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Editoriale

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Idoli, miti e spirito critico

Questo numero di ‘Periodico italiano magazine’ è dedicato ad alcune icone del nostro tempo, nel tentativo di comprendere, oggi, quali siano e a quale tipo di ideali corrispondano. Ma il punto di partenza di questa ricerca, in realtà, non è affatto ottimistico: nel mitizzare personaggi, idoli e punti di riferimento, il processo di storicizzazione tende a generare

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‘santini’ – icone, per l’appunto - edulcorando, almeno in parte, molti momenti e riflessioni del passato, in un verso o in un altro. In sostanza, l’idealizzazione di alcune vicende o di alcuni personaggi che, a lungo, hanno fatto parte del nostro patrimonio comune di riferimento, sono una forma di paganesimo provinciale dal quale dovremmo liberarci. Resta pur vero che coltivare degli interessi verso le vicende di alcuni protagonisti della Storia, della politica e della filosofia, ma anche dello sport o della musica, aiuta a sviluppare un giornalismo di ricerca che, professionalmente, possiede un suo perché. Tuttavia, nell’approfondire certi argomenti sarebbe anche necessario riequilibrare molte cose, utilizzando alcuni contrappesi come sulla bilancia dall’ortolano.

La prima ‘icona’ che, personalmente, ho avuto modo d’incontrare durante la mia infanzia fu quella di Giulio Cesare. Interessandomi a questo grande condottiero romano, mi innamorai letteralmente della Storia: una materia scarsamente considerata, per non dire negletta, in questi tempi di povertà culturale e valoriale. Ma la mitizzazione è anche pericolosa da maneggiare. Negli anni ’30 del secolo scorso, proprio il mito della Roma imperiale venne strumentalmente utilizzato dal regime ‘mussoliniano’ per giustificare l’invasione coloniale dell’Etiopia. Un’impresa che risultò molto costosa per lo Stato italiano, comportando severe sanzioni economiche da parte della Società delle

Nazioni, le quali ci obbligarono a una politica autarchica e a dipendere dalla Germania ‘hitleriana’ per riuscire a importare quelle materie prime, a cominciare dal carbone, che ci consentissero quanto meno di andare avanti. In pratica, la nostra aggressione all’Etiopia del 1935 alla ricerca di un nuovo impero per Roma e per l’Italia, oltre che un’impresa puramente imperialista fu soprattutto uno spreco di mezzi e di risorse che, in seguito, pagammo a carissimo prezzo. Insomma, è sanissimo coltivare dei miti e nutrire sentimenti profondi nei confronti di alcuni grandi uomini o eventi eccezionali che, in qualche modo, hanno influenzato la nostra maturazione verso la vita adulta. Ma la mitizzazione di personaggi o vicende storiche è una materia assai delicata da gestire. Io stesso, quando ripenso ad alcuni momenti della mia vita giovanile, mi accorgo di rammentare una serie di immagini mentali eccessivamente

‘abbellite’ dal ricordo della giovinezza, in cui i momenti di fatica, di solitudine e anche di dolore tendono a scomparire. Per esempio, durante il servizio di leva, ricordo spesso con orgoglio di esser stato un militare affidabile, efficiente e leale. E rileggo nella mente il giorno in cui, sulla bacheca del battaglione, risultai il soldato di truppa che aveva svolto più servizi di tutta la caserma, con un largo vantaggio rispetto al secondo e al terzo classificato, guadagnandomi i gradi di caporale e una licenza ‘premio’. Ma questo ricordo mi è rimasto impresso come un momento felice di quella mia esperienza, mentre sarebbe più onesto rimembrare anche le notti di incertezza, paura e preoccupazione. Come la sera in cui, per la prima volta, venni designato a un compito di pattugliamento e di guardia. Insomma, il processo di mitizzazione, sia quello mentale, sia culturale, è un metodo pericoloso, carico di rischi e contraddizioni, che tende a distanziarci dalla realtà. Ecco perché affrontare le icone del nostro tempo diviene un tema molto più serio di quanto possa sembrare, poiché dev’essere contrastato dal nostro spirito critico, che invece è il vero protagonista dell’intero percorso storico dell’umanità. Perché tutta la realtà è atto dello spirito. E al di fuori di esso, nulla esiste veramente. Vittorio Lussana

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