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Le cose abbadonate sulle panchine diventano nostre solo quando ascoltiamo i racconti che hanno lasciato in sospeso
Le cose abbandonate sulle panchine diventano nostre solo quando ascoltiamo i racconti che hanno lasciato in sospeso.
2010/2018
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Performance (2010) e Stampa digitale su vessillo di cotone e/o montata su pannello dibond (2018)
Il lavoro performativo intende rimettere in campo nello spazio pubblico del Ticinese la storia dell’editore GianGiacomo Feltrinelli attraverso le parole di Nanni Balestrini e la messa in atto del suo romanzo “L’Editore”.
La tipologia letteraria di Balestrini, specie in questo testo, porta con sé una neutralità di opinione su quelle che furono le vicende degli anni 70, riproposte in questo lavoro da ragazzi della generazione odierna che, come loro stessi affermano, non riescono a farsi portavoce sinceri di questa parte di storia.
Ma le storie di ieri riflettono sempre una parte di storia che ci riguarda e che inconsapevolmente stiamo già vivendo.
Con lo stesso stile, Balestrini riporta stralci di cronaca, flash della vita politica, italiana ed internazionale, di quel 1972. E questi eventi si intrecciano inevitabilmente con le vicende personali degli unici tre individui esplicitati nella narrazione.
Il romanzo viene interpretato da un gruppo selezionato di giovani adolescenti su 12 panchine, una per ogni atto del libro, nella zona del ticinese tra le colonne di San Lorenzo.
Questa serie di grafiche ripropone un momento della performance e la copertina del libro “L’Editore” di Nanni Balestrini sulle quali è stata svoraimpressa la copia a pennarello in rosso del dipinto “Le Panchine di Pietra nel manicomio di Saint Remy” di Vincent Van Gogh.
Le due versioni della stessa immagine che ripropone un momento della performance del 2010 si capovolgono l’una nell’altra: la segregazione del giardino del manicomio di Saint Remy nell’aggregazione delle moltitudini di giovani che rioccupano gli spazi della socialità nel contesto urbano.
L’immagine che riporta la copertina del libro di Balestrini nell’edizione di Bompiani focalizza la sovraimpressione della panchina di Van Gogh in primo piano sullo skyline della città metropolitana che fa da sfondo a un traliccio della luce: in questo caso l’alienazione della città moderna capitalista rievoca l’aderenza alla condizione di segregazione dell’individuo come uomo all’interno dello spazio antropizzato della città.
Il traliccio, considerato come topic nella vicenda dell’editore Feltrinelli, e la panchina possono anche essere considerati in questo lavoro come sintesi ideale di tentativi di innescare una nuova territorializzazione degli spazi nel contesto urbano.
La panchina vuota di Van Gogh, metafora dell’alienazione e dell’isolamento, si sovraimpone a delle panchine che diventano strumento per definire nuove tattiche di liberazione dello spazio urbano condiviso, ridefinendone la destinazione d’uso e sovvertendone il senso attuale.
Non a caso in diverse città italiane l’eliminazione delle panchine tende a voler “epurare” lo spazio urbano da coloro considerati “non conformi” a esperire gli spazi e gli strumenti dell’ambiente urbano contemporaneo in riferimento alla capitalizzazione dello pazio e alla segregazione di ciò che viene considerato “deviante” dalla società borghese proto-capitalista
E’ necessario, dunque, ricreare una nuova Agorà che favorisca l’incontro e il dialogo all’interno della città, negli spazi condivisi della socialità ed al di fuori da tipologie di luoghi deputati che si ridefiniscono come apparati di cattura e di riassorbimento della critica, per ridefinire una nuova critica attiva e consapevole basata sul dialogo e il confronto per ripensare una nuova definizione di società civile post-capitalista.