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I frutti avvelenati di una socialità spezzata
I frutti avvelenati
di una socialità spezzata
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Lo stato emotivo di bambini e ragazzi distanti e connessi allo stesso tempo oscilla freneticamente tra ansia e depressione: se il rimedio farmacologico riduce i sintomi, l’assistenza psicologica non dovrebbe limitarsi a ‘tamponare’ i disagi causati dall’emergenza sanitaria
Aun anno dalla prima chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, il sistema sanitario nazionale inizia a raccogliere i primi frutti ‘disagiati’ del distanziamento sociale. Dai bambini
della scuola primaria fino agli adolescenti maturandi, esiste la percezione di far parte di una comunità che sta lottando contro un tristo mietitore, che ancora uccide troppe persone ogni giorno. Tuttavia, non è affatto sufficiente continuare a ripetersi che “è necessario” adottare determinate condotte di vita, perché la mente di fanciulli e ragazzi resti davvero incolume dagli
‘effetti secondari’ del Covid 19.
Proprio l’organizzazione dei dati sul nesso ‘causa-effetto’ rischia di farci perdere aspetti della realtà che La pedagogia redarguisce da anni circa i rischi della sovraesposizione agli schermi, ma solo adesso sta diventando vivida realtà per bambini e ragazzi. La tanto vituperata didattica a distanza, d’altro canto, ha avuto il ruolo inestimabile, da un lato, di costruire una routine e di osservare le reazioni alla ‘sorveglianza dei dispositivi’, dall’altro. Le ‘video-lezioni’ hanno acuito il classismo intrinseco della didattica frontale, svelando le distanze socio-economiche che sono
la pandemia non ha direttamente prodotto, bensì ha portato alla luce.
alla base di quei divari culturali che l’istituzione scolastica non è mai riuscita ad accorciare del tutto. Sospese le relazioni sociali che avevano luogo in ambito scolastico e, più in generale, extra-familiare, invece di concentrarsi sugli aspetti tecnici della didattica, la scuola potrebbe usare il ‘ponte virtuale’ per monitorare, insieme alle famiglie, lo stato psicologico di bambini e ragazzi. Servirebbero segnali univoci dai contesti scolastico e familiare, affinché questi ultimi non siano d’intralcio all’equilibrio precario che gli studenti – dalla scuola primaria alle superiori – cercano di costruire. Il rispetto dei tempi di reazione dei piccoli cittadini può partire soltanto da un clima di gi e il ministero dell’Istruzione, per la prima volta sono state stese delle ‘linee-guida’ per gli psicologi che, a diverso titolo, hanno iniziato a entrare nell’istituzione scolastica a partire dal 1990. La possibilità da parte degli istituti di scuole medie inferiori e superiori di aprire il ‘Cic’ (Centro di informazione e consulenza, ndr) fu una risposta tardiva alle piaghe della tossicodipendenza e dell’Hiv. Nella figura degli ‘assistenti specialistici’, gli psicologi orbitano nel panorama scolastico, a margine della squadra di supporto agli studenti con bisogni educativi speciali. Esattamente come prevede la legge 162 del 1990, la possibilità di individuare risorse che siano poi devolute al reclutamento di personale formato in psicologia sembra avere l’aspetto di un ‘cerotto’: l’ennesimo tentativo di rendere normale e omoMa al momento, possiamo solo suggerire che la domanda di assistenza psicologica non rimanga inascoltata: sarebbe un’occasione persa da parte delle istituzioni per rafforzare la presenza di psicologi nel settore pubblico in via permanente. Significherebbe ignorare tutto ciò che ha consentito al Covid 19 di esplodere nella pandemia che ci troviamo ad affrontare.
EmanuEla Colatosti
serenità tra docenti e tutori, affinché smettano di dare segnali contrastanti che spesso si sono polarizzati sui binomi ‘più compiti-meno compiti’, ‘più sorveglianza-meno sorveglianza’. Solo così verranno davvero rimessi al centro del dibatto in quanto attori e non come variabili imprevedibili di un ingranaggio, volte a eseguire il processo di apprendimento di programmi ministeriali. Con il protocollo d’intesa tra il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicolologata una diversità di situazioni, andando a lavorare sui sintomi senza mai interrogarsi sull’origine del disagio. Per esempio, etichettare uno studente come affetto da ‘Adhd’ (disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, ndr) dovrebbe essere solo una parte della procedura. La scuola, con le risorse insufficienti che lamenta, può solo limitarsi a contenere il disagio e la diversità, senza avere modo di riorganizzare la relazione tra insegnanti e studenti.