primopiano
Il confronto pubblico non può diventare una discussione da bar
Cento sfumature di opinioni e convinzioni
Che sia colpa di un malinterpretato diritto di libertà o della confusione generata dalle fake news poco importa: le distinte linee di pensiero sono molto diverse tra loro e, in quest’ultimo anno, la società è apparsa così divisa sui grandi temi che la riguardano
Potremmo parlare del ddl Zan, di immigrazione o piuttosto di green pass: alla fine, la tematica ha poca importanza, perché su ogni questione ormai lo scontro di idee va ben oltre il semplice dibattito. La questione è più complessa: la divergenza di opinioni sta creando delle fratture molto profonde nella nostra società. E non è neanche più determinata dalla politica. L’impressione è, piuttosto, che sia stata generata da una concausa di elementi di cui l’evento pandemico ha rappresentato il punto finale di caduta. Una discesa agli inferi del ragionamento collettivo di una società che appare in stato confusionale acuto. Un esempio? Dopo mesi di discussioni sull’effetto negativo delle fake news, adesso ci ritroviamo di fronte a gruppi ‘convinti’ che i veri diffusori delle ‘false notizie’ siano proprio i quotidiani e i telegiornali nazionali. Negli ultimi mesi sono stati tanti i casi di giornalisti che hanno segnalato una sorta di dispezzo diffuso nei confronti della loro professione. Io stessa mi sono sentita chiedere da una no-green pass che tipo di giornalista fossi, perché a sentire lei, la società sta subendo una sorta di imposizione nazista e lavaggio del cervello da parte del governo e delle case farmaceutiche. Sentire che i telegiornali Rai sono degli imbrogli e che i programmi ‘giusti’ (quelli che dicono la verità, tipo l’esistenza di un ‘piano Kalergi’) sono blog di ‘controinformazione’ gestiti populisticamente al pari di alcuni Partiti politici, è sconfortante. Difficile frenare, a questo punto, la penetrazione dei social media nella quotidianità degli italiani e la possibilità di ognuno di poter affermare un’idea ‘spacciandola’ per verità assoluta. In questo incontrollato flusso di incultura, se veramente si vuole capire meglio una questione non sono certo i post di facebook o gli articoli di blog privi di fonti bibliografiche ad aiutare. Per avere qualcosa da dire, non bastano opinioni basate su alcuni scarsi elementi. Gli stessi giornalisti, per scrivere devono leggere e informarsi. Allora, se dovete parlare di argomenti ‘scomodi’ quali omofobia, eutanasia, democrazia o quant’altro, cominciate con qualche bel libro (qui di seguito ve ne proponiamo diversi). Leggete, fatevi un’opinione su informazioni concrete e, soprattutto, se esprimete una vostra idea, imparate ad argomentare. Intendiamoci, non dobbiamo pensarla tutti allo stesso modo. Tuttavia, che il confronto sia a un livello più elevato di una sciocca ‘discussione da bar’. Ne usciremo tutti migliori. Francesca Buffo
Libri al rogo. La cultura e la guerra all’intolleranza
I libri hanno sempre fatto paura, perché le loro pagine possono diffondere il seme della conoscenza, della scoperta, di una pericolosa libertà. Lo stesso è accaduto con quadri, canzoni, film e spettacoli teatrali capaci di conquistare l’emozione del pubblico con la stessa intensità con cui hanno attirato l’avversione di chi ne contestava i princìpi. Dittatori e benpensanti si sono accaniti contro le opere accusate di turbare l’ordine costituito, impedendone la diffusione e perseguitando gli autori. Negli ultimi decenni, ai roghi in piazza si è sostituita una pratica solo apparentemente meno feroce: una censura sottile eppure implacabile, ispirata ai più nobili motivi ma che rischia di sconfinare nel fanatismo
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