Editore Demas Srl - anno II numero 4 - TESTATA DISTRIBUITA A TITOLO GRATUITO - VIETATA LA VENDITA
PetNet Magazine
IL TESTIMONIAL Marco Carta
PET CARE
Quando il gatto non mangia
IL PESCE ROSSO
Vive fino a 30 anni se sai come curarlo
ESTATE A 4 ZAMPE Tempo di vacanze, dove e come sono i benvenuti
Editoriale
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uovo numero, nuovo look e nuove rubriche. Il desiderio è quello di essere sempre più vicini ai nostri affezionati lettori, cui ci lega il comune amore per i nostri amici animali. È questo un mondo sempre più variegato che popola le nostre case ed è questa anche la ragione per cui cerchiamo nelle nostre rubriche di affrontare problemi o dare consigli su temi inerenti salute e benessere di un ampio numero di specie animali. Abbiamo così pensato di fare cosa gradita ai lettori di PETNET Magazine inserendo nuovi articoli come in viaggio con il nostro pet, l’angolo del Ministero della Salute, informazioni sulla salute del cavallo, la cura delle nostre piante, il pet quiz. I vostri consigli e l’interesse dimostrato ci confortano per migliorare ulteriormente questo strumento di comunicazione, cercando di soddisfare le vostre curiosità e dare una risposta ai vostri dubbi ed ai quesiti, che sempre più numerosi giungono al nostro esperto sul sito PETNET. Scriveteci e risponderemo, come sempre, alle vostre domande sottintendendo che non potremmo che dare delle informazioni di massima perché per ogni evenienza relativa alla salute del vostro affezionato animale da compagnia il giusto referente è il vostro veterinario di fiducia. Le difficoltà generali del momento che attraversa non solo il nostro Paese ci inducono a migliorare sempre la nostra offerta di prodotti e servizi per cercare di soddisfare al meglio le aspettative dei nostri affezionati clienti. Fabrizio Foglietti, Managing Director Demas
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EDITORE Demas Srl Cir.ne Orientale 4692 00178 - Roma Tel. 06.72.22.260 info@demas.it - www.demas.it ANNO 2 - NUMERO 4 LUGLIO/AGOSTO Tribunale civile di Roma N.363/2009 del 02.11.2009 COMITATO DI REDAZIONE Alessandro Ciorba Fabrizio Foglietti Francesco Foglietti Antonello Castelli Cristina Foglietti
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Sommario
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Il testimonial Marco Carta
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Zecche, pericolo in agguato
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Il pesce rosso
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Geco leopardino
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Quando il gatto non mangia
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A proposito di calcio
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Nuovo coniglio in famiglia
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Omeopatia
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L’angolo dell’esperto
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Farmacovigilanza
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L’angolo della fitoterapia
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Turisti a 4 zampe
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Conservation medicine
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Gasterophilus
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Allergia da contatto nel cane
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Baubeach
34
Cose di gatti
36
Curiosità
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Tempo di vacanze
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Il patentino per i cani
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Pet Quiz
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Il Testimonial
Marco Carta: vi presento Athena
E
d eccoci nuovamente qui, cari lettori ritrovati in questo nuovo appuntamento per scoprire il legame dei nostri beniamini con gli amici a quattro zampe. È bello leggere che un grande e forte legame unisca i giovani agli animali, per lo più domestici. Un esempio per tutti è Marco Carta, il vincitore nel 2007 del talent show “Amici” di Maria De Filippi. Il ragazzo di Cagliari ha fatto strada in pochissimo tempo, il passo verso il successo per lui è stato breve. Abbiamo visto Marco in numerose trasmissioni tra cui “Wind Muasic Awards”. Il 6 giugno del 2008 presenta il suo primo singolo “Ti Rincontrerò”, ad una settimana dall’uscita dell’album entra direttamente al terzo posto della classifica Fimi/Nielsen con oltre 40 mila copie vendute, ottenendo il disco di d’oro, per arrivare al disco di platino con 70 mila copie vendute. Un fenomeno? Sì, il fenomeno che porta a casa premi, è idolo delle ragazzine, insomma una carriera in piena ascesa. A consolidarla è il lancio del brano “Ti Rincontrerò” sul mercato spagnolo e centro/sudamericano. Inizia così il suo tour italiano, raccogliendo più di 200 mila presenze. Ma il ragazzo venuto dal capoluogo sardo non si ferma, partecipa e vince la 50a edizione del Festival di Sanremo, con il brano “La Forza mia”, sbaragliando l’insigne concorrenza. Vince 2 “Wind Music Awards” per i dischi di platino ed il premio Sirmione Catullo come rivelazione dell’anno. E di una vera e propria rivelazione si tratta, per questo che sembra il ragazzo della porta accanto. Travolto da mille impegni e successi, Marco trova il tempo di presentarci il suo amico a quattro zampe, e parlarci del suo amore per la musica e del come sia entrata nella sua vita… La musica è diventata la mia ragione di vita, una preziosa valvola di sfogo, dopo la perdita dei miei genitori. Sono cresciuto insieme a mio fratello e con i nonni materni, coltivando sempre l’ambizione di realizzare il mio sogno nel cassetto. Quando lavoravo nel salone di parrucchiere di mia zia, con i primi soldi correvo a comprare i biglietti per Roma per fare i provini. Ora il tuo sogno è diventato realtà. Quali sono i tuoi impegni lavorativi?
Sì, il mio sogno è diventato una bellissima realtà. Per tutta l’estate fino a settembre sarò impegnato nel mio tour in tutta Italia. Ho un gruppo eccezionale che mi segue, dei bravissimi musicisti che mi accompagnano in ogni concerto, cito solo Simone Aiello e Fabio Vitello alla chitarra, Vanni Antonicelli alle tastiere, Marilena Montarone al basso, Loris Luppino alla batteria, Laura Carusino e Mary Dima ai cori. Sono molto soddisfatto. Nei concerti presento live le canzoni del mio ultimo album “La Forza Mia” e alcune canzoni del precedente album “Ti rincontrerò” e poi delle cover in italiano e inglese. È vero che sei un’amante degli animali? Sì, li adoro. Ho una passione sfrenata, sono un’amante degli animali. In Sardegna ho due cani meticci di nome Nuvola ed Asia ed alcuni pappagallini, ora accuditi da mio fratello e mia nonna. Anche se da poco tempo ho comprato un cucciolo di carlino. Come si chiama? Resterà con te a Roma? Sì, sì, Athena resterà con me a vivere nella capitale, mi prenderò personalmente cura della mia cucciola. Sai, inizialmente volevo un meticcio da prendere in qualche canile, per salvare la vita almeno ad un cane. Ho girato, ma non ho trovato nessun cucciolo, alla fine ho optato per il negozio, dove ho trovato questo cucciolo di carlino ed è stato amore a prima vista. Cosa mangia Athena? È ancora un cucciolo, e come tale sto seguendo tutte le procedure indicate dal veterinario. Appena sarà più grande so già che i pasti saranno due al giorno senza eccedere, poiché il carlino tende ad ingrassare. È un cucciolo molto tranquillo, credo che lo porterò ovunque! Anche in giro per i concerti? Chi lo sa! È bello vedere quanto, un giovane ragazzo all’apice del suo successo, super impegnato, trovi il modo e il tempo per prendersi cura di un cucciolo di carlino. È ammirevole da parte tua. La mia è una grande passione… Grazie Marco Grazie a voi Lorena Magliocco
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Animali Domestici
Zecche: un pericolo sempre in agguato C
ani e gatti possono essere infestati da zecche, le quali sono definite con il termine di ectoparassiti in quanto si localizzano sulla cute dell’animale differenziandosi dagli endoparassiti, i quali, invece, esplicano la loro azione patogena in corrispondenza degli organi interni dell’animale. Loro caratteristica è quella di essere diffuse in vasta parte del mondo, poiché sono in grado di infestare varie specie di animali sia domestiche che selvatiche. Cani e gatti sono soprattutto affetti da zecche “dure”, così dette dal momento che hanno il corpo provvisto di uno scudo dorsale, che nei maschi copre tutto il dorso e nelle femmine solo la parte anteriore dello stesso. Il resto del corpo è coperto da un rivestimento cutaneo pieghettato ed elastico, che durante il pasto può estendersi permettendo al parassita di ingerire quantità di sangue di molte volte superiori al suo peso corporeo (sino a 100 volte). Spesso sono colorate, appiattite, dall’aspetto ovale, la testa lascia a considerare un rostro visibile dorsalmente, munito di una sorta di pungiglione con denti retroflessi, adatto a penetrare attraverso la pelle dell’ospite ed a consentire pasti di lunga durata. Le dimensioni possono variare dai 5 mm del maschio ai 12 mm della femmina, dopo che si è nutrita del sangue del cane o del gatto. Esse sono dotate di ghiandole particolari, che secernono una sostanza anticoagulante e che sboccano in corrispondenza delle zampe anteriori. Le femmine depongono nel terreno in una sola volta da 350 a 18.000 uova in ammassi, dopo di che muoiono, mentre i maschi vengono a morte subito dopo l’accoppiamento. Dalle uova dopo 30-50 giorni circa, in funzione del grado di temperatura ed umidità del terreno, escono larve che attendono sull’erba, guidate da stimoli di varia natura, il passaggio di un ospite adatto su cui trasferirsi. Esse sono ematofagi obbligati, sono, cioè, costrette a nutrirsi di sangue affinché possa verificarsi il processo di metamorfosi, caratteristico del loro ciclo vitale. La durata dei pasti è variabile, ma protratta nel tempo, di solito è più breve nei primi stadi di sviluppo (larva, ninfa), varia da 7 a 30 giorni; il maschio si alimenta saltuariamente. Periodi così lunghi sono necessari, perché queste non aspirano il sangue, ma si ingorgano lentamente sfruttando la pressione sanguigna dell’ospite: compiono anche un’operazione di filtraggio, trattenendo del sangue soltanto la parte corpuscolata e rinviando all’ospite la parte liquida. È con questo meccanismo che introducono sostanze tossiche ed agenti patogeni. Le zecche restano fissate all’ospite per 3-21 giorni. grazie ad una sorta di cemento adesivo da
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loro stesse elaborato. Si trasformano in ninfe ed infine in adulti, che si accoppiano sull’ospite. Alcune specie compiono il ciclo da larva ad adulto su un solo ospite, mentre altre dopo ogni pasto si lasciano cadere a terra, compiono una fase di sviluppo e quindi parassitano in periodi successivi nuovi animali, spesso di specie diversa. L’intero ciclo può durare da uno a più anni. Un’infestazione da zecche può dar luogo a tutta una serie di manifestazioni patologiche nell’animale colpito: • infiammazioni localizzate a carico della cute, conseguenti all’azione esplicata dagli ectoparassiti in questione o da una parziale rimozione della parte cefalica degli stessi. • paralisi flaccida conseguente all’inoculazione di neurotossine presenti nella secrezione salivare delle zecche. • anemia, specialmente se i parassiti sono presenti in grande numero (una femmina adulta può assumere sino a 2 cc di sangue). • trasmissione di agenti infettivi da un animale malato ad uno sano, ad opera delle zecche che fungono da vettori proprio a motivo della notevole quantità di sangue ingerita. Così numerose e di particolare attualità sono le malattie trasmesse da questi ectoparassiti, come l’ehrlichiosi, le babesiosi, l’epatozoonosi, la malattia di Lyme. Le zecche devono essere prontamente rimosse dall’animale al fine di evitare la possibile comparsa di situazioni di natura patologia, ma è poi estremamente importante operare in termini di prevenzione nei loro confronti. Andrebbero, perciò, in primo luogo evitati luoghi in cui comune sia la loro presenza anche se ormai esse sono presenti in tutti gli ambienti suburbani. Il ricorso costante all’utilizzazione di prodotti, facilmente reperibili in commercio, particolarmente efficaci per la loro azione repellente, in assenza di effetti collaterali nei riguardi dell’animale, costituisce un valido e consigliato mezzo per evitare un’infestazione.A.C.
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Animali Domestici
Il pesce rosso
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Origini
Caratteristiche
Il pesce rosso è originario della Cina, appartiene alla famiglia dei Ciprinidi, selezionato dalla varietà selvatica circa 1000 anni fa solo per fini ornamentali sotto la dinastia Sung. In Estremo Oriente era comune realizzare all’interno di palazzi laghetti all’aperto, dove erano ospitati pesci eleganti e colorati. Ancora oggi in Cina regalare un pesce rosso è augurio di prosperità e fortuna. In Europa è giunto, tramite esploratori occidentali, intorno alla fine del ‘600, affermandosi rapidamente in virtù della sua bellezza. Alla metà del ‘900 è stato soppiantato in parte dai pesci tropicali d’acquario. Oggi la sua riproduzione avviene soprattutto presso allevamenti asiatici, ma anche in Italia esistono numerosi piccoli allevamenti di qualità, specie in regioni del centro Italia come l’Emilia Romagna.
Il pesce rosso può raggiungere i 30 cm di lunghezza, mezzo chilo di peso e vivere fino a 30 anni se mantenuto in condizioni ottimali. È caratterizzato dall’avere una bocca priva di denti, che sono situati nella parte interna della faringe, dall’assenza di un vero e proprio stomaco. In natura si alimenta di detriti vegetali, alghe e piccoli invertebrati, che stana “grufolando” con la testa nel fondo sabbioso dei corsi d’acqua in cui vive, aiutato da un olfatto molto sensibile. Pur essendo un pesce tipico del basso corso dei fiumi, può adattarsi anche ad acque debolmente stagnanti, purché il tasso di ossigeno disciolto resti sempre su valori ottimali. È attivo dalla primavera a inizio autunno, poi, quando la temperatura dell’acqua inizia a scendere sotto i 15-10°C, gradualmente smette di alimentarsi fino a
cadere in una sorta di letargo. Si riproduce a partire dal mese di marzo, deponendo numerosissime uova piccole e con capacità di adesione in mezzo alla vegetazione acquatica o alle alghe. Spesso una femmina è corteggiata da più maschi che fecondano insieme le uova. Sono possibili più eventi riproduttivi in un anno. Le differenze sessuali sono quasi inesistenti: la femmina è poco più grande del maschio e, all’inizio della stagione riproduttiva, ha un ventre rigonfio di uova, mentre il maschio possiede sulla testa e sulle pinne dei piccoli tubercoli, chiamati “tubercoli nuziali”, che usa per stimolare la femmina sfregandosi continuamente sul suo corpo. L’accrescimento delle larve è rapidissimo, tanto che alla fine dell’estate i nuovi nati possono misurare anche 5 cm.
Allevamento È da tener presente che il pesce rosso non può vivere in bocce di vetro o plastica, prive di filtraggio. Necessita di un contenitore con almeno 80 litri di acqua a soggetto. La vasca all’aperto o il capiente acquario deve avere un fondo sabbioso o con del ghiaietto piuttosto fine, spesso fra i 4 e i 7 cm, per consentire ai pesci di “razzolare” e scavare, poche decorazioni per evitare di sottrarre inutilmente spazio per il nuoto ed un potente filtro. Infatti, è importante mantenere una buona qualità dell’acqua, dal momento che i pesci rossi, per la caratteristica conformazione dell’apparato digerente, devono mangiare poco e spesso. È importante non sovralimentare i pesci rossi. La maggior parte delle piante d’acquario sono mangiate, eccetto le specie più resistenti come quelle del genere Vallisneria o Anubias. Trattandosi di pesci
originari di acque temperate, il termoriscaldatore nell’acquario non è necessario. Le razze omeomorfe dei carassi, se correttamente allevate in acquario, crescono velocemente, raggiungendo dimensioni rilevanti e sarebbe opportuno mantenerle in un vero e proprio laghetto all’aperto per tutto l’anno, di adeguata capienza. In tale situazione potranno anche riprodursi ogni anno. Le razze eteromorfe, talora molto appariscenti e delicate, maggiormente sensibili alle temperature fredde sono invece più adatte a vivere in un grande acquario. è opportuno non associare razze omeomorfe e eteromorfe, dal momento che le prime prevaricano le seconde nella competizione per il cibo. Il pesce rosso non è originario delle nostre acque, perciò non è opportuno liberarlo in fiumi o corsi d’acqua naturali. Potrebbe trasmettere malattie ai pesci autoctoni, riprodursi eccessivamente creando problemi di competizione per il cibo, essere nocivo per gli anfibi di cui mangia le uova, i girini o gli insetti acquatici.
Alimentazione L’alimentazione deve essere varia, nutriente e suddivisa in piccoli pasti durante tutto l’arco della giornata. Gli alimenti commerciali in fiocchi o granuli sono certamente consigliabili, ma possono essere integrati con cibi freschi o surgelati come Artemia salina, piccolissimi pezzetti di petto di pollo, lombrichi, dafnie, polpa di pesce o di gamberetto. Una componente vegetale nella dieta è utile per il benessere del pesce rosso. Le “classiche” briciole di pane non sono assolutamente indicate per i carassi, poiché questi non sono in grado di digerire gli amidi della farina di grano, che nell’intestino può dare luogo fermentazioni anomale talora fatali. A.C.
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Animali Domestici
Breve guida all’allevamento del Geco Leopardino
Dr. Gianluca Deli, Medico Veterinario
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l geco leopardino (Eublepharis macularius) è un Rettile che, per la sua facile gestione, la longevità (10-15 anni) e le dimensioni contenute (15-25 cm), rappresenta la scelta ideale per allevatori
dilettanti. L’habitat di origine è quello roccioso/desertico di Paesi quali l’Afghanistan, l’India nordoccidentale ed il Pakistan. Questa specie di gechi, a differenza di altre, non è dotata delle caratteriste estremità “adesive”, ma bensì di zampe con unghie, più adatte alla vita terricola ed alla morfologia del territorio da cui provengono. Altra peculiarità di questi animali è la coda “grassa”, che rappresenta una riserva energetica. Questa non dovrà mai essere afferrata in quanto, per un meccanismo di autodifesa, potrebbe andare incontro a distaccamento; se ciò dovesse accadere, non ci si dovrà allarmare in quanto ricrescerà, anche se più corta e tozza della precedente.
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Mantenimento
Per quanto riguarda il mantenimento in cattività, si dovrà provvedere all’allestimento di un terrario di dimensioni adeguate, con più nascondigli, cercando di ricreare, per quanto possibile, l’ambiente naturale. In riferimento a questo, si dovrà garantire una temperatura adeguata mediante l’utilizzo di tappetini riscaldanti o altre fonti di calore, controllandola con un termostato. Il calore dovrà essere fornito solo in una parte del terrario, determinando così un gradiente termico che darà la possibilità all’animale di decidere la temperatura a lui più gradita. Il punto più caldo dovrà avere una temperatura non superiore ai 31°C, mentre quello più “freddo” di circa 21°C. Temperature troppo elevate possono risultare pericolose. Essendo animali notturni, la luce potrà essere fornita attraverso un semplice neon e non saranno necessarie lampade UV. Altro fattore mol-
to importante sarà l’umidità, per coadiuvare le operazioni di muta. Per il fondo del terrario è sconsigliato l’utilizzo di sabbia: questa infatti se mangiata potrà causare problemi all’apparato gastroenterico. Si preferirà quindi l’utilizzo di tappetini in erba sintetica o anche del semplice giornale (gli inchiostri sono atossici). Riguardo il numero di individui che si potranno tenere assieme, si dovrà seguire la semplice regola di non porre nello stesso ambiente più di un maschio, onde evitare liti per il controllo del territorio e delle femmine; queste ultime invece potranno essere in numero variabile. La pulizia del terrario dovrà essere effettuata il più frequentemente possibile.
Alimentazione
Essendo insettivori, la loro dieta si baserà sul consumo quotidiano di vari insetti (tarme della farina, kaimani, camole del miele, grilli e altri artropodi) che si potranno acquistare presso negozi di animali o di pesca. Attenzione all’utilizzo di insetti di cattura tossici (es. lucciole) o inquinati da pesticidi. Molto importante sarà fornire un adeguato apporto di calcio per prevenire malformazioni durante l’accrescimento. Le femmine in riproduzione ed i giovani necessiteranno di un apporto di minerali superiore rispetto agli adulti. Si potrà intervenire alimentando correttamente le prede
e spolverandole, prima della somministrazione, con calcio carbonato (reperibile in farmacia o nei negozi specializzati). Dovrà sempre essere disponibile acqua fresca.
Riproduzione
La riproduzione di questi animali in cattività non risulta essere particolarmente difficile, dando molte soddisfazioni all’allevatore. La stagione riproduttiva va da gennaio a settembre e non sembra esser necessario un periodo di letargo prima dell’accoppiamento. Una femmina sana arriva a deporre fino a 20 uova l’anno che, maneggiate con molta attenzione, andranno poste su di un substrato in grado di mantenere un’umidità elevata (es. vermiculite) e messe in incubatrice dove, attraverso la regolazione della temperatura, si potrà “determinare” il sesso dei nascituri. Le uova schiuderanno dopo 60-120 giorni. Dopo la prima settimana circa, ai gechini si dovranno iniziare ad offrire prede di dimensioni adeguate. Dopo l’acquisto è consigliabile sottoporre l’animale ad una visita veterinaria volta a valutarne lo stato di salute generale. Di frequente riscontro sono le patologie correlate ad errori di gestione. Se si possiedono già altri gechi, sarà dovere dell’allevatore effettuare un periodo di quarantena prima dell’introduzione di nuovi esemplari, onde evitare la possibile diffusione di patologie.
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Animali Domestici
Quando il gatto non mangia I
n natura la dieta dei carnivori è nutrizionalmente bilanciata e di elevato valore calorico, anche se è raro che gli alimenti siano facilmente disponibili. Questo è uno dei motivi per i quali questi animali hanno sviluppato un apparato digerente relativamente semplice, in grado di digerire grandi quantitativi di cibo in un periodo di tempo relativamente breve. I topi sono la preda più comune dei gatti domestici ed un topo di dimensioni medie apporta circa 30 Kcalorie; per cui, per soddisfare il proprio fabbisogno calorico giornaliero, un gatto medio avrebbe necessità di mangiare 12 topi. Quando , invece, hanno il cibo sempre a loro disposizione questi animali mostrano la tendenza a consumare pasti piccoli e frequenti distribuiti in modo più o meno uniforme tra i periodi di luce e quelli di oscurità. Essi hanno bisogno di consumare un pasto altamente appetibile, ma con l’aumento del contenuto energetico della dieta riducono progressivamente il numero dei pasti giornalieri. Inoltre dimensioni e frequenza del pasto sono influenzate dal dispendio energetico necessario per procurarsi il cibo; il lavoro che il gatto deve compiere per mangiare
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è inversamente proporzionale alla frequenza dei pasti e direttamente proporzionale al loro volume. Una delle più comuni manifestazioni di malattia negli animali da compagnia è la mancanza di appetito. Nel gatto malato si ha spesso la comparsa di anoressia, per cui si rende necessaria un’accurata ricerca della causa primaria. Le malattie di natura infiammatoria o tumorale possono causare inappetenza. Lesioni a carico del cavo orale possono provocare riluttanza a mangiare. La nausea secondaria alla somministrazione di determinati farmaci o determinata da un ritardo nello svuotamento dello stomaco può indurre inappetenza. L’anoressia si osserva frequentemente nelle malattie del tratto gastroenterico, del fegato e del pancreas. Il dolore cronico di qualsiasi origine può portare ad una perdita di appetito. L’anoressia può essere molto accentuata in caso di grave insufficienza cardiaca congestizia, insufficienza renale, respiratoria, diabete. Varie sono le situazioni connesse con l’alimentazione nel gatto e che possono influire positivamente o negativamente sul suo appetito, contribuendo a superare il fenomeno dell’anoressia.
Avversione al cibo
L’avversione al cibo sembra essere una componente importante dell’anoressia del gatto, specialmente quando il pasto è offerto a questi animali subito prima o dopo la somministrazione di un farmaco o l’attuazione di un trattamento notoriamente in grado di indurre nausea o vomito. I felini che si rifiutano di consumare una dieta, in quanto l’associano alla nausea possono continuare ad evitarla anche dopo essere completamente guariti, perché ricorda loro una sensazione sgradevole.
Novità
La novità è uno stimolo che spinge ad apprezzare gli alimenti e gli aromi nuovi. La dieta precedentemente consumata esercita un effetto importante sulle preferenze alimentari ed il consumo prolungato di una formulazione può portare alla dipendenza od alla noia. L’avversione agli alimenti ed agli aromi nuovi e poco familiari si sviluppa nella maggioranza dei casi quando gli animali sono alimentati con un solo cibo sin dalla giovane età. I gatti allevati con una dieta monotona a base di carne non mostrano alcuna tendenza a passare a quelle a base di pesce quando è loro offerta la possibilità di scegliere, mentre quelli allevati con diete a base di pesce passano volentieri alla carne. I gatti preferiscono consumare una dieta nuova quando sono nutriti nel loro ambiente normale, ma possono sviluppare un’avversione nei confronti dello stesso alimento se questo è loro offerto in condizioni non familiari.
Appetibilità
L’appetibilità, un concetto che concerne l’aroma, il sapore, la struttura e la consistenza del cibo è caratterizzata, nel gatto, da diverse componenti esclusive. I gatti trovano più facile assumere crocchette di forma appiattita con protuberanze. I pastoni secchi e le formulazioni troppo fini non sono sempre molto ben accettate e, se ingerite, troppo rapidamente possono causare degli inconvenienti ad esempio di natura respiratoria. Il tenore di umidità di un alimento svolge un ruolo importante nell’appetibilità, presumibilmente a motivo del rilascio dell’odore, ma nel gatto è stata notata la presenza di recettori nella bocca sensibili all’acqua stessa. I felini bevono sei volte di più quando sono nutriti con una dieta secca piuttosto che con una umida e possono anche cessare di ingerire acqua dopo alcuni giorni di dieta umida. Tuttavia l’assunzione di acqua risulta molto superiore nei gatti alimentati con una razione umida, anche se deriva interamente dalla dieta.
Sapore
I gatti sono particolarmente sensibili all’amaro, mostrano una scarsa risposta alle sostanze dolci. Hanno una preferenza per il sapore derivante da estratti di carne. È stato messo in evidenza come il gatto sia in grado di scegliere diete bilanciate, ma appetibili. Il sale non sembra che sia per questo animale di particolare interesse. È invece influenzato dalla freschezza del cibo. La rancidità influisce negativamente sull’appetibilità. Il felino si basa molto sul senso dell’olfatto e preferisce l’odore forte della carne, del pesce o del formaggio. A.C.
Nutrizione
A proposito di Calcio
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uesto elemento, per le sue innumerevoli funzioni ed il suo equilibrio nell’organismo, è oggetto di particolare attenzione da parte soprattutto di allevatori e proprietari di cani. Sono diffuse a proposito di questo elemento minerale false teorie ed i suoi dosaggi negli alimenti salgono e scendono come le quotazioni delle azioni in una seduta di borsa. Se prendiamo, come esempio, una razza di cani con orecchie diritte come il pastore tedesco, si osserva in occasione della prima dentizione, un certo grado di rilassamento delle articolazioni ed un piegarsi di parte del padiglione auricolare. Tutto ciò è attribuito ad una grave carenza di calcio, per cui viene consigliato di integrare l’alimentazione del cucciolo con forti dosi di calcio, quando è noto che l’orecchio contiene come sua componente fondamentale tessuto cartilagineo, che non fissa il calcio, per cui la sua supplementazione risulta a tal fine inutile se non dannosa. Un’integrazione di calcio si giustifica nel caso di un’alimentazione casalinga, mentre non è assolutamente necessaria quando il cane è alimentato con un mangime. Si potrebbero avere effetti indesiderati sulla crescita ossea. La carne, infatti, non è ricca di calcio ed i minerali contenuti nei cereali sono poco disponibili. Se analizziamo il rapporto calcio/ fosforo di una tipica alimentazione a base di carne, verdura e riso troviamo che questo si aggira intorno allo 0.1, mentre un buon rapporto dovrebbe attestarsi intorno allo 0.5.
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Un eccesso di calcio induce profonde alterazioni nel ciclo di questo elemento con la produzione da parte dell’organismo di un ormone che fa diminuire il suo livello nel sangue. È gravemente alterato il processo graduale di ossificazione, per cui bene spesso si va incontro ad un aumento di volume e ad una maggiore fragilità delle zone dell’osso interessate all’accrescimento.
Così come nel cucciolo anche nella cagna in gravidanza è sconsigliata l’integrazione di calcio nella dieta. Se, infatti, in questo periodo la cagna assume quantitativi eccessivi di calcio, sarà nelle condizioni di non poterlo mobilizzare dopo il parto a fronte delle incrementate richieste connesse con l’allattamento, sempre a motivo del meccanismo sopra ricordato che viene a realizzarsi per un sovraccarico di calcio.
Mentre, quindi, si cerca di preparare la cagna ad un buon allattamento, si può avere l’effetto contrario con la comparsa di sintomi similtetanici. È, quindi, buona regola non seguire il fai da te od il consiglio di questo o quello od ancora di mode desunte dalla medicina umana, atteniamoci ai consigli di un serio professionista, per non doverci trovare di fronte a problemi più seri per il nostro cane e certamente pesanti per le nostre tasche. A.C.
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Comportamento
Benvenuto coniglio
Dott.ssa Marzia Possenti
Medico Veterinario Comportamentalista
10 piccoli passi per l’inserimento di un nuovo coniglio in famiglia
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olto spesso ci si trova in difficoltà nell’inserire un nuovo coniglio in un gruppo familiare di cui fa già parte un altro soggetto. I conigli sono animali molto territoriali, i conigli non sterilizzati in modo particolare, e dunque nella maggior parte dei casi tendono a difendere quello che considerano il proprio territorio dagli estranei, e dunque dai conigli appena arrivati. Questa piccola guida a punti vuole essere un aiuto per eliminare, per quanto possibile, gli errori d’inserimento, in modo da favorire una buona comunicazione fra i due conigli e ridurre le “brutte esperienze”, ovvero tutti gli incontri che finiscono con l’aggressione di un coniglio ad un altro, che ovviamente rendono il coniglio aggredito prevenuto nei confronti dell’aggressore e l’aggressore più forte nella sua convinzione che l’intruso vada allontanato. è molto più facile far andare d’accordo due conigli sterilizzati che due conigli che non lo sono. In particolare due conigli maschi non andranno mai d’accordo se non sono sterilizzati.
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Una volta effettuata la sterilizzazione, i conigli maschi rimangono fertili per un periodo che può raggiungere le tre settimane: meglio considerare questo aspetto se si vogliono mettere assieme un maschio appena sterilizzato ed una femmina ancora intera, e non si desiderano dei coniglietti. Dopo la sterilizzazione non sono prodotti nuovi ormoni sessuali, che sono la maggior causa di aggressioni per la difesa del territorio e di monte nei conigli, ma gli ormoni in circolo prima dell’intervento impiegano 2-3 settimane prima di essere distrutti dall’organismo. Dunque i comportamenti legati alla presenza di ormoni sessuali non scompaiono immediatamente dopo la sterilizzazione, ma si riducono gradualmente fino a scomparire nel giro di 2-3 settimane. Meglio iniziare l’inserimento almeno 2-3 settimane dopo l’intervento di sterilizzazione. è più facile far andare d’accordo un maschio ed una femmina, meno due femmine, meno ancora due maschi. Ovviamente esistono delle eccezioni legate al carattere di ogni singolo coniglio.
Due conigli che sono cresciuti assieme hanno più probabilità di andare d’accordo di due conigli che vengono messi assieme da adulti. è importante però considerare l’arrivo della pubertà, saperne riconoscere tempestivamente i segnali e sterilizzare i conigli appena li mostrano. Alla pubertà i conigli iniziano a subire gli effetti degli ormoni sessuali e possono presentare diverse modificazioni del comportamento. Possono iniziare a depositare palline di feci in giro per casa: non si tratta di mucchi di palline, ma di singoli pellets emessi mentre il coniglio cammina. Possono comparire delle marcature con urine sui pavimenti o altre superfici orizzontali (divano, tappeto, ecc) che il coniglio considera di particolare importanza, oppure spruzzi di urine (soltanto i maschi) effettuati mentre il coniglio gira velocemente attorno alle gambe del proprietario. Possono comparire comportamenti di monta su gambe o braccia dei familiari o su oggetti. Possono comparire comportamenti di aggressione per difendere il territorio, ad esempio quando qualcuno mette le mani nella gabbia in presenza del coniglio. Nella femmina possono comparire i segni di una falsa gravidanza: fare il nido strappandosi i peli della giogaia (una piega di pelle sotto al collo) o raccogliendo materiale morbido, rimanere sempre in un punto coperto e riparato, come un nido, e difesa di questo luogo. Tutti gli incontri fra i due conigli devono essere effettuati in un “territorio neutrale”, ovvero un luogo dove nessuno dei due conigli è mai stato, dove non ha avuto la possibilità di lasciare marcature che ne indichino il possesso. Se in casa non esiste un luogo simile ci si può organizzare utilizzando una cantina, un garage, un cortile recintato, un giardino, oppure la casa di una persona disponibile. Lo spazio per gli incontri non deve essere ridotto, ci devono essere molte vie di fuga e posti per nascondersi, parecchie zone dedicate al cibo, molte ciotole d’acqua e giochi. I due conigli vanno portati nella zona d’incontro ciascuno in un trasportino di plastica chiuso (non di rete, o il coniglio si sentirà non protetto e potrà essere più aggressivo). I due trasportini dovranno essere messi nei punti più lontani del luogo e con le aperture non direttamente visibili una dall’altra. Fra un incontro e l’altro i due conigli non devono vedersi mai. I primi incontri dovranno essere molto brevi, non più di 5-10 minuti. L’incontro va interrotto immediatamente se un coniglio aggredisce l’altro. Bisogna munirsi di un asciugamano o di uno spruzzatore d’acqua da utilizzare per dividere i conigli in caso di zuffe. Il proprietario può posizionarsi in mezzo ai due conigli, girandosi verso quello che si mostra aggressivo e dicendo “NO!”. Quando i due conigli gireranno tranquilli nel luogo d’incontro li si potrà attirare con dei premi in cibo, uno per coniglio, da offrire in modo che il proprietario rimanga fra i due conigli. Molto spesso un coniglio che è sempre vissuto da solo non è in grado di “parlare coniglio” e questo fa si che aggredisca gli altri conigli o che ne causi l’ira, comportandosi in modo non corretto durante gli incontri. In questo caso l’inserimento può richiedere tempi lunghi e, a volte, l’intervento di un medico veterinario comportamentalista e di un coniglio educatore, ovvero un coniglio molto bravo a comunicare e molto paziente, che spieghi al coniglio “ignorante” il modo corretto di comunicare.
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Omeopatia
Dott.ssa Silia Maruncelli
La bassottina Cleo: storia di un caso risolto
C
leo è entrata tranquillamente in ambulatorio come se fosse stata casa sua, trotterellando sul suo carrellino con la sicurezza che non hanno molti cani a cui le zampe posteriori funzionano benissimo. Era buffa con quelle sue zampette corte che si muovevano a scatti per spostare un corpo un po’ “cicciottello”. Ma nonostante la goffaggine dei movimenti la sensazione che dava era che, zampe o ruote, sarebbe arrivata dove voleva. La proprietaria mi disse che una volta si era buttata con tutto il carrellino in acqua al lago, perché voleva fare un bagnetto. Cleo è una bassottina di sette anni di età che la proprietaria ha adottato dopo che era stata abbandonata in una clinica in seguito alla paralisi degli arti posteriori dovuta ad un’ernia del disco. Da allora si muove con l’aiuto di un carrellino. A settembre del 2007 da un’indagine ecografica era stata diagnosticata una pielonefrite (infiammazione delle vie urinarie), conseguente alla paralisi della vescica dovuta all’ernia. La vescica infatti, essendo compromessa l’innervazione degli sfinteri e della muscolatura, non poteva svuotarsi da sola e per questo era sottoposta a continue, ma necessarie manipolazioni p e r comprimerla e
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far uscire l’urina. Queste manipolazioni però unite all’impossibilità della vescica di svuotarsi completamente a causa della perdita del tono muscolare provocavano l’instaurarsi di infiammazioni ed infezioni continue. Una coltura delle urine aveva evidenziato un’infezione sostenuta da E. Coli e l’antibiogramma mostrava una resistenza nei confronti di quasi tutti gli antibiotici. Da allora, prima della visita omeopatica, Cleo aveva cistiti (infiammazione della vescica) ricorrenti che rapidamente evolvevano in pielonefrite compromettendo la funzionalità renale. Per un anno è stata trattata con cicli di antibiotici. Non passava un mese senza che li prendesse, ma i benefici erano di breve durata. Al momento della visita omeopatica le urine erano di colore verde per la presenza del pus e il PU/CU (rapporto proteine/creatinina urinaria) era 7.4 (non dovrebbe superare 1). Questo parametro è molto importante nella valutazione del danno renale ed il valore di Cleo era molto alto rispetto alla norma. Da un punto di vista psicologico era nervosa e abbattuta. La prima visita omeopatica è stata fatta il 16 maggio. La terapia con il rimedio specifico è iniziata dopo qualche giorno. I sintomi sono rapidamente migliorati e al controllo del 26 maggio le urine erano tornate di colore normale e il PU/CU era sceso da 7.4 a 3.5. Cleo stava meglio ed era più tranquilla e vivace. Il 4 luglio il Pu/Cu si è normalizzato. Alla visita di controllo a settembre la proprietaria mi dice che Cleo non aveva più preso antibiotico. In vacanza nonostante i continui bagni in mare non aveva avuto cistite. Da allora Cleo prende il rimedio quando iniziano i primi segni di cistite e questi rapidamente scompaiono. In questi casi, in cui il danno funzionale è irreversibile e non curabile con nessun tipo di terapia sia essa omeopatica o allopatica, l’esito è una insufficienza renale dovuta al danno progressivo provocato dalle continue infezioni non più gestibili con gli antibiotici. Con la terapia omeopatica è possibile controllare i sintomi migliorando sia la qualità della vita che l’aspettativa in termini temporali.
Medico Veterinario
L’angolo dell’esperto
Prof. Alessandro Ciorba
La congiuntivite nel gatto
Gentile Professore, 10 giorni fa ho notato come la mia gatta avesse un occhio tutto rosso ed un’intensa lacrimazione. L’ho portata dal veterinario, che mi ha detto trattarsi di una congiuntivite di probabile natura virale con un interessamento della cornea. Gradirei avere da lei qualche informazione su questa affezione. Annarosa M. (Cuneo)
La congiuntivite è una infiammazione della congiuntiva (membrana trasparente che riveste la faccia interna della palpebra), che può colpire un occhio od entrambi, provocato da cause assai diverse e molto frequente nel gatto. Nella maggior parte dei casi si manifesta con un’irritazione locale con arrossamento della congiuntiva e la comparsa di una secrezione sierosa, emorragica o purulenta dal margine dell’occhio. È, quindi, abbastanza semplice riconoscere una congiuntivite, ma certamente difficile è capire da quale causa sia provocata. Alla congiuntivite spesso si associa una cheratite, ovvero l’infiammazione della porzione anteriore, trasparente dell’occhio, che si presenta convessa ed è rivestita da un sottile film lacrimale. La cheratite è talora a carattere ulcerativo ed il più delle volte non è semplice fare una netta distinzione tra le due forme infiammatorie in quanto risultano essere strettamente collegate tra loro.
Forme virali
Tra le molteplici cause in grado di provocare un’infiammazione dell’occhio nel gatto varie forme sono di natura virale e tra queste merita di essere citata l’infezione da Herpesvirus. È questo un virus molto diffuso nella popolazione felina e responsabile nel gatto di una malattia infettiva, denominata rinotracheite infettiva, contro la quale è opportuno vaccinare questa specie animale. È un’infezione subdola, in quanto l’animale può ospitare il virus, ma non manifestare segni di malattia, se non in seguito ad eventi stressanti, capaci anche dopo mesi od anni di riattivare il virus e provocare la comparsa di chiari sintomi oculari. Possono essere colpiti: a) i gattini alla nascita che manifestano uno scolo purulento ed un’incapacità di aprire le palpebre, che rimangono aderenti le une alle altre; b) gatti di 8 mesi di età con una grave congiuntivite ed una cheratite; c) gatti adulti, in seguito a stress (interventi chirurgici, gravidanza, lattazione, ecc.). La cura di queste forme richiede l’impiego di antibiotici per via generale e locale (pomate per uso oftalmico applicate 4 - 6 volte al giorno per almeno due settimane), farmaci antivirali.
Forme batteriche
Sulla superficie dell’occhio è presente in condizioni normali una popolazione di germi rappresentata generalmente da batteri, funghi e lieviti, la quale costituisce un importante
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meccanismo di difesa locale nei confronti di microrganismi invasori grazie ad una sorte di antagonismo competitivo. Essa, però, può divenire la causa di infezione secondaria nel corso di altre malattie, che eventualmente colpiscano il gatto. In caso di congiuntiviti provocate da batteri la terapia si basa sull’uso di pomate oftalmiche a base di antibiotici applicate 3 - 4 volte al dì per almeno due settimane.
Forme allergiche
La congiuntiva è una struttura anatomica situata in una posizione particolarmente esposta agli insulti ambientali e questa situazione comporta un suo frequente interessamento in seguito alla stimolazione di diversi fattori di natura allergica. I fattori, che possono essere implicati nella comparsa di una congiuntivite allergica, possono essere: pollini, polveri, alimenti, tossine elaborate da germi, farmaci somministrati per via generale o locale. La congiuntivite allergica si presenta con arrossamento ed irritazione locale, scolo oculare sieroso. La cura consiste nell’eliminazione della causa allergica e nell’applicazione locale di pomate o colliri, a base di antistaminici o cortisonici.
Forme ulcerative
Così come l’uomo anche il gatto può andare incontro alla comparsa di ulcerazioni, che possono colpire la cornea. Queste possono essere di varia gravità, cioè superficiali oppure profonde, singole o multiple. Le cause sono diverse e nello stesso tempo comuni, come ad esempio traumi, graffi, corpi estranei, insulti di natura termica o chimica. Una cheratite ulcerativa è caratterizzata dalla comparsa di dolore, arrossamento della congiuntiva, tendenza a tenere chiuse le palpebre. La terapia si basa sull’applicazione locale di un’associazione di più antibiotici 4 - 5 volte al giorno. Nel caso riportato dalla lettera della signora la congiuntivite, se di origine virale, necessiterà di almeno due settimane di cura per guarire. Importante è seguire attentamente le istruzioni del veterinario applicando più volte al giorno la pomata od il collirio prescritto e non interrompendo la cura, appena si noti un miglioramento. È, infatti, possibile che un trattamento insufficiente provochi la ricomparsa dell’infiammazione.
L’angolo del Ministero della Salute
Dr. Salvatore Macrì
La farmacovigilanza veterinaria
i
medicinali veterinari prima di essere immessi sul mercato sono autorizzati e registrati dal Ministero della salute. Esperti chimici, farmacisti, veterinari verificano gli studi e le ricerche predisposte dalle Aziende farmaceutiche. Sono necessari periodi più o meno
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lunghi di studio e sperimentazioni prima di attestare che un farmaco è efficace per una determinata patologia e sicuro per l’animale e per l’uomo. La valutazione della sicurezza e dell’efficacia del farmaco veterinario dopo l’immissione in commercio spetta al sistema di farmacovigilanza.
Dirigente Veterinario - Ministero della Salute - Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti
Che cos’è la farmacovigilanza?
La farmacovigilanza consente di monitorare la sicurezza dei medicinali veterinari, inclusi i vaccini usati per la profilassi, la diagnosi o il trattamento delle malattie negli animali dopo l’autorizzazione all’immissione in commercio. Il compito della farmacovigilanza è quello di garantire: l’uso sicuro dei medicinali veterinari negli animali; la sicurezza degli alimenti di origine animale; la sicurezza per l’uomo che viene a contatto con i medicinali veterinari, la sicurezza per l’ambiente e l’efficacia del farmaco veterinario.
Perché è importante riportare le sospette reazioni avverse?
In seguito alla valutazione delle informazioni relative alla farmacovigilanza, che provengono dall’invio di appositi moduli di segnalazione redatti da chiunque è a conoscenza di una reazione avversa o una diminuzione di efficacia accaduta in seguito alla somministrazione di un farmaco veterinario, il Ministero può sospendere, revocare o modificare le condizioni dell’AIC (Autorizzazione all’Immissione in Commercio) per limitarne le indicazioni o la disponibilità, cambiare posologia, aggiungere una controindicazione o una nuova avvertenza. Ai fini della tutela della salute umana e animale, il Ministero a seguito di segnalazioni di farmacovigilanza può adottare provvedimenti d’urgenza sospendendo anche l’Autorizzazione di un medicinale veterinario.
Che cosa deve essere segnalato?
È importante che tutte le reazioni avverse siano riportate, anche se si tratta di un solo sospetto, specialmente per i seguenti tipi di reazione: reazione avversa che provoca la morte; reazione avversa che provoca eventi significativi, prolungati o permanenti; reazione avversa inattesa non riportata nell’etichetta o nel foglietto illustrativo; reazione avversa ai medicinali veterinari che si verifica nell’uomo; reazione avversa che si è osservata dopo un uso diverso da quello indicato nel foglietto illustrativo dei medicinali; mancanza dell’efficacia attesa (possibilmente indicare lo sviluppo di resistenza); problema legato ai tempi d’attesa (che può determinare la presenza di residui tali da rendere insicuri gli alimenti per il consumatore); possibili problemi ambientali; reazione avversa conosciuta (menzionata nel foglietto illustrativo) che è grave o che sembri aumentare in termini di frequenza e/o gravità. Se la sospetta reazione avversa è grave, in particolare nel caso in cui un animale muoia, l’evento deve essere riportato immediatamente. Le sospette reazioni avverse devono essere riportate nell’apposita scheda di segnalazione reperibile presso:gazzetta ufficiale n. 121 del 26 maggio 2006 serie generale; sito web www. ema.europa.eu e sito web http://www.salute.gov.it
A chi inviare la scheda di segnalazione?
La scheda di segnalazione va inviata all’ufficio IV della Direzione Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti Ministero della Salute Via Giorgio Ribotta n. 5, 00144 ROMA Tel. 0659946255 Tel. 0659946932 Fax 0659946949 E mail farmacovigilanza@sanita.it o ai Centri regionali di Farmacovigilanza competenti per territorio.
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L’angolo della fitoterapia
La boraggine (Borago officinalis) è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Boraginaceae. Origine: Si ritiene che la pianta sia originaria dell’Oriente. È diffusa in gran parte dell’Europa e nell’America centrale, dove cresce tuttora in forma spontanea fino ai 1000 m s.l.m. È coltivata in tutte le regioni temperate del globo. Il nome deriva dal latino “borra” (tessuto di lana ruvida), per la peluria che ricopre le foglie. Secondo altri ricercatori il nome deriverebbe dall’arabo abu araq (padre del sudore), attraverso il latino medievale borrago, forse per le proprietà sudorifere della pianta. Descrizione: Pianta erbacea, spesso coltivata come annuale, può raggiungere l’altezza di 80 cm. Ha foglie ovali ellittiche, picciolate, verde – scuro, riunite a mo di rosetta, lunghe 1015 cm e poi di minori dimensioni sullo stelo, che presentano una ruvida peluria. I fiori presentano cinque petali, disposti a stella, di colore blu-viola. I fiori sono sommitali, raccolti in gruppo, penduli in piena fioritura e di breve durata. Hanno lunghi pedicelli. I frutti sono degli acheni che contengono al loro interno diversi semi di piccole dimensioni. Usi alimentari: Le foglie giovani trovano vario impiego in cucina. Le foglie cotte sono utilizzate in molti piatti regionali, per minestroni, ripieni per ravioli, torte e frittate. Tipico è il consumo in frittelle dei fiori e delle foglie (passate in pastella e poi fritte). La cottura elimina la peluria che copre le foglie. In moderata quantità le foglie giovani sono mescolate crude nell’insalata. I fiori azzurri, sono usati per colorare e guarnire i piatti, per colorare l’aceto; congelati in cubetti possono costituire decorazione per le bevande estive. L’uso alimentare allo stato crudo in quantitativi significativi è precauzionalmente non consigliato, dal momento che la pianta in tale stato ed in alcune fasi vitali, contiene composti pirrolizidinici, a presunta attività epatotossica. Altri impieghi: Notevole interesse ha suscitato in tutto il mondo il possibile impiego dell’olio estratto dai semi: l’olio gamma 3 linolenico, che trova numerosissimi utilizzi, soprattutto di natura nutrizionale, medicinale, cosmetica. Tale rilievo ha fatto sì che nascesse un rinnovato forte interesse per la pianta, dal momento che è relativamente facile coltivare industrialmente questa pianta e per il fatto che l’altra sorgente vegetale di tale olio è rappresentata dai semi di Oenothera biennis, che è caratterizzata da una tipologia di coltivazione più complessa e da una resa più modesta. Nella medicina popolare trovano impiego le foglie e le sommità fiorite. Nell’antichità la pianta aveva il “potere” di risvegliare gli spiriti vitali (Plinio: “Un decotto di borragine allontana la tristezza e dà gioia di vivere”). è utilizzata per abbassare la febbre e calmare la tosse secca. È nota anche come diuretico ed emolliente. L’olio, ad alto contenuto di acido linolenico, ottenuto dai semi soprattutto per spremitura a freddo, è impiegato nel trattamento degli eczemi e di altre affezioni cutanee, a motivo delle sue spiccate proprietà antiinfiammatorie. Attualmente l’uso terapeutico in quantità significative di foglie e fiori di borragine allo stato crudo è sconsigliato, sia per il fatto che non sono disponibili riscontri scientifici di natura medica , sia perché petali e foglie crude conterrebbero, in quantità non ancora correttamente individuate, alcaloidi pirrolizidinici, a potenziale attività epatotossica. A.C.
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Dal Ministero del Turismo
Turisti a 4 zampe Q
uesta è una iniziativa voluta dal nostro Ministro del Turismo, On. Michela Vittoria Brambilla, sempre particolarmente vicina ed attenta al mondo dei nostri animali. Riteniamo quindi opportuno riportare un estratto del progetto presente sul portale in questione: “www.turistia4zampe.it è il portale che raccoglie migliaia di bar, ristoranti, pizzerie, fast food, hotel, residence, campeggi, agriturismi, villaggi e spiagge che accettano gli animali. Fortemente voluto dall’on. Michela Vittoria Brambilla, ministro del Turismo, è stato realizzato con la collaborazione dell’on. Francesca Martini, sottosegretario di Stato al Lavoro, Salute e Politiche Sociali. Partner dell’iniziativa
sono Federturismo, Confturismo e Assoturismo: moltissime le strutture turistiche che vi hanno aderito. La campagna è finalizzata a migliorare la competitività turistica del nostro Paese, considerando anche che una famiglia su tre possiede un animale da compagnia e ha bisogno di informazioni per organizzare le sue vacanze. Altro scopo è poi quello di combattere il deplorevole fenomeno dell’abbandono, che in Italia è ancora molto diffuso e che coinvolge oltre 750.000 animali all’anno. La legge italiana prevede sino a un anno di carcere per chi abbandona gli animali. Tanti inoltre i consigli e le indicazioni utili: dagli oggetti che non possono mancare nella valigia di un amico a quattro zampe alle norme che regolano il trasporto degli animali in treno,
auto, aereo, nave e bus. Un sito che vuole essere una guida indispensabile per chi sta programmando una vacanza in compagnia del suo animale. Una prima edizione di questa guida, con il nome di “Finalmente entro anch’io , era già uscita - in formato cartaceo - nel 2005, sempre su iniziativa di Michela Vittoria Brambilla, allora presidente nazionale dei giovani imprenditori di Confcommercio. Questo portale rappresenta una versione ampliata della guida precedente, ma soprattutto una versione in continuo aggiornamento, grazie ai nuovi titolari di esercizi pubblici che giorno dopo giorno si iscriveranno, e grazie anche ai commenti, suggerimenti e consigli che arriveranno dai cittadini.” Fonte: www.turistia4zampe.it
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Comunicazione a cura dell’azienda
LEISHMANIOSI: UN COLLARE PER LA VITA L’avvicinarsi della stagione calda fa ritornare di attualità alcune problematiche sanitarie e in particolare, la leishmaniosi, una malattia che colpisce preferibilmente il cane ma che in alcuni casi può interessare anche l’uomo. Con la bella stagione arriva quindi il momento di “prendere per il collo” il nemico numero uno dei nostri cani, il flebotomo o pappatacio, un piccolo insetto che con la sua puntura può trasmettere al cane e all’uomo un parassita, Leishmania infantum responsabile della comparsa di una grave malattia chiamata leishmaniosi, un tempo considerata malattia tropicale. I flebotomi o pappataci (così chiamati perché “pappano in silenzio”) sono minuscoli insetti notturni che per riprodursi hanno bisogno di sangue che prelevano dal cane o dall’uomo. In pratica un pappatacio che punge un cane affetto da leishmaniosi preleva insieme al sangue il parassita che si moltiplica all’interno del suo intestino infettandosi; con la puntura il pappatacio è successivamente in grado di trasmettere ad altri cani e uomini il parassita infettandoli. Anche il cane infetto a sua volta diventa “fonte di infezione” per altri pappataci. Ma nessun allarmismo !! Non c’è contagio diretto né fra cane e cane né fra uomo e cane in quanto sia il cane che l’uomo contraggono la malattia solo esclusivamente attraverso la puntura del pappatacio. Attualmente nel nostro paese la leishmaniosi, è presente non solo nelle regioni centro meridionali e insulari a clima tipicamente mediterraneo, ma anche nelle regioni pre-appenniniche e addirittura in quelle prealpine a clima continentale delle regioni del nord Italia, tradizionalmente indenni. All’origine dell’attuale situazione epidemiologica sembra ci sia il cosiddetto “turismo con cane al seguito” oltre all’adattamento dei pappataci a nuovi habitat, a seguito dei cambiamenti climatici. Il fenomeno desta preoccupazione non solo per la necessità di proteggere il cane dalla malattia ma anche per garantire una adeguata protezione sul fronte umano. Fortunatamente l’uomo è molto resistente alla malattia e il rischio che si ammali riguarda soprattutto persone affette da gravi malattie che compromettono il sistema immunitario come l’AIDS o gli organo- trapiantati. Oggi in assenza di un vaccino efficace l’unico rimedio contro la leishmaniosi è la protezione del cane contro la puntura del pappatacio. Pertanto nelle aree a rischio leishmaniosi è consigliabile: • evitare di portare a spasso il cane la sera; • far dormire il cane in casa durante le ore notturne e applicare alle finestre apposite zanzariere a maglie strette; • utilizzare prodotti a base di piretroidi di sintesi, come il collare a base di deltametrina, una sostanza che si distribuisce sulla cute del cane attraverso il film lipidico e impedisce la puntura del pericoloso insetto in grado di trasmettere l’infezione. Il collare a base di deltametrina ha un efficacia di 5 mesi ed è un utile presidio sia nei cani sani, al fine di evitare l’infezione, nei cani già infetti “serbatoio del parassita per evitare di amplificare l’infezione, nei cani viaggiatori che se condotti in una zona endemica e qui infettati potrebbero portare la leishmaniosi anche in zone che sono attualmente indenni.
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Insetti pericolosi? Non rischiare, proteggi il tuo cane con Scalibor®.
Non utilizzare nei cuccioli di età inferiore a 7 settimane.
NON USARE NEI GATTI
SCALIBOR® è un collare che repelle i pappataci, insetti simili a una piccola zanzara, che con la loro puntura possono trasmettere una grave malattia: la leishmaniosi. I pappataci sono attivi soprattutto durante la stagione calda.
SCALIBOR® protegge il cane dalla puntura dei pericolosi pappataci per 5 mesi. SCALIBOR® può essere utilizzato anche su cagne in gravidanza o in allattamento.
SCALIBOR® Protector Band, un’estate di protezione. Protegge dai flebotomi
Protegge dalle zecche
Protegge dalle zanzare
È un medicinale veterinario. Leggere attentamente il foglio illustrativo. 27 Tenere fuori dalla portata dei bambini. Chiedi consiglio al tuo Veterinario. L’uso scorretto può essere nocivo. Aut. n. 15/VET/2010
Nuove Tendenze
“Conservation Medicine” La medicina della terra, una nuova disciplina per la salute del nostro pianeta
I
l mondo in cui viviamo non è diviso in compartimenti stagni, ma è costituito da un complesso sistema di interconnessioni e collegamenti a tutti i livelli. Purtroppo solo negli ultimi decenni si è cominciato a comprendere una parte delle complesse interazioni che intercorrono ad esempio tra la salute degli ecosistemi, la salute degli organismi che li popolano, uomo compreso, i cambiamenti climatici globali e l’enorme impatto dell’uomo sul nostro pianeta. Gli approcci tradizionali per lo sviluppo di strategie sanitarie preventive e della conservazione dell’ambiente, offrono purtroppo, soluzioni spesso limitate in un mondo sempre più complesso e globalizzato. Mi ricordo ancora bene una visita presso la London Zoological Society negli anni ‘90 ed una passeggiata nel Giardino Zoologico più rinomato dell’Inghilterra, dove davanti ad ogni recinto degli animali, un cartello offriva al visitatore dettagliate informazioni sulla specie di animale osservata; la distribuzione sulla
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terra, caratteristiche della specie, ecc. ecc.. Lo stesso cartello lo trovai con mia grande sorpresa, anche di fronte all’area giochi dei bambini dello Zoo; la mappa della distribuzione segnava una diffusione globale della nostra specie e l’autore ci descriveva come specie altamente invasiva e distruttiva. Vedere i bambini giocare felicemente ed incoscienti di questa loro caratteristica mi ha fatto pensare allora molto. Oggi, un problema su cinque, per ciò che riguarda la salute umana, ha cause ambientali e con una popolazione in continua espansione, l’aumento delle pressioni sullo sfruttamento delle risorse e i conseguenti problemi di economia globale, il pianeta vive profondi e drammatici cambiamenti. Ciò è anche evidente nell’insorgere di nuove patologie che dispongono di “moderni” mezzi di trasmissione con impatto catastrofico sulla salute del pianeta. L’impatto umano sulla salute del pianeta può essere riassunto in quattro punti principali: • Il crescente impoverimento biologico, che include la perdita della biodiversità e
Dr. Klaus G. Friedrich
Presidente SivasZoo, Vice Presidente SICEV, Medico Veterinario, Direttore Sanitario Bioparco di Roma
la modificazione dei processi ecologici; • “L’intossicazione” globale crescente, che include la diffusione di rifiuti pericolosi, di sostanze tossiche e di ormoni con impatto endocrinologico ambientale ed effetti sull’uomo; • Il cambiamento climatico globale, con la rarefazione dello strato di ozono e l’impronta ecologica umana quale risultato della crescita esponenziale della popolazione umana; • L’utilizzo non sostenibile di risorse naturali da parte dell’uomo. Conservation Medicine è una nuova disciplina nata negli Stati Uniti negli ultimi anni, offre un punto di incontro tra scienze mediche ed ecologiche e mira a conseguire il raggiungimento di un futuro sostenibile per la nostra specie e per le altre con le quali condividiamo questa terra. Nell’ambito di questa disciplina sono affrontate problematiche sanitarie in un modo completamente innovativo, cioè da diversi punti di vista in maniera interdisciplinare, considerando malattie infettive emergenti, gli effetti biologici devastanti di sostanze chimiche pericolose per l’ambiente e per gli alimenti, l’influenza dei cambiamenti ecologici sulla salute di uomini ed animali. Aspetti quali la frammentazione degli habitat, la distruzione dell’ambiente, la perdita della biodiversità, i cambiamenti climatici ed atmosferici sono considerati non come eventi separati, ma integrati in modo interdisciplinare in una visione d’insieme per la conservazione e l’equilibrio della salute del Pianeta. Alla base della disciplina di Conservation Medicine c’è il presupposto fondamentale che la salute collega la vita di tutte le specie del Pianeta. La scienza dell’ecologia da sempre ci insegna l’interdipendenza delle specie e del loro ambiente e la salute è un aspetto fondamentale di questo dato di fatto. Conservation Medicine può unire professionalità mediche, ricercatori provenienti delle scienze naturali, scienze chimiche, tossicologiche e veterinarie nell’interesse comune per garantire la salute degli ecosistemi ed in conseguenza degli esseri viventi sulla terra. La nostra definizione del termine salute sta progressivamente cambiando mentre ci accorgiamo dei molti fattori e della grande varietà di cause che hanno un profondo impatto su di essa a livello globale. L’influenza ambientale sulla nostra salute sta diventando sempre più evidente e Conservation Medicine cerca di individuare con il suo approccio multidisciplinare, soluzioni per affrontare le disfunzioni di un ambiente strettamente collegato con la nostra salute. è fondamentale a questo punto trovare anche “le terapie necessarie per un pianeta ormai malato”. Conservation Medicine è finalmente una nuova disciplina scientifica, che porta insieme e a confronto le scienze classiche e potrà essere uno strumento potente nelle mani di medici, medici veterinari e di chi si occupa di salute pubblica, di biologia della conservazione ed ecologia. Per questo Conservation Medicine è stata definita anche “Ecological Health in Practice”, la salute dell’ecosistema messa in pratica.
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Parassiti
I ditteri del genere Gasterophilus
Dr. Claudio De Liberato
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana
Mosche parassite del cavallo
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n questo numero cambieremo completamente tipo di ospiti e di parassiti. Si parlerà infatti non più di pet infestati da vermi, ma di cavalli infestati da insetti, in particolare ditteri, qualcosa di abbastanza vicino alle mosche dal punto di vista della classificazione biologica. L’infestazione non è dovuta alle mosche adulte con sei zampe e le ali, ma alle loro larve, comunemente definite bigattini, simili ai bruchi delle farfalle…e quindi di fatto sempre ai vermi torniamo, anche se lo sono solo per somiglianza morfologica esteriore…. d’altronde è evidente che se un animale deve vivere dentro un altro animale la forma a verme è quella più comoda! L’infestazione di animali vivi da parte di larve di ditteri viene definita in parassitologia “miasi”; qui si tratterà delle più comuni miasi del cavallo, provocate da mosche del genere Gasterophilus, con le quattro specie G. intestinalis, G. nasalis, G. haemorrhoidalis e G. pecorum, caratterizzate da una biologia comune, ma ciascuna con caratteristiche proprie per quanto riguarda le strategie adottate per completare il proprio ciclo. Il genere Gasterophilus fa parte di una famiglia di mosche (Oestridae) tutte agenti di miasi nei più svariati animali e caratterizzate da una strategia biologica comune; in questi insetti infatti le fasi della vita “nutritiva” e “riproduttiva” sono nettamente distinte: le larve, all’interno dei loro ospiti, hanno come sola funzione quella di alimentarsi, accrescersi, ed accumulare sufficiente energia e nutrimento per sostentare anche tutta l’attività dell’insetto adulto, a vita libera (come una mosca qualsiasi) che uscirà dalla pupa dopo la metamorfosi. Gli adulti dal canto loro hanno la sola funzione riproduttiva; durante la loro vita da insetti volatori non si nutrono affatto, e fanno affidamento sulle risorse trofiche accumulate durante la vita larvale. E dato che in natura normalmente quello che non serve viene prima o poi eliminato, gli adulti di queste mosche sono del tutto prive di apparato boccale... tanto non saprebbero cosa farsene. Bisogna anche dire che, altra caratteristica comune a tutte le Oestridae, la maggior parte della loro vita viene trascorsa proprio come larve parassite all’interno dell’ospite (il cavallo nel nostro caso), mentre gli adulti volano solo uno - due mesi durante l’estate, alla ricerca di un partner con cui accoppiarsi e poi di un nuovo ospite per la prole. Appena completata l’opera gli adulti (non essendo in grado di nutrirsi e avendo ormai finito le energie accumulate durante la vita larvale) muoiono, per non ricomparire prima di un anno; ma la generazione dell’anno successivo (si tratta di animali con ciclo annuale) è già
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pronta ed in caldo nel nuovo ospite. Veniamo adesso a parlare specificamente dei Gasterophilus del cavallo. Gli adulti sono grosse mosche pelose, un po’ assomiglianti a delle grosse api (G. intestinalis e G. nasalis sono chiare, giallastre), che molti di quelli che posseggono un cavallo avranno visto chi sa quante volte girare intorno al loro animale durante le calde giornate estive. Quelle che vedete sono le femmine gravide che hanno il problema di far si che la loro prole arrivi dentro il vostro cavallo. Tutte le larve di queste specie vivono infatti nel sistema digerente dell’ospite, anche se con localizzazioni diverse. La cosa che cambia di più è la strategia scelta per arrivarci, con G. pecorum che, rispetto alle altre specie, ha sicuramente adottato la strategia più “diversa”. Prendiamo come specie tipo G. intestinalis, la più comune, descrivendo la sua biologia. Vedremo poi come le altre specie si differenziano da questa. La femmina di G. intestinalis attacca le uova ai peli delle zampe anteriori del cavallo, cementandole in una maniera simile a quella usata dai pidocchi per attaccare le loro uova ai nostri capelli. Quando il cavallo si lecca le zampe, il calore e l’umidità della sua lingua attivano le larve che escono istantaneamente dalle uova e, trasportate dalla lingua del cavallo, vengono deglutite e raggiungono la loro localizzazione finale, lo stomaco del quadrupede (a dispetto del nome “intestinalis”). Si ancorano quindi alle pareti dello stomaco mediante degli uncini boccali e così attaccate si nutrono, mutano e si accrescono per molti mesi. Arrivate a maturità, non gli resta che staccarsi dalla parete dello stomaco, percorrere tutto il tubo digerente trasportate dai movimenti peristaltici e farsi “espellere” all’esterno nelle feci dell’ospite. Giunte all’aperto, le larve si impupano e dopo un periodo di metamorfosi sfarfallerà la mosca adulta. Dunque nel cavallo sono presenti i bigattini in accrescimento al livello dello stomaco. Si noti un elemento che potrebbe essere passato quasi inosservato: le uova vengono attaccate ai peli delle “zampe anteriori” e non altrove perchè devono stare in un posto in cui il cavallo riesca a leccarsi, altrimenti difficilmente potrebbero essere ingerite. Avrebbe vita breve una specie di Gasterophilus le cui femmine deponessero le uova sui peli alla base della coda!!! Veniamo ora a vedere le differenze con le altre specie, sia di localizzazione interna nel cavallo che di strategia di “arrivo nel cavallo”. G. nasalis e G. haemorrhoidalis hanno strategie simili: le uova vengono deposte direttamente sul muso del cavallo, vicine alla sua bocca. Le larve escono e attivamente si muovono verso la bocca dell’animale, vi penetrano, e
Parassiti
il tutto ricomincia. Le larve di G. nasalis si fermano nello stomaco come quelle di G. intestinalis, mentre quelle di G. haemorrhoidalis dopo aver trascorso un po’ di tempo nel duodeno, scendono e completano il loro sviluppo nel retto, da cui il nome della specie. Strategia completamente diversa è stata adottata da G. pecorum. Le femmine di questa specie non vanno alla ricerca di un cavallo, ma depongono le uova sulla vegetazione, “scegliendo” piante appetibili ai cavalli. In questo modo le uova vengono ingerite; le larve vivono per un po’ di tempo nel retrobocca, dove mutano, e si spostano poi nello stomaco…dove già ci sono quelle di G. intestinalis e G. nasalis…. Attenzione, ovviamente quando si dice che le femmine di G. pecorum “scelgono” piante appetibili al cavallo, ovviamente non si parla di scelta consapevole, ma di scelta premiata dall’evoluzione, “evolutivamente consapevole” si potrebbe definire (come nel caso del sito di attacco delle uova di G. intestinalis). I cavalli albergano spesso centinaia di larve di questi ditteri, a volte migliaia. Bassi livelli d’infestazione sono ben tollerati, ma nei casi più gravi l’effetto patogeno può esse-
re notevole (gastriti, ulcere, ecc.) e addirittura provocare la morte dell’animale. C’è però da dire che, al contrario di parassiti che trascorrono tutta la vita nell’ospite e che al suo interno si riproducono, il destino dei bigattini dei Gasterophilus è quello di lasciare l’ospite; le infestazioni mediamente tendono quindi ad essere autolimitanti, con fluttuazioni tra periodi di carica maggiore e periodi in cui l’animale si libera quasi completamente di questi ospiti. I cavalli temono queste mosche e la presenza di femmine gravide che svolazzano insistentemente intorno ad un animale in cerca di ovideporre può provocare sue reazioni violente ed inconsulte, reazioni che possono risultare pericolose per il cavallo stesso e per chi lo stia montando o abbia comunque a che fare con lui in quel momento. Un po’ come si fa per i pidocchi umani, un metodo per sapere se il nostro cavallo è infestato è andare a cercare le uova di queste mosche attaccate ai peli dell’animale nelle localizzazioni di cui abbiamo parlato (zampe anteriori e muso). La loro presenza è un’indicazione quasi certa di infestazione.
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Pet Care
Allergia da contatto nel cane Prof. Andrea Spaterna Responsabile Ospedale Veterinario Didattico Scuola di Scienze Mediche Veterinarie Università degli Studi di Camerino In che cosa consiste questa malattia?
L’allergia da contatto, meglio nota come dermatite allergica da contatto o ipersensibilità da contatto, rientra, insieme alla dermatite irritativa da contatto, nell’ambito delle reazioni cutanee conseguenti appunto al “contatto” con determinate sostanze. Mentre l’allergia da contatto riconosce un meccanismo di tipo allergico, quella irritativa è semplicemente riconducibile all’azione irritativa da parte di alcune sostanze. Anche in questo caso, come in quello delle reazioni avverse al cibo, tale differenziazione nella pratica risulta impossibile, cosa che peraltro non comporta alcun problema per quanto concerne la gestione terapeutica, che passa, per entrambe le condizioni, per l’eliminazione/allontanamento della/e sostanza/e responsabile/i.
Si tratta di una malattia frequente nel cane?
Nel cane la reale incidenza di tale malattia non è nota, anche per l’impossibilità di differenziarla dalla dermatite irritativa da contatto. Tuttavia, si può affermare che in questa specie animale si tratta di una condizione di non frequente riscontro, anche a motivo della naturale protezione da parte del pelo, che limita il contatto della cute con le varie sostanze. A differenza della dermatite irritativa da contatto, che può interessare soggetti di qualsiasi età, l’allergia da contatto in genere si manifesta in animali adulti, dovendo, come tutte le malattie allergiche, prevedere una precedente fase di sensibilizzazione. Secondo alcune ricerche determinate razze, quali Pastore tedesco, Fox Terrier, West Highland White Terrier e Golden Retriever, risulterebbero più predisposte di altre a sviluppare questa condizione allergica.
Quali sono le sostanze responsabili di
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questo tipo di allergia?
Numerose sostanze possono comportarsi come allergeni da contatto, quali vegetali (oleandro, edera, quercia, aghi di pino, fiori di gelsomino), medicamenti topici (neomicina, anestetici locali, vaselina, shampoo, saponi, spray; in qualche caso la sensibilizzazione può essere determinata non dal principio attivo, ma dal veicolo, come ad esempio la lanolina), sostanze chimiche (nichel, cobalto, formaldeide, cromo), sostanze ad uso domestico (ciotole di plastica, tappeti, collari, legno di cedro, detersivi, olii minerali, cera per pavimenti, lana, coperte sintetiche, fertilizzanti, cemento) etc.. In genere il cane si sensibilizza verso un solo allergene, ma a volte anche nei confronti di due o più.
Con quali sintomi può decorrere tale condizione morbosa?
L’allergia da contatto, come detto, si manifesta clinicamente in maniera sovrapponibile alla dermatite irritativa da contatto, pur trattandosi di due distinte entità patologiche. Le lesioni tendono ad essere localizzate in corrispondenza dei punti meno provvisti di peli; punti nei quali, gli allergeni da contatto, così come le sostanze irritanti, possono con maggior facilità venire in contatto con la cute. Le lesioni saranno pertanto localizzate in corrispondenza delle regioni ascellari e inguinali, della superficie interna delle cosce, dello scroto e della parte inferiore (faccia volare) dei piedi tra i polpastrelli; se l’allergene è rappresentato da un medicamento topico risulteranno interessate le zone di applicazione dello stesso (ad esempio superficie interna del padiglione auricolare in caso di applicazione di prodotti otologici), mentre se ad esempio la condizione è riconducibile al materiale con il quale è fatta la ciotola si assisterà ad un prevalente coinvolgimento del muso. Le lesioni caratterizzate inizialmente da aree arrossate (eritematose) possono evolvere con escoriazioni
e croste, nonché, quale risultato del processo di cronicizzazione, con ispessimento ed iperpigmentazione della cute. Il prurito è sempre presente anche se può essere di grado variabile.
Quando si può sospettare che il proprio cane soffra di una tale condizione morbosa?
La comparsa di lesioni pruriginose in corrispondenza di aree cutanee poco o per nulla ricoperte di pelo può lasciar considerare il sospetto di tale dermatopatia, così come il dato relativo ad un eventuale cambio di ambiente da parte dell’animale o al suo contatto con nuove sostanze (farmaci topici, introduzione della ciotola di plastica etc.) nelle settimane/ mesi precedenti la comparsa delle lesioni. Tuttavia, dato che questa malattia si può manifestare dal punto di vista clinico in maniera sovrapponibile a numerose altre dermatosi pruriginose, solo il Medico Veterinario può giungere a tale diagnosi, seguendo un appropriato iter, che può prevedere tra l’altro una c.d. prova di isolamento. Tale prova consiste nel cambiare se possibile ambiente all’animale per un certo numero di giorni (15-20), allontanandolo in tal modo dagli eventuali allergeni da contatto/sostanze irritative da contatto, e quindi nel verificare se in tal modo si ottiene la remissione della sintomatologia; la riacutizzazione della stessa a fronte della reintroduzione del soggetto nel suo ambiente abituale rappresenta la conferma che alla base della dermatopatia ci fosse effettivamente una componente da contatto, pur non potendo differenziare se su base allergica o semplicemente irritativa. Nel caso non fosse perseguibile l’allontanamento dell’animale dal suo ambiente, occorre quantomeno eliminare per lo stesso numero di giorni tutti gli oggetti e/o cose con le quali è venuto in contatto negli ultimi tempi, eseguendo successivamente, a fronte di una regressione del quadro clinico, la reintroduzione degli stessi.
Si possono effettuare delle prove allergiche?
Come nell’uomo anche nel cane si può effettuare il patch test, che consiste nell’applicare sulla cute opportunamente tosata le sostanze sospette per 48 ore, mediante bendaggio occlusivo; tuttavia, tale prova nel cane risulta difficile da effettuare per problemi di esecuzione pratica, oltre al fatto che i risultati non sono sempre attendibili. Si può curare tale malattia? La condizione ideale è evidentemente legata all’eliminazione/allontanamento della/e sostanza/e responsabile/i. Nel caso questo non dovesse risultare possibile, il Medico Veterinario potrà comunque istituire una terapia in grado di controllare i sintomi.
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Pet Summer
Patrizia Daffinà
Presidente Associazione Baubeach Village
Baubeach
Cronaca di un amore L’
estate 2010 ha regalato a chi vive con un Cane ed abita nel Lazio una grande emozione: il ritorno del Baubeach, la prima spiaggia in Italia per cani “liberi e felici“. L’Oasi di serenità e civiltà attesa da tempo (oramai 5 anni!), il punto di incontro di diverse esigenze e prospettive, che prediligono il benessere animale e l’Ambiente… Maggio è stato, nonostante le piogge e il clima non proprio estivo, il mese del “work in progress”: si è attrezzata la spiaggia, che quest’anno vede la sistemazione di una bellissima tenda berbera come Reception, lettini e ombrellini rossi nuovi fiammanti con la scritta “I Love Baubeach!”, una postazione di salvataggio di tutto rispetto, con la presenza di un assistente bagnanti straordinario, il Terranova Aks, che “si fa aiutare“ dalla fantastica Lucilla Milani della Associazione CUCS di Santa Marinella . Incontri, baci e anche lacrime di commozione, per questi primi giorni in cui ci si rende conto che il tempo è passato, molti nostri Amici con la coda ci hanno lasciato , anche se le loro corse felici ancora sembrano confondersi con le mille evoluzioni festose dei nuovi arrivati, delle new entry ancora ignare di questo microcosmo amo-
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roso che li aspetta... Sarebbe meraviglioso posizionare una telecamera e filmare il primo arrivo al Baubeach: farne un film su QUANTA può essere la gioia di un Cane e su quanto sia infinito il contagio di questo per gli Umani. Arrivo, spesso legati, come si usa in Città: ma una voce, dalla Reception, dopo un rapido e coscienzioso check, annuncia: “Liberi dal guinzaglio, please!” È allora che tutto sembra possibile, quell’azzurro e quella grande distesa di sabbia popolata di propri simili, “liberi e felici “, è un richiamo irresistibile: la gioia è incontenibile, ed è allora che scatta il “sorriso” nei loro occhi e in tutto il loro corpo… Salti, corse festose, annusamenti più o meno imbarazzanti, e ancora simulazioni, scarti laterali, rincorse... Come se tutta la forza e la felicità potessero in un solo momento riuscire ad esplodere, come un fuoco d’artificio, in un Cielo splendente di stelle e di schizzi e di Sole! Come se in quel solo momento si riscattassero anni di solitudine e malinconia, dentro gabbie o balconi di città, come se tutta la dolorosa memoria che collega le menti sensibili alla parola “cane”, fossero in un istante cancellate, rimosse, buttate nel cestino e dissolte in una nuova serenità, grata e divertita da questa in-
Pet Summer
credibile euforia che il Baubeach riesce a contagiare. In molti si chiedono: Ma tanti cani liberi, non creano problemi? È il nostro segreto: condiviso con l’Autorità in materia, la ASL Roma D che ha regolamentato autorizzato la spiaggia. Grazie ad una nostra intuizione di qualche anno fa e alla mente illuminata dell’allora Direttore sanitario, il Dott. Claudio Fantini, si sono alternate le condizioni: solo la possibilità di circolare liberi può ridurre il rischio di territorialità e quindi evitare tensioni tra i cani. Certo, il nostro lavoro consiste nella selezione iniziale, severa e attenta: ma poi… Baubeach diviene il palcoscenico di un gioco inesauribile, pace per lo spirito e iniziazione ad una nuova coscienza etologica per molti. Appena il Sole è arrivato, la spiaggia si è animata alla grande: le voci corrono e si parla addirittura del fatto che una produzione cinematografica ha scelto Baubeach come location per la presentazione del Film “Sansone“, il famoso personaggio delle vignette di quando eravamo bambini…E i bambini, anche loro sono splendidi protagonisti di questo show quotidiano, capitanati dalla nostra mascotte, Marta, 6 anni, parte dello Staff e artefice del disegno che tutti sfoggiano sulle magliette “I love Baubeach“ in cui una
frase del Grande M. Ghandi ci ricorda: WE MUST BE THE CHANGE WE WHISH TO SEE IN THE WORLD Possiamo essere il cambiamento… lo ricordiamo ogni giorno, quando ci si presentano persone vincolate da rigidi schemi, che non hanno mai concesso al loro cane di giocare con gli altri, lo ricordiamo quando tentiamo di contagiare una coscienza animalista, invitando al controllo delle nascite, condizionando il permesso ad entrare alla registrazione alla anagrafe animale, invitando i volontari dei canili a portare i loro sfortunati ospiti al mare, per cercare una casa o anche per respirare un po’ d’aria pulita… Possiamo essere il cambiamento: e allora andiamo a ruota libera, abbracciando progetti etici, come quello di alcune Associazioni che lavorano per garantire un futuro ai bambini indiani, poverissimi e soli al mondo, collaboriamo con aziende eque e solidali, cerchiamo di informare su modalità di vita biocompatibili distribuendo gratuitamente una bellissima Rivista, tra le altre, dal nome illuminante: ”Terra Nuova”! Perché quello che vorremmo vedere nel mondo è figlio di ogni nostro gesto quotidiano e l’Amore per il nostro Cane ci illumina la strada.
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Cose di gatti
Come is prende in braccio un gatto I
l gesto che ci viene spontaneo quando entriamo in contatto con i nostri amati gatti, è quello di stringerli tra le braccia per coccolarli. Ma stiamo comunque attenti a capire se il gatto gradisce questo gesto più umano che felino. Come per tutti i tentativi di educazione di un gatto, anche questo rientra in quei gesti che vanno attuati con delicatezza fin dalla più tenera età del micio, poiché ciò che imparano da piccoli diventa un’azione familiare e quotidiana in età adulta, senza comportare atteggiamenti di disagio e costrizione da parte del gatto. È davvero controproducente costringere il gatto a fare cose che non vuole, pertanto non forzarlo e dimostrare rispetto al suo rifiuto è il gesto d’amore maggiore nei suoi confronti. Una volta stabilito se il micio ama stare in braccio, cerchiamo di prenderlo in modo corretto, evitando così un inutile stress al nostro amico. Se riusciamo a rispettare alcune semplici regole, in cambio riceveremo fusa a profusione e strette di palpebre da un bebè improvvisato e ben contento di stare in stretto contatto con noi. La prima cosa importante è evitare alcuni errori nel sollevare il gatto: se si solleva da sotto le zampe, facendo così ciondolare il resto del corpo, anche un gatto di indole tranquilla dimostrerà fastidio e nervosismo; se il gatto in questione invece è di carattere più vivace, cercherà addirittura di divincolarsi graffiandoci
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Marta Picciurro
involontariamente con le zampe posteriori. Un altro modo scorretto di sollevare il gatto, è quello di prenderlo per la collottola imitando la presa della bocca della madre con i cuccioli. Solo gatta mamma riesce a usare quel metodo con successo, noi così facendo riusciamo solo a far male al micio. Un modo corretto di sollevare il gatto, è quello di mettere una mano con il palmo aperto sotto il petto tra le zampe anteriori, e l’altra sempre con il palmo aperto tra le zampe posteriori. Particolare attenzione va rivolta nei confronti dei cuccioli. I piccoli nei primi mesi di vita hanno le articolazioni e le ossa ancora fragili, quindi bisognerà prestare ancora maggiore cura nel sollevarli, operando con la massima delicatezza possibile. Una volta sollevato, il gatto preferirà appoggiarsi con le zampe posteriori all’interno dell’avambraccio piegato ad angolo retto e tenere le zampe anteriori sulla spalla. Il peso del gatto deve essere sostenuto dal braccio in modo che lui possa sedersi mantenendo una posizione per lui confortevole. Infine un consiglio per i genitori: seguite i vostri figli nel momento in cui sollevano il gatto per prenderlo in braccio. È molto importante che i bambini si abituino a prendere il micio nel modo giusto. Anche il gatto più dolce e tranquillo potrebbe reagire graffiando o mordendo per una presa involontariamente dolorosa da parte di un irruente e inconsapevole bambino.
Cose di gatti
Con pedigree o senza?
Chiara De Paolis
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uando si sente nominare il pedigree subito si associa ai gatti di razza. Ma pochi sanno in cosa consista il pedigree e che valenza abbia. Il pedigree è un documento che racchiude tutte le informazioni relative ad un esemplare di razza pura. I dati riportati su di esso sono una vera e propria carta di identità: nome completo del gatto, data di nascita, razza, sesso, colore e varietà (riportati in forma sincopata con un codice EMS -Easy Mind System- che descrive colore e varietà di ogni razza riconosciuta con brevi lettere e cifre numeriche), colore degli occhi, numero di microchip (ove sia obbligatorio secondo le regole associative e/o statali), e l’allevamento da cui proviene. Oltre a questi dati, è elencato per intero l’albero genealogico, dai genitori ai trisavoli, del gatto, che ne determinano il diritto all’appartenenza ufficiale ad una razza specifica. Il pedigree può essere rilasciato solamente dalle Associazioni feline che gestiscono dei libri d’origine. Il libro d’origine è un registro in cui sono elencati tutti gli esemplari di razza pura e i loro cuccioli appartenenti ad allevatori amatoriali e privati, che devono essere a loro volta regolarmente iscritti all’Associazio-
ne felina presso la quale si decide di registrarsi e registrare i propri gatti e cuccioli. In Italia ci sono diverse Associazioni feline, tutte sedi nazionali di Associazioni di livello mondiale, ma una sola ad oggi – l’Anfi,Associazione Nazionale Felina Italiana - gestisce il Libro Origine ufficiale soggetto alla Legge italiana. Consegnatario del Libro Origine da parte dello Stato italiano è il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali stesso che determina gran parte delle normative tecniche di allevamento. In generale però in ogni Associazione vigono dei regolamenti abbastanza comuni, che determinano e controllano soprattutto la riproduzione e la cessione dei cuccioli (esiste un’età minima per la cessione di un cucciolo, che deve inoltre possedere anche un libretto sanitario con effettuate vermifugazioni e vaccinazioni trivalenti). Regole che pongano dei limiti entro i quali si abbia rispetto della salute fisica e psicofisica sia degli adulti che riproducono sia dei loro cuccioli: a queste regole sono soggetti tutti coloro che riproducano i propri esemplari, anche se per una sola cucciolata. In determinate condizioni di non rispetto dei regolamenti, un’associazione può far in modo che un allevatore si veda negare il rila-
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Cose di gatti
scio dei pedigree. Tra le regole comuni a più associazioni vige anche il categorico divieto di rivendere i cuccioli di razza pura nei negozi di animali e di accoppiare esemplari con pedigree con altri privi di pedigree. Tutto ciò garantisce con il pedigree che il soggetto acquistato abbia implicitamente superato alcune regole minime che ne stabiliscono una garanzia, cosa che con nessun gatto privo di documenti, sia pedigree sia libretto sanitario, potrà essere data. Questo è importante per chi desideri acquistare qualsiasi gatto di razza, anche destinato alla semplice compagnia. Quando si acquista un gatto di razza è importante capire che solo i soggetti di razza pura possono ottenere un pedigree, in quanto i loro avi lo posseggono. Cuccioli nati da gatti privi di pedigree non potranno mai ottenerlo da nessuna Associazione. Pertanto attenzione… spesso può accadere che si acquisti un gatto senza pedigree di presunta razza pura, e scoprire poi che tale gatto ‘somiglia’ alla razza, ma che invece è un incrocio (poiché ogni razza ha uno standard riconosciuto, gatti che si discostano per differenze sostanziali dallo standard NON sono di razza). Onde sfatare un mito, è giusto sapere che il rilascio del documento ‘pedigree’ ha un costo davvero contenuto e non farebbe pertanto
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nessuna differenza sostanziale di prezzo alla cessione del gatto e pertanto quando si acquista un gatto di razza pura l’acquirente deve pretendere anche la consegna del pedigree, poiché è l’unico documento che possa stabilire e garantire che il gatto è di razza: diffidare assolutamente da chi chiede una differenza sostanziale di prezzo per cedere il gatto con e senza pedigree. Anche controfirmare un regolare passaggio di proprietà (il cui format viene fornito dalle Associazioni, anche direttamente scaricabile dai loro siti internet) è importante in quanto è un documento che determina il possesso regolare del gatto ed evita spiacevoli casi di possesso illegittimo da parte di terzi, in caso di fughe e smarrimenti, o controversie. È importante per questo che un proprietario possegga anche un numero di microchip precedentemente impiantato nel proprio gatto, che può consentirne l’esatto riconoscimento e possa così effettivamente impugnare un diritto davanti alla legge. In termini pratici inoltre chiunque acquisti un gatto di razza con l’intento di farlo riprodurre, dovrà sapere che il possesso di pedigree dell’esemplare è l’unica chiave d’accesso ad una riproduzione ufficiale a livello internazionale ed alla possibilità di partecipare anche alle esposizioni feline.
Curiosità
Ma il cane sorride?
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olto frequentemente si tende a dare interpretazioni antropomorfiche agli atteggiamenti dei nostri piccoli amici ed a determinati loro comportamenti, che in fondo non sono altro che dei momenti di comunicazione ad esempio del cane verso i propri simili. Così talora ci troviamo di fronte ad un cane che sembra sogghignare e che può farci sembrare che il cane sorrida. Il cane però manca di particolari muscoli facciali e quindi non è in grado di esprimere un sorriso, che nel mondo degli umani è interpretato come un momento di dimostrazione di amicizia o cordialità. Questa forma di sogghigno nel cane fa sì che lasci scoperti i denti ed è il più delle volte associato ad altri comportamenti che denunciano un atteggiamento di sottomissione. Sembra che in questa maniera il cane stia cercando di catturare la benevolenza della persona vicina. Da parte dei comportamentalisti è interpretato come un atto volto a minimizzare, ove possibile, un eventuale stato di aggressività di una persona estranea o dello stesso proprietario. Possiamo definire come atteggiamenti deferenziali i casi in cui un cucciolo od un soggetto particolarmente stressato tende a sogghignare mostrando le gengive oppure quando si leccano le labbra e mostrano gli incisivi oppure in una situazione di sottomissione. In conclusione non possiamo considerare questi momenti come riflettenti uno stato di particolare benessere o addirittura di felicità per cui il così detto sorriso del cane non è altro che un’espressione di una situazione del tutto canina, non paragonabile con atteggiamenti umani. A.C.
Il cane ha proprietà insospettabili
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icercatori austriaci dell’Università di Vienna hanno messo in evidenza un’altra insospettata capacità del nostro amico cane. Secondo le indagini compiute il cane sarebbe in grado di classificare diverse categorie di foto a colori di soggetti complessi. In questo esperimento, ai cani sono stati fatti utilizzare i tasti di un computer per ottenere una risposta che non fosse influenzata da un intervento dell’uomo. Durante le fasi dell’addestramento, con lo scopo di determinare la capacità dei cani di riuscire a distinguere differenti categorie di immagini, a quattro animali sono state sottoposte foto di paesaggi e di cani. Se i cani riuscivano a mettere assieme in maniera corretta le immagini dei loro consimili, ricevevano come premio delle crocchette. Nel corso del primo test ai cani sono state presentate foto di determinati paesaggi e di alcuni cani. Essi hanno continuato a selezionare perfettamente le immagini di questi ultimi, dimostrando la loro capacità di utilizzare le conoscenze acquisite nel corso dell’addestramento, in presenza di stimoli del tutto nuovi, in quanto le nuove foto non erano mai state loro mostrate in precedenza.
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Nel secondo test sono state sottoposte all’attenzione degli animali le foto di paesaggi utilizzate nella fase di addestramento, questa volta con la presenza di cani. I cani si sono quindi trovati di fronte ad informazioni in qualche modo contraddittorie: da un lato ricevevano uno stimolo positivo, poiché i cani figuravano nelle immagini (pur trattandosi di nuovi cani), dall’altro il paesaggio costituiva uno stimolo negativo. Quando gli animali si sono trovati a dover scegliere fra una foto che mostrava il nuovo cane in un paesaggio familiare e un’altra foto che mostrava un nuovo paesaggio senza cane, non si sono sbagliati e hanno scelto la prima. Questi risultati provano che il cane è in grado di elaborare il concetto cane. Tuttavia, l’esperimento non permette di svelare se il soggetto riconosce l’immagine di un cane, virtuale, come se fosse un cane reale. I ricercatori ritengono che, con questo test basato sull’impiego di un computer munito di tasti utilizzabili da un cane, si possa aprire un ampio ventaglio di possibilità per testare le facoltà cognitive di questi animali, dal momento che il soggetto agisce in modo totalmente distaccato dall’influenza involontaria del proprietario o dello sperimentatore. A.C.
Curiosità
Il cane nella Roma antica
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u affreschi, sculture, monete e mosaici di epoca romana possiamo rinvenire immagini significative di braccoidi, molossoidi e di cani molto simili al nostro cirneco. L’interesse degli antichi romani era così intenso che nelle varie provincie dell’impero erano inviati i procuratores cinogiae, cioè degli ufficiali specializzati nella ricerca e raccolta di cani pregiati d’allevamento. Questi erano poi condotti a Roma per impiegarli nell’attività riproduttiva ed addestrativa. I Romani differenziavano i cani in venatici (cani da caccia), pastorales (da pastore) e villatici (cani da guardia di fattorie, case, accampamenti). I cani da caccia erano distinti in sagaces (che seguono le tracce della selvaggina), celeres (che rincorrono la selvaggina) e pugnaces (che attaccano la selvaggina). A Roma il cane era simbolo di aggressività tanto che l’oratoria aggressiva, fino a rasentare l’impudenza, era denominata eloquentia canina, oggi diremmo eloquenza mordace. Non a caso all’ingresso delle case romane, nei cortili, nei corridoi d’accesso all’atrio gli ospiti erano accolti da mosaici in bianco e nero raffiguranti grossi cani da guardia e molossi in atteggiamento ostile, pronti ad abbaiare e a saltare addosso agli sconosciuti. E non di rado accanto all’immagine si aggiungeva anche la scritta Cave canem!: attenti al cane, un avvertimento giustificato appunto dalla credenza che il cane da guardia, spesso proprio il mastino
napoletano, fosse aggressivo o, comunque, addestrato ad esserlo. In varie parti di Italia, ma in particolare nella campagna romana, in Abruzzo ed in altre zone dell’Italia meridionale sono diffusi i cani da pastore maremmano - abruzzesi, conservatisi tali dall’epoca dell’antica Roma. I Romani conoscevano ed allevavano i segugi, i progenitori dei beagle ed i cani da caccia in genere, importati dai legionari dalla Grecia ed esportati più tardi, nel primo secolo d.c. in Britannia. Il mastino nell’arte romana Allorché Alessandro Magno ritornò in Grecia dall’India, portò in regalo il mastino al re Poro e di qui prende piede l’allevamento del mastino che in seguito si diffonderà nel mondo controllato dai romani con il nome di Molosso italiano. È testimoniato dalla pittura locale che gli antichi Persiani ed il loro re Dario allevassero molossi. A Roma ed in Britannia erano allevati i molossi per i combattimenti nei circhi. Lo storico Columella nel De rustica del I sec. a.c. fa un’accurata descrizione del mastino napoletano, discendente dagli antichi molossi. Questa razza era utilizzata nell’Italia meridionale per la guardia. Gran parte delle razze canine, in realtà, trassero origine dall’antica forma del mastino assiro-babilonese e si sparsero per il mondo grazie ai Fenici che navigarono per tutti i mari. A.C.
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Curiosità
In Australia sono piovuti i pesci
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a natura non finisce mai di stupirci ed a volte sembra che voglia prendersi gioco di noi esseri umani e di tutte le nostre credenze e certezze. Il tempo e le sue variazioni stanno a cuore a tutti noi per i riflessi anche sul nostro umore. L’episodio accaduto in Australia supera qualsiasi immaginazione e potrebbe far pensare allo scherzo di un miliardario buontempone. A Lajamanu, un piccolo villaggio con meno di 700 abitanti situato all’interno della sconfinata Australia, durante un lungo temporale durato ben due giorni le strade del paese si sono riempite di pesci. Alcuni di questi erano ancora vivi. In ogni caso questo paese non è nuovo a questo genere di eventi. Nello stesso villaggio già altre due volte nel corso degli ultimi cinquant’anni sono piovuti pesci dal cielo. In particolare il fenomeno più consistente si era avuto nel 1974. Tale evento si spiega con il fatto che in alcune particolari situazioni atmosferiche si creano, a causa del vento in mare o nelle superfici dei laghi, dei forti mulinelli. Questa specie di potenti trombe d’aria possono risucchiare anche dei pesci che, prima sono portati verso l’alto e poi ricadono a terra durante il temporale anche a decine di chilometri di distanza dalla costa. Un funzionario dell’Agenzia australiana di Meteorologia ha spiegato come in questo particolare caso la tempesta, causata da venti molto intensi, potrebbe aver trascinato in alto i pesci per addirittura 15 chilometri e che poi questi sono stati trasportati nelle zone interne. Talora accade che i pesci sopravvivano alle caduta, facendo ritenere che trascorra poco tempo da quando sono preda dei vortici della tempesta , tal’altra sono già morti per congelamento a cau-
sa dell’altezza o possono ricadere letteralmente congelati racchiusi in blocchi di ghiaccio. È indubbiamente un fenomeno strano, ma noto scientificamente. Così alcuni scienziati ritengono che persino l’invasione di rane che costituisce una delle dieci piaghe d’Egitto possa essere inquadrata di un evento simile. Durante il Medioevo in certe aree costiere il fenomeno era così comune che gli abitanti di alcuni villaggi credevano che i pesci nascessero in cielo per poi precipitare in mare durante i temporali. Il giornale locale di Lajamanu ha riportato i commenti di alcuni abitanti del villaggio, i quali non sono sembrati preoccuparsi particolarmente per tale situazione insolita. Uno di questi ha commentato scherzosamente riflettendo sul fatto che nella zona vivano anche dei coccodrilli: “Sino a che piovono pesci è tutto ok, se cominciassero a piovere coccodrilli sarebbe un bel guaio !” A.C.
Una risata sui generis U na singolare indagine compiuta dalla Università della California ha avuto come oggetto la particolare risata delle iene, che viene emessa da questi animali allorché stanno per attaccare una possibile preda. Secondo i ricercatori si tratta di un determinato modo di comunicare e non di un verso casuale. In precedenza era stato evidenziato come in base al tono della “risata” si potesse risalire all’età dell’animale che la emetteva. In questa ricerca si precisa come la variazione di frequenza delle note emesse da una iena sia un momento con il quale l’animale trasmette informazioni sul proprio rango sociale. Con questo sistema si definisce all’interno di un branco la precedenza ad alimentarsi e la suddivisione della preda. In natura questi mammiferi sono predatori notturni che vivono in gruppi che possono variare da 10 a 90 individui. In genere hanno un comportamento coo-
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perativo durante la caccia, ma diventano molto competitivi tra loro al momento di alimentarsi. L’organizzazione sociale del branco è nettamente matriarcale. Le femmine, indipendentemente dalla età, sono ai vertici della piramide sociale. Le informazioni contenute in una risata acquistano un particolare rilievo per un nuovo maschio che si inserisce in un clan. Attraverso tale suono è in grado di comprendere chi conta all’interno del gruppo. Parte dei 10 differenti suoni registrati dai ricercatori può trasmettere un messaggio di richiesta d’aiuto. Tale situazione può ad esempio verificarsi quando una iena si trova di fronte ad un leone che vuole sottrarle la preda. In questo evento diviene fondamentale l’ausilio del branco , che con il suo intervento può anche riuscire a far desistere il leone dalla sua impresa. A. C.
Curiosità
L’agriasilo
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n bambino che vive in città pensa che il latte o le uova possano essere prodotte da una macchina, da cui esce magari la coca cola o la merendina già cellofanata. Sul piatto a pranzo od a cena trovano l’hamburger acquistato al supermercato od un bel wurstel, fatto da chi? Dalla solita macchina che tutto produce per una “sana”, ma super rapida alimentazione Ed allora che differenza corre tra un asinello o un leone. Nessuna, sono tutti figli della televisione. La Coldiretti ha condotto un’interessante indagine da cui emerge come più di tre genitori su quattro (78%) desiderino per i loro figli «un ambiente familiare, semplice e naturale, dove giocare all’aria aperta con piante e animali e gustare merende e colazioni genuine». Per pochi di loro il desiderio si è parzialmente avverato e si chiama «agriasilo». In collaborazione con Donne Impresa della Coldiretti stanno aprendo in tutta Italia piccoli asili in grandi spazi agricoli, meglio se negli agriturismo. Attualmente sono una decina, ma alla Coldiretti sono giunte numerosissime richieste di nuove aperture, anche da regioni
del sud Italia, come Sicilia e Sardegna. Piemonte, Veneto, Friuli e Trentino sono gli apripista. Certo i nostri bambini sanno navigare con il computer, giocare con la playstation, ma quanti hanno visto un tacchino vero od un ciliegio. Allora per sopperire a queste storture è nato l’asilo nella fattoria. I giochi non sono prefabbricati, ma si inventano e costruiscono con quello che si trova in giro, nei campi, proprio come avveniva nella civiltà contadina. Sulla tavola dell’asilo a merenda e pranzo si trovano i prodotti della terra, che magari i bambini hanno contribuito a seminare e visto crescere nel tempo. Finalmente si ha l’opportunità di entrare nel “fantastico” mondo degli animali, si impara a conoscerli e a rispettarli; si entra nei meccanismi e nei ritmi della natura. Negli «agriasili» possono stare bimbi da zero a 6 anni. Le classi sono per pochi alunni, al massimo 10. Donne Impresa è disponibile a fornire il proprio know how a coloro che seriamente desiderano intraprendere questa particolare attività. A.C.
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Curiosità
Un tappeto di batteri in fondo al mare
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uando si parla di mare la nostra immaginazione va alla gran moltitudine e varietà di pesci che popolano mari ed oceani nelle varie parti del globo. Una recente ricerca ha dato un quadro nettamente diverso degli abitanti marini mettendo in evidenza che i più numerosi abitanti degli abissi sono una popolazione del tutto particolare. Tali indagini sono frutto del Census of Marine Life, una rete globale di ricercatori che vivono in più di 80 nazioni e sono impegnati in un’iniziativa scientifica che dovrebbe durare 10 anni e che si propone di accertare e descrivere la diversità, la distribuzione, l’abbondanza delle forme di vita negli oceani. La ricerca di questo gruppo di ricercatori ha rilevato come nelle acque marine viva un’impressionante congerie di microbi sconosciuti, ma anche di zooplancton microscopico, vermi, crostacei e larve. È stato calcolato come nel mare sia presente un nonilione (un numero interminabile composto da un 1 e ben 30 zeri) di singole cellule microbiche. Il loro peso totale è paragonabile a quello di 240 miliardi di elefanti africani e nel loro insieme rappresentano tra il 50 e il 90 per cento della biomassa marina, con una concentrazione di un miliardo di microrganismi per litro d’acqua. La stima si basa su prelievi compiuti in 1.200 punti della Terra.
Il maggiore numero di “animaletti” è costituito da particolari batteri multicellulari, che per il loro aspetto appaiono simili a spaghetti. Questi si nutrono del solfuro d’idrogeno presente nelle acque poco ossigenate del mare del Perù e del Cile. Nei fondali marini gli spaghetti - batteri vanno a realizzare una sorta di tappeto, di quasi 130 mila chilometri quadrati. Questi microrganismi tossici per gli uomini, rappresentano una fonte alimentare per gamberi e vermi, che a loro volta rappresentano l’alimento per i pesci. Può talora verificarsi che i pescatori di queste parti del mondo abbiano grosse difficoltà a tirare le reti a bordo in quanto hanno catturato più batteri che pesci. I batteri sono stati osservati quasi ovunque, dalle bocche idrotermali sul fondo dell’oceano che sparano acqua a trecento gradi a rocce profonde più di 1.500 metri. Gli scienziati del Census of Marine Life affermano che nei mari vivono più di un miliardo di microrganismi non ancora identificati. Tramite le loro indagini dovranno dare a ciascun batterio non ancora censito un nome scientifico in latino. Per far sì che la loro attività non fosse in qualche modo influenzata da fondi privati hanno rifiutato donazioni che giungessero da società o persone che desideravano dare il proprio nome a un microbo sottomarino. A.C.
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Curiosità
Cow Parade
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owParade è un sistema internazionale di arte pubblica, che ha dato vita alla realizzazione di numerosissime mostre nelle più importanti città del mondo. Le sculture delle mucche sono realizzate in vetroresina e decorate da artisti locali. Sono esposte a grandezza naturale nel centro della città, in luoghi pubblici come stazioni ferroviarie, importanti vie e parchi. Sono in breve tempo divenute delle caratteristiche opere d’arte, di particolare rilievo ed interesse per la cultura locale. Dopo essere state esposte nelle varie città del mondo per molti mesi, le mucche vengono vendute all’asta ed il ricavato devoluto in beneficenza. Le forme delle sculture delle mucche sono assai diverse, ma le tre più comuni, create dallo scultore svizzero Pascal Knapp, che ne è tra l’altro depositario dei diritti d’autore, sono la mucca in piedi, sdraiata e al pascolo. “Cow Parade” ha le proprie origini in Svizzera, a Zurigo, nel 1998 grazie al direttore artistico Walter Knapp ed è basata su un’iniziativa simile che è stata realizzata nella stessa città per la prima volta nel 1986: i Leoni quale simbolo di Zurigo. La iniziale mostra di Zurigo del 1998 non era chiamata “Cow Parade” ma “Terra in Sicht” (“Campagna in vista”). Così CowParade dal 1998 invade tutti gli anni le vie delle metropoli del mondo portando la creatività degli artisti in mezzo alla gente. Fino ad oggi CowParade è stata in scena in oltre 40 città (New York, Chicago, Sidney, Londra, Parigi, San Paolo, Tokyo, Istanbul, Rio de Janeiro, Milano, Madrid, ecc.) coinvolgendo centinaia di creativi, attirando in media per ciascuna edizione oltre un milione di visitatori. Anche Roma non ha voluto mancare questo appuntamento. La mandria colorata “Made in Italy” è approdata nella capitale per una mostra d’arte contemporanea “open air” rivolta a turisti e cittadini, dislocata nelle strade e nelle piazze di Roma, dal centro alle periferie. Scopo della manifestazione è quello di creare un’occasione ampiamente condivisa con l’obiettivo di far conoscere i valori positivi della socialità e dell’aggregazione, della creatività e dell’arte fruibile ed accessibile al grande pubblico al di fuori dai luoghi deputati formalmente all’esibizione delle opere d’arte. È un modo per valorizzare artisti sia emergenti sia noti mostrando le loro opere in un ambito cittadino ed internazionale in stretta relazione con il profilo storico del territorio. L’evento mira a coinvolgere 100 opere collocate nelle principali vie e piazze cittadine. Al termine dell’esposizione si svolgerà un’asta pubblica, battuta dalla prestigiosa casa d’aste Sotheby’s e il ricavato sarà devoluto in beneficenza ad Ageing Society Onlus, che promuove ricerche e studi riguardanti i problemi connessi con l’invecchiamento della popolazione. In particolare i fondi saranno destinati all’assistenza ed all’accompagnamento degli anziani e dei disabili. A.C.
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è tempo di Vacanze F
inalmente dopo un anno di lavoro, di corse quotidiane ed impegni stressanti siamo in procinto di goderci un periodo di meritato riposo. Tra i vari punti che dobbiamo affrontare per una corretta partenza non possiamo dimenticare i problemi organizzativi relativi al benessere del nostro piccolo amico. Ricordiamoci di controllare il libretto sanitario: assicuriamoci che tutte le vaccinazioni siano state eseguite ed i richiami annuali effettuati. Se sono trascorsi almeno sei mesi dall’ultimo esame delle feci sarà opportuno procedere ad un ulteriore accertamento al fine di escludere la presenza di qualche ospite indesiderato. Sottoponiamo, se necessario, il nostro amico a quattro zampe ad un trattamento antiparassitario ad azione repellente nei confronti degli ectoparassiti (zecche, pulci, ecc.). Se decidiamo di lasciarlo a casa, preoccupiamoci: a) di accordarci con una persona di fiducia, perché l’animale sia accudito durante la nostra assenza. In questo caso facciamo una piccola provvista del suo cibo abituale in modo che sia sufficiente per il periodo della nostra lontananza. Lasciamo in evidenza il numero di telefono del nostro medico veterinario di fiducia. In numerose città è attualmente disponibile un servizio di assistenza domiciliare per picco-
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li animali, i quali sono prelevati dalla casa del proprietario per essere condotti dal veterinario, portati regolarmente a spasso od accuditi in caso di assenza dello stesso. I così detti dog sitter. b) Se preferiamo l’ipotesi pensione, prendiamo informazioni su una struttura seria a noi vicina e, in ogni caso, prima di affidargli il nostro cane o gatto compiamo una visita presso la sede prescelta. Se optiamo per condurlo con noi, dobbiamo assicurarci che sia accettato nel luogo da noi prescelto per la vacanza. Parliamo con il nostro medico veterinario della meta delle nostre vacanze per avere utili consigli riguardo potenziali pericoli cui il nostro cane o gatto può andare incontro e per adottare le opportune misure preventive. A tale riguardo merita riportare due esempi di malattie cui prestare particolare attenzione, le quali sono diffuse in determinate aree geografiche del nostro Paese. Durante le serate di clima estivo o temperato, soprattutto nel centro sud Italia, nelle isole oltre che in Liguria ed Emilia Romagna, il nostro cane può essere attaccato da un pappatacio, un insetto grande come una zanzara di piccole dimensioni, che si nutre di sangue sia animale che umano. Esso può trasmettere una malattia denominata leishmaniosi attraverso un meccanismo abbastanza semplice: l’insetto
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si nutre del sangue di un animale malato, ingerisce le leishmanie circolanti e quindi, al pasto successivo le trasferisce nel torrente circolatorio del malcapitato. Importante per combattere la diffusione di questa affezione è ricorrere ad adeguate misure di profilassi. Oltre all’applicazione di opportuni rimedi facilmente reperibili in commercio, cerchiamo di difendere il cane dall’attacco dell’insetto per cui: non lasciamolo all’aperto nelle ore notturne, troviamogli riparo in un locale coperto (l’azione di un ventilatore disturba fortemente il volo dei pappataci), applichiamo alle finestre delle zanzariere a maglie fitte. Ha ottenuto un certo effetto anche l’applicazione di collari repellenti. Dall’inizio della primavera e fino all’autunno inoltrato in molte aree pianeggianti e collinari particolarmente del centro nord Italia si aggirano le zanzare, che sono portatrici di un parassita, responsabile di una particolare malattia nel cane e nel gatto, la filariosi. Il parassita in questione, per svilupparsi, deve permanere per un certo periodo nell’organismo della zanzara, la quale trasmette loro l’infestazione tramite la sua puntura. Per proteggere i nostri piccoli amici da questa pericolosa affezione è necessario mettere in atto un protocollo di profilassi, iniziato un mese prima dell’inizio della nostra vacanza mediante la somministrazione di un farmaco specifico (una tavoletta masticabile, particolarmente appetita dall’animale e ben assimilabile). Se intendiamo trascorrere le nostre vacanze in campagna od in montagna, dove più spesso ci si dedica a lunghe passeggiate, dobbiamo pensare di abituare progressivamente il nostro cane a compiere un buon esercizio fisico al fine di “allenarlo” ed evitare il verificarsi di spiacevoli inconvenienti. Alcuni esempi. Le zampe, o più precisamente i cuscinetti plantari, sono una zona del corpo che più di altre può manifestare segni di superlavoro. Se l’animale è, infatti, abituato ad una vita sedentaria od a camminare su superfici lisce e morbide, facilmente andrà incontro ad abrasioni dei cuscinetti con la comparsa di veri e propri sanguinamenti. Così ripercussioni negative possono aversi per l’apparato cardiorespiratorio o locomotore, improvvisamente sollecitato a prestazioni inusuali; in questo caso un allenamento fisico graduale sarà di giovamento sia per il nostro cane sia per noi stessi. Allestiamo adeguatamente la nostra automobile per il viaggio. Per il gatto utilizziamo il trasportino. Per il cane sarà opportuno creare una zona ad hoc nella parte posteriore della nostra vettura, tale da consentirgli un’adeguata areazione e la possibilità di stendersi od alzarsi, se lo desidera. Evitiamo di alimentare il nostro cane o gatto prima della partenza con un pasto abbondante, ma somministriamogli un piccolo spuntino. Scegliamo di non metterci in viaggio nelle ore più calde della giornata e portiamo con noi una ciotola con cui, durante le soste, offrirgli piccoli quantitativi di acqua. Se l’animale ha presentato in passato segni di insofferenza a viaggiare in automobile, rechiamoci dal nostro medico veterinario e facciamoci prescrivere un prodotto specifico da somministrargli un tempo determinato prima della partenza. Portiamo con noi l’alimento normalmente impiegato per la sua nutrizione per cercare di non dover vagabondare al nostro arrivo subito alla ricerca del suo cibo preferito, se, poi, dovessimo rimanerne sprovvisti o non riuscissimo a trovarlo, scegliamo un prodotto dalle caratteristiche similari al precedente e ricordiamoci di sostituirglielo gradatamente, per evitare spiacevoli sorprese.
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Il patentino per i cani I
l Ministero della Salute e la Federazione Nazionale degli Ordini Veterinari Italiani, con il supporto di esperti in medicina comportamentale, hanno messo a punto un particolare programma di formazione. Il progetto patentino parte dalla constatazione dell’esistenza, peraltro fortunatamente non frequente, di fenomeni di aggressioni di cani nei confronti di persone. Con questo programma si è inteso superare il concetto di lista di cani pericolosi, che tante polemiche aveva suscitato e si intende introdurre un nuovo meccanismo per una corretta e serena convivenza fra uomo e cane, fondata su una migliore conoscenza delle caratteristiche comportamentali canine. Con il patentino si vuole attestare la capacità del proprietario di gestire correttamente il rapporto con il proprio cane. In quest’ottica, il “patentino” costituisce quindi un importante strumento di prevenzione basato su conoscenze scientifiche. Ai corsi possono prendere parte gli attuali ed i futuri proprietari di cani. I Comuni in collaborazione con i Servizi Veterinari
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delle ASL decideranno invece quali proprietari dovranno necessariamente prendere parte a questi corsi in base al tipo di cane posseduto. Il corso è costituito da una dispensa cartacea e da un supporto informatico fornito di foto e video. Alcuni degli argomenti trattati sono rappresentati dalle origini del cane, dal comportamento sociale dei cani, dal loro ruolo nella comunità umana, dalla opportunità di impostare delle regole di convivenza precise per prevenire la comparsa di comportamenti indesiderabili, dalle fasi di sviluppo del cane e dai suoi sistemi di comunicazione. Nel corso si parla dei così detti “campanelli di allarme”, cioè dei comportamenti aggressivi manifestati dall’animale e che non sempre il proprietario è in grado di percepire. Una parte significativa è destinata alla convivenza fra cani e bambini, agli obblighi e ai doveri di un buon proprietario con indicazioni relative alle persone di riferimento, cui rivolgersi per ottenere informazioni corrette e aiuto in caso di bisogno. A. C.
Pet Quiz Quanto dura la gestazione di una cagna?
a
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21
b
c
30
27
,
b
batterica
c
parassitaria
virale
Le dita del gatto sono:
a
5
1 mese
La gastroenterite infettiva del gatto e una malattia:
a
4
c
3 mesi
Quanti denti ha un gatto adulto?
a
3
b
2 mesi
18
b
23
c
20
,
e consigliabile svezzare un cucciolo a:
a
60 giorni
b
40 giorni
c
30 giorni
Le risposte corrette:
1)a 2)b 3)c 4)a 5)c
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