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CAPIRE LA FINANZA
L’efficacia degli aiuti e dello sviluppo
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Indice
Introduzione 1. I grandi donatori e il dibattito sull’efficacia degli aiuti 2. Nuove strategie della comunità internazionale per migliorare l’efficacia degli aiuti 2.1 La Protezione Sociale 2.2 La coerenza delle politiche 2.3 Il sostegno di bilancio
Testo a cura di Alice Farano, ricerca realizzata per CoLomba la rete di ONG della Lombardia, in collaborazione con CIAI Centro Italiano Aiuti all’Infanzia. Editing Irene Palmisano Fondazione Culturale Responsabilità Etica Foto di copertina: Irene Palmisano
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2.4 La cooperazione Sud-Sud e cooperazione triangolare 3. La società civile e il dibattito sull’efficacia degli aiuti 3.1 Alcuni aspetti fondamentali del contributo della società civile 3.2 L’ Open Forum: i principi che devono guidare lo sviluppo Bibliografia Siti
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L’efficacia degli aiuti e dello sviluppo Introduzione L’ obiettivo del presente lavoro è quello di rivedere il dibattito sviluppatosi a livello internazionale sull’efficacia degli aiuti e dello sviluppo, prendendo in considerazione sia la prospettiva dei grandi donatori sia quella della società civile. Si cercherà, quindi, di portare alla luce alcune delle tendenze nate negli ultimi anni e di sottolineare la diversità degli approcci adottati dagli attori coinvolti. Il dibattito sull’efficacia degli aiuti è maturato all’interno della comunità internazionale per rispondere all’esigenza di migliorare l’efficienza delle politiche di cooperazione allo sviluppo, al fine di poter raggiungere entro il 2015 gli otto obiettivi del millennio (MDGs), stabiliti nel 2000 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Inizialmente, infatti, l’agenda relativa all’efficacia degli aiuti è stata concepita come una sorta di “cornice operativa” 1 proprio per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio, solo in seguito il dibattito si è evoluto ed arricchito, diventando più complesso ed acquistando autonomia rispetto agli obiettivi del millennio. La comunità internazionale, a partire dalla riflessione relativa al raggiungimento dei MDGs, ha constatato il gap esistente tra gli obiettivi ed i risultati raggiunti ed ha iniziato ad interrogarsi non solo su ‘quanto’ aiuto fosse necessario per raggiungere i MDGs, ma anche su ‘come’ gestire le risorse a disposizione in modo più efficace. In particolare, come spiega la ‘Dichiarazione di Parigi 1 A. Stranieri, Il dibattito internazionale sull’efficacia degli aiuti e dello sviluppo, VIS, 2012.
sull’efficacia degli aiuti’ del 2005, i grandi donatori riconoscono che un aumento del volume degli aiuti da solo rischia di non portare ad alcun progresso nei MDGs, questo deve essere perciò accompagnato anche da un miglioramento nella gestione delle suddette risorse. Il concetto di efficacia degli aiuti comprende, pertanto, tutte “le misure e gli strumenti che migliorano la qualità dell’aiuto, riducono i costi di transazione, focalizzandosi principalmente sui risultati dello sviluppo” (A. Stranieri, 2012: 1). La comunità internazionale ha, pertanto, cominciato una riflessione sul tema che ha portato alla creazione di una road map, in cui sia i paesi donatori che i paesi beneficiari si sono impegnati ad adottare una serie di misure volte a migliorare la qualità degli interventi di cooperazione allo sviluppo: il dibattito è partito dal First High Level Forum on Aid Effectiveness tenutosi a Roma nel 2003, passando per il Second High Level Forum a Parigi nel 2005, in cui è stata approvata la Dichiarazione di Parigi, e il Third High Level Forum di Accra nel 2008, per arrivare al Fourth High Level Forum di Busan nel 2011. I contenuti di questi Forum saranno considerati più approfonditamente all’interno del prossimo paragrafo. La necessità di discutere sul sistema degli aiuti allo sviluppo nasce dalla constatazione dell’esistenza di diversi fattori che ne intralciano un utilizzo efficace. Tra i più importanti c’è il problema della dispersione delle risorse: la maggioranza degli aiuti è estremamente frammentata sia a livello geografico che settoriale. Vi è, infatti, un numero sempre crescente di donatori e di attori che tende a concentrarsi solo su alcuni paesi beneficiari e su alcuni settori di
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intervento, lasciandone altri senza risorse. Inoltre, la proliferazione di canali d’aiuto e di attori, oltre ad essere poco efficace di per sé, può creare anche un peso eccessivo sulle fragili burocrazie ed istituzioni dello stato beneficiario. Un esempio esplicativo, è quello del Mozambico, dove il Ministero della Sanità si trova a dover gestire 400 diversi progetti in un anno. Un altro aspetto che ha un effetto importante sull’efficacia è la volatilità degli aiuti: i flussi sono spesso poco prevedibili e gli impegni presi dai donatori tendono a focalizzarsi su progetti di durata limitata, rendendo difficile per i paesi beneficiari pianificare azioni sul lungo termine.
Un terzo problema è lo sbilanciamento, a livello internazionale, del processo decisionale a favore dei grandi donatori e l’insufficiente delega all’autorità dei paesi beneficiari; questo comporta uno scarso allineamento dei progetti e delle attività alle reali priorità ed esigenze stabilite dai paesi riceventi. Infine, un altro fattore è la mancanza di trasparenza nell’uso delle risorse e nelle informazioni sugli obiettivi, i progressi ed i risultati degli interventi, sia a livello nazionale che internazionale; questo può ostacolare l’assunzione di responsabilità da parte degli attori coinvolti. A questo problema si lega anche il fenomeno della corruzione all’interno dei paesi beneficiari che, naturalmente, porta ad una cattiva allocazione dei flussi di aiuti destinati allo sviluppo 2.
1. I grandi donatori e il dibattito sull’efficacia degli aiuti La principale riflessione sull’efficacia degli aiuti a livello internazionale è guidata dall’OECD Development Assistance Committee (DAC) e, in particolare, dal Working Party on Aid Effectiveness, il quale dal 2003 ad oggi ha organizzato quattro ‘High Level Forum’ per discutere del tema. Il primo forum si è tenuto a Roma nel 2003, con la partecipazione dei rappresentanti dei principali paesi donatori e beneficiari, e delle organizzazioni internazionali. La dichiarazione approvata a conclusione del Forum ha riconosciuto come la mancanza di coordinamento e di allineamento tra paesi donatori e beneficiari costituisca un impedimento ad una gestione efficace degli aiuti. I
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firmatari si sono impegnati, quindi, a superare questo ostacolo, puntando ad armonizzare le procedure e a soddisfare le reali necessità dei Paesi beneficiari. L’importanza di questa dichiarazione sta nel rappresentare il passaggio da una fase in cui la mancanza di efficacia ricadeva tutta sull’incapacità dei paesi beneficiari di gestire gli aiuti, ad una nuova visione in cui i donatori iniziano a riconoscere le proprie responsabilità (Hayman, 2009; Stranieri, 2012). Il Secondo High Level Forum tenutosi a 2 Per maggiori informazioni sul tema: “Poverty, aid and corruption”, Transparency International, 2007.
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Parigi nel 2005, invece, vede l’approvazione della Dichiarazione di Parigi, documentochiave per il miglioramento dell’efficacia degli aiuti 3. La Dichiarazione rappresenta una road-map in cui sia i paesi donatori che quelli beneficiari si sono impegnati ad adottare una serie di misure stabilite intorno a cinque pilastri fondamentali. Inoltre, il documento ha segnato un passaggio importante: i paesi in via di sviluppo non sono più considerati solo dei meri ‘beneficiari’ degli aiuti, ma diventano ‘partners’ delle politiche e dei programmi; in questo senso, i firmatari hanno riconosciuto che le priorità e le strategie stabilite dai paesi partner devono rappresentare una guida per le azioni dei donatori. I cinque pilastri fondamentali intorno a cui sono stati definiti gli obiettivi sono: 1. Ownership: i paesi partner devono esercitare una reale leadership sulle proprie politiche per lo sviluppo. I donatori si sono impegnati, quindi, a rispettare la leadership dei paesi partner, mentre questi ultimi si sono impegnati a promuovere processi consultivi per la definizione delle politiche. 2. Allineamento: i donatori devono allineare le proprie azioni alle strategie, politiche ed istituzioni dei paesi partner. In particolare, i donatori si sono impegnati a rafforzare e a fare affidamento sui country systems (sistemi locali) dei paesi beneficiari così da evitare la costruzione di istituzioni parallele per implementare i propri progetti. 3. Armonizzazione: i donatori si sono impegnati a rendere le loro azioni più armonizzate, trasparenti e coerenti. Questo comporta, da una parte, la necessità di rendere 3 Il testo della Dichiarazione è disponibile sul sito dell’OCSE.
le azioni dei vari attori più complementari tra loro e di stabilire una chiara divisione dei compiti, dall’altra. 4. Gestione orientata ai risultati: la gestione delle risorse deve essere finalizzata ai risultati, utilizzando anche le informazioni acquisite dalle esperienze precedenti per migliorare il processo decisionale. 5. Accountability reciproca: i paesi donatori e partner sono responsabili l’uno verso l’altro dei risultati ottenuti. La Dichiarazione ha stabilito una serie di obiettivi specifici da raggiungere entro il 2010 , insieme ad un set di indicatori di performance per valutarne i progressi. Tuttavia, solo l’obiettivo relativo alla cooperazione tecnica, che misura il coordinamento tra le azioni dei donatori e le strategie di sviluppo nazionali, è stato raggiunto nel 2010 (OECD: 2011, 20).
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Il terzo Forum si è svolto ad Accra nel 2008, con l’obiettivo esplicito di “accelerare e approfondire l’implementazione della Dichiarazione di Parigi”, e si è concluso con l’adozione dell’Accra Agenda for Action 4. Partendo dai pilastri stabiliti nella Dichiarazione di Parigi, l’Agenda ha individuato tre sfide principali da affrontare per migliorare l’efficacia degli aiuti. La prima è quella della Country ownership (titolarità del paese), ovvero il rispetto delle priorità stabilite dai paesi partner, da una parte, e l’investimento nelle risorse umane, istituzioni e sistemi di questi ultimi, dall’altra. Il secondo aspetto da affrontare è quello della costruzione di partnership più inclusive ed efficaci; è stato riconosciuto, infatti, il crescente numero di attori e la conseguente necessità di ampliare il dialogo sullo sviluppo, favorendo il processo di divisione dei compiti. Il terzo ed ultimo punto è quello del raggiungimento di risultati tangibili, che si traducano in impatti positivi per la vita delle persone. L’Agenda ha, per la prima volta, fatto riferimento esplicito al ruolo dei nuovi attori dello sviluppo, quali le organizzazioni della società civile ma anche i paesi a medio reddito nel loro doppio ruolo di donatori e beneficiari di aiuti ed ha incoraggiato, inoltre, la creazione di nuove forme di partnership, quali la cooperazione sud-sud o la cooperazione triangolare. In particolare, in riferimento alla società civile, i donatori si sono impegnati, almeno formalmente, a creare un
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Il testo è disponibile sul sito dell’OCSE.
enabling environment (ambiente favorevole, facilitante) per massimizzare il contributo di queste allo sviluppo. Il documento ha introdotto anche altri due nuovi argomenti all’interno del dibattito sull’efficacia: il primo è l’importanza di una maggiore trasparenza e prevedibilità dell’aiuto, e il secondo è il tema delle condizionalità, ovvero tutte quelle richieste che sono poste dai donatori al paese ricevente a condizione dell’erogazione di aiuti 5. Riguardo a quest’ultimo aspetto l’agenda ha riconosciuto l’esigenza di ridurre, anche se non di eliminare del tutto, i set di condizionalità. Proprio il persistente riferimento alle condizionalità, viste come una minaccia alla sovranità nazionale e alla titolarità del processo di sviluppo da parte dei paesi beneficiari 6, insieme al limitato coinvolgimento della società civile nei processi decisionali e alla mancanza di scadenze precise per l’attuazione degli impegni, sono tra le principali critiche mosse all’Accra Agenda for Action. Un altro aspetto dell’Agenda molto criticato è l’enfasi posta su una gestione degli aiuti orientata al raggiungimento di risultati tangibili; il rischio di un tale approccio è, infatti, che sia5 L’esempio forse più noto di condizionalità è dato dai Programmi di Aggiustamento Strutturale, implementati dal FMI e dalla Banca Mondiale nei paesi in via di sviluppo. Questi programmi prevedono l’approvazione da parte dei paesi riceventi di una precisa serie di riforme economiche di stampo neoliberista, come presupposto da soddisfare per ottenere i finanziamenti. 6 Per un approfondimento si veda: Money talks: how aid conditions continue to drive utility privatisation in poor countries, Action Aid.
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no privilegiate strade più facili e battute che portano a risultati certi, a scapito di tipologie di intervento che possono essere più difficoltose ma che meglio rispecchiano la complessità del processo di sviluppo (Zupi, 2011) 7. Il Fourth High Level Forum on Aid Effectiveness si è tenuto a Busan, Corea del Sud, nel 2011 ed ha visto l’approvazione di un accordo che ha posto le basi per una nuova partnership mondiale per lo sviluppo, The Busan Partnership for Effective Development Cooperation 8. L’accordo di Busan è importante, dal momento che è, ad oggi, il documento più inclusivo mai raggiunto in tema di cooperazione allo sviluppo: per la prima volta all’accordo hanno partecipato ed aderito anche i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, considerati i nuovi donatori) ed i rappresentanti della società civile e del settore privato. La necessità di assicurare anche l’adesione al documento da parte dei ‘nuovi donatori’ ha comportato, però, la necessità di raggiungere alcuni compromessi, in particolare sul carattere volontario dei principi e degli impegni stabiliti. Inoltre, il Busan Partnership ha segnato anche l’adozione, da parte della comunità internazionale, del concetto di efficacia dello sviluppo, abbandonando quello di “efficacia degli aiuti”. Il concetto di efficacia dello sviluppo fa riferimento a un approccio più
7 M. Zupi, Una proposta teorico-metodologica per la valutazione strategica delle iniziative di sviluppo, CESPI, 2011.
olistico, che pone maggiore enfasi sulla promozione di un cambiamento sostenibile, rispetto ad una mera focalizzazione sulla distribuzione e gestione degli aiuti. E’ importante sottolineare che questo differente approccio al tema della cooperazione internazionale era già stato lanciato negli anni precedenti dalle organizzazioni della società civile, riunite in piattaforme alternative, ed è stato poi ripreso dalla comunità internazionale all’interno del Forum di Busan. Il Busan Partnership ha riaffermato alcuni degli impegni presi nei Forum di Parigi e di Accra, articolandosi intorno a quattro capisaldi, o shared principles: Ownership democratica; sviluppo basato su risultati concreti e sostenibili; partnership inclusiva, con particolare riferimento alle nuove forme di cooperazione triangolare e sud-sud; e, infine, trasparenza e responsabilità di tutti gli attori, così da facilitare le possibilità di controllo e prevedibilità dei flussi di aiuti.
8 Il testo è disponibile sul sito del Fourth High Level Forum: www.aideffectiveness.org
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Il documento ha sottolineato la complessità dell’attuale architettura degli aiuti, ribadendo la necessità di includere nuovi attori quali le economie emergenti, la società civile e il settore privato. In particolare, è stato riconosciuto il ruolo vitale esercitato dalle organizzazioni della società civile (CSOs); a questo proposito, i donatori si sono impegnati per cercare di facilitare a queste ultime l’esercizio del proprio ruolo come attori indipendenti dello sviluppo. Inoltre, è stata riconosciuta l’importanza della cooperazione sud-sud e della cooperazione triangolare nel creare locally owned solutions, che siano appropriate al contesto specifico di ogni paese. Nell’accordo è stata introdotta anche una sezione dedicata alla donna: l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne sono individuati come temi prioritari per lo sviluppo, da considerare sia come obiettivo finale, sia come prerequisito per uno sviluppo sostenibile. In questo senso, è stata riconosciuta la necessità di integrare, all’interno dei meccanismi di valutazione delle politiche dello sviluppo, degli indicatori che misurino l’impatto che queste hanno sulla dimensione di genere. Infine, l’accordo ha riconosciuto la necessità di un sostegno politico costante ed ha stabilito la creazione di una nuova struttura globale denominata ‘Global Partnership for effective development cooperation’ che, entro giugno 2012, dovrà sostituire il Working party on aid effectiveness. La società civile ha riconosciuto l’importanza di questo nuovo accordo, sottolineandone, però, alcuni punti deboli. Il primo è quello del carattere volontario e non vincolante degli impegni presi, a cui si è fatto riferimento precedentemente. In secondo luogo, nonostante il passaggio positivo dall’approccio sull’efficacia degli aiuti a quello sull’effi-
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cacia dello sviluppo, è stata criticata la definizione di sviluppo cui si fa riferimento nel documento, che si concentra esclusivamente su una crescita economica durevole e condivisa. Inoltre, ancora una volta non è stato preso nessun impegno concreto per l’eliminazione delle condizionalità imposte dai donatori sugli aiuti e, infine, non sono stati stabiliti nuovi impegni specifici o scadenze temporali. In conclusione, l’accordo è stato valutato da molti commentatori come “long on principles and short on commitments, high on rhetoric and low on accountability” 9(P. De Renzio, 2011). In ambito europeo, sempre nel 2005, il dibattito sull’efficacia delle politiche allo sviluppo dell’UE ha portato all’adozione del European Consensus on development; un documento che ha identificato gli obiettivi e i valori condivisi che devono guidare le politiche per lo sviluppo dell’Unione Europea e dei suoi stati membri. I principi a cui si fa riferimento riprendono quelli enunciati nella Dichiarazione di Parigi, di cui viene ribadita l’importanza, e anticipano quelli degli accordi successivi. Tre sono i valori principali che devono guidare le azioni dell’Unione Europea e dei suoi stati, altrimenti chiamati ‘le tre C’: coordinazione tra i donatori, complementarietà con le strategie dei paesi partner e coerenza delle politiche agli obiettivi di sviluppo. Il documento ha ripreso anche il concetto di ownership, titolarità, del processo di sviluppo da parte dei paesi beneficiari e di allineamento alle priorità di questi ultimi.
9 P. De Renzio, Principles without commitments? Welcome to the brave new aid world, The Global Economic Governance Memo, 2011.
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2. Nuove strategie della comunità internazionale per migliorare l’efficacia degli aiuti Guardando ai documenti prodotti dagli High Level Forums ma anche a quelli prodotti dall’Unione Europea e dall’OCSE, quali l’European Consensus on Development del 2005, si può notare una crescente enfasi posta dai grandi donatori su alcune nuove strategie lanciate nell’ambito della cooperazione internazionale per migliorare l’efficacia degli aiuti. La presente sezione presenterà alcune di queste nuove misure: la protezione sociale, la coerenza delle politiche, il sostegno di bilancio, infine, la cooperazione triangolare e sud-sud.
2.1 La protezione sociale L’European Report on Development del 2010 10 ha individuato la protezione sociale non solo come un diritto, ma anche come uno strumento indispensabile per la riduzione della povertà e per il raggiungimento degli obiettivi del Millennio. Infatti, secondo il rapporto, questa può offrire ai più poveri, ma non solo, la capacità e gli strumenti per affrontare le difficoltà ed uscire dalla povertà. Già nel 2003 la Banca Mondiale aveva sottolineato il ruolo cruciale delle strategie di protezione sociale per il raggiungimento degli obiettivi del millennio 11 (Banca Mondiale, 2003). La protezione sociale è definita dall’European Report on Development 2010 come un insieme di azioni specifiche volte a ridurre la vulnerabilità della vita di chi è in condizione di povertà attraverso tre particolari 10 ‘Social protection for inclusive development: a new perspective in EU-cooperation with Africa’, The 2010 European Report on Development, European University Institute, 2010. 11 The contribution of social protection to the millennium development goals, The World Bank, 2003.
misure: la social insurance (assicurazione sociale), che offre protezione contro i rischi e le avversità che possono accadere durante il corso della vita; la social assistance (assistenza sociale) che offre pagamenti o trasferimenti in natura per supportare e favorire i più poveri (enable the poor); e, infine, attraverso azioni di inclusione che possano migliorare la capacità dei più marginalizzati di accedere alle politiche di protezione sociale e, in particolare, all’assistenza e all’assicurazione sociale 12. L’enfasi sulla protezione sociale da parte della comunità internazionale è dovuta all’idea che questa possa contribuire alla crescita economica, proteggendo i beni delle famiglie ed incoraggiandole a investire in attività più rischiose ma a più alta produttività economica; inoltre, questo strumento può far parte di una più ampia strategia mirata a rafforzare i gruppi più vulnerabili (empowerment), combattendo le diseguaglianze per rendere la crescita più inclusiva. Il contributo positivo delle strategie di protezione sociale per la crescita economica sono state enfatizzate anche da altre organizzazioni quali ILO e WHO 13, che hanno sottolineato come i sistemi di protezione sociale non siano solo un modo per proteggere le persone più vulnerabili in tempi di crisi ma anche un investimento nella crescita futura (ILO, 2009) e l’OCSE 14, che ha messo in evidenza come questa strategia possa 12 Per alcuni esempi di strumenti per la protezione sociale, si veda la tabella di seguito. 13 The Social Protection Floor: a joint crisis initiative of the UN Chief executives board for co-ordination on the social protection floor, ILO e WHO, 2009. 14 The role of employment and social protection: making economic growth pro-poor, DAC-High Level Meeting, 2009.
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Esempi di strumenti di protezione sociale
Funzione: Assicurazione sociale • Regimi pensionistici contributivi • Assicurazione sanitaria • Assicurazione contro la disoccupazione • Assicurazione per l’invalidità • Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Funzione: Assistenza sociale • Borse di studio per bambini • Programmi di alimentazione scolastica • Lavori pubblici / programmi di lavoro / sistemi di garanzia • Programmi di trasferimento di denaro / schemi di garanzia del reddito • Aiuti di emergenza • Pensioni sociali e altre prestazioni a supporto degli anziani per migliorare l’accesso alla protezione sociale • Mercato del lavoro e del regolamentazione a garanzia del posto di lavoro • Protezione dei diritti al reddito, al lavoro e ad altre forme sociali • Azioni proattive per un sistema di copertura universale • Campagne di sensibilizzazione • Quadro di regolamentazione o di sostegno per la fornitura di assicurazioni private o basata sulla comunità.
Fonte: European Report on Development,2010.
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rendere la crescita economica più a beneficio dei poveri (pro-poor) (OCSE-DAC, 2009) 15. I programmi di social protection possono essere di vario tipo: la partecipazione ai progetti può essere legata al rispetto di alcune condizioni o può essere incondizionata, può essere mirata a gruppi specifici oppure può essere distribuita in modo universale, e, infine, si può trattare di trasferimenti di denaro, in natura o una combinazione dei due 16. Un esempio celebre di protezione sociale è quello del Brasile che, nel 2003, ha creato il Programma Bolsa Familia, il quale prevede il trasferimento di una somma di denaro alle famiglie più povere (generalmente alla madre) a condizione che queste mandino i propri figli a scuola; secondo l’European Report on Development del 2010, questo programma ha contribuito a ridurre la povertà in Brasile del 12% tra il 2001 e il 2005 (ERD, 2010). Altri autori, invece, hanno analizzato la strategia di protezione sociale sotto un’altra ottica, considerandola un diritto umano la cui implementazione può portare alla realizzazione di altri diritti quali l’uguaglianza, la non discriminazione e l’inclusione sociale per i più poveri e i più vulnerabili (Piron, 2004; ODI, 2005). In questo senso, la protezione sociale si colloca perfettamente nel qua-
15 Per una più approfondita revisione delle diverse definizioni di social protection si veda: P. Brunori e M. O’Reilly, Social protection for development: a review of definition, The European University Institute, 2010. 16 Per un’analisi più approfondita di queste diverse tipologie: capitolo 3 ‘The design, delivery and politics of social protection’ in ‘The 2010 European Report on Development’, European University Institute 2010.
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dro di un approccio allo sviluppo basato sui diritti umani (rights-based approach) 17, che vede la protezione sociale come qualcosa a cui le persone hanno diritto e non solo come un mero atto di carità. In particolare, si rimanda al saggio ‘Rights-based approaches to social protection’ di L.H. Piron 18 (2004), all’interno del quale vengono proposte alcune linee-guida per l’implementazione di strategie di protezione sociale che siano coerenti ad un approccio basato sui diritti umani.
2.2 La coerenza delle politiche Il concetto di policy coherence, o coerenza delle politiche, è entrato a far parte delle strategie dell’Unione Europea con l’approvazione, nel 2005, del ‘Consenso Europeo sullo sviluppo’ (European Consensus on development), nel quale si afferma la necessità che anche le politiche non direttamente mirate allo sviluppo assistano gli sforzi dei paesi in via di sviluppo per il raggiungimento degli obiettivi del millennio.
In altre parole, insistere sulla coerenza Inoltre, l’ODI, Overseas Dedelle politiche vuol dire, da velopment Institute 19, ha criIl ruolo della donna è una parte, lavorare per assiticato l’approccio ai programcurarsi che gli obiettivi e i elemento importante mi di protezione sociale che nella definizione delle risultati delle politiche per lo sono stati sviluppati fino ad sviluppo implementate dai strategie di politica oggi per non aver adeguatagoverni non siano minate mente integrato considera- sociale e di coperazione, dagli effetti di altre politiche zioni sulla dimensione di ge- il non tenerne può esseeffettuate dagli stessi e, nere all’interno della re causa del rafforza- dall’altra parte, assicurarsi progettazione (ODI, 2010). che anche le altre politiche ODI ha sottolineato la neces- mento di squilibri tradisupportino gli obiettivi di zionali tra i sessi sità di considerare, al mosviluppo globali. mento della definizione del Questo concetto è stato poi progetto, l’impatto che il proripreso e approfondito nel Twelve-point EU gramma di protezione sociale può avere sulle action plan in support of the Millennium donne e sulle relazioni tra i due sessi; infatti, Development Goals, approvato nel 2010 dalla spesso questi programmi corrono il rischio di Commissione Europea, il quale traduce rinforzare i ruoli tradizionali delle donne, agquesto principio in un quadro operativo per gravando i carichi di responsabilità e di lavo 20 gli stati membri. Il Policy Coherence for ro a cui queste sono sottoposte . Development Work Programme 20102013, che fa parte dell’Action plan europeo, ha individuato cinque aree della politica che 17 L’approccio allo sviluppo basato sui diritti umani sarà approfondito più avanti, nel capitolo 3. hanno importanti ripercussioni sullo sviluppo: il commercio, i cambiamenti climatici, la 18 L.H. Piron, Rights-based approaches to social sicurezza alimentare, le migrazioni e la protection, 2004. Il saggio è disponibile sul sito dell’ Overseas Development Institute, www.odi.org.uk sicurezza (Commissione Europea, 2010). 19 ODI è un istituto inglese indipendente che si occupa di ricerca sullo sviluppo e questioni umanitarie. Il sito web è: www.odi.org.uk 20 Per maggiori approfondimenti sul tema: R. Holmes e N. Jones, “Rethinking social protection using
a gender lens”, 2010, Overseas Development Institute.
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Per fare alcuni esempi, riguardo ai cambiamenti climatici il documento riconosce la necessità di un approccio più vasto al tema, che riesca a combinare aspetti diversi come l’assistenza umanitaria, lo sviluppo e le politiche economiche ed agricole; sul tema della sicurezza, invece, si mette in evidenza l’importanza dell’integrazione degli obiettivi per lo sviluppo nella progettazione ed implementazione delle operazioni di pace; sul tema delle migrazioni, infine, viene sottolineata la necessità di mettere in atto politiche che favoriscano il contributo positivo dei migranti allo sviluppo del proprio paese. Anche CONCORD, la rete europea delle ONG, ha sottolineato l’importanza del concetto di policy coherence, il quale riconosce che la cooperazione allo sviluppo da sola non può soddisfare i bisogni e le necessità dei paesi in via di sviluppo 21 (CONCORD, 2011). Inoltre, un tale approccio è particolarmente rilevante perché può promuovere strategie orientate al lungo periodo, oltre ad introdurre il concetto di responsabilità (accountability) dei donatori non solo nella creazione delle politiche ma anche per l’impatto di queste sui paesi beneficiari. La riflessione di CONCORD, tuttavia, si distingue da quella dei grandi donatori e, in particolare, dell’Unione Europea per l’idea che un rights-based approach, ovvero un approccio basato sui diritti umani, possa fornire una migliore comprensione ed implementazione del concetto di coerenza delle politiche; tale approccio permetterebbe di mantenere come prioritaria, per ogni tipo di politica (e quindi anche quelle non strettamente legate allo sviluppo), l’attenzione
21 Spotlight on EU policy coherence for development, CONCORD, 2011.
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all’impatto che queste hanno sui diritti dei più poveri e marginalizzati nella società. In questo senso, ad esempio, CONCORD ha proposto di adottare un rights-based approach per le politiche di sicurezza alimentare: questo permetterebbe di implementare delle politiche alimentari ed agricole che abbiano al centro le persone e che affrontino le cause strutturali della fame, quali l’iniqua distribuzione del cibo o la privazione del diritto di accesso alle risorse naturali, piuttosto che affidarsi ai meccanismi dei mercati internazionali.
2.3 Il sostegno di bilancio Il Budget support, o sostegno al bilancio, è un altro strumento ad oggi considerato molto importante dalla comunità internazionale in funzione di una maggiore efficacia degli aiuti. Questo strumento è stato lanciato già negli anni ‘90 e inizio 2000 dall’Unione Europea, ma solo negli ultimi anni è diventato un elemento sempre più rilevante dell’agenda europea. Nel Green Paper 2010 della Commissione Europea, ‘The future of EU Budget support to third countries’, questa strategia è stata definita come un trasferimento di risorse finanziarie da parte del donatore ad un paese partner per l’implementazione di politiche stabilite da quest’ultimo. Si tratta quindi di un finanziamento non collegato a progetti o azioni specifiche ma diretto al budget generale del paese, e che va quindi a finanziare alcune funzioni chiave del governo, quali la costruzione di infrastrutture, l’implementazione di riforme più complesse o il controllo del rispetto della legge. Un tale approccio può superare, secondo il Green Paper Europeo, alcune delle debolezze
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dell’approccio tradizionale basato sui progetti, il cui rischio è la creazione di un sistema di aiuti parallelo e frammentato, o ad alti costi di transazione 22. La strategia di supporto al bilancio può, invece, potenziare la titolarità (ownership) delle politiche dello sviluppo da parte dei paesi beneficiari, rafforzando i sistemi nazionali e la responsabilità delle istituzioni di fronte ai propri cittadini. Vi sono due principali forme di supporto al bilancio: da una parte c’è il general budget support, che va a supportare la strategia nazionale del paese partner ed ha quindi un azione più ad ampio raggio, e dall’altra c’è il sector budget support, che va a sostenere la strategia di un particolare settore di governo. L’Unione Europea usa spesso entrambe le soluzioni insieme, specialmente nei paesi Africani. Il sostegno al bilancio effettuato dall’Unione Europea viene elargito secondo criteri di idoneità del paese ricevente ed è guidato da alcuni principi base, che riprendono i principi stabiliti dagli High Level Forums on Aid Effectiveness. Tra questi principi ci sono: la titolarità, ovvero il sostegno al paese ricevente nel raggiungimento delle proprie strategie di sviluppo; l’importanza del raggiungimento di risultati concreti e misurabili; la prevedibilità del supporto sia sul breve che sul lungo termine; la responsabilità (accountability) del governo ricevente verso i propri cittadini, ma anche la responsabilità recipro-
22 Per costi di transazione si fa riferimento a tutti quei costi associati all’organizzazione di un’attività, ad esempio i costi in tempo e denaro per definire un accordo, di ricerca di informazioni, di contrattazione, e così via.
ca tra donatore e beneficiario. Anche CESPI, Centro Studi di Politica Internazionale, ha sottolineato alcuni vantaggi della strategia di sostegno al bilancio, quali la riduzione dei costi di transazione tra donatori e beneficiari, l’allineamento tra i contributi esterni ed interni ai programmi nazionali di sviluppo e una maggiore attenzione ai risultati, ma evidenzia anche alcuni potenziali problemi 23. Un tale approccio, infatti, “presuppone un alto livello di efficienza, expertise e integrità da parte della pubblica amministrazione del PVS, pena il rischio che aumentino spazi per la corruzione ed esca vanificato il controllo democratico esercitato dal Parlamento sul governo, che finisce col dialogare in via prioritaria con la comunità dei donatori” (CESPI, 2009: 15). Altri attori della società civile, quali ODI 24 e
23 J. L. Rhi-Sausi e M. Zupi, Scenari futuri della cooperazione allo sviluppo, CESPI, 2009. 24 H. Tavakoli e G. Smith, Insights from recent evidence on some critical issues for Budget Support design, ODI, 2011.
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OXFAM 25, hanno sottolineato il ruolo potenzialmente importante che può avere il budget support per lo sviluppo, soprattutto per i paesi considerati più fragili’ 26, mettendo, però, in evidenza anche la necessità di migliorare alcuni aspetti che possono limitare il ruolo positivo di questa strategia; tra questi, ancora una volta, la mancanza di trasparenza nell’allocazione e nella gestione delle risorse da parte sia dei donatori che dei beneficiari, la scarsa prevedibilità dei flussi e l’insufficiente coinvolgimento della società civile nei processi decisionali.
2.4 La cooperazione Sud-Sud e cooperazione triangolare L’architettura degli aiuti è diventata più complessa negli ultimi anni: il tradizionale schema di cooperazione che vede il Nord donatore e il Sud beneficiario non è più il modello esclusivo e sta crescendo sempre più il ruolo di nuovi donatori che fanno parte del cosiddetto Sud, in particolare paesi emergenti o a medio reddito. Il termine cooperazione Sud-Sud si riferisce, quindi, alla condivisione di risorse e di conoscenze tra paesi del sud del mondo, tipicamente a basso o medio reddito. Secondo stime ECOSOC, l’Economic and Social Council delle Nazioni Unite, questa tipologia di cooperazione è quasi raddoppiata nell’arco di una decina di anni, e i paesi che più contribuiscono sono, in ordine, Cina, India, Arabia Saudita, Venezuela, Sud Corea e
25 C. Dom e A. Gordon, Budget support in fragile situations, OXFAM, 2011. 26 Per una riflessione sul sostegno al bilancio nei paesi più fragili: C. Dom e A.Gordon, ‘Budget support in fragile situations’, OXFAM, 2011.
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Turchia (ECOSOC, 2008) 27. L’importanza della cooperazione Sud-Sud è stata riconosciuta per la prima volta dalla comunità internazionale con l’Accra Agenda for Action del 2008 e poi, più esplicitamente, dal Busan Partnership for effective development cooperation del 2011. L’Accra Agenda for Action ha riconosciuto l’importanza e la particolarità della cooperazione Sud-Sud, la quale, secondo il documento, rispetta l’indipendenza dei paesi beneficiari, la sovranità nazionale e i contesti locali, e rappresenta un valido complemento alla cooperazione Nord-Sud. A conclusione del Forum è stata, inoltre, creata una Taskteam on South-South development cooperation, ospitata all’interno del Working party on aid effectiveness di OCSE-DAC, con il compito di facilitare la collaborazione tra i paesi donatori, vecchi e nuovi, e fornire proposte per le politiche 28. Nel 2011, il Busan Partnership ha ribadito la necessità di aumentare il supporto per la cooperazione Sud-Sud e la cooperazione triangolare; una tale strategia, si legge nella dichiarazione, può trasformare gli approcci e le politiche dei paesi in via di sviluppo, portando a soluzioni più efficaci e più adatte ai contesti locali e nazionali. Inoltre, a testimonianza di una crescente attenzione per la cooperazione Sud-Sud, nel 2010 in Colombia si è svolto l’High Level Event on South-South development coope-
27 Per maggiori dati e informazioni: ‘Trends in South South and triangular cooperation’, 2008, ECOSOC. 28 Sulla sezione dedicata al Task Team, nel sito dell’ OCSE, sono disponibili maggiori informazioni, oltre ad un elenco di oltre 100 case studies di cooperazione Sud-Sud.
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ration, che ha visto l’approvazione del Bogotà Statement, nel quale i firmatari si sono impegnati a implementare le buone pratiche della cooperazione Sud-Sud per supportare i paesi nel cammino verso il raggiungimento degli obiettivi del millennio. Il documento ha sottolineato come questa forma di cooperazione non possa essere un sostituto della cooperazione Nord-Sud, bensì un importante integrazione di questa. La cooperazione triangolare deve, in questo contesto, fare da ponte tra le due diverse forme di cooperazione. L’OCSE/DAC ha posto particolare enfasi proprio sulla cooperazione triangolare, che all’interno del documento ‘Triangular cooperation and aid effectiveness’ del 2009, viene definita come una forma di cooperazione che coinvolge un paese donatore facente parte del DAC, un paese beneficiario e un cosiddetto pivotal country, ovvero un paese non-OCSE con un ruolo centrale nella cooperazione Sud-Sud. Secondo l’OCSE un tale approccio alla cooperazione può avere diversi vantaggi rispetto alla più tradizionale forma di cooperazione Nord-Sud perché può combinare il know-how dei paesi ‘emergenti’, che affrontano (o hanno affrontato) sfide simili a quelle dei paesi beneficiari, all’esperienza nella cooperazione dei paesi DAC. Vi sono, però, anche dei nodi importanti da affrontare per una buona riuscita di questa forma di cooperazione, primo tra tutti la “definizione di un terreno comune, in tutti i paesi o su tutti i temi” che sia abbastanza solido (CESPI, 2009:31). Il giudizio della società civile, e in particolare delle organizzazioni aderenti a Better Aid,
a proposito della cooperazione Sud-Sud è più sfaccettato 29 (Better Aid, 2010). Da una parte, vengono riconosciuti gli aspetti positivi di questo tipo di cooperazione: porta fondi e risorse a settori e paesi che sono generalmente sotto finanziati; non sono normalmente imposte condizioni per l’erogazione degli aiuti, al contrario di ciò che fanno la maggior parte dei paesi dell’OCSE, e l’assistenza e il finanziamento tendono ad essere più veloci e prevedibili, grazie a una più leggera burocrazia. Inoltre, una cooperazione portata avanti da paesi donatori che fanno parte del Sud può avere il vantaggio di essere maggiormente ‘dentro’ la realtà e le problematiche del paese beneficiario. Dall’altra parte, però, gli interessi geopolitici e strategici rimangono, anche per i cosiddetti ‘nuovi donatori’, un fattore di influenza molto forte nella definizione delle priorità e delle azioni. Inoltre, i donatori che provengono dal Sud si distinguono dai donatori dell’OCSE perché evitano, generalmente, di interferire nei processi politici e negli affari interni dei paesi riceventi, questo può lasciare più spazio di azione al paese ma rischia anche di portare ad una mancanza di riguardo per i diritti umani, l’uguaglianza di genere o per altre considerazioni ambientali o sociali. Nella sua analisi della cooperazione SudSud Better Aid conclude, pertanto, che questa dovrebbe aderire a certe norme e principi che assicurino che le azioni implementate abbiano un impatto positivo sulle popolazioni più vulnerabili e marginalizzate (Better Aid, 2010).
29 ‘Policy paper on South south development cooperation’, 2010, BetterAid.
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3. La società civile e il dibattito sull’efficacia degli aiuti Parallelamente al crescere del dibattito internazionale sull’efficacia degli aiuti si è affermata, da parte della società civile, l’esigenza di trovare uno spazio all’interno del quale poter dare il proprio contributo sul tema. Infatti, nonostante la Dichiarazione di Parigi abbia riconosciuto formalmente il ruolo della società civile, i processi di discussione e di approvazione del documento non hanno visto alcun reale coinvolgimento delle organizzazioni rappresentanti la società civile. Inoltre, pur considerando importante il lavoro della comunità internazionale per migliorare l’efficacia degli aiuti, le organizzazioni della società civile non considerano i principi espressi nella Dichiarazione come applicabili a se stesse dal momento che questa si è concentrata sul ruolo dei donatori, dei beneficiari e dei canali di aiuto internazionali. La necessità di aggiungere riflessioni al tema ha portato, nel 2007, alla nascita di una serie di ‘piattaforme’ per la discussione che riuniscono organizzazioni della società civile, tra queste le principali sono la BetterAid Platform 30, che riunisce più di settecento organizzazioni, e l’Advisory group on civil society and aid effectiveness, il quale è stato creato dal DAC e comprende anche donatori e governi. Inoltre, nel 2008 è nato l’Open Forum for Development Effectiveness 31, un Forum mondiale indipendente da governi e donatori, aperto a tutte le organizzazioni della società civile interessate a partecipare al dibattito; ad oggi ci sono stati due Forum, il primo si è svolto nel 2010 a Istanbul, in Turchia, e il secondo nel 2011 a Siem Reap, in Cambogia.
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www.betteraid.org
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www.cso-effectiveness.org
L’obiettivo dell’Open Forum è la definizione di una visione globale sull’efficacia dello sviluppo, di principi cardine che ne orientino l’operato e di linee-guida per l’implementazione; questo progetto ha portato all’approvazione dei Principi di Istanbul nel 2010, che hanno costituito la base per la successiva stesura dell’International Framework for CSOs Development Effectiveness nel 2011. E’ importante sottolineare che Better Aid e Open Forum sono due processi distinti, entrambi guidati dalle organizzazioni della società civile e complementari tra loro: Better Aid ha l’obiettivo di monitorare l’implementazione dell’Accra Agenda for Action e del Busan Partnership e di fornire proposte per una riforma dell’architettura degli aiuti; l’Open Forum, invece, ha l’obiettivo di capire e definire come le organizzazioni della società civile possano migliorare la loro efficacia come attori dello sviluppo.
3.1 Alcuni aspetti fondamentali del contributo della società civile Come già accennato precedentemente, il contributo della società civile al dibattito internazionale, sia tramite Better Aid che tramite l’Open Forum, si è distinto fin da subito per aver spostato l’attenzione dal concetto di efficacia degli aiuti a quello di efficacia dello sviluppo. Si è passati, pertanto, da un approccio che si focalizza solo sull’efficacia del trasferimento delle risorse e dei risultati prodotti, ad uno più olistico, che si concentra maggiormente “sulla promozione di un cambiamento sostenibile che mira a combattere sia le cause sia i sintomi della povertà, della diseguaglianza e dell’emarginazione attraverso la diversità e la complementarietà di strumenti, politiche e attori” (Stranieri, 2012: 6). L’approccio basato
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sull’efficacia dello sviluppo privilegia, da una parte un’analisi delle cause strutturali dei processi, e dall’altra un’attenta analisi dell’impatto che le azioni degli attori dello sviluppo possono avere sulle popolazioni più vulnerabili e marginalizzate. Questo nuovo approccio è stato, in seguito, riconosciuto anche dalla comunità internazionale all’interno del Quarto Forum di Alto Livello del 2011, a cui sia Better Aid che l’Open Forum hanno partecipato attivamente, e che ha visto l’approvazione del Busan Partnersip for Effective Development Cooperation.
Più in generale, un altro aspetto importante da sottolineare è la diversità di argomenti e di approcci esistente tra la società civile e la comunità internazionale, in questo senso l’esempio più evidente è la promozione di un approccio basato sui diritti umani, o rightsbased approach, di cui si parlerà più avanti.
Partendo dal concetto di efficacia dello sviluppo le organizzazioni della società civile hanno contribuito ad ampliare ed arricchire il significato di alcuni dei principi enunciati all’interno dei documenti approvati dagli High Level Forums, quale quello di ownership. La Dichiarazione di Parigi, infatti, fa riferimento al concetto di E’ importante notare, tuttavia, che il concetto di sviluppo cui Molteplici definizio- country ownership, ovvero la titolarità da parte delle istitufanno riferimento le organizni per lo Sviluppo: zazioni della società civile è processo prettamente zioni del paese beneficiario del processo di sviluppo; le differente da quello adottato economico o complespiattaforme della società dalla comunità internazionale civile, quali Better Aid e Open sità che implica anche e, in particolare, dai donatori: le piattaforme della società ci- fattori politici, sociali Forum, invece, hanno arricchito il discorso parlando di vile partono dall’idea che lo culturali democratic ownership, allarsviluppo sia un processo vasto gando quindi il concetto di e multi-sfaccettato, che comtitolarità del processo di sviluppo anche ai prende aspetti economici, sociali, politici e parlamenti, alle autorità civili, alle comunità culturali; come scrive Better Aid “development e società civili del paese partner. cooperation should be about supporting conditions in which people can exercise sovereignty over their own process of development” 32 (Better Aid, 2010) . Molto spesso, invece, la comunità internazionale considera lo sviluppo come legato principalmente alla crescita economica; per fare un esempio, all’interno dell’accordo di Busan, si afferma che “develoment is driven by strong, sustainable and inclusive growth”.
Il lavoro della società civile si è concentrato molto anche sulla domanda di riconoscimento, da parte della comunità internazionale, del proprio ruolo di attore indipendente e diverso dagli altri, all’interno dell’architettura degli aiuti globale. Inoltre, è stata posta particolare attenzione sulla richiesta di realizzazione di un enabling environment, ovvero un ambiente favorevole o abilitante, che permetta alle organizzazioni della società civile di agire in modo efficace. A
32 ‘Development effectiveness in development cooperation: a rights-based perspective’, Better Aid, 2010.
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questo ha fatto esplicito riferimento anche l’Accra Agenda for Action, nella quale è scritto “ We will work with CSOs 33 to provide an enabling environment that maximises their contribution to development (Accra Agenda for Action, 2008). In realtà, nonostante gli impegni formali, diverse organizzazioni della società civile hanno denunciato una riduzione dello spazio politico ed operativo negli ultimi anni (Civicus, 2011; ACT Alliance, 2011 34). Il concetto di enabling environment parte dal riconoscimento dell’influenza esercitata sull’operato e sulla capacità di azione delle organizzazioni della società civile da parte di fattori culturali, burocratici, legali e politici. L’Open Forum ha, infatti, sottolineato che i progressi nell’attuazione dei Principi di Istanbul sono dipendenti in buona parte anche da quanto le leggi e le pratiche dei governi e dei donatori sono coerenti con i principi stessi.
3.1 L’ Open Forum: i principi che devono guidare lo sviluppo Dal 28 al 30 giugno 2011, l’Open Forum ha riunito a Siem Reap, Cambogia, i rappresentanti della società civile provenienti da 70 paesi diversi; al termine del Forum è stato approvato l’International Framework for Development Effectiveness, altrimenti chiamato Siem Reap Consensus. Precedentemente, nel 2008, un’altra assemblea dell’Open Forum a Istanbul ha portato alla definizione degli otto principi cardine
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Acronimo di civil society organisations
34 ‘Shrinking political space of civil society action’, ACT Alliance, 2011; ‘State of civil society 2011 Report’ CIVICUS, 2011.
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che devono orientare l’azione della società civile, noti come Principi di Istanbul; questi rappresentano i valori fondamentali condivisi dalle organizzazioni della società civile, che devono però poi essere applicati localmente e adattati al contesto e al ruolo di ogni organizzazione. L’assemblea di Siem Reap è partita da questi principi per cercare di capire come poterli implementare e come creare le condizioni che permettano alle organizzazioni della società civile di lavorare in modo efficace. I principi che devono guidare le azioni per lo sviluppo della società civile sono:
1. Rispettare e promuovere i diritti umani e la giustizia sociale. Questo significa adottare un approccio allo sviluppo basato sui diritti (rights-based approach) che affronti le cause strutturali dei problemi e che abbia come obiettivo quello di aiutare le persone a reclamare i propri diritti (empowerment). 2. Mantenere l’uguaglianza di genere come obiettivo fondamentale, combattendo le relazioni di potere inique e promuovendo i diritti delle donne. 3. Concentrarsi sulla partecipazione, responsabilizzazione delle persone (people’s empowerment) e sulla titolarità democratica delle politiche 4. Promuovere la sostenibilità ambientale e risposte urgenti ai cambiamenti climatici. Ogni persona ha il diritto di vivere e lavorare in un ambiente sano e sostenibile. 5. Impegnarsi a promuovere la trasparenza, l’integrità e l’accountability (responsabilità verso i diversi attori coinvolti) nelle proprie azioni.
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6. Perseguire partnership eque e solidali. Questo significa impegnarsi a portare avanti relazioni trasparenti insieme agli altri attori dello sviluppo, basandosi su obiettivi di sviluppo e valori condivisi e ben definiti. 7. Creare e condividere la conoscenza e impegnarsi per l’apprendimento reciproco, integrando gli insegnamenti derivati dalle pratiche già implementate, dai risultati e dalla conoscenza e saggezza delle comunità indigene. 8. Impegnarsi per realizzare un cambiamento positivo sostenibile e duraturo nel tempo, agendo in modo complementare e non in sostituzione alle responsabilità dello stato. All’interno del Siem Reap Consensus ognuno degli otto principi è seguito da una piccola guida per punti; il documento è diventato poi la parte fondante della strategia dell’Open Forum all’incontro di Busan. Inoltre, è importante segnalare che l’Open Forum ha sviluppato due utili toolkits per identificare le linee guida: il primo di questi mira a facilitare l’implementazione pratica dei Principi di Istanbul (“Putting the Istanbul Principles into practice: Implementation toolkit” 35) e il secondo cerca di facilitare il processo di advocacy, fornendo una serie di informazioni utili per la definizione delle condizioni che permettono alle organizzazioni della società civile di mettere in pratica le proprie azioni e di sollecitare i propri governi e i donatori (“Advocacy toolkit: Guidance on how to advocate for a more enabling environment for civil society in your
35 Il documento fornisce per ciascun principio una lista di attività, domande, suggerimenti e strumenti per definire gli obiettivi e monitorare l’impatto delle azioni implementate.
context”) 36. Il Siem Reap Consensus è particolamente importante perché ha presentato, per la prima volta, “una visione a lungo termine per la società civile, uno strumento di pianificazione e advocacy per guidare il processo dell’efficacia delle CSOs, nonché una sollecitazione per governi, istituzioni e donatori per impegnarsi a creare un ambiente abilitante (favorevole)” per il lavoro delle organizzazioni della società civile nei vari paesi (Stranieri, 2012: 15). Oltre ai contenuti, il processo che si è sviluppato all’interno dell’Open Forum è importante anche per l’ampiezza del coinvolgimento e della partecipazione dei rappresentanti della società civile che ha portato, per la prima volta, al
36 Entrambi I documenti sono disponibili sul sito: www.cso-effectiveness.org
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raggiungimento di un consenso internazionale sul ruolo delle organizzazioni della società civile nello sviluppo e principi che devono guidare il loro lavoro.
3.2 Il Rights-based approach: i diritti umani come guida per lo sviluppo Partendo dal concetto di efficacia dello sviluppo, le organizzazioni della società civile hanno sviluppato una nuova cornice entro il quale sviluppare ed orientare il
Charity Approach
proprio operato. Parte fondamentale di questa nuova cornice è quello che è chiamato rights-based approach, o approccio basato sui diritti umani: il concetto di efficacia dello sviluppo è, infatti, strettamente dipendente da un approccio basato sui diritti umani. Un tale approccio può definirsi normativo poiché si basa sull’integrazione delle norme, dei principi, degli standards e degli obiettivi del sistema di diritti umani internazionale all’interno dei piani, dei processi e delle strategie dello sviluppo, fornendo in questo modo “una cornice olistica e universalmente ricono-
Needs Approach
Rights Based Approach
Focus on input not outcome
Focus on input and outcome
Focus on process and outcome
Emphasizes increasing charity
Emphasizes meeting needs
Emphasizes realizing rights
Recognizes moral responsabi- Recognizes needs as valid claims lity of rich towards poor
Recognizes individual and group rights as claims toward legal and moral duty bearers Individuals and groups are empowered to claim their right
Individuals are seen like victims
Individuals are objects of develpment intervention
Individuals deserve assistance
Individuals deserve assistance Individuals are entitled to assistance Focus on immediate causes Focus on structural causes of problems and their manifestations
Focus on manifestation of problems
Fonte: Danish Institute for Human Rights
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sciuta” (Stranieri, 2012:9). Una delle caratteristiche fondamentali dei diritti umani, e di conseguenza di un approccio basato sui diritti umani, è quello di individuare una struttura chiara di titolarità di diritti e di doveri: ogni essere umano è un rights-holder (titolare di diritti) a cui corrisponde uno, o più, duty-bearer (portatore di dovere), il quale ha l’obbligo di rispettare, proteggere e realizzare i diritti del rights-holder. Quest’ultimo ha il diritto di rivendicare i propri diritti, di richiederne il rispetto al duty-bearer ma ha anche il dovere di rispettare i diritti degli altri.
mento. Questa diversa analisi del problema porta, pertanto, anche ad una differente diagnosi delle cause che stanno alla radice dello stesso e, quindi, delle misure necessarie da mettere in atto.
Adottare una tale visione porta anche ad un cambiamento radicale del modo di concepire la povertà e le sue cause ultime. La povertà non è più semplicemente vista come un problema dovuto alla mancanza di risorse adeguate, che può essere affrontato mettendo in atto mere soluzioni materiali, ma diventa un concetto più complesso e sfaccettato: viene riconosciuta come la conseguenza di una violazione o negazione dei diritti umani, e ha come cause centrali la marginalizzazione, la discriminazione e lo sfrutta-
razione di cibo è un diritto umano universa-
Il Danish Council for Human Rights spiega chiaramente questo aspetto “If one argues that a man is hungry because he has no food, the solution is to give him food. If one argues that a man is hungry because he is unable to get sufficient food from his small plot of land, the solution will imply increasing the amount of land available or its output. If we add extra information, i.e. Quindi, un approccio basato Gli individui hanno that the plot is too small becausui diritti umani lavora per il diritto di ricevere se most of the village land was rafforzare le capacità dei taken by a government farm assistenza per verights-holders di reclamare i then the solution is different dere assicurato il propri diritti, e dei duty-beaagain. If we also identify he is rers di far fronte ai propri dorispetto dei propri in fact more likely to be a she, veri. In questo senso, si passa and that being a woman she diritti da un approccio tradizionale, was not eligible to the goverche ritiene che gli individui nment scheme of redistribution meritino assistenza per soddiof land then the complexity sfare i propri bisogni ad un altro che, invece, deepens further 37 (Kirkemann Boesen e T. Martin, 2007: 11). ritiene che gli individui abbiano il diritto di ricevere assistenza per vedere assicurato il CONCORD, la rete Europea delle ONG, rispetto dei propri diritti, mirando a dare a propone di adottare un rights-based approquesti il potere di esigerli per sé (empowerach nell’analisi del tema della sicurezza ment). alimentare: l’accesso a un’adeguata e sana
37 N.d.r. “Se si sostiene che un uomo ha fame perché non ha cibo, la soluzione è quella di dargli da mangiare. Se si sostiene che un uomo ha fame perché non è in grado di ottenere cibo a sufficienza dal suo piccolo appezzamento di terreno, la soluzione comporterà aumentare la quantità di terra disponibile o del suo output. Se si aggiunge informazioni supplementari, vale a dire che l’appezzamento è troppo piccolo perché la maggior parte della terra del villaggio è stata presa da una fattoria del governo allora la soluzione è ancora diversa. Se andiamo a dettagliare il profilo lui sarà probabilmente una lei, per cui non meritevole di beneficiare della redistribuzione delle terre, allora la complessità approfondisce ulteriormente.
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le che tutti gli stati sono obbligati a rispettare e proteggere 38. Una tale lente permette di vedere il problema della fame come risultante da un’iniqua distribuzione delle risorse o da una negazione del diritto di accesso e controllo delle risorse naturali e finanziarie necessarie per un dignitoso sostentamento. Realizzare il diritto alla sicurezza alimentare significa, quindi, affrontare le cause strutturali del fenomeno, rivedere i modelli di produzione e creare delle politiche che abbiano al centro l’interesse della persona (CONCORD, 2011).
for civil society 40, una guida approfondita all’applicazione pratica dell’approccio basato sui diritti umani, che va dall’analisi del contesto alla definizione del progetto, all’implementazione, monitoraggio e valutazione di questo.
Un’altra importante peculiarità del rightsbased approach è l’importanza che viene accordata non solo al risultato (come avviene per gli approcci più tradizionali) ma anche al processo che deve portare allo sviluppo, dal momento che anche questo ha un impatto rilevante sulle vite e sulla dignità delle persone. Un tale approccio, quindi, considera non solo COSA si fa, ma anche COME e PERCHE’. Negli ultimi anni questo metodo ha guadagnando crescente supporto tra le organizzazioni della società civile; sia Action Aid che Oxfam, ad esempio, riconoscono il ruolo centrale che l’approccio basato sui diritti umani riveste nella definizione e implementazione dei loro progetti 39. Di particolare importanza è il lavoro prodotto dal Danish Institute for human rights, il quale nel 2007 ha pubblicato Applying a rights-based approach: an inspirational guide
38 Capitolo 2, ‘Food security and the right to food’ in ‘Spotlight on EU Policy Coherence for development’, CONCORD, 2011. 39 In particolare si veda ‘Human rights-based approaches to poverty eradication and development’, Action Aid, 2008.
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40 J. Kirkemann Boesen e T. Martin, Applying a rightsbased approach: an inspirational guide for civil society, The Danish Institute for Human Rights, 2007.
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La Fondazione Culturale Responsabilità Etica (www.fcre.it) è stata fondata da Banca Etica per promuovere nuove forme di economia sostenibile, per diffondere i principi della finanza eticamente orientata, per analizzare il funzionamento della finanza e proporre soluzioni nella direzione di una maggiore sostenibilità. Per realizzare questi obiettivi, la Fondazione lavora in rete e partecipa alle iniziative e alle campagne delle organizzazioni della società civile in Italia e a livello internazionale. Nell’ambito delle proprie attività, la Fondazione ha deciso di proporre queste schede “capire la finanza”. Le schede provano a spiegare in maniera semplice i principali meccanismi e le istituzioni del panorama finanziario internazionale, dalle istituzioni internazionali ai paradisi fiscali, dai nuovi strumenti finanziari alle banche e alle assicurazioni. Con queste schede ci auguriamo di dare un contributo per comprendere le recenti vicende in ambito finanziario e per stimolare la riflessione nella ricerca di percorsi alternativi. Le schede sono realizzate in collaborazione con il mensile Valori e con la CRBM. Valori (www.valori.it) è un mensile specializzato nei temi dell’economia sociale, della finanza etica e della sostenibilità. E’ tra le testate più autorevoli in Italia a trattare questioni complesse e “difficili” relative al mondo dell’economia e della finanza in maniera approfondita ma al tempo stesso comprensibile: denunciandone le ingiustizie, evidenziandone le implicazioni sui comportamenti individuali e sulla vita della società civile a livello sia locale che globale, e promuovendo le esperienze, le progettualità e i percorsi dell’economia sociale e sostenibile. La Fondazione Culturale e Valori sono anche tra i promotori dell’Osservatorio sulla Finanza, uno strumento di informazione critica sulla finanza e l’economia: www.osservatoriofinanza.it Per contatti e per maggiori informazioni: info@fcre.it
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