbero nuovi posti in altri comparti, per esempio nella produzione di beni di consumo orientati al mercato interno, dove i consumi sono stagnanti da oltre dieci anni a causa della moderazione salariale. Se non sarà corretto questo modello economico “germanocentrico” nel quale la Germania danneggia i suoi vicini, in Europa continueranno ad assumere sempre più peso i movimenti di destra radicale o populisti. Quando l’economia non riparte, nemmeno con i tassi d’interesse negativi, devono intervenire gli Stati, la Germania in primis. Ma finché Wolfgang Schäuble sarà ministro delle Finanze, in Germania non si muoverà nulla. Dovremo aspettare fino alla fine del 2017 con l’insediamento di un nuovo governo a Berlino. Nel frattempo, però, anche Italia e Francia dovrebbero fare la loro parte. Matteo Renzi e François Hollande sono stati troppo timidi e non si sono mai veramente opposti alle politiche del governo Merkel o l’hanno fatto solo in modo marginale durante l’ultima crisi greca. La colpa, alla fine, è anche loro. ✱ * traduzione e adattamento di Mauro Meggiolaro 3
sommario
dicembre 2015-gennaio 2016 mensile www.valori.it anno 15 numero 134 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 ROC. n° 13562 del 18/03/2006 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica soci Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, First Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, First Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina della Cooperazione, Circom soc. coop. consiglio di amministrazione Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Maurizio Gemelli, Emanuele Patti, Marco Piccolo, Sergio Slavazza, Fabio Silva (presidente@valori.it). direzione generale Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci Mario Caizzone, Danilo Guberti, Giuseppe Chiacchio (presidente) direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) caporedattore vicario Emanuele Isonio (isonio@valori.it) redazione Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano (redazione@valori.it) hanno collaborato a questo numero Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Alberto Berrini, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Alberto Lanzavecchia, Luca Martino, Mauro Meggiolaro, Andrea Vecci grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) fotografie e illustrazioni Jakob Ganslmeier; Carlotta Huber; Maximilian Mundt; Andrea Pettracchin; Valentin Toschner distribuzione Press Di - Segrate (Milano)
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fotoracconto 01/04 Un toast con tris di burro e marmellate per rievocare la bandiera tedesca: è bastata quest’unica foto a Valentin Toschner, un bambino di 10 anni di Halberstadt in Sassonia, per aggiudicarsi il 1° premio al concorso fotografico giovanile indetto dal ministero federale della Famiglia.
dossier
LOCOMOTIVA 8 LA NEL TUNNEL
Consumi interni bassi, banche piene di titoli tossici, scarsi investimenti. La Germania è in affanno. E se si ferma, in gioco è la stabilità dell’intera Europa, dove non emergono alternative credibili alla guida tedesca
global vision finanza etica
7
Dai mutui alle auto: il revival dell’insaccato finanziario Minibond, la novità piace alle imprese World Economic Forum, il sogno di plasmare il mondo
la mappa del mese I pilastri della felicità economia solidale
28
Utilizzo degli ecosistemi: è ora di pagare Mele europee, retrogusto amaro La finanza paziente scopre la campagna Italia dalla pelle dura
31 34 36 38
social innovation internazionale
43
Niente progresso, siamo Inglesi Un mezzo adieu al Pil francese L’embargo silenzioso che stritola il Nepal
45 48 50
bancor
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La genialità di bambini e adolescenti è davvero una certezza ad ogni latitudine. E così finisce che qualche decina di scatti fotografici possa descrivere un Paese meglio e con più efficacia di tante statistiche e rapporti ufficiali. Ci sono riusciti i giovani fotografi del concorso Jugendfotopreis (www.jugendfotopreis.de), indetto in Germania dal KJF (Centro cinematografico giovanile) e finanziato dal ministero della Famiglia fin dal 1962: il filo conduttore dell'edizione 2015 - Mein Deutschland - ha spalancato le porte alla fantasia dei 6
concorrenti. E loro, con quella fantasia, hanno finito per stracciare il mito del Paese perfetto, tutto regole, precisione e pareggio di bilancio. Giovani che ironizzano sulla posa della cancelliera-icona dell’ultimo decennio e sul “bacio mortale” simbolo della Guerra fredda. Bambini che ritraggono toast smozzicati con i colori della bandiera, paesaggi in chiaroscuro che paiono usciti da un incubo postmoderno, soldati esausti, con disturbi post-traumatici dopo il ritorno dall'Afghanistan, pronti per partire per una nuova missione.
MAXIMILIAN MUNDT
MAXIMILIAN MUNDT
fotoracconto 02/04
Sono solo alcune delle opere vincitrici, selezionate fra centinaia di proposte. Dal Mar del Nord alla Baviera, dall’Ovest all’Est, l’immagine collettiva che ne emerge non è delle più tranquillizzanti per la generazione al potere e restituisce la sensazione di una comunità inquieta. Forse consapevole della propria potenza politica e industriale, certamente preoccupata che, per avvicinarsi al migliore dei mondi possibili, gli sforzi fatti finora non sono stati sufficienti. I bambini sanno. E ai loro occhi difficilmente si può mentire.
L’ironia sulla posa più frequente di Angela Merkel (la famosa "Merkel-Raute") e la riproposizione in chiave adolescenziale dello storico “bacio” tra il leader della DDR Erich Honecker e il capo del Soviet supremo dell’URSS, Leonid Breznev, sono valsi a Maximilian Mundt, 18enne di Amburgo, il primo premio nella fascia d’età 16-20 anni. «Invece di fuggire dalla realtà ho pensato di crearmene un'altra con la fotografia», ha dichiarato Mundt al settimanale Stern. Blog: ixammundt.tumblr.com Instagram: maximilianmundt Facebook: XamArtPhotography
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global vision
Legge di stabilità
Dove sono i soldi per gli investimenti? di Alberto Berrini innegabile che la manovra finanziaria 2016 rappresenti una discontinuità rispetto ai quattro anni precedenti per il suo carattere espansivo. Una caratteristica che deriva in realtà dalla dimensione di tale manovra più che dagli aspetti qualitativi che la contraddistinguono. Si tratta infatti di una Legge di stabilità di complessivi 27 miliardi (ma potrebbe arrivare a 30 se verrà compresa la spesa per le politiche di accoglienza dei migranti -3,2 miliardi per ridurre l’IRES già dal 2016) di cui 13 incideranno sull’aumento del deficit, che passerà dall’1,4% al 2,2% del Pil. L’impostazione di fondo è tanto esplicita quanto per certi versi contraddittoria. Da un lato si ha una visione sostanzialmente positiva della crescita mondiale al punto da mettere in gioco tutti i limiti disponibili riguardanti la flessibilità concessa dall’Europa sui conti pubblici. Se tale presupposto dovesse venire a mancare questa “manovra” rischia di divenire insostenibile e porre seri vincoli alle politiche economiche del prossimo futuro. Gli ultimi dati, ancorché provvisori, riguardanti il Pil del terzo trimestre 2015 (+0,2% rispetto al +0,3% previsto a causa del dato negativo dell’export) dimostrano chiaramente gli effetti di un eventuale rallentamento dell’economia mondiale sulla crescita italiana. Dall’altro, i contenuti della Legge di stabilità riguardano soprattutto la domanda interna. È nel ritorno alla fiducia del consumatore italiano che il governo punta infatti per consolidare la timida ripresa in atto, al punto da varare provvedimenti assai discutibili come l’ampliamento dell’utilizzo del contante nelle transazioni economiche e il taglio pressoché indiscriminato di Tasi e Imu. Il primo intervento è innegabilmente un “consenso implicito” alla micro evasione. Il secondo, senza entrare nel merito della sua più che dubbia equità distributiva, potrebbe in realtà avere effetti limitati sui consumi
È
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in quanto non contribuisce ad accrescere il reddito disponibile da cui dipendono i medesimi. Come ben sottolineato, in un’intervista a La Repubblica, dall’economista Lucrezia Reichlin, «non c’è nessuna evidenza che leghi l’introduzione della tassa sulla casa del governo Monti alla diminuzione del consumo di quegli anni. Quindi non c’è ragione di pensare che l’abolizione della tassa di questa manovra abbia un effetto positivo. Dovendo scegliere è meglio dare priorità alla diminuzione delle tasse sul lavoro ed essere più prudenti sul deficit, evitando un gioco pericoloso con le regole europee». In ogni caso, dunque, al di là di ogni valutazione sui singoli provvedimenti, il taglio delle tasse che caratterizza la manovra 2016 è finalizzato fondamentalmente a spingere i consumi. Mancano invece gli investimenti. In assoluto quelli pubblici e un sostegno limitato e non qualificato per quelli privati. Troppo poco se si considera che la crescita della domanda interna del 2015 ha visto l’impennarsi delle importazioni. Un chiaro segnale della insufficiente competitività del Sistema Italia. Più in generale si può concludere che il governo italiano deleghi per via fiscale ai privati la ripresa del mercato interno, proprio come l’Europa delega alla propria Banca centrale la gestione del rischio di un rallentamento dell’economia mondiale che stroncherebbe sul nascere la già debole ripresa europea. Questa “prudenza” della politica nell’intervenire nei sistemi economici stride con le difficoltà oggettive che ogni giorno aumentano nello scenario macroeconomico mondiale. Come ha recentemente ricordato l’ex segretario al Tesoro di Clinton, Larry Summers, in una fase in cui si rischia una perdurante stagnazione, «quello che viene considerato imprudente è la sola strada prudente da percorrere». La delega della gestione dell’economia ai soli mercati o a istituzioni gestite da tecnici non fa che sottolineare il deficit democratico delle nostre società. Un brutto segnale, soprattutto con i terroristi alle porte. ✱ 7
DOSSIER
fotoracconto 03/04 Sei foto in bianco e nero per immortalare il lato meno luminoso della “sua” Germania sono valse il podio per Carlotta Huber, 15 anni di Friburgo (Land sudoccidentale del BadenWürttemberg), nel Deutscher Jugendfotopreis (premio fotografico per i giovani) indetto dal KJF (centro cinematografico giovanile tedesco). Suggestivo il nome della raccolta, di cui qui proponiamo uno scatto: La mia Germania, la mia Friburgo, la mia Casa. (www.carlotta-huber.de)
10 / Guida inadatta ma senza alternative 12 / Investimenti al palo. Schäuble nicchia 14 / Banche in crisi ma senza ansia 16 / Retorica antitedesca: un limite per la Ue
LA L
CaRlotta HUBeR
Pil a parte, molti segnali fanno temere che la Germania scricchioli: consumi interni e investimenti al palo, stipendi bassi, banche piene di titoli tossici
Un problema non solo per gli assetti politici interni ma per la stabilità dell’intero continente. Dove non emergono alternative credibili alla guida tedesca
LOCOMOTIVA NEL TUNNEL
DOSSIER LA LOCOMOTIVA NEL TUNNEL
Guida inadatta ma senza alternative di Mauro Meggiolaro
La Germania non è solo Pil che sale e disoccupazione in discesa. Altri dati destano timore: gli stipendi sono al palo, le infrastrutture invecchiano, i consumi ristagnano. E se il Gigante soffre, è un problema per tutta la Ue
N
el 1999 l’Economist definiva la Germania «the sick man of the Euro» (il malato della zona Euro). La crescita era asfittica, la disoccupazione sopra il 10%, il sistema di welfare troppo generoso e i costi della manodopera troppo alti. Nulla a che vedere con l’immagine attuale del Paese più forte d’Europa, l’unico che ha saputo resistere alla crisi del 2008 e ai suoi strascichi. Fatta eccezione per il crollo del 2009 (-5,6%), il Pil tedesco è sempre cresciuto, anche se in modo sempre più timido, fino al +1,6% del 2014 e di metà 2015. Nel frattempo la disoccupazione è scesa al 6,4% ed è la seconda più bassa dell’Eurozona dopo l’Austria (5,7%), il bilancio pubblico è in pareggio e le esportazioni battono ogni anno nuovi record. Motivi più che sufficienti per brindare alle magnifiche sorti e progressive del suo modello? A quanto pare no.
PER 2 SU 3, BUSTE PAGA PIÙ BASSE «Il boom tedesco è un’illusione, stiamo vivendo di rendita», sostiene il professor Marcel Fratzscher, presidente del DIW (Istituto tedesco per la ricerca economica) e consulente del ministero dell’Economia. Nel suo libro “Die Deutschland-Illusion” (L’illusione della Germania) non risparmia critiche al
consUmi e Precarietà. la traPPola Dell’exPort di Matteo Cavallito
La crescita tedesca si fonda sulle esportazioni. Un problema per l’intera Europa. Ma le ricadute non risparmiano la Germania stessa 10
suo Paese: «la Germania si trova in uno stato di euforia collettiva non giustificabile. Dal 2000 l’economia è cresciuta meno della media europea e anche i salari sono saliti in misura minore. In termini reali, due lavoratori su tre hanno una busta paga più magra rispetto a quindici anni fa e un bambino su cinque vive sotto la soglia di povertà». Il problema più grave, secondo Fratzscher, è la carenza di investimenti. Agli inizi degli anni Novanta, il Paese investiva il 23% del suo prodotto interno lordo in infrastrutture, scuola e sanità. Oggi siamo al 17%. Un quinto delle autostrade e il 40% dei ponti versano in condizioni critiche, mentre la spesa per l’istruzione in proporzione al Pil è superiore solo a quella italiana tra i Paesi dell’Europa occidentale. Ma il governo, e in particolare il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, non ci vuole sentire: l’obiettivo principale della politica fiscale rimane lo “schwarze Null” (zero nero), il pareggio di bilancio raggiunto nel 2014 che ora si vuole conservare a tutti i costi, cercando di sfruttare il più a lungo possibile l’onda lunga delle politiche passate. In effetti, il merito della svolta nell’economia tedesca degli ultimi dieci anni è ormai unanimemente attribuito alle riforme che il governo rosso-verde
L’export Made in Germany viaggia a gonfie vele. Lo confermano i dati dello Statistisches Bundesamt, l’agenzia statistica federale che per il 2014 ha stimato un valore complessivo delle esportazioni pari a 1,12 trilioni di euro a fronte di un import da 910 miliardi. Il risultato è l’ennesimo surplus commerciale
da record (oltre 200 miliardi). Quindici anni fa, l’attivo della bilancia commerciale tedesca appariva trascurabile: appena lo 0,27% sul Pil. Oggi si viaggia ampiamente sopra quota 6%, più del doppio della media dell’Eurozona. Un divario, allargatosi dal 2000 in avanti (vedi GRAFICO ), che genera forti tensioni nell’Euroclub. Sul banco degli imputati c’è da tempo il basso livello delle importazioni, causato dalla ridotta domanda interna, che danneggia i partner commerciali continentali. Problema particolarmente sentito soprattutto nel contesto attuale di tassi di crescita ancora movalori / anno 15 n. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
LA LOCOMOTIVA NEL TUNNEL DOSSIER
CHI PUÒ TRAINARE L’UE? Una cosa però sembra chiara anche per un osservatore critico come Flassbeck: con la Francia indebolita dalla crisi finanziaria, la Gran Bretagna con la testa sul referendum pro o contro la Ue e l’Italia ripiegata da vent’anni sui suoi problemi interni, è la Germania l’unico grande Paese europeo che per ragioni economiche, demografiche e di efficienza politica può guidare il continente. La mossa coraggiosa della sua cancelliera, che a fine agosto ha sospeso il regolamento di Dublino accogliendo, senza limiti, i rifugiati siriani va nella di-
valori / anno 15 n. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
Fonte: ameCo dataBaSe (aS peR nov-12); oeCd dataBaSe (aS peR apR-13); oWn CalCUlatIonS
Salari reali per ora e produttività (1999 = 100) 120
120
GERMANIA
FRANCIA 115
110
110
105
105
100
100
95
95
Salari reali all'ora
1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012
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Produttività
rezione giusta. Il governo di Berlino si è assunto la responsabilità nella gestione di una crisi che la stessa Merkel ha definito «di gran lunga superiore a quella greca». Una scelta che potrebbe costare molto cara in termini politici (vedi BOX pag. 17). A complicare il quadro si aggiungono le manifestazioni anti-Islam di Pegida (patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente), che ogni lunedì portano in piazza migliaia di persone a Dresda, e l’insofferenza di una fascia sempre più ampia dei parlamentari di CDU e CSU. Come se non bastasse, a settembre si è aggiunto anche lo scandalo Volkswagen, con conseguenze ancora non quantificabili per il bilancio di un gruppo che è uno dei principali simboli dell’industria tedesca e per il 20% è controllato da un azionista pubblico. Il gigante tedesco ha i piedi sempre più d’argilla, sia in politica interna sia sul piano economico, ma ogni sentimento di Schadenfreude (piacere legato alla sfortuna altrui) sarebbe mal riposto. Se il gigante dovesse implodere, pagherebbe tutta l’Europa. ✱
Germania eD eUrozona: lo “sPreaD” commerciale
Fonte: WoRld Bank (Http://data.WoRldBank.oRG), WoRld development IndICatoRS. novemBRe 2015
[bilancia commerciale in % sul Pil]
desti. Ma da dove nasce il basso livello dei consumi? In uno dei fattori chiave del “successo” teutonico: la riduzione del costo del lavoro, frutto a sua volta, della precarizzazione di quest’ultimo prodotta dalla nota riforma Hartz (2003-05) che ha favorito la crescita di impieghi flessibili e part-time con basse retribuzioni. L’export ne ha beneficiato. Ma gli effetti negativi sul fronte interno non sono mancati: i lavoratori a basso reddito (2/3 o meno del salario mediano del Paese) sono il 19%. Regno Unito a parte, il livello più alto tra gli Stati dell’Europa occidentale. ✱
stiPenDi e ProDUttiVità: lezione Francese a Berlino
1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012
(SPD e Verdi) del cancelliere Gerhard Schröder realizzò tra il 2003 e il 2005, prima di perdere le elezioni e lasciare il posto ad Angela Merkel: la famosa “Agenda 2010”, o riforme “Hartz”, hanno comportato tagli alla spesa sociale consolidando un lungo periodo di moderazione salariale che è ancora in corso. Dal 1999 al 2015 in Germania la produttività del lavoro è cresciuta del 9,6% mentre i salari reali (al netto dell’inflazione) sono saliti di appena il 5,4%. Il costo del lavoro è stato mantenuto a un livello artificialmente basso e, di conseguenza, i prezzi dei beni e servizi tedeschi sono rimasti relativamente convenienti, spingendo le esportazioni a livelli record (45,6% del Pil nel 2014 contro il 27,1% del 1999) a spese degli altri Paesi dell’area Euro. Il modello economico tedesco è sbilanciato sulle esportazioni mentre sul mercato interno, a causa dei bassi salari, i consumi sono stagnanti da oltre quindici anni. È questa la locomotiva che dovrebbe trainare l’Europa? «Assolutamente no», ha spiegato a Valori Heiner Flassbeck, economista e sottosegretario all’Economia nel primo governo Schröder. «La Germania vive a spese dei suoi vicini e dovrebbe far salire il livello dei salari del 5% all’anno per i prossimi dieci anni per riportare in equilibrio la zona Euro». Più che un obiettivo, pura utopia.
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Eurozona 11
DOSSIER LA LOCOMOTIVA NEL TUNNEL
Investimenti al palo Schäuble nicchia 142 euro per abitante, contro i 226 della media Ue: sull’altare del pareggio di bilancio viene sacrificata la manutenzione di ponti e strade. All’appello mancano almeno 90 miliardi tra fondi pubblici e privati
di Mauro Meggiolaro
Velocità Della rete: Germania in aFFanno [dati in Mbps (Megabit per secondo)]
Fonte: tHe State oF InteRnet RepoRt - akamaI 2015
4° 7° 2°
19 °
34 ° 27 °
6°
17 °
12 ° 24 °
9° 36 °
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10 ° 28 ° 23 5 ° ° 17 ° 13 ° 45 ° 54 °
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ORDINATIVI INDUSTRIALI MAI COSÌ MALE DAL 2011
4° 5° 6° 7° 9° 10° 12° 13° 17° 19° 22° 23° 24° 27° 28° 31° 32° 34° 36° 45° 54° 56°
Svezia Svizzera Olanda Norvegia Finlandia Rep. Ceca Danimarca Romania Belgio Regno Unito Irlanda Austria Germania Portogallo Slovacchia Ungheria Polonia Spagna Russia Francia Italia Turchia
16.1 15.6 15.2 14.3 14.0 13.9 12.9 12.8 12.4 11.8 11.0 10.9 10.7 10.4 10.3 10.0 10.0 9.7 9.6 7.9 6.4 6.3
Il peggior trend degli ultimi quattro anni caratterizza gli ordinativi industriali tedeschi che, a settembre, hanno segnato il terzo calo mensile (-1,7%) consecutivo. Un fenomeno che non si verificava dall’estate 2011. Lo ha riferito a novembre l’agenzia Reuters. Nel dettaglio, nell’ultimo mese preso in esame, gli ordinativi nazionali sono diminuiti dello 0,6% mentre quelli dall’estero hanno subito un calo del 2,4% su cui pesa, in particolare, la netta contrazione di quelli provenienti dai Paesi dell’Eurozona (-6,7%). Il dato complessivo, sottolinea ancora Reuters, contrasta con le previsioni iniziali che ipotizzavano un aumento degli ordinativi pari all’1%. La persistenza del trend su base trimestrale getta più di un’ombra sulle attuali prospettive dell’industria tedesca. Nonostante questo, tuttavia, le stime del governo sull’economia restano positive. L’ipotesi, ricorda l’agenzia, è che la tenuta dei consumi privati e la crescita della spesa pubblica a sostegno dei rifugiati possano trainare la crescita del Pil verso un +1,7% per l’anno in corso e un +1,8% nel 2016. [M.Cav.] 12
«D
evo fare 300 chilometri di strada in più da Ulm, in Baviera, al porto di Bremerhaven, sul Mare del Nord, e il tutto perché i ponti non reggono il peso della gru», spiega a Valori Boris, autista di trasporti eccezionali per conto della ditta Liebherr. La statica dei ponti è un problema serio in Germania, servirebbero investimenti per ripararli ma la parola d’ordine del governo è solo una: pareggio di bilancio o, come si dice a Berlino, “schwarze Null” (zero nero). Nonostante il surplus commerciale (differenza tra esportazioni e importazioni) sia salito a 217 miliardi di euro nel 2014, un livello mai raggiunto dall’economia tedesca, il Paese vuole dimostrare all’Europa che si può governare senza aumentare il debito pubblico. Sì può, certo, ma a quale costo?
ANCHE LA BANDA LARGA LANGUE Il caso di Boris non è isolato. Dal 2013 a Leverkusen, in Renania settentrionale, dove ha la sua sede il gigante farmaceutico Bayer, è chiuso ai camion sopra le 3,5 tonnellate uno dei ponti più trafficati della Germania. In base a uno studio dell’associazione Pro Mobilität, la chiusura potrebbe costare all’economia tedesca dai 60 agli 80 milioni di euro. «Da anni il nostro Paese investe troppo poco nelle strade a lunga percorrenza», spiega Pro Mobilität. «Lo Stato tedesco spende 142 euro per abitante in strade e ponti. La media europea è 226 euro». Alla fine del 2014, su iniziativa del ministro dell’Economia e vice-cancelliere Sigmar Gabriel (SPD), è stata creata una commissione di esperti per rilanciare gli investimenti pubblici e privati in Germania. Nell’aprile di quest’anno arriva il primo responso: all’economia tedesca mancano 90 miliardi di euro valori / anno 15 n. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
LA LOCOMOTIVA NEL TUNNEL DOSSIER
di investimenti pubblici e privati. «Le infrastrutture sono in disfacimento», ha dichiarato il prof. Marcel Fratzscher, direttore della commissione e presidente dell’istituto tedesco per la ricerca economica DIW. «Il pacchetto di investimenti da 15 miliardi di euro approvato dai ministri Schäuble (Finanze, CDU) e Gabriel non basta. Più aspettiamo e più gli interventi saranno costosi». E non ci si riferisce solo ai ponti e alle strade ma anche alla banda larga per aumentare la velocità nello scambio dei dati su internet, alle energie rinnovabili e alle scuole a tempo pieno. Con una media di 10,7 Mbps (Megabit per secondo) la Germania è al 24° posto nel mondo per quanto riguarda la velocità di connessione alla rete, superata ampiamente da Svezia, Svizzera, Olanda (che sono oltre i 15 Mbps) ma anche da Repubblica Ceca (13,9 Mbps), Romania (12,8 Mbps). L’Italia è al 54° posto, con una media di 6,4 Mbps (vedi MAPPA ). Sul fronte dell’educazione, solo il 5,3% del prodotto interno lordo tedesco è destinato a scuole e programmi di istruzione. «Siamo sotto la media Ocse dello 0,9%, solo l’Italia fa peggio di noi», ha spiegato Fratzscher in un editoriale sul settimanale Der Spiegel. «La rincorsa del pareggio di bilancio è sbagliata. La linea del ministro delle finanze Wolfgang Schäuble potrebbe essere fatale non solo per la Germania ma per l’Europa intera, perché se la Germania non investe abbastanza ne risente tutto il continente».
DIECI PROPOSTE AL GOVERNO La commissione di esperti guidata da Fratzscher ha presentato dieci proposte al governo, tra cui un pacchetto di investimenti a livello nazionale da 15 miliardi di euro per i comuni, la creazione di una “società per le infrastrutture” federale dedicata alle strade a lunga percorrenza, l’aumento dal 3% al 3,5% del Pil dei fondi per la ricerca e sviluppo nelle imprese e un piano da 30 miliardi di euro per le reti e l’efficienza energetica. Schäuble, però, non molla. «Ci sono anche esperti come la Bundesbank (banca centrale tedesca) e il consiglio dei saggi economici che mettono in dubbio l’esistenza stessa di un deficit negli investimenti», ha dichiarato il 21 aprile scorso nel corso di una conferenza pubblica organizzata dai ministeri dell’economia e delle finanze. «Nella spesa per la ricerca e lo sviluppo si è fatto molto negli ultimi anni e in questo la Germania è ai primi posti in Europa». C’è da scommettere che fino alle elezioni politiche del settembre 2017, quando Schäuble molto probabilmente uscirà di scena, se non altro per raggiunti limiti di età, la musica continuerà ad essere questa. ✱ valori / anno 15 n. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
VolkswaGen: il sinDacato PoteVa non saPere?
di Mauro Meggiolaro
I metalmeccanici di IG Metall hanno negato connivenze nello scandalo emissioni. Ma un’ombra si è ormai allungata sul modello di cogestione «La decisione di manipolare le automobili non è stata presa in alcuna riunione del consiglio di sorveglianza o di gestione», ha spiegato Michael Horn, presidente di Volkswagen America davanti alla commissione d’inchiesta del Congresso Usa. «I responsabili sono singoli ingegneri che hanno agito per motivi che non conosciamo». Undici milioni di veicoli manipolati senza che nessuno sapesse nulla: uno scandalo colossale messo in piedi da mele marce. È questa la disperata linea difensiva del più grande gruppo automobilistico tedesco. Anche il sindacato dei metalmeccanici IG Metall ha subito negato ogni responsabilità: «I lavoratori non hanno nulla a che fare con le manipolazioni», si è affrettato a dichiarare Detlef Wetzel, segretario generale di IG Metall. «La “cogestione” non è responsabile per le singole componenti che sono montate sulle auto». Eccola la “cogestione”: un sistema introdotto in Germania nel 1976, in base al quale i lavoratori nominano metà dei membri del consiglio di sorveglianza, organo di controllo che detta le strategie al consiglio di gestione (costituito dai top manager). Il sistema ha garantito una certa pace sindacale, al prezzo di lunghe trattative e continui compromessi: i sindacalisti si sentono così parte dell’impresa e non mancano di far sentire il loro peso sulle scelte. Come succede, da anni, in Volkswagen. «Volkswagen è ormai controllata dal sindacato», ha dichiarato a Valori il professor Ferdinand Dudenhöffer, uno dei maggiori esperti di automotive in Germania. «L’ex presidente Piëch aveva individuato i problemi del gruppo, tra cui la debolezza del marchio VW, soprattutto negli Usa, e la scarsa efficienza nella produzione, ma IG Metall si è messa di traverso». Spinto da Piëch, nel luglio 2014 l’amministratore delegato Martin Winterkorn (dimessosi subito dopo lo scoppio dello scandalo emissioni) aveva presentato un ambizioso piano per il taglio dei costi. «Ci è sembrata una scelta coraggiosa», continua Dudenhöffer. «Ma pochi giorni dopo, Bernd Osterloh, il sindacalista che dirige il consiglio di fabbrica, ha messo sul tavolo di Winterkorn un piano alternativo molto più morbido sulla riduzione del personale. E Winterkorn l’ha accettato». Nell’aprile scorso il presidente e socio di maggioranza, assieme alla famiglia Porsche, Ferdinand Piëch è andato allo scontro finale con Winterkorn e l’ha perso. Il sindacato, che ha sempre appoggiato Winterkorn, è uscito vincitore e si è confermato come il potere più forte nel gruppo. «I lavoratori sono così potenti – ha sottolineato il Financial Times – che Volkswagen sembra una cooperativa». Non a caso, nel 2014, VW ha prodotto quasi lo stesso numero di auto di Toyota ma col doppio dei lavoratori (593mila contro 344mila). È possibile che un sindacato così forte non sapesse della manipolazione sistematica delle automobili? Una cosa sembra chiara: il sistema di governance di Volkswagen, dominato da IG Metall col potere di veto della regione Bassa Sassonia e il capitale diviso tra famiglia Porsche-Piëch, regione e fondo sovrano del Qatar, è un’idra a più teste che ha bloccato ogni piano di rilancio inviso ai lavoratori, favorendo il ricorso a pratiche illegali per battere la concorrenza. Senza una governance più equilibrata, per il prossimo scandalo sarà solo questione di tempo. ✱ 13
DOSSIER LA LOCOMOTIVA NEL TUNNEL
Banche in crisi ma senza ansia L’immagine positiva del sistema-Paese ha aiutato a gestire senza scossoni i rischi di istituti di credito pieni di titoli tossici. Un fenomeno che accomuna tutti: dagli istituti locali a Deutsche Bank
S
ebbene gravata da una perdita trimestrale da 6 miliardi di euro, annunciata ufficialmente alla fine di ottobre, la tormentata Deutsche Bank può contare su un valido motivo di consolazione: l’essere in buona compagnia. Lo evidenzia la parabola del sistema bancario tedesco, nutritosi negli anni pre crisi di «ogni possibile bad asset, dai titoli subprime del mercato immobiliare americano ai bond greci», come rilevava due anni or sono il New York Times, e successivamente soccorso con un intervento pubblico da 646 miliardi di euro (il più oneroso d’Europa dopo quello del Regno Unito) che, al cambio di allora, faceva 860 miliardi di dollari, ovvero il 23% in più rispetto alla spesa sostenuta negli Usa nell’ambito del TARP (Troubled Asset Relief Program), il piano di smaltiGraFico 1 i titoli “tossici” Delle Banche eUroPee
GraFico 2 lanDesBanken: il Peso Dei creDiti DUBBi
14
Fonte: UFFICIo StUdIo medIoBanCa (WWW.mBReS.It), “datI CUmUlatIvI delle pRInCIpalI BanCHe InteRnazIonalI e pIanI dI StaBIlIzzazIone FInanzIaRIa”, lUGlIo 2015
40
10
2007
2008
2,3
1,8
0
1,4
BBVA
ING
Banco Santander
RBS
HSBC
Rabobank
Unicredit
Soc. Générale
Crédit Agricole
Lloyds
Danske Bank
Intesa Sanpaolo
UBS
Commerzbank
Groupe BPCE
BNP
Nordea
Deutsche Bank
Barclays
10
2009
2010
2011
2012
44,6 4,2
20
20
3,4
30
21,4
30
40
3,5
50
34,9
60
39,9
50
70
46,7
80
51,4
60
3,8
90
Crédit Suisse
[attivi di livello 3 / patrimonio netto tangibile (in %)]
Fonte: UFFICIo StUdIo medIoBanCa (WWW.mBReS.It), “datI CUmUlatIvI delle pRInCIpalI BanCHe InteRnazIonalI e pIanI dI StaBIlIzzazIone FInanzIaRIa”, lUGlIo 2015
0
mento dei rifiuti finanziari (Asset-backed securities e dintorni) delle banche a stelle e strisce. Nel calderone del salvataggio statale sono finiti un po’ tutti (vedi SCHEDE ): dalle major ai soggetti di medio calibro come le Sparkassen, equivalenti delle nostre casse di risparmio, e le Landesbanken, gli istituti locali (vedi BOX ) controllati dai governi regionali e caratterizzati da «una lunga storia di corruzione e mala gestione». Un leitmotiv della crisi che si muove su due dimensioni: la speculazione finanziaria e la zona grigia degli affari “locali” con un corollario di gestione “politica” da far invidia ai peggiori esempi mediterranei (dalle Cajas spagnole a MPS). Le responsabilità dirette ricadono sul management. Ma di fronte alla dimensione del fenomeno, il giudizio complessivo investe anche i “controllori”.
48,7
di Matteo Cavallito
2013
Crediti dubbi /crediti alla clientela (%) Crediti dubbi /capitale netto (%) valori / anno 15 n. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
LA LOCOMOTIVA NEL TUNNEL DOSSIER
«La cornice regolamentare europea allo scoppio della crisi era la stessa per tutti, ma i costi del salvataggio per i contribuenti sono stati molto diversi da Paese a Paese. È evidente, quindi, che la qualità della vigilanza condotta negli anni precedenti non è stata la stessa» spiega a Valori Andrea Resti, professore associato presso l’Università Bocconi e vicepresidente del Banking Stakeholder Group della European Banking Authority (EBA). «Da un anno abbiamo avviato un sistema di vigilanza unica a livello continentale, ma al momento – rileva – ci sono ancora molti aspetti da livellare». Un problema aperto, quest’ultimo, soprattutto alla luce delle polemiche sempre vive sui controlli a livello continentale.
IL SISTEMA BANCARIO TEDESCO
Dai colossi globali agli istituti di credito cooperativo. Sono gli “estremi” del sistema bancario tedesco, un universo capillare, ordinato e a forte partecipazione pubblica. Nel Paese, rileva l’ultimo rapporto di Mediobanca, si registrano 1.047 banche cooperative locali (Volksbanken e Raiffeisenbanken) partecipate quasi interamente dalle imprese. Circa 900 di queste sono controllate dalla DZ Bank (Deutsche Zentral-Genossenschaftsbank), l’istituto che fornisce servizi specializzati in svariati settori (credito immobiliare e al consumo, asset management, operazioni all’estero). Al vertice del sistema-Paese, ovviamente, i giganti come Deutsche Bank e Commerzbank. In mezzo, per così dire, le Landesbanken, istituti a controllo pubblico partecipati in parte dalle casse di risparmio locali (Sparkassen). Secondo i calcoli di Bloomberg, il salvataggio di queste ultime, scattato all’alba della crisi, è costato 97,3 miliardi di euro tra aiuti diretti e garanzie. Il primato unitario spetta alla defunta WestLB: 17 miliardi.
IL “CREDITO” DI BERLINO La premessa è data ovviamente dai conti, ovvero dalle scorie della crisi. In prima fila, in questo senso, ci sono i cosiddetti “attivi di livello 3”: sono i titoli tossici accumulati nell’era della bolla. Nel bilancio di Deutsche Bank, rileva l’ultima indagine di Mediobanca (luglio 2015, dati definitivi 2013), questi asset difficilmente liquidabili pesano per 31,3 miliardi di euro, pari al 53,7% del patrimonio netto tangibile. Un dato che attribuisce all’istituto di credito il terzo posto in classifica nel gruppo delle principali banche europee, davanti a BNP, Nordea, BPCE, UBS e alla connazionale Commerzbank (vedi GRAFICO 1 ). Quanto alle Landesbanken il problema principale sembra riguardare i crediti dubbi, quelli, cioè, soggetti a un consistente rischio default. Tra il 2007 e il 2013, il loro peso sul capitale netto è più che raddoppiato (dal 21,4 al 44,6%), quello sui crediti alla clientela è addirittura triplicato (dall’1,4 al 4,2%) (vedi GRAFICO 2 ). La situazione, insomma, è tutt’altro che rosea. Eppure la percezione generale resta quella di un sistema bancario solido. Come mai? La risposta a questo apparente paradosso evoca la nota polemica sugli stress test europei – che hanno escluso le Sparkassen e si sono concentrati più sui rischi associati ai prestiti tradizionali che a quelli connessi ai derivati – ma anche, e soprattutto, quello che ad oggi si conferma come il fattore più importante di tutti: il bassissimo rischio sovrano. «Di fronte a qualsiasi scenario si ha comunque la certezza che il governo tedesco, non gravato da un eccesso di indebitamento a differenza degli altri Stati dell’Eurozona, possa farsi carico dei salvataggi bancari» ricorda Andrea Resti. È fattore del credito nazionale, insomma, «quel nesso tra sistema-Paese e sistema bancario che in alcune nazioni opera come circolo vizioso, ma che in altre, come la Germania, agisce al contrario come meccanismo virtuoso». Il segreto, in fondo, è tutto qui. ✱ valori / anno 15 n. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
COMMERZBANK Oltre un miliardo di euro di perdite allo scoppio della crisi, frutto, in larga parte, dell’esposizione su Lehman e Islanda. È stata la prima “major” del Paese a chiedere aiuto allo Stato. Risultato: 18,2 miliardi di ricapitalizzazione, altri 5 sotto forma di garanzie.
HYPO REAL ESTATE Trascinata nel baratro dalle disavventure della controllata irlandese Depfa Bank Plc, la banca è andata incontro al più dispendioso salvataggio pubblico della recente storia tedesca: 9,8 miliardi di euro di ricapitalizzazione, 124 miliardi di garanzie.
HSH NORDBANK La Landesbank controllata dalle amministrazioni regionali di Schleswig-Holstein e Amburgo è andata incontro a un programma di salvataggio nel 2008 dopo aver registrato perdite annuali pre imposte per 2,8 miliardi. Le garanzie hanno raggiunto un picco mensile di 24 miliardi.
i PrinciPali salVataGGi
BANCARI BAYERNLB L’istituto controllato dall’amministrazione regionale della Baviera ha ricevuto un’iniezione di capitale da 10 miliardi di euro oltre a 4,8 miliardi sotto forma di garanzie a copertura dei titoli tossici in portafoglio.
WESTLB La Landesbank di base a Düsseldorf controllata in parte dall’amministrazione del Nord Reno-Westfalia ha chiuso i battenti nel giugno 2012 dopo l’istituzione di una bad bank e l’ottenimento di aiuti totali per 17 miliardi di euro. L’eredità dell’istituto è stata assunta dalla neonata Portigon Financial Services AG.
FontI: BloomBeRG, 6 ottoBRe 2008, 24 FeBBRaIo 2009, 29 GIUGno 2012, 1 ottoBRe 2015; FmSa, BUndeSanStalt FüR FInanzmaRktStaBIlISIeRUnG, oveRvIeW oF SoFFIn meaSUReS, 6 lUGlIo 2015; ReUteRS, 3 novemBRe 2015; teleGRapH, 3 novemBRe 2008.
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DOSSIER LA LOCOMOTIVA NEL TUNNEL
Retorica antitedesca un limite per la Ue di Matteo Cavallito
Il Vecchio Continente non può parlare solo la lingua di Berlino. Ma nei confronti della Germania si è diffuso un atteggiamento schizofrenico. E all’orizzonte altri leader continentali latitano o non sono credibili
I
l modello tedesco vive oggi una crisi peculiare. Ma gli aspetti problematici, in ogni caso, non sono certo destinati a scalfire ciò che oggi, e non solo da oggi, appare come un vero e proprio punto fermo: il primato del Paese sul resto del continente. Gli sviluppi dello scandalo Volkswagen, le perdite miliardarie di Deutsche Bank e le tensioni sociali, in altre parole, non determineranno in alcun modo la fine della centralità di un Paese abitato da 80 milioni di persone, caratterizzato da un rischio default quasi pari a zero e capace di produrre una ricchezza annuale di 4 trilioni di dollari. Ed è proprio con questa centralità che l’Europa, volente o nolente, deve fare i conti.
UNA LEADERSHIP DEPOTENZIATA Angela Merkel, ricordava nei mesi scorsi il settimanale Der Spiegel, confidò un giorno a un ristretto gruppo di consiglieri quale fosse la sua visione del Paese: «Siamo per l’Europa ciò che gli americani sono per il mondo, siamo la potenza leader che gli altri non amano». Il parallelismo era apparentemente logico. Ma forse non del tutto appropriato. Perché a differenza degli Stati Uniti, la Germania sembra esprimere tuttora una leadership depotenziata. Una caratteristica, quest’ultima, capace di negare implicitamente tanto i sogni di gloria di chi vede nel modello teutonico del binomio “riforme e rigore” uno schema senza difetti da esportare nei Paesi Ue – «Improvvisamente in Europa si parla tedesco» affermò nel 2011, salvo poi pentirsene il capogruppo della CDU al Bundestag Volker Kauder – quanto i timori di chi nella Germania vede tuttora una potenza essenzialmente aggressiva se non addirittura “imperialista”. Tempo fa, lo storico Sebastian 16
Haffner definì quella tedesca «una dimensione ingombrante», caratteristica tipica, osservava Der Spiegel, di un Paese troppo piccolo e troppo grande al tempo stesso e destinato, per questo, ad esercitare egemonia mantenendosi tuttavia debole. Un ragionamento, rilevava ancora il settimanale, che «potrebbe risultare valido tuttora». Le riflessioni di Haffner, esule a Londra durante la guerra e oltre, risalgono al 1987 (e al saggio “Von Bismarck zu Hitler: Ein Rückblick”, “Da Bismarck a Hitler: uno sguardo retrospettivo” uscito in lingua inglese come “The Ailing Empire”), tre anni prima della riunificazione e della conseguente revisione dell’equilibrio globale e continentale. Il nuovo assetto geopolitico, come noto, è passato anche attraverso l’euro, la moneta pensata per disinnescare quella “bomba atomica”, come si diceva al tempo, chiamata marco tedesco, il simbolo del successo e della solidità della Repubblica Federale. Ma il seguito, si sa, è altrettanto noto: la moneta imposta alla Germania si è trasformata nella valuta del malcontento e il mito, totalmente fasullo, dell’euro come “invenzione tedesca” (sic) continua a diffondersi nel cortocircuito di un continente tuttora incapace di risolvere il suo rapporto con la Germania. «In Europa c’è una sorta di schizofrenia. Da un lato si apprezza il funzionamento del sistema tedesco e la serietà della sua classe politica; dall’altro si manifesta insofferenza di fronte alla leadership che il Paese ha assunto nel Continente» spiega a Valori Angelo Bolaffi, filosofo della politica, germanista ed ex direttore (2007-11) dell’Istituto di cultura italiana di Berlino. «Per anni – prosegue – la Germania è stata accusata di egoismo di fronte alla crisi dell’euro e ai piani di austerità. Oggi, in compenso, Paesi come valori / anno 15 n. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
LA LOCOMOTIVA NEL TUNNEL DOSSIER
A DESTRA C’È POSTO. L’ALTERNATIVE VOLA NEI SONDAGGI
Euroscettici, nazionalisti, conservatori e strenui oppositori della politica di accoglienza promossa dal governo dei confronti dei rifugiati. Sono i militanti di Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania, Afd), il partito fondato nel 2013 dall’economista dell’Università di Amburgo ed ex Cdu Bernd Lucke e capace, secondo il più recente sondaggio dell’istituto Emnid, di raccogliere oggi l’8% dei consensi (ma si sale addirittura al 15% nei Länder dell’ex DDR). Decisamente più a destra dei Cristiano Democratici di Angela Merkel ma dichiaratamente estraneo all’estremismo del Npd, l’Alternative sembra in grado di raccogliere consensi sia dai
il Declino Della PoPolazione teDesca Fonte: onU - dIpaRtImento eConomIa e aFFaRI SoCIalI
La popolazione in milioni, scenario di base*
100
TURCHIA
90
FRANCIA
80
REGNO UNITO 70
GERMANIA 60
ITALIA
di Mauro Meggiolaro
La decisione di aprire le porte all’onda umana proveniente dalla Siria rischia di costare il posto alla cancelliera. Ma è una scelta obbligata che farà bene a un Paese in rapido invecchiamento Durante l'estate, mentre si rincorrevano le notizie sui continui arrivi di immigrati alle frontiere, il leitmotiv della politica tedesca era stato sintetizzato con efficacia dai social media con l'hashtag #merkelschweigt: la cancelliera tace. Il 25 agosto, però, Angela Merkel ha smesso di tacere. La Germania, con una mossa a sorpresa, ha sospeso il revalori / anno 15 n. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
golamento di Dublino per i cittadini siriani e ha deciso di assumersi volontariamente la responsabilità di gestire le richieste d'asilo. Nei giorni seguenti una marea umana ha raggiunto le principali città tedesche e ancora oggi l'afflusso di profughi non accenna a diminuire: entro la fine dell'anno le domande di asilo saranno oltre un milione. Nuova forza lavoro in un Paese che sta invecchiando a un tasso record, come cercano di dimostrare le proiezioni degli istituti di ricerca economica. Oppure “usurpatori”, “minaccia per la civiltà cristiana", “parassiti del welfare”, come li definiscono i manifestanti del movimento Pegida o i simpatizzanti del partito populista AfD. A tutti Angela Merkel risponde con un'unica frase: «Ce la faremo». Dopo l'euforia dei primi giorni, con i cittadini che applaudivano l'arrivo dei migranti nelle sta-
2100
sUi riFUGiati FraU merkel si Gioca tUtto
2080
2060
2040
* Variazione minima 2020
50
2000
Austria, Regno Unito e Polonia rimproverano a Berlino un eccesso di generosità verso i profughi». Ed è proprio in questo contesto, rileva ancora Bolaffi, che la “questione tedesca” sembra aver prodotto una vera e propria inversione di rotta. «È dai tempi di Bismarck che essa rappresenta la vera “croce” dell’Europa, un vero e proprio elemento destabilizzante» spiega. «Oggi paradossalmente abbiamo una Germania molto filoeuropeista e altri Paesi che resistono in nome dell’antigermanesimo. La soluzione è una sola: occorre costruire un’Europa che abbia a cuore Berlino. È chiaro che non esistono Paesi in grado di prendere il posto della Germania nel ruolo di leader continentale; ma è altrettanto evidente che la Germania non può fare da sola». ✱
delusi della Cdu sia dai transfughi della Linke (Sinistra), attirati, notava in passato la rivista italiana Limes, dalla «posizione (del partito, ndr) rispetto all’Unione europea». Favorevole a un sostanziale stop all’immigrazione e a una dissoluzione, o per lo meno a un ridimensionamento, dell’area euro, così come a una revisione della politica energetica “verde” del Governo, l’Afd è attualmente presente all’Europarlamento dove aderisce al gruppo dei Conservatori e Riformisti (insieme ai Tories britannici e ai Veri Finlandesi). Una scelta che, pur nell’attuale deriva xenofoba (che ha portato alle polemiche dimissioni del leader Lucke), ha permesso al partito di prendere le distanze dai movimenti massimalisti che si raccolgono in “Europa delle Nazioni e della Libertà”, il gruppo che riunisce tra gli altri il Front National francese e la Lega Nord. [M.Cav.]
zioni, l'aria per la cancelliera si è fatta sempre più pesante. Molti parlamentari ribelli del suo partito (CDU/CSU) sembrano voler fare sul serio e si mormora che sarebbero addirittura pronti a sostituire Merkel con il ministro delle finanze Schäuble. Intanto i Comuni sono sotto stress e i sondaggi danno AfD all'8% a livello federale. La popolarità di Angela Merkel è calata di 9 punti da inizio estate e si attesta ora al 54%: il livello più basso dal 2011 mentre i tedeschi, tra tutti i politici, dichiarano di preferire Wolfgang Schäuble. La cancelliera, però, non molla. «Se dobbiamo scusarci del fatto che mostriamo un volto amico in situazioni di emergenza, allora questo non è più il mio Paese», ha dichiarato in una conferenza stampa il 15 settembre scorso. La lotta interna sui rifugiati potrebbe essere la sua ultima sfida. ✱ 17
FINANZA ETICA
IL REVIVAL DELL’INSACCATO FINANZIARIO
D
di Matteo Cavallito
I prestiti del settore auto impacchettati negli stessi derivati alla base della crisi dei mutui. Il volume di mercato è vicino ai massimi storici (20 miliardi di euro in Europa, 194 negli Usa), il livello di rischio anche. E la mente corre allo scandalo Volkswagen valori / ANNO 15 N. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
ifficilmente condurranno le maggiori banche al fallimento. E di certo non scateneranno una crisi di portata planetaria. Ma nonostante tutto non smettono di attirare attenzione. Soprattutto di fronte al crescente successo assunto nel mercato. Sono le Asset-backed securities (ABS) sugli auto loans, ovvero i prodotti della cartolarizzazione (securitisation) dei prestiti del settore automobilistico. Titoli derivati a complessità variabile ma caratterizzati – almeno nel mercato americano, il più grande del mondo – da un livello di rischio sempre più elevato che ne amplifica, implicitamente, lo scomodissimo paragone con le mortgage-backed securities, i prodotti simbolo della bolla immobiliare e, va da sé, della successiva crisi globale. Il principio è lo stesso: si prendono i crediti, ovvero i prestiti concessi dalla banca (o da una finanziaria di proprietà della stessa casa automobilistica) e i leasing di rating presumibilmente variabile (a seconda del merito creditizio 19
finanza etica speculazioni a quattro ruote grafico 1 i prestiti cartolarizzati nel settore auto usa 1985-2015
FONTE: SECURITIES INDUSTRY AND FINANCIAL MARKETS ASSOCIATION SIFMA (HTTP://WWW.SIFMA.ORG), US ABS ISSUANCE AND OUTSTANDING, OTTOBRE 2015; NOSTRE ELABORAZIONI. DATI IN MILIARDI DI DOLLARI. *2° TRIMESTRE 2015.
200 180 160 140 120 100 80 60 40 20 0
1985
1990
Totale cartolarizzazione
1995 Prime
2000
2005
2010
2015*
Subprime
del cliente), e li si impacchetta nel più classico degli insaccati finanziari. Ne deriva un asset-backed security, ovvero un titolo derivato che ha come sottostante il flusso di cassa previsto (le rate dell’acquisto del veicolo). La security può essere messa sul mercato sotto forma di obbligazione trasformando così un credito di lungo periodo in liquidità immediatamente disponibile. Esattamente come accaduto con i mutui subprime.
PERPLESSITÀ EUROPEE Di norma, ricordava a ottobre il Financial Times, le ABS del settore auto sono considerate relativamente sicure. Ma cosa accadrebbe, ci si chiede, in caso di shock event ? Il pensiero corre inevitabilmente allo “scandalo emissioni” che ha colpito Volkswagen e che potrebbe generare un’ondata di contenziosi da parte
dei clienti. Un’ipotesi al vaglio dell’agenzia Moody’s che ad ottobre ha iniziato a monitorare un’operazione di cartolarizzazione da oltre 800 milioni di euro realizzata da VW in Spagna (vedi BOX ). La legislazione locale a tutela dei consumatori, nota l’agenzia, consentirebbe agli acquirenti il diritto di restituire quei veicoli «non conformi ai termini indicati nel contratto di vendita» o di ottenere in alternativa un adeguato risarcimento. Un’ipotesi, quest’ultima, che potrebbe avere un impatto negativo sulle ABS e sugli investitori che le hanno acquistate. I prestiti e i leasing per l’acquisto dei modelli “incriminati”, finiti in qualche modo nel calderone delle ABS, ha riferito Volkswagen, valgono 2,6 miliardi di euro ma l’impatto dello scandalo sul fronte derivati, per il momento, non è ancora noto. Nonostante l’incertezza, tuttavia, gli inve-
stitori non sembrano al momento particolarmente preoccupati. «Rispetto ai corporate bond VW (le comuni obbligazioni emesse dalla casa automobilistica, ndr) l’andamento dello spread sulle cartolarizzazioni dei prestiti auto ha evidenziato una significativa tenuta, per questo ci attendiamo un impatto positivo per il mercato delle ABS in generale» spiega a Valori Monika Beye, key account manager e responsabile marketing di True Sale International, società di Francoforte che opera nella promozione del mercato della securitisation in Germania. Il riferimento corre a una recente analisi di DZ Bank che ha evidenziato un netto divario del rischio nei differenti comparti. A metà settembre, lo spread sulle obbligazioni VW a scadenza ottobre 2017 e quello sulle ABS degli auto loans della stessa casa tedesca viaggiavano attorno ai 20 punti base, un dato
nullità dei contratti e “clausola rVr”. le insidie dei deriVati Volkswagen di Matteo Cavallito
Se l’Ad del gruppo tedesco, Matthias Mueller, dovesse decidere di ritirare 11 milioni di veicoli truccati, le conseguenze per il mercato delle ABS potrebbero essere gravi 20
Un risarcimento adeguato o la nullità del contratto, ovvero la restituzione del veicolo. Sarebbero queste le due ipotesi suggerite dalla legge spagnola in caso di contesa legale tra la casa tedesca e gli acquirenti delle automobili risultate, in definitiva, più inquinanti del previsto. Lo ha riferito il Financial Times citando l’analisi condotta da Moody’s su una cartolarizzazione da 816 milioni di
euro, realizzata dalla casa di Wolfsburg a settembre. Una maxi operazione sui crediti accumulati nel mercato spagnolo e che ora rischia di rivoltarsi contro VW e gli investitori. La strada del risarcimento è ovviamente la meno dolorosa perché non si traduce nell’annullamento dell’acquisto. Ma in caso di restituzione, al contrario, a essere compromessa è la struttura stessa delle ABS. valori / ANNO 15 N. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
speculazioni a quattro ruote finanza etica grafico 2 i prestiti nel settore auto usa 2010-15
FONTI: FEDERAL RESERVE (HTTP://WWW.FEDERALRESERVE.GOV), STATISTICAL RELEASE, AGOSTO 2015; SECURITIES INDUSTRY AND FINANCIAL MARKETS ASSOCIATION SIFMA (HTTP://WWW.SIFMA.ORG), US ABS ISSUANCE AND OUTSTANDING, OTTOBRE 2015; NOSTRE ELABORAZIONI. DATI IN MILIARDI DI DOLLARI. *2° TRIMESTRE 2015.
751
714
600
958
879
809
800
998
1.000
0 Prestiti
2010
2011 di cui cartolarizzati
2012
Nel corso di quest’anno, ha sostenuto a giugno un’analisi di Morgan Stanley, i collocamenti di ABS sui prestiti del settore auto nel mercato europeo dovrebbero toccare i 20 miliardi di euro, una cifra record. Ma i numeri del Vecchio Continente restano piuttosto ridotti rispetto a quelli del mer-
cato americano dove la cartolarizzazione dei prestiti del settore auto, dicono le statistiche della Securities Industry and Financial Markets Association (Sifma), viaggia attualmente a quota 194 miliardi di dollari, ovvero in prossimità del primato storico registrato nel 2006 (vedi GRAFICO 1 ). Un boom favorito dalla continua crescita dei prestiti – pari ormai a circa 1 trilione di dollari (vedi GRAFICO 2 ) – che fa i conti oggi con una presenza sempre più significativa di derivati ad alto rischio. È il caso delle ABS del settore auto classificate come subprime, comparse per la prima volta sul mercato nel 1990 con un ammontare complessivo di appena 400 milioni di dollari. Alla fine del 2014, il loro valore ha raggiunto i 33,8 miliardi, pareggiando il dato del picco 2006 (vedi GRAFICO 1 ). Per quanto in ascesa, ha ricordato a maggio un’analisi dello studio legale Po-
Alcune di esse, nota ancora il quotidiano britannico citando una recente analisi di Fitch, sarebbero soggette a una clausola nota come RVR o “residual value risk” che garantisce alla casa automobilistica la possibilità di rimborsare gli investitori rivendendo sul mercato i veicoli restituiti. È lo stesso principio delle mortgage-backed securities, le ABS sui mutui. Ma se il valore di una casa pignorata oscilla tipicamente secondo la logica di un mercato volatile, quello di un’auto usata risulta sempre e comunque inferiore rispetto ad un modello identico ma nuovo. Il deprezzamento di mercato, in altre parole, è un dato certo al
pari della sua conseguenza più evidente: un’inevitabile perdita per gli investitori. Volkswagen, ha dichiarato a fine settembre il Ceo Matthias Mueller, sarebbe pronta a ritirare 11 milioni di veicoli “truccati” (un software montato sulle vetture permetteva di alterare il risultato dei test sulle emissioni), ma le conseguenze per il mercato delle Asset-backed securities non sono ancora chiare. E almeno un investitore, nel dubbio, ha deciso di non rischiare più. È il caso della Banca Centrale Europea, che dalla fine di settembre, segnala il quotidiano britannico, ha sospeso gli acquisti dei derivati VW. ✱
che segnalava un rischio default pressoché nullo (maggiore il numero dei punti, maggiore è il rischio insolvenza). Due settimane dopo, sulla spinta dello scandalo emissioni, lo spread sui corporate bond aveva toccato i 200 punti, quello sulle ABS si fermava a 50. Tradotto: il rischio percepito dagli acquirenti dei bond era aumentato di dieci volte, quello assunto dagli investitori nel mercato dei derivati era rimasto relativamente basso. Un innegabile attestato di fiducia, insomma.
BOOM STATUNITENSE
valori / ANNO 15 N. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
2013
2014
194
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142
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200
116
400
2015*
merantz LLP, il mercato americano degli auto loans resta relativamente piccolo se paragonato a quello dei mutui immobiliari (8 trilioni di dollari negli Usa). È difficile, in altre parole, che un’ipotetica ondata di default sui prestiti contratti dagli automobilisti americani possa scatenare un terremoto finanziario simile a quello del 2008. Ma il livello di attenzione dei regolatori, in ogni caso, resta piuttosto elevato. Thomas Curry, direttore dell’Office of the Comptroller of the Currency (OCC), l’autorità di vigilanza bancaria statunitense, ha dichiarato a ottobre che alcune attività nel settore degli auto loans riporterebbero alla memoria «ciò che accadeva nel mercato delle ABS sui mutui immobiliari nel periodo precedente alla crisi». L’OCC, ha aggiunto, sarebbe quindi pronto a effettuare controlli sulle operazioni degli istituti maggiormente esposti. ✱
21
finanza etica debiti aziendali
Minibond, la novità piace alle imprese C
di Paola Baiocchi
Dopo le modifiche legislative degli ultimi anni, le aziende piccole e medie possono emettere obbligazioni come le società quotate in Borsa. Ma davvero questi titoli di debito servono a finanziare lo sviluppo?
i sono le obbligazioni Microspore e le Gino SpA di Cuneo, c’è la Pasta Zara e la Rigoni di Asiago. Suona un po’ strano trovare dei titoli con nomi di piccole e medie imprese italiane (Pmi), ma la novità è questa: anche le società non quotate in Borsa, Spa e Srl con fatturati annui oltre i due milioni di euro, possono emettere obbligazioni per finanziarsi. Grazie a una serie di liberalizzazioni, che possiamo definire “a piccoli passi” perché la maggioranza della popolazione non se n’è accorta ma che stanno rendendo più “anglosassone” il mercato finanziario e più in generale la società italiana, vengono ora proposti dei titoli di debito chiamati minibond. Le modifiche normative sono iniziate nel 2010 e sono state completate con i due Decreti sviluppo del 2012 e i successivi decreti Destinazione Italia e Crescita e competitività (vedi BOX ). In pratica sono stati rimossi i principali ostacoli di natura civilistica e fiscale che precludevano alle Pmi la possibilità di emettere obbligazioni per raccogliere risorse finanziarie, privandole di qualsiasi reale alternativa alla strada tradizionale dell’indebitamento bancario. La contrazione della concessione del credito da parte delle banche, la crisi economica e i limiti strutturali delle imprese italiane – piccole dimensioni che non stimolano la crescita attraverso la ricerca e l’innovazione e la propensione alla gestio-
Quota percentuale di imprese che hanno richiesto finanziamenti riceVendo rifiuti nel primo trimestre di ciascun anno considerato
22
2012
2014
12,0
8,5
6,8
3,3
12,1
50-249 addetti 2013
11,3
6,3 1-49 addetti
2011
9,1
18,1
16,0
7,8
14,2
FONTE: ELABORAZIONI UFFICIO STUDI DEL CONSORZIO CAMERALE PER IL CREDITO E LA FINANZA SU DATI BANCA D’ITALIA.
almeno 250 addetti
ne familiare – sono alla base della diffusione dei minibond, che sembra stiano incontrando un discreto interesse da parte delle imprese, a giudicare dal numero delle emissioni che popolano il sito dedicato di Borsa italiana, Extra Mot Pro. Ma altri osservatori considerano i minibond un vero e proprio flop, sotto molti punti di vista.
PIÙ PROGETTI CHE FONDI 233 milioni è il valore dei minibond emessi nel 2015: quasi un terzo del totale, 65 milioni, sono stati strutturati da Kon Group, una società di consulenza finanziaria basata a Londra, Milano, Roma e Firenze. L’amministratore delegato di Kon, Fabrizio Bencini, ha spiegato a Valori quali elementi hanno attirato l’attenzione delle imprese: «L’agevolazione fiscale introdotta è stata minima (la deducibilità dell’interesse indipendentemente dal suo tasso, ndr), ma comunque più conveniente come leva fiscale rispetto ai corporate bond, le obbligazioni aziendali che vengono sottoscritte dai soci. Bisogna dire poi che il credito tradizionale – continua Bencini – è rivolto soprattutto al finanziamento di beni materiali: come l’acquisto di un capannone o di macchinari. Molto più difficile trovare chi finanzia progetti immateriali, magari legati alla ricerca, all’acquisizione di un brand o all’acquisto di un’impresa concorrente. Qui possono intervenire i minibond che hanno molti vantaggi: non sono visibili in Centrale rischi, non richiedono garanzie personali o materiali perché la garanzia è il business stesso dell’impresa. Ci vuole un progetto, e al momento devo dire che ci sono più progetti che fondi». I minibond sono destinati a investitori istituzionali e qualificati: non c’è un taglio minimo, ma la fascia di maggiore concentrazione è tra i cinque e i quindici milioni di euro, con quote da centomila euro. Su modello anglosassone non c’è un elemento terzo che fa da arbitro, ma è l’impresa il controllore di se stessa, autodichiarando i paravalori / ANNO 15 N. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
debiti aziendali finanza etica
metri e pagando gli interessi. Con l’assemblea degli obbligazionisti che può intervenire chiedendo anche il rimborso anticipato in caso di mancato rispetto delle clausole.
POCO TRASPARENTI E POCO LIQUIDI I minibond sono però oggetto di molte critiche: per Beppe Scienza, docente universitario esperto di risparmio e previdenza, «sono sconsigliabili per un investitore perché quasi senza mercato e quindi con prezzi non trasparenti». Dello stesso parere la ricerca svolta dalla società milanese di pianificazione aziendale Cse-Crescendo, che si è posta la domanda se è stato raggiunto l’intendimento del legislatore di consentire alle Pmi di accedere al mercato finanziario per approvvigionarsi di credito finalizzato allo sviluppo e non alla loro sopravvivenza. Lo studio di Cse sulle emissioni fino a 25 milioni, realizzate entro il 14 febbraio 2014, evidenzia che molto spesso prima si decide di fare il minibond e solo dopo si pensa a costruire il business plan per giustificarlo. Ma non solo: otto utility hanno emesso minibond per complessivi 150 milioni di euro, per lavori di pubblica utilità di manutenzione e miglioramento delle reti idriche esistenti e per realizzare nuovi impianti. «Un’operazione di debito pubblico – afferma Cse – che sarebbe stato più conveniente finanziare con strumenti di debito pubblico tradizionali. Infatti, considerando l’attuale costo di un Btp a 20 anni, la collettività ci avrebbe guadagnato almeno in termini di costo del denaro e quindi di interessi pagati dalla Pubblica amministrazione». Sono le rigidità del Patto di stabilità a spingere le utility verso questi strumenti, che avrebbero bisogno – suggerisce Cse – come minimo di una normativa che li obblighi all’esposizione del business plan. ✱
GLI ADEGUAMENTI NORMATIVI
I provvedimenti che hanno riformato e semplificato la disciplina degli strumenti di finanziamento per l’attività di impresa sono, in ordine cronologico, il Decreto sviluppo (Dl 22 giugno 2012 n. 83, come modificato dalla legge di conversione del 7 agosto 2012 n. 134); il Decreto sviluppo bis (Dl 18 ottobre 2012 n. 179, come modificato dalla legge di conversione del 17 dicembre 2012 n. 221); il Decreto destinazione Italia (Dl 23 dicembre 2013 n. 145, come modificato dalla legge di conversione del 21 febbraio 2014 n. 9); il Decreto crescita e competitività (Dl 24 giugno 2014 n. 91, come modificato dalla legge di conversione 11 agosto 2014 n. 116). valori / ANNO 15 N. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
tassi di interesse medi complessiVi sui prestiti alle imprese (istogrammi e scala di sinistra) e differenziale di tassi (linea grigia e scala di destra) tra italia e zona euro
FONTE: ELABORAZIONI UFFICIO STUDI DEL CONSORZIO CAMERALE PER IL CREDITO E LA FINANZA SU DATI BANCA D’ITALIA.
3,8
4,0 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0
2,4
2,8 3,0
3,1 0,7
3,5 0,9
3,5
2,6
1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 0,0 -0,2 -0,4 -0,6
0,8 2,7
1,9 -0,5
2011
2010 Italia
-0,2
Zona Euro
2012
2013
2014
Differenziale
utility che hanno fatto ricorso ai minibond 2014 FONTE: CSE
Titoli Extramot Pro Etra Veneto Servizi Acque Vicentine Alto Vicentino ASI Acqua Livenza Acqua Chiampo BIM Totale
Emissione [mln €] 29,90 29,10 26,00 18,00 15,00 14,00 13,00 5,00 150,00
Tasso 4,2% 4,1% 4,2% 4,2% 4,2% 4,2% 4,2% 4,2%
gli “aiutini finanziari” da regioni e cassa depositi di Paola Baiocchi
La Sardegna e CDP garantiranno le emissioni di bond aziendali attraverso propri fondi di garanzia Gli enti locali ricorrono ai minibond per supportare le imprese private nell’emissione di minibond, attraverso le loro finanziarie. È il caso della Sardegna: a metà di ottobre il presidente Antonio Tilocca ha annunciato in un suo intervento a un convegno organizzato a Villasimius (Ca) che la finanziaria regionale Sfirs garantirà le emissioni di minibond e cambiali finanziarie con il Fondo regionale di garanzia per le Pmi che, proprio per questo fine, nello scorso maggio ha modificato il proprio regolamento. La garanzia a valere sul Fondo (dotazione di 243 milioni di euro) è concessa fino a un massimo dell’80% in caso di garanzia diretta e di controgaranzia e del 40% in caso di cogaranzia. Le garanzie possono essere rilasciate fino a un importo massimo di 2,5 milioni di euro per singola Pmi. Anche Cassa depositi e prestiti (Cdp), nel cammino di trasformazione che sta intraprendendo verso la sua finanziarizzazione e il sostegno delle imprese più che degli investimenti pubblici, sta abbracciando questi strumenti: il Fondo italiano d’investimento, partecipato con quote del 12,5% dal Ministero dell’Economia, Cdp, Confindustria, Abi, Unicredit, Intesa, Mps e Istituto centrale delle Banche popolari (Icbpi), ha “acceso i motori” del nuovo Fondo di fondi di private debt per le piccole e medie imprese, a cui la precedente gestione Bassanini aveva già destinato una dote di 250 milioni di euro. ✱ 23
finanza etica chi decide le priorità?
WEF, il sogno di plasmare il mondo di Paola Baiocchi
La “cittadinanza globale di impresa” è uno dei concetti fondanti del World economic Forum di Davos. Una gerarchia di interessi in cima ai quali pone le corporation, con oltre 5 miliardi di dollari di fatturato
«L’
IL REPORT
Il Global risk 2015 è disponibile su www.weforum.org
annuale meeting di Davos è la forza creativa più importante per impegnare i migliori leader mondiali in attività di collaborazione incentrate sul plasmare le agende globali, regionali e di settore». Nel virgolettato estratto dal suo sito (come tutti gli altri virgolettati nell’articolo), il World Economic Forum (Wef) si descrive così, annunciando l’incontro che si terrà dal 20 al 23 gennaio a Davos, sulle Alpi svizzere. Con abbigliamenti informali, nel periodo delle settimane bianche, dal 1971 (vedi BOX ) un gruppo di rappresentanti di «aziende globali con più di 5 miliardi di dollari di fatturato», selezionate tra mille «delle migliori società del mondo», si incontrano nella cittadina sciistica per fare “rete”, per dar vita a un grande circo a cui si accede solo per invito: 2.500 persone con molte ambizioni e un
una rete extraparlamentare del goVerno mondiale di Paola Baiocchi
Dalla sua creazione ad oggi il Wef ha assunto un ruolo crescente di coordinamento e formazione dei decisori Nel 1971 Klaus Schwab, economista e docente di business all’Università di Ginevra, 24
imponente schieramento di forze dell’ordine pubbliche e private a proteggerli. Il titolo dell’appuntamento 2016 è Mastering the Fourth Industrial Revolution (“Padroneggiare la quarta rivoluzione industriale”) e la dice lunga sul fatto che è il potere il livello che interessa questa organizzazione nata quando il mondo era diviso in due blocchi e la guerra fredda su quale modello dovesse essere egemone in Occidente non trascurava nessun ambito, dalla cultura all’imprenditoria.
PORTE CHIUSE E RISCHI GLOBALI Di quanto si dice durante i meeting nel Canton dei Grigioni si sa poco: gli incontri si svolgono a porte chiuse e i giornalisti invitati non sono lì per scriverne la cronaca, ma per condividerne la visione.
con il patrocinio della Commissione europea e delle associazioni degli industriali europei, ha promosso il primo Simposio europeo del management, con l’intento di avvicinare le imprese europee alle pratiche manageriali americane. L’incontro annuale nella stazione sciistica di Davos ha allargato la partecipazione ai politici a partire dal 1974, sull’onda della prima crisi petrolifera. Nel 1987 la fondazione che coordina l’organizzazione dell’incontro di
Davos ha preso il nome di World Economic Forum, con sede a Coligny, in Svizzera. I meeting nel Cantone dei Grigioni funzionano spesso come luogo di negoziazione extra istituzionale: come nel 1988, quando tra Grecia e Turchia si è arrivati alla Dichiarazione di Davos, che ha contribuito al superamento della crisi bellica tra i due Paesi. Nel 1989 si sono incontrati qui, per la prima volta, i ministri nordcoreani e quelli sudcoreani; nel 1992 de Klerk, Mandela e Buthelezi hanno trattato la questione sudafricana, mentre nel 1994 l’accordo quadro su Gaza e Gerico è stato sottoscritto tra Shimon Peres e Yasser Arafat in questa sede sostitutiva delle Nazioni Unite. La ricetta del taglio delle penvalori / ANNO 15 N. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
chi decide le priorità? finanza etica
Oltre ai rappresentanti delle multinazionali e ai giornalisti, a Davos vengono chiamati esponenti religiosi, sportivi, pubblicitari, attori, intellettuali, dirigenti di Ong e di organismi istituzionali internazionali, politici, musicisti, scienziati, accademici, sindacalisti e tutti coloro che vengono selezionati perché considerati in grado di “guidare il cambiamento positivo”, “plasmare le agende del settore” e avere “un impatto tangibile sulle questioni globali”. Modellare, plasmare, guidare e globale sono le parole che ricorrono più frequentemente nei testi di questa organizzazione, che dimostra allo stesso tempo di avere uno smisurato ego e di voler influire sulle sorti del mondo, agendo come un partito occulto della classe dirigente. Nasce allora più di qualche preoccupazione, leggendo le pubblicazioni del World Economic Forum, come il Global risk report 2015, decima edizione di una mappatura dei rischi globali, basata su interviste sulle percezioni di più di 800 rappresentanti della vasta comunità di referenti del Wef. E i timori crescono se si considera, tra l’altro, che alcune delle imprese in prima fila a Davos sono tra le principali responsabili dei problemi del mondo (come ogni anno dal 2000 ha sottolineato la contro manifestazione Public Eye on Davos, assegnando negli stessi giorni del Forum il premio alla corporation più irresponsabile, vedi BOX ). Il rapporto Global risk 2015 valuta l’impatto potenziale di 28 rischi globali (economici, ambientali, geopolitici, sociali e tecnologici), interconnessi con 13 tendenze e con una rilevanza valutata in differenti orizzonti temporali: nell’immediato futuro, a 18 mesi e nell’arco di dieci anni. In base a ciò il rischio di conflitti internazionali, con la crescente sioni e del welfare, come soluzione di uscita dalla crisi, è stata annunciata proprio a Davos da Tremonti, nel 2009, quando era ministro dell’Economia. I nuovi campioni La rete del Wef nei 44 anni della sua esistenza si è molto strutturata e ramificata, funzionando anche da think tank: oltre alle mille imprese fondatrici ci sono i partner strategici, un gruppo di cento aziende leader a livello mondiale, in rappresentanza delle diverse regioni, selezionate per «il loro allineamento all’impegno del Forum di migliorare lo stato del mondo». C’è poi la rete dei Consigli dell’agenda globale, un comitato consultivo per il Forum e valori / ANNO 15 N. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
presenza, accanto agli Stati, di attori come l’Isis, è considerato il rischio più probabile per la stabilità globale del prossimo decennio. Mentre le crisi idriche, e la diffusione rapida e massiccia delle malattie infettive, sono le minacce percepite come più impattanti per la comunità mondiale. la mappa delle interconnessioni tra i rischi globali 2015 FONTI: GLOBAL RISKS PERCEPTION SURVEY 2014.
Natural catastrophes Catastrofi naturali
Biodiversity Perdita di biodiversità loss and e collasso degli ecosistemi ecosystem collapse
Fallimento Failure nell'adattamento of climateai cambiamenti climatici change adaptation Catastrofi ambientali Man-made environcausate dall'uomo mental catastrophes
Extreme Eventi meteo weather estremi events
Foodalimentari Crisi crises
Water Crisi idriche crises Large-scale Migrazioni involontarie involuntary migration su larga scala
Failure of urban Fallimento progettazioni planning urbane
Spread ofAumento infectious di infezioni diseases
Profonda Profound sociale instabilità social instability
Failure Fallimenti of nelle national governance nazionali governance
Energy price Inflazione fuorishock controllo
Unmanageableinflation Unmanageable inflation
Collassoinformation Critical infrastrutture informatiche infrastructure breakdown
cyberattacchi Cyber attacks
Failurealle Danni of infrastrutture critical infrastructure critiche
Disoccupazione or Unemployment ounderemployment sottoccupazione
Interstate Conflitti interstatali conflict
Bolle Asset finanziarie bubble
Crisi o collassi or crisisstatali Abuso of Misuse di tecnologie technologies
Fiscalfiscali Crisi crises
Terrorist terroristici Attacchi attacks Weapons Armi di distruzione of mass destruction di massa
Deflazione Deflation
Data ofraud Frodi furti informatici or theft
Rischi geopolitici
Rischi economici Rischi ambientali
per le altri parti interessate, come governi e organizzazioni internazionali, che coinvolge gruppi di 15-20 membri, selezionati in base ai temi chiave della scena mondiale. Dal 2007 le città cinesi di Dalian e Tianjin ospitano alternativamente il Meeting annuale dei nuovi campioni, 1.500 partecipanti provenienti soprattutto dai Paesi emergenti. Il Wef organizza incontri di carattere regionale in Sud America, Medio Oriente, Asia e Africa. Vasta la serie di programmi sviluppati, tra cui uno dedicato ai pionieri tecnologici: trenta le aziende di tutto il mondo che vengono selezionate ogni anno, di solito in fase di start-up, tra quelle che «promettono di avere un impatto significativo nel settore in
Rischi tecnologici Rischi sociali
Fallimento Failure of financial dei meccanismi delle istituzioni finanziarie omechanism or institution
Numero e forza delle connessioni ("grado ponderato")
cui operano» e che «devono dimostrare di avere una leadership visionaria». La progettazione del mondo in base a un modello di “cittadinanza globale di impresa” non può dimenticare la formazione: c’è una rete dedicata agli accademici, alla politica e alla ricerca, che «impegna esperti attraverso tre comunità: il Global university leader forum, il Think tank leaders forum e il Network of global agenda councils». Il Wef recluta ogni anno i futuri leader, attraverso lo Young global leaders forum: «200-300 individui straordinari di tutto il mondo che, insieme, formano una potente comunità internazionale che può influire notevolmente sul futuro globale». ✱ 25
finanza etica chi decide le priorità?
IL CONTROVENTO: OCCHI SU DAVOS
concetto di resilienza, declinata in tre casi di buone pratiche di gestione dell’acqua e del rischio idrico: come il programma di protezione dalle inondazioni della Sassonia, che coinvolge l’amministrazione locale e la federazione delle assicurazioni private tedesche (Gdv) nella mappatura del rischio idrico e in un piano di investimenti. «L’iniziativa armonizza gli interessi di tutti gli stakeholders» spiega il rapporto: «i cittadini beneficiano di una maggiore conoscenza della loro esposizione al rischio. Il settore assicurativo è incentivato a partecipare come strumento che incoraggia le famiglie e le imprese a provvedere al loro bisogno di assicurazione. Lo Stato beneficia del fatto che riduce le sue responsabilità in caso di calamità, perché cittadini e imprese se ne assumono maggiormente carico, con assicurazioni e interventi di messa in sicurezza». Invitato a mandare un messaggio al Forum in cui è stato presentato il report 2015, papa Francesco ha sollecitato i maggiorenti ad adottare «una visione trascendente della persona». Ben altra cosa dall’interesse dichiarato del Wef di migliorare lo stato del mondo, a partire dal benessere dell’impresa, a cui le organizzazioni sociali devono far riferimento nel predisporre le risposte per la collettività. In questa ottica anche la valutazione dei maggiori pericoli di «un mondo frenetico e interconnesso» sarà utile alle imprese, che non vivono di beneficenza, ma per fare profitti. ✱
Dal 2000, negli stessi giorni del World Economic Forum, a Davos si tiene il Public Eye on Davos, un contro-evento organizzato da DB (Déclaration de Berne), un’associazione indipendente che conta circa 25mila membri e da 40 anni «si adopera a favore di rapporti più equi tra la Svizzera e i Paesi meno privilegiati». A partire dal 2005 Public Eye ha cominciato ad assegnare i “premi della vergogna” alle imprese più irresponsabili del Pianeta. Divisi nelle categorie diritti umani, ambiente, diritti del lavoro, nei dieci anni del premio i riconoscimenti sono stati assegnati alle maggiori corporation del mondo: Wal Mart, Dow, Shell e Kpmg sono state le peggiori del 2005. Chevron l’ultima in ordine di tempo a ricevere il premio nel 2015 per «la sua attività degli ultimi 10 anni in Bolivia, che ha causato enormi danni ecologici». Dal 2006 Public Eye ha assegnato anche premi positivi, per iniziative coraggiose o pratiche positive; dal 2009 nell’organizzazione del contro-evento è entrata pure Greenpeace. La premiazione 2015 è stata l’ultima a Davos: gli organizzatori hanno spiegato che una presenza pubblica durante il Forum non potrà più essere garantita, a causa dell’impiego massiccio delle forze di sicurezza. Info: www.publiceye.ch
I principali rischi tecnologici presi in considerazione e analizzati sono l’improvviso guasto delle infrastrutture critiche informatizzate e delle reti; gli attacchi informatici su larga scala; la frode e il furto di dati e infine l’uso improprio e l’abuso delle tecnologie, come la stampa 3D, l’intelligenza artificiale, la geo-ingegneria e la biologia sintetica che possono causare danni umani, ambientali ed economici.
[Elaborato assieme a Marsh & McLennan e Zurich Insurance Group, con la collaborazione dei consulenti accademici del Wef: Oxford Martin School (University of Oxford), National University of Singapore e Wharton Risk Management and Decision Processes Center (University of Pennsylvania)].
LE SOLUZIONI
GLOSSARIO RISCHIO Nel Global Risk Report viene definito rischio un evento incerto o una condizione che, qualora si verificasse, potrebbe causare un impatto negativo per diversi Paesi o aziende nei successivi 10 anni. TENDENZA È definita come un processo di lungo termine, attualmente in corso, che potrebbe contribuire ad amplificare rischi globali e/o ad alterare le relazioni tra di loro. A differenza del rischio, scrivono nel report gli analisti del Wef, la tendenza è, quindi, un processo certo e in atto che potrà poi svilupparsi producendo conseguenze positive o negative. 26
Sei pagine del report su 69 sono dedicate alle possibili soluzioni, principalmente con il richiamo al
per Quali rischi le diVerse aree mondiali sono meno preparate? FONTI: GLOBAL RISKS PERCEPTION SURVEY 2014.
EUROPA
Fallimento di a dattamento di cambi c limatici
Attacchi informatici
ASIA CENTRALE INCLUSA RUSSIA
Profonda ins tabilità sociale
Large scale involuntary migration
Disoccupazione o sottooccupazione
Shock dei prezzi dell’energia Profound social instability
Fallimento delle infrastrutture critiche
Crisi dell’acqua
MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA
NORD AMERICA
Attacchi terroristici
3ª
1ª 2ª
Conflitti interstatali
Posizione in classifica in ogni regione
Fallimento dei piani urbani
Interstate conflict
Conflitto interstatale
Catas trofi ambientali dall'uomo
EST ASIA E PACIFICO Profonda instabilità sociale Fallimento di go verni nazionali Fallimento dei piani urbani
AMERICA LATINA E CARAIBI
Fallimento dei piani urbani
Disoccupazione Disoccupazione sottooo sottooccupazione occupazione Crisi del cibo
Diffusione di m alattie infettive
Attacchi terroristici
Crisi dell’acqua
AFRICA SUBSAHARIANA
SUD ASIA
CATEGORIA DI RISCHIO Economica Ambientale Geopolitica Sociale Tecnologica
valori / ANNO 15 N. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
la bacheca di valori ?? finanza etica
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Investimenti etici questi sconosciuti...
L’OCSE accusa: tasse sull’energia poco verdi
Finanza responsabile e consulenti indipendenti sembrano essere due mondi ancora separati. Una ricerca della società di investimenti Alquity ha evidenziato che il 38% dei 400 consulenti intervistati non ha mai parlato con i propri clienti degli investimenti etici, nonostante l'82% ritenga che il settore crescerà nel prossimo quinquennio. Sulla stessa linea, un'indagine Anasf sui promotori italiani: l'80% dei propri iscritti ammette di aver bisogno di maggiori informazioni sugli argomenti della finanza responsabile.
Le tasse sull’energia sono utilizzate poco e male per ridurre i danni all’ambiente della produzione energetica. Lo sostiene l'Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che ha confrontato la situazione di 41 Paesi che insieme usano l’80% dell’energia mondiale. Risultato: per l'Ocse sono minimi gli sforzi per ridurre l’uso di energia, migliorare l’efficienza energetica e spingere verso la produzione da fonti rinnovabili.
VALORITECA SPUNTI DA NON PERDERE NEL MESE APPENA TRASCORSO
USA, LA PARITÀ DEI REDDITI È ANCORA LONTANA
I MIGLIORI TWEET DEL MESE Le imprese responsabili hanno performance finanziarie migliori
Per ogni dollaro guadagnato da un uomo bianco non ispanico, le donne vengono pagate:
11 novembre Sri Event @SriEvent
'@ubiggeri: investimento responsabile dà fiducia a imprese che prendono sul serio sostenibilità #ESG #settimanaSRI 12 novembre Etica Sgr @EticaSgr
Maxi perdita @VENETOBANCA altro clamoroso caso di credito nelle mani di #amicidegliamici I regolatori dove erano? 15 novembre Andrea Di Stefano @distefanonova
IL LAVORO VISTO DALLA GENERAZIONE Y LIQUIDAZIONI A STELLE E STRISCE
Quali sono i benefit del lavoro più importanti secondo i nati tra gli anni ’80 e 2000
BASTANO LE LIQUIDAZIONI DI 100
AMMINISTRATORI DELEGATI PER EGUAGLIARE
QUELLE DEL 41%
DI TUTTI I CITTADINI USA
valori / ANNO 15 N. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
27
numeri della terra
EQUITÀ, SALUTE, TRASPARENZA
I pilastri della felicità 2° > ISLANDA 3°
19°
6°
19°
16°
7° > OLANDA
111°
5°
11°
10°
8°
22°
7°
103°
0,78
39°
8°
14°
↸ ⋔
di Emanuele Isonio
29° > FRANCIA
Verrebbe da dire che per essere felici bisogna avere freddo, a leggere la classifica dei Paesi con i più alti tassi di felicità al mondo, contenuta nel World Happiness Index: i primi otto sono tutti oltre il 50° parallelo (d’altronde babbo natale non viene da quelle latitudini?). ma per non lasciare la curiosità di quali siano gli elementi utili a essere felici, abbiamo fatto un passo in avanti, incrociando quei risultati con altri sette indicatori. e allora si scopre che, spesso, il traguardo della felicità è frutto di una ricetta con alcuni ingredienti da cui difficilmente si può prescindere: non è tra questi la ricchezza economica (meno la metà dei 30 Stati più felici è anche tra i più ricchi). Lo sono invece l’uguaglianza nei redditi, il livello di spesa sanitaria, il basso indice di corruzione, la parità tra uomo e donna. e persino l’uso di agricoltura biologica e il tasso di obesità sembrano giocare un ruolo importante per far crescere il sorriso dei cittadini (solo 6 dei Paesi “superfelici” sono anche tra i 30 Stati con più obesi). c’è poi un altro dato che, soprattutto in periodi di attacchi terroristici, è bene non dare per scontato: nella top 30 della felicità appena tre sono dittature (e sono tutte basate sul petrolio...).
DEMOCRAZIA COMPLETA
28
0,86
0,40% 6°
23,20%
$ 4.126 2°
↸ ⋔
23°
28°
39°
14°
32°
0,77
108°
26°
16°
3,9%
$ 4.864
44°
16° > BRASILE
126° 101° 41°
99°
102°
69°
71°
50° > ITALIA 29°
32°
49°
22°
11°
0,69
18,80%
0,30%
$ 1.085
↸ ⋔ DEMOCRAZIA IMPERFETTA
97°
69°
69°
0,7
19,80%
10,30%
↸ ⋔ DEMOCRAZIA IMPERFETTA
$ 40.400
30,9
↸ ⋔
$ 3.155
48°
0,76
80°
0,69
32,10%
2,3%
$ 664
48,3
$ 17.900
1° > SVIZZERA 47°
↸ ⋔
↸ ⋔ DEMOCRAZIA IMPERFETTA
73°
$ 34.500
88°
$ 42.600
DEMOCRAZIA COMPLETA 123° 104° 47°
51,9
0,75 103°
1°
$ 15.200
23°
12°
31,9
41°
24°
12,2%
63°
76°
17,50%
92°
12° > COSTA RICA
2,60%
118°
87°
18,80%
57°
17°
18,20%
14° > MESSICO
33,00%
0,60%
$ 9.146
40,8
$ 54.800
DEMOCRAZIA COMPLETA
↸ ⋔
35°
$ 9.276
20°
0,71
17°
23,70%
18°
0,4%
76°
$ 1.005
3°
50,3
19°
$ 14.900
75°
DEMOCRAZIA COMPLETA
19°
0,75
26,20%
1,30%
$ 5.718
32,1
$ 44.500
DEMOCRAZIA COMPLETA
↸ ⋔
15° > STATI UNITI
17°
↸ ⋔
$ 55.200
10°
$ 6.145
48°
$ 47.400
58°
28,0
9°
28,7
29°
25,1
34°
DEMOCRAZIA COMPLETA
7°
DEMOCRAZIA COMPLETA
5° > CANADA
valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
il mondo che sorride
21° > REGNO UNITO
0,74
27,30%
3,3%
$ 3.598
32,3
$ 37.700
↸ ⋔ DEMOCRAZIA COMPLETA
1°
26°
84°
5°
3°
↸ ⋔
26°
2°
1°
26°
10°
0,84
14°
4,80%
43°
21,50%
34°
4° > NORVEGIA
$ 9.715
21°
12°
$ 65.900
44°
7°
25,0
36°
DEMOCRAZIA COMPLETA
16°
1°
8° > SVEZIA 4°
104°
4°
4°
13°
77°
3°
2°
12°
3° > DANIMARCA
50°
9°
28°
0,78
22,10%
4,6%
$ 5.093
$ 41.700
25,9
DEMOCRAZIA IMPERFETTA
0,73
26,00%
3,40%
$ 7.981
30,4
$ 92.400
DEMOCRAZIA COMPLETA
0,78
1,30%
25,20% 49°
37°
65°
9°
23°
24°
0,64
13°
22°
59°
12°
12°
10° > AUSTRALIA 8°
31°
44°
11°
24°
↸ ⋔ 0,74
32,70%
26° > GERMANIA
27°
26,80%
10°
54°
4,20%
15°
129°
$ 6.110
83°
11° > ISRAELE
115°
$ 46.600
28°
25°
DEMOCRAZIA COMPLETA
12°
22°
0,78
37°
↸ ⋔
70°
25,10%
9°
35°
↸ ⋔ DEMOCRAZIA COMPLETA
26°
13°
24°
0,7
33°
50°
30,3
13°
19° > BELGIO
-
8°
↸ ⋔ 0,70%
0,73
20,90%
19,4%
$ 5.427
$ 45.400
26,3
DEMOCRAZIA COMPLETA
152°
6,40%
36°
$ 1.569
23°
$ 5.006
93°
$ 65.000
3°
$ 44.700
11°
---
25°
27,0
11°
20° > EMIRATI ARABI UNITI
REGIME AUTORITARIO
14°
17°
26,20%
4°
68°
1,4%
2°
↸ ⋔
↸ ⋔
57°
↸ ⋔
17° > LUSSEMBURGO
24°
36°
$ 2.599
11°
$ 4.233
0,8
18,20%
6,40%
$ 6.270
$ 44.300
24,8
DEMOCRAZIA COMPLETA
↸ ⋔
13° > AUSTRIA
57°
↸ ⋔
5°
$ 46.800
1°
$ 33.400
107°
18° > IRLANDA
16°
33,9
21°
37,6
6°
23°
DEMOCRAZIA COMPLETA
30°
44°
DEMOCRAZIA IMPERFETTA
5°
0,82
0,85
23,0%
9,00%
$ 4.449
26,8
$ 40.500
DEMOCRAZIA COMPLETA 5°
16,3%
15°
↸ ⋔
23,0
6° > FINLANDIA
18,60%
38°
$ 5.680
12°
$ 44.700
8°
DEMOCRAZIA COMPLETA
↸ ⋔
Indice di democrazia [classifica, dati 2014] FONTE: ECONOMIST DEMOCRACY INDEX 2014
↸ Uguaglianza nel reddito familiare FONTE: CIA THE WORLD FACTBOOK
Reddito pro capite
FONTE: CIA THE WORLD FACTBOOK
Spesa sanitaria pro capite [USS] FONTE: WORLD BANK
Coltivazione biologica [%]
9° > NUOVA ZELANDA
⋔ Tasso obesità
↸ ⋔
FONTE: WORLD ECONOMIC FORUM - GLOBAL GENDER GAP INDEX 2014
valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
34°
2°
13°
0,78
65°
28,30%
18°
0,90%
47°
$ 4.063
FONTE: CORRUPTION PERCEPTION INDEX 2014 TRANSPARENCY INTL
Parità uomo/donna
57°
$ 35.000
FONTE: CIA THE WORLD FACTBOOK
Corruzione percepita
4°
36,2
FONTE: FIBL E IFOAM THE WORLD OF ORGANIC AGRICULTURE 2015
DEMOCRAZIA COMPLETA
La classifica degli Stati più felici 1° - 30° 31° - 60° 61° - 90° 91° - 120° 121° - 158°
29
30
valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
ECONOMIA SOLIDALE
UTILIZZO DEGLI ECOSISTEMI È ORA DI PAGARE
P
di Emanuele Isonio
Da un gruppo di atenei italiani un progetto per ricompensare i vantaggi offerti da biodiversità e natura. Obiettivo: addebitare le esternalità a chi le produce. E intanto la Camera sta per approvare la legge sui “sistemi di remunerazione dei servizi ambientali” valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
otrebbe essere sufficiente una cifra a far capire quanto sia folle sottovalutare l’apporto positivo che la biodiversità garantisce agli esseri umani: bastano 1350 chilometri quadrati di territorio, appena un duecentesimo della superficie complessiva del nostro Paese, per ricevere due miliardi di euro sotto forma di benefici che gli ecosistemi naturali forniscono al benessere umano. Moltiplicare quella cifra per l’estensione territoriale italiana significa rendersi conto che siamo seduti su un tesoro da centinaia di migliaia di euro. Non per venderlo al miglior offerente ma per non sperperarlo. Il calcolo è stato effettuato da esperti e ricercatori che dal 2012 lavorano al progetto europeo Life+ Making Good Natura con un obiettivo ambizioso: dare una risposta realistica alla perdita di biodiversità che procede oggi a ritmi impressionanti. In Italia e nel mondo: alcune province italiane – rivela 31
economia solidale biodiversità a rischio
LA NATURA AL NOSTRO SERVIZIO
FORNITURE
I SERvIzI DALLA bIODIvERSITà A vANTAGGIO DEL bENESSERE UMANO FONTE: RAPPORTO TEEB 2011
Cibo
Materiali
Acqua corrente
Risorse farmaceutiche
REGOLAZIONE Disastri naturali
Impollinazione
Filtraggio acque reflue
Controllo biologico
Clima locale
CULTURA Turismo
Stoccaggio del carbonio
HABITAT
Attività ricreative e salute
Esperienze spirituali
uno studio pubblicato su Ecological Indicators – sono arrivate a perdere in 10 anni il 7,5% delle capacità tampone dei propri territori contro gli eventi dannosi e il 9% di potere di assimilazione degli agenti inquinanti. E a livello globale, il rapporto TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity), già nel maggio 2008, valutava la perdita annuale dei servizi ecosistemici in 50 miliardi di euro e prevedeva che, ai ritmi attuali, il depauperamento di biodiversità terrestre entro il 2050 sarebbe pari al 7% del Pil mondiale.
Piacere estetico
Tutela specie ed ecosistemi
L’idea per cercare di invertire la rotta è di far pagare finalmente chi utilizza i “servizi” che gli ecosistemi garantiscono. «Di esempi se ne possono fare tanti» spiega Davide Marino, docente di Economia della biodiversità e contabilità ambientale all’Università del Molise e coordinatore scientifico del progetto Life+MGN. «Alcuni sono beni tangibili come l’impollinazione, le risorse idriche e alimentari, il controllo delle erosioni, il legname. Altri immateriali perché connessi con la cultura umana: gli
Pascolare animali è una delle attività più antiche dell’umanità. Ma, in tempi di biodiversità a rischio, si sottovaluta il ruolo offerto dal pascolo, un servizio ecosistemico forse banale ma essenziale per non arrendersi all’allevamento intensivo. Nel Parco marchigiano del Sasso Simone e Simoncello gli allevatori hanno sottoscritto un contratto con l’Ente gestore: pagheranno 10mila euro fino al 2021 per la superficie utilizzata (1108 ettari). I soldi raccolti saranno usati esclusivamente per interventi di tutela degli ecosistemi che permettono la presenza delle aree di pascolo. Di contro, gli allevatori potranno percepire le indennità Natura 2000. Un accordo con la multiutility Hera inoltre prevede un pagamento a ettaro di foreste interne al parco per la fornitura di acqua. I soldi saranno usati per gestire i boschi utili a mantenere la risorsa idrica.
1
MARCHE: A TUTELA DEI PASCOLI
Diversità genetica
UN RUOLO DA ENFATIZZARE
qUATTRO cONTRATTI ApRIpISTA
32
Erosione e fertilità
ecosistemi permettono il turismo, l’appagamento interiore, il godimento estetico». Molti servizi diversi, ciascuno con un proprio valore, anche economico, che è utile calcolare. Un approccio caro agli economisti ecologici (vedi INTERvISTA a Robert Costanza, forse il nome più noto e stimato nel settore, nel DOSSIER di Valori di novembre), ma criticato da alcuni settori dell’ambientalismo. «Il timore è che tale calcolo serva a monetizzare i servizi ecosistemici per farne merce di scambio, ma non è così» chiarisce Marino. «Sono beni comuni pubblici e assegnarne un valore significa favorire scelte politiche che facciano pagare chi davvero ne trae vantaggio». Un modo per enfatizzare il loro ruolo, spesso sottovalutato. «Senza tali servizi – aggiunge Beti Piotto, del Dipartimento Difesa della Natura dell’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca ambientale (Ispra) – non potremmo avere i componenti indispensabili per il nostro benessere a partire dalla sicurezza alimentare e della salute fisica, senza tener conto degli aspetti spirituali». Il progetto Life+MGN traduce in realtà questo approccio teorico e lo adatta alla realtà delle diverse regioni italiane. I ricercatori hanno calcolato il valore di determinati servizi in aree circoscritte e stimolato la nascita di contratti per il loro sfruttamento. Firmatari dei diversi accordi, da un lato associazioni e imprese che vivono gra-
Ognuno di noi – singoli individui, famiglie, realtà collettive – emette CO2 con i suoi spostamenti, attività lavorative, vita quotidiana. L’accordo tra gli enti locali gestori dei boschi, il CURSA (consorzio universitario italiano capofila del progetto Life+ MGN) e l’associazione Phoresta Onlus permetterà di compensare le emissioni di tali attività acquistando crediti di carbonio prodotti da iniziative di gestione forestale sostenibile. In questo modo si valorizza il servizio ecosistemico di sequestro del carbonio e si responsabilizzano i cittadini sull’importanza di limitare la propria impronta ambientale.
2
COMPENSARE LA CO2 QUOTIDIANA valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
biodiversità a rischio economia solidale
OLIO ESAUSTO: DA MINACCIA A RISORSA
zie all’esistenza di un certo ecosistema, dall’altro le realtà che si prendono cura di mantenerlo in buona salute. «I contratti già conclusi sono quattro (vedi SCHEDE ) – spiega Marino – ma contiamo di superare i venti entro la fine del nostro progetto da attivare in altrettanti siti della Rete Natura 2000 nata per volere Ue con lo scopo di mantenere habitat naturali di grande valore». E così ci sarà chi paga un ente parco per l’uso delle risorse idriche in esso presenti, chi per lo sfruttamento dei pascoli, chi per offrire pacchetti turistici.
Anche l'olio gioca un ruolo nella sfida per preservare ecosistemi e biodiversità: quello alimentare esausto, ad esempio, rappresenta una seria minaccia per le falde acquifere (basta disperderne un litro per contaminare un milione di litri d'acqua). Se valorizzato, al contrario, può diventare una nuova materia, con un valore di mercato che va dai 300 euro a tonnellata in su. da rifiuto a risorsa per produrre biodiesel e saponi. Un esempio concreto dei vantaggi dell'economia circolare, al centro del “progetto Salvalolio” illustrato il 29 novembre alla cascina cuccagna di milano, nell’ambito della terza edizione di giacimenti Urbani. Un'anteprima sulla sperimentazione in corso tra il comune di milano, amsa e una serie di catene della grande distribuzione, capofila coopLombardia, per la raccolta dell'olio alimentare domestico usato nei supermercati. L’incontro è stata l’occasione per preannunciare la creazione di un punto di raccolta dell’olio alimentare esausto nella zona 4 di milano: i cittadini potranno così svolgere il proprio ruolo all’interno del processo che offre nuova vita agli scarti. «La strada verso l'economia circolare passa anche dalla consapevolezza dei consumatori» ha sottolineato donatella Pavan, ideatrice dell’evento. «Per questo motivo, quest'anno abbiamo lanciato una sfida: ripensare la propria quotidianità in modo che ogni cosa possa trovare un suo ruolo».
OCCHI SU MONTECITORIO Di esempi se ne possono fare tanti. La speranza dei promotori del progetto è che diventi un “apripista” a un fenomeno che presto potrebbe prender piede. Il punto di svolta potrebbe essere l’approvazione definitiva da parte del Parlamento del “collegato ambientale” (ddl 1676/A). Una norma che fa la spola tra le due Camere dal 2013 (la propose l’allora ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, durante il governo Letta). L’articolo 70 delega il governo «ad adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per introdurre un sistema di pagamento dei servizi ecosistemici e ambientali». Tra di essi, specifica la norma, dovranno essere sicuramente remunerati la «fissazione del carbonio delle foreste e dell’arboricoltura da
legno, la regimazione delle acque nei bacini montani, la salvaguardia della biodiversità, l’utilizzazione di proprietà demaniali per produzioni energetiche». Dopo l’approvazione del Senato a novembre, il testo è di nuovo approdato a Montecitorio per il voto finale. «L’esito positivo è a un passo» spiega a Valori il presidente della Commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci che prevede il varo tra metà dicembre e gennaio. «Approveremo la legge così come è uscita dal Senato perché apportare ulteriori modifiche significherebbe destinarla a morte certa. Con questa
Il Pino Loricato è una delle piante più tipiche e importanti del Parco Nazionale del Pollino, tra basilicata e Calabria, per il suo elevato valore botanico. Ma molte attività umane, a partire dagli incendi, assai frequenti in zona, lo mettono a rischio. E con lui il servizio ecosistemico connesso con la tutela delle risorse genetiche: il suo valore – calcola l’Accademia EURAC di bolzano – viaggia tra 1,2 e 1,5 milioni di euro mentre la presenza del Pino Loricato induce un valore tra 340 e 700mila euro/anno. Per questo esponenti dell’Ente parco insieme ad associazioni di protezione civile impegnate nelle campagne antincendio hanno stipulato un accordo per incentivare le attività di avvistamento e spegnimento. Le associazioni firmatarie ricevono un compenso economico che diminuisce con l’aumentare delle aree incendiate.
3
IN LOTTA CONTRO GLI INCENDI BOSCHIVI valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
norma andiamo ad adeguarci a cromosomi già presenti nella società italiana e a incentivare passi avanti nelle scelte del nostro tessuto produttivo». La sua reale efficacia dipende però da quanto saranno coraggiose le scelte del governo: «Molto dipenderà – osserva Realacci – da come il ministro dell’Ambiente Galletti vorrà usare il potere che gli deriverà da questa legge». ✱
LINK www.lifemgn-serviziecosistemici.eu www.teebweb.org
Una perla del Tirreno, il Parco del Cilento, vallo di Diano e Alburni presenta un alto valore ricreativo. Per questo, l’accordo prevede che le aziende turistiche paghino i gestori per lo sfruttamento turistico dell’area. Gli introiti saranno reinvestiti in loco per azioni di conservazione. Accanto a questo, per un altro servizio ecosistemico – quello delle risorse faunistiche – il Parco verrà pagato da chi trasforma e usa carne di cinghiale per le attività di cattura degli esemplari in sovrannumero. Le somme incassate saranno destinate ad azioni di tutela delle specie animali presenti.
4
CILENTO: UNA PERLA DA TUTELARE 33
economia solidale veleni nel piatto
Mele europee retrogusto amaro Da Greenpeace un’analisi sui pesticidi nelle produzioni europee: sostanze chimiche in 8 campioni su 10. Alta anche la presenza contemporanea di più residui. A salvarsi è solo l’agricoltura biologica
di Emanuele Isonio
U
no spot migliore per l’agricoltura biologica è difficile da ottenere. L’assist in favore di chi ha scelto metodi di coltivazione a basso impatto ambientale arriva dall’ultimo rapporto Greenpeace sulla melicoltura europea. Un tema che al nostro Paese interessa da vicino: con una produzione che ormai da un decennio fluttua attorno a 2,2 milioni di tonnellate siamo leader nel Vecchio Continente per le mele da tavola e sesti a livello mondiale (vedi GRAFICO ). Nel dossier (“L’abuso di pesticidi nella produzione europea di mele”) vengono presentati i risultati di analisi effettuate da un laboratorio indipendente su 126 di campioni di mele acquistate nei supermercati di 11 Stati europei, Italia compresa. Obiettivo: evidenziare quanto fosse diffuso l’uso
mELIcOLTURA TRIcOLORE: TUTTE LE LINEE dEL SETTORE FONTE: ISMEA
2.500.000
25%
2.000.000
20%
1.500.000
15%
1.000.000
10%
500.000
0
34
5%
2005
2006
2007
2008
2009
Produzione
Consumo apparente
Importazioni
Consumo apparente pro capite
2010
Esportazioni
2011
2012
2013
2014
Destinazione industriale
0%
di pesticidi e in quali casi ne viene trovata traccia sui frutti stessi.
PREOCCUPANO GLI EFFETTI COLLATERALI Le notizie non sono certo rassicuranti: ogni 10 mele coltivate con metodi convenzionali, 8 presentano residui di pesticidi (l’83% a voler essere precisi). E di queste, il 60% presenta due o più sostanze chimiche. Le medie più alte di residui sono state trovate nelle mele provenienti da Spagna, Bulgaria e Olanda. Boscalid, Bupirimate, Captano, Pirimicarb, Clorpirifos-etile: nomi che non dicono nulla al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori ma che, oltre a contrastare funghi, insetti e acari, portano con sé numerosi effetti collaterali: «Metà dei pesticidi rilevati – spiega Christiane Huxdorff, uno degli autori della ricerca – hanno effetti tossici noti a danno di vari organismi acquatici ma anche di api e altri insetti utili. Inoltre, molte di queste sostanze sono bioaccumulabili: hanno quindi impatti negativi sulla riproduzione». Né si può escludere un impatto negativo sull’uomo. I dati sono infatti lacunosi, «in particolare nei dati relativi a cancerogenesi, mutagenesi e interferenza endocrina per una percentuale significativa dei pesticidi rilevati». Per il nostro Paese, le notizie sono meno negative che altrove, tanto da far tirare un sospiro di sollievo ai vertici di Assomela, l’associazione che riunisce l’80% dei produttori italiani: «Nei 10 campioni italiani sono stati trovati tre soli residui con livelli molto bassi (tra 18 e 250 volte inferiori il limite ammesso dalla legge) e tali sostanze non sono potenziali “interferenti endocrini” né causano valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
veleni nel piatto economia solidale
L’ALLARME DI LEGAMBIENTE: FITOFARMACI NEL 42% DEI NOSTRI VEGETALI
effetti tossici sulle api». Merito, secondo i produttori tricolore, della «produzione integrata avanzata» utilizzata da larghissima parte dei coltivatori e della “progressiva adozione di tecniche di difesa ammesse nel metodo biologico». Non un caso, perché è proprio l’agricoltura biologica a uscire pienamente vincitrice dalle analisi: nessuno dei campioni coltivati con tali tecniche conteneva residui rilevabili. «Puntare sull’agrobiodiversità è un elemento chiave di una rivoluzione agricola» sottolinea il rapporto Greenpeace. «È necessario migliorare la gestione del suolo, aumentare il controllo dei parassiti con metodi naturali, scegliere varietà colturali resistenti e
sotto la lente di Valori
adattate alle condizioni locali». Un’inversione netta di tendenza rispetto all’approccio dell’agrobusiness attuale. ✱
’eccellenza italiana sotto la lente di Valori V lori Va FATTI F FA ATTI ITA T LIA L’L’eccellenza TA T IN ITALIA
FATTI IN ITALIA L’eccellenza italiana
Oltre 7mila campioni analizzati in tutta Italia: si concentra sul nostro Paese ma allarga lo sguardo all’intero settore agricolo il dossier “Stop pesticidi” realizzato da Legambiente, basato in questo caso su analisi dei laboratori pubblici regionali. i risultati? a luci e ombre: di positivo c’è che appena lo 0,7% dei campioni sono fuorilegge per la presenza di sostanze chimiche oltre il limite permesso. ma il 42% dei campioni “regolari” contiene almeno un residuo (e la percentuale è in crescita rispetto al 36% registrato nel 2012). e i campioni con più di un residuo sono saliti dal 17% a oltre il 22% con casi da record: cinque residui trovati contemporaneamente nelle mele, otto nelle fragole, quindici nell’uva da tavola. Un esito che non stupisce se si considera che, stando all’ultimo rapporto eurostat, l’italia è il primo consumatore europeo di fitofarmaci. «i piani di controllo nazionali ed europei dei residui di fitosanitari negli alimenti, pur avendo garantito controlli più stringenti, non dedicano la giusta attenzione al fenomeno del multiresiduo e delle sue possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori» sottolinea la direttrice di Legambiente, rossella muroni. «La normativa, infatti, continua a considerare sempre un solo principio attivo, fissandone i limiti come se fosse l’unico a contaminare un prodotto». Una situazione che crea danni sanitari sull’uomo e ambientali al territorio: «gli studi scientifici hanno ampiamente dimostrato gli effetti che l’uso non sostenibile dei pesticidi produce in termini di perdita della biodiversità, riduzione della fertilità del terreno e accelerazione del fenomeno di erosione dei suoli».
IL LIBRO DI VALORI DEDICATO ALL’ITALIA CREATIVA E CAPACE FATTI IN ITALIA Isonio Emanuele to tta Tramon ed Elisabe prefazione ci ac al Ermete Re
a L’eccellenz italiana nte sotto la le di Valori
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economia solidale lotta al cemento
La finanza paziente scopre la campagna di Corrado Fontana
Da alcuni anni i Gruppi d’Acquisto Terreni permettono investimenti virtuosi tramite la buona agricoltura e modelli di produzione ecocompatibili. E i risparmi diventano (anche) frutta, miele, vino…
I
nvestitori sui generis, che sembrano pensare più all’ambiente che al ritorno economico. È questa l’esperienza che promuovono i Gruppi d’Acquisto Terreni (GAT), iniziativa partita nel 2009 da un avvocato e un commercialista del mantovano che unirono i principi dei più noti gruppi d’acquisto solidale con la finanza etica, l’attenzione all’ambiente e lo spirito imprenditoriale. Obiettivo: offrire la propria consulenza per creare occasioni d’investimento in aziende agricole coltivate con metodi biologici e gestite a filiera corta, costituite in forma di società a responsabilità limitata. Destinatari principali: persone e famiglie dalle capacità finanziarie anche modeste, ma motivate a diffondere un modello di produzione ecocompatibile più che ad avere un ritorno economico immediato. Sono già tre in Italia le aziende agricole create o sostenute attraverso questa formula da gruppi di soci (tra 50 e 100 sono quelli necessari per la costituzione di un nuovo
GAT): la prima nata si trova a Quistello (Mn) e le altre due a Scansano (Gr) e Varano de’ Melegari (Pr). «Le aziende agricole costituite devono necessariamente presentare queste caratteristiche: coltivazione con metodi biologici e gestione a filiera corta» spiega il commercialista Gianluca Marocci, tra gli ideatori del progetto GAT. «L’obiettivo è quello di cercare di soddisfare le esigenze di finanziamento delle aziende, che hanno in questo modo la forza per sfuggire sia ai legami soffocanti della grande distribuzione che a quelli del credito bancario, e allo stesso tempo di permettere a chi ha disponibilità da investire di supportare realtà virtuose sul piano del rispetto dell’ambiente e preziose per la tutela del territorio». Società vissute nel pieno rispetto di quel concetto di “capitali pazienti” predicato dai promotori dello sviluppo sostenibile, e che richiedono, per avviarsi, innanzitutto di un terreno dove farle sorgere
ScANSANO, dUE cUORI UNA fATTORIA di Corrado Fontana
Emanuele Carissimi, agronomo che propose il primo GAT nel grossetano, racconta un sogno di vita di coppia fattosi azienda agricola. In armonia con l’ambiente e in grado di raddoppiare il suo valore in 30 mesi 36
«il progetto nasce da un’idea coltivata insieme alla mia compagna a partire da un terreno con casale trovato dopo anni di ricerche. era però troppo grande per le nostre capacità finanziarie, e così abbiamo presentato al gaT un business plan in cui proponevamo le attività agricole e le possibili rendite». Un progetto economico in piena regola: è stato definito un programma dei costi e portato alla raccolta fondi: il valore complessivo di un milione e 150mila euro è stato quindi suddiviso
in cento quote da 11.500 euro, pensate per persone con situazioni finanziarie “normali”. e come qualsiasi investimento, le sorprese negative spuntano all’improvviso: «dopo l’acquisto ci siamo resi conto – ricorda carissimi – che al casale andavano fatte ex novo le fondamenta e altri lavori, con un allungamento dei tempi e un aggravio di spese preventivate». La difficoltà è stata affrontata con un aumento di capitale e l’emissione di 25 nuove quote, deciso in accordo con tutti i sovalori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
lotta al cemento economia solidale
o di un’azienda agricola già esistente da far rinascere, poi di un vero business plan che ne ipotizzi in modo fondato la sostenibilità economica, e infine di una raccolta di investitori che non puntino a fare mera speculazione finanziaria. Sia perché dall’agricoltura non ritornano facilmente grandi ricavi, sia perché le difficoltà in queste avventure non mancano: a dimostrarlo c’è l’esperienza in via di chiusura del GAT dell’Azienda Agricola Biodinamica Il Serraglio, nel ferrarese; come anche la complicata vicenda di quello di Quistello, partito nel 2009 e avviato due anni dopo, allorché è stata individuata una coppia che ne gestisse la parte agricola e l’agriturismo, fino allo stop temporaneo e forzato per il terremoto che l’ha colpito nel 2012, come molte attività imprenditoriali della zona di Mirandola. E però nessuno più di chi vive in campagna sa che “chi la dura la vince”: nonostante la liquidazione anticipata di alcuni soci (passati dai 75 iniziali agli attuali 67), Quistello è ora pronto a ricominciare il cammino, con l’arrivo dei fondi necessari a ristrutturare gli edifici, mentre sono state tenute attive le produzioni agricole e si aspetta il riavvio ci, proprio perché la Srl non permette altrimenti la modifica del business plan iniziale. Una volta risolti i problemi del casale, ci si è finalmente potuti concentrare sull’attività agricola: «abbiamo affittato 5 ettari di uliveto con 1200 piante, che dall’anno prossimo dovrebbe avere una produzione cospicua. abbiamo investito molto sul miele (puntiamo a un livello di mantenimento di circa 150-200 arnie nel giro di un paio d’anni) e aumentato la presenza di zafferano, che offre un’ottima resa rispetto al lavoro richiesto. abbiamo poi progettato un sistema di colture che copra tutto l’anno, riducendo al minivalori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
dell’agriturismo e della coltivazione degli ortaggi nell’estate prossima. E mentre le proposte per nuovi GAT non mancano (Marocci parla di «cinque o sei idee interessanti allo studio, nonché di un allargamento dell’esperienza in corso a Scansano»), il fiore all’occhiello sembra essere ad oggi il GAT di Varano de’ Melegari: nato nel 2014 a partire da un’azienda agricola già guidata dall’attuale viticoltore Alberto Carretti, Podere Pradarolo è conosciuto sul mercato per la produzione di vini naturali (che usano solo i lieviti che si sviluppano naturalmente sull’uva) di grande invecchiamento, caratterizzati da lunga macerazione delle uve, e produce soprattutto per l’esportazione su un terreno situato sulla sponda sinistra del torrente Ceno. E in attesa che i diversi GAT si connettano tra loro, creando magari un marchio di qualità e sinergie commerciali sulla base delle loro specializzazioni, ai soci resta una percentuale su rendite non straordinarie, un incremento più importante della quota investita se le aziende crescono di valore, e la possibilità di partecipare all’attività agricola e godere dei propri prodotti agricoli biologici e naturali. ✱
mo l’impiego di operai esterni e sfruttando il più possibile le produzioni naturali, evitando la monocoltura». eventuali “nemici” delle coltivazioni vengono affrontati con rimedi in linea con l’agricoltura biologica e, dall’anno prossimo, il passaggio successivo prevede l’apertura dell’agriturismo, che serve anche come appoggio per fare i corsi di agricoltura naturale. Tanti tasselli per un progetto imprenditoriale che dimostra di potersi consolidare: «abbiamo un’azienda agricola da 60 ettari (circa metà a bosco) i cui costi (spese vive e stipendi) si aggirano intorno ai 15mila euro annui,
quasi integralmente coperti dai contributi cui accediamo. Le nostre fonti ci garantiscono l’acqua potabile. inoltre siamo sostenibili e autosufficienti sul piano energetico»: grazie a 17,5 chilowatt di pannelli fotovoltaici installati (4 o 5 volte più dei nostri attuali consumi). «Speriamo che questo progetto produca reddito – conclude carissimi – anche se non da diventare ricchi: non è questo, del resto, l’obiettivo. ma è pur vero che il valore dell’azienda, rispetto a una stima effettuata prima della ristrutturazione, in meno di due anni e mezzo è già aumentato da 660mila euro a oltre un milione e 100mila euro». ✱ 37
economia solidale luci e ombre di un settore
Italia dalla pelle dura di Corrado Fontana
cONcIA ITALIANA & AmbIENTE TOp&fLOp Raccolta differenziata
90%
Recupero scarti
70%
Emissione COv (composti organici volatili)
-35% dal 2004
Livello depurazione acque
Smaltimento fanghi di depurazione
I lavoratori rischiano meno ma sono sempre più precari. E la partita degli impatti ambientali è ancora aperta. Lo rivela il progetto Change your shoes del CNMS, che denuncia «un pesante clima di omertà»
L’
ultima vittima dell’idrogeno solforato in una conceria italiana è del 2004. Si chiamava Thiam Mamadou Lamine. Operaio senegalese di 35 anni, viveva a Santa Croce sull’Arno (Pisa) e aveva esperienza, ma respirò il gas mortale dal tipico odore di uova marce sprigionatosi da una botte dove il pellame subisce vari lavaggi. Da allora, tuttavia, il nostro settore conciario non ha registrato altri lutti di questo tipo (il successivo e più recente lavoratore deceduto è del 2012, urtato da un muletto), e nella filiera italiana della lavorazione del pellame parrebbe sostanzialmente scomparso l’utilizzo del cromo esavalente (altamente cancerogeno e bandito, se non in soglie minime, da una direttiva Ue a partire dal maggio scorso). Ma le questioni da risolvere non mancano. Lo si capisce dalla ricerca Una dura storia di cuoio, realizzata dal Centro nuovo modello di sviluppo (Cnms), Fair e Campagna Abiti Puliti, nell’ambito del progetto europeo Change your shoes. Una ricerca che inquadra
LA fILIERA ATTIRA mANOdOpERA STRANIERA
Andamento del numero degli stranieri residenti nel distretto conciario di Santa Croce e in Toscana al 1º gennaio di ogni anno, 2004-2015 (2004=100) FONTE: ELABORAZIONE DATI ISTAT
3.500 3.000 2.500 2.000 1.500 1.000
2004
2005
Stranieri distretto 38
2006
2007
2008
2009
Senegalesi distretto
2010
2011
2012
Stranieri Toscana
2013
2014
2015
il mercato globale – in cui l’Italia è protagonista – fino a puntare il fuoco dritto su uno dei principali distretti locali di lavorazione.
I NUMERI DI UNA LEADERSHIP Il nostro Paese fornisce, in termini di peso, il 9% circa della produzione mondiale di cuoio per suola e il 7,4% della pelle conciata bovina per tutte le altre finalità. In termini monetari rappresenta addirittura il 17% della produzione totale mondiale e il 30% delle esportazioni di pelli finite, con una produzione complessiva della nostra industria conciaria destinata alle calzature per il 43,5%, alla pelletteria per un 24,2% e all’arredamento per il 16,5%. I tre distretti di Arzignano (Vi), Santa Croce sull’Arno (Pi) e Solofra (Av) coprono insieme l’88,6% dell’intera produzione nazionale, e si contraddistinguono a grandi linee per essersi specializzati su prodotti differenti: il primo sull’arredamento e l’auto, il secondo verso calzature e pelletteria, il terzo nella concia di pelli ovine e caprine. A differenza di molti Paesi avanzati, infatti, l’Italia si mantiene forte sia nella produzione di scarpe finite che negli altri comparti della concia, con un numero di addetti che oscillerebbe intorno alle 23mila unità (oltre a migliaia di lavoratori interinali), distribuite progressivamente nei tre distretti: 46% ad Arzignano, 35,5% a Santa Croce, 15% a Solofra. È un mondo industriale fiorente, quindi, che la ricerca racconta dedicandosi in particolare al distretto toscano e raccogliendo storie e dati, riguardo ai quali, ricorda Francesco Gesualdi del Cnms, «abbiamo avuto la sensazione che ci fosse un pesante clima di omertà, sia per quanto riguarda le questioni del lavoro che quelle ambientali». E se, in valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
luci e ombre di un settore economia solidale
L’ImpRONTA dELLA cONcIA ACQUA UTILIZZATA E DA RIPULIRE
ENERGIA IMPIEGATA
dai 60 ai 250 litri
SOSTANZE CHIMICHE UTILIZZATE E TRASFORMATE IN RIFIUTI DA SMALTIRE
da 2 a 2,5 kg
da 37,2 a 210 MJ
di Corrado Fontana
da 4,3 a 6,15 kg
Il giro d’affari planetario è di 50 miliardi di dollari. Due terzi del pellame europeo finiscono in Cina RIFIUTI SOLIDI
generale, la filiera produttiva italiana presenta le «concerie più grandi dedite principalmente alla fase centrale del lavoro, mentre demandano a terzi operazioni specifiche che richiedono macchinari specializzati, motivo per cui esistono tante piccole imprese terziste», i temi del lavoro precario e dello smaltimento dei rifiuti appaiono i più roventi.
LAVORO NERO E DIMISSIONI IN BIANCO Le testimonianze raccolte a Santa Croce e dintorni parlano di molti operai di origine straniera, forniti da agenzie interinali e impiegati a chiamata (quindi ricattabili) con contratti a giornata o a settimana, spesso condizionati da prestazioni in esclusiva per alcune imprese. Lavoratori costretti a procurarsi a proprie spese l’equipaggiamento minimo di sicurezza (stivali, guanti e abbigliamento necessari) per un lavoro faticoso sulla pelle grezza da scarnificare e pulire; svolto in ambienti segnati da rumore, umidità ed esalazioni da sostanze chimiche; talvolta pagati in nero o assunti dopo aver firmato le dimissioni in bianco. In un quadro noto per buona parte ai sindacati. Sul piano ambientale, «per ogni tonnellata di pelle lavorata si producono tra 60 e 250 tonnellate di acqua inquinata (contenente anche circa 20-30 kg di cromo e 50 kg di solfuro), tra 1.800 e 3.650 kg di residui solidi, 2.500 kg di fanghi, tra 4 e 50 kg di solventi emessi nell’aria». Rifiuti speciali in grande quantità, insomma, ma con qualche distinzione. Innanzitutto tra la concia al tannino, cioè al vegetale (tecnicamente imprescindibile per la lavorazione delle suole, ad esempio), e quella al Cromo: mentre i fanghi di rifiuto della prima si possono ritrasformare in gran parte in materiali per l’agricoltura (fertilizzanti e compost), quelli della seconda sono destinati – e in misura minore – a diventare «materiali inerti per l’edilizia o a essere combusti per quanto possibile nei pirogassificatori, ma ciò che non può essere bruciato finisce in discarica», valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
ScARpE: UN pRImATO ASIATIcO. mA L’ITALIA è pRImA NELLA UE
il mercato planetario della produzione, esportazione e lavorazione della pelle, che è per due terzi di provenienza bovina, vanta un giro d’affari da 50 miliardi di dollari l’anno ed è intimamente legato alla gigantesca industria della carne rossa. grandi profitti quindi, che però – nei passaggi dall’allevamento alle tomaie e alle suole delle calzature – non smettono di sfruttare abbondantemente (nell’80-85% dei casi, secondo abiti Puliti) il famigerato cromo Vi nei processi di concia, mettendo così a rischio la salute dei suoi addetti, soprattutto manodopera cinese e del Sud-est asiatico, spesso sottopagata e senza tutele sindacali. «L’87% della produzione mondiale di scarpe viene realizzata in asia», si legge in un altro studio del 2015, Come calza la tua scarpa? e la cina, di gran lunga il maggior produttore con circa 14,6 miliardi di paia (dato 2014), è seguita da india, brasile, Vietnam e indonesia. L’italia, decima nella classifica internazionale, è prima in europa, e dal nostro Paese partono due terzi del wet blue (la pelle grezza al primo stadio di lavorazione) esportato dall’Ue, quasi metà del quale (circa 130mila tonnellate) finisce in cina. La società che produce più pelli sul Pianeta è però brasiliana, la multinazionale JbS, specializzata in allevamenti e macellazione, con 185mila dipendenti e 26 concerie di proprietà, sparse tra brasile, argentina, cina, germania, italia, messico, Sudafrica, Vietnam e Uruguay: centinaia sono le I mAggIORI pAESI pROdUTTORI società e i subfornitori coinvolti nella dI ScARpE IN pELLE
realizzazione delle calzature in pelle, e la concia – si legge in Una dura storia di cuoio – «è uno dei settori privilegiati dei Paesi di nuova industrializzazione, per tre ragioni di fondo: richiede una tecnologia a buon mercato, è una produzione che i Paesi avanzati dismettono perché altamente inquinante, ed è il settore che precede lo sviluppo di un altro tipo di produzione: la fabbricazione di scarpe». ✱
[in % sulla produzione mondiale 2014]
FONTE: FAO, WORLD STATISTICAL COMPENDIUM FOR RAW HIDES AND SKINS, LEATHER AND LEATHER FOOTWEAR 1998-2014, 2015
Altri 30,3% Cina 41,5% Messico 6,7% Italia 5,0% Usa 2,0% Vietnam 3,1% Indonesia 3,2% India 4,1% Brasile 4,1%
conclude Gesualdi. Una differenza a favore del tannino, che tuttavia mostra limiti tecnici nelle lavorazioni, e un segno preoccupante in tema di salute: «Sulla base delle nostre osservazioni nel tempo abbiamo registrato una maggiore frequenza di tumori maligni del naso e seni paranasali fra gli addetti che avevano operato prevalentemente nelle concerie al vegetale», ci scrive la dottoressa Tonina Enza Iaia, al lavoro da anni sul tema nella Usl 11 di Empoli. ✱
LINK www.faircoop.it www.abitipuliti.org www.cnms.it 39
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valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
economia solidale ??
la bacheca di valori ?? economia solidale
NEWS
I MIGLIORI TWEET DEL MESE Even as its economy and population grew, California's GHG emissions fell.
Energia: da rinnovabili il 50% dei nuovi impianti
[Anche se la sua economia e popolazione crescono, le emissioni gas serra in California calano]
11 novembre Climate Reality @ClimateReality
Nessun taglio per gli #F35: confermati i 10 miliardi di euro per acquisto 15 novembre Rete Disarmo @ReteDisarmo
NASA: October 2015 warmest on record, beating 2014 by 0.18°C. First month ever over +1°C above 1951-1980 average!
[NASA: ottobre 2015 il più caldo di sempre, +0,18 °C rispetto a quello 2014. Primo mese sempre oltre 1 °C rispetto a media 1951-1980!] 17 novembre Kees van der Leun @Sustainable2050
«metà dei nuovi impianti di produzione energetica realizzati nel corso del 2014 interessa il comparto rinnovabili» e la quota dovrebbe salire entro i prossimi cinque anni a «circa due terzi» con una prevalenza di «idroelettrico, solare e geotermico». Lo ha affermato il presidente dell’international energy agency, Fatih birol. determinante la persistenza dei sussidi governativi che permetterebbero di compensare la rinnovata attrattività delle fonti fossili causata da un calo dei loro prezzi di mercato. i governi, sostiene il presidente della iea, dovrebbero offrire programmi di sostegno stabili di lungo periodo evitando di modificarli ogni anno. cosa che rischia di spiazzare gli investitori. birol ha inoltre evidenziato il crescente peso delle operazioni condotte dalle aree emergenti, cina e india in testa.
VALORITECA SPUNTI DA NON PERDERE NEL MESE APPENA TRASCORSO
I TOP 15 DEI RIFIUTI URBANI
Produzione in Paesi Ocse [dati 2013 (kg pro capite)*] Nel conteggio sono inclusi rifiuti domestici e similari provenienti da piccole attività commerciali, uffici e istituzioni
NEWS
Ventitré proposte per la transizione verde valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
SANZIONI ALLA RUSSIA: I PAESI PIÙ COLPITI
Valore delle esportazioni di cibo in Russia coperte dalle sanzioni economiche, divise per Paese (in milioni di US$)
FONTE: THE WALL STREET JOURNAL, RUSSIAN FEDERAL CUSTOMS SERVICE, INTERNATIONAL TRADE CENTRE
il consiglio nazionale della green economy, che riunisce 64 imprese dell'economia verde italiana, ha presentato al governo 23 idee per favorire la transizione ecologica dei settori produttivi. grande enfasi sulla leva
fiscale. Tra le richieste: sgravi per chi investe in eco-innovazione, microcredito per i giovani agricoltori, detrazioni per la sharing mobility. nel documento c'è anche una carbon tax, da introdurre entro il 2020. 41
JAKOB GANSLMEIER
JAKOB GANSLMEIER
fotoracconto 04/04
Il dovere di servire la Patria visto con gli sguardi di un ragazzo tedesco, Jakob Ganslmeier, 25 anni di Berlino: un soldato che soffre di disturbi post traumatici da stress è a terra, esausto, dopo un'esercitazione anti-terrorismo prima della partenza per l'Afghanistan. E una bandiera che s’intravede in controluce. Due immagini simboliche dell’impegno cui sono chiamate le Forze armate tedesche non solo sul fronte interno ma soprattutto sul palcoscenico internazionale. Diffuse proteste ha alimentato ad esempio la scelta del governo di non ridurre il numero di truppe impegnate nelle attività della missione ISAF in Afghanistan (scelta che l’accomuna con l’esecutivo italiano). Ad oggi, con 5.350 militari impegnati, quello tedesco è il maggiore contingente del Paese asiatico, secondo solo agli Stati Uniti. Ed è anche uno di quelli che ha sofferto più decessi: 54 soldati tedeschi e tre poliziotti sono morti in Afghanistan dal 2013. Tra loro ci sono i primi riservisti tedeschi a cadere in azioni ostili all'estero dal secondo dopoguerra. Accanto a loro, sono 245 i soldati tedeschi feriti a causa di attacchi ostili.
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In questa pagina, due scatti della serie fotografica Trigger, che sono valsi al 25enne berlinese Jakob Ganslmeier il 2° posto nella categoria 21-25 anni del Deutscher Jugendfotopreis (premio fotografico per i giovani) indetto dal KJF (Centro cinematografico giovanile tedesco). valori / ANNO 15 N. 134 / DIcEmBrE 2015-GEnnAIo 2016
social innovation
Le nostre storie sono a rischio?
L’eredità familiare alla sfida digitale di Andrea Vecci
valutare gli impatti sulla nostra capacità di trasmettere quel know-how familiare da una generazione all’altra. Siamo sulla soglia di una frattura che influenzerà la capacità collettiva di “costruzione di senso”: è il momento di condividere tra tutte le generazioni ciò che apprezziamo di un ambiente non digitale. Temo il giorno in cui riceverò in eredità l’hard disk dei miei genitori contenente centinaia di migliaia di documenti, foto e video digitali. Non avrò tempo sufficiente per fruirlo e nemmeno per comprenderne il significato. La tecnologia mi metterà a disposizione un motore di ricerca efficiente ma sarà più difficile avere uno strumento di sintesi, un alfabeto che trasmetta la rilevanza di alcuni di questi, i più importanti, e che mi consenta di assumere il mandato di “traduttore” della storia familiare e di poter fare altrettanto con le generazioni future. NDIIP dà alle famiglie alcuni consigli per impostare questo archivio familiare: identificare ciò che si desidera salvare; decidere che cosa è più importante; organizzare il contenuto; salvare copie in luoghi diversi. La strategia di conservazione si basa su un cambiamento del concetto di fragilità dei documenti: ieri erano cartacei oggi sono file, oggetti
a maggior parte delle persone ha un archivio di famiglia che racconta alle nuove generazioni chi siamo. Gli archivi di famiglia raccontano la storia delle nostre comunità: alcuni tesori familiari sono diventati patrimonio nazionale. Ricordi, fotografie delle vacanze, lettere d’amore e di guerra, scritture legali e libretti di risparmio, radiografie e analisi del sangue, lauree e collezioni. Le famiglie custodiscono le prove che un evento si è verificato, le pietre miliari della loro storia, una testimonianza che spiega come è successo qualcosa, la sua origine. Le famiglie pre-digitali hanno collezioni fisiche di libri, documenti cartacei, album di fotografie, diapositive, negativi e pellicole, videocassette, diari, certificati di matrimonio, ritagli di giornale, dischi e cassette. Tutte queste fonti registrano i dettagli della nostra vita e aiutano a definirci, non solo con una finalità storica ma anche pedagogica. Il National Digital Information Infrastructure and Preservation Program (NDIIP) è il programma della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti che progetta e attua le strategie di conservazione digitale «I media, alterando l’ambiente, evocano in noi rapporti univoci di percezioni utili a garantire nel corso del tempo l’accesso agli sensoriali. L’estensione di qualunque dei nostri sensi trasforma archivi storici, in modo che siano un’eredità pubblica fruibile nel futuro. La particolarità di questo programma le modalità con cui noi pensiamo e agiamo, il modo in cui percepiamo il mondo. Quando tali rapporti cambiano, gli uomini cambiano». è che si rivolge anche alle famiglie e ai loro archivi, fornendo guide e consigli per la transizione al digitale. [marshall mcLuhan] È un approccio tipico americano, quello di rivalutare quei valori “diffusi” che in Europa vengono lasciati in ombra da una completamente dipendenti dal software, dall’hardware e dall’energia tradizione storico-artistica e archivistica che, da sempre, privilegia la per essere accessibili. dimensione più “verticale” e concentrata dei grandi punti di interesse. Sulla frattura nella costruzione collettiva di senso, sulla fragilità Nella visione in cui tutto è “storico” e può e deve essere letto come tale, di conservazione e trasmissione, sulla mancanza di alfabeti sintetici, rientra anche l’eredità immateriale delle storie familiari e del loro lessico. credo ci sia una grande opportunità per costruire nuove strategie René Barsalo, architetto e designer della comunicazione a Montreal, pubbliche e private di innovazione sociale: dai programmi per le famiglie analizza il grado e la rapidità del cambiamento avvenuto nell’ultimo a nuove applicazioni capaci di includere quel paradigma di interesse secolo negli strumenti di comunicazione e di interrelazione tra le persone generale retrostante all’impoverimento storico e pedagogico che come qualcosa che l’umanità non ha mai sperimentato prima. la vastità degli archivi digitali rischia di portare con sé. ✱ Le innovazioni digitali comportano un restringimento dei tempi di adattamento tra un cambiamento e l’altro, un tempo insufficiente per Maggiori approfondimenti sul blog Social Innovation di valori.it
L
valori / ANNO 15 N. 134 / DIcEmBrE 2015-GEnnAIo 2016
43
INTERNAZIONALE
NIENTE PROGRESSO SIAMO INGLESI
I
di Emanuele Isonio
L’istituto di ricerca NEF ha individuato cinque indicatori del successo nazionale per fotografare lo stato del Paese. Solo due sono positivi. Male i dati su lavoro, ambiente e uguaglianza economica. Sotto accusa le scelte del governo e gli interessi della City finanziaria valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
n gergo calcistico, si direbbe che l’Inghilterra esce sconfitta 3 a 2. In gol sul fronte salute e livello di benessere complessivo (sfiorando di appena un gradino la top 20 dei Paesi più felici del mondo, come documentiamo nella MAPPA di pag. 28). In svantaggio a causa dei cattivi risultati sul fronte lavoro, ambiente ed equità. La fotografia, che descrive meglio di Pil e indici di Borsa i chiaroscuri del Regno Unito, è stata scattata dai ricercatori della New Economics Foundation (NEF), think tank britannico indipendente, fondato quasi 30 anni fa per diffondere un nuovo modello di progresso. Per farlo, in un rapporto (“Gli indicatori del successo nazionale”) reso pubblico poche settimane fa, hanno raccolto le performance britanniche in cinque settori chiave nell’ultimo anno e li hanno confrontati con i risultati dei quattro anni precedenti. Ne è venuta fuori una descrizione di tutte le contraddizioni di un Paese in cui la crescita economica e finanziaria è disconnessa dalla sicurezza sociale, sostenibilità ambientale e tutela del lavoro. 45
internazionale indicatori del benessere LAVORI STABILI SOLO IN 6 CASI SU 10
Proporzione tra forza lavoro e quantità di lavori stabili tra il 2011 e il 2014
che coprano il reddito di sussistenza. E appena il 60,6% della forza lavoro ha un lavoro stabile (vedi GRAFICO ). Allo stesso tempo, come è facilmente comprensibile, il livello di disuguaglianza è in crescita: i redditi medi del 10% più ricco della popolazione inglese superano di 8,7 volte quelli del 10% più povero. Un andamento peggiorato dalla metà degli anni ’80 (l’era d’oro del thatcherismo) e ha toccato il picco con la bolla Dot-com del 2001 (vedi GRAFICO ). Anche sul fronte ambientale, nessuna notizia positiva: ancora un misero 2% di crescita delle emissioni di CO2 e il Regno Unito avrà superato la soglia di pericolo. Blandi gli sforzi fatti finora: quattro anni fa, quella soglia era lontana 7 punti in più.
FONTE: ELABORAZIONI NEF SU DATI DELL’UFFICIO NAZIONALE DI STATISTICA INGLESE
100% 90%
92,0%
93,8%
92,5%
92,2%
80% 70% 60%
62,5%
61,3%
61,0%
60,6%
50% 40% 30% 20% 10% 0%
2011
% forza lavoro impiegata
2012
2013
2014
% forza lavoro con contratti stabili
Le uniche note positive i ricercatori di NEF le hanno colte sulla soddisfazione di vita (in una scala da 1 a 10, il dato medio di benessere percepito è di 7,6). E in ambito sanitario, il rapporto NEF ha evidenziato il tasso di morti evitabili rispetto al totale dei decessi avvenuti nell’anno: il 23%, quasi
uno su quattro. I numeri sono quindi ancora impressionanti ma comunque in diminuzione dal 26% del 2001. Le notizie positive finiscono qui. Per il resto, le altre performance offrono quasi solo ombre: nel mercato del lavoro, il 40% dei cittadini non ha lavori sicuri né paghe
IL PESO DELLA SPECULAZIONE Lo scenario complessivo è preoccupante. Per spiegarlo, dal NEF puntano il dito contro il “breve-termismo” che guida le scelte del governo di Sua Maestà, al pari di molti altri Stati: «Questo porta a dare priorità a scelte che assicurano solo la crescita eco-
STIpENDI, IL ROSA NON SI ADATTA ALLA BUSTA pAgA Nel Regno Unito, le donne sono pagate il 10% in meno degli uomini. Cameron annuncia decisioni drastiche. Ma finora le promesse sono andate a vuoto nel prossimo futuro, le aziende inglesi con più di 250 dipendenti potrebbero essere obbligate a pubblicare le statistiche sulle disparità di redditi tra uomini e donne. il premier inglese david cameron ne ha fatto un simbolo della sua battaglia contro l’eliminazione delle disuguaglianze. Fra le tante iniquità interne al regno Unito, le differenze retributive di genere appaiono impressionanti: le donne guadagnano il 10% in meno dei colleghi maschi, secondo l’Ufficio nazionale di Statistica. in termini di paga oraria: 13,6 sterline per gli uomini, appena 12,3 per le donne. ancor più severo il giudizio di eurostat: più del 19% di divario, superiore alla media europea del 16,4%, 46
IL DIVARIO NEI REDDITI
Salari orari medi per impiegati a tempo pieno nel Regno Unito, dal 2006 al 2014 in sterline FONTE: OFFICE FOR NATIONAL STATISTICS (UK) © STATISTA 2015
[retribuzione oraria in GBP]
di Emanuele Isonio
15
12,5 11,64 10
11,97 10,14
10,48
12,97
12,5 10,92
11,39
13,27
13,12
13 11,69
11,75
12,01
13,6
13,59 12,24
12,31
7,5 5 2,5 0 Maschi
2006
2007 Femmine
2008
2009
a distanza siderale dal 3,5% di differenza registrata in Slovenia, ma anche dal 7% italiano. i grandi gruppi commerciali e industriali finiscono nel mirino ma, il più delle volte, respingono le accuse. Lo ha fatto, rispondendo all’agenzia Bloomberg, l’istituto di consulenza PriceWaterhouse coopers: in media le donne guadagnerebbero nei suoi uffici il 15% in me-
2010
2011
2012
2013
2014
no degli uomini, ma, se ponderato con il livello di reddito, il gap crollerebbe a meno del 3%. ma il sospetto (certezza?) che la situazione sia grave rimane: nel 2011, 300 aziende britanniche promisero di rivelare pubblicamente il divario negli stipendi di uomini e donne. Quattro anni dopo, solo cinque hanno effettivamente mantenuto quella promessa. ✱ valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
indicatori del benessere internazionale
nomica immediata», spiega Karen Jeffrey, una delle autrici della ricerca, che cita due esempi concreti: «le politiche di sostegno al settore delle fonti fossili e le strategie di politica economica basate sul debito privato». A rendere complesso invertire una rotta c’è anche il peso prepotente della Borsa londinese: «La visione a breve termine della finanza più speculativa incoraggia investimenti in attività che favoriscono profitti di corto raggio e sottovalutano le esternalità negative. Gli investimenti che si remunerano nel lungo periodo ne escono svantaggiati». E la pressione della City è enorme sulle scelte governative: «Il potere è concentrato nelle mani degli attori che spingono per politiche che favoriscano le loro operazioni. La finanza predatrice può quindi esacerbare i problemi evidenziati in questo rapporto, aumentando ad esempio le disuguaglianze dei redditi». Ma non ci sono solo broker e decisori pubblici sul banco dei responsabili. Anche l’opinione pubblica ha la sua parte di responsabilità: «Purtroppo – prosegue Jeffrey – i media e la maggioranza degli elettori tendono a giudicare il successo di un governo dalla crescita economica ottenuta durante il mandato. E così i politici danno priorità all’incremento del Pil». La speranza di cambiare le cose è legata a un diverso modo di calcolare il progresso nazionale. Un passaggio cruciale per «riorientare le priorità necessarie a creare un modello di progresso più vicino ai reali obiettivi della nazione». Nonostante i balbettii del mondo politico e le ritrosie di interi gruppi industriali, qualcosa si muove a livello euro-
VIOLENZA, NON ARGINARLA COSTA 14 TRILIONI
Fare la guerra arricchirà il mondo degli armamenti ma, a livello economico globale, non è un buon affare. niente buonismi, solo un calcolo che evidenzia come il cammino verso il vero benessere s’inizi anche non sottovalutando i vantaggi economici della pace. ci pensa ogni anno l’Institute for Economics and Peace. in un calderone finiscono tutti i costi connessi con la violenza: dalle spese militari ai servizi di polizia, alle perdite di Pil dovute a conflitti, fino a terrorismo, aggressioni e crimini sessuali. Tutti insieme valgono 14,3 trilioni di dollari, oltre il 13% del Prodotto interno lordo mondiale. Un’enormità che trasforma la pace in un investimento economico: “basterebbe ridurre del 10% quella cifra – si legge nel rapporto – per generare risorse sufficienti a coprire per sei volte il debito greco causato dalla crisi finanziaria, per decuplicare l’assistenza allo sviluppo per i Paesi poveri e a triplicare i redditi del miliardo di persone che vive sotto il livello di povertà assoluta (meno di 1,25 dollari al giorno)”. ma quella riduzione appare irrealistica, almeno osservando il trend dell’indice negli ultimi sette anni: nel 2008 la cifra complessiva era di due trilioni più bassa. a crescere di più, tra le diverse voci prese in considerazione, i costi legati alle morti per conflitti interni (+378%) e per attività di peacekeeping (+166%). ImpATTO ECONOmICO gLOBALE DI VIOLENzA pER CATEgORIA - DATI 2014 FONTE: GLOBAL PEACE INDEX 2015
6.181 $ SPESE MILITARI
255 $
2.061 $ OMICIDI
235 $
1.545 $ 1.346 $
1.207 $
SICUREZZA INTERNA
CONFLITTI
81 $
ABUSI SESSUALI
64 $
54 $
MIGRAZIONI COSTI AGENZIE MORTI DA TERRORISMO FORZATE NAZIONALI CONFLITTI E RIFUGIATI DI SICUREZZA INTERNI
peo: «Sul tema della misura del “vero” benessere” stanno lavorando diversi istituti di statistica. Grande interesse suscita, tra gli altri, il BES (Benessere Equo Sostenibile) ideato dall’Istat italiano». Ma c’è un ostacolo che limita la speranza di arrivare a una “Maastricht dei criteri socio-ambientali”: «I cinque indicatori da noi pro-
I CINqUE SETTORI DELL’INDAgINE NEF
752 $
510 $
SERVIZI DETENZIONI DI SICUREZZA PRIVATA
24 $
PAURA PEACEKEEPING CAUSATA ONU DA VIOLENZA
6$
1$
ARMI LEGGERE
MORTI DA CONFLITTI ESTERI
posti sono stati selezionati attentamente sulla base di quelli che la popolazione britannica riteneva temi prioritari. In ogni Stato il set di indicatori deve essere adeguato al punto di vista delle diverse opinioni pubbliche». Una prova che sulla definizione di progresso il cammino per l’Europa unita è ancora lungo. ✱
Lavori stabili
Benessere
Ambiente
Equità
Salute
-1% in 4 anni Il 61% della forza lavoro ha lavori sicuri con paghe superiori al reddito
+0,9% in 4 anni Livello medio di soddisfazione di vita di 7.6 in una scala da 0 a 10
-1,8% in quattro anni Emissioni di CO2: sono appena il 2% sotto il limite fissato per evitare seri danni climatici
-0,8% in 4 anni Al netto delle tasse, i redditi medi del 10% più ricco è di 8,7 volte maggiore del 10% più povero
+1,8% in 4 anni Il 23% delle morti in Inghilterra e Galles potrebbero essere evitate con una copertura sanitaria pubblica di qualità
valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
47
internazionale indicatori del benessere
Un mezzo adieu al Pil francese di Andrea Barolini
Il governo di Parigi ha pubblicato il primo rapporto che valuta l’economia transalpina sulla base di indicatori alternativi al classico Prodotto interno lordo. Dieci voci per una foto più realistica del Paese
I NUOVI INDICATORI
Tasso d’impiego 64,3% contro 63,9% zona Euro
48
«D
obbiamo integrare il Prodotto interno lordo con nuovi indicatori che tengano conto della qualità della vita e dello sviluppo sostenibile». La deputata ecologista francese Eva Sas spiegava così, nella scorsa primavera, la necessità di approvare una legge per imporre al governo la pubblicazione di un rapporto annuale che fotografi la realtà economica, sociale e ambientale non soltanto dal punto di vista meramente quantitativo (quello, appunto, del Pil). Le ultime decisioni in campo economico volute dal governo socialista francese, aveva spiegato Sas, seguono un’unica stella polare: «Aumentare il Pil. Ma esso è un indicatore parziale, che non riflette tutte le sfaccettature della società, né tiene conto del lungo termine». Anche il segretario di Stato al Bilancio, Christian Eckert, aveva ammesso che «l’indicatore non è in grado di misurare la qualità della crescita» perché, ad esempio, non tiene conto in alcun modo del patrimonio ambientale o ancora del volontariato. Eppure, quest’ultimo è fondamentale per il benessere collettivo, arrivando perfino a sostituirsi o a integrare il welfare state.
DUBBI DI COSTRUZIONE La legge proposta da Eva Sas è stata approvata il 13 aprile, e il 27 ottobre scorso il governo ha pubblicato il primo rapporto che valuta il sistema economico in ottica qualitativa. Per farlo, l’esecutivo transalpino ha scelto 10 indicatori, basandosi su una
Ricerca 2,3 del Pil (in crescita continua dal 2007)
Indebitamento settore pubblico 96% del Pil imprese: 81% del Pil famiglie: 55% del Pil
consultazione pubblica organizzata dai think tank France Stratégie e Cese. Così, i “fondamentali” della nazione europea sono stati valutati in termini di tasso di occupazione, di diseguaglianze nei redditi, di impegno nella ricerca. Ancora, sono stati misurati il tasso di indebitamento dello Stato, la qualità della vita di chi versa in condizioni di povertà, la speranza di vita in buona salute, la soddisfazione complessiva della popolazione, il problema della dispersione scolastica, la quantità di CO2 emessa dal “sistema-Paese”, nonché gli avanzamenti in materia di salvaguardia del territorio. Ciascun dato risulta opinabile nella sua ideazione e declinazione: l’indicatore della quota di persone “occupate” risulta ad esempio pari al 64,3% del totale degli abitanti di età compresa tra 15 e 64 (contro una media europea del 63,9%), solo perché nella quota rientrano tutti i cittadini che abbiano lavorato nel periodo di riferimento almeno un’ora a settimana. Il dato sulla ricerca, poi, è calcolato come spesa in percentuale al Pil (al 2,3%), cioè in rapporto allo stesso indicatore che si vuole superare. Mentre quello che si propone di misurare la “soddisfazione della popolazione” non rappresenta altro che la media delle risposte di un campione di cittadini a un sondaggio.
DISUGUAGLIANZE E VITA SANA Più interessante, invece, il fatto che, al fianco dei dati sul debito pubblico, vengano presi in consi-
Aspettativa di vita sana +2 anni per le donne +3 anni per gli uomini rispetto alla vita sana
Soddisfazione di vita 7,1 su scala da 0 a 10
valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
indicatori del benessere internazionale
derazione anche quello relativo all’indebitamento delle imprese e delle famiglie. La speranza di vita in buona salute, inoltre, risulta pari a 79 anni per gli uomini e 85,6 anni per le donne (contro una media europea, rispettivamente, di 77,8 e di 83,3). Mentre l’indicatore delle disuguaglianze ha misurato il rapporto tra la remunerazione totale del 20% dei nuclei familiari più ricchi e quella del 20% meno agiato. Un calcolo utile a capire quanto efficace sia il sistema fiscale nel ridurre le disparità, dal momento che tiene conto di quanto effettivamente intascato dai cittadini, al netto delle tasse. In altre parole, vengono presi in considerazione i dati “successivi alla redistribuzione”: ne è disceso il calcolo di un indicatore che è stato misurato nella cifra “4,3” (riferita al 2013). Non si tratta né di una percentuale di qualcosa né di un rapporto: per comprenderne il valore, è necessario raffrontare il dato con il valore indicato per il 2012, quando esso risultava più alto (a quota 4,6): le diseguaglianze appaiono dunque in diminuzione. Ma restano ancora superiori ai dati degli anni ’90.
IMPRONTA ECOLOGICA: +650% IN 25 ANNI Quanto alla povertà, il sistema scelto dalla Francia per identificare le condizioni di difficoltà prevede l’utilizzo della metodologia di Eurostat, che considera povera una persona che lamenta almeno tre di una rosa di nove “privazioni” o “difficoltà materiali”: non aver potuto pagare un affitto o le bollette nel corso degli ultimi 12 mesi, non riuscire a riscaldare la propria abitazione; non poter fronteggiare spese impreviste; non poter consumare carne per due giorni di seguito; non potersi permettere una settimana di vacanze lontano da casa all’anno; non possedere una tv a colori, o una lavatrice, o un’automobile personale, o un telefono. In queste condizioni, in Francia, vive oggi ben il 12% della popolazione. Sul fronte ambientale, l’impronta ecologica transalpina è stata calcolata prendendo in considerazione non solo la CO2, ma anche il metano e il protossido d’azoto emessi per soddisfare la domanda interna, sommati agli stessi gas ad effetto serra
Disuguaglianze nei redditi 4,3 nel 2013 contro il 4,6 del 2012 (rapporto tra 20% redditi famiglie più ricche e 20% più povere)
Povertà 12% della popolazione
valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
CINA, DALLA CRESCITA AL pROgRESSO di Andrea Barolini
Da più di un anno decine di enti locali hanno abbandonato le classiche misurazioni quantitative della ricchezza in favore di analisi qualitative. «non possiamo più utilizzare il Pil per indicare chi è più bravo» aveva dichiarato il primo ministro cinese Xi Jinping l’anno scorso. e così dall’agosto del 2014 circa 70 tra città e distretti avevano deciso infatti di abbandonare il Prodotto interno lordo come indicatore della loro crescita locale. La provincia del Fujian aveva ad esempio sostituito il dato meramente quantitativo con altri valori, che si concentrano sull’agricoltura e sulla protezione dell’ambiente. Un cambiamento di rotta epocale per un territorio che, storicamente, è molto concentrato sulle esportazioni e sul comparto manifatturiero. Un discorso analogo vale anche per il distretto siderurgico di Hebei, che con la sua produzione rappresenta una delle cause dell’inquinamento della capitale Pechino. «L’utilizzo del Pil come principale indicatore ha comportato numerosi problemi, come una distribuzione ineguale dei redditi, problemi sociali legati al sistema di welfare state, nonché costi ambientali», aveva spiegato al Financial Times Xie Yaxuan, capo delle analisi macroeconomiche presso la China Merchants Securities di Shenzhen. il quotidiano inglese ha raccontato la storia di Zhang gaoli, funzionario che alla fine del 2012 ha scalato i vertici politici nazionali, fino ad arrivare a ricoprire la carica di vice primo ministro. i suoi meriti furono quelli di aver trainato la città di Tianjin a una mega-crescita, alimentata soprattutto dall’edificazione di una “manhattan cinese”: un complesso di grattacieli oggi, in buona parte, disabitato. in altre parole, la corsa sfrenata alla crescita a tutti i costi ha alimentato la speculazione. Proprio dopo aver constatato tale stortura, negli enti locali interessati dalla sperimentazione, le autorità cinesi hanno deciso di passare dal concetto di crescita a quello di progresso, introducendo ad esempio parametri come la misurazione della quantità di foresta conservata e la diminuzione del tasso di povertà. ✱
“contenuti” nelle importazioni. Il risultato è pari a 10,5 tonnellate per ciascun francese (dato riferito al 2012). Infine, l’indicatore di tutela del territorio calcola le aree coperte da immobili, strade, parcheggi, ferrovie, miniere, discariche, cantieri: è pari al 9%. Dato in crescita dell’1,2% rispetto al 1992. ✱
Uscita precoce dal sistema scolastico 8,5% contro l'11,1% Ue
Impronta di carbonio 10,5 tonnellate equivalenti di CO2 pro capite
Sfruttamento del suolo 9% (+1,4% dal 1992)
49
internazionale una crisi latente
L’embargo silenzioso che stritola il Nepal di Alberto Lanzavecchia*
Da sei mesi, l’India, unico fornitore di carburante, ha tagliato gli approvvigionamenti al piccolo Stato asiatico. Risultato: greggio alle stelle al mercato nero e settore turistico allo stremo
I
l 25 aprile scorso un catastrofico terremoto di magnitudo 7.8 colpiva le regioni centrali e occidentali del Nepal. Oltre 8900 persone sono morte e un milione hanno perso la loro casa. Quasi per paradosso, il 206-esimo Paese su 228 al mondo per ricchezza pro capite (694 dollari Usa), non disponeva di infrastrutture (autostrade, ferrovie, ponti, ecc.) danneggiabili, bensì antichi templi, monasteri, palazzi e città reali, inevitabilmente lesionati o completamente distrutti: i danni e le perdite economiche sono stimate in 7,1 miliardi di dollari, pari a oltre il 36% del Pil registrato nel 2014. Un danno simile avrebbe messo in ginocchio qualsiasi altro Paese: con danni stimati in 13,2 miliardi di euro, il terremoto del 2012 in Emilia Romagna rappresentò lo 0,8% del Pil italiano; e i 231 miliardi di dollari di soli danni economici
(esclusi quelli ambientali e sociali) causati dall’uragano Katrina incisero per l’1,8% del Pil degli Stati Uniti. Eppure quel popolo umile, laborioso e fiero di non aver mai subito una dominazione coloniale, avviò subito la ricostruzione. Complici le piogge monsoniche più moderate del normale e il clima mite (el Niño si fa sentire fin lassù), tutto era già pronto per la nuova stagione turistica e con essa i nuovi afflussi di capitali freschi. Ma le cose sono andate diversamente.
IL PREZZO DELLA DEMOCRAZIA L’ex presidente Usa, Jimmy Carter, nella prima settimana di novembre aveva in programma un viaggio in Nepal, nel distretto del Chitwan, al confine con l’India. Nonostante un cancro e l’età, il novantunenne premio Nobel per la pace nel 2002 vo-
UN pAESE CHE VIVE DI TURISmO FONTE: WTTC
1000
12,0 11,6 11,2
750
10,8 10,4
500
10,0 9,6 9,2
250
8,8 8,4 8,0
50
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 Contribuzione totale del settore turismo e trasporti al PIL [% del Pil] Contribuzione totale del settore turismo e trasporti - numero ingressi [migliaia]
2015
0
valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
una crisi latente internazionale
leva visitare i villaggi dove le sue attività filantropiche avevano reso possibile la ricostruzione. L’8 ottobre l’ambasciata americana, come molte altre, metteva in guardia i viaggiatori: “A causa della mancanza di carburante a livello nazionale, a causa di ostruzioni al confine con l’India, molte delle misure di sicurezza su cui normalmente contare in una situazione di emergenza potrebbero non essere disponibili. Queste misure includono spostamenti aerei e ospedali locali. Ad oggi questi servizi sono ancora in funzione, ma se avete intenzione di soggiornare per più giorni la situazione potrebbe cambiare drasticamente durante il vostro programma”. Carter, come molti altri turisti, annullò il viaggio. Alla base della scarsità di carburante, non c’è una crisi di liquidità. Il Nepal sta però pagando il prezzo per difendere la sua democrazia e sovranità nazionale: dallo scorso 20 settembre, dopo un negoziato iniziato nel 2008 con la deposizione delle armi dei ribelli maoisti e la fine di una monarchia durata 240 anni, il Paese ha una nuova Costituzione (vedi BOX ), la cui approvazione è all’origine di perduranti violente manifestazioni – che hanno causato oltre quaranta morti – nelle regioni meridionali di pianura al confine con l’India, abitate in prevalenza dalla minoranza madhesi, che si sente discriminata: a seguito delle sommosse, il governo indiano ha così deciso di bloccare il trasporto di merci attraverso i principali valichi di frontiera con il Nepal, con conseguenti difficoltà nell’approvvigionamento di benzina, di medicinali negli ospedali e di generi alimentari. Nell’interrompere unilateralmente le forniture (di cui l’Indian Oil Corporation, soggetto all’influenza del governo di Nuova Delhi, da 40 anni è monopolista), di fatto l’India ha avviato un embargo nei confronti del Nepal.
valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
IL PONTE TRA MICROFINANZA VENETA E KATHMANDU
Microfinance in Action è un progetto di cooperazione internazionale finanziato dalla regione Veneto e l’Università di Padova, organizzato dal centro di ateneo per i diritti Umani, in collaborazione con apex college di Kathmandu e alcuni soci di Veneto responsabile. Studenti nepalesi di management e studenti internazionali in Human Rights and Multi-level Governance dell’Università di Padova hanno appreso, discusso e confrontato teoria e prassi della finanza etica in europa e in nepal. Prima in aula, poi sul campo: incontri con il management della banca di microcredito Muktinath Bikas Bank a Pokhara e visita ai villaggi per incontrare i beneficiari del credito e verificare l’impatto della finanza etica. e nei centri montani più remoti, per consegnare il frutto della campagna United for nepal organizzata dagli studenti padovani alla cooperativa femminile Neelkanth Women Saving and Credit Cooperative Company e a Sagarmatha International Foundation. «Portiamo in noi ora una grande speranza – raccontano Vittorio e Silvia, due degli studenti italiani – frutto della condivisione, confronto e arricchimento reciproco tra diverse visioni ed esperienze: il progresso verso una finanza e un’economia più giusta. È nata una profonda consapevolezza che, con piccoli gesti, ognuno può rendersi partecipe di un cambiamento più grande, per affidare alle generazioni future un mondo migliore». info su: http://tinyurl.com/q5etrf5 [Vittorio Tavagnutti]
Il popolo nepalese da mesi si è abituato a vivere senza carburanti per i mezzi privati (se non a caro prezzo nel mercato nero). Il poco petrolio, in distribuzione controllata dalla forza pubblica, è destinato al trasporto turistico o ai mezzi pubblici, inevitabilmente sovraffollati. Se all’inizio il problema era l’inflazione e la scarsità di beni, ora è il freddo dell’inverno e l’avvio della stagione turistica.
DONNE E MICROCREDITO PER LO SVILUPPO RURALE Il Nepal è un paese sicuro, con suggestivi paesaggi naturali e luoghi di cultura. Una crisi nel settore
In queste pagine tre immagini di vita quotidiana a Kathmandu. Nella pagina successiva, code di bus e camion in estenuante attesa per la razione di carburante provocano ingorghi alla circolazione lungo la Prithivi Highway, del distretto di Dhading.
51
internazionale una crisi latente mERCI, SERVIzI, REDDITI: L’UNIVERSO NEpAL FONTE: NEPAL RASTA BANK
ANDREA PETTRACCHIN
2009-10 2010-11 2011-12 2012-13 2013-14 2014-15 Import-export merci -303.515 -319.670 -373.141 -461.305 -595.413 -663.497 -16.385 -8.675 14.057 7.586 20.882 27.618 Import-export servizi -319.900 -328.345 -359.084 -453.719 -574.531 -635.879 Saldo commercio beni e servizi 9.117 7.549 12.291 13.079 32.752 -34.243 Redditi da capitale Rimesse da emigrati, pensioni e altro 282.648 307.859 422.722 497.701 631.500 709.957 Bilancio delle partite correnti -28.135 -12.936 75.929 57.061 89.722 39.835
UN TRAGUARDO CONTROVERSO
Frutto dei lavori di un’assemblea costituente democraticamente eletta, la nuova costituzione attesta definitivamente il passaggio da una monarchia induista a una democrazia federale e garantisce diritti politici, civili, sociali e culturali. assicurate la libertà di opinione, stampa, espressione, associazione, assemblea, eguaglianza davanti alla legge e religione, confermando così il nepal come uno Stato secolare (nonostante l’opposizione di una parte della popolazione induista). La nuova carta è innovativa e al passo dei tempi: è la terza (dopo ecuador e Sud africa) a sancire ufficialmente la protezione contro ogni forma di discriminazione sessuale, introduce il diritto al cibo che, come sottolinea la Fao, «costituisce un passo avanti nel colmare il divario nell’accesso ai generi alimentari tra la zona pianeggiante e quella montuosa»; prevede specifiche commissioni costituzionali (come la commissione per le donne e altre specificamente rivolte al rispetto delle minoranze etniche nepalesi) con il mandato di ricevere reclami e di suggerire cambiamenti in politiche, leggi o pratiche discriminatorie. Sono presenti alcuni tra i cosiddetti “diritti di terza generazione”: il diritto allo sviluppo sostenibile e quello a un ambiente salubre. La costituzione non è però stata approvata all’unanimità e alcune minoranze che si sentono discriminate stanno protestando. Tra loro, la comunità madhese, stanziata nel sud del Terai (la regione al confine con l’india), che si vede discriminata dalla tracciatura dei confini dello Stato federale: definiti non sulla base di cultura o etnie, bensì geograficamente, una larga parte della popolazione è stata frammentata, e come conseguenza la sua rappresentanza politica nel governo centrale indebolita. in effetti, secondo amnesty international il testo potrebbe essere migliorato con riferimento ai diritti delle donne, dei gruppi etnici e delle comunità marginalizzate, che non sono chiaramente e sufficientemente protetti. [Silvia Mazzocchin] 52
del turismo rischia di compromettere la principale fonte di ricchezza del Paese, dopo le rimesse dagli emigrati (vedi TABELLA ). Il Nepal ha un deficit strutturale e crescente negli scambi commerciali: importa più merci di quelle che produce o esporta. Con quale capitale le paga? Principalmente con l’afflusso di denaro inviato dai suoi cittadini, tipicamente maschi, emigrati all’estero, specialmente in Malesia e Medio Oriente. L’abbandono dell’economia agraria non trova compensazione nell’attività industriale e nei servizi. Il modello economico globale prevede che le produzioni agricole destinate al commercio internazionale siano concentrate in vaste piantagioni (quasi sempre con danni irreversibili per l’ambiente), gestite dalle multinazionali dell’agribusiness. E lo stesso vale per le produzioni manifatturiere. Per morfologia geografica, storia e relazioni internazionali, il Nepal non è luogo di investimento delle multinazionali. Il risultato, da un lato, è la sopravvivenza di biodiversità, tradizioni, culture e attività economiche che convivono mescolate ovunque. Per contro, il Nepal sopravvive grazie all’esportazione di lavoratori laddove i capitali esteri sono investiti con profitto. Interi villaggi rurali sono così abitati solo da donne, bambini e anziani. Al loro sostentamento provvedono gli emigrati o piccole banche di microcredito, che finanziano gruppi di donne e i loro progetti in grado di ripagare il capitale e gli interessi: l’acquisto di animali per venderne il latte, una serra per aumentare la produzione di ortaggi, piccoli negozi dove si vende dallo shampoo monodose acquistato in città al dolce fatto in casa, attività di bed & breakfast al cospetto delle maestose montagne himalayane. Il turismo, in costante crescita per numero di presenze, addetti e contribuzione alla ricchezza nazionale (vedi GRAFICO a pag. 50), in Nepal è soprattutto microimpresa familiare. «Questo è il momento peggiore in Nepal a causa di interferenze politiche e l’embargo imposto dal nostro vicino meridionale», mi racconta Bibek Raj Adhikari, neolaureato in management all’Apex College di Kathmandu e titolare di un’agenzia viaggi locale, la Travelsmith Nepal. «Questa è la peggiore stagione turistica da quando mi ricordo. Ma saremo forti e non c’è motivo per arrendersi». Ma intanto da quel drammatico 25 aprile ad oggi ha servito un solo gruppo di clienti. ✱ * l’autore è docente di Finanza aziendale internazionale all’Università di Padova valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
la bacheca di valori ?? internazionale
GIORNALISTI NEL MIRINO: 700 OMICIDI IN 10 ANNI
Lavoro forzato, GB aumenta la trasparenza
FONTE: OECD
NEWS
obbligare le grandi società britanniche a dichiarare sui propri siti internet se lungo le loro catene di fornitura si fa uso di lavoro forzato: lo impone una nuova legge approvata dal Parlamento inglese da qualche settimana, con l'obiettivo di spingere le imprese – si stima siano circa 17mila quelle coinvolte – a indurre i propri fornitori ad abbandonare tale pratica per non avere una ricaduta d'immagine negativa. Le diverse forme di lavoro forzato – calcola l'ilo, organizzazione mondiale per il lavoro – coinvolgono nel mondo almeno 21 milioni di persone.
VALORITECA SPUNTI DA NON PERDERE NEL MESE APPENA TRASCORSO
FARMACI: BOLLETTA DA 800 MILIARDI NEI PAESI OCSE FONTE: OECD
I MIGLIORI TWEET DEL MESE The biggest victims of terrorist attacks by Islamist extremists are fellow Muslims.
Il maggior numero di vittime di attacchi terroristi degli estremisti islamici sono musulmani.
13 novembre Mr Denmore @MrDenmore
Peru to Provide Free Solar Power to its 2 Million Poorest Citizens
[Peru vuole fornire energia solare gratuita ai suoi 2 milioni di cittadini più poveri]
NEWS
L’Indonesia brucia per l’olio di palma
ci sarebbe il controverso mercato dell'olio di palma dietro i roghi che hanno distrutto ettari di foreste indonesiane. La denuncia arriva da greenpeace, secondo cui gli incendi servirebbero per ampliare la produzione delle piante da cui ricavare il prezioso liquido. il fenomeno è poi incentivato dal rifiuto del governo nazionale di rendere pubbliche le mappe aggiornate dei siti di produzione. ad andare in fumo, in circostanze molto sospette, anche gli archivi cartacei del dipartimento delle Finanze del governo del borneo. valori / ANNO 15 N. 134 / dicembre 2015-gennaio 2016
14 novembre Renewable Energy @RenewEnergy_RR
Immagina di fuggire per salvarti la vita a 105 anni.
14 novembre UNHCR Italia @UNHCRItalia
You may have missed it, but Spain has 'issued an arrest warrant' for Benjamin Netanyahu
[Potreste esservelo perso, ma la Spagna ha “emesso un ordine d'arresto” per Benjamin Netanyahu] 17 novembre Andrea Di Stefano @distefanonova
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bancor
Il modello Westminster rimane lontano
Riforma della Carta contrappesi assenti dal cuore della City Luca Martino ell’anno nuovo, forse in autunno, voteremo la riforma della Costituzione che pone fine al bicameralismo perfetto. La Carta fondamentale, come noto, regola il potere dello Stato, norma le relazioni tra i cittadini e stabilisce il rapporto di noi tutti con chi ci governa. Eppure, in Gran Bretagna, il paese della Magna Carta e culla della democrazia moderna, non esiste oggi un testo unico paragonabile alle Costituzioni di molti Stati europei, varate nel Novecento a seguito di rivoluzioni o cambi di regime in effetti sconosciuti oltre Manica dai tempi di Oliver Cromwell: nel Paese dell’understatement, del condizionale d’obbligo e del common law, è un insieme di convenzioni, trattati e precedenti giuridici a stabilire una sorta di “Costituzione non scritta” che si regge sul motto “È legge quello che la Regina promulga in Parlamento”. Vero anche che, a partire dal suffragio universale di inizio Novecento, la democrazia anglosassone si è dotata di un insieme di organismi di vigilanza e di controllo delle cui risoluzioni i governi raramente non tengono conto (per intenderci, casi come quelli degli esodati o dell’Isee ‘autoregressivo’ sarebbero impensabili): è la versione più esaustiva, se volete, della separazione dei poteri teorizzata da Montesquieu, nella quale si valutano sia prima che dopo gli effetti delle leggi, individuandone lacune o evidenti nonsense. Nel Regno Unito inoltre ci sono da sempre due Camere, anche se la Camera alta di Westminster (quella dei Lord dove siedono probiviri di vario orientamento politico, ma anche membri della Chiesa e una residua cerchia di aristocratici) non legifera né ha potere di veto, ma solo di dilazione e rinvio, su alcuni atti, tra cui quelli di politica
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economica, approvati dalla Camera bassa, i Comuni. Ad esempio, gli ultimi (ennesimi) tagli ai cosiddetti tax credit per chi, pur lavorando, ha redditi non sufficienti, approvati ai Comuni, sarebbero subito diventati operativi se non fosse stato per una ricerca dell’Institute for Fiscal Studies e la bocciatura dei Lord: introducendo il suo emendamento, la baronessa Hollis, un’anziana professoressa universitaria di Norwich, ha richiamato i Peer ai valori di umanità e rispetto per chi soffre condizioni di estremo bisogno, leggendo in aula alcuni messaggi, molti dei quali strazianti, di quelle tante famiglie che entro Natale avrebbero ricevuto dal governo non un biglietto di auguri ma una sforbiciata ai loro assegni di solidarietà. In Italia, come in quei Paesi dove i meccanismi di check and balance sono molto meno strutturati ed efficienti, è la Corte Suprema, in funzione peraltro dei princìpi costituzionali nella loro complessità, la sola autorizzata a riesaminare le leggi, anche se a posteriori e spesso per ricorso e non in via autonoma. E anche da noi il Senato (con eletti da nominare, come per i Lord, ma pescando tra i Consigli regionali) potrebbe presto non legiferare più su (quasi) nulla: abbiamo però, tranquillizzano in molti, la Costituzione “più bella del mondo”, che sancisce, tra l’altro, la sacralità del lavoro, la dignità della persona, la progressività delle imposte. Ma anche la più esemplare e inconfutabile delle Costituzioni a poco o a nulla serve, senza un forte sistema di bilanciamento del potere. E l’attuale Senato, ancorché inadeguato e poco funzionale, in un’Italia attrezzata davvero poco e male dal punto di vista dell’efficienza amministrativa, serve ancora da irrinunciabile occasione di verifica e rettifica degli effetti spesso nefasti per i cittadini di una politica sempre più schizofrenica e autoritaria. E alla fine, il sogno di avvicinarsi al sistema anglosassone rischia di trasformarsi in un incubo che ci farà prendere tutt’altra strada. ✱ todebate@gmail.com valori / ANNO 15 N. 134 / DICEMBRE 2015-GENNAIO 2016
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