Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
Anno 11 numero 86. Febbraio 2011. € 4,00
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.
Finanza > La moneta di scambio per traffici illegali. Una finanza parallela di Stato Economia solidale > Greenpeace: neocon e multinazionali vanno alla guerra Internazionale > Reportage da Haiti. Un anno dopo il sisma l’emergenza non è finita
Il valore della terra
Dossier > Non solo profitto dal cemento, il territorio cela altre ricchezze. Cerchiamole
Fotoreportage > Patrimonio da salvare
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Il valore
del territorio Mater-Bi Mater-Bi is a trademark of Novamont SpA
di Giorgio Ferraresi
P Campagna coordinata da: ICEA e NOV NOVAMONT VAMONT A saranno presenti BIOFACH/VIVANESS al BIOF ACH/VIV VANESS A Norimberga 16-19 febbraio 2011 pad. 7A - stand 120/121
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numero verde 800 93 33 94
Mater-Bi®: dalla terra alla terra In poche settimane di compostaggio n sacchetto in Mater r-Bi - ® si tr trasforma un Mater-Bi asforma in concime per la terr terra. a. Scegliere Mater-Bi iere Mater r-Bi - ®, in particolare per i produttori biologici, è un atto di coerenza e impegno ambientale ambientale..
Icea e Novamont insieme per l’ambiente
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andi quantità e personalizzato grandi Prodotto in gr per il settore biologico, ettore biologico o, SA SACCHETICO CCHETICO® darà la possibilità ai produttori agricoli e agli operatori operatori dei negozi specializzati, sacchetti che CERT di distribuire sensibilizzano la clientela, I FI veicolano una campagna grande v di grande valore alore sociale l’inquinamento.. e riducono l’inquinamento
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Icea, l’Istituto per la certificazione etica e ambientale ambientale,, insieme a Nov Novamont, amont, produttore della prima bioplastica italiana, hanno perfezionato un aaccordo ccordo p per diffondere prodotti rodotti er d iffondere i p iin nM Mater-Bi ater-Bi® tra tra i produttori biologici.
Cominciamo dai sacc sacchetti hetti
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L’AUTORE Giorgio Ferraresi. Nato a Milano nel 1937, già ordinario di Urbanistica e coordinatore di dottorati presso il Politecnico di Milano. Ha condotto ricerche in reti nazionali e internazionali sui temi dell’abitare, del locale, del municipalismo e federalismo, del progetto ecologico del territorio e della costruzione sociale del piano. Ha pubblicato numerosi saggi e testi (i principali sui temi qui trattati si trovano citati nelle pagine del dossier di questo numero), prodotti per le ricerche della Scuola Territorialista, di cui ha coordinato da sempre la sede milanese.
ROPORRE E SPERIMENTARE NUOVI PERCORSI di
valorizzazione del territorio significa offrire un’alternativa alla crisi strutturale del modello di sviluppo dominante da più di due secoli: l’urbanesimo industrialista e, poi, post-fordista, che ha un suo fondamento proprio nell’occupazione del territorio, nel consumo e nella distruzione del suo valore, endogeno e locale. Un modello dominato dalla ragione del produrre cose come merci, le cui funzioni e urbanizzazioni invadono il territorio, ridotto a piattaforma, puro spazio senza alcun valore che non sia la sua utilizzabilità per questi processi di mercificazione. Un valore, in sostanza, immobiliare. Nel cuore di questo processo si è verificato un genocidio del mondo rurale: la fertilità complessa dell’agricoltura che nutre e governa il territorio è stata ridotta ad agroindustria o a “funzione verde”. Di fronte all’evidenza dell’insostenibilità di questo modello, ormai al collasso, non basta un “ambientalismo compassionevole”, che cerca solo di porre un limite allo sviluppo dato e indiscusso, di “misurarne il carico” o compensarlo con un po’ di verde. Serve una vera svolta ecologica, che proponga un progetto alternativo, che interpreti la questione ambientale come una questione territoriale complessiva, strutturale: ridare “valore proprio” al territorio. Il “valore territoriale” emerge se il territorio esprime: una qualità locale, fondata sulla biodiversità e sulla diversità culturale, sulle differenze (risorse, processi, beni “propri” e distintivi dei vari territori) e una qualità ambientale, quando il progetto ecologico mette al centro le ragioni dei viventi, l’uomo e le relazioni tra cultura e natura. Solo così il territorio è vivo ed è, in tutte le sue diverse qualità, “luogo di luoghi”, che ospita, esprime e nutre i “mondi della vita”. È il “territorio dell’abitare”, così è definito dalle ricerche territorialiste: un “soggetto vivente”, complessa interazione di sistemi ambientali, insediativi e culturali/sociali, continuamente ridefinita dalla plurimillenaria opera dell’umanità. Ciò rimette al centro e rinnova, innanzitutto, l’antico ruolo svolto nella storia dall’agricoltura: l’attività primaria, la prima e fondamentale opera di nutrire la vita e di (ri)generare il territorio: produrre cibo, materiali, energia, governare i cicli ambientali, mediante la trasformazione/ domesticazione della natura. E che fonda anche le radici della città. Si delinea in questi termini una sorta di “manifesto della terra”, che vale per la neo-ruralità in sé, ma anche come indirizzo generale per tutte le economie e gli assetti del territorio e della relazione con l’urbano da rifondare. Tracce di un’altra forma di ricchezza e di civiltà che ha la sua radice nell’apertura di un nuovo ciclo di valorizzazione della qualità del territorio Nel percorso di ricerca richiamato nel dossier di questo numero di Valori si esemplifica con chiarezza come, nelle esperienze considerate - in particolare nelle filiere della sovranità alimentare si possa concretamente “produrre e scambiare valore territoriale”, nel caso studiato del Parco Agricolo Sud Milano, ma anche nel contesto internazionale, europeo e non solo. Questo insieme di operazioni di nuova alleanza (le filiere corte, i mercati contadini, i green public procurement per la ristorazione pubblica aggregata) mostrano come si possano mettere in discussione radicale le basi essenziali di ogni economia (valore paradigmatico appunto): la struttura e la qualità della domanda di beni territoriali, la natura e la modalità della produzione e le modalità dello scambio. E in questi processi il territorio ritorna a essere “bene comune”.
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FEBBRAIO 2011
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valori febbraio 2011 mensile
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anno 11 numero 86 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore
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Il 13 novembre scorso centinaia di persone da tutto il mondo si sono radunate su un’isola della barriera corallina del Belize e hanno formato una scritta, “the end?”, la fine, per denunciare la distruzione di patrimonio ambientale e per chiedere all’umanità di riscoprire l’armonia con la natura.
LOU DEMATTEIS / REUTERS
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| sommario |
Belize, 2010
globalvision fotoreportage. Patrimonio da salvare dossier. Il valore della terra Oltre il profitto, i molti modi per dare valore alla terra Italia, una Repubblica fondata sull’edilizia Ferraresi: “Eccellenze agricole, contro la speculazione” Dal Canada all’Olanda: idee salva-suolo Parco Sud Milano: valori verdi alla riscossa Pisa, parola d’ordine: compartecipazione
finanzaetica
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La finanza parallela dello Stato o, meglio, degli Stati Arner. La banca dei numeri uno, dove si mettono i soldi di famiglia Ville ad Antigua: Berlusconi socio dell’operazione Tra accuse e scandali il microcredito alla resa dei conti (anteprima) Finanza etica è: lavoro e inclusione sociale L’Europa dei buoni progetti in un atlante
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islamfinanzasocietà
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economiasolidale Inchiesta/prima puntata. Viaggio nel mondo dell’olio d’oliva. Una bottiglia insostenibile Uliveti millenari: un patrimonio a rischio Greenpeace/1. Neocon all’attacco: “Nemici dei poveri e dei consumatori” Greenpeace/2. La strana battaglia tra i paladini dei boschi
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bancor
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internazionale Haiti: un anno dopo il sisma l’emergenza non è finita Dopo Cancún: il conto salato del clima rovente Un tribunale internazionale per i crimini ambientali Nel piccolo Benin la tratta degli schiavi esiste ancora
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Il Forest Stewardship Council (Fsc) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.
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| globalvision |
Anno 11 numero 86. Febbraio 2011. € 4,00
valori Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
Riconversione economica
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Quanto manca per uscire dalla crisi?
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Fotoreportage > Patrimonio da salvare
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Un anno (10 numeri) di valori LOU DEMATTEIS / REUTERS
di Alberto Berrini Dossier > Non solo profitto dal cemento, il territorio cela altre ricchezze. Cerchiamole
Il valore della terra
Terre di mezzo per un anno (11 numeri) a 55 euro
Finanza > La moneta di scambio per traffici illegali. Una finanza parallela di Stato Economia solidale > Greenpeace: neocon e multinazionali vanno alla guerra Internazionale > Reportage da Haiti. Un anno dopo il sisma l’emergenza non è finita Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.
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la crisi non è stata che una breve parentesi di un trend sostanzialmente ininterrotto di sviluppo. Il mondo sviluppato, invece, si interroga su quando uscirà dalla crisi e, più precisamente, sul tempo necessario per riportare il Prodotto interno lordo ai livelli pre-crisi. Secondo il “XV Rapporto Einaudi”, redatto dal Professor Deaglio, gli Stati Uniti raggiungeranno tale livello a fine 2011. Per Italia, Spagna e Giappone, che presentano i risultati più sfavorevoli tra le nazioni più significative, bisognerà aspettare il 2015. Tutti gli altri Paesi si collocano tra il 2012 e il 2014. Nel mondo sviluppato non c’è stato, dunque, “l’elastico di Friedman”, ossia un rapido rimbalzo dopo la caduta del 2008-2009 e, dunque, un altrettanto rapido recupero del trend pre-crisi. La speranza è di recuperare la velocità di crescita precedente alla crisi, ma rimane “la cicatrice permanente” del tempo perduto. Il pericolo più grave è il “modello Giappone”: ossia un calo permanente della velocità di crescita. È il rischio che corre l’Italia, peraltro già presente ben prima della crisi. Come afferma Deaglio, infatti, il declino italiano, ossia lo stato di semistagnazione della nostra economia, inizia almeno dal 1995. La crescita europea nel 2011 si attesterà attorno al 2%, ma si tratta di un dato medio. La Germania continuerà a marciare al 3% mentre l’Italia si manterrà all’1% circa, che è stato anche il risultato del 2010, un dato che non consente alcun miglioramento sul versante occupazionale. Con la crisi, dal primo trimestre 2008 al terzo trimestre 2010, il numero di occupati L’Italia potrebbe tornare in Italia è diminuito di 540.000 unità, senza contare le ore di cassa a livelli di Pil pre-crisi integrazione (Cig), che hanno un impatto pari a 480.000 unità di lavoro. nel 2015. Il +1% atteso Con la crescita stimata secondo il Rapporto del Centro Studi per il 2011 non fa Confindustria (dicembre 2010), “il numero delle persone occupate sperare nulla di buono continuerà a diminuire nel 2011. Il tasso di disoccupazione toccherà sul fronte occupazione il 9% nel quarto trimestre 2011 e inizierà a scendere molto gradualmente solo nel corso del 2012. Il numero dei disoccupati è a ottobre 2010 di 2.167.000, più del doppio rispetto ad aprile 2007”. Questo dato è ulteriormente aggravato dal fatto che l’Italia detiene, tra i Paesi ricchi, il primato per quanto riguarda la disoccupazione giovanile. Alla base di tutto ciò c’è un Paese che non cresce. La previsione (1%) per il 2011 è una stima al ribasso rispetto alle precedenti. Secondo il Centro Studi Confindustria “l’Italia delude. La frenata estiva e autunnale è stata decisamente più netta dell’attesa e il 2010 si chiude con produzione industriale e Pil stagnanti”. È opinione di Deaglio che il problema principale è la produttività, che è ferma da quindici anni “perché è mancata la politica industriale e il Paese ha abbandonato le attività a maggiore innovazione, come elettronica, telefonia, chimica, farmaceutica. Quindi la crisi ha sostanzialmente colpito un Paese già in gravi difficoltà”. In definitiva il Rapporto Einaudi mostra ciò che è ampiamente noto: la crisi italiana era ed è strutturale. È, dunque, indispensabile che il rigore sui conti pubblici (di cui “tanto si vanta” l’attuale Esecutivo) si accompagni a politiche per la crescita. Viceversa il declino è inevitabile. Non è più il tempo di aggiustamenti: è necessaria una grande “riconversione” economica del Paese.
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ANNO 11 N.86
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FEBBRAIO 2011
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EDOUARD BAILBY / UNESCO
| fotoreportage |
> Patrimonio da salvare foto di Unesco
KAREN STOLTZ / UNESCO
GEORGES MALEMPRÉ / UNESCO
A
confronto il celebre Tafazzi, felice e sorridente mentre si infliggeva bottigliate nelle parti basse, era un dilettante. È come se giocassimo a pallavolo con un bel vaso etrusco, o usassimo un quadro di Van Gogh per il tiro-a-segno, o rompessimo una sedia Luigi XIV per ravvivare il fuoco nel caminetto. Gesti da folli. Eppure è quello che, tutti insieme, facciamo alle meraviglie ereditate da Madre Natura e dai nostri avi. Sulle loro spalle dovremmo camminare per crescere. La realtà dice il contrario. Racconta di una serie di “Patrimoni dell’Umanità” in grande sofferenza. Se non in vero pericolo. L’Unesco, l’organismo dell’Onu che conferisce il famoso riconoscimento, è talmente preoccupata da avere una sorta di “black list” dei siti che rischiano di vedersi privare dell’agognato titolo perché maltrattati dall’incuria umana. Nessuna latitudine è risparmiata: si va dalla barriera corallina del Belize, minacciata dall’eccessivo sfruttamento delle coste, all’antica capitale dello Yemen, Zabid, in cui il 40% degli edifici storici è stato raso al suolo. Dal Buddha di Leshan, che ha resistito oltre 12 secoli, ma nulla può davanti al super inquinamento che soffoca la città cinese, al Los Katios Park in Colombia, punta di diamante per la sua diversità biologica ma vittima del commercio illegale di legno. Nemmeno la vecchia Europa è immune: Siviglia è osservata speciale per il progetto di un grattacielo di 178 metri, finanziato dal Banco Cajasol, che snaturerebbe il suo skyline. Idem Istanbul, a causa degli abbattimenti delle case nei quartieri Sulukule e Tarlatasi, decisi per far posto ad abitazioni di lusso. E Dresda ha già perso il marchio Unesco per un ponte sull’Elba che ha deturpato la bellezza della valle. Tanti luoghi mozzafiato. Messi in pericolo da un unico, ottuso, predatore: l’homo (non) sapiens. Che disbosca, inquina, cementifica, depreda gli ecosistemi. L’Italia in quella lista della vergogna per fortuna non è (ancora?) menzionata. Ma il fatto non dovrebbe sollevarci più di tanto. Perché, comunque, molti dei gioielli che il mondo ci invidia sono in grande affanno. Vittime di una gestione miope del territorio. «Su tutti, ci preoccupa la situazione dei centri storici che soffocano sotto smog, asfalto e cemento», denuncia Giovanni Puglisi, rettore della Iulm e presidente della Commissione italiana per l’Unesco. «Napoli, ma anche Firenze, Roma, Palermo sono sorvegliate speciali. Ma siamo preoccupati anche per la costiera Amalfitana, in cui ci sono 25 mila abitanti e 27 mila richieste di condono. Per le edificazioni senza sosta alle Cinque Terre. E per la Val di Noto, tra Siracusa e Augusta, minacciata dai progetti di trivellazioni petrolifere». Scelte inconcepibili. Anche dal punto di vista del ritorno economico per la collettività: un rapporto dell’Unesco di Parigi ha quantificato in un +20/30% l’aumento di introiti legato alla possibilità di potersi fregiare del titolo di “patrimonio dell’Umanità”. Tanti piccoli Tafazzi, appunto. Per la serie: continuiamo così, facciamoci del male...
GEORGES MALEMPRÉ / UNESCO
La barriera corallina del Belize, i centri storici di Zabid, Siviglia e Istanbul, il Buddha di Leshan. Ma anche la Val di Noto, le Cinque Terre, la Costiera amalfitana. Lo sviluppo basato solo su ricchezza economica ed edilizia mette in crisi parchi, città d’arte, luoghi storici. L’Unesco lancia l’allarme. E minaccia di privare molti siti del marchio di “Patrimonio dell’Umanità”.
Nella foto grande: il Registan di Samarcanda (Uzbekistan). Attorno alla piazza, le imponenti Madrasse costruite tra il XV e il XVII secolo e caratterizzate dalle celebri cupole azzurre di lapislazzulo. A lato: tre immagini del sito Inca di Machu Picchu (Peru). La crescita del turismo (da 800mila a 2 milioni di presenze annue) e il boom di hotel e ristoranti nel vicino paese di Aguas Calientes creano pressioni sugli argini del fiume Urubamba, aumentando il rischio di erosione.
> Patrimonio da salvare
Emanuele Isonio | 8 | valori |
ANNO 11 N.86
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YVON FRUNEAU / UNESCO
RHETT BUTLER / UNESCO
NIAMH BURKE / UNESCO FRANCESCA DE VINCENZI VARDA POLAK / UNESCO
Sopra: i giardini dell’Alcazar di Siviglia. La città spagnola rischia di perdere il marchio Unesco per il progetto di una Torre di 178 metri che sconvolgerebbe lo skyline cittadino. Nella pagina a fianco (dall’alto in senso orario): la foresta pluviale di Atsinanana in Madagascar, in pericolo per il traffico illegale di legname; la città di Dresda (Germania), che ha perso il marchio Unesco per un ponte a quattro corsie sulla valle dell’Elba; le cascate di Iguazu, esempio positivo, perché il progetto di una strada in mezzo al parco è stato sostituito da un trenino meno impattante; la Cupola della Roccia che domina su Gerusalemme, altra città “stressata” dal cemento.
> Patrimonio da salvare
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ANNO 11 N.86
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FEBBRAIO 2011
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UNESCO / MANRICO DELL’AGNOLA
| fotoreportage |
Lo spettacolo mozzafiato del Lastoi del Formin e della Croda da Lago, nelle Dolomiti ampezzane. La catena montuosa è stata inserita nel 2009 fra i Patrimoni dell’Umanità Unesco. Ambientalisti e amanti della montagna sperano che tale riconoscimento aiuti a frenare la costruzione di alberghi, appartamenti e opere urbanistiche di dubbia utilità, come la tangenziale in progetto a Cortina d’Ampezzo.
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ANNO 11 N.86
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YVON FRUNEAU / UNESCO
MICHEL RAVASSARD / UNESCO
CLAUDE VAN ENGELAND / UNESCO YVON FRUNEAU / UNESCO MICHEL RAVASSARD / UNESCO
Sopra: il Colosseo a Roma è ormai ridotto a enorme rotatoria all’ingresso del centro storico. L’Unesco ha denunciato più volte i danni di traffico, smog e cemento nelle città d’arte. Nella pagina a fianco (dall’alto in senso orario): Vernazza, alle Cinque Terre, altro territorio sotto pressione per l’edificazione selvaggia; Ponte Vecchio a Firenze; il tempio dorico di Giunone nella Valle dei Templi di Agrigento, attorno alla quale si continua a costruire senza sosta; le suggestive torri di San Gimignano. L’incremento di presenze turistiche “mordi e fuggi” è stato tale da far temere per la tutela del borgo stesso.
> Patrimonio da salvare
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dossier
GEORGES MALEMPRÉ / UNESCO
a cura di Paola Baiocchi, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Elisabetta Tramonto
Oltre il profitto, i molti modi per dare valore alla terra >18 Italia, una Repubblica fondata sull’edilizia >20 Eccellenze agricole contro la speculazione >22 Dal Canada all’Olanda, idee salva-suolo >23 Parco Sud Milano, valori verdi alla riscossa >24 Pisa, parola d’ordine: compartecipazione >26
A Nord-Est di Cuzco (Perù) si trova la valle di Pisac, considerata sacra dagli Inca e discretamente conservata. Sorte peggiore è capitata a Cuzco e a Machu Picchu, assediate dai crescenti flussi turistici e dall’urbanizzazione selvaggia.
Pisac, 1999
Terra & profitti
Una diga contro il cemento Il consumo di suolo senza freni impone un cambio di rotta per arginare lo strapotere dell’edilizia. Gli esempi positivi, in Italia e nel mondo, non mancano. Ma serve il coraggio di seguirli | 16 | valori |
ANNO 11 N.86
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FEBBRAIO 2011
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| valori | 17 |
| dossier | il valore della terra |
| dossier | il valore della terra |
Oltre il profitto I molti modi per dare valore alla terra
TERRENI LIBERI CONSUMATI FRA IL 1990 E IL 2005
%
Prov. Bolzano
9,3
Friuli V.G.
Lombardia
%
14,4
18,2
Veneto
%
12,3
Piemonte
%
%
%
Emilia R.
22,1
Liguria
45,5
% Marche
Toscana
%
11,8
15,7 %
%
Umbria 10,2
Abruzzo
%
17,7
di Emanuele Isonio
I
secoli i collegamenti con Milano. Lungo i suoi argini: Villa Bira-
go-Clari-Monzini, Palazzo Mantegazza, l’eleganza neoclassica di Villa Trivulzio, Villa Grosso Pambieri, Villa Frotta-Eusebio con i suoi motivi floreali. Molti comuni italiani possono vantare piccole o grandi gemme. Ma quelle del borgo milanese di Cassinetta di Lugagnano sono diventate famose grazie al modo scelto dalla giunta cittadina, per tutelarle: stop al consumo di territorio, stop alle pressioni degli speculatori (molto forti in un’area fertile e, tutto sommato, incontaminata come il Parco della Valle del Ticino). «Siamo stati eletti sulla base di un programma che permette solo la riqualificazione degli edifici esistenti e delle aree industriali dismesse», racconta il sindaco, Domenico Finiguerra. «Approvare il Piano ci ha però costretto a rinunciare ai soldi degli oneri di urbanizzazione (vedi BOX ). Abbiamo alzato un po’ le tasse e tagliato all’osso le spese comunali». Nessuno staff per la giunta, niente ufficio stampa né auto blu (solo una vecchia Panda), emolumenti ridotti al minimo per sindaco (500 euro) e assessori (70 euro). Il Piano ha funzionato: il consumo di territorio è stato fermato. Il sindaco “visionario” e la sua giunta “rosso-verde” sono stati rieletti, in un’area in cui, alle Politiche, Lega e Pdl su-
La cementificazione avanza incontrollata. Per fermarla, inizia a diffondersi l’idea di far pagare a chi sfrutta un’area i danni prodotti agli ecosistemi LINK UTILI www.stopalconsumoditerritorio.it www.comunivirtuosi.org www.eddyburg.it
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perano il 60%. Cassinetta è ormai un faro per gli altri Comuni che si battono contro la cementificazione selvaggia.
Molise
Lazio
17,6
18,9
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C’era una volta il Belpaese
Sardegna
L’ottimismo, si sa, a volte è questione di prospettive. Per questo abbiamo deciso di aprire il primo dossier del 2011 di Valori con una buona notizia, che porta però con sé una domanda: non è che per vincere la battaglia contro il cemento serve un modo nuovo di calcolare il valore di un territorio? «Finora – spiega Antonello Boatti, urbanista al Politecnico di Milano - il valore di un’area è stato legato al profitto che il suo proprietario può trarne. Ed è chiaro che, se quello economico è l’unico parametro, il valore di un terreno è oggi dettato dall’edilizia». Ma questo criterio ha prodotto un paradosso agghiacciante: più il Belpaese ha lasciato spazio al cemento, più i proprietari delle aree rese edificabili hanno fatto soldi a palate. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, ma pochi ne conoscono la reale entità: dal 1950 gli ettari di suolo libero sono scesi da 30 milioni a 17,8 (tanto per avere un’idea: l’Italia del Nord misura 12 milioni di ettari). Una valanga di asfalto e cemento che, con il tempo, è anche cresciuta: dal 1990 al 2005, rivela uno studio del Comitato per la Bellezza basato su dati Istat, si sono persi sotto al cemento 3,6 mi-
21,2 %
Campania
Puglia
15,1
Basilicata
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4,9
16,4 %
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Italia
17,1 %
Calabria
26,1 %
FONTE: COMITATO PER LA BELLEZZA SU DATI ISTAT, ANNUARIO 2006
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n mezzo al paese scorre il Naviglio Grande, che ha garantito per
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2001: LA LEGGE FINANZIARIA INTRODUCE una norma sciagurata per la tenuta del territorio italiano. Ha, infatti, permesso ai Comuni italiani di impiegare come spesa corrente, e non più solo come spesa per investimenti, gli oneri di urbanizzazione (i contributi dovuti ai Comuni da chi realizza interventi di costruzione edilizia, usati per dotare il territorio di servizi adeguati). Un cambio radicale rispetto a quanto previsto dalla precedente legge Bucalossi. Un acceleratore per un circolo vizioso: «Da quel momento - spiega Vittorio Emiliani, presidente del Comitato per la Bellezza - gli enti locali hanno avuto tutto l’interesse a permettere nuove costruzioni, anche se inutili». «L’uso degli oneri di urbanizzazione per coprire i buchi di bilancio è una delle scelte più scandalose e folli avvenute in Italia. Ha riempito il Paese di alloggi, uffici e magazzini inutili. E ha reso i Comuni complici dei palazzinari», tuona l’urbanista Edoardo Salzano. «Servono piani urbanistici seri che stabiliscano quali opere sono necessarie», aggiunge Antonello Boatti. Contrario a questa norma anche il coordinatore dell’Associazione Comuni Virtuosi, Marco Boschini: «I Comuni si sentono ricchi grazie agli oneri di urbanizzazione. Ma è una falsa ricchezza, che sposta avanti nel tempo il problema dei bilanci. Anche perché, prima o poi, il territorio si esaurirà. L’unica strada percorribile è la loro eliminazione. Vanno invece diffuse pratiche virtuose di riduzione degli sprechi, per smentire chi li ritiene indispensabili per i bilanci comunali». Una notizia positiva sembrava essere contenuta nell’ultimo decreto Milleproroghe, che non estendeva la norma tanto contestata. Ma l’illusione è durata poche ore. Alla vigilia di Natale, attraverso Em. Is. un emendamento del governo, tutto è tornato nella (grigia) normalità.
2,9
Val d’Aosta
18,4
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I BUCHI DI BILANCIO SI TAPPANO COL CEMENTO
IN PERCENTUALE SULLA SUPERFICIE REGIONALE Il consumo medio annuo di terreno raggiunge, mediamente, i 244.202 ettari.
vede privata dei prodotti non monetizzabili garantiti dalla Terra. Non si rispetta la peculiarità che ogni terreno possiede e si apre la strada a disastri naturali piccoli e grandi. Perché si finisce per costruire sui crinali dei vulcani, sulla aree di esondazione di un fiume, al posto di un bosco che preserva una paese da una valanga». La parola d’ordine quindi è: studiare ogni territorio. «Dobbiamo domandarci: come si è formato? Quali servizi ecosistemici assolve?» spiega Masullo. «Solo così possiamo internalizzare i costi naturali e umani di un progetto, partendo dal calcolo del danno potenziale a cui ci si espone sfruttando un’area. Diffondiamo questo principio, facciamo pagare i costi agli ideatori del progetto e vedremo che nella maggior parte dei terreni non è conveniente costruire. Automaticamente ci si orienterebbe verso le aree meno problematiche e verso metodi di sfruttamento più sostenibili».
Sicilia
22 lioni di ettari di territorio. In pratica: Lazio, Abruzzo e Umbria messi insieme. «Con i ritmi e con i meccanismi perversi attuali, altri cinquant’anni e avremo coperto tutta l’Italia di cemento e di asfalto», denuncia Vittorio Emiliani, presidente del Comitato per la Bellezza.
Altri parametri oltre alla rendita «Risolvere questo paradosso è d’importanza cruciale per fermare lo scempio», denuncia Boatti. «Finché si continuerà a calcolare il valore del territorio in base al profitto garantito dall’edificazione, non si potrà far nulla». Gli speculatori continueranno a guadagnare e la collettività continuerà a spen-
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dere soldi per i danni che il consumo di suolo produce: danni ambientali (ecosistemi danneggiati, calamità naturali, inquinamento), sociali (peggioramento dei livelli di vivibilità di città e paesi) e, ovviamente, sanitari. Da qui, l’esigenza di individuare altri parametri di calcolo. Gli economisti ecologici lo dicono da tempo: «È ora di fare un discorso analogo a quanto si fece a suo tempo criticando il Pil», commenta Andrea Masullo, docente di Sostenibilità all’università di Camerino. «Quell’indicatore calcola la ricchezza senza considerare molti fattori cruciali per la vita umana. Il valore del territorio basato solo sul profitto non considera i gravi danni provocati alla collettività, che si
Strumenti poco noti L’idea di internalizzare i costi trova consensi anche tra gli urbanisti, che però rimangono scettici sulla reale applicabilità dei nuovi metodi di valutazione: «In teoria, il principio è giusto, ma, nella pratica, stabilire l’impatto ecologico di un’opera è molto complicato», commenta Boatti. «I costi
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39,2
Monaco
9,2 Cessione superfici 3,9 Opere di urbanizz. 6,2 Servizi pubblici 18,5 Edilizia sociale 39,2 Ricavato d’impresa 23 Valore iniziale terreno
Italia, una Repubblica fondata sull’edilizia
SPAGNA, ESEMPIO DA SEGUIRE USO DEL SUOLO PER INTERESSE GENERALE e per rendere effettivo il diritto alla casa. Contrasto allo sfruttamento del territorio per fini speculativi. Diritto della collettività a ottenere parte delle plusvalenze derivanti dalle opere urbane. Principi sacrosanti, che in Spagna sono stati trasformati in norma costituzionale. L’articolo 47 della Costituzione introdotta nel 1978 recita infatti: “Tutti gli Spagnoli hanno il diritto di godere di una abitazione degna e adeguata. I pubblici poteri promuoveranno le condizioni necessarie e stabiliranno norme idonee per rendere effettivo questo diritto, regolando l’utilizzazione del suolo conformemente all’interesse generale per impedire la speculazione. La comunità parteciperà della plusvalenza prodotta dagli interventi urbanistici degli enti pubblici”. E se noi riprendessimo l’idea, unendola magari al divieto di condoni edilizi, nell’articolo 9 che “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”?
Prezzi immobiliari cresciuti del 35% in un decennio. Le rendite agricole non reggono il confronto. di Emanuele Isonio
C
TASSO DI CRESCITA DELLE TRANSAZIONI E DEI PREZZI IMMOBILIARI (DEFLAZIONATI): 1996-2006 Prezzi grandi città Prezzi media italiana
+ 55,6% + 35,0%
1997-2006 Transazioni
+ 57,0%
2006-2009 Andamento dei prezzi, Italia: Transazioni, Italia – 33,4%
– 9%
I LIBEREREMO MAI del giogo dell’edilizia? A leggere i dati del mercato immobiliare, qualche dubbio è lecito. Il decennio 1996-2006 sarà ricordato come quello della grande fiammata dei prezzi: in Italia sono saliti (al netto dell’inflazione) del 35%, nelle grandi città del 55,6%. Boom anche per le transazioni: +57%. Prima di allora, solo tra l’85 e il ’92 si era registrata un’impennata simile. Nello stesso periodo, però, i costi di costruzione sono addirittura scesi, grazie alla bassa inflazione e alla crescente manodopera straniera. Una manna dal cielo per gli immobiliaristi, che spiega an-
L’ESTIMO: VALUTARE LA TERRA. CON UN OCCHIO AL “POSSIBILE” UN LAVORO MOLTO COMPLESSO e una disciplina assai cambiata nel corso del tempo: l’estimo rurale ha un ruolo essenziale per quantificare il valore di un terreno agricolo. «Un tempo», afferma Vittorio Gallerani, docente di Estimo rurale all’università di Bologna «per definire il valore economico di un terreno era sufficiente la competenza di un agronomo in grado di valutare l’influenza dei fattori naturali (altitudine, inclinazione, struttura fisico-chimica e idrogeologica) e strutturali (facilità d’accesso, ampiezza, viabilità aziendale, sistemazioni dei terreni ecc.) sul reddito e quindi sul valore». «Oggi è soprattutto la possibilità di usi diversi da quello agricolo che incide sul valore di un terreno», spiega Gallerani. «A parità di caratteristiche naturali e strutturali, la semplice aspettativa di poter usare la terra per costruirci, per fare un campo sportivo, per ospitare una strada o un parcheggio, o per un impianto energetico fotovoltaico o eolico, fa salire il prezzo dell’area. Il proprietario è spinto a percorrere strade diverse per ricavare dal proprio pezzo di terra la soddisfazione economica che l’agricoltura non è più in grado di procurargli. Spesso più della realtà è l’immaginazione che determina il valore della terra e quindi l’estimatore deve fare i conti anche con il mondo del “possibile”». Em. Is.
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che un altro dato: quando, dopo il 2006, la “bolla” si è in parte attenuata, le transazioni sono calate del 33%, ma i prezzi solo del 9%. «Questo avviene – osserva Roberto Camagni, ordinario di Economia urbana al Politecnico di Milano – perché, prima, gli immobiliaristi hanno potuto contare su enormi extra-profitti e ora hanno scelto di non ridurre i prezzi, in attesa di tempi migliori». Ma un altro fattore spinge il nostro territorio fra le braccia dei costruttori anziché dei contadini: il prezzo della terra, infatti, negli stessi anni, è rimasto – al netto dell’inflazione – sostanzialmente fermo (vedi GRAFICO ). «Il prezzo della terra – spiega Andrea Povellato, ricercatore dell’Istituto nazionale di economia agraria – cresce solo dove è usato per colture pregiate e circoscritte geograficamente (nei vigneti di Valdobbiadene vale fino a 500 mila euro a ettaro, contro i mille dei pascoli calabri); dove l’economia locale è più dinamica; dove c’è potenzialità edificatoria». In pratica: la sola possibilità di poterlo usare per costruirci, fa crescere il suo valore. «Questo è dovuto – prosegue Povellato – a una rendita agricola che, ad eccezione delle aree di eccellenza, è molto bassa. Un incentivo a usi diversi dalle coltivazioni. Come l’edilizia, ma anche pannelli solari, pale eoliche e, ultimamente, le colture per biogas».
INDICE DEI TERRENI AGRICOLI IN ITALIA (2000=100) 120
100
Valori deflazionati Prezzo medio di un terreno nel 2009: 18.000 euro ad ettaro 1992
Se a tutto questo si aggiungono pubblici poteri che poco arginano le speculazioni, il quadro è completo: «lo strapotere dell’edilizia è agevolato da una politica di sostanziale laissaiz-faire che ha smantellato il sistema di pianificazione urbana e ha fatto un grosso regalo agli operatori», denuncia Camagni. «Il settore immobiliare va invece governato». In tal senso, è impietoso il confronto tra Monaco e Milano. Nella capitale bavarese, si concedono i diritti di costruzione solo in cambio di una cifra pari al 30% del valore del trasformato: se si costruisce per un miliardo, al Comune vanno 300 milioni. «I negoziatori tedeschi sono dei veri mastini. Così facendo hanno soldi non solo per le urbanizzazioni, la manutenzione e il verde pubblico. Ma anche per l’housing sociale. Ai poveri danno case a un terzo dei valori di mercato. Alle giovani coppie a 2/3 del valore». A Milano, la percentuale di introiti per il Comune crolla a un misero 8% (vedi GRAFICO ). «Una cifra inadatta anche per le più basilari opere di urbanizzazione. Così facendo, gli immobiliaristi si arricchiscono e alla collettività restano le briciole». I servizi si pagano con le casse pubbliche. Ai poveri e ai giovani rimane un territorio depredato e un sogno di una casa, che rischia di rimanere tale.
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Valori correnti
110
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
IL PREZZO DELLA TERRA AD USO AGRICOLO 1992-2009
2008
2009
Nord Est 33,3
30 migliaia di euro per ettaro
25 Variazione 1992-2009 Media nazionale +59% Tasso di inflazione +56%
Nord Ovest 23,9 Totale 17,5
20
Centro 12,4 Sud 11,4 Isole 9,3
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1998
2000
2002
2004
2006
2008
2009
FONTE: INEA, ANN. DELL’AGRIC. IT. ’09
Milano
Spese dest. alla collettività
Spese destinate alla collettività 84,9
84,9 Ricavato d’impresa 6,9 Valore iniziale terreno
37,8
Ricavi privati
1,1 Opere aggiuntive 7,1 Oneri di legge
8,2
FONTE: INDAGINE SUL MERCATO FONDIARIO - ISTITUTO NAZIONALE ECONOMIA AGRARIA
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MILANO E MONACO A CONFRONTO VALORE DEI SUOLI (IN %)
Ricavi privati
Ma lo scetticismo degli urbanisti è respinto dagli esperti di calcolo dei servizi ecosistemici: «Ormai - spiega Masullo - conosciamo tutti i parametri per conteggiare i danni derivanti dalla perdita di un servizio offerto dall’ambiente. È di questo che si occupa l’economia ecologica». Semmai il problema può essere un altro: l’aumento impetuoso della popolazione mondiale, che rischia di rendere sempre più complicato preservare i territori dallo sfruttamento. Ma qui si aprirebbe il tema, spinosissimo, della questione demografica. Ed è tutta un’altra storia. Tutto un altro dossier.
ecologici e umani non sono internalizzabili - aggiunge l’urbanista Edoardo Salzano, ideatore del sito Eddyburg.it - perché non sono legati a una singola opera, ma all’insieme delle scelte fatte su un territorio. E poi non c’è terreno che non offra un servizio. L’unica via di salvaguardia è un’attenta pianificazione, oggi ostacolata dalla spinta all’appropriazione della rendita urbana. Una spinta che può essere fermata solo riconoscendo che il valore di un territorio non appartiene al privato che ne detiene la proprietà, ma alla collettività che, nel tempo, lo ha reso economicamente appetibile».
FONTE: ELAB. VALORI SU ANALISI ROBERTO CAMAGNI – POLITECNICO DI MILANO
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LAVORI IN CORSO NASCE LA SOCIETÀ DEI TERRITORIALISTI ALLA METÀ DEL 2010 un nutrito gruppo di docenti di diverse discipline, provenienti da numerose università italiane, hanno proposto la costituzione della “Società dei territorialisti”. Un’associazione - coordinata principalmente da Alberto Magnaghi, docente di Pianificazione territoriale presso la facoltà di Architettura dell’università di Firenze - che ha, fin dall’inizio, suscitato un vivo interesse nel mondo accademico. Il principale obiettivo dei “territorialisti” è alimentare il dibattito per la fondazione di un corpus multidisciplinare delle arti e delle scienze del territorio, mirato ad assumere la valorizzazione dei luoghi come fondamento della conoscenza e dell’azione di istituzioni e imprese. In concreto ciò si tradurrà nell’indicazione di linee guida per le politiche di governo del territorio, nella promozione di scuole, dipartimenti, dottorati e master nelle università italiane, nonché di strutture di carattere culturale e scientifico anche al di fuori degli atenei. www.societadeiterritorialisti.it
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| dossier | il valore della terra |
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distesa ‘‘ Una di villette costruite
LIBRI
G. Ferraresi A. Rossi Il parco come cura e coltura del territorio. Un percorso di ricerca sull’ipotesi del parco agricolo Grafo Editore, 1993
G. Ferraresi Produrre e scambiare valore territoriale: dalla città diffusa allo scenario di forma urbis et agri Alinea, 2009
A. Magnaghi Il territorio dell’abitare Franco Angeli, 1990
A. Magnaghi Il progetto locale Bollati Boringhieri, 2000
G. Dematteis F. Governa Territorialità, sviluppo locale, sostenibilità: il modello Slot Franco Angeli, 2005
G. Ferraresi con F. Coviello Neoagricoltura e nuovi stili di vita: scenari di ricostruzione territoriale Urbanistica, n.132
A. Calori Coltivare la città. Giro del mondo in dieci progetti di filiera corta Altreconomia-Terre di Mezzo, 2009
«Eccellenze agricole contro la speculazione» La Franciacorta degli spumanti o le Langhe del Barolo. In questi territori l’urbanizzazione ha perso. di Elisabetta Tramonto
Giorgio Ferraresi, ordinario di Urbanistica presso il Politecnico di Milano.
URBANIZZAZIONE SI ESPANDE, divorando il paesaggio e l’ambiente. Per competere con la speculazione edilizia è necessario produrre ricchezza, anche economica, dal territorio». È questa la strada tracciata da Giorgio Ferraresi, nelle ricerche che guida, al Politecnico di Milano, in relazione con le esperienze sociali sul territorio.
«L’
ritorio consiste nelle qualità ambientali, nella biodiversità e nelle diversità culturali. Chi produce la “Bonarda dell’Oltrepò pavese”, non vende “un vino”, ma propone una creazione specifica con quel nome, che contiene la ricchezza del territorio che l’ha generata e il sapere dei contadini che l’hanno prodotta. Un prodotto che si riconosce e si apprezza per la sua origine, il modo/costo di produzione e la sua storia.
Che cosa significa produrre valore territoriale? La condizione che viviamo ci offre periferie e merci prodotte in serie che non hanno caratteri propri del territorio in cui siamo; vengono da dovunque e devono valere per qualunque consumatore/abitante. Produrre valore dal territorio significa, invece, valorizzare le differenze. Perché il valore del ter-
PER APPROFONDIRE “PRODURRE E SCAMBIARE VALORE TERRITORIALE” è il titolo di un ciclo di seminari organizzati tra settembre e novembre 2010 dal laboratorio di Progettazione ecologica del territorio del Dipartimento di Architettura e pianificazione (Lpe/DiAp) del Politecnico di Milano, in collaborazione con il centro Design dei servizi (Des), dipartimento di Industrial Design, Arte, Comunicazione e Moda (Indaco) del Politecnico di Milano e con il Dipartimento di Produzione Vegetale (DiProVe) della Facoltà di Agraria dell’università degli Studi di Milano. Si possono scaricare i materiali dal sito produrreterritorio.wordpress.com
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Quali attività producono e quali distruggono valore? Costruendo una distesa di villette in uno splendido paesaggio rurale, si pensa di appropriarsi del valore di quel territorio. In realtà lo si consuma, quel “bene comune”. Se, invece, in quello stesso paesaggio, ad esempio coltivato a vite a ritocchino, si rilancia quella coltura secondo i caratteri dei luoghi, non solo si conserva, ma si riproduce ricchezza: si crea nuovo valore aggiunto. Questo vale, in termini diversi, anche per la città, per il territorio costruito, quando si rinuncia all’espansione senza qualità e si opera per la riqualificazione dei centri storici o per una relazione consapevole dello spazio urbano e il suo territorio. Che ruolo ha l’agricoltura? È stata chiamata “attività primaria”, la più importante, quella fondatrice: che ha nutrito e messo al mondo il territorio. Ma è stata la prima vittima dello sviluppo. Dobbiamo rimettere in moto questa basilare attività di generazione di territorio e di ricchezza per la vita se vogliamo tracciare una strada per costruire uno scenario alternativo, che non riguarda solo l’agricoltura. Come può l’agricoltura competere economicamente con l’edilizia? Valorizzando la qualità locale. Basta pensare alla Franciacorta degli spumanti o alla Lan-
E. Ostrom Governare i beni collettivi Marsilio, 2006
M. Hardt A. Negri Comune: oltre il privato e il pubblico Rizzoli Editore, 2010
S. Agostini D. Bertoni Per un’altra campagna. Riflessioni e proposte sull’agricoltura periurbana Maggioli Ed., 2010
ghe del Barolo. Questi territori competono con la speculazione edilizia perché possiedono un proprio valore maggiore e alternativo. Si tratta allora di estendere, oltre questi luoghi eccellenti, la valorizzazione della qualità locale di altri territori rurali, organizzando un’economia di produzione e scambio del valore territoriale. Esistono degli esempi concreti di valorizzazione possibile del territorio? Un ottimo esempio è il Parco agricolo Sud Milano. Ha una grande potenzialità che va attivata da una vera valorizzazione dell’economia contadina per la sovranità alimentare, piuttosto che ridotta all’attuale debole difesa del parco come spazio verde. Una ricchezza in grado di competere con l’urbanizzazione e riqualificare la stessa città. Il territorio può essere considerato un bene comune? È il principale bene comune: beni materiali (terra, acqua, centri storici) e immateriali (saperi contadini e urbani, consapevolezza degli abitanti) uniti nel corpo territoriale. Purché sia vivo, fruibile da tutti e riattivato da una produzione appropriata e da una nuova domanda sociale. I campi coltivati sono un bene comune se producono beni ecologici e di qualità e se vi si può accedere. Un patrimonio territoriale morto o rinchiuso in un recinto non è più un bene comune. E non conta molto se sia pubblico o privato: deve essere “comune”. La speranza per il futuro è che un intero modello territoriale segua sempre di più questa strada: creare ricchezza dal territorio.
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M. De Gasperi Malacittà. La finanza immobiliare contro la società civile Mimesis, 2010
G. Chiesa D. Pandakovic Paesaggio e risorse energetiche. Le trasformazioni sostenibili nel territorio montano Polipress, 2007
in uno splendido paesaggio rurale consuma e distrugge valore. Coltivare quelle campagne con metodi tradizionali produce ricchezza
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DAL CANADA ALL’OLANDA, VIA PARIGI TANTE IDEE PER SALVARE IL SUOLO PER CAPIRE QUALE POSSA ESSERE IL “VALORE” DEL TERRITORIO, al di là di quello immobiliare, le città costituiscono un luogo di osservazione privilegiato. Nonostante la costante espansione che le città occidentali hanno avuto dopo la rivoluzione industriale, l’esplosione delle megalopoli del Sud del mondo, la crescita abnorme delle grandi metropoli-regione cinesi che consumano enormi quantità di risorse, da qualche anno in diverse parti del mondo si stanno introducendo obiettivi e strumenti per rivedere la scala delle priorità nella pianificazione delle città e per misurare la capacità dei contesti urbani di creare valore anche al di là dei meccanismi fondiari legati all’edificazione. La città è da pensare come un ecosistema fatto di acque, suolo, popolazione, oggetti e flussi complessi, che vanno governati nel loro insieme, per individuare valori non connessi al consumo delle risorse, bensì alla loro rigenerazione. Ciò che è direttamente o indirettamente legato all’agricoltura acquista un ruolo e un valore importante, perché quest’attività da un lato consuma, dall’altro produce e rigenera valori essenziali per il mantenimento dell’uomo e del suo ecosistema: basti pensare al cibo, alla fertilità, all’acqua e alla biodiversità. In diverse città del mondo si sono avviate esperienze nelle quali la promozione di sistemi agroalimentari, che siano in grado di generare questi valori, diventa parte integrante delle politiche per le città; unendo produzione di cibi di qualità, aumento della salute alimentare e miglioramento dell’ambiente urbano in termini di biodiversità e di vivibilità. Come a Londra con la London Food Strategy promossa a suo tempo dal sindaco Ken Livingston e gestita mediante politiche ambientali e per la salute delle persone e criteri per la gestione degli spazi aperti cittadini. Con approcci diversi la Regione Île-de-France, che comprende Parigi, sta lavorando da anni per associare la pianificazione del territorio al governo complessivo dell’ecosistema, orientando la produzione agricola per aumentare la biodiversità e la quantità di alimenti biologici prodotti localmente. La Regione promuove politiche attive per supportare la costituzione di sistemi agroambientali comprensivi di produzione, distribuzione e consumo locale, pensati come parte integrante della pianificazione a scala regionale. Se ne misura la capacità di contribuire alla qualità ambientale e al benessere delle persone mediante l’impiego di specifici indicatori. Restando in contesti occidentali con un’urbanizzazione pervasiva, interessanti sono le food policies inserite nei piani regolatori di città canadesi come Vancouver e Ottawa, del Randstand Holland - il cuore dell’Olanda densamente urbanizzata - di Monaco di Baviera in Germania e, perfino, di New York. Casi diversi tra loro, ma dove il ruolo dell’istituzione è centrale per definire regole e scale di priorità nei valori della città. In molti altri casi, invece, sono le esperienze sociali che producono effetti apprezzabili a livello urbano: si pensi all’aumento del fenomeno dei community gardens in Gran Bretagna e nell’intero mondo anglosassone e tedesco, fino ad arrivare ad esperienze di acquisto collettivo delle terre da parte dei cittadini, come accade Andrea Calori Politecnico di Milano a Bordeaux, in Francia, o in diverse città del Canada.
| dossier | il valore della terra |
PARCO DEL TICINELLO Pensato a fine anni ’80, approvato più volte dal consiglio comunale di Milano (l’ultima nel 2007), riguarda 880 mila metri quadrati di terreno nel Parco Agricolo Sud, il 70% da lasciare per l’attività agricola e il rimanente come area aperta al pubblico. Attualmente il progetto è sospeso, in attesa che il comune si accordi per l’acquisizione del 50% delle aree, di proprietà di società che fanno capo al costruttore Salvatore Ligresti, e che da questo derivi anche il salvataggio della Cascina Campazzo, centro agricolo dell’area, il cui immobile è di proprietà della Altair (anch’essa di Ligresti) e sotto sfratto. Le ipotesi di accordo tra comune e costruttore sono inserite nel nuovo Pgt di Milano, già in fase di approvazione.
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BOSCOINCITTÀ Storica esperienza di parco nata con intenti più naturalistico-fruitivi e didattici che agricoli, è gestito da 37 anni da Italia Nostra, ma il comune milanese ha prorogato la convenzione solo fino a giugno 2011 e propone una “messa a gara” del servizio. Italia Nostra ha commissionato in esterni uno studio di valutazione economica e sociale della propria gestione che ha quantificato in oltre 16 milioni di euro (contro meno di 5 milioni di spesa) il beneficio collettivo per Milano, prodotto in quasi quarant’anni di presa in carico.
PIANO DI MITIGAZIONE NELL’AREA DEL DEPURATORE DI NOSEDO Sostenuto fin dal principio dal Comune di Milano, è un piano di contesto per il recupero delle acque pulite a valle del depuratore e per la ripianificazione paesistica dell’area, fino all’abbazia di Chiaravalle. Prevede, tra i suoi interventi, in parte attuati, un laghetto di fitodepurazione, piantumazioni, il recupero di coltivazioni storiche, il recupero degli alvei della roggia Vettabbia e delle marcite. Da questo progetto il recupero si è esteso, ma non ancora attuato, a un piano paesistico per tutta la valle della Vettabbia, prevedendo di concerto, sebbene non sia l’obbiettivo principale, anche un ripristino delle attività delle cascine e di scambio delle merci agricole.
I 5 PIANI DI CINTURA URBANA È tra i progetti che lavorano in direzione non concorde col modello di parco agricolo e riguarda la parte del Parco Sud compresa nell’area di Milano. «L’idea – ricorda il professor Giorgio Ferraresi (Politecnico di Milano) – nasce da una proposta dell’assessore provinciale all’ambiente Bruna Brembilla, già presidente del Parco Sud, ed è stata accolta dal nuovo Pgt (Piano di governo del territorio) milanese, che considera tali aree titolari di diritti di costruzione e pensa di dover creare un mercato per trasferire l’equivalente valore di edificabilità altrove». È ciò che si definisce “perequazione urbanistica” ed «è come se – continua Ferraresi – su quei terreni ci fossero 50 centimetri di potenziale cemento da dover spostare. Il comune sostiene che questo è un modo per salvarli, dando loro un valore immobiliare, ma si tratta di renderli “merce”, sperando che sia poi il libero mercato a risolvere la questione». Secondo Vincenzo Vasciaveo (Gas di Baggio e Desr) «potrebbe capitare che, poiché l’area urbana milanese non è infinita, una volta saturata la città, i proprietari pretendano di costruire sui loro terreni all’interno del Parco».
PROGETTI PRO E CONTRO Numerosi i progetti nell’area del Parco agricolo, alcuni in linea alcuni no, con il tema di ridare valore al territorio.
METROBOSCO Piano di sviluppo ambientale in forte contraddizione con l’idea del parco agricolo in quanto prevede di riportare a bosco una striscia di verde intorno alle grandi infrastrutture con lo scopo di “sanificarle”. Il professor Ferraresi ricorda come sia «un progetto di spesa e non di accumulazione di ricchezza, che riduce le aree coltivabili e distrugge le economie contadine, se anche fosse affidato agli agricoltori».
Andrea Calori e Francesco Coviello) ha evidenziato l’intenso scambio di merci e relazioni tra Gas e cascine del Parco (vedi MAPPA pag. seguente). Per questo è nato il Distretto di economia solidale rurale del Parco Sud, cui aderiscono oggi 15 aziende agricole, 25 Gas e qualche ente locale. Per questo, infine, sono stati attivati progetti come BuonMercato, luogo fisico per l’incontro di contadini e consumatori, concesso dal comune di Corsico, e centro servizi che svolge attività di prenotazione e consegna dei prodotti alimentari e non. Finanziato dalla Fondazione Cariplo, BuonMercato fa già scuola: un progetto simile, la Casa della sostenibilità, si sta avviando nel vicino Comune di Cesano Boscone.
IL PROGETTO DEL CERBA Nuovo centro ospedaliero che fa capo allo Ieo - Istituto Europeo di Oncologia di Umberto Veronesi. Un’area da 630 mila mq di cui il 50% saranno edificati con strutture di ricerca e il resto sarà di parco pubblico attrezzato, nell’area del Parco Sud. Sul sito web molta “atmosfera” ma solo informazioni generiche sui temi ambientali e sui finanziatori.
Sarà il biologico a salvare l’agroindustria?
Alcuni scorci del Parco agricolo Sud Milano. Le foto sono state realizzate dal gruppo di studenti e ricercatori del Politecnico di Milano, impegnati nello studio di questo progetto.
Solo nel 2009 hanno chiuso circa 70 aziende del Parco, anche di grandi dimensioni, soprattutto tra quelle legate alla produzione del latte. Motivo principale? Del prezzo di vendita al dettaglio in media il 17% va al produttore – e non copre i costi sostenuti –, il 23% va alle imprese dell’agroindustria di trasformazione, il 60% va alla grande distribuzione. Visto che però il biologico è uno dei pochissimi settori – insieme alla finanza etica – a non aver subito pesantemente la crisi economico-finanziaria, non sono pochi i produttori in difficoltà che cominciano a riconvertire l’azienda al bio (così anche “Isola Maria”) e a rivolgersi ai Gas. «Un’altra filiera che va ricostruita è quella del pane», ricorda Vincenzo Vasciaveo del Des rurale, visto che i cereali coltivati attualmente sono destinati perlopiù a produrre mangimi. Dalla primavera scorsa, infatti, su richiesta dei Gas si è riattivata una piccola produzione di grano da panificazione, ricominciando a macinare la farina di due aziende agricole nel mulino di Abbiategrasso del 1200. È ancora un esperimento da un’ottantina di pagnotte a settimana, ma l’aspetto di rilievo è la sua sostenibilità economica: «Se l’agricoltura biologica si sposa a “filiera corta” e “Km zero” - conclude Vasciaveo - si abbattono i costi e quindi i prezzi rispetto ai prodotti tradizionali e a quelli biologici “semplici”: il nostro pane bio costa 3,40 euro al chilo, contro i 3,50-4 euro di quello convenzionale e rispetto al prezzo anche superiore del biologico classico».
IL PARCO AGRICOLO SUD E I SUOI FORNITORI
Valori verdi alla riscossa Il Parco Agricolo Sud sperimenta idee e modelli per ridare slancio economico e sociale alla terra e al lavoro contadino. Gas al formaggio
di Corrado Fontana
«Negli ultimi 5-7 anni – spiega Dario Olivero, agricoltore della cascina “Isola Maria” e OME IN UN LABORATORIO, nell’area del Parco Agricolo Sud mi- rappresentante della Cia (Confederazione lanese si creano vaccini con- italiana agricoltori) – a causa del costo alto tro la speculazione edilizia e si studiano cure delle materie prime e dei prezzi di vendita a base di frutta e formaggio biologico. Niente non sufficienti a rientrare dei costi di produzione, molte cascine hanalambicchi, provette o LINK UTILI no attuato meccanismi diprofessori in camice bianversi per recuperare “pezzi co. Solo le mani segnate www.provincia.mi.it/parcosud di reddito” altrimenti perdei contadini-imprenditowww.buonmercato.info www.desrparcosudmilano.it duti lungo la filiera. Canari, l’entusiasmo dei Gruppi www.nutriremilano.it li di trasformazione e vend’acquisto solidale, qualwww.sperimenti.com /sperimentilab.com/cfu dita diretta, soprattutto: che amministratore pubwww.parcoticinello.it rivolgendosi non solo ai blico illuminato e un grupwww.cerba.it Gas, ma anche agli spacci po di docenti universitari www.ilmetrobosco.it www.borgodichiaravalle.it aziendali, ai mercati condell’università Statale e del /il-parco-della-vettabbia.html tadini (il Mercato della terPolitecnico di Milano.
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ra di Slowfood e il Farmer market della Coldiretti a Milano o i mercati di Abbiategrasso e Lodi, ndr), alle mense scolastiche». E in questo ventaglio di alternative di rilancio della propria attività, prosegue Olivero, «da circa sette mesi abbiamo scelto di privilegiare i gruppi d’acquisto solidale, mettendo in piedi un processo di trasformazione del latte in formaggio diretto a loro, un giorno ogni quindici di lavoro. Con un riscontro economico accettabile: siamo passati dal perdere qualche centesimo per ogni litro di latte prodotto a guadagnare qualcosa su ogni chilo di formaggio venduto. Un processo che copre oggi meno del 10% del nostro ricavo, ma che pensiamo di estendere dal prossimo anno a tutti i nostri prodotti (farine, birra, miele)».
Facciamo rete... fra i campi Se è vero che il Parco deve produrre reddito per le sue aziende agricole, per evitare che il valore della terra crolli e i campi vengano lasciati agli speculatori, va anche detto che il rilancio dell’economia del più grande parco agricolo
d’Europa (47mila ettari di cui l’80% di suolo coltivabile) si gioca molto anche su una rete e su canali di distribuzione che sappiano collegare efficacemente produttori e consumatori. Per questo il gruppo di lavoro del Politecnico di Milano (Giorgio Ferraresi e i suoi colleghi
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| dossier | il valore della terra | Qui accanto, due scenari del parco agricolo. Nella pagina a fianco una raffigurazione delle relazioni e degli scambi tra i Gruppi di acquisto solidale e le cascine del parco.
A Pisa l’esperimento della Comunità agricola di produzione: 70 famiglie, un contadino e la terra da lavorare.
I
L LORO INDICE POTREBBE ESSERE ESPRESSO in fagiolini e il rendimento in peperoni, ma nessuna agenzia di rating li prenderebbe in considerazione perché vogliono lavorare la terra e dare lavoro a un contadino. Si chiama Cap, Comunità agricola di produzione. È un esperi-
A QUATTRO ANNI DALL’EXPO NUTRIRE MILANO LA CITTÀ ITALIANA CHE PIÙ DI TUTTE SA DI CITTÀ. È un progetto ambizioso per farla dialogare con la campagna circostante. È il succo del progetto “Nutrire Milano, energie per il cambiamento”, avviato un anno fa e che deve arrivare nel 2015 con una serie di realizzazioni concrete. Intanto, in questo primo anno, Slow Food (con la consulenza di Politecnico, università di Scienze gastronomiche e il contributo di Fondazione Cariplo e Comune) ha messo in piedi il sito www.nutriremilano.it. La parola d’ordine del progetto è km zero. È la distanza che separa (più o meno) il capoluogo lombardo dal parco agricolo Milano Sud, il serbatoio agricolo a cui il progetto intende attingere, per portare ai consumatori milanesi, ma anche nelle mense scolastiche e negli ospedali, prodotti della terra, di qualità e a chilometro zero. Alcune attività sono già partite, come il Mercato della Terra, che ogni terzo sabato del mese nell’ex largo Marinai d’Italia, fa incontrare agricoltori e cittadini. «Se Milano si metterà a consumare i prodotti del suo territorio allora avremo vinto», ha dichiarato Petrini.
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mento a cui hanno dato vita il mese scorso una settantina di famiglie di Pisa e dintorni, formandosi per il momento come associazione di promozione sociale, dopo essersi resi conto che non esiste una forma giuridica che rappresenti il Cap in modo esatto. «Siamo un’esperienza pilota» spiega Angelo, uno dei soci fondatori che lavora come avvocato e ha fornito il supporto legale all’associazione, permettendole di nascere in circa due mesi. «La cooperativa sarebbe lo schema giuridico che meglio ci si adatterebbe. Ma non esistono cooperative che siano insieme di produzione e di lavoro». Gino spiega, con un accento milanese che ha un effetto straniante a Pisa: «Nel progetto del Cap i soci presteranno nel corso dell’anno almeno 4 o 5 giornate di lavoro sul campo, nello smistamento dei prodotti o nella loro trasformazione, e si alterneranno anche negli organismi decisionali e orga-
SI CHIAMA GREEN PUBLIC PROCUREMENT (GPP) ed è una via per investire sulla sostenibilità, sfruttando il peso delle pubbliche amministrazioni e delle loro scelte. A spiegarlo è il Commissario Ue per l’ambiente Janez Potonik, ricordando che «in Europa le autorità pubbliche sono i principali consumatori, utilizzando il loro potere d’acquisto nella scelta di beni, servizi e lavori “amici dell’ambiente” esse possono dare un contributo importante per il consumo e la produzione sostenibili. Il Gpp può contribuire a stimolare una massa critica di domanda che altrimenti sarebbe difficile ottenere sul mercato». In Italia qualcosa si muove in tal senso, anche a partire da un’idea come quella nata nel comune lombardo di Pieve Emanuele (oggi sviluppata dalla facoltà di Agraria e dal Politecnico di Milano) di puntare sul rapporto tra il grande consumo organizzato (le mense di scuole e ospedali) e le produzioni agricole del Parco Sud. Risparmio delle risorse idriche o energetiche degli enti locali grazie a tecnologie sostenibili, adozione dei principi di bioedilizia per nuove costruzioni pubbliche, introduzione di cibi biologici nelle refezioni scolastiche... sono tutte buone prassi di GPP considerate dal premio Progetti sostenibili e green public procurement, recentemente promosso dal ministero dell’Economia e delle Finanze.
Nel progetto “Cap” ogni socio presta almeno cinque giorni l’anno di lavoro sul campo: un modo per confrontarsi con i reali problemi di chi produce, spesso ignoti ai consumatori
Parola d’ordine: compartecipazione di Paola Baiocchi
AIUTI AL MERCATO. PUBBLICI E GREEN
nizzativi». Nessuno spazio alla delega, insomma, ma la presa di coscienza diretta sui problemi e nelle decisioni per cui nessuno potrà più chiedersi “perché non ci sono le fragole a Natale?”.
per l’affitto dei due ettari da coltivare, l’acquisto delle piantine, dei tubi per l’irrigazione, di un trattore (un 50 cavalli usato) e per ricompensare il lavoro di Riccardo, agricoltore rimasto senza lavoro che verrà inquadrato a norma di legge. Nell’assemblea costitutiva si respirava un clima di grande ottimismo: riunire in due mesi su un progetto settanta famiglie è un successo, in un’epoca di dibattiti con le platee vuote. Ma, al di là dell’entusiasmo, nessuno ha nascosto che la gestione di un gruppone del genere non sarà semplice, anche solo per mettere tutti d’accordo se coltivare rape o verze. E allora si è parlato anche di risoluzione non violenta dei conflitti, di banca delle ore lavorate in più, di serre fredde necessarie nelle coltivazioni biologiche e di riuscire a produrre talmente tanto da dar lavoro anche a un altro contadino.
25 euro, e versarle mensilmente, bimestralmente, trimestralmente o in un’unica soluzione. E, come nelle migliori tradizioni democratiche, le mezze quote hanno lo stesso peso in sede assembleare: una testa, un voto. Le quote serviranno a pagare le spese
Una testa, un voto Per questo alcuni genitori hanno presentato i propri figli per questa “scuola sul campo”. Un passo in più rispetto ai Gas (Gruppi d’acquisto solidali), dove molti sono consumatori che passano a ritirare la busta con i prodotti, ma non conoscono le esigenze dei produttori. «Il nostro obiettivo è realizzare una comunità, un’azienda agricola compartecipata – spiega Ada, ricercatrice di Economia agraria all’università di Pisa – e chiediamo un impegno economico e di lavoro per almeno tre anni». I soci possono sottoscrivere quote intere, da 50 euro al mese, oppure mezze quote da
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Un incontro della comunità agricola di produzione di Pisa.
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La finanza parallela di Stato o, meglio, degli Stati >30 Ville ad Antigua: Berlusconi socio dell’operazione >34 Febea. Finanza etica è: lavoro e inclusione sociale >36
finanzaetica DA FACEBOOK A TWITTER LA SEC INDAGA SUI WEB GIGANTI
BILANCIO CONSOB NEL 2010 CRESCONO LE IRREGOLARITÀ IN BORSA
CREDIT SUISSE: PIATTAFORMA CONTRO LA SPECULAZIONE
UNICREDIT: 300 MILIONI PER FINANZIARE CLUSTER BOMBS
DERIVATI AL QUADRATO RIPRENDE IL PROCESSO BARCLAYS-SAN MARINO
UK: FSA DICE BASTA ALLE SCALATE PERICOLOSE
Non sono ancora quotate in Borsa, ma ciò non toglie che possano essere a rischio speculazione. Sono le grandi aziende del web, da Facebook a Twitter, passando per Zynga e Linkedin, vere miniere d’oro per gli investitori, ma anche potenziali vittime di sopravvalutazioni nel mercato. Con tutte le conseguenze del caso. A dieci anni di distanza dallo scoppio della bolla Dotcom, la commissione di controllo Usa ha avviato un’indagine per ottenere informazioni utili prima che sia tardi. Non è noto, tuttora, il motivo dell’inchiesta, ma a molti sembra già di averlo intuito. Secondo i rumors, infatti, alcune società del web avrebbero preso a scambiare le proprie azioni destinate al mercato interno (come forma di compensazione ad esempio) coinvolgendo più di 500 azionisti, vale a dire superando il limite legale imposto ai soggetti non quotati. La paura è che il gioco possa sfuggire di mano determinando una sopravvalutazione del titolo con il rischio di portarlo al debutto borsistico ad un prezzo troppo alto. Più o meno l’ipotesi di Richard Friedman, numero uno di Goldman Sachs Capital Partners, che ha giudicato eccessiva la stima sul valore di Facebook. Nel quale, per altro, la stessa Goldman ha già investito 450 milioni di dollari.
Un ammontare complessivo di 99 segnalazioni alla magistratura (8 per abuso di mercato) contro le 53 dell’anno precedente, 489 delibere (nel 2009 furono 360) e 241 sanzioni pecuniarie (addirittura +75% rispetto all’anno scorso anche se è diminuito il controvalore: 14,6 milioni rispetto ai 21,2 dell’anno passato) oltre all’incremento dei provvedimenti contro i promotori finanziari (146 persone sanzionate e 78 radiate). Sono questi, in sintesi, i numeri chiave che fotografano l’azione della Consob, l’autorità di vigilanza sui mercati finanziari, nel corso del 2009. A riferirli un articolo del Corriere della Sera pubblicato a gennaio. Nonostante sia stata costretta a lavorare per circa un semestre con tre commissari su cinque e priva di un presidente (problemi ora risolti con l’ingresso di Giuseppe Vegas e Paolo Troiano) la commissione di controllo ha svolto un’attività particolarmente intensa. Che ha rivelato una preoccupante crescita delle irregolarità operative di Borsa. Fanno eccezione, ma di poco, le sanzioni per gli abusi di mercato calate a 15 (nel 2009 erano state due in più). Di queste 11 sono state comminate per insider trading, 4 hanno riguardato invece le manipolazioni di mercato. Tra i casi più significativi gli 1,5 milioni di multa (su un totale 2010 di 4,2 milioni) ai soggetti coinvolti nel fondo salva-imprese Cdb Web Tech di Carlo De Benedetti, ma anche Mediobanca, Equita Sim e la filiale italiana di Crédit Agricole, tutte e tre accusate di violazione del divieto di vendita allo scoperto (short selling) sul titolo di Seat Pagine Gialle durante la ricapitalizzazione della società stessa. Sanzionato nel 2010 (multa di 40 mila euro) anche l’ex presidente della Corte Costituzionale Antonio Baldassarre, reo di aver organizzato una finta cordata per Alitalia nel 2007.
Un rifugio per gli investitori prudenti nell’oceano della finanza speculativa. È il progetto della banca svizzera Credit Suisse, pronta a lanciare una piattaforma per compravendite basate su strategie di lungo termine. Tuttora in fase di sperimentazione, la “Light Pool”, come è stata battezzata dai suoi inventori, dovrebbe debuttare negli Usa entro la fine di marzo. «Pensiamo che tra gli investitori si senta la necessità di un prodotto di questo tipo – ha spiegato all’agenzia France-Presse Dan Mathisson, responsabile dello sviluppo tecnologico dell’istituto –. Il concetto è di generare una piattaforma le cui regole siano favorevoli a chi vuole orientarsi sul lungo periodo. E che siano anche pensate in modo da non essere convenienti per chi effettua scambi ad alta velocità». Il riferimento corre ovviamente alla pratica dell’high speed trading, il sistema computerizzato di compravendita che, in base a complicatissimi algoritmi, esegue le operazioni in singole frazioni di secondo sfruttando le oscillazioni dei titoli. Si stima che questo genere di trading interessi ormai oltre il 60% dei titoli quotati a New York compensando dal 50 al 75% degli scambi giornalieri. La “Light Pool” punta ad escludere chi opererà a intervalli di tempo troppo brevi.
Il Gruppo Unicredit ha investito quasi 300 milioni di euro in aziende che producono le cosiddette cluster bombs, i famigerati ordigni a frammentazione, simili alle mine antiuomo, utilizzati nei conflitti e pronti, una volta rimasti inesplosi nei terreni, a mietere vittime anche in tempo di pace. Lo ha denunciato la Ong tedesca Urgewald nell’ambito di una ricerca sulle banche locali (Unicredit è presente anche in Germania attraverso la controllata HypoVereinsbank - Hvb). Ad investire, in particolare, sono i fondi che fanno capo al marchio Pioneer, che comprende le società di gestione del risparmio di Unicredit. Secondo la denuncia i fondi avrebbero finanziato produttori quali General Dynamics (104,79 milioni), Textron (73,57), L-3 Communications (43,41), Lockheed Martin (52,20), Raytheon (24,20) e, sebbene in misura assai minore, Ste (0,32) e Hanwha (0,08). La presenza della banca nel settore non è certo una novità. Nel 2005 il gruppo ha erogato finanziamenti diretti con scadenza 2011 alla Thales, anch’essa attiva nella produzione di cluster bombs, confermandosi al tempo stesso uno dei principali partner finanziari di Finmeccanica. Per informazioni: www.vizicapitali.org
Riprende a febbraio presso l’Alta Corte di Londra il processo per frode avviato contro l’istituto di credito Barclays su denuncia della Cassa di Risparmio di San Marino. Il procedimento è prossimo alle arringhe finali e la sentenza è attesa per il mese di aprile. Nel 2004, ha ricordato la Reuters, la Repubblica del Titano ottenne un prestito da 700 milioni di euro dalla stessa banca britannica acquistando da quest’ultima Collateralised debt obligation squared (Cdo-squared) per un controvalore totale di 450 milioni di euro. I Cdo-squared sono titoli derivati della famiglia dei Cdo, ovvero quei titoli di debito garantiti generalmente da un portafoglio di crediti, tipicamente i mutui, che erano stati alla base della bolla immobiliare negli Usa. Costruiti in questo caso su altre Collateralised (configurandosi quindi come “derivati sui derivati”, da qui la definizione di squared, “al quadrato”), i titoli erano stati definiti estremamente sicuri dalla Banca che aveva attribuito loro un rating tripla A, la migliore valutazione possibile. Lo scoppio della crisi aveva successivamente generato un tracollo del loro valore penalizzando fortemente i conti dell’istituto centrale sammarinese e generando così sospetti sulla buona fede degli analisti. Secondo l’accusa, la banca inglese sarebbe stata consapevole che il livello di rischio dei Cdo era in alcuni casi anche 300 volte superiore rispetto a quanto indicato dal rating. La difesa respinge ogni addebito. In caso di sentenza favorevole, rileva la Reuters, altri investitori sarebbero pronti a seguire l’esempio della piccola repubblica - ma anche della National Australia Bank e dell’istituto olandese Rabobank - citando in giudizio le banche con le quali avevano sottoscritto i contratti derivati.
Mai più una nuova Royal Bank of Scotland, operazioni troppo avventate e conseguenti fallimenti tecnici con i relativi costi di salvataggio da scaricare sui contribuenti. La pensa così Lord Adair Turner, presidente della Financial Service Authority (Fsa, la commissione che monitora le operazioni borsistiche del Regno Unito) e sostenitore di una proposta che potrebbe segnare una clamorosa svolta: attribuire per legge alla Fsa il potere di proibire acquisizioni bancarie ostili capaci di danneggiare la stabilità finanziaria. A differenza delle aziende, legittimamente impegnate a massimizzare il valore per gli azionisti, - ha spiegato Turner in un intervento ripreso da Dow Jones Newswire - la predisposizione delle banche a correre dei rischi e ad effettuare acquisizioni sbagliate può rivelarsi estremamente dannosa per il sistema economico e i cittadini. «Se oggi ci trovassimo di fronte al tentativo di una Rbs di comprare una Abn Amro, probabilmente adotteremmo misure per bloccarlo», ha detto il presidente della Fsa richiamando alla memoria l’impatto dell’operazione condotta dall’istituto britannico nel 2007 sulla società olandese. Collassata poco dopo sotto il peso di 33 miliardi di euro di debiti, Royal Bank of Scotland è ora controllata all’84% dallo Stato.
Da questo numero gli @ppuntamenti saranno sul sito www.valori.it | 28 | valori |
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Se volete segnalarcene qualcuno scrivete a: cavallito@valori.it |
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La finanza parallela di Stato o, meglio, degli Stati Per i più hanno un interesse numismatico: nei traffici più sporchi i Bond della Repubblica di Weimar o i dinari fuori corso del Kuwait servono per creare fondi neri. In che modo avvenga lo spiegano gli autori di “1994”. di Luigi Grimaldi e Luciano Scalettari
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A LUNGA INCHIESTA GIORNALISTICA
Un esempio? Prendiamo in esame uno dei filoni che ha riguardato i traffici su cui indagarono Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i giornalisti Rai uccisi il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio. Nel 2003 viene pubblicato l’annuale rapporto degli investigatori delle Nazioni Unite membri del panel per il monitoraggio sulle violazioni del traffico d’armi con la Somalia, embargo sancito dalla stessa Onu fin dal 1992, all’inizio della guerra civile somala. Il rapporto individua e documenta che, intorno al 1990-1991, la Somalia aveva ricevuto una cifra corrispondente al valore di 70 milioni di dollari dal Kuwait, depositata in Svizzera.
che ci ha portato alla pubblicazione di “1994” spesso si è imbattuta nell’aspetto “economico-finanziario” dei traffici di armi, di esplosivi militari, di rifiuti tossici e radioattivi. Il libro si è occupato soprattutto di questi ultimi in relazione a una serie di omicidi irrisolti e ai piani di “normalizzazione” dell’Italia dei primi anni ’90. Nel lavoro d’indagine è emersa la questione della “moneta di scambio” degli affari illegali. Si tratta di un mercato finanziario – poco sondato dagli analisti – parallelo, occulto, ma efficientissimo, che funziona con regole precise. Un mer- Cherchez l’argent cato effervescente in periodi di crisi inter- Nonostante le indagini, gli investigatori nazionali e guerre locali: è la finanza paral- Onu non sono riusciti a ricostruire del tutto lela di Stato, o meglio, degli Stati, a cui i percorsi successivi del denaro, neppure accedono faccendieri, malavitosi, impren- tramite il governo svizzero, né specificano ditori senza scrupoli, signori della guerra, corrotti e via di- Moneta di scambio: un mercato cendo. Si tratta, in particolare, finanziario parallelo, occulto, di finanza legata alle transazio- ma efficientissimo, delle ni di materiali strategici. transazioni di materiali strategici | 30 | valori |
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in quale valuta abbia avuto origine il trasferimento dei fondi. Nella relazione scrivono che gli indizi vanno nella direzione dell’utilizzo di buona parte di questo denaro in acquisto di materiale bellico sul mercato illegale: 50 milioni di dollari sarebbero stati utilizzati dall’allora signore della guerra somalo (nonché presidente ad interim del Paese) Ali Mahdi per comprare armi da Monzer Al Kassar, il trafficante siriano protagonista dello scandalo Iran-Contras. C’è un problema, però, sulla data: tra il 1990 e il 1991 Saddam Hussein invade il Kuwait e, tra gennaio e aprile, si combatte e si conclude la guerra tra l’Alleanza occidentale, guidata dagli americani contro gli iracheni, e il piccolo Paese arabo viene liberato. In Somalia, invece, nel gennaio 1991 Siad Barre viene sconfitto e costretto alla fuga. Il finanziamento è arrivato a destinazione proprio durante la prima guerra del Golfo, quando ormai gli iracheni in Kuwait non ci sono più. Com’è possibile che in una simile situazione 70 milioni di dollari siano stati inviati dal Kuwait alla Somalia?
U.S. AIR FORCE
Una montagna di dinari Ecco come. Spostiamoci alla Procura di Asti, nel periodo tra agosto 1997 e febbraio 1998. C’è un’inchiesta, ci sono intercettazioni a carico di faccendieri che operano tra Italia e Somalia. Cosa scopre il sostituto procuratore Luciano Tarditi? Che certi affari «investivano una serie di faccendieri per profili a mio avviso inquietanti inerenti a un gigantesco traffico di titoli atipici, già comparsi in numerose altre indagini iniziate in tutta Italia, sia di German Gold Bond, titoli del debito pubblico emessi dalla Repubblica di Weimar e pacificamente considerati default perché non pagabili, sia per un gigantesco traffico di dinari kuwaitiani razziati dalle truppe irachene durante l’invasione del Kuwait nell’agosto 1990». Ecco dove ricompaiono i dinari del Kuwait. Continua Tarditi: «Con provvedimento presidenziale, nella primavera del 1991, (i dinari, ndr) furono messi totalmente fuori corso, per cui il loro valore poteva essere semplicemente numismatico. Invece dalle intercettazioni ci accorgemmo che esisteva un giro gigantesco di questi soldi, il cui valore nominale era circa tremila delle vecchie lire per un dinaro. La sorpresa fu che questa partita di soldi, pacificamente fuori corso e di nessun valore, nelle conversazioni veniva trattata – con piena consapevolezza da parte dei soggetti interlocutori del fatto che erano fuori legge e che potevano portare dei guai – come una merce di scambio con percentuali analoghe a quelle seguite in caso di transazioni tra moneta buona e moneta cattiva». In sintesi, i dinari kuwaitiani, come i German Gold Bonds o altri titoli di credito depositati in Somalia, vengono utilizzati come valuta di “copertura” di denaro da riciclare.
LIBRI
Luigi Grimaldi Luciano Scalettari 1994. L’anno che ha cambiato l’Italia Dal caso Moby Prince agli omicidi Rostagno e Ilaria Alpi. Una storia mai raccontata Chiarelettere, 2010
GLI AUTORI Luigi Grimaldi: inchiestista freelance e scrittore investigativo. Tra i suoi libri: Traffico d’armi. Il crocevia jugoslavo (con Michele Gambino), Editori Riuniti e Da Gladio a Cosa nostra, Edizioni KappaVu. Luciano Scalettari: giornalista, inviato speciale di Famiglia Cristiana. Consulente della Commissione parlamentare Alpi-Hrovatin. Tra i suoi scritti: Ilaria Alpi. Un omicidio al crocevia dei traffici (con Alberto Chiara e Barbara Carazzolo), Baldini & Castoldi.
kuwaitiana». Già Al Barakaat, sorta proprio nel 1991, sospettata a partire dall’1 settembre 2001 di aver finanziato il terrorismo di Al Qaeda, la struttura finanziaria che dal novembre 2001 compare nella black list delle società messe al bando nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale. È sempre dall’inchiesta di Asti, che si occupa di traffico internazionale di rifiuti tossici e radioattivi, che emerge uno spaccato di come funziona il meccanismo dello smercio dei dinari kuwaitiani e di cambio di valuta/titoli fuori corso. Lo spiega “candidamente” il faccendiere Guido Garelli, uno degli indagati, nonché “cervello” del progetto di traffico di materiale pericoloso denominato “Urano”, in un interrogatorio del 1999. Lo scopo di queste operazioni, racconta il faccendiere, sarebbe
L’ombra di Osama? Non è tutto. «Altrettanto inquietante - aggiunge ancora Tarditi - era il fatto che uno dei soggetti dell’indagine risultava, dalle chiarissime e significative intercettazioni telefoniche effettuate, come colui che tramite la struttura bancaria di Al Barakaat stava effettuando il cambio della valuta fuori corso
Osama Bin Laden e il trafficante d’armi Monzer Al Kassar. Sopra, Ilaria Alpi. Nella pagina a fianco, aerei Usa durante la guerra in Kuwait sorvolano i pozzi di petrolio in fiamme. |
quello di creare «depositi neri di denaro che servono a fare le transazioni occulte», da utilizzare per operazioni non trasparenti, come riciclaggio di denaro sporco, traffici di armi e rifiuti, operazioni coperte gestite dai servizi segreti. «L’unico mezzo per poter cambiare i dinari», dice al magistrato, «(è) attraverso una banca... Qui si innesta il gioco delle banche. […] (Ci) sono le banche privilegiate e le banche non privilegiate. Uno dei signori che governano queste cose è Osama Bin Laden». Attenzione alla data: Garelli ne parla nel 1999, quando Bin Laden è già ben noto, ma ancora non è il nemico pubblico numero uno. Un Bin Laden regista – secondo Garelli – nello smercio di dinari kuwaitiani provenienti dal “bottino bellico” degli iracheni o dei liberatori del Paese arabo. Il faccendiere aggiunge: «È la banca centrale kuwaita che determina il mercato nero... Scusi, chi può determinare il mercato nero? L’acquirente. L’unico acquirente che si conosca è o la banca centrale kuwaita – cosa molto improbabile – oppure tutti gli acquirenti di petrolio che pagano il petrolio con quel denaro lì». Questi quattrini, naturalmente, non esauriscono il totale delle risorse finanziarie utilizzate e guadagnate nei traffici italo-somali. I canali di finanziamento sono diversificati. E, infatti, il governatore della Banca Centrale somala nel maggio del 1992 nomina un italiano, Roberto Ruppen, procuratore fiduciario del governo somalo per lo sblocco di fondi in Italia e sul mercato internazionale. È quel Roberto Ruppen, protagonista con lo stesso Guido Garelli dei traffici di rifiuti del Progetto Urano e che sta in affari con Garelli e altri per smerciare miliardi in titoli di credito internazionali, promissory note indonesiane, di proprietà del governo somalo di Ali Mahdi. Una bella compagnia: amici e nemici, soci e concorrenti, tutti uniti nel grande business internazionale della “finanza di Stato parallela”. A proposito. C’è un particolare inquietante: Roberto Ruppen, nello stesso identico periodo in cui svolge queste simpatiche attività viene anche chiamato (maggiogiugno 1992) a far parte del gruppo di lavoro messo in piedi da Marcello Dell’Utri a Publitalia per la creazione di Forza Italia. Su queste liaisons dangereuses, purtroppo, non ha mai indagato a fondo nessuno.
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La banca dei numeri uno dove si mettono i soldi di famiglia
è una vitaccia infame per questo signor Moro, che tratta l’apertura del trust Pluto alle Bahamas dalle cabine in strada e anche per Bravetti che, per farsi capire dalla sua segretaria, deve alludere al famoso personaggio di Disney... sì, quello che comincia per P. Moro si scopre essere Francesco Zummo, un costruttore indagato per mafia a Palermo e con i beni di famiglia sotto sequestro. Como contatta la procura e manda in Sicilia tutto il fascicolo che porterà all’arresto di Bravetti e degli Zummo nella primavera del 2008.
LIBRI
Paolo Mondani con Paola Di Fraia Soldi di famiglia Bur Rizzoli, 2011
La tartaruga dietro alla lepre
Dire che Arner è una banca specializzata in gestioni patrimoniali è riduttivo. Il libro Soldi di famiglia, scritto da Paolo Mondani giornalista di Report, ci spiega esattamente di che cosa si occupa e in quali indagini è al centro l’istituto finanziario che ha come cliente numero uno Silvio Berlusconi. di Paola Baiocchi azione pre-crimine di Ghedini, che, senza L LAVORO DEL GIORNALISTA consiste nello scavare, ponendosi e ponendo del- aver visto la trasmissione, forse ha scamle domande. Però si può scavare per biato Report per Minority Report, il libro di portare alla luce i fatti oppure per seppellir- Philip K. Dick in cui una polizia precognili meglio, magari sotto una montagna di tiva prevede i reati. fango, come sempre più spesso succede nel mondo dell’informazione monopolizzato Ingegneria finanziaria dai privati. Continuano, per nostra fortu- Tutto il materiale raccolto per le puntate na, a esistere giornalisti che si pongono e sulla Banca Arner e sulle ville di Antigua di pongono delle domande e magari lo fanno proprietà di Silvio Berlusconi, più molti alcon uno spirito di servizio pubblico, senza tri intrecci, che in un servizio televisivo non togliersi il cappello davanti ai “potenti”. si riescono a spiegare, ma che si snodano Paolo Mondani è uno di questi: è uno dalla Sicilia agli investimenti in Gazprom, degli autori di Report, la trasmissione di Rai- sono raccolti nel libro appena uscito I soldi tre seguitissima dagli spettatori e anche dal- di famiglia, che Paolo Mondani ha scritto asle querele, finora tutte vinte dall’emittente sieme a Paola Di Fraia. Banca Arner è il notranne una per la quale è in corso l’appello. me ricorrente ormai in parecchie indagini Recentemente Report si è anche attirato della magistratura per sospette attività di ril’attacco preventivo dell’avvocato Niccolò ciclaggio, di un istituto finanziario nato nel Ghedini, deputato Pdl e legale del presi- 1994, fondato da Paolo del Bue, Giovanni dente del Consiglio, che, prima della messa Giacomo Schraemli, Ivo Sciorilli Borrelli e in onda nell’ottobre scorso del servizio di Nicola Bravetti. Intestatario del conto nuPaolo Mondani di aggiornamento su La mero uno di Arner è Silvio Berlusconi e, asbanca dei numeri uno, voleva impedirne la trasmissione perché Arner Bank compare in indagini basata su notizie «insussistenti e della magistratura per sospette diffamatorie e senza alcun con- attività di riciclaggio e sulle traddittorio». Una spericolata società off shore del premier
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sieme a lui, ci sono molti nomi noti del mondo imprenditoriale italiano e dell’entourage del presidente del Consiglio. Come Ennio Doris, patròn di Banca Mediolanum. In Arner ci sono i conti delle holding Quinta, Seconda e Ottava, che fanno capo a Marina e Piersilvio Berlusconi, e lì ha il conto Stefano Previti, figlio di Cesare Previti, e ci sono anche i conti di famiglia di Giovanni Acampora, l’avvocato condannato insieme a Previti e Pacifico per aver corrotto i giudici del lodo Imi-Sir.
La situazione è grave, ma non seria Bravetti, direttore di Arner Lugano, intervistato da Mondani, che lo contatta da una cabina telefonica del lungolago di Lugano, è un capolavoro di “resilienza”: le sue argomentazioni richiamano sempre le tecnicalità dell’ingegneria finanziaria, che servirebbero a migliorare la vita, ma soprattutto i rendimenti, dei capitali dei suoi clienti. Peccato però che il pubblico ministero di Como, Mariano Fadda, ascoltando le intercettazioni delle telefonate di Bravetti, abbia scoperto un contrabbando clandestino di 53 chili d’oro, in lingotti e fogli dorati, tra l’Italia e la Svizzera, ma anche consegne di contanti in diverse valute e preziosi. In breve: evasione fiscale. Ma la Procura di Como ascolta anche Bravetti, che parla d’affari con un certo signor Moro, che gli telefona dalle cabine telefoniche di mezza Palermo e a tutte le ore del giorno. Telefonate che ci ricordano che in Italia la situazione è grave, ma non seria:
Tutta la storia della Arner corre parallela a quella di Fininvest e ai conti della famiglia Berlusconi e si intreccia alle indagini giudiziarie sulle società off shore di Silvio Berlusconi. Quando il pool milanese di Mani pu-
Francesco Forgione Paolo Mondani Oltre la cupola. Massoneria, mafia, politica Rizzoli, 1994
LA BANCA HA UNA SEDE A NASSAU BAHAMAS, la Arner Bank & Trust Ltd.; una a Milano, aperta nel 2003, la Banca Arner Italia S.p.A.; un ufficio a Dubai, negli Emirati Arabi, a San Paolo in Brasile, e ha da poco inaugurato una nuova sede a Ginevra. Si occupa di attività bancaria e gestione patrimoniale, di private equity, corporate finance, di consulenza agli investimenti immobiliari, nell’arte e in fondi d’investimento, ed è collegata a due società di asset management di prodotti di investimento di diritto lussemburghese: la Casa4Funds European Asset Management e Arkos Capital società indipendente, partecipata da Banca Arner.
In Italia manca una legge che persegua l’autoriciclaggio. Chi vende droga è punito per traffico di stupefacenti, non per il denaro sporco
GLI AUTORI Paolo Mondani Giornalista professionista. Tra il 1999 e il 2002 era inviato per Circus, Raggio Verde, Sciuscià, Emergenza Guerra. Nel 2003 è inviato e coautore di Report, su Rai3. Nel 2006 collabora, come inviato, ad AnnoZero su Rai2. Nel 2007 torna nel team di Report. Tra i servizi realizzati per la trasmissione di Rai3: Il calcio in bocca (2003) sul doping nel mondo del pallone; Il mistero del faraone (2007) sulla privatizzazione di Wind; I re di Roma (2008) sulla speculazione edilizia nella capitale; Il boccone del prete (2010) in cui si fanno i conti in tasca al Vaticano e alla Chiesa italiana; La famiglia Finmeccanica (2010), reportage collegato alle indagini sull’arresto con l’accusa di riciclaggio di Lorenzo Cola, consulente economico di Pierfrancesco Guarguaglini, presidente e A.d. di Finmeccanica. Si è occupato di Banca Arner nel servizio La banca dei numeri uno, del 2009, aggiornato nel 2010. Paola Di Fraia Giornalista, lavora dal 2004 per Nessuno Tv; conduce per Red Tv le trasmissioni Tribuna politica e Global Watch.
lite indaga sulle società estere di Berlusconi e di Fininvest (97 off shore) per verificare l’illecito finanziamento al Partito socialista di Craxi e la presenza di eventuali fondi neri, riappaiono Arner e i suoi soci, insieme all’avvocato David Mills: nella motivazione della sentenza di primo grado che nel 2009 ha condannato Mills (corrotto e prescritto, grazie alla legge ex Cirielli), il tribunale spiega che Mills si fece pagare per nascondere ai giudici italiani che due grosse casseforti off shore, la Century One e la Universal One, facevano capo direttamente a Silvio Berlusconi ed erano gestite dal banchiere della Arner Paolo Del Bue. «È come inseguire una lepre con il passo da tartaruga», racconta nel libro il pubblico ministero Antonio Ingroia, titolare del fascicolo a carico degli Zummo e di Nicola Bravetti per i tredici milioni del trust Pluto. Ingroia allude alla lunghezza dei processi penali, contro la velocità con la quale si possono far circolare i capitali, ma soprattutto parla della mancanza in Italia di una normativa che persegua l’autoriciclaggio: in Italia chi vende droga e rimette in circolo il denaro può essere punito per traffico di stupefacenti, ma non per aver beneficiato del denaro sporco. La legge di antiriciclaggio di impronta europea lo prevede, ma ogni volta che si potrebbe adottarla, in Italia, si rinvia l’argomento. E, oltre alla legge, ci vuole la volontà politica, perché anche la Svizzera ha una legislazione antiriciclaggio apparentemente poderosa «ma se nessuno la applica», come spiega nel libro Gian Gaetano Bellavia, consulente della Procura di Milano, «è come se non esistesse».
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Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, titolare del conto numero uno alla Arner Bank.
| finanzaetica | residenze off shore |
| anteprima | finanzaetica | Le ville ad Antigua. In onore di Berlusconi, potrebbe essere battezzata President Bay.
Antigua: Berlusconi socio dell’operazione Grazie a un commercialista milanese Valori e Report possono documentarlo. Ma chi ha venduto le ville al presidente del Consiglio?
di Andrea Di Stefano
BERRY ha sempre saputo che c’è Berlusconi nell’operazione Antigua». Report e Valori hanno documentato, grazie alle rivelazioni del commercialista ricorrono: Giuseppe Cappanera, amminiMario Caizzone, che il Premier era socio stratore della Flat Point italiana; Carlo Podell’operazione. «Non come tutore, come stizzi, fiduciario svizzero; Giuseppe Poggioli, fiduciario con uffici a Lugano; Elisa socio», risponde Caizzone, dicendo di averlo appreso da Berry, il socio irlandese Gamondi, sorella dell’architetto milanese nelle società che realizzano le ville ad An- che ha progettato il complesso di Antigua. Carlo Postizzi sostiene di essere il protigua. L’operazione è di scarso se non nullo interesse: Silvio Berlusconi può acqui- prietario della società che controlla Flat stare ville dove preferisce. Ma i soggetti Point. Ma Report e Valori hanno scovato scelti come venditori dal premier suscita- un professionista milanese che lo smentino più di un interrogativo. Alla vicenda di sce. Mario Caizzone dice che «Postizzi faquesto megainsediamento nelle isole ca- ceva il fiduciario, il prestanome, è risapuraibiche si arriva attraverso un’inchiesta to. Almeno da quando l’ho conosciuto io. estremamente delicata, quella sulla Banca Per Berry l’avvocato Postizzi era un preArner. I magistrati ritengono che, della so- stanome». E dice anche: «Berry non parcietà titolare dell’investimento immobilia- lava con Postizzi…ma con i soci veri». Due passi indietro per comprendere la re, la Flat Point di Antigua, che ha conti in Arner, non siano chiari i beneficiari. La società è controllata La storia parte da lontano dalla Kappomar Holding, di e riguarda anche il Parco Agricolo Curacao, nelle Antille Olande- Sud Milano e la lottizzazione si. I nomi degli amministratori di cascina Ronco a San Donato
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rilevanza della vicenda. A venirci in aiuto sono i documenti ufficiali della Flat Point, rintracciabili nei registri delle Camere di Commercio e dei tribunali. È stata a lungo una scatola vuota, dormiente, poi improvvisamente si è accesa quando, dal 2005, arrivano copiose risorse finanziarie proprio dai conti di Silvio Berlusconi, aperti presso Banca Intesa e Mps. Il premier versa 22 milioni di euro, correttamente da filiali italiane alla filiale italiana di Banca Arner, con tanto di note descrittive. L’istituto elvetico trasferisce, poi, quei soldi da Milano a Lugano senza le dovute precauzioni in tema di antiriciclaggio, richieste da Banca d’Italia. Per l’entourage di Berlusconi quei soldi sarebbero serviti per acquistare cinque ville, ma i numeri e le dichiarazioni non coincidono con i contratti depositati presso la Banca Arner e neanche gli spostamenti di denaro. I legali di Berlusconi dicono di aver spiegato tutto, ma non hanno rivelato il nome di chi si cela dietro la facciata della Flat point, amministrata da tre fiduciari tra la Svizzera e l’Italia. Sui tre soggetti coinvolti è Mario Caizzone a fare un po’ di chiarezza: «Nosotti e Rivolta sono i protagonisti operativi di questa vicenda, ma senza il socio Silvio Berlusconi non avrebbero mai potuto portare avanti il progetto». Una storia “imprenditoriale” che parte da lontano e che, incredibile, riguarda anche il Parco Agricolo Sud Milano e la lottizzazione della cascina Ronco di San Donato Milanese. L’architetto Felice Nosotti e il geometra Piergiorgio Rivolta erano i due soci dell’impresa edile Imprenori di Abbiategrasso, fallita nel dicembre ’93 lasciando decine di operai senza lavoro e un buco di decine di miliardi in banche del magentino e dell’abbiatense. Nosotti e Rivolta sono stati arrestati il 27 aprile ’94 con l’accusa di associazione per delinquere, truffa, bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale. Condannati in primo grado hanno visto tutti i reati prescritti. L’unico che si è opposto alla prescrizione è il commercialista Mario Caizzone, coinvolto nella vicenda suo malgrado e talmente convinto delle sue ragioni da chiedere di poter arrivare alla fine del processo.
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Tra scandali e accuse il microcredito alla resa dei conti Muhammad Yunus all’Annual Meeting 2009 del World Economic Forum a Davos, in Svizzera.
Dall’inchiesta Grameen/Norvegia ai suicidi tra i debitori indiani. Il microcredito è sotto tiro. Questo e molto altro sul prossimo numero di Valori. di Matteo Cavallito ALL’INDIA AL BANGLADESH, passando per la Norvegia. Ovvero, per usare altre espressioni, dalla patria del grande mercato fino a quella del modello originario, attraverso, si intende, quella della sua santificazione. Nel 2006 gli accademici di Oslo attribuirono a Muhammad Yunus il più prestigioso riconoscimento del mondo, quel premio Nobel per la Pace che ha giovato alle casse della sua Grameen Bank in termini di fundraising non meno di quanto non lo abbia fatto alla sua immagine. A oltre quattro anni di distanza, l’inventore del microcredito si conferma una delle personalità più rispettate del globo. Eppure nemmeno lui ha saputo mantenersi immune da critiche e sospetti.
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Scandali norvegesi
documentario Fanget i Mikrogjeld (Intrappolato nel microdebito), trasmesso il 30 novembre scorso dalla televisione norvegese alla fine del 1996 Yunus avrebbe trasferito circa 608 milioni di corone (102 milioni di dollari) a una compagnia di sua proprietà: la Grameen Kalyan. Denaro frutto di finanziamenti pubblici (Norvegia, Svezia, Olanda e Germania) e privati (Ford Foundation) e, all’insaputa dei donatori, convogliato, per stessa ammissione della Banca, in un canale terzo con l’obiettivo di risparmiare sulle tasse. Sollecitata da Oslo a tornare sui suoi passi, la Grameen ha successivamente trasferito l’ammontare alla destinazione originaria - la casa madre, in pratica - per la soddisfazione dei finanziatori. Il problema, sostiene però Heinemann, è che la Kalyan si sarebbe tenuta 130 milioni di corone, utilizzati in parte per finanziare le attività di Grameen
Lo scandalo, ironia della sorte, è scoppiato proprio in Norvegia dove un’inchiesta giornalistica si è Un’inchiesta sul microcredito, tradotta in una vera denuncia. di Yunus e non solo. Per svelare Secondo il giornalista danese le ombre che rischiano Tom Heinemann - autore del di oscurare questo strumento
Telecom/GrameenPhone, una società controllata in parte dallo stesso Yunus e che, negli ultimi otto anni, ha distribuito oltre 140 milioni di dollari di dividendi. Dal Bangladesh negano queste ultime affermazioni ridimensionando, al tempo stesso, le cifre della vicenda. La contesa, insomma, resta aperta.
Suicidi indiani Ma il vento delle critiche non investe solo la Grameen. Tremenda è l’accusa che ha colpito le società micro-finanziarie indiane, responsabili, secondo alcuni osservatori, di aver indotto al suicido 75 contadini della regione dell’Andhra Pradesh, nell’India centro-orientale. 75 debitori che, ha confermato il governo locale, si sarebbero tolti la vita perché non più in grado di restituire i prestiti contratti con le società stesse. Il governo della regione non ha formalizzato accuse precise, ma ha imposto una nuova regolamentazione al settore, il quale, a sua volta, rischia di collassare sotto il peso di una crescita incontrollata, tradottasi di fatto in una devastante bolla speculativa. Di questo e molto altro si sta occupando un’inchiesta di Valori che sta raccogliendo testimonianze dei diretti interessati e di varie fonti locali. L’esito del nostro lavoro nel dossier monografico in pubblicazione a marzo, nel prossimo numero.
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| finanzaetica | Europa |
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Finanza etica è: lavoro e inclusione sociale
MAPPA: FEBEA I 24 membri della Federazione europea della finanza e delle banche etiche e alternative (Febea). Una galassia composta da banche e società finanziarie, cooperative di risparmio e credito, fondazioni, diverse per forma giuridica e per dimensione, ma accomunate dalla finalità sociale e ambientale nell’uso del denaro. In tutto hanno 21 miliardi di euro a bilancio e 528 mila tra soci e clienti.
Charity Bank (GB) Bilancio: 56 milioni di euro. www.charitybank.org
Groupe Crédal (B) Bilancio: 19 milioni di euro. www.credal.be
Una conferenza a Bruxelles lo scorso novembre per presentare l’Appello per un’Europa attiva e un Atlante delle buone pratiche rese possibili dalle banche etiche. Obiettivo di Febea: il Parlamento europeo per ottenere un riconoscimento della finanza alternativa.
SIDI (F) Bilancio: 17 milioni di euro. www.sidi.fr
di Elisabetta Tramonto
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Questione di fiducia Come dimostrano le esperienze citate nell’Atlante delle buone pratiche di creazione d’imANNO 11 N.86
Credit Coopératif (F) Bilancio: 11,7 miliardi di euro. www.credit-cooperatif.fr SIFA (F) Bilancio: 28 milioni di euro. www.franceactive.org
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piego e di inclusione sociale, realizzato da Febea (vedi ARTICOLO ), spesso nel sostegno alle imprese e all’occupazione il ruolo degli istituti di credito è fondamentale. E, se quelli “tradizionali” concedono a fatica prestiti a chi non ha garanzie patrimoniali da presentare, le banche etiche premiano i progetti validi, che abbiano un plus di tipo sociale, e permettono a soggetti che sarebbero esclusi dal mercato del lavoro o marginalizzati, come donne, giovani, portatori di handicap, ex carcerati di trovare una propria collocazione, spesso con un contratto a tempo indeterminato. «Quello che la crisi ha distrutto di più è la fiducia, bisogna trovare il modo di ricostruirla», ha dichiarato Luca Jahier, presidente del Comitato economico e sociale della Commissione europea, durante la conferenza di presentazione del progetto, il 29 novembre scorso a Bruxelles. Una fiducia che invece le banche etiche dimostrano di avere, concedendo prestiti anche a chi non
giochiamo il ruolo ‘‘Oggi di leva economica al servizio dei cittadini per creare imprese e posti di lavoro stabili ’’ FEBBRAIO 2011
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Bank Für Sozialwirtschaft (D) Bilancio: 5,2 miliardi di euro. www.sozialbank.de TISE (PL) Bilancio: 2,5 milioni di euro. www.tise.pl
BBK Solidarioa Fundazioa (E) Bilancio: 16 milioni di euro. www.bbk.es Fiare (E) Bilancio: 1 milione di euro www.proyectofiare.com
fornisce garanzie. «La storia di 20 anni della finanza etica è la storia del diritto al lavoro, della lotta alla disoccupazione. Dimostra che dare credito serve a cerare posti di lavoro», spiega alla stessa conferenza Fabio Salviato, neo-presidente di Febea.
L’interesse dell’Europa «Seguo l’impegno sociale, politico ed economico della finanza etica e il mio sostegno non è solo politico», ha dichiarato Luigi De Magistris, ex magistrato italiano, presidente della commissione Controllo sul bilancio al Parlamento europeo, con cui Febea sta portando avanti un percorso per ottenere il riconoscimento della finanza etica presso il Parlamento europeo. «Nel vostro appello – continua De Magistris rivolgendosi a Febea – mettete insieme economia, lavoro, sviluppo e legalità. Le iniziative delle banche etiche alternative non possono che trovare supporto tra parlamentari e giuristi europei».
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L’Europa dei buoni progetti in un atlante Una panoramica delle buone pratiche per la creazione di posti di lavoro e per l’inclusione sociale, realizzate grazie ai finanziamenti delle
Integra Co-op (SK) Bilancio: 1 milione di euro. www.integra.sk B. Alternative Suisse BAS (CH) Bilancio: 551 milioni di euro. www.abs.ch Cassa Cen.Casse Rur.Trentine (I) Bilancio: 1,9 miliardi di euro. www.cassacentrale.it Etimos (I) Bilancio: 28 milioni di euro. www.etimos.it Banca Popolare Etica (I) Bilancio: 612 milioni di euro. www.bancaetica.com
Colonya, Caixa Pollença (E) Bilancio: 14 milioni di euro. www.colonya.es
L SETTORE FINANZIARIO non è un monolite. Da oltre 25 anni assistiamo alla nascita di strutture finanziarie etiche e alternative che hanno deciso di affrontare una sfida fondamentale: centrare l’economia sull’essere e non sull’avere, ispirandosi a principi di cooperazione, fraternità e sostenibilità. Oggi più che mai giochiamo il ruolo di leva economica al servizio dei cittadini, permettendo la creazione di imprese e di posti di lavoro stabili”. Così descrive la finanza etica Febea, la Federazione europea della finanza e delle banche etiche e alternative (vedi MAPPA ), nell’Appello per un’Europa attiva, creativa e solidale, che la stessa Federazione ha lanciato il 29 novembre scorso, all’interno del progetto “Europa attiva”. Obiettivo di Febea è arrivare alle istituzioni europee per ottenere il riconoscimento ufficiale della finanza etica, come strumento per la creazione di posti di lavoro e per la coesione sociale.
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C. Sol. du Nord-Pas-de-Calais (F) Bilancio: 9 milioni di euro. www.caisse-solidaire.org
Femu Quì (F) Bilancio: 4 milioni di euro www.femu-qui.com
Ekobanken (S) Bilancio: 31 milioni di euro. www.ekobanken.se
Oekogeno eG (D) Bilancio: 3,5 milioni di euro. www.oekogeno.de
Hefboom (B) Bilancio: 23 milioni di euro. www.hefboom.be
La Nef (F) Bilancio: 182 milioni di euro. www.lanef.com
Cultura Bank (N) Bilancio: 43 milioni di euro. www.cultura.no
APS Bank Ltd (M) Bilancio: 669 milioni di euro. www.apsbank.com.mt
banche etiche europee. di Andrea Barolini REARE NUOVI POSTI DI LAVORO e far ripartire l’economia. È l’obiettivo della maggior parte dei Paesi, almeno in Europa, in questo periodo. Ma iniziative efficaci in tal senso esistono già, grazie alla finanza etica. È quanto intende dimostrare Febea, la Federazione europea della finanza e delle banche etiche e alternative, che ha raccolto in un “atlante” le “buone pratiche per
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la creazione di posti di lavoro e per l’inclusione sociale”. Una carrellata di 76 esperienze in tutta Europa, rese possibili grazie ai finanziamenti ottenuti da banche e società finanziarie etiche. Progetti a cui il sistema finanziario “tradizionale” non avrebbe mai dato (letteralmente) credito, raccolte in 5 macro-categorie: riciclaggio, ambiente, energia e natura; rivitalizzazione del territorio; servizi e innovazione; abitare; turismo; formazione, organizzazione e reti. Dal 2008, ad esempio, è attiva in Spagna la rete sociale Koopera (www.koopera.org), che tra i suoi 160 progetti ha lanciato Merkatua, iniziativa che nei Paesi Baschi garantisce un’offerta completa di prodotti ecosolidali riciclati da alcune fabbriche locali. Vestiti, libri, giochi e apparecchi elettronici vengono ristrutturati e “rigenerati” da persone a rischio di esclu-
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SALVIATO: «LAVORIAMO PER ESSERE RICONOSCIUTI DALLE ISTITUZIONI EUROPEE» DA NOVEMBRE FEBEA HA UN NUOVO PRESIDENTE. Dopo dieci anni di guida francese – prima con Jean-Paul Vigier, francese, poi con Karol Sachs, polacco, ma rappresentante di un istituto d’Oltralpe, il Crédit Coopératif – la Federazione europea della finanza e delle banche etiche e alternative ha un italiano al vertice: Fabio Salviato, ex presidente di Banca Etica (fino a giugno dell’anno scorso). «Questo incarico è un onore – commenta – è un riconoscimento a Banca Etica, come realtà innovativa nel panorama della finanza etica europea, un modello da esportare, unico per la sua struttura e per l’organizzazione dei soci». Quali sono gli obiettivi raggiunti da Febea in questi primi 10 anni e quali i prossimi in agenda? Febea è una federazione operativa, con attività molto concrete nel suo programma, ognuna delle quali è seguita da una commissione dedicata: sui Fondi di garanzia, il microcredito, il commercio equo e solidale. Questa struttura ha permesso di ottenere interessanti risultati in questi primi 10 anni. Ora è arrivato il momento di spingere l’azione di lobbying sulle istituzioni, per ottenere un riconoscimento della finanza etica a livello europeo. Servono regolamenti o leggi che riconoscano e premino il carattere sociale delle attività svolte. Quali sono i primi passi di questa attività di lobbying? Stiamo procedendo in due direzioni: da un lato dal basso, sul territorio, con una raccolta di firme all’appello che abbiamo lanciato (vedi ARTICOLO nelle pagine precedenti, ndr). Dall’altro con una proposta di raccomandazione per il riconoscimento della finanza etica in Europa, che vorremmo presentare il prossimo settembre al parlamento europeo. Il vostro obiettivo, al di là di un riconoscimento formale, è ottenere delle agevolazioni per la finanza etica? Innanzitutto è importante che vengano definiti dei paletti, stabilendo che cos’è la finanza etica, quali sono gli operatori che la propongono, quali i criteri di trasparenza (definizioni che non esistono neanche in Italia). Ma non solo. Vorremmo che i protagonisti della finanza etica fossero coinvolti e consultati nel dibattito su Basilea 3, per stabilire regole e requisiti diversi da quelli richiesti alle banche tradizionali. Altrimenti le realtà della finanza etica sarebbero fortemente penalizzate. Per esempio per queste realtà bisogna legare ai requisiti di capitalizzazione minima il concetto di socialità. Per le banche etiche il capitale ha un valore sociale, che deve essere considerato al di là dei numeri. E, se dovesse essere introdotta a livello europeo una tassa sulle transazioni finanziarie, come sta avvenendo in alcuni Paesi, le banche etiche dovrebbero esserne esentate. Elisabetta Tramonto www.febea.org
portare ‘‘ Dobbiamo avanti un’azione di lobbying a livello europeo. Serve una definizione precisa di finanza etica
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L’ex presidente di Febea, Karol Sachs, e il suo successore, Fabio Salviato.
sione sociale (anziani, immigrati, senza tetto, ex tossicodipendenti), che così trovano un lavoro stabile. Le Potager de Marianne (letteralmente, “L’orto di Marianna”), invece, non ricicla oggetti bensì cibi. O meglio li recupera dalle aziende che operano nell’Ile-de-France, la regione che ospita Parigi. L’Associazione nazionale per lo sviluppo delle drogherie solidali (Andes, www.epiceries-solidaires.org) ha lanciato il progetto due anni fa, con l’obiettivo di raccogliere frutta e verdura invenduta dai banchi del mercato di Rungis (il più grande al mondo per prodotti freschi) e farla arrivare ai più bisognosi: ben 5 tonnellate di cibo al giorno, che altrimenti sarebbero andate distrutte, recuperate dai 14 dipendenti dell’associazione. Dal 1996, sempre in Francia, grazie ai capitali della finanza etica lavora l’associazione (oggi società per azioni) Trait d’Union (www.trait-union.net), che si è posta l’obiettivo di rispondere all’esigenza di individuare nuovi modelli di trattamento dei rifiuti, dando lavoro a 147 persone, impegnate nella gestione di centri di raccolta differenziata, nella predisposizione di studi e campagne di sensibilizzazione rivolte alla popolazione locale (in particolare le regioni occidentali del Paese). In Norvegia è stato creato un progetto di reinserimento degli ex detenuti del carcere di Bastøy (www.bastoyfengsel.no), isola a Sud della capitale Oslo, basato sulla creazione di opportunità, sull’orientamento e sulla formazione, in particolare rivolta all’agricoltura biologica. In Italia, ancora, la Fondazione Messina (www.fondazioneperilsud.it), grazie ad un finanziamento di 6 milioni di euro, punta a costruire un parco di energie rinnovabili (principalmente fotovoltaiche) su terreni confiscati alla mafia. Mentre in Belgio Energiesnoeiers (www.energiesnoeiers.net) ha allestito una squadra di tecnici che effettua piccoli e grandi lavori per il risparmio energetico nelle case (isolamento, installazione di illuminazione ecologica, rinnovamento dei sistemi idraulici). Ne fanno parte 36 imprese sociali. Progetti e iniziative per un’Europa attiva, creativa e solidale. Ai quali il sistema finanziario “tradizionale” non avrebbe dato un centesimo.
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La borsa non è un
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Fondi etici: l’investimento responsabile ETICA SGR: VALORI IN CUI CREDERE, FINO IN FONDO. Etica Sgr è una società di gestione del risparmio che promuove esclusivamente investimenti finanziari in titoli di imprese e di Stati selezionati in base a criteri sociali e ambientali. L’investimento responsabile non comporta rinunce in termini di rendimento. È un investimento “paziente”, non ha carattere speculativo e quindi ben si coniuga con la filosofia di guadagno nel medio-lungo termine comune a tutti gli altri fondi di investimento. Parliamo di etica, contiamo i risultati. I fondi Valori Responsabili si possono sottoscrivere presso tutte le filiali e i promotori di Banca Popolare Etica, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio, Banca di Legnano, Simgest/Coop, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Casse Rurali Trentine, Banca Popolare dell’Alto Adige, Banca della Campania, Eurobanca del Trentino, Banca Popolare di Marostica, Eticredito, Cassa di Risparmio di Alessandria, Banca di Piacenza, Online Sim e presso alcune Banche di Credito Cooperativo. Per maggiori informazioni clicca su www.eticasgr.it o chiama lo 02.67071422. Etica Sgr è una società del Gruppo Banca Popolare Etica. Prima dell’adesione leggere il prospetto informativo. I prospetti informativi sono disponibili presso i collocatori e sul sito www.eticasgr.it
*LIPPER FUND AWARDS 2010
Premio Migliori Risultati Categoria Risparmio Gestito
Valori Responsabili Monetario e Valori Responsabili Obbligazionario Misto Rendimenti a tre anni (2007-2009)
*LIPPER FUND AWARDS 2009
Premio Migliori Risultati Categoria Risparmio Gestito
Valori Responsabili Monetario e Valori Responsabili Obbligazionario Misto Rendimenti a tre anni (2006-2008)
MILANO FINANZA
GLOBAL AWARDS
2009
Valori Responsabili Obbligazionario Misto - Rendimento a un anno (2008)
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Scontri religiosi
Origini perse nei tempi di Federica Miglietta*
ELLA RUBRICA DI QUESTO MESE TRATTIAMO UN ARGOMENTO SCOTTANTE e, allo stesso tempo, desolante: gli scontri religiosi. A cavallo tra il 2010 e il 2011 abbiamo assistito alla strage in Egitto, perpetrata a danno dei cristiani copti, e agli attacchi ai cattolici in Nigeria. Alla base di questi episodi sembrano esserci odi e divisioni profonde, alimentati dalla differente religione. Non mi soffermerò su scontate condanne e su considerazioni di tipo culturale ed etnico; molto hanno scritto i giornali e unanimi sono state le condanne. Vorrei, invece, articolare il mio contributo su quali possano essere le cause storiche alla base dell’attuale “inimicizia” tra cristiani e musulmani e tra musulmani ed ebrei. Perché le prime schermaglie, non solo verbali, sono già presenti all’interno del Corano. Nei primi tempi del nascente Islam, il Profeta dimostra una certa condiscendenza nei confronti di cristiani ed ebrei, in virtù di una comune ascendenza da Abramo. La tradizione araba del tempo del Profeta, infatti, tendeva a riconoscere Ismaele, figlio primogenito di Abramo, come antenato delle tribù arabe mentre il secondo figlio di Abramo, Isacco, avrebbe dato origine alla stirpe di Mosè (dal quale nasce l’Ebraismo) e a quella di Gesù, che fonda il Cristianesimo. In virtù di questa comune ascendenza si ritrovano all’interno del Corano numerosi riferimenti alle Sacre scritture cristiane ed ebraiche e, studiando il Corano, in alcuni casi si ha la netta percezione che Muhammad avesse una conoscenza delle scritture antiche. Nel Corano si accenna molto spesso al fatto che Ebrei e Cristiani, le “genti del Libro”, hanno corrotto gli insegnamenti di Dio e, proprio per questa ragione, Allah ha mandato Muhammad come I primi scontri tra ultimo e più importante Profeta per ricondurre alla religione le genti che musulmani, da una parte, avevano tradito il suo messaggio originario. Muhammad prova a convincere ed ebrei e cristiani, Ebrei e Cristiani della validità del proprio messaggio e propone l’Islam dall’altra, si trovano nel Corano. Ma il libro sacro come una religione ultima, completa e perfetta che dovrebbe succedere al cristianesimo e all’ebraismo. Questa speranza spiega la tolleranza dell’Islam cerca la pace di Muhammad, dimostrata nel primo periodo, nei confronti di cristiani ed ebrei, che vengono definiti “fratelli nella fede” (Corano, II: 62) e “gente del Libro” (Corano, V: 15). Nel periodo medinese, però, Muhammad accusa i clan ebrei di cospirare contro di lui insieme ai meccani e di qui inizia un periodo di delusione (perché non lo accettano come Profeta) e di aperta ostilità e si spezza definitivamente quel regime di collaborazione e tolleranza che aveva caratterizzato i primi periodi di convivenza tra i nuovi fedeli musulmani e i clan ebrei. In risposta a questo cambiamento di opinione, Muhammad sposta la qibla, la direzione della preghiera, da Gerusalemme, città santa ebraica, a Mecca, verso la Ka’ba. Nella Sura della Mensa, la misura ormai è colma: Muhammad si scaglia contro gli ebrei che hanno “stravolto il senso della Parola e hanno obliato parte di quel che fu loro insegnato”. Non è più tenero verso i Cristiani, ovvero coloro che affermano “il Cristo, figlio di Maria, è Dio”, che “rifiutan fede a Dio” (Corano, V:17). Dio, per bocca di Muhammad li ammonisce severamente, affermando “O gente * Ricercatrice di Economia del Libro! Voi non farete nulla di buono finché non metterete in pratica la Torah e il Vangelo e quello degli intermediari che è stato rivelato dal vostro Signore” (Corano, V:68). finanziari presso la facoltà di Economia L’inimicizia, dunque, nasce da lontano, ma vale forse la pena ribadire che altri erano i tempi e altre all’Università di Bari le vicende storiche alla base di questi scontri. Basarsi su queste tesi, oggi, vuol dire tradire la storia e presso l’Università Bocconi di Milano e non rispettare l’onnipresente ricerca di pace e di misericordia che permea il Corano.
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Viaggio nell’olio d’oliva. Una bottiglia insostenibile >44 Neocon all’attacco: «Greenpeace e Wwf nemici dei poveri »>50 La strana battaglia tra i paladini dei boschi >52
economiasolidale WIKIPEDIA, LA RACCOLTA FONDI È UN SUCCESSO
OLIO, ARANCE E CLEMENTINE ARMI ANTIMAFIA, NELLA LOCRIDE NASCE IL CONSORZIO GOEL BIO
COTA: COMMERCIO ETICO? NIENTE FONDI
A CAPANNORI LA PRIMA COMPOSTIERA DI QUARTIERE
LEGNO CERTIFICATO E A CHILOMETRO ZERO: LA BELLA STORIA DELLA CASA NELLA VAL PESARINA
APPARECCHI ENERGIVORI, UNO SU TRE È FUORI NORMA
Sedici milioni in sessanta giorni, per vincere una scommessa: Wikipedia, la più grande enciclopedia del mondo, scritta dagli stessi utenti, rimane gratuita e senza pubblicità. A novembre, i suoi vertici, come ogni anno, hanno chiesto sostegno ai lettori per non dover aprire le porte agli sponsor. L’appello deve aver toccato le corde giuste perché ha spinto mezzo milione di persone da 140 Paesi nel mondo a devolvere in media 22 dollari a testa. L’anno prima erano stati “solo” 230 mila. I soldi serviranno alla Wikimedia Foundation, l’organismo non profit che controlla Wikipedia e i progetti collegati (Wikibooks, Wikizionario, Wikiquote ma non Wikileaks come qualcuno erroneamente crede), per coprire innanzitutto i costi delle piattaforma tecnologica: il sito Wikipedia è consultato, ogni mese, da oltre 400 milioni di persone. Ma permetteranno anche di rendere l’enciclopedia più facile da usare e di ampliare la platea di “scrittori” volontari (100 mila, finora). Un modo per ridurre anche il numero di informazioni errate (“più scrittori, più controllo delle fonti” è il ragionamento). Aspetto da non sottovalutare: finora Wikipedia è riuscita anche a mantenersi economicamente sana. Il bilancio 2010 mostra un avanzo di gestione di 10 mila e 600 euro, che si aggiungeranno ai 67 mila accumulati negli esercizi precendenti.
Non è facile la vita di chi sceglie di fare l’agricoltore in Calabria: prezzi da fame, che spesso non permettono al produttore nemmeno di coprire le spese sostenute né di poter pagare il lavoro come i contratti (e la dignità) esigerebbero. E poi, la pressione criminale della ‘ndrangheta, che vive e prospera sul lavoro dei cittadini. Una risposta, forse piccola ma sicuramente positiva, arriva dal consorzio Goel, che da decenni si batte per una Calabria libera dalle mafie e che ha lanciato la cooperativa sociale agricola Goel Bio. «Una realtà che riunirà i produttori della Locride e della Piana di Gioia Tauro che offrano qualità dei prodotti ed eticità», spiega il presidente del consorzio, Vincenzo Linarello. Molto spesso si fa l’errore di pensare che solo i prodotti dei terreni confiscati alle mafie siano virtuosi. Ci sono invece molti agricoltori “normali”, che non aspettano altro che potersi liberare dall’oppressione criminale. «Vogliamo favorire il loro accesso al mercato e la creazione di una rete virtuosa, che possa avere ricadute positive per lo sviluppo del nostro territorio». I produttori di Goel Bio (www.goel.coop/bio) producono soprattutto arance biologiche e in conversione, proposte direttamente al consumatore finale in tutta Italia, ad un prezzo equivalente ad una normale arancia non biologica. E poi, clementine biologiche, olio extravergine biologico di alta qualità, prodotto tramite spremitura a freddo, utilizzando unicamente procedimenti meccanici. Oltre a garantire prodotti di alta qualità, l’iniziativa di Goel Bio punta a prevenire i fenomeni di sfruttamento dell’immigrazione: i soci dovranno infatti garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori, la rigorosa osservanza dei disciplinari di produzione biologica e l’estraneità a qualsiasi tipo di collusione con la criminalità organizzata.
«Nel bilancio preventivo del 2011 non è prevista alcuna spesa a carico dell’Ente a copertura di iniziative sul commercio equo e solidale». Tradotto: chi è impegnato a diffondere nuovi principi etici nel mercato non merita aiuti economici. Le brutte notizie arrivano da Torino, dove la giunta regionale guidata dal leghista Roberto Cota ha deciso di azzerare i fondi previsti dalla legge regionale 26/2009. Già l’estate scorsa Cota aveva annunciato di voler ridurre gli stanziamenti dai 350 mila euro previsti a 30 mila. Ora arriva l’azzeramento totale. Ovviamente sconcertati dalla decisione i titolari delle oltre 60 “Botteghe del Mondo”. «È deludente – dichiara Alberto Anfossi, portavoce del coordinamento delle organizzazioni piemontesi di commercio equo e solidale – che il lavoro di anni, realizzato in modo partecipato e condiviso a più livelli, sul piano politico e amministrativo, sia oggi vanificato da un atto di prepotenza della Giunta attuale, che dal suo insediamento ha risposto negativamente alle nostre richieste di incontro». I punti vendita gestiti da cooperative e associazioni non profit danno lavoro a 150 persone, riuniscono oltre 5000 soci e 700 volontari, hanno ricavi per 4 milioni di euro e hanno investito 1,3 milioni in lavoro retribuito. Dati che fanno del Piemonte una delle regioni in cui il commercio equo è più diffuso e radicato.
Bucce di banana e altri residui di pranzi e cene ora si buttano in una macchina che mangia i rifiuti “in diretta”. La mensa comunale di Capannori, in provincia di Lucca, ha inaugurato il primo sistema per il compostaggio locale collettivo a uso pubblico. Il macchinario arriva dalla Svezia e può trattare oltre venti tonnellate l’anno di frazione organica, che corrispondono al fabbisogno di circa 250 abitanti. Alta un metro e lunga tre, la compostiera è costituita da due sezioni separate. Produce compost in circa un mese a fronte di un periodo medio di 4 mesi previsto dal compostaggio domestico. I rifiuti organici vengono inseriti in un vano della macchina e poi triturati insieme a pellet. I risparmi oscillano tra il 30 e il 70%. A beneficiarne sarebbero soprattutto i comuni montani e le isole, per i quali si ridurrebbero i costi di trasporto e le emissioni inquinanti causate dal traffico. Dopo l’acquisto del macchinario, le spese annuali sono di mille euro, per la manutenzione, e 250 euro, per la corrente elettrica. Il compost prodotto sarà utilizzato come fertilizzante per le aree verdi comunali. Dopo Capannori, il macchinario potrebbe approdare presto in altre città: sperimentazioni avanzate sono in atto a Torino e, nella sua provincia, a Carmagnola, e nel comune di Acquapendente, in provincia di Viterbo.
Gli abitanti della Val Pesarina in Friuli hanno avuto modo di apprezzare la bontà del progetto fin dai suoi primi passi: non capita spesso di vedere una casa costruita con legname interamente locale, adattando il progetto al legno che si ha a disposizione e non viceversa. Ora questo esempio di “buona pratica” avrà eco nazionale e internazionale: il progetto di casa di legno ecosostenibile “Sa Di Legno”, realizzato a Sostasio di Prato Carnico (Udine) dall’ingegner Samuele Giacometti, ha ottenuto il certificato di progetto Pefc, lo schema di certificazione forestale più diffuso al mondo. È la prima volta in Italia che un progetto ottiene questo riconoscimento. E la terza nel mondo (i primi due sono stati concessi a una casa e una scuola spagnole). Il certificato garantisce che i 140 metri cubi di legname utilizzati per la costruzione della sua casa provengano da foreste gestite in maniera sostenibile secondo rigidi standard internazionali. Ma c’è di più: nel caso della costruzione realizzata da Giacometti, non solo è possibile garantire la quantità di legno certificato, ma anche sapere da quale ceppo arriva ogni singola trave. Il logo Pefc permetterà poi di divulgare in Italia e nel mondo questa buona pratica, che, tra l’altro, valorizza il ruolo di chi quel legno lo gestisce in modo sostenibile e lo lavora: non solo il legno infatti, ma anche le 30 persone coinvolte nella costruzione (dalla scelta di ogni singolo albero, al taglio, al trattamento e alla realizzazione della casa) sono “a km 0”. Un riconoscimento anche per il territorio friulano, nel quale il progetto è nato ed è stato trasformato in realtà: il Friuli Venezia Giulia infatti è, dopo Trentino e Alto Adige, la regione con la maggiore superficie forestale certificata (75 mila ettari su 300 mila totali, pari al 25% dei boschi regionali). In Italia, la percentuale si ferma all’8,5%.
Da ormai un anno, gli elettrodomestici immessi sul mercato devono rispettare la nuova direttiva europea che ne riduce i consumi sotto a 1 watt quando sono in standby. Una scelta, quella di Bruxelles, presa per evitare che l’11% di tutta l’elettricità continui a essere buttata dagli apparecchi mentre non sono in uso: 43 terawattora in tutta Europa, pari all’energia prodotta da otto grandi centrali termoelettriche, oppure a quella consumata dai 2/3 delle case italiane. Eppure, nonostante le norme siano in vigore da un anno, moltissimi italiani ancora nei prossimi mesi compreranno prodotti ormai fuori norma, che fanno lievitare le bollette. Una recente ricerca, condotta dal Politecnico di Milano su seimila prodotti in vendita nei diversi Paesi europei, rivela che oltre il 30% non rispetta ancora le nuove norme per gli standby. Gli elettrodomestici più voraci, anche da spenti, sono le fotocopiatrici e le stampanti laser, i decoder per la tv digitale, i router per internet, i televisori e soprattutto i videogiochi e le macchine del caffè. Ma attenzione anche ai forni, agli stereo, ai carica-cellulari che, anche senza luci accese, attaccati alla presa continuano a succhiare energia e soldi. Per fare gli acquisti giusti, occhio all’etichetta energetica: obbligatoria per gli elettrodomestici da cucina. Ancora facoltativa negli altri. Per stereo, tv e pc solo poche aziende danno informazioni volontarie sull’energia consumata.
Da questo numero gli @ppuntamenti saranno sul sito www.valori.it | 42 | valori |
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Se volete segnalarcene qualcuno scrivete a: barolini@valori.it |
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Viaggio nell’olio d’oliva Una bottiglia insostenibile
ELISABETTA TRAMONTO
Gli ulivi monumentali della Masseria Brancati, a Ostuni (Brindisi). Ci si può immergere in questo pezzo di storia, visitandola o gustando l’olio di tali alberi meravigliosi (www.masseriabrancati.com).
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In una gara al prezzo più basso, anche a causa di una concorrenza internazionale spietata, a pagarne le spese sono i piccoli produttori italiani e la qualità dell’olio. Ma i consumatori non badano a cosa mangiano. di Elisabetta Tramonto
PRIMA PUNTATA INGREDIENTI MADE IN ITALY A RISCHIO
CAFFALI COLMI di bottiglie di INIZIAMO CON L’OLIO D’OLIVA. tutte le forme, i colori e i Per continuare con il formaggio, la carne, il vino, la birra, le arance, il pesce. prezzi. Il reparto dedicato alUn patrimonio del made in Italy che rischia l’olio nei supermercati è una babele in cui è di scomparire, schiacciato da concorrenza difficile districarsi. Solo per l’extravergine sleale, prodotti contraffatti, politiche della grande distribuzione che stritolano i piccoli d’oliva si possono trovare più di 70 marche, produttori, prezzi di mercato stracciati con prezzi che vanno dai 2,70 ai 10 euro al contro costi di produzione in aumento. Tanto che i piccoli produttori sempre litro, senza considerare le promozioni. «Non più spesso decidono di gettare la spugna. si può dire che la qualità sia proporzionale E con loro se ne va un capitale inestimabile al prezzo, ma certamente se un extravergidi biodiversità, di cultura del territorio, di prodotti italiani. A partire da questo ne costa 2,70 euro al litro c’è qualcosa che numero di Valori iniziamo un viaggio dentro non va. Di certo non è italiano ed è possiquesti prodotti, le loro filiere, le difficoltà che i produttori incontrano. Ogni mese bile che non sia neanche extravergine», riun prodotto diverso. Da rivalutare, da salvare. sponde Benedetto Orlandi, responsabile del settore Olio di Coldiretti. Oggi in Italia un litro di extravergine viene pagato al produtCosti alti e prezzi bassi tore in media 3 euro. «Aggiungendo i costi «Negli ultimi quattro anni i prezzi all’oridi imbottigliamento, etichettatura, traspor- gine dell’olio d’oliva sono calati drasticato e i margini di intermediazione - spiega Or- mente e, contemporaneamente, sono aulandi - non potrebbe essere venduto al det- mentati i costi di produzione», spiega taglio a meno di 6 euro al litro». Tiziana Sarnari dell’Ismea. È LIBRI Un altro capitolo spinoso riun settore complesso, dove i guarda i prezzi all’ingrosso. costi di produzione possono Quei 3 euro al litro (in aumenvariare di molto a seconda delto dai 2,72 del 2009) permettola zona di coltivazione (ripidi no ai produttori di guadagnapendii o pianura) e delle tecnire? L’Ismea (l’Istituto di servizi che agricole usate (la raccolta a per il mercato agricolo alimenmano, per esempio, costa an2010 Guida tare) ha fatto i conti in tasca agli che tre volte di più rispetto a agli extravergini olivicoltori italiani. E il risultaquella con le macchine). L’ISlow Food Editore to è tutt’altro che rassicurante. smea ha calcolato che, considerando tutte le fasi di gestione di un uliveto (potatura, eventuale irrigazione, trattamenti fitosanitari), la raccolta e la spremitura, produrre un litro d’olio extravergine può costare a un olivicoltore italiano tra i 3,2 e i 9,6 euro (riferiti al 2009), senza considerare imbottigliamento ed etichettatura, che farebbero salire il costo almeno di 1 euro al litro. Si raggiunge una cifra che supera di gran lunga i 2,72 euro di prezzo all’ingrosso (sempre riferito al 2009). Come può un agricoltore vendere l’olio a un prezzo inferiore a quanto ha speso per produrlo? «Un piccolo olivicoltore - spiega Tiziana Sarnari - può recuperare le uscite solo se utilizza manodopera propria o dei propri familiari e non la con-
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teggia nei costi. Spesso raccolgono le olive quando il prezzo all’ingrosso permette di coprire almeno i costi di raccolta e frangitura, non quelli di cura della pianta». Ad assicurare un minimo reddito agli olivicoltori ci pensano gli aiuti comunitari, che dal 2004 non sono più collegati alla produzione, ma dipendono da un calcolo sulla resa che l’uliveto aveva tra il 2000 e il 2003. L’introito per ogni olivicoltore varia di molto, tra i 100 e i 2.000 euro a ettaro all’anno. Finché dura, perché dal 2013 ci sarà la nuova Politica agricola comune e vedremo cosa succederà.
Qualità a rischio I produttori italiani arrancano sotto il peso della concorrenza internazionale, soprattutto della Spagna (primo produttore mondiale), che, con una produzione standardizzata e altamente meccanizzata, poche varietà di olive e poche grandi aziende olivicole, riesce a mantenere i costi di produzione molto bassi e a imporre sul mercato prezzi che per l’Italia risultano insostenibili (vedi TABELLA nella pagina seguente). La struttura produttiva degli olivicoltori italiani è molto frammentata: 775 mila agricoltori per 160 mila ettari coltivati a ulivo, in media un ettaro e mezzo a testa. Una condizione che non permette di beneficiare di economie di scala, abbassando i costi, e riduce il po-
OLIO ON LINE DA ULIVI SECOLARI www.masseriabrancati.com www.masseriailfrantoio.it www.masseriagiummetta.com www.liberaterrapuglia.it www.pantanelli.it
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2008
2009
3,16 2,55 2,17
2,91 2,37 2,10
2,50 1,94 1,76
VAR.% 08/07 VAR.% 09/08
-7,9 -7,3 -3,2
-14,1 -18,0 -16,1
FONTE: ISMEA
I PREZZI MEDI ALL’ORIGINE DEGLI OLI D’OLIVA SPAGNOLI E GRECI (€/KG) Spagna Extravergine Lampante Grecia Extravergine Lampante
2007
2008
2009
VAR.% 08/07 VAR.% 09/08
2,57 2,40
2,38 2,28
2,05 1,94
-7,1 -5,2
-14,0 -14,7
2,78 2,13
2,61 2,04
2,16 1,62
-6,0 -3,9
-17,4 -20,7
I PREZZI ALLO SCAFFALE Prezzo più alto segnalato in Italia
3
4
5
Manuale Meccanizzata
6
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8
2,70 EURO AL LITRO
Raccolta agevolata e potatura agevolata biennale
Vie d’uscita «L’unico modo per guadagnare è la vendita diretta, che ci riconosce un giusto prezzo», racconta Eugenio Lozzi, olivicoltore di Tivoli (www.oliosanclemente.it). «Per sopravvivere evitiamo la grande distribuzione - racconta Giuseppe Geraci, produttore di olio di Corigliano Calabro (www.oleariageraci.it) - e puntiamo sulla
PREZZO RICONOSCIUTO AI PRODUTTORI 2,72 EURO
9
FONTE: ISMEA
2
G DEESTI L S ON UO E LO FR AN GIT UR RA A CC OL TA C E TONCI RA MA TTA Z. A M E SMMO ENT PE RTA I SE M GE ENT PO ST. O TAT UR A
1
4,45 EURO
Prezzo medio al litro per olio extravergine in Italia, 2009
qualità del prodotto da far conoscere al consumatore con un rapporto diretto. Abbiamo una rivendita in paese, abbiamo sviluppato rapporti solidi con i Gas del nord Italia e abbiamo trovato il modo di usare anche gli scarti. A partire dal nocciolo dell’oliva produciamo combustibile domestico o industriale per il riscaldamento o per forni per il pane».
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Vent’anni insieme al non profit. Diamo credito ai progetti migliori, eppure non siamo una banca.
NUOVI BANDI 2011 Si aprono i bandi di Fondazione Cariplo nei quattro settori di intervento: Ambiente, Arte e Cultura, Ricerca Scientifica, Servizi alla Persona. I testi dei bandi e il calendario degli incontri di presentazione sul territorio sono disponibili sul sito www.fondazionecariplo.it Streaming su www.fondazionecariplo.it
LE PRINCIPALI OPERAZIONI AGRONOMICHE NELL’OLIVETO E DELLA PRIMA TRASFORMAZIONE VOCI DI COSTO
CENTRO - ITALIA
PUGLIA SETT.
SALENTO
1,61 EURO
Piante/ha (n)
277,0
100/150
100/150
Produzione media/pianta (kg)
L’INSOSTENIBILITÀ DI UNA BOTTIGLIA DI OLIO D’OLIVA I COSTI SUPERANO IL PREZZO PAGATO AL PRODUTTORE 0,65 EURO
Potatura e spollonatura (ogni 2 anni) 1,00 EURO
Trattamenti fitosanitari
Unità di misura Euro al litro di olio (1 litro=0,920 kg)
0,45 EURO
Gestione suolo
Costi medi riferiti alla Puglia (dove si produce la quota più alta di olio in Italia: il 31% nel 2010)
0,26 EURO
Altri costi gestione uliveti
Produzione olive (kg/ha)
18,0
48,0
48,0
4.986
6.000,0
6000,0
Resa media in olio (%)
16,0
18,0
18,0
Produzione olio (kg/ha)
798
1.080,0
1080,0
450,0
200,0
Costo 3 interventi di gestione del suolo (€/ha)
391,3
Costo 4 interventi gestione del suolo (€/ha) Costo concimazione (€/ha)
315,9
Costo 3 trattamenti fitosanitari (€/ha)
394,8
1.000,0
600,0
Costo totale frangitura (€/ha)
650,0
480,0
480,0
Quota ammortamento oliveto (€/ha)
300,0
100,0
100,0
Irrigazione
50,0
80,0
Spese generali (€/ha)
157,9
100,0
100,0
Costo raccolta1 (€/ha)
1.450-3.800
1.600,0
720-1.200
650-1.060
650,0
960,0
4.300-7.080
4.438
3.240-3.720
Costo potatura2 e spollonatura (€/ha) Costo totale (€/ha)
1) La forbice dipende dal tipo di raccolta: manuale, agevolata o meccanica. 2) La forbice dipende dal tipo della potatura (manuale o agevolata) e dalla periodicità (annuale o biennale).
Il biologico fa la differenza Il comparto dell’olio bio è ancora di nicchia, ma le vendite stanno aumentando più di ogni altra categoria di olio. E i produttori sono premiati da prezzi superiori, canali di vendita riservati, clienti fidelizzati. di Elisabetta Tramonto grande difficoltà per gli olivicoltori, puntare sulla qualità è un valore aggiunto, premiato dal mercato. E il biologico è certamente una garanzia di qualità». Sintetizza così, Nino Paparella presidente di Icea (Istituto per la certificazione etica e ambientale) e coordinatore del premio Biol - le motivazioni per cui un produttore dovrebbe optare per l’olio biologico. L’Italia è al primo posto al mondo per estensione di uliveti bio, con oltre 114 mila ettari, il 10% degli uliveti italiani. «La produzione di olio bio – precisa Nino Paparella – è, in proporzione, molto più bassa. La certificazione comporta una selezione rigida e alcune partite vengono escluse perché risultano inquinate da agenti esterni. Ma questa iper-selezione garantisce l’alta qualità».
«I
Fondazione
0,48 EURO
Costo frangitura (spremitura delle olive in frantoio) Costo raccolta
Costo totale di produzione dell’olio
Prezzo più basso segnalato (senza considerare offerte e promozioni, a cui spesso è sottoposto)
COSTI DI PRODUZIONE (CENTRO-ITALIA) PER TIPOLOGIA DI OPERAZIONE COLTURALE €/kg
1 EURO
Costo bottiglia, tappo imbottigliamento ed etichettatura
9,65 EURO AL LITRO
FONTE: ISMEA, REPORT ECONOMICO FINANZIARIO SULL’OLIO 2010
Extravergine Vergine Lampante
2007
FONTE: RIELABORAZIONE VALORI SU DATI ISMEA
FONTE: ISMEA
I PREZZI MEDI ALL’ORIGINE DELL’OLIO D’OLIVA ITALIANO (€/KG)
FONTE: ISMEA
tere contrattuale con le industrie dell’olio. I grandi marchi comprano olio da grossisti, cercando di spuntare i prezzi più bassi, in Italia o all’estero. E la qualità? «Passa in secondo piano», denuncia Benedetto Orlandi. In Italia esistono oltre 350 cultivar, che negli oli “industriali” scompaiono in una “miscela” che perde ogni caratterizzazione. «Per non parlare dei casi, sempre più frequenti di oli spacciati per extravergini, ma che non lo sono per niente», conclude Orlandi. In Spagna si sta affermando una pericolosa tendenza. I prezzi degli oli extravergine e lampante si stanno avvicinando. Segno che i consumatori cercano il basso prezzo a prescindere dalla qualità. «Il problema - spiega Dario Ferro, curatore della guida agli extravergini di Slow Food - è che il consumatore cerca il risparmio senza domandarsi che cosa sta mangiando». Per l’Ismea sono tre le strade possibili per i produttori di olio, di fronte alle enormi difficoltà che devono affrontare: gettare la spugna; abbassare la qualità per riuscire a competere con i concorrenti internazionali; o puntare sull’alta qualità e sulla differenziazione del prodotto, per esempio con i marchi Dop e con il biologico.
| economiasolidale | FONTE: OSS. PREZZI, MIN. SVILUPPO ECON., 11/2010 (WWW.OSSERVAPREZZI.IT)
| economiasolidale |
N UN MOMENTO di
Qualità premiata La produzione di olio bio è ancora limitata (circa 10 tonnellate all’anno in Italia,
tra bio, Dop e Igp, il 2% del totale dell’olio prodotto), ma negli ultimi 5 anni, tra tutte le categorie di olio, secondo l’Ismea le vendite di biologico sono quelle cresciute di più. E nei primi nove mesi del 2010 sono aumentate del 20%. Produrre olio biologico può costare «tra il 15% e il 30% in più - spiega Nino Paparella - soprattutto per la perdita di prodotto a causa della rigida selezione e della caduta a terra di olive per colpa di insetti». Anche il prezzo di vendita è mediamente più alto, almeno il doppio dell’olio non bio, secondo l’Ismea. «Per i produttori - spiega Nino APPUNTAMENTO Paparella - aver scelto il biologico è un vantag26 aprile - 1 maggio gio competitivo perANDRIA PREMIO BIOL ché il livello dei prezzi XVI edizione è più stabile; il consudel concorso matore è più fedele e internazionale che pone le catene di distribua confronto zione di biologico gai migliori oli extravergini rantiscono un margine biologici al mondo. di guadagno maggiore www.premiobiol.it per i produttori».
C’È OLIO E OLIO OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA È l’olio che esce dal frantoio e deriva dalla semplice spremitura delle olive. Deve avere un’acidità massima dello 0,8% e superare test organolettici. Il 60% dell’olio d’oliva prodotto in Italia è extravergine. OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA DOP E IGP Dop (Denominazione di origine protetta) e Igp (Indicazione geografica protetta) sono due riconoscimenti assegnati agli oli che vantano un forte legame con il territorio di origine. In Italia ci sono 39 Dop e 1 Igp. OLIO D’OLIVA Non deriva dalla semplice spremitura delle olive in frantoio. È una miscela tra olio raffinato (trattato chimicamente) e olio vergine. OLIO DI OLIVA VERGINE LAMPANTE Ha acidità elevata e altri difetti. Ne è vietata la vendita. OLIO DI OLIVA RETTIFICATO Prodotto dalla rettificazione chimica dell’olio lampante. Ne è vietata la vendita. OLIO DI SANSA Dopo la spremitura delle olive per estrarre l’olio resta la sansa, da cui si può estrarre altro olio, trattandola con solventi chimici. Per renderlo commestibile, viene rettificato e miscelato con olio d’oliva vergine.
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Ulivi millenari un patrimonio a rischio
ELISABETTA TRAMONTO
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| economiasolidale | I NUMERI DELLA FILIERA DELL’OLIO IN ITALIA
aziende (fase agricola)1 superficie investita ad olivicoltura2 (ha) superficie media (ha) frantoi attivi imprese industriali3 addetti industria3 dimensione media aziendale (addetti/industria)
Un olio che ha un valore aggiunto dovuto alla storia che racchiude. Produrlo costa di più. Un progetto della comunità europea cerca di preservare questo patrimonio e di far risparmiare gli olivicoltori. di Elisabetta Tramonto MARCHI ITALIANI ADIOS ONDIRE L’INSALATA
con un cucchiaio di storia, un filo di patrimonio naturale e ambientale, un goccio di biodiversità. È quello che accade ogni volta che si usa l’olio spremuto dalle olive degli alberi plurisecolari che costellano la campagna pugliese. Un tronco imponente, che in alcuni casi può superare i 10 metri di circonferenza, che si avvinghia su se stesso in modo irregolare a formare una vera scultura. Sui 50 milioni di ulivi pugliesi, quelli secolari sono circa 5 milioni, i millenari 1 milione, concentrati soprattutto lungo la piana costiera tra Bari e Brindisi, non più di 40-50 per ettaro, contro i 200300 alberi giovani degli uliveti intensivi. Regalano un olio di alta qualità (se prodotto con metodi appropriati, portando le olive al frantoio appena raccolte). Ma hanno un valore aggiunto: culturale e storico di gustare un olio dalle stesse olive assaporate dagli antichi greci e romani. E il valore naturale di un paesaggio antico ricco di biodiversità. Ma, purtroppo, sono in pericolo. Non per i “furti”, che avvenivano fino a pochi anni fa, da parte di chi strappava queste piante dal loro habitat per decorare una villa nel nord Italia. Oggi non è più possibile: una legge regionale del 2007 vieta di espiantare ulivi monumentali. Il nemico è un altro: di tipo economico. Se, negli ultimi anni, per i produttori di olio è difficile anche coprire i costi, per i proprietari di uliveti ultrasecolari la vita è ancora più dura. Le fasi di coltivazione, dalla potatura alla raccolta, sono molto più costose. «Gli uliveti monumentali - spiega Gianfranco
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NEGLI ULTIMI ANNI i marchi dell’olio di oliva made in Italy hanno subito notevoli modifiche nelle proprietà delle aziende, con un ingresso massiccio di capitali spagnoli. Protagonista assoluto il gruppo Sos, quotato alla borsa di Madrid, oggi primo gruppo mondiale nel settore oleario. Da sei anni ha iniziato a fare shopping in Italia, acquistando, nel 2005, la Minerva oli, con lo storico marchio Sasso, e, nel 2006, il brand fiorentino Carapelli (che apparteneva ai fondi Bs Private Equity, Arca Impresa Gestioni sgr e Mps Venture, che lo avevano rilevato nel 2002 da Cereol, braccio alimentare dell’allora Montedison). Lo shopping del gruppo spagnolo è continuato nel 2008 con l’acquisto del marchio Bertolli dalla multinazionale anglo-olandese Unilever e dei brand Maya, Dante (che nel 2009 è tornato in mani italiane, venduto all’azienda campana Mataluni di Benevento) e San Giorgio. Un buon metodo per conquistare quote di mercato in un Paese che consuma 700 mila tonnellate di olio d’oliva e un ottimo biglietto da visita per presentarsi sui mercati internazionali con marchi prestigiosi come quelli italiani.
A destra, raccolta delle olive: per gli ulivi monumentali, è manuale. Sotto, masseria Brancati.
Ciola, presidente della Comunità degli oliveti secolari di Puglia - richiedono molta più manodopera». «Quello che fa lievitare i costi - aggiunge Corrado Rodio, olivicoltore di ulivi millenari della masseria Brancati, a Ostuni - è il rispetto per la pianta. Per Coltivare un uliveto raccogliere le olive usiamo secolare può costare fino pettini manuali, al posto di a tre volte di più. Ma con macchine scavallatrici, che tecniche naturali si può fanno risparmiare tempo, anche risparmiare ma rischiano di spezzare i rami. Per coprire tutti i costi vivi non posso vendere l’olio a meno di 8 euro al litro». Ma, con la concorrenza e con le basse quotazioni di mercato, non è facile e sono sempre di più gli olivicoltori che abbandonano gli uliveti, mettendo a repentaglio questo patrimonio.
Rispettare e risparmiare Per tutelare gli uliveti secolari pugliesi è nato il progetto Cent.Oli.Med. (www. lifecentolimed.iamb.it), finanziato dalla Comunità europea, gestito dall’Istituto Agronomico mediterraneo di Bari. «Proteggono una risorsa di biodiversità incredibile e si è dimostrato che sono una risorsa preziosa per contrastare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici», spiega Jenny Calabrese, dell’istituto |
2008
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775.783 1.160.959 1,5 5.182 220 4.200 19
775.783 1.156.289 1,5 5.182 220 4.200 19
607 3.440 2,9
518 3.200 2,9
1.291 65,6 1.169 49,5 -115
997 71,0 1.009 70,0 12
4.586 76,92 12,60
nd nd 12,50
STRUTTURA
OFFERTA
produzione2 (migliaia di tonnellate) fatturato industria olio d’oliva6 (mln €) incidenza sul fatturato industria agroalimentare6 (%) SCAMBI CON L’ESTERO2
Import (mln €) Import olio di oliva/consumi5 (% q.) Export2 (mln €) Export olio di oliva/produzione2 (% q.) saldo2 (mln €) DOMANDA
spesa annua delle famiglie7 (mln €) spesa annua pro capite8 (€/pro capite) consumo pro-capite apparente8 (lt)
1) Indagine SPA Istat 2007. 2) Istat e per il 2009 stima Ismea. 3) Stime Ismea su dati Federolio e Assitol. 4) Ismea-Nielsen. 5) Elaborazione Ismea su dati Istat e Coi. 6) Stima Ismea su dati Federalimentare. 7) Elaborazione Ismea su dati Istat e Nielsen. 8) Stima Ismea. 9) Ismea.
Agronomico mediterraneo. «Purtroppo però sono esposti a numerose minacce, che possono arrivare dagli stessi olivicoltori, che, per aumentare la produttività, adottano pratiche agricole aggressive». Scopo del progetto è anche insegnare loro tecniche agricole che rispettino le piante e l’ambiente e, contemporaneamente, permettano di risparmiare.
«Gestire un uliveto secolare – spiega Jenny Calabrese - può costare fino a tre volte di più di uno intensivo. Ma è possibile contenere i costi in modo naturale. Per esempio la potatura dell’ulivo può essere eseguita con interventi più frequenti (ogni 2 invece che ogni 4 anni): più leggeri per la pianta, più semplici e rapidi per gli operai, quindi più econo-
mici. Oppure l’inerbimento, una sorta di fertilizzante naturale, che riduce l’apporto di sostanze chimiche, la lavorazione del terreno e, quindi, la spesa. Basta mantenere l’erba alla base dell’ulivo e, con un’aratura superficiale, rovesciarla nel terreno per dare sostanze nutritive alla pianta: azoto, potassio, fosforo, come se fosse fertilizzato».
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La corruzione minaccia il prestigio e la credibilità delle istituzioni, inquina e distorce gravemente l’economia, sottrae risorse destinate al bene della comunità, corrode il senso civico e la stessa cultura democratica. Chiediamo al Presidente della Repubblica, quale garante della Costituzione e massimo rappresentante delle istituzioni, di intervenire affinché il governo e il Parlamento attuino quanto prima le direttive comunitarie in materia di lotta alla corruzione e le norme, introdotte con la legge Finanziaria del 2007, per la confisca e l’uso sociale dei beni sottratti ai corrotti. In questo modo anche l’Italia potrà finalmente fare ricorso a norme chiare, strumenti e sanzioni efficaci per contrastare davvero il diffondersi di questa autentica piaga sociale, economica e morale.
| economiasolidale | imprese contro ong | Rotoli di carta. Sono al centro dell’attacco a Greenpeace da parte di Cagp, che la accusa di erigere barriere commerciali per evitare l’importazione di carta da Cina e Indonesia.
Si chiama Cagp, Alleanza dei Consumatori per la prosperità globale: nasce per denunciare il complotto ambientalista contro il libero commercio tra Usa e Sud-Est asiatico. Ma dietro a questa sigla, si nascondono la Exxon, Philip Morris e gli ultrà del Tea Party.
Neocon all’attacco “Greenpeace e Wwf nemici dei poveri e dei consumatori” di Mauro Meggiolaro e Claudia Apel PARTITA IN SORDINA, senza grande clamore, alla fine di agosto del 2010. Un comunicato scarno, poco più di 350 parole, per dire che “è nata una nuova coalizione per difendere e promuovere i veri interessi dei consumatori”. Si chiama Consumers Alliance for Global Prosperity (Cagp, Alleanza dei consumatori per la prosperità globale). Un nome roboante che promette soluzioni di portata epocale per la salvezza del mondo. L’ennesimo gruppo che ci invita a rottamare la macchina o a fare la doccia fredda per frenare i cambiamenti climatici? No, niente di tutto questo. Anzi, secondo la Cagp, i veri nemici da combattere non sono le emissioni di CO2
È
o le perfide multinazionali. Al contrario: le minacce alla prosperità globale si annidano negli uffici dei gruppi ambientalisti e dei grandi sindacati. “Lupi protezionisti travestiti da agnelli verdi”, si legge sul sito della coalizione www.consumerprosperity.com. “Associazioni che si alleano con le grandi industrie dei Paesi sviluppati per bloccare il commercio con i Paesi asiatici in via di sviluppo”. Eccola la nuova teoria del complotto firmata Cagp: visto che le grandi società del settore manifatturiero nei Paesi sviluppati “non possono più invocare in modo esplicito politiche protezionistiche”, il protezionismo viene spinto con altri mezzi, grazie alle continue proteste di gruppi come Greenpeace, Wwf, Rainforest Action Network (Ran) e dei sindacati americani.
2011, L’ONU LO DEDICA ALLE FORESTE DAL 2000 OGNI ANNO il Pianeta ha visto diminuire il patrimonio forestale equivalente all’area di un Paese come il Costarica. Deforestazione e degrado delle foreste sono responsabili di circa il 17% delle emissioni di gas serra a livello globale. Per celebrare e favorire le azioni in favore della gestione sostenibile del patrimonio boschivo, l’Onu ha dichiarato il 2011 Anno Internazionale delle Foreste. www.un.org/forests
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Il complotto dietro la carta Un chiaro esempio della supposta connivenza tra ambientalisti, sindacati e grande industria viene riportato proprio nel comunicato di lancio di Cagp e riguarda il settore della carta: «I grandi produttori di carta americani, i grandi sindacati come gli United Steelworkers (metalmeccanici) e i movimenti ambientalisti radicali come Sierra Club e Ran sono al centro di un complotto per erigere barriere commerciali in modo da bloccare l’importazione di prodotti cartacei dalla Cina e dall’Indonesia», spiega Andrew Langer, portavoce di Cagp. «I consumatori sono i primi ad essere danneggiati da questa alleanza, perché il prezzo della carta aumenterà, e con esso il costo di quasi ogni bene o servizio nei paesi sviluppati». «Quello che ci preoccupa di più», continua Langer, «è che le grandi industrie della carta degli Stati Uniti, che sono sull’orlo del fallimento per il basso livello di competitività, saranno salvate con i soldi dei cittadini americani».
Longa manus dell’ultradestra Nonostante sia partita solo cinque mesi fa, la Consumers Alliance ha un sito internet ben strutturato, dove si possono leggere decine di news e scaricare almeno due rapporti: Environmental Protectionism. Greenpeace’s siege on the world’s poor (Il protezionismo ambientale.
L’assedio di Greenpeace ai poveri del mondo) e Empires of Collusion (Gli imperi della connivenza), dedicato alla collaborazione tra ambientalisti, sindacati e industria nella guerra contro i produttori di carta cinesi e indonesiani. Ma chi finanzia le pubblicazioni e le campagne di Cagp? Il sito internet principale e i siti collegati (come www.pulpwars.com) sono registrati anonimamente, ma sulla home di consumerprosperity.com si può leggere che i sostenitori sono l’Institute for Liberty e l’associazione Frontiers of Freedom. Fondato nel 2005, l’Institute for Liberty è diretto da Andrew Langer, che è anche portavoce di Cagp. Sul sito non ci sono notizie sull’identità dei fondatori, ma l’obiettivo del movimento sem- La connivenza tra Ong, sindacati, industrie dettaglianti nella produzione e vendita di carta bra chiaro: “Difendere in modo aggressivo i e(tratto dal rapporto Empires of Collusion, diritti degli individui per perseguire il sogno http://pulpwars.com/empires_of_collusion). americano”. Sul sito di Frontiers of Freedom è invece possibile risalire ai primi collegamenti casse di FoF oltre un milione di dollari), Philpolitici: il fondatore è infatti il Repubblicano lip Morris e i miliardari Charles e David KoMalcolm Wallop, senatore del Wyoming per ch, proprietaria di Koch Industries, un gruptre mandati fino al 1995, e coordinatore dello po industriale da 100 miliardi di ricavi staff di Steve Forbes nelle primarie del 1996 all’anno nei settori petrolifero, minerario, chimico, energetico e - guarda caso - nella (vinte da Bob Dole). Secondo ExxonSecrets, un progetto di ri- produzione di carta, attraverso la controllata cerca finanziato da Greenpeace sull’attività Georgia-Pacific Llc. Presente in Indonesia dal di lobbying del gigante petrolifero Exxon, dietro a Frontiers of Le campagne degli ecologisti, Freedom (FoF) ci sarebbero in secondo Cagp, sarebbero realtà la stessa Exxon (che dal un modo per riproporre nuove 2002 al 2007 ha versato nelle barriere protezionistiche. |
1982, Georgia-Pacific è stata recentemente costretta da Rainforest Action Network a pubblicare una policy per lo sfruttamento sostenibile delle foreste, che esclude l’acquisto di legname dalle foreste vergini indonesiane. Secondo il Center for Responsive Politics, istituto di ricerca di Washington che traccia i contributi dell’industria americana ai gruppi politici (www.opensecrets.org), tra il 2008 e il 2009 il Gruppo Koch avrebbe speso quasi 35 milioni di dollari in attività di lobbying, in gran parte a favore di gruppi e movimenti che negano gli impatti dei cambiamenti climatici.
La guerra è appena iniziata Ma i particolari sull’Alleanza dei Consumatori diventano ancora più interessanti se si analizza il profilo del suo portavoce, il funambolico Andrew Langer. Trentenne d’assalto, Langer, oltre ad essere presidente dell’Institute for Liberty, è stato coordinatore della campagna per Sarah Palin e John McCain nella costa orientale ed è più volte intervenuto ai comizi del Tea Party, il movimento populista ultraconservatore di cui la Palin è uno dei maggiori esponenti. Nonostante sia stato escluso, nel marzo del 2010, dalla corsa per diventare presidente dei Repubblicani nel Maryland, lo Stato nel quale vive, Langer non si è perso d’animo ed è saltato sul carro della Consumers Alliance. Un movimento molto più vicino ai ANNO 11 N.86
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| economiasolidale | grandi industriali repubblicani che ai consumatori o, come ha dichiarato David Axelrod, il più influente consigliere di Obama, «un movimento di base, al servizio dei cittadini, promosso da un gruppetto di petrolieri miliardari». Che però non deve essere sottovalutato. Se, come scrive il Washington Post, l’Institute for Liberty è passato dall’essere for-
nito di una casella postale in Virginia e 25 mila dollari di ricavi nel 2008 a un ufficio nel centro di Washington e un milione di dollari da spendere contro la riforma della sanità nel 2009, lo stesso potrebbe presto accadere per l’Alleanza dei Consumatori. La guerra degli ultraconservatori contro le Ong ambientaliste e i sindacati è solo all’inizio.
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SITI INTERNET www.consumerprosperity.com www.pulpwars.com www.instituteforliberty.org www.ff.org www.opensecrets.org www.exxonsecrets.org
La strana battaglia tra i paladini dei boschi Nelle sue classifiche delle aziende cartarie, Greenpeace premia solo chi è certificato Fsc. I “rivali” del Pefc accusano: «È puro marketing. Le due certificazioni si equivalgono». E intanto il 90% delle foreste non è ancora certificato. di Emanuele Isonio È UNA STRANA GUERRA in corso nel mondo dei difensori delle foreste. Il conflitto vede contrapposti Greenpeace e il Pefc, lo schema di certificazione forestale più diffuso al mondo. E, attorno a questo conflitto, aleggia più di un paradosso: i “buoni” discutono per chiarire chi tra loro sia più buono, l’ambiente non trae giovamento da questa battaglia, i consumatori responsabili sono disorientati e intanto gli sfruttatori del patrimonio boschivo mondiale continuano i loro affari.
C’
Le classifiche dello scandalo A metà novembre Greenpeace ha presen-
tato il rapporto “Foreste a rotoli”, la sua consueta classifica dedicata alle aziende produttrici di carta igienica e da cucina. Ai primi posti figurano i (pochi) marchi che usano carta riciclata o fibre vergini certificate secondo lo schema Fsc (Forest Stewardship Council), nato nel 1993 in Canada. Voti insufficienti a tutti gli altri (l’80% del totale), senza distinguere tra i produttori che utilizzano anch’essi fibre certificate (ma secondo lo schema Pefc, Programme for Endorsement of Forest Certification schemes, concorrente dell’Fsc) da quelli che invece si disinteressano dei temi ambientali. Discorso analogo (voti alti a chi usa la certificazione Fsc, stroncature a chi sceglie
«NESSUNO CERTIFICHI I CRIMINALI FORESTALI» C’È UN CASO CONCRETO in cui lo scontro tra Greenpeace e Pefc diventa frontale: i certificati concessi ad alcuni prodotti della multinazionale App (Asia Pulp and Paper), considerata da tutte le associazioni ambientaliste una delle peggiori minacce alle foreste torbiere indonesiane. «Fsc si è dissociata da App già nel 2007. Quando Pefc farà lo stesso?» domanda Chiara Campione di Greenpeace. Replica Antonio Brunori, del Pefc Italia: «È bene sapere che le piantagioni di App contestate dagli ambientalisti erano certificate secondo le regole Fsc e, solo dopo le proteste di Greenpeace e di altre Ong, il certificato fu revocato. Nel caso del Pefc, invece, sono stati concessi certificati per prodotti che contengono esclusivamente fibre provenienti da piantagioni certificate sostenibili in Cile e Canada, quindi senza alcun collegamento con le foreste indonesiane incriminate, nelle quali il Pefc non esiste. Se le piantagioni americane sono gestite secondo i criteri previsti dal nostro schema, perché dovremmo far ritirare il certificato?». Ma Greenpeace teme che quei certificati siano usati da App come green washing, per ripulire la propria immagine. «Se le certificazioni devono servire a garantire la sostenibilità di un’azienda agli occhi dei consumatori, non si possono certificare i prodotti dei criminali forestali. In nessun caso».
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Pefc) avviene con le altre due guide di Greenpeace: la classifica “Salvaforeste” rivolta alle case editrici e quella per le aziende di parquet. La cosa, ovviamente, non ha fatto piacere ai vertici del Pefc Italia, secondo i quali le ecoguide sarebbero «sordide operazioni di marketing: sono enormi spot pubblicitari in favore dello schema Fsc, nel quale l’associazione ambientalista è direttamente coinvolta, e delle aziende che lo scelgono», accusa il segretario generale Antonio Brunori. «Un mezzo per drogare il mercato e ricattare le imprese del settore, perché si fa credere che i prodotti a marchio Fsc siano più ecologici, non assegnando la sufficienza a nessuna azienda che, pur usando fibra sostenibile e certificata, non ha il marchio da loro promosso». «È vero: noi sosteniamo la certificazione Fsc», ammette Chiara Campione, dal 2007 responsabile della campagna Foreste di Greenpeace. «Ma non lo facciamo per interessi economici. Siamo suoi soci, come altre associazioni ambientaliste e prendiamo parte ai suoi tavoli di consultazione. Greenpeace non ha, però, mai avuto ruoli direttivi in Fsc». A onor del vero nel 2001 l’allora responsabile foreste di Greenpeace, Sergio Baffoni, era membro del comitato esecutivo all’atto della costituzione di Fsc Italia ed è stato per vari anni vicepresidente dell’organismo (la sua firma è in calce allo statuto).
La discussione tuttavia rischia di far perdere di vista la questione più rilevante: “spingere” un marchio di certificazione piuttosto che un altro è nell’interesse dell’ambiente? E aiuta davvero il mercato a scegliere politiche virtuose?
Fra i due litiganti... all’ambiente chi pensa?
LINK UTILI www.pefc.it www.fsc-italia.it www.deforestazionezero.it
anche Chiara Campione di Greenpeace ammette passi avanti dello schema concorrente: «Pefc negli anni ha fatto senza dubbio un buon lavoro per migliorare i propri standard ambientali. Ma deve fare altrettanto per tutelare i diritti sociali e ritirare i certificati ai criminali forestali come la multinazionale App (vedi BOX )».
«Ben vengano le discussioni tra soggetti già attivi nel mondo della certificazione, se ciò può aiutare ad avere standard più rigorosi», osserva Antonio Nicoletti, responsabile Aree protette di Legambiente. «Ma il vero tema su cui dibattere è come fare per aumentare il numero di realtà che scelgono la Aziende virtuose a disagio via della sostenibilità». Ad oggi, solo il 10% Chi proprio non accetta il modo di “dare delle foreste mondiali è certificato (2/3 se- i voti” da parte di Greenpeace sono le guendo lo schema Pefc e 1/3 quello Fsc). aziende che hanno scelto la via della cerIn effetti sono gli stessi ambientalisti a tificazione utilizzando lo schema “sgradispiegare che non necessariamente una car- to” all’associazione ambientalista. Alcuta prodotta da fibre Fsc è più sostenibile di ne, chiedendo l’anonimato, rivelano di una con materie prime Pefc e che ridurre il aver abbandonato lo schema Pefc in favodiscorso a una lotta tra i due schemi sareb- re dell’Fsc per essere “messi tra i bravi” e be sbagliato. «Conosco Greenpeace e sono per vendere di più grazie alla pubblicità di certo che non agisca per fini economici Greenpeace. Altri fanno capire che nella – commenta Massimiliano Rocco del Wwf scelta dello schema di certificazione ci soItalia – ma i criteri usati per stilare quelle no molti fattori in gioco: «Per alcuni proclassifiche sono opinabili. Anch’io ho un dotti utilizziamo fibre di cellulosa provegiudizio molto positivo dello schema Fsc, nienti da Svezia e Finlandia, dove la ma non mi sento di criticare a priori il Pefc, materia prima certificata Fsc praticamenche, soprattutto per il legname e le fibre prodotte nei Paesi oc- Chiedendo l’anonimato, alcune cidentali, dove gli standard so- aziende rivelano di essere ciali sono tutelati, offre ade- passate allo schema Fsc guate garanzie». D’altro canto, per essere “messe tra i bravi” |
te non esiste», spiega Riccardo Balducci, coordinatore ambientale del secondo produttore europeo di carta igienica, la Sofidel, azienda certificata da entrambi gli organismi e proprietaria del marchio Regina. «Che cosa dovremmo fare? Cambiare i nostri fornitori perché in Nord Europa sono certificati Pefc e importare la fibra dal lontano Sud America dove è prevalente lo schema Fsc? Queste campagne danno un’immagine sbagliata delle aziende. E sviano i pochi consumatori attenti, che sentono gli ambientalisti dire che uno schema di certificazione è meglio dell’altro, mentre le istituzioni pubbliche li ritengono ugualmente credibili». Tutti gli Stati europei e gli organismi sovranazionali giudicano infatti entrambe le certificazioni in grado di assicurare la corretta gestione del patrimonio boschivo. Il Parlamento europeo, già nel 2006, aveva approvato una risoluzione che dichiarava Pefc ed Fsc “egualmente adatti a tale scopo” e ne caldeggiava il mutuo riconoscimento. Non a caso, nei bandi di gara pubblici per la fornitura di prodotti cartari, non si danno punteggi diversi a seconda del tipo di certificazione scelta. «Per le istituzioni possono pure essere equivalenti. Noi la pensiamo diversamente e offriamo il nostro punto di vista e le nostre classifiche», commenta Chiara Campione. «D’altra parte, se ci appiattissimo sulle posizioni dei governi, che motivo avrebbe Greenpeace di esistere?». Ai consumatori (responsabili) l’ultima parola.
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Occidente a rischio default
I nuovi panda al servizio di Pechino dal cuore della finanza londinese Luca Martino
INO ALLA CADUTA DEL MURO DI BERLINO, ultimo baluardo geopolitico che tutelava l’evoluzione del capitalismo dai rischi di un’espansione senza controllo, nel monitorare le dinamiche dei mercati di scambio delle merci e dei capitali, la politica economica occidentale si serviva di assiomi fondamentali basilari: la legge della domanda e dell’offerta, la teoria del monetarismo, il principio della struttura del capitale. A partire dall’ultima decade del secolo scorso la tecnologia, la globalizzazione e il primato, ormai consolidato, della finanza sull’economia reale hanno reso molto più instabile il raccordo tra teoria e prassi nelle analisi economico-finanziarie: il trading automatizzato, la volatilità nella domanda di moneta, tipica dell’odierno mercato globale, lo sviluppo esponenziale dei mercati secondari hanno significativamente ridimensionato molte correlazioni sulle quali si era basata da sempre la logica dello sviluppo economico, almeno in Occidente. Gli effetti di questo mutamento radicale, nel quale la teoria non riesce più né a spiegare né a condizionare la prassi, sono sotto gli occhi di tutti: i casinò banking di mezzo mondo hanno rischiato di chiudere, trascinando sull’orlo del baratro decine di milioni di persone, che hanno poi lasciato cadere aggrappandosi alle cime di salvataggio lanciate loro dai rispettivi governi, che, uniti ieri nel salvare tutto e il contrario di tutto, sono divisi oggi sul come affrontare gli effetti, a volte disastrosi, dei loro piani di sostegno. L’assenza di un coordinamento globale negli interventi di politica economica ha determinato nel mondo situazioni complesse e di difficile risoluzione. L’Occidente appare oggi davvero a rischio default: lo dicono le condizioni sociali di gran parte della popolazione e i dati di bilancio degli Usa e di gran parte dell’Ue: Se una qualsiasi azienda se un’azienda, nel richiedere un credito bancario, presentasse indicatori chiedesse un prestito di bilancio anche lontanamente comparabili a quelli di qualsiasi cancelleria con indicatori di bilancio occidentale, vedrebbe disattesa la propria richiesta e i creditori non simili a una cancelleria dovrebbero procedere con istanze di liquidazione. Eppure anche oggi, che occidentale le verrebbe il ministro del Tesoro americano Geithner parla di rischio default, il rating subito rifiutato degli Stati Uniti rimane il più alto, lo stesso di dieci anni fa quando il petrolio costava meno di dieci dollari al barile, mezzo miliardo di indiani viveva con meno di un dollaro al giorno e i tedeschi pagavano quasi due marchi per un biglietto verde. Ma, al di là del giudizio di rating, la realtà è che gli Stati Uniti non falliranno, nonostante qualche fanatico del Tea Party la prospetti come l’unica soluzione possibile per una vera ripresa, anche morale, del Paese. E questo per tre ragioni. Primo: su quel debito, contabilizzato centralmente dal Tesoro, ma spalmato a livello federale, ancora devono essere versati dai singoli Stati e da centinaia di aziende decine di anni di interessi passivi (quasi 81 lo scorso anno i miliardi di dollari entrati nelle casse della Fed). Secondo: gli Usa continuano a stampare una moneta usata da mezzo Pianeta (Africa, Sudamerica e Medioriente) e venduta all’altra metà (India, ma, soprattutto, Cina). La terza ragione, la principale, sta nelle garanzie fornite da Pechino, che non intende (per ora) far fallire Washington, ma solo strapparle il primato di protagonista del nuovo ordine politico-economico globale. Nei cortili delle cancellerie occidentali, dove prima arrivavano da Pechino rarissimi panda giganti, oggi sbarcano tonnellate di dollari gialli e, finché Pechino non avrà altri mezzi per consolidare il suo peso politico verso l’Occidente, le esternazioni di Geithner servono in realtà solo agli Stati Uniti per mantenere basso il dollaro nella assurda guerra delle valute di questi anni e scaricare quasi esclusivamente sul vecchio continente tutto il peso del suo squilibrio commerciale, particolarmente gravoso, per l’appunto, nei confronti di Pechino. todebate@gmail.com
F
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Haiti: un anno dopo il sisma l’emergenza non è finita >58 Dopo Cancún: il conto salato del clima rovente >62 Nel piccolo Benin la tratta degli schiavi esiste ancora >65
internazionale IN AUSTRALIA UNA BANDA LARGA DA PRIMATO
GIACIMENTI DI GAS NEL MEDITERRANEO ORIENTALE IN ACQUE LIBANESI, PALESTINESI E ISRAELIANE
IL LAOS COMUNISTA INAUGURA LA BORSA
MURO/1 ANTI IMMIGRATI TRA GRECIA E TURCHIA
MURO/2 OBAMA ANNUNCIA L’ADDIO AL VERGOGNOSO PROGETTO DELLA FRONTIERA MESSICANA
LA BP RESPONSABILE DELLA MAREA NERA
«Come le reti ferroviarie hanno stimolato la trasformazione economica del XIX secolo e le reti elettriche quella del XX secolo, la banda larga ad alta velocità trasformerà le economie nei prossimi decenni». Sono le parole del Primo ministro australiano Julia Gillard, a commento del piano nazionale australiano per dotare il 93% delle abitazioni e delle imprese della “massa continentale” della fibra ottica. Il restante 7% verrà coperto da tecnologie wireless e satellitari. La rete richiederà un investimento stimato di 40 miliardi di dollari e verrà realizzata da un’azienda statale, il National broadband network, in collaborazione con il settore privato. Prysmian ha acquisito una prima commessa per la costruzione e gestione della nuova rete nazionale a banda larga, per la fornitura di cavi in fibra ottica a elevata tecnologia. L’Ocse ha calcolato che i risparmi dovuti ad applicazioni in banda larga potrebbero consentire di ripagare la rete in fibra entro un decennio. Il Primo ministro ha anche aggiunto: «Le stime dell’incremento del Pil dovuto alla banda larga per l’intera Australia, variano dall’1,4% per i primi cinque anni al 6% entro un decennio».
In un’area già densa di tensioni come quella del Mediterraneo orientale la scoperta di ingenti giacimenti off shore di gas di fronte alle coste libanesi, palestinesi e israeliane rischia di trasformarsi in una vera e propria bomba. In questa parte del Mediterraneo chiamata Bacino di Levante, l’agenzia governativa statunitense U.S. Geological Survey stima che vi siano riserve di gas per 3.500 miliardi di metri cubi e riserve di petrolio per 1,7 miliardi di barili. Secondo i rilievi eseguiti invece dalla Noble Energy, compagnia petrolifera texana, il principale giacimento di gas, il Leviathan, avrebbe una consistenza di almeno ottomila miliardi di metri cubi. Sempre secondo la Noble Energy in tutto il Bacino di Levante ci sarebbero 227 mila miliardi di metri cubi di gas. Una riserva che potrebbe rimettere in discussione anche il tracciato dei due gasdotti in costruzione: il Nabucco e il South Stream. Sul problema del confine marino tra Libano e Israele è già cominciata una serie di schermaglie non molto diplomatiche. Ma tra i due litiganti chi rischia di restare del tutto fuori è la Palestina: secondo a carta redatta dalla U.S. Geological Survey risulta che la maggior parte dei giacimenti di gas si trova nelle acque costiere e nel territorio di Gaza. L’Autorità palestinese ne ha affidato lo sfruttamento principalmente alla compagnia British Gas, che ha perforato due pozzi, Gaza Marine-1 e Gaza Marine-2, mai entrati in funzione. Il governo israeliano ha prima respinto tutte le proposte, presentate dall’Autorità palestinese e dalla British Gas, di esportare il gas in Israele ed Egitto. Nel corso del 2008, pochi mesi prima del lancio dell’operazione Piombo fuso su Gaza, ha aperto una trattativa diretta con la compagnia britannica, che detiene la maggior parte dei diritti di sfruttamento, per arrivare a un accordo che escluda i palestinesi.
A metà gennaio la Borsa della Repubblica popolare democratica del Laos, il piccolo Stato comunista del Sudest asiatico, ha iniziato le contrattazioni nella capitale Vientiane. Le prime matricole sono state una banca, la Banque pour le Commerce Exterieur, e una società elettrica, la Edl Generation, che hanno concluso con successo il collocamento dei titoli. Il Laos ha circa sette milioni di abitanti: il 40% della popolazione ha un’età inferiore ai 15 anni e guadagna poco più di due dollari al giorno. Il Laos è retto da un governo comunista dal 1975 e ha iniziato le riforme del mercato nel 1980. Le reazioni internazionali nei confronti della Borsa di Ventiane sono state positive. Il Laos è ricco di risorse naturali e Mark Mobius, economista statunitense e presidente del Templeton Emerging Markets Group, in un’intervista a Bloomberg ha affermato che nei prossimi anni la crescita del Laos supererà il 7%, attestandosi sui livelli di altri Paesi emergenti, come Cina e Vietnam. La Cina già da tempo sta investendo nelle aree di confine del Laos costruendo alberghi e casinò che attirano turisti dalla Cina e dalla Thailandia dove il gioco d’azzardo è illegale.
Christos Papoutsis, ministro greco alla Protezione dei cittadini, ha annunciato in un’intervista alla Athens News Agency (Ana) che la Grecia sta progettando la «costruzione di una rete divisoria ai confini con la Turchia per impedire l’ingresso di immigrati illegali». La struttura presa a modello è quella del cosiddetto “muro della vergogna” realizzato in California, Arizona, Nuovo Messico e Texas lungo la frontiera con il Messico. Anche la barriera greco-turca sarà dotata di sofisticati sensori elettronici e strumenti per la visione notturna. Uomini armati di tutto punto presidieranno 24 ore al giorno il muro di lamiere e filo spinato con l’ausilio di veicoli terrestri ed elicotteri. Sul muro lungo il confine messicano l’amministrazione Obama recentemente ha cominciato a fare marcia indietro, dopo averne constatato il costo esorbitante e l’inefficacia. Per chi riuscirà a superare la nuova trincea militare tra la “civile” Europa e l’ignoto universo del Sud ci sarà la deportazione in uno dei tanti campi-lager che popolano i centri di frontiera dell’Unione. Il confine tra Grecia e Turchia viene attraversato da immigrati provenienti dall’Asia e dall’Africa, soprattutto in seguito agli accordi di rimpatrio sottoscritti da Spagna e Italia con diversi Paesi africani.
Gli Stati Uniti hanno annunciato un cambiamento di rotta nella sorveglianza della frontiera con il Messico: il progetto SBInet, lanciato nel 2005 da George W. Bush e gestito dalla Boeing, prevedeva di attrezzare i 3.200 chilometri del confine con telecamere, radar e sensori per la rilevazione di immigrati, contrabbandieri e trafficanti di droga. Il Sistema SBInet si è rivelato tanto inefficace, quanto costoso: la spesa totale avrebbe dovuto essere di 7 miliardi di dollari, ma solo per coprire 80 chilometri ne è stato speso 1. Purtroppo la soluzione alternativa che è stata prospettata non si presenta nè economica, nè ragionevole. Verranno infatti adottati dei droni, gli aerei radiocomandati privi di pilota. La spesa totale stimata è di 750 milioni di dollari. Durante la presidenza di George W. Bush la situazione degli immigranti è costantemente peggiorata, a seguito delle violentissime campagne condotte contro di loro. Il muro di droni contribuirà probabilmente più a far crescere il prezzo che gli immigranti devono pagare ai trafficanti di uomini per passare il confine, che a constrastare il traffico di droga. Ogni anno, secondo le statistiche della Commissione per i diritti umani, almeno 20 mila immigranti vengono sequestrati dai cartelli criminali e obbligati a pagare dei riscatti, oltre alle quote per passare la frontiera. Il Messico costruirà a sua volta un muro alla frontiera con il Guatemala.
“Errori significativi e giudizi sbagliati” interni all’industria del petrolio e al governo americano portarono alla catastrofe ecologica del Golfo del Messico. Questa la conclusione della Commissione d’inchiesta istituita dalla Casa Bianca sulle cause dell’incidente dello scorso aprile. Nel suo rapporto finale la commissione di esperti afferma che furono sistematicamente commessi errori dalla Bp e dagli altri protagonisti delle attività di prospezione petrolifera oltre che da quanti all’interno del governo americano sovrintendevano a queste operazioni. «Siamo arrivati alla conclusione che questi errori causarono mancanze importanti a livello di gestione», ha affermato l’ex senatore Bob Graham copresidente della Commissione. Gli esperti chiedono una normativa più severa sulle trivellazioni offshore negli Usa e l’istituzione di un’Agenzia indipendente per la sicurezza dell’attività estrattiva per evitare che nel futuro si ripetano disastri analoghi. Un rapporto immediatamente attaccato dalla lobby dei petrolieri americani, l’American Petroleum Institute, che ha fatto appello ai Repubblicani affinché si oppongano al passaggio della nuova normativa, perché maggiore sicurezza vorrebbe dire minore produzione.
Da questo numero gli @ppuntamenti saranno sul sito www.valori.it | 56 | valori |
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Haiti
IL CAMBIAMENTO ATTESO NON ARRIVA CON IL VOTO
L’emergenza non è finita
Parc Bobi, Port au Prince: dopo il sisma gli haitiani hanno costruito ripari di fortuna. In questi campi, che in base ai piani di coordinamento degli aiuti umanitari, avrebbero dovuto essere smantellati da mesi, tutte le attività si svolgono all’aperto a causa del caldo. Le foto del servizio sono di Sara Milanese.
A più di un anno dal sisma Haiti dipende dagli aiuti internazionali per la prima emergenza: acqua, cibo e assistenza sanitaria di base. Reportage da Haiti di Sara Milanese VEDERLO DALL’ALTO
sì costruiti si mescola anche qualche tenda, dono delle Organizzazioni non governative (Ong). Hanno un aspetto decisamente più solido, ma durante la stagione delle piogge si allagano esattamente come tutti gli altri ripari. Parc Bobi non è una tendopoli organizzata, ma qui vive qualche migliaio di persone: è un campo spontaneo cresciuto velocemente subito dopo il terremoto. Le famiglie hanno abbandonato in fretta a furia
Parc Bobi, uno dei campi informali più grandi di Port au Prince, la capitale di Haiti, è una distesa di colore blu, quasi compatta: sono i rifugi dei terremotati, ammassati l’uno all’altro, costruiti con teli di plastica sorretti da pali. In alcuni casi l’apertura è una porta in lamiera, che può essere chiusa con un lucchetto e su cui a volte viene segnato un Port au Prince è ancora numero con il gesso, nel ten- un unico, grande accampamento. tativo di dare un ordine alI bambini vanno a scuola, ma l’accampamento. Ai rifugi co- gli adulti non hanno un impiego
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le case pericolanti e dalla vicina bidonville di Citè Soleil si sono accampate qui.
Tutto da costruire, ma manca il lavoro Sotto il sole dei Caraibi i rifugi del campo diventano dei forni: larghi in media 4 metri per 5, dentro devono starci intere famiglie di 6, 7, anche 8 persone. Ma durante le ore del giorno fa così caldo che sotto i teli non si riesce nemmeno a respirare. Per questo gli haitiani, che da gennaio sono accampati qui, vivono di fatto all’aperto: cucinano e mangiano cercando un po’ di ombra sedendosi tra i tiranti dei rifugi, si lavano vicino alle latrine costrui-
te da Medici senza Frontiere. Periodicamente le organizzazioni umanitarie portano cibo e riforniscono di acqua le grandi cisterne da cui tutti attingono. I bambini riescono ad andare a scuola, ma gli adulti non lavorano. I terremotati fanno parte di quel 70% di haitiani che non ha un impiego. Dal 12 gennaio 2010, di fatto dipendono dagli aiuti umanitari. A più di un anno dal terremoto, la cooperazione è ancora massicciamente impegnata nella prima emergenza: fornire acqua, cibo e assistenza sanitaria di base.
Il provvisorio permanente Ma è tutta la capitale ad essere ancora un
L’8 DICEMBRE SCORSO Haiti si è svegliata bloccata: i manifestanti avevano eretto barricate e chiuso tutte le principali vie di accesso alle città, con pietre, mattoni, tronchi, pneumatici incendiati. Manifestazioni di piazza nei maggiori centri e tutti gli aeroporti del Paese chiusi per giorni. Per una settimana il Paese è stato bloccato dalla reazione istintiva e aggressiva alla pubblicazione, la sera del 7 dicembre, dei risultati parziali delle elezioni del 28 novembre. Contraddicendo anche le previsioni degli osservatori internazionali, i due candidati a passare al secondo turno sono risultati essere Mirlande Manigat, con il 31,37% dei voti, e Jude Celestin, l’uomo del presidente in carica, con il 22,48%. Se era scontata la vittoria della Manigat, candidata della borghesia, che incarna il cambiamento possibile, rimasta in testa ai sondaggi per tutta la campagna elettorale, quella di Celestin, simbolo della continuità con il potere, sostenuto dal presidente in carica René Préval, accusato di brogli e di compravendita di voti, era esattamente Solo un quarto ciò che la gente non voleva. Grande escluso dalla degli aventi diritto corsa verso il secondo turno, solo per un pugno ha votato: tra di voti, Michel Martelly, cantante che ha tentato frodi, brogli la politica, forte del sostegno di tantissimi giovani e difficoltà reali, che in lui vedono il nuovo. Per protestare di certo le elezioni i motivi non mancano: la disorganizzazione è stato di novembre sono il leitmotiv di queste elezioni. In parte per insormontabili state una farsa problemi logistici, in parte per evidente incapacità: le campagne di informazione sulle modalità di voto e di registrazione sono state davvero insufficienti. E migliaia di haitiani non hanno quindi potuto votare. Non ci sono dati ufficiali, ma dal conteggio dei voti risulta che solo uno dei 4 milioni di aventi diritto (circa la metà della popolazione) ha votato. Le accuse di brogli e di frodi elettorali sono state documentate, ma la richiesta di ripetere il voto è caduta nel vuoto: l’Onu ha investito troppi soldi in queste elezioni, annullarle sarebbe un’ammissione di incapacità e porterebbe solo nuovo caos. Dopo le elezioni di novembre e le proteste, una commissione indipendente dell’Oas (Organizzazione Stati Americani) è incaricata di indagare sulle accuse di brogli. Il rapporto, consegnato a Préval in gennaio, propone l’esclusione di Celestin dal ballottaggio. Difficilmente il calendario che prevede l’insediamento del nuovo presidente a febbraio verrà rispettato. E l’arrivo di Jean-Claude Duvalier, sanguinario dittatore di Haiti dal 1971 al 1986, fa pensare al peggio. Sara Milanese
| internazionale | se, ma anche chi se ne va, spesso si fa trovare al campo nei giorni della distribuzione di cibo. Alcuni nuclei famigliari sono registrati in 2, anche 3 campi; i loro rifugi sono ormai vuoti, o crollati, ma loro continuano a figurare nei censimenti. Anche per questo, fare una stima del numero effettivo degli abitanti dei campi come Parc Bobi diventa davvero difficile.
unico, grande accampamento: ogni spazio disponibile, piazze, parchi, piazzole, aree verdi tra un edificio e l’altro, è occupato da ripari di fortuna. Sono insediamenti informali spuntati come funghi subito dopo il sisma. In base ai piani di coordinamento degli aiuti umanitari, avrebbero dovuto essere smantellati da mesi: i terremotati dovevano essere trasferiti nelle tendopoli organizzate nelle aree fuori dalla città. Ma nessuno ha voluto spostarsi: nei campi hanno trovato alcune sicurezze, a partire dagli aiuti. Molti avrebbero potuto tornare da tempo a quel che resta delle loro ca-
Colera d’importazione Smantellare i campi è da mesi una delle priorità nell’agenda della cooperazione. La conferma di quanto sia importante agi-
L’economia degli aiuti L’economia di Haiti è azzerata e dipende dagli aiuti: le Ong rappresentano una delle principali fonti di lavoro nell’isola. di Sara Milanese
FONTE: CIA, WORLD FACTBOOK 2010
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STORIA LA PRIMA REPUBBLICA NERA HAITI OTTIENE L’INDIPENDENZA DALLA FRANCIA sotto la guida di Jean Jacques Dessalines nel 1804; è la prima repubblica nera, e subito supporta l’abolizionismo, appoggiando anche la rivoluzione di Simon Bolivar. La reazione delle potenze coloniali fu di formare una sorta di cordone sanitario intorno all’isola per evitare il propagarsi della rivolta degli schiavi. Haiti da allora conosce solo instabilità, colpi di Stato e dittature. Quella di François Duvalier, detto “Papa Doc”, dal 1957 al 1971 è tra le più cruente, assieme a quella del figlio, Jean Claude Duvalier, “Baby Doc”, che succede al padre, ma è costretto nel 1986 alla fuga da una rivolta popolare. Alle elezioni legislative del 1988 partecipa però solo il 10% della popolazione, il presidente eletto viene deposto e si susseguono una serie di giunte militari fino all’insediamento di Jean Bertrand Aristide, rieletto nel 1990. L’anno dopo un golpe militare lo costringe all’esilio, ma nel 1994 rientra ad Haiti, con il sostegno degli Stati Uniti. Nel 1996, le urne premiano Réné Préval, uomo di Aristide: le elezioni del 2000 riportano alla presidenza Aristide. Il risultato elettorale viene duramente contestato dall’opposizione e inizia un periodo di scontri, con una deriva sempre più autoritaria. Nel 2004 Aristide fugge da Haiti, e inizia la Minustah, la missione di stabilizzazione dell’Onu. Due anni dopo, nel 2006, la seconda presidenza di Préval.
IAO! TUTTO BENE?” Benoit, 12 SCHEDA anni, risponde così al mio bonsoir. Ha imparato l’itaNome: Repubblica di Haiti Indipendenza: liano a Milano: è uno dei bambini che 1° gennaio 1804, dalla Francia hanno beneficiato del progetto della CroPopolazione: 9.648.924 ce Rossa per Haiti. Dallo scorso febbraio, Età media: 21,1 anni fino ad agosto è stato ospite in Italia, con Mortalità infantile: 77,26 morti/1.000 nati la sua famiglia: papà, mamma, 3 fratelli. Aspettativa di vita: 29,93 anni Con loro altri 130 haitiani, la maggior Popolazione sotto la soglia della parte minori, rimasti senza casa o bisopovertà: 80% gnosi di cure mediche. E ora Benoit vive Tasso di alfabetizzazione tra i più grandi di 15 anni: 52,9% con la sua famiglia all’interno della MisPil pro capite: 1.200$ (stime 2009) sione scalabriniana di Croix de Bouquet, a pochi chilometri dalla capitale, va a scuola e mangia tre volte al giorno, esat- Missione. E che, a differenza della famiglia tamente come un bambino italiano. Ad di Benoit, non sono stati baciati dalla forun anno dal sisma i suoi genitori conti- tuna. Haiti è, infatti, il Paese più povero nuano a beneficiare degli aiuti della Cro- dell’emisfero occidentale, con l’80% della ce Rossa, che paga alla Missione tutte le popolazione sotto la soglia della povertà. spese di soggiorno in attesa che venga co- Dopo 200 anni di dittature e instabilità postruita la loro nuova casa. Non lavorano, litica e le recenti catastrofi naturali, come non cucinano, non si preoccupano del le alluvioni nel 2004, o il terremoto del futuro. È il “rientro protetto” che la Cro- 2010, la dipendenza degli aiuti rischia di ce rossa ha deciso per loro. Una sorte completamente Haiti è il Paese più povero diversa da quella di migliaia di dell’emisfero occidentale, con altri haitiani, che si trovano l’80% della popolazione sotto appena fuori dai cancelli della la soglia della povertà
“C
re al più presto è arrivata con lo scoppio del colera, a fine ottobre. Le drammatiche condizioni igieniche dei campi hanno permesso al contagio di diffondersi con una velocità incredibile. In un mese il colera ha raggiunto tutte le regioni e le città di Haiti, aggredendo facilmente un popolo che soffre di denutrizione, e non ha difese immunitarie contro il virus. In base ai dati ufficiali, in poco più di 3 mesi si contano almeno 3000 vittime. Dati sottostimati: il numero reale, afferma l’Organizzazione mondiale della Sanità, potrebbe essere 4 volte superiore.
essere il nuovo male di Haiti. Paese in cui le contraddizioni tipiche del mondo della cooperazione, legate soprattutto ai costi del mantenere in moto la macchina degli aiuti, si sommano alle difficoltà dettate dalla particolare situazione.
I costi della cooperazione Dichiarato in emergenza cronica nel 2004, e da allora destinatario di attenzioni particolari da parte di tutte le agenzie dell’Onu, Haiti da dopo il terremoto ha visto aumentare le Ong presenti in maniera esponenziale, attirate dai fondi
In attesa che vengano costruite le nuove case, la Croce Rossa eroga gli aiuti alle Missioni religiose, dove i bambini vanno a scuola e le famiglie sono assistite per tutto.
Manca la capacità di coordinamento I miliardi di dollari destinati agli aiuti umanitari sono stati spesi subito dopo il terremoto. Ma quelli destinati alla ricostruzione sono ancora nelle casse dei Paesi donatori. Questo perchè da parte del governo e degli enti haitiani manca la capacità (o la volontà) di visionare, scegliere, preparare e approvare i progetti che devono essere finanziati. Ma più che di ricostruzione, per Haiti, ed in particolare per Port au Prince, si dovrebbe parlare di costruzione: «Rimettere in funzione strutture danneggiate è un conto, ma qui dobbiamo costruire qualcosa che non c’è mai stato prima» racconta Fiammetta Cappellini, responsabile per Haiti dell’Ong italiana Avsi, presente nel Paese da più di 10 anni. «Le strutture sanitarie del post terremoto sono precarie, certo. Ma nella capitale, come nelle altre città, non esiste né una rete fognaria, nè un acquedotto: stiamo ancora distribuen-
messi a disposizione per gli aiuti. Solo per l’Italia ne sono arrivate 9. Ma per imparare a muoversi a Port au Prince c’è bisogno di tempo. Prima di essere operative le nuove Ong hanno impiegato mesi preziosi. Per essere efficaci, ancora di più. Per gli haitiani, però, in fondo, sono una manna: rappresentano la maggiore possibilità di impiego. I cooperanti hanno bisogno di autisti, traduttori, guardiani, donne delle puliI miliardi destinati alla zie, cuoche, qualche volta an- ricostruzione sono ancora nelle che di segretarie. Pagano bene casse dei Paesi donatori, e regolarmente. aspettando il via ai progetti
do acqua con le autocisterne. Lo sgombero delle macerie è lento, perché non c’è spazio nelle strade della città per far passare i mezzi adeguati».
Gli appalti a imprese Usa E in questa costruzione, che fatica a partire, il grande escluso è l’impresa haitiana. Nonostante la produzione di mattoni sia una delle poche attività fiorenti nel Paese, la ricostruzione rischia di essere la grande occasione mancata, sia per l’impiego che per l’industria. Una recente indagine dell’agenzia di stampa “Prensa Latina” afferma che per ogni 100 dollari di aiuti stranieri destinati ad Haiti, le imprese locali ne ricevono solo 1,60. Dei 1.583 contratti che gli Usa hanno stipulato per Haiti, per un totale di 267 milioni di dollari, soltanto 20 sono stati affidati ad imprese haitiane. Sembra proprio che l’Usaid, Agenzia Usa per l’assistenza internazionale, non abbia bandito gare d’appalto aperte, ufficialmente per evitare la possibile appropriazione indebita di fondi da parte delle imprese haitiane. E gli appalti sono andati quasi tutti ad imprese statunitensi.
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Dopo Cancún Il conto salato del clima rovente
LINEA MORBIDA NEL DOCUMENTO FINALE
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FINANZA PER IL CLIMA Si ribadisce, come nell’accordo di Copenhagen, che i fondi saranno 30 miliardi entro il 2012 e 100 entro il 2020 (e non almeno 600 come richiesto da più parti). Non ci sono specifiche sulla provenienza dei fondi, in particolare al punto 99 chiarisce che “i fondi destinati ai Paesi in via di sviluppo potrebbero provenire da un’ampia varietà di fonti, pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, incluse fonti alternative”. Il rischio è che si dirottino alcuni fondi già stanziati (leggi Aiuto pubblico allo sviluppo) ribattezzandoli altrimenti. O che vengano mobilizzati come prestiti. Al punto 107 invita la Banca Mondiale come interim trustee del Green climate fund.
Molti i punti lasciati indeterminati alla Conferenza sul clima dello scorso dicembre: il Trattato di Kyoto scade nel 2012. Per ora è stato prorogato: il resto è stato rinviato a Durban, alla fine del 2011.
I INCONTRERANNO A TUNISI, a metà marzo, per mettere in campo un programma di investimenti per combattere il cambiamento climatico. Oltre 150 invitati in rappresentanza di banche multilaterali per lo sviluppo, governi e istituzioni internazionali stanno rispondendo all’appello dell’African Development Bank per un incontro, quanto prima, del Forum 2011 sul Climate Investment Fund. Sì, perché se non l’aveste capito, il cambiamento climatico non è solo questione di iceberg che si sciolgono, ma anche di assegni che si staccano. E non per niente a Cancún, all’ultima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico, tra i passi avanti sostanziali c’è proprio la governance del Fondo finanziario. Attenzione, però, non si è fatta chiarezza sulle fonti di finanziamento o sul reale stanziamento (e non “mobilizzazione”) di risorse adeguate, ma su chi avrà voce in capitolo nella gestione dei fondi. E la Banca Mondiale ha trovato il suo posto al sole.
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Le assicurazioni e i rischi del riscaldamento globale
volatilità delle Borse è troppo alto, considerata la sempre maggiore imprevedibilità di un sistema frattale come l’atmosfera. Il conto era stato messo sul tavolo: 600 miliardi di dollari entro il 2010, provenienza la più varia. E non si può dire che sia stato fatto senza l’oste, visto che corrisponde alla richiesta che i Paesi in via di sviluppo fecero a Copenhagen per combattere il cambiamento climatico. Ma anche a Cancún, come del resto a Copenhagen, si sono fatte orecchie da mercante ipotizzando una mobilizzazione nel breve termine di 30 miliardi di dollari entro il 2012 che possano arrivare a 100 entro il 2020. Sarà per questo che Munich Re, una delle maggiori compagnie assicurative al mondo, ha messo in guardia dai rischi del riscaldamento globale in un comunicato stampa diffuso nei primi giorni del 2011, mostrando come il 2010 sia stato l’anno principe delle devastazioni naturali: oltre 950 eventi, nove decimi dei quali legati a fenomeni atmosferici come alluvioni, tornado e ondate di calore. Solo per l’alluvione in Pakistan si sono registrate perdite per 9,5 miliardi di dollari, in Europa a causa della tempesta invernale Xynthia, che ha colpito soprattutto Spagna e Francia, le perdite sono state di più di 6 miliardi di dollari,
Già poche settimane prima della Conferenza messicana più di 150 fondi d’investimento, pubbli- L’impatto più pesante dei ci e privati, avevano spinto per cambiamenti climatici lo subiranno una risoluzione adeguata sui l’agricoltura e le comunità che fondi da stanziare. Il rischio di di questa vivono o sopravvivono | 62 | valori |
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PICCO DI EMISSIONI, CONCENTRAZIONE DI CO2 E TEMPERATURA MASSIMA Sparisce ogni riferimento al 2015, sostituito con “as soon as possible”, così come il riferimento a 350 ppm di CO2 e si conferma l’aumento massimo di temperatura dall’era preindustriale entro i 2°C. Senza però sottolineare che picco, concentrazione atmosferica e temperatura sono intimamente collegati.
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ALBERTO ZORATTI
di Alberto Zoratti
La diplomatica messicana Patricia Espinosa, presidente della Conferenza Onu di Cancún sui cambiamenti climatici, durante i lavori.
mentre per le temperature eccezionalmente alte in Russia si sono registrate oltre 56 mila morti. Una tragedia umana che si somma a un bilancio economico a rischio di caduta libera.
Produzione agricola a picco E se cadono i bilanci, che spesso (non sempre) sono collegati a produzioni o scambio di beni, figuriamoci le produzioni sottostanti. Il Tea Board of India, organismo governativo collegato al ministero del Commercio indiano, ha puntato la lente sulla regione dell’Assam, dove oltre 320 mila ettari di terreno producono la maggioranza del the indiano. L’ingrandi-
mento che ne fa è quanto meno sconcer- flessione interessante non solo per i decitante: dalle 512 mila tonnellate prodotte sion-maker o per le grandi industrie, ma annel 2007, si è passati a 487 mila nel 2008 che per chi sviluppa filiere equosolidali fino alle 445 mila del 2009. E tutto questo pensando possano bastare a se stesse. Le variazioni nella produzione del the nonostante sia cresciuta l’area coltivata. La colpa? Metodi di coltivazione inade- indiano sono lo specchio di quello che sucguati ed eccesso di fertilizzanti, certamen- cederà nei prossimi anni a livello di prezzi te, ma dietro a tutto ciò fa capolino il cam- mondiali delle commodities. Ha iniziato il biamento climatico, con il suo portato di cotone, grazie alle alluvioni pakistane, che diminuzione delle piogge (meno 20% ne- vede un prezzo in costante aumento. Segli ultimi 60 anni) e aumento delle tem- guiranno, secondo gli studi appena pubbliperature minime (che hanno toccato que- cati dall’Ifpri (International Food Policy Research Institute) materie prima più delicate st’anno i 19.5°C). Quanto basta per dare ulteriori armi a come il grano, il mais, la canna da zucchechi sostiene che l’impatto più pesante di un mondo che cam- Sparisce nel documento di Cancún bia lo subiranno l’agricoltura e ogni riferimento perentorio le comunità che di questa vivo- al 2015, sostituito da un blando no (o sopravvivono). Una ri- “non appena possibile” |
DIRITTI DELLE COMUNITÀ INDIGENE Nella parte sul negoziato Redd (Reducing Emission from Deforestation and Forest Degradation) si richiede (requests), e quindi non si decide, che nelle strategie nazionali si assicuri la partecipazione dei popoli indigeni e delle comunità locali.
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SECOND COMMITTMENT PERIOD Kyoto scade nel 2012. Nulla è stato deciso per gli impegni nel periodo successivo. Tutto rimandato alla Conferenza di Durban alla fine del 2011.
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TAGLIO DELLE EMISSIONI Si riconosce l’autorevolezza delle indicazioni dell’Ipcc di un taglio del 25-40% delle emissioni entro il 2020. Ma si concorda che c’è ancora del lavoro da fare per rendere questi tagli degli impegni quantitativi effettivi.
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| internazionale | ro. E alla preoccupazione dei fondi di investimento si somma quella delle comunità più povere del Pianeta.
L’incertezza di Cancún Di tutto questo, nel percorso che porterà da Cancún alla prossima Conferenza di Durban nel 2011, si rischia di non parla-
re, perché le comunità indigene e quelle contadine sono troppo in basso nella scala delle decisioni politiche per poter sedere ad un tavolo negoziale, mentre le generazioni future non ci sono ancora, e chi è assente ha sempre torto. Intanto, per poter fronteggiare gli scenari che IFPRI e IPCC (il panel di scienzia-
ti Onu) ci delineano sarebbe stato utile definire a Cancún dei punti fermi. Come il picco massimo di emissioni che, come da documenti iniziali, si sarebbe dovuto raggiungere nel 2015, per poi cominciare a scendere. Hanno tolto anche quel riferimento. E il 2015 è stato sostituito con “non appena possibile”.
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Cotonou, sede del governo del Benin. Il Paese, che si affaccia sul Golfo di Guinea, è stato uno dei punti di partenza delle navi negriere dirette verso l’America.
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Un Tribunale per la Terra Sono in grado i singoli Paesi di risolvere danni ambientali sempre più vasti causati dall’attività industriale? Gli Stati possono affrontare da soli cause contro multinazionali che spesso hanno fatturati più grandi dei loro Pil? blica e sicurezza alimentare del Parlamento europeo (Envi), che nella stessa ocNA CINICA LEGGE dell’inforcasione ha candidato Vemazione, che i mass media nezia a diventare il princiconoscono molto bene, dipale polo di informazione ce che più i disastri succedono lontani da sui temi del clima e delcasa nostra, meno ce ne sentiamo toccal’ambiente. ti. È una prospettiva miope questa, sia Anche per Gunter Pauche si tratti di una guerra ai confini del li, l’economista belga fonmondo, sia che si parli di disastri amdatore di Zeri (Zero Emisbientali, perché la Terra è un sistema sions Research Initiative, chiuso e inevitabilmente quello che sucrete internazionale di teccede in qualche suo sperduto angolo priAttivisti in manifestazione durante la Conferenza sul clima nologi ed economisti che ma o poi ci raggiungerà. in Messico, lo scorso dicembre. intendono sviluppare nuoIl greggio che per 106 giorni l’anno scorso è fuoriuscito nel Golfo del Messico, che possa riconoscere un danno collettivo vi processi produttivi), potrebbe essere come conseguenza dell’incidente alla al genere umano e al Pianeta, e possa an- l’Europa il propulsore di questa iniziativa piattaforma petrolifera Deepwater Hori- che supplire alle asimmetrie che spesso ci internazionale: «Se gli Stati Uniti acconzon, utilizzata dalla Bp, non causerà dan- sono tra le dimensioni dei Pil di alcuni sentissero, il tema potrebbe essere messo ni solo alle popolazioni che si affacciano Paesi e i fatturati delle società multinazio- all’ordine del giorno a Durban, nella prossima Conferenza dell’Onu sui cambiasu quella parte dell’Oceano Atlantico, ma nali che vi operano. menti climatici che si terrà a fine anno. all’intero ecosistema: i milioni di barili di Ma gli Stati Uniti non lo faranno - contipetrolio e i solventi utilizzati per contra- L’Europa promotrice stare la marea nera stanno provocando L’idea della Corte internazionale è stata ri- nua l’economista - per questo l’Europa danni in quella zona del mondo e nel si- lanciata durante la quinta edizione del dovrebbe dare avvio alla nuova fase». Una fase tutta da costruire che per Paustema degli oceani. Vinc, il Venice International News Confeli potrebbe anche passare dalla valutazioÈ giusto quindi che di fronte a disastri rence (il meeting delle televisioni all-news ambientali sempre più vasti, causati da di tutto il mondo). Per la prima volta è sta- ne economica delle risorse ambientali: «È una famelica attività industriale privata, i ta sostenuta da un esponente dell’Unione una vera sfida, perché al momento il merPaesi siano lasciati da soli a cercare le so- europea, il tedesco Jo Leinen, presidente cato funziona con la “penuria” – il valore luzioni per sanzionare i colpevoli o per in- della Commissione Ambiente, sanità pub- di un bene cresce in relazione alla sua scarsità – ma questo è in contraddizione con i tervenire sui danni? Dalle istituzioni sovrannazionali la Una Corte internazionale penale principi di conservazione». Anche se per stravolgere dalle fondamenta i principi risposta che arriva è di istituire dei crimini ambientali è stata del mercato, sicuramente non basta un un Tribunale internazionale sostenuta da Jo Leinen, Tribunale internazionale. penale dei crimini ambientali, esponente dell’Unione europea di Paola Baiocchi
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Nel piccolo Benin la tratta degli schiavi esiste ancora di Raffaele Masto
Per l’Onu sono almeno 40 mila l’anno i bambini oggetto di tratta che passano per il Paese. Vengono venduti per i lavori agricoli, per la prostituzione o le adozioni.
RE FRONTIERE SFORACCHIATE, una accanto all’altra, a pochi chilometri di distanza, e a oriente il confine con il gigante Nigeria, patria di tutti i traffici clandestini, di una corruzione inestirpabile e generalizzata e di boss e malavitosi potenti e tentacolari. Ecco la scena nella quale il piccolo Benin, l’antico e sanguinario regno del Dahomey, è costretto a
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IL PESO DEL PASSATO CHE TORNA LA STORIA HA IL SUO PESO e il Benin dei nostri giorni ne è un esempio lampante. Oggi questo piccolo Paese - grande un terzo dell’Italia, con circa sette milioni di abitanti - sembra avere dimenticato il suo passato. Ha un presidente, Yayi Boni, riconosciuto dalla popolazione, ha un sistema democratico funzionante per gli standard africani ed elezioni che rispettano le scadenze. Ma la storia e l’attualità restano collegate: il Benin oggi viene indicato come uno degli snodi principali della tratta, il moderno schiavismo, così come nel passato è stato una delle arterie attraverso le quali l'Africa è stata dissanguata dai colonialisti. Oltre al porto di Ouidah, a pochi chilometri da Cotonou, infatti, gli altri luoghi africani dai quali milioni di neri furono trasportati oltre Oceano sono: l’Isola di Gorée, in Senegal, davanti alla città di Dakar, il porto di Pointe Noire, nel Congo Brazzaville e Cape Cost, nel vicino Ghana. Se oggi è possibile stabilire che gran parte degli afro-americani ha origine dalle popolazioni del Golfo di Guinea, si capisce quale traffico passò dagli attuali Ghana e Benin.
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svolgere la sua parte nella scena mondiale e africana. La collocazione geografica è quella del Golfo di Guinea, l’ascella dell’Africa, come viene definita questa regione a causa del caldo opprimente, dell’umidità insopportabile e del puzzo prodotto dalla miseria della popolazione e dalla mancanza endemica di servizi igienici e di fogne. È proprio questo contesto che fa del piccolo Benin un’anomalia: innanzitutto è quasi assente il settore agricolo. I circa sette milioni di abitanti vivono soprattutto di commercio, lecito e non. Lo si comprende subito se si percorrono le trafficate strade della capitale, Cotonou, un caos totale dominato da frotte di motorini che, come sciami di mosche, a ogni semaforo zigzagano impazziti tra auto dagli scappamenti pestiferi di fumo nero e maleodorante. Sulle bancarelle in ogni strada campeggiano grandi ampolle di vetro con all’interno un liquido dal colore verde intenso che sembra olio extravergine di oliva e, naturalmente, non lo è. Se si ANNO 11 N.86
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NIGER
MEDITERRANEO MAROCCO ALGERIA
BUKINA FASO
PARAKOU TOGO
LIBIA MAURITANIA MALI NIGER BURKINA CHAD FASO COSTA NIGERIA D’AVORIO CAMERUN REP. GABON DEM. CONGO CONGO BE NI N
Affari sporchi: dal petrolio...
IL BENIN IN CIFRE
NIGERIA
GH AN TO A GO
chiede si scopre che è benzina, venduta di contrabbando, ricavata dall’esportazione clandestina di greggio dalla vicina Nigeria, che, come noto, è ricca di petrolio.
FONTE: CIA, WORLD FACTBOOK 2010, HTTPS://WWW.CIA.GOV/LIBRARY/PUBLICATIONS/THE-WORLD-FACTBOOK/GEOS/ET.HTML
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Il business funziona così: nel viGHANA cino Delta del Niger i boss della PORTO NOVO ANGOLA malavita hanno al loro servizio OCEANO ATLANTICO frotte di ragazzini che forano e OCEANO NAMIBIA ATLANTICO creano degli abboccamenti agli SUDAFRICA oleodotti di tutte le più grandi Compagnie del mondo che solNome: Benin. Popolazione: 9.056.010 cano quel territorio. Il greggio Capitale: Porto-Novo. fatto uscire dagli oleodotti, poi Forma di Stato: Repubblica. Indipendenza: 1 agosto 1960, dalla Francia. viene raffinato rozzamente e Pil 2009*: 13,6 miliardi di dollari. immesso sul mercato. Il lavoro Pil 2009 pro capite: 1.500 dollari. Tasso d’inflazione: 2,2% (2009). dei ragazzini è pericoloso, ma Alfabetizzazione**: 34,7%. non meno di quello dei loro Popolazione sotto la soglia di povertà: 37,4% (2007). Mortalità infantile: 63,13 decessi ogni 1.000 nati. coetanei, che si incaricano del Tasso di crescita della popolazione: 2,944%. trasporto e della vendita che, Speranza di vita: 59,42 anni. Export partner: India 19,72%, Cina 13,18%, Niger naturalmente, viene fatta so6,94%, Nigeria 6,56%, Indonesia 5,73%, Togo 5,63%, prattutto nei Paesi vicini. QueNamibia 4,17% (2009). Import partner: Cina 35,62%, Usa 7,51%, Francia sti ultimi si mettono alla guida 7,38%, Tailandia 6,71%, Malesia 6,13%, Olanda 4,83%, di un motorino sul quale viene Belgio 4,02% (2009). Debito estero: 1,2 miliardi di dollari (2007). saldata una cisterna di metallo * a parità di potere d’acquisto che può contenere anche cen** percentuale della popolazione con più di 15 anni di età in grado di leggere e scrivere to litri, una vera e propria bomba ambulante, un cubo viaggiante sul quale il ragazzino quasi condo le Nazioni Unite sono almeno quascompare. Questi attraversa le frontiere, al- rantamila l’anno i bambini oggetto di lunga mazzette ai doganieri e poi vende al tratta che passano per questo Paese per esdettaglio. La sera porta al boss il ricavato e sere poi venduti come schiavi e impiegati trattiene per sè una percentuale minima. nei Paesi vicini in lavori agricoli, oppure introdotti nel mercato della prostituzione o inseriti nel business delle adozioni, ma ...ai bambini in vendita Quello del greggio non è l’unico traffico non in Europa e Nord America dove quesporco. Ce n’è uno odioso del quale il Be- sto settore è rigidamente controllato. C’è anche un luogo, a Cotonou, dove, nin ha una sorta di primato mondiale. SePER I MINORI ABUSATI IL PROGETTO FIORI CHE RINASCONO TRA LE ORGANIZZAZIONI LOCALI E INTERNAZIONALI che operano in Benin c’è l’italiana Il Sole, con un progetto che chiamato “Fiori che rinascono”, rivolto ai casi di abuso e violenza sessuale sui bambini. Coinvolge e collabora con soggetti e associazioni della società civile e porta avanti azioni di prevenzione e sensibilizzazione sui diritti dei bambini. Il progetto “Fiori che rinascono” prevede anche interventi di cura e trattamento dei traumi subiti con assistenza psicologica, sanitaria, sociale e legale. Al termine di questo percorso Il Sole si occupa anche di reinserimento sociale. I bambini del Progetto “Fiori che rinascono” possono essere sostenuti attraverso l’adozione a distanza, con 516 euro all’anno, da garantire per almeno tre anni. Per informazioni: www.ilsole.org - info@ilsole.org - tel. 031-275065
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si dice, si svolgono le trattative di questo business miliardario. È il mercato di Dantokpa, uno dei più grandi di tutta l’Africa Occidentale, che si estende per quasi venti ettari di terreno proprio nel cuore della città ed è frequentato, ogni giorno, da circa un milione di persone. A vederlo non si fa fatica a credere che questo sia il vero cuore pulsante dell’economia del Benin: lo sguardo fatica a individuare i contorni di una sorta di magma che vive di vita propria, una distesa di carrette, bancarelle, tuberi, frutta, verdura, pezzi di motori usati, utensili, semi, abiti e persone che si agitano immersi in un chiasso infernale e avvolti da un miasma di prodotti organici in putrefazione e spezie.
La Porta del non ritorno Secondo le Nazioni Unite e i funzionari della speciale “brigata dei minori” della polizia beninese, è proprio Dantokpa il ganglio vitale di questo traffico, che, nonostante gli sforzi, non si riesce ad estirpare. Segnalazioni parlano addirittura di container pieni di bambini o adolescenti che attraversano le frontiere e vengono poi smistati nei luoghi dai quali proviene la domanda. Le bande che gestiscono questo traffico sono radicate, efficienti e possono contare su una vasta rete di corruzione e connivenze che le rende quasi intoccabili. Il Benin, del resto, ha quasi una vocazione storica. Basta andare nella città di Ouidah, città costiera, porto dell’antico Regno del Dahomey, per comprendere che una buona parte della storia dello schiavismo passa da qui. Sulla spiaggia campeggia la cosiddetta “Porta del non ritorno”, un monumento eretto per ricordare che proprio da qui milioni di schiavi furono imbarcati sulle navi negriere e trasportati nei Caraibi o nelle Americhe. A catturare gli schiavi non erano gli equipaggi dei velieri spagnoli, portoghesi, inglesi o francesi, ma i guerrieri dei sovrani del Dahomey che intrattenevano un fiorente commercio con gli schiavisti. Oggi quei tempi sono passati, il sanguinario Regno del Dahomey non esiste più, al suo posto c’è un piccolo Paese, il Benin appunto. Ma lo schiavismo non è ancora stato riposto del tutto negli archivi della storia.
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economiaefinanza
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A CURA DI MICHELE MANCINO | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A REDAZIONE@VALORI.IT
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altrevoci
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L’ATLANTE DELLE GUERRE PER CONOSCERE I CONFLITTI
’NDRANGHETA CON LE RADICI IN LOMBARDIA
RIFORME E RETI DI IMPRESE PER VINCERE LA CRISI
IL FUTURO DI HAITI È STATO RAPITO
FALLADA: RESISTENZA AI TEMPI DI HITLER
SI MUORE ANCHE PER LA LINGUA
Solo nel continente africano ci sono ben tredici paesi in conflitto. Dall’Uganda al Congo i signori della guerra dominano, portando morte, fame e distruzione. Ma di tutto questo si conosce poco, troppo poco. Ecco perché l’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo è una pubblicazione da far conoscere e diffondere soprattutto nelle scuole. È stata appena pubblicata la seconda edizione che comprende 35 schede di conflitti, una in più della prima edizione. La situazione peggiora, dunque, e un ruolo determinante in questa situazione è giocato dall’Onu (Organizzazione delle nazioni unite), come spiega nella sua introduzione Raffaele Crocco: «Dei quasi 200 Paesi che formano l’Assemblea un altissimo numero ha governi non democratici a guidarli. Significa che chi siede al Palazzo di vetro per conto di questi Stati è nominato da chi con diritti umani, democrazia, libertà, rispetto delle leggi e delle norme internazionali ha poco a che fare. Una contraddizione stridente per un organismo che dovrebbe garantire giustizia». Tutto ciò ha una ricaduta negativa sulle politiche di intervento dell’Onu stessa e dei suoi soldati, i caschi blu, che in teoria dovrebbero proteggere le popolazioni coinvolte nei conflitti, ma che in pratica rispondono a logiche di convenienza con regole d’ingaggio assai discutibili, come dimostrano i casi di Bosnia e Somalia.
Pensare che mafia, camorra e ’ndrangheta siano fenomeni solamente meridionali è un grave errore che porta a conseguenze disastrose, prima fra tutte l’infiltrazione indisturbata delle organizzazioni criminali nei territori, nelle istituzioni e nell’economia del Nord. La ’ndrangheta, ormai da tempo, ha dimostrato di essere ben radicata in molte province lombarde e, nonostante sia cosa risaputa, politici e amministratori locali, con qualche eccezione, fingono di non vedere o negano spudoratamente l’evidenza. Gli ’ndranghetisti hanno ingenti capitali che investono, soprattutto nei settori costruzioni e ristorazione (case, alberghi, bar, ristoranti, pizzerie, supermercati) e per gestire tutto questo hanno bisogno di manovalanza qualificata, i cosiddetti colletti bianchi (amministratori pubblici, professionisti, avvocati, manager), “uomini cerniera”, insospettabili. L’autore getta luce su questa realtà sommersa, partendo dai nomi e dai cognomi di politici, imprenditori, professionisti legati a doppio filo alla ’ndrangheta.
Se il consenso sui limiti strutturali della nostra economia (una legislazione farraginosa, un’amministrazione pubblica inefficiente, un sistema giudiziario lento, scarsi investimenti in capitale umano e innovazione) è unanime, sulle debolezze del sistema produttivo e sulle possibili strategie per il suo rilancio le opinioni di economisti e osservatori divergono. Secondo alcuni, gli intricati rapporti familiari, imprenditoriali e territoriali che legano tra di loro le imprese italiane sarebbero alla base di mali fondamentali della nostra economia: scarsa concorrenza, piccole dimensioni, bassa patrimonializzazione e debole propensione alla crescita. Secondo altri, invece, capitalismo familiare, reti d'imprese e radicamento territoriale sarebbero i fattori che hanno reso possibile il secondo miracolo industriale degli anni Ottanta e che, se affiancati da un insieme di riforme strutturali, potranno ridare slancio alla nostra economia.
Bois Caiman, 22 agosto 1791: il sacerdote vudù Boukman lancia la rivolta degli schiavi che porta alla nascita del primo Paese “nero” indipendente del mondo. Port-au-Prince, 12 gennaio 2010: in 35 secondi un terremoto devasta Haiti. Sbarcano 20 mila marines. Oggi la comunità internazionale, Stati Uniti in testa, con la “scusa” della ricostruzione sta mettendo il futuro del Paese sotto tutela, rubandogli di fatto l’indipendenza. E il popolo haitiano rischia, ancora una volta, di restare escluso dai piani per il proprio sviluppo. Gli autori danno, dunque, voce agli haitiani, fino a oggi esclusi dalla ricostruzione del loro Paese e relegati a soggetti degni solo di carità, mentre i grandi della Terra, insieme al governo locale, decidono del loro destino. Il bisogno di autodeterminazione degli haitiani si scontra con i piani di ricostruzione indirizzati a consolidare la dominazione esterna con il beneplacito delle istituzioni finanziarie internazionali, Banca Mondiale in testa.
«Il libro più importante che sia mai stato scritto sulla resistenza tedesca al nazismo». Così Primo Levi commentò l’uscita di “Ognuno muore solo” ultimo libro di Hans Fallada (pseudonimo di Rudolf Wilhelm Friedrich Ditzen), pubblicato per la prima volta in Italia nel 1949, oggi rieditato dalla Sellerio di Palermo. Una rielaborazione letteraria di una storia vera legata a un’inchiesta della Gestapo che nel 1942 portò all’arresto di Otto ed Elise Hampel, due coniugi berlinesi di mezza età giustiziati per avere diffuso materiale anti-nazista. La vicenda stessa della pubblicazione dell’opera di Fallada ha qualcosa di romanzesco perché l’autore conoscerà la notorietà Oltreoceano solo molti anni dopo con la pubblicazione di “Alone Berlin”. Fallada è rimasto in Germania durante il nazismo nonostante potesse scappare. Era, infatti, già allora uno scrittore famoso, ma restò nonostante non fosse allineato al regime nazista. Respirò quindi la stessa aria dei resistenti protagonisti di questa storia piena di dignità, simboli della coscienza di un Paese spaccata in due.
Il corpo di un vecchio è stato ritrovato senza vita e con la lingua tagliata. La giovane Therese Fossnes viene chiamata da Stoccolma a condurre le indagini. Respinta ed emarginata dagli abitanti di Pajala perché non parla la lingua locale, si trova per le mani un caso complesso: c’entra qualcosa l’ostinata battaglia di Martin Udde contro questa lingua, reintrodotta di recente nelle scuole della regione? O la pista giusta da seguire è quella che porta ad una banda di rapinatori specializzati in furti in casa di anziani? La rete di indizi e sospetti si fa sempre più fitta, ma l’indagine fatica a trovare risposte. Tuttavia il ritorno a Stoccolma di Therese sembra offrirle un nuovo e interessante spunto che potrebbe dare una svolta alle indagini. Mentre la soluzione si avvicina, la vita sentimentale della protagonista si avvia su un binario che la conduce nuovamente verso il luogo del delitto. E anche il rapporto tormentato tra la ragazza e la sua famiglia è sul punto di evolvere radicalmente. E per la giovane investigatrice nulla sarà più come prima.
A CURA DELL’ASSOCIAZIONE 46° PARALLELO ATLANTE DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI NEL MONDO
B. C. Dalay editore, 2010
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ENZO CICONTE ’NDRANGHETA PADANA
ALBERTO ZAZZARO RETI DI IMPRESE E TERRITORIO TRA VINCOLI E NUOVE OPPORTUNITÀ DOPO LA CRISI
MARCO BELLO ALESSANDRO DEMARCHI HAITI. L’INNOCENZA VIOLATA CHI STA RUBANDO IL FUTURO DEL PAESE?
Rubettino, 2010
Il Mulino, 2011
Infinito Edizioni, 2011
HANS FALLADA OGNUNO MUORE SOLO
MIKAEL NIEMI L’UOMO CHE MORÌ COME UN SALMONE
Sellerio, 2010
Iperborea, 2011
narrativa
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L’ULTIMA PARTITA DEL CAMPIONE TROPPO SOLO LA STORIA, LA POLITICA E L’AMORE NELLA DUBLINO DI DOYLE Dublino 1916. È un lunedì di Pasqua. Un gruppo di indipendentisti si è rintanato nel palazzo delle poste centrali. Tra loro c’è anche Henry Smart, impettito e magnifico nella divisa dell’esercito dei cittadini irlandesi, pronto a combattere. Una divisa che si era comprato con soldi racimolati qua e là, venuti fuori da chissà dove. L’intervento dell’esercito britannico non si fa attendere e quel manipolo di uomini viene decimato. Henry scampa anche alle fucilazioni che seguono la repressione e diventerà uno degli uomini di fiducia del celebre Michael Collins (eroe nazionale irlandese) e unirà il proprio destino a quello di un’indomita maestra rivoluzionaria. C’è molta invenzione in questo romanzo, ma anche tanta realtà. Ci sono la politica, la storia e una grande storia d’amore e passione. Con questo nuovo romanzo Roddy Doyle si conferma uno dei punti fermi della narrativa irlandese contemporanea. RODDY DOYLE UNA STELLA DI NOME HENRY
Guanda, 2010
Trenta maggio 1984. Allo stadio Olimpico la Roma allenata da Liedholm perde la finale di Coppa dei Campioni ai calci di rigore contro il Liverpool. Trenta maggio 1994. Il capitano di quella Roma, Agostino Di Bartolomei, si uccide con un colpo di pistola al cuore nella sua villa a San Marco di Castellabate, in provincia di Salerno. Due fatti così diversi tra loro e così intimamente legati. Per certi versi, infatti, è stata quella finale l’ultima vera partita di Agostino, costretto poi a lasciare la Roma, a terminare altrove la sua carriera. È la storia di “un campione troppo solo”, ma troppo orgoglioso per mostrarsi debole. È la storia di un campione e della sua città, dai campetti dell’oratorio a Tormarancia al provino per entrare nelle giovanili della Roma sotto gli occhi del “mago” Herrera, dall’esordio in prima squadra all’incontro con il suo maestro Liedholm, dalla vittoria dello scudetto con la maglia giallorossa e la fascia di capitano al braccio alla sconfitta per eccellenza contro i Reds. GIOVANNI BIANCONI E ANDREA SALERNO L’ULTIMA PARTITA
Fandango, 2010
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Rega egalati una CUCC CAG AGN GNA A! CUCCAGNA UCC A soli 15 minuti da piazza Duomo, antica cascina agric g ola di proprietà del Comune di Milano da destinare ad uso pubblico con orti, serra e frutteto didattici, trattoria, bottega g della filiiera corta, ostello, auditorium, laboratori... a solo on il v Tempo T em empo e di c consegna: onsegna: g e estate state 2011... m ma sol c con vostro aiuto! ostro aiut o! Abbiamo Abb A bb biamo già raccolto l 2.250.00 2 250 000 0 €, ma per continuare i la l vori di d restaur e o e inaugurarre i prrimi spazi servono su ubito b € 300.000. Per aiutar Per aiutare re Consorzio Cantier C Cantiere re riapriree la Cuccagna* a riaprir la cascina è pos sibile b l ffare ar a e una d donaz zione online, l possibile donazione tram mite carta d di crreedito d o bonifico b fi ban ncario, su www.cuccagna.org www w.cuc . cagna.org (ogni donazione è fiscalmente detraibile).
Perr infformazioni: o www.cuccagna.org www ww w.cuccagna.org .
Con il contributo di:
CONSORZIO CANTIERE CANTIERE CUCCAGNA CUCCAGNA
*Associazione es esterni, terni, Cent Centro ro di Iniziati Iniziativa va Europea, Europea, Cooperati Cooperativa va Cuccagna, ogetto g Cooperativa Cooperativa Sociale Comunità Pr Progetto, , Cooperativa Cooperativa Sociale Diapason, Cooperativa Cooperativa Sociale S. Martino Martino,, err e e di mezzo Smemoranda Cooperati Cooperativa, va, T Terre
P Prrogetto Cuccagna Un’antica Un ’antica a cascina agrico agricola la per un nuo nuovo vo spazio pubblico
A CURA DI CORRADO FONTANA | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A FONTANA@VALORI.IT
SULLA STESSA BARCA E IN GIARDINO
TURISTI SOSTENIBILI EXPLORANDO LA PUGLIA
Sara IV è il nome di una motonave sequestrata dalla Magistratura al narcotraffico, ora ormeggiata al porto di Sant’Antioco e donata alla Cooperativa sociale San Lorenzo di Iglesias, in Sardegna. Un mare e una terra meravigliosi, quelli sardi, dove il turismo sociale trova terreno fertile e si sviluppa in progetti diversi che coinvolgono soggetti cosiddetti “svantaggiati” sia come operatori-lavoratori che come ospiti-fruitori. Ecco allora le attività della cooperativa, nata nel 1997: trasformare la barca da diporto in un progetto per i turisti per scoprire le bellezze della costa o imparare i segreti della pesca; ecco in arrivo un rifugio da gestire nella foresta del Marganai e “Casa Fenu”, a Tratalias (CI), palazzotto signorile della fine del 1700 destinato a diventare una struttura ricettiva adatta a ospitare disabili e a diventarne luogo di lavoro. E per non perdere di vista la ricchezza del paesaggio, ospiti e operatori della cooperativa godono dei colori e imparano le professioni legate al floro-vivaismo nel giardino montano “Linasia”.
Turismo in Puglia? Sì, ma sostenibile. Uscendo dai circuiti tradizionali dei grandi tour operator e dalle logiche commerciali del viaggio concentrato su mete sovraffollate, con l’obiettivo di rendere l’esperienza turistica socialmente inclusiva. Su questo modello lavora la cooperativa sociale Explorando di Bari, nata nel 2002 e affiliata al circuito europeo Le Mat, che ha come primo obiettivo la costruzione di sistemi turistici locali mettendo in rete le piccole agenzie di viaggio e le imprese (meglio se sociali) all’insegna della sostenibilità. Idee che diventano realtà soprattutto nelle province di Bari, Lecce e Brindisi – più limitatamente a Foggia e Taranto – grazie a circa 70 piccoli operatori turistici che elaborano proposte di viaggio pensate per disabili sensoriali o minori a rischio, o avviano programmi di educazione ambientale.
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terrafutura
PALERMO: FINALMENTE UN’OASI… PER I RIFIUTI MATTONI DI STAGIONE IN SARDEGNA: TRA ARTIGIANATO E BIOEDILIZIA
www.cooperativasanlorenzo.it
Tra artigianato e bioedilizia, coniugando l’uso di materiali e competenze della tradizione locale più antica e l’applicazione dei più avanzati principi di bioarchitettura: questo sintetizza l’esperienza, partita nel 2006, di Fedora, la prima rivendita bioedile in Sardegna. Nel suo catalogo di proposte per la casa figurano elementi chiave della tradizione sarda come i mattoni in làdiri (terra cruda miscelata con la paglia della trebbiatura), fabbricati e seccati rigorosamente al sole d’estate, prodotti da un artigiano che aveva visto crollare la domanda per questa particolare produzione, “schiacciata” dalla diffusione di materiali industriali; e poi i rivestimenti in Tadelakt, diffusi in Arabia e Marocco, d’aspetto simile al nostro marmorino ma più duttili e impermeabili, adatti sia in esterni che in interni. «Fedora - ci tiene a precisare il fondatore Nicola Tuveri - non è solo una rivendita. Organizza corsi di educazione alla bioedilizia che partono da aspetti teorici per concludersi con la realizzazione di manufatti». Gli operatori di Fedora si scontrano, tuttavia, con un mercato che spinge verso una direzione diversa e cercano di sfatare i luoghi comuni sulla bioedilizia che ne descrivono le tecniche e i materiali come un ventaglio di soluzioni d’elite. «Oltre al nostro impegno per applicare margini ragionevoli sui prezzi - prosegue Tuveri va detto che il costo di una casa non si calcola solo sulla base dell’investimento iniziale, ma lungo un ciclo di vita fortemente influenzato proprio dalla qualità dei materiali e delle procedure». Insomma, spesso chi più spende.
Segnalata da Zoes.it
www.fedorabioedilizia.it
www.explorando.org www.lemat.it Segnalata da Zoes.it
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Un ottimo segnale per la diffusione della cultura del rispetto ambientale. Così si può interpretare l’apertura nel comune di Santa Flavia (Pa) dell’Oasiecologica, gestita dalla Ser.Eco di Bagheria. Un luogo che si pone l’obiettivo di sfruttare il ciclo dei rifiuti addirittura come “strumento di rilancio del territorio”. Piattaforma riconosciuta dai consorzi Conai e dal Centro di Coordinamento Raee (Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), l’Oasiecologica serve il territorio di 5 comuni con circa 100 mila abitanti e svolge le normali operazioni di differenziazione dei rifiuti riciclabili. Nella stessa area si svolgono corsi di educazione ambientale per gli studenti delle scuole primarie, secondarie e superiori e vengono sviluppati progetti e campagne di sensibilizzazione sui temi della sostenibilità. Per questo Ser.Eco ha promosso l’iniziativa-concorso “Ricicla e vai in bici”, che premia i partecipanti a seconda del peso dei rifiuti (carta, alluminio, plastica e vetro) consegnati e destinati al riciclo. Per lo stesso motivo aderisce a un progetto denominato “Rifiuti Zero”. www.oasiecologica.it Segnalata da Zoes.it
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VENTISEI FOTOGRAFI, VENTISEI DIALOGHI SUL RAPPORTO RAPPOR TO TRA FOTOGRAFIA E ARCHITETTURA
A CURA DI FRANCESCO CARCANO | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A REDAZIONE@VALORI.IT
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Gli autori intervistati: Olivo Barbieri Gabriele Basilico Gianantonio Battistella Gianni Berengo Gardin Luca Campigotto Vincenzo Castella Alessandra Chemollo Giovanni Chiaramonte Patrizia Della Porta Daniele Domenicali Vittore Fossati Guido Guidi Marco Introini Francesco Jodice Moreno Maggi Duccio Malagamba Maurizio Montagna Alberto Muciaccia Pino Musi Lorenzo Mussi Emanuele Piccardo Francesco esco Romano o Paolo Rosselli o Massimo Vitali Italo Zannier Marco Zanta
IN LIBRERIA
APP’S PER SAPERE DOVE RICICLARE
ECOVILLAGGI SENZA DIGITAL DIVIDE
Ci sono miriadi di applicazioni iPhone e iPad e ormai anche in formato open source Android visto l’exploit del tablet Galaxy. Servono un po’ per tutto, ma alcune meritano di essere segnalate per il loro saper coniugare risvolti ambientali e praticità. Acuminate, negli Stati Uniti, aiuta a trovare i punti di raccolta dell’alluminio. E siccome a volte può servire, aiuta anche a fare il calcolo di quanto si può guadagnare ogni mese consegnando le lattine vuote ai centri di raccolta. Tiriciclo invece nasce in Italia per aiutare a trovare come e dove smaltire il Tetra Pak nelle diverse realtà territoriali. Unisce a questa funzionalità un supporto informativo sul riciclo dei contenitori per alimenti e informazioni utili sulle ripercussioni economiche di una corretta gestione della raccolta differenziata. L’applicazione, in questo caso, è parte di un più ampio progetto di comunicazione veicolato attraverso la Rete.
Molteplici i fattori che possono spingere, nell’era della condivisione tecnologica, ad abbandonare le città a favore della campagna o della montagna. Il fenomeno è in interessante espansione e riguarda sempre più ragazzi e ragazze molto giovani, che fanno magari seguire alla laurea un anno sabbatico di fatica fisica e concentrazione su di sé, oppure giovani famiglie che vorrebbero far crescere in un contesto e con ritmi e metodologie più vicine alla natura, i loro figli. I progetti sono numerosi, sparsi in tutta Italia e in Europa. Nel nostro Paese contribuisce a farli conoscere Rive, la Rete Italiana degli ecovillaggi. Interessante notare come il superamento del digital divide, reso possibile dalla implementazione di tecnologie di diffusione del segnale internet in località montane, stia accompagnando una nuova generazione di ecovillaggi che, alla radicalità della scelta, sanno unire una capacità non banale di comunicazione e interazione della propria esperienza che attrae così un crescente numero di nuovi soggetti interessati e consapevoli.
FONDI ON LINE PER ESSERE SOLIDALI PREVENIRE L’INSICUREZZA: ON LINE LA MAPPA DEI REATI DI MILANO Negli Stati Uniti è un servizio garantito dalle autorità locali di polizia. In Italia, per ora, ha pensato a farlo un giovane giornalista milanese. La mappa dei reati, legata a una Google maps, è uno strumento utile per raffrontare i veri numeri del crimine con gli allarmi lanciati ad ogni tornata elettorale. E, siccome i tormentoni sulle prossime elezioni sono frequenti e si succedono ad ogni crisi di maggioranza dei governi locali, l’emergenza crimine sembra perenne. Ma è davvero così? La “mappa del crimine di Milano” curata da Daniele Belleri (ilgirodellanera.wordpress.com), con la sua semplice grafica e i colori differenziati per ogni reato, aiuta ognuno a riflettere e farsi una propria opinione. Dubbi sul rispetto della privacy e soprattutto scarsa informatizzazione degli uffici competenti avevano rallentato in Italia lo sviluppo di analoghe applicazioni, diffuse nel mondo anglosassone dove i dati sono disponibili on line direttamente dalle forze di polizia, geolocalizzati e in tempo reale...
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ANNO 11 N.86
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Sono le storie più disparate quelle che affollano i racconti sul web di donazioni raccolte da sconosciuti. Dalla giovane geek milanese cui è stata rubata la bicicletta e che l’indomani ha recuperato il buonumore grazie alle donazioni via Paypal, ricevute nella notte. Al racconto del ragazzo italiano, ma madrelingua inglese, che, rientrato nei sobborghi di Londra, ha potuto raccogliere in sei mesi di donazioni quanto bastava per il suo sogno di aprire un pub. Finanziatori, in questo caso, le decine e decine di amici in Italia e Inghilterra, che da anni sapevano del suo sogno e che hanno risposto a un appello lanciato attraverso la sua pagina su Facebook. Su questa scia si muove anche il progetto ShinyNote, on line da fine marzo prossimo, che si rivolge in particolare al mondo della solidarietà di cui vuole raccogliere i progetti per portarli all’attenzione dei possibili donatori.
FEBBRAIO 2011
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action!
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L’AZIONE IN VETRINA VEDANTA
Il rendimento in Borsa di Vedanta negli ultimi dodici mesi, confrontato con l’indice DJ Eurostoxx 50 (Fonte: Thomson Reuters)
“ACTION!”: una nuova rubrica per raccontarvi un mondo di azionisti in continuo movimento. Non solo alla ricerca di utili e dividendi, ma anche di risposte su temi sempre più all’ordine del giorno: le paghe esorbitanti di manager e amministratori, i rischi ambientali o il mancato rispetto dei diritti umani da parte delle multinazionali quotate in Borsa. Li chiameremo azionisti “attivi”, “critici” o “responsabili”. Società di investimento o coalizioni, fondazioni o fondi pensione, con almeno una caratteristica in comune: quella di non accontentarsi dei profitti finanziari e di esigere progressi e impegni precisi da parte delle imprese “anche” in campo sociale e ambientale. Ogni mese vi presenteremo un nuovo azionista critico e cercheremo di spiegarvi, in modo semplice, come sta cercando di fare pressione su una o più imprese, incontrandone i manager, intervenendo in assemblea, votando e, a volte, com’è il caso di questo mese, vendendo i titoli delle società per le quali, nonostante un lungo e paziente dialogo, non si riescono a ottenere progressi significativi. Il primo azionista in vetrina è canadese: si chiama Northwest & Ethical (Nei) ed è controllato da un gruppo di banche di credito cooperativo. Nel mirino di c’è Vedanta, società mineraria indiana, ma anche la nostra Eni. Com’è andata a finire? Scopritelo da voi. Mese per mese.
L’
ABBIAMO BATTEZZATA
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ANNO 11 N.86
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FEBBRAIO 2011
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UN’IMPRESA AL MESE
a cura di Mauro Meggiolaro
L’AZIONISTA DEL MESE
Una nuova rubrica sugli azionisti attivi Northwest & Ethical
www.neiinvestments.com
Sede Toronto – Canada Tipo di società Società di gestione del risparmio che promuove fondi di investimento etici. È controllata dal Desjardins Group (50%, banche di credito cooperativo canadesi) e dalla Provincial Credit Union Central (50%). Asset gestiti ca. 3,4 miliardi di euro L’azione su Vedanta Agli inizi di gennaio Northwest & Ethical (Nei) ha venduto dai suoi fondi tutte le azioni di Vedanta Resources a causa dei “scarsi progressi registrati nel rispetto dei diritti umani in India, in particolare nella regione dell’Orissa”. La decisione di Nei è seguita a numerosi incontri con i manager della società (e con il suo presidente), che non hanno sortito gli effetti sperati. Tra il 2009 e il 2010 avevano venduto tutte le azioni di Vedanta Resources anche la Chiesa d’Inghilterra e Pggm, il maggiore gestore di fondi pensione pubblici nei Paesi Bassi. Altre iniziative Nei sta collaborando con altri investitori istituzionali per fare pressione su Eni in relazione al progetto di estrazione di petrolio dalla sabbie bituminose in Congo-B. Un’operazione che avrebbe impatti molto elevati sull’ambiente. Una prima lettera alla società italiana è stata spedita nell’autunno del 2010.
Vedanta Resources
www.vedantaresources.com
Sede Londra – Gran Bretagna Borsa LSE - Londra Rendimento negli ultimi 12 mesi -9,16% Attività È la più grande società mineraria dell’India. Possiede miniere anche in Australia e Zambia. Rame, zinco, alluminio, piombo e minerali ferrosi. Azionisti Famiglia Agarwal (tramite Volcan Investments Limited, Bahamas): 56,90%; Mercatov (fondi, banche, ecc.. che acquistano i titoli in borsa): 42,34%; Perché interessa agli azionisti responsabili? Nel 2009 Vedanta è stata criticata da Survival International e Amnesty per lo sfruttamento di miniere di bauxite nella regione dell’Orissa (India) che metterebbe in serio pericolo la vita delle popolazioni native (tribù Dongria Kondh). La società è stata spesso criticata e condannata per inquinamento, incidenti sul lavoro ed evasione fiscale. Numeri marzo 2009 - marzo 2010 Ricavi (milioni di dollari) 6.578,9 7.930,5 Utile (milioni di dollari) 900,5 1.511,2 Numero di dipendenti Oltre 30.000
I valori, quando si fondano sulla fiducia e sulla credibilità di chi li possiede e li coltiva, si possono riassumere in una parola, in un segno, in un colore. Dire è comunicazione d’intenti e di progettualità, trasmissione di idee, di conoscenza, d’esperienza. Fare è la sintesi dell’attività, energia verso nuove imprese, capacità di ascolto e di offrire risposte. Ai nostri clienti e a quelli che lo diventeranno è dedicato il nostro lavoro quotidiano: un lavoro dove il dire e il fare sono tutt’uno e sintesi di una filosofia dell’operare.