Niko Romito 10 lezioni di cucina - Lezione 4

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Lezione n. 4 Equilibrio

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Esiste un tratto, una peculiare attitudine, che alcuni individui hanno sin dalla più tenera età (forse addirittura alla nascita): la capacità di percepire le perturbazioni dell’equilibrio. Osservando la facciata di una chiesa, l’inquadratura di un flm, una composizione foreale, questi individui sono in grado di “sentire” se si trovano di fronte a un insieme armonico, oppure no. Nella maggior parte dei casi non saranno in grado di spiegare perché, ma sapranno se qualcosa li disturba. Lo stesso tipo di percezione vale per l’esperienza di un piatto: qualcosa piace ma non fno in fondo, e non se ne comprende il motivo. “Se ci fosse un ingrediente in meno, questo piatto sarebbe perfetto”, si sente dire a volte al ristorante. Qualcuno saprà forse individuare l’elemento fuori posto, ma i più resteranno con una generica sensazione di insoddisfazione.

niente ha SenSo in aSSenza di equilibrio Alla base della mia cucina ci sono studio, ricerca, tecnica ma è solo attraverso l’equilibrio che l’estrema complessità si traduce in linearità. A ogni servizio, dalla preparazione al momento in cui la portata è pronta al pass, con la brigata del Reale controllo e correggo le virgole, le sfumature. Per questo credo sia difcile copiare la mia cucina: solo chi ce l’ha dentro può farla e sapere dove correggerla, avendo perfettamente chiaro come dovrebbe essere. Quando si vuole contare solo su un numero ridottissimo di ingredienti e si punta all’estrema essenzialità, basta essere fuori asse di pochissimo perché si noti il difetto. L’afollamento di elementi e sapori può aiutare a nascondere un errore (anche se si traduce in un’inutile

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complicazione, in una trasmissione di gusto su frequenze disturbate): quando nel piatto c’è pochissimo, invece, la creazione è a nudo. Pensateci: una macchia si nota di più su una tovaglia bianca o su un tessuto scozzese? Dunque i miei protocolli e le mie ricette si reggono su un bilanciamento millimetrico: non mi spaventa affermarlo, anche se sono consapevole che questo comunica un’idea di fragilità. In realtà è la nostra forza. Così impariamo a entrare in sintonia con ogni piatto. E non abbassiamo mai la guardia.

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L’equilibrio è polimorfo, si fonda su elementi di natura diversa. Sapori, volumi, ma anche temperature, strutture e la “geografa” del cucchiaio. Come il boccone entra in bocca, come interagisce con le papille gustative, come abbandona il palato. Elementi che prolungano la permanenza del cibo sulla lingua, lasciando il singolo sapore a contatto con i recettori qualche secondo in più; elementi che creano un avvicendarsi di sapori secondo una sequenza ben precisa. Solo grazie all’equilibrio l’acidità spinta al massimo può riscoprirsi dolce, un tocco femminile può trasmettere una vibrazione maschile, una sobrietà che richiama la purezza di certi piatti dell’infanzia può tendersi fno a diventare eleganza sofsticatissima.

Sinergia tra ingredienti puri Prendiamo l’Assoluto di cipolle, parmigiano e zaferano tostato: un piatto nato dal lavoro sulla cipolla (in principio, sempre, è la materia prima) in un periodo di studio intenso delle estrazioni. Ne abbiamo ricavato un liquido meraviglioso, ma

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tecnicamente non si trattava di un brodo perché mancava la componente acquosa che defnisce il genere. Ciò che avevamo estratto era, in pratica, cipolla nella sua forma più pura: ecco allora l’idea di chiamarlo “assoluto”. Ho avuto la tentazione di servirlo da solo, ma avrei peccato di presunzione, allora ho pensato di associare la cipolla ad altri due ingredienti che fossero, a loro volta, assoluti: il parmigiano (veicolato da piccoli bottoni di pasta fresca all’uovo) e lo zaferano. Sullo zaferano, che faccio arrivare dalla Piana di Navelli, ho fatto un studio approfondito e molto afascinante. Di solito utilizzo la polvere direttamente, senza metterla a bagno, per non comprometterne l’aromaticità. Nel caso dell’assoluto sia la polvere che i pistilli permeavano l’estratto di cipolla con eccessiva intensità, contaminandolo; da qui l’idea di utilizzare i pistilli dopo una leggera tostatura: in questo modo ho ridotto il trasferimento del sapore al liquido ma intensifcando, allo stesso tempo, le sostanze aromatiche volatili. Ciò mi ha permesso anche di giocare con l’avvicendamento dei sapori, diversi da cucchiaio a cucchiaio: raccogliendo liquido e pistillo insieme si gusta in maniera netta e potente lo zaferano, raccogliendo solo liquido si sente l’assoluto in purezza; quando si incontra il bottone di pasta si apprezza l’essenza del Parmigiano, ma si verifca anche un’esplosione di sapidità che fa risplendere tutti i sentori del piatto come in Technicolor. Cipolla, parmigiano, zaferano: tre elementi che creano equilibrio quando lavorano in sinergia, e sprigionano purezza quando si esprimono singolarmente.

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equilibrio nella Sala del reale Anche al di fuori dei piatti l’equilibrio rimane parte fondamentale della mia flosofa gastronomica: penso alla sala del Reale. La sala del Reale: una “scatola” rettangolare, semplicissima; niente fronzoli, pochissimi elementi di design, che non devono né distrarre né sporcare. Il gioco cromatico è in negativo: dominano il bianco e le trasparenze, interrotti dal marrone caldo delle sedie di pelle e da quello sontuoso dei tavoli di legno antico; dalle aperture sulle scale che portano all’esterno e al primo piano fltrano accenti rustici ma levigati di abete e faggio.

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A terra è posato quello che era il pavimento di una chiesa, e la superfcie delle basole è più liscia laddove i piedi dei fedeli l’hanno calpestata maggiormente. Al posto delle tovaglie, semplici mollettoni di lino immacolato, per ridurre ulteriormente gli elementi di ingombro visuale (ogni tavolo del Reale ha un piede che merita di essere osservato), non intralciare le gambe di chi è seduto, alleggerire, ripulire. L’accesso alla cucina è stato progettato in modo che in sala non penetri alcun rumore, né odore, né barlume di attività: la cucina non si deve vedere, non deve distrarre, si può al massimo visitare al termine del servizio. La luce naturale fltra dalla grande vetrata afacciata sul giardino di Casadonna e la valle di Castel di Sangro. Di sera, la sala appare sospesa nello spazio: fuori è buio, in lontananza si intravedono le luci del paese; all’interno le lampade proiettano un fascio secco e di-

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retto sul tavolo evidenziando i piatti, che smettono di essere ceramiche per diventare superfci. Quest’ultima osservazione mi ha spinto a cominciare una nuova ricerca con alcuni artigiani abruzzesi. Insieme stiamo sviluppando piatti che non hanno più bordi, dove lo spessore risulta quasi annullato: l’idea è di creare una mise en place tale per cui il cibo appaia posato direttamente sul tavolo. È minimale tutto questo? Non credo. È sobrio, non solenne. Trasmette serenità, ma anche calore. Quella del Reale è una sala di grande armonia ed eleganza. Un’eleganza che non si traduce in un senso di formalità respingente o, peggio, antica. L’obiettivo è creare un’esperienza lussuosa trasmettendo la sensazione di trovarsi al sicuro, con i piedi ben piantati nella contemporaneità. Se ci riusciamo è soprattutto merito della grande passione di chi vi lavora, e di una conduzione impeccabile dove la trama del tessuto è talmente regolare da non mostrare neanche i punti in cui il flo passa da sopra a sotto. Osservare come si muove il personale di sala, elegante e discreto, come i singoli comunicano (non verbalmente) tra di loro è come osservare un balletto ben coreografato. Mia sorella Cristiana, insieme a Gianni, il nostro sommelier, lo dirige in maniera eccezionale: non le sfugge niente, non perde mai la concentrazione, né il ritmo. Nel loro lavoro si respira un senso di orgoglioso raccoglimento. Credo dipenda anche dal rapporto che ci lega – e questo vale anche per la mia brigata di cucina.

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Mi dicono che sono un capo carismatico, autorevole più che autoritario; ho fatto volare più di una padella in cucina, ho urlato anch’io, ma sono state rare eccezioni: non è con la voce grossa che esercito il mio ruolo di guida. L’equilibrio di Casadonna si regge innanzi tutto sulle persone che vi lavorano, con amore e rispetto.

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