Tesi Triennale: Segue il Sile. Spazio pubblico e cittadini: due storie a confronto.

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Segue il Sile Spazio pubblico e cittadini: due storie a confronto

Tesi di Laurea di

Maria Cristina Piazzese Relatore

Prof. Arch. Manfredi Leone Co-relatore

Prof. Marco Picone

Università degli Studi di Palermo_Scuola Politecnica Dipartimento di Architettura Corso di Laurea Triennale in Scienze della Pianificazione Territoriale, Urbanistica, Paesaggistica e Ambientale



A Giovanna e Sarah



Segue il Sile Spazio pubblico e cittadini: due storie a confronto

Tesi di Laurea di

Maria Cristina Piazzese Relatore

Manfredi Leone Co-relatore

Università degli Studi di Palermo_Scuola Politecnica Dipartimento di Architettura Corso di Laurea Triennale in Scienze della Pianificazione Territoriale, Urbanistica, Paesaggistica e Ambientale

Marco Picone


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Realizzare questo lavoro è stato possibile grazie al supporto di alcune persone che vorrei ringraziare. I miei genitori, che mi hanno dato la possibilità ma soprattutto la forza di andare sempre avanti. Il loro supporto emotivo è stato fondamentale in questi tre anni. Giovanna e Sarah, che nonostante la lontananza sono sempre state vicine nei momenti di gioia e in quelli più difficili. Tutta la mia famiglia aggiornata sulle novità della mia carriera universitaria e pronta ad incoraggiarmi passo dopo passo. Claudia, Roberta e Francesco, gli amici che ci sono sempre in qualsiasi momento e che mi hanno supportata con il loro affetto. Lucio, mio collega e amico, con il quale ho condiviso giorni e notti sui libri e che mi ha insegnato a trovare la calma e la tranquillità nei momenti più critici. Ugo, che da sempre mi ha sempre spronata a dare il meglio di me stessa e che ogni giorno mi fa scoprire cose nuove. Il Prof. Manfredi Leone, per avermi dato tante possibilità di crescita, per avermi supportata, dimostrandomi la sua stima. Il Prof. Marco Picone, per i preziosi suggerimenti e per avermi trasmesso la passione per le dinamiche di coinvolgimento sociale. I membri dell’associazione Prato in Fiera, che mi hanno fornito gli strumenti per studiare in modo approfondito il Prato della Fiera. A tutti coloro che ho incontrato in questi anni, che, se pur passeggeri, hanno lasciato un segno dentro di me.


INDICE Introduzione

1| Lo spazio pubblico: inquadramento generale

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2| Il caso Palermo

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3| Parco Uditore da campagna a campagna

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4| Parco Uditore e la percezione della comunità

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5| Evoluzione dello spazio pubblico a Treviso: cenni storici

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6| Il Prato della Fiera e le istituzioni

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7| Il Prato da Fiera a festa

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8| Patto di collaborazione

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9| Prospettive e conclusioni

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Bibliografia

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Allegati

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Introduzione



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Introduzione

Nel dibattito contemporaneo sulle dinamiche della città sono ben evidenziati i processi storici che hanno portato al declino dello spazio pubblico, attraverso delle soluzioni concrete che partono dall’inclusione sociale: niente è più importante dell’appropriazione di un luogo, inteso come senso di appartenenza, per farlo sentire più vicino ai cittadini e per far sì che venga inteso come spazio di condivisione e non di distruzione. Obiettivo principale di questo lavoro è focalizzare la questione delle dinamiche partecipative dal basso e low cost, portando come esempio esplicativo il caso di Parco Uditore di Palermo e mettendolo a confronto con il Prato della Fiera di Treviso. Due spazi pubblici, estremamente diversi per forma, storia e contesto culturale, che sembrano essere legati da una storia di partecipazione civica entrale all’interno del loro processo di recupero. Partendo dal presupposto che la pianificazione deve tener conto dell’identità sociale del quartiere su cui agisce, per poter garantire ipotetiche soluzioni atte a una migliore fruizione degli spazi pubblici e approfondire la percezione che gli abitanti hanno dei luoghi di appartenenza. L’analisi finale verterà quindi sul tema dell’inclusione sociale. Oggi la “città creativa” non è più una categoria interpretata da economisti e sociologi, ma è un modo attraverso il quale urbanisti ed architetti mettono in atto nuovi strumenti operativi. Lo sviluppo sostenibile ed il benessere delle comunità vengono misurati su quelle città che affrontano il mutamento globale in modo creativo. Queste città in primo luogo sono dei luoghi dove le persone desiderano vivere, lavorare, socializzare e partecipare, inoltre dovranno essere capaci di attirare nuove idee ed investimenti. In un modello di sviluppo sempre più dematerializzato lo spazio pubblico è il protagonista della nuova economia [Carta et alii 2016]. Alcune Pubbliche Amministrazioni hanno iniziato a dare maggiore rilievo alle nuove correnti internazionali in materia di governance


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e innovazione relative alla città. Si è ritenuto opportuno mettere al primo posto l’intelligenza umana, il pensiero e la creatività. Le idee delle smart cities hanno bisogno di essere sostenute, non solo da nuove tecnologie, ma anche da persone che siano in grado di preoccuparsi dei futuri impatti ambientali e della salute dei cittadini. Dal 1985 l’Unione Europea ha istituito il concorso per il titolo di “Capitale europea della cultura”, così da spronare le città attraverso una competizione capace di farle crescere e migliorare. I britannici sono stati i primi a candidare una città allora poco nota, Glasgow, al fine di utilizzare i fondi per la riqualificazione del centro storico e per convertire l’aeroporto in hub. L’urbanista Charles Landry, promotore del movimento globale per la rinascita degli spazi urbani, ha coniato alla fine degli anni ’80 l’espressione “creative city”. Egli basa il suo pensiero sul concetto di “infrastruttura creativa”, sincretismo tra componenti tecnologiche e fisiche, immateriali e materiali. L’espressione è in contrapposizione con quella di “urban engineering”, che si concentra esclusivamente sulle infrastrutture fisiche dello spazio urbano. Creatività e Immaginazione, parole chiave del suo lavoro, sono lo strumento attraverso il quale pensare la rinascita delle città e raggiungere nuovi potenziali, così da essere più resilienti e autosostenibili. Landry si concentra sul ruolo della cultura nello spazio urbano: l’obiettivo è quello di promuovere la creatività attraverso il coinvolgimento morale degli attori e realizzare il potenziale nascosto di ogni città. I suoi contributi non sono rimasti sterili ed anonimi nel corso degli interventi: non solo ha lavorato in modo diverso e coerente a seconda del contesto in cui si trovava, ma è riuscito ad aggiornare le sue teorie, mettendole al passo con i tempi. Nel 2011 propone un nuovo “Indice della Città Creativa”, uno strumento che misura la forza dell’immaginazione della città. Le valutazioni su cui si basa sono tre: una esterna, una interna e una eseguita attraverso una ricerca online, alla quale cui le città possono accedere in autonomia. Gli indicatori che sono stati identificati, per misurare creatività, resilienza e capacità di futuro, sono in totale dieci. L’evoluzione della città creativa è la città intelligente, smart city, nella quale innovazione tecnologica, inclusività e creatività sono gli elementi caratterizzanti. Nel 2002 Richard Florida pubblica il libro “The rise of the creative class”, affermando che le città più importanti del mondo sono caratterizzate dal fatto di possedere una classe creativa. Sulle basi delle idee di Landry propone una classifica delle città creative nel mondo, ricercando l’index che porta alla diversità di attività. Questa idea è piaciuta in particolare agli amministratori, perché per essere una città creativa è necessario avere una classe di élite. Tuttavia questo va contro tutti gli altri cittadini, innescando un processo di gentrification. La tematica della giustizia sociale a vari contesti urbani è riportata negli scritti di Henry Lefebvre (1968), John Rawls (1971) e David Harvey (1973). La spatial justice, la giustizia sociale applicata allo spazio, è il diritto di vivere in un luogo che offre una data qualità di vita. I loro ideali andavano contro la gentrification, la ghettizzazione e le gated communities, poiché tutto si ripercuoteva sulla conformazione della città. Le uniche opposizioni nascono da movimenti di cittadini: come gli squatters, che occupavano luoghi abusivamente e si riappropriavano di luoghi già loro in quanto collettività, gli indignados a


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Madrid (2011) o gli occupy Wall Street a New York (2011). Ad oggi non esiste una vera e propria giustizia spaziale, data la forte disuguaglianza sociale che connota il concetto stesso di spazio pubblico. Le vere città intelligenti sono quelle in cui si investe sull’intelligenza civica e sono capaci di mettere i cittadini nelle condizioni di collaborare per curare, rigenerare, gestire e produrre beni comuni. Tutte le rivoluzioni affrontante in precedenza, partendo dal basso, rischiano di scontrarsi con le amministrazioni. Il cambiamento comporta la necessità di pensare a nuove strutture sociali e nuovi strumenti tecnici di governo per la collettività. In Italia, il Comune di Bologna ha portato avanti un processo di innovazione istituzionale che ha condotto alla approvazione del “Regolamento sulla collaborazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani”. Questo strumento nasce per fornire alle amministrazioni locali gli strumenti per affrontare il mutamento sociale. Il patto di collaborazione è stato creato per regolamentare la relazione collaborativa tra lo Stato-Apparato e lo Stato-Comunità e si fonda su quattro principi. Il primo principio riguarda la fiducia reciproca tra amministrazione e cittadino: entrambi i soggetti devono essere posti sullo stesso livello ed inoltre le amministrazioni devono riconoscere la capacità del cittadino di sostenere una responsabilità di interesse generale. Il secondo si incentra sull’informalità, ovvero far uscire dai cardini del formalismo burocratico l’amministrazione. A questo si lega il terzo principio della legalità di risultato, la soddisfazione effettiva e concreta dell’interesse generale. Tutto si fonda sul principio di autonomia civica, attraverso cui la comunità diviene il principale attore dei cambiamenti della società.



CAPITOLO 1

Lo spazio pubblico: inquadramento generale



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Nell’immaginario romantico il genius loci prende possesso di un luogo e vi rimane fin quando riesce a trovare un equilibrio tra civiltà e i segni di una civiltà che sono diventati parte del suo essere. Questa figura può essere interpretata come una forza innovativa capace di reinventare il territorio urbano contemporaneo e capace di far dialogare soggetti diversi tra loro. Alexander Pope spronava i suoi contemporanei a guardare la natura, ad interrogare il genio del luogo per costruire un paesaggio “naturale” per l’aristocrazia settecentesca. Queste idee di natura modellata tanto travolgenti vengono accolte e riadattate nella costruzione dei parchi e dei giardini nelle città borghesi ottocentesche. Nella città contemporanea, soggetta a continue trasformazioni, si scontrano le visioni generali dall’alto e le pratiche vissute dal basso, per cui la costruzione di un paesaggio nel quotidiano diventa estremamente difficile. La scorretta interpretazione del concetto di “bene pubblico” insieme all’affermazione del movimento cittadino impegnato a favore del “bene comune” mettono in atto una vera e propria sfida: riuscire a orientare i processi di rigenerazione di insediamenti urbani verso una prospettiva capace di avvalersi delle forme di cittadinanza attiva e di responsabilizzazione collettiva. Le società contemporanee hanno iniziato da alcuni anni un processo di trasformazione innescato dall’avvento dell’era della condivisione. Questo processo parte dalle pubbliche amministrazioni, dalle imprese e soprattutto dal terzo settore, che si adoperano per affrontare il cambiamento. La condivisione è alla base di ogni fenomeno sociale e per far parte di una comunità è necessario condividere valori, regole e codici di comunicazione. Nuove pratiche sociali iniziano a diffondersi attraverso le regole sulla condivisione di responsabilità pubbliche e sui processi produttivi di beni e servizi fondati sulla collaborazione. Oggi più di ieri si parla di società della condivisione perché è cambiato lo stile di vita della popolazione a causa delle nuove economie, definite non sono né pubblici “economia della collaborazione” o “economia della condivisione”.


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In Italia la consapevolezza di questo cambiamento è maturata durante l’approvazione del referendum nel giugno 2011 per i “beni comuni”. Nell’immaginario collettivo questi beni erano stati identificati nell’acqua, nell’ambiente e nella legalità. In realtà le tematiche erano molto più ampie e trattavano argomenti attinenti alle “questioni domestiche” che non facevano riferimento alla nozione scientifica di commons. Il rischio è che l’espressione beni comuni possa essere privata del suo effettivo valore semantico e del rigore scientifico. Carlo Donolo li definisce come «un insieme di beni necessariamente condivisi. Sono beni in quanto permettono di dispiegarsi dalla vita sociale, la soluzione di problemi collettivi, la sussistenza dell’uomo nel suo rapporto con gli ecosistemi di cui è parte» [Arena et alii 2015]. Tali beni sono materiali e immateriali, né privati, ma appartengono ad una determinata comunità che ne ha la custodia. Ciò che conta nella società della condivisione non è il possesso di un bene, ma il suo uso. Car sharing, bike sharing, car pooling ed altre attività simili si fondano sull’idea che più soggetti possono condividere un bene pur non essendone i proprietari. È importante sottolineare che l’uso di un bene comune non ne permette il pieno godimento, infatti non si è più proprietari assoluti, ma temporanei. Per questo motivo si ha una maggiore cura del bene in prestito. La seconda caratteristica di questa società si basa sulla concezione che la condivisione del bene o del servizio non ne determina l’alterazione o il logoramento. Se ad esempio una stessa automobile in car sharing viene utilizzata lo stesso giorno da dieci persone, è come avere dieci automobili a disposizione, ma senza aver utilizzato risorse o aver occupato spazio pubblico per dieci auto. Il terzo elemento si basa sul rapporto peer-to-peer, mostrando un nuovo volto della società: la disintermediazione. Questa si fonda sull’assenza di un intermediario tra bene e consumatore in grado in tempo reale di raggiungere il produttore, fare l’ordine e pagare il bene acquistato. I cittadini devono assumersi autonomamente, ma anche insieme alle amministrazioni, la responsabilità di curare i beni comuni come se fossero propri. Le progressive espansioni di pratiche spontanee di cura dei vuoti urbani, la diffusione del movimento europeo dei community garden e le esperienze di “giardinaggio irregolare”, riconoscono la dimensione plurale dello spazio pubblico contemporaneo. La pluralità e le differenze negli esiti dei diversi interventi sottolineano come tutte le esperienze abbiano in comune lo stesso desiderio di realizzare loci amoeni in grado di costituire spazi per la comunità e rendere la vita quotidiana piacevole. Il primo esempio è il progetto performativo “City is a playground” a Dublino, realizzato da Florian Rivière nel 2012 per Hack the city nell’ambito del Dublin City of Science Festival. Questa installazione propone una serie di situazioni ludiche in giro per la città al fine di trasformare le strade in un gioco. Su una mappa sono state riportate le localizzazioni di tutte le postazioni di gioco in modo tale da essere più facilmente trovate ed utilizzate. Il lavoro dell’artista si basa sull’idea che meno cose si possiedono più è facile essere felici e creare legami sociali. Egli parla di bushcraft, l’insieme


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di conoscenze e tecniche utilizzate per vivere in un ambiente naturale, sfruttandone le risorse per soddisfare i bisogni primari. Trasla la sua idea dalla giungla alla città, parlando di urbancraft, ovvero l’essere capaci di utilizzare le materie prime che ci circondano per emanciparsi dal condizionamento e dal ruolo di consumatori passivi. Il progetto si sviluppa in tre tempi: - esplorazione della città, uscendo dai percorsi definiti dai tragitti quotidiani; - disegno di un’altra carta della città, con riferimenti diversi da quelli dei suoi abitanti o dei turisti; - decontestualizzazione, fase dell’osservazione in cui realizza un inventario di tutto ciò che lo circonda. Le idee sono rese materiali attraverso installazioni essenziali capaci di non aggredire il contesto: l’artista mette semplicemente insieme gli elementi trovati per strada, che poi fissa nel tempo attraverso foto e video, perché consapevole che sono destinate a sparire. Quel che conta realmente è l’idea che vuole essere trasmessa. Il secondo esempio è il workshop didattico di autocostruzione “A nous le parking!”, che rientra nel quadro del Plan Campus lanciato nel 2008 dal governo francese per finanziare i progetti di trasformazione di centri universitari. In questo caso l’Ecole publique d’ingénieurs et d’architects a Strasburgo, mette in discussione l’utilizzo di un piazzale asfaltato destinato a parcheggio. Quest’area, che funge da cerniera tra la città ed il campus, per alcuni mesi è stata trasformata in un territorio di sperimentazione. Il progetto viene avviato attraverso una call rivolta agli studenti della scuola, che li invitava ad ideare degli arredi urbani, raccolti successivamente in sette moduli-base. Durante la seconda fase sono stati costruiti 33 differenti moduli-arredo urbano e sono stati installati, offrendo diversi usi: porte per giocare a calcio, tavolini con scacchiere, differenti tipi di sedute. Un modellino di ogni modulo è stato messo a disposizione per immaginare in modo rapido altre possibili soluzioni, evidenziando così che non esiste una configurazione definitiva. Questi strumenti saranno necessari nel momento in cui il campus verrà rinnovato, gli studenti dovranno semplicemente spostare i moduli per dare un nuovo assetto allo spazio. Il terzo esempio è il programma di progetti-azione e di interventi temporanei di trasformazione degli spazi pubblici “Parkdesign 2012” a Bruxelles. Il progetto si è concentrato sul tema degli spazi interstiziali, delle aree in abbandono e dei vuoti in città. Alla base dei lavori ci sono tre obiettivi: rilevare il potenziale diquesti spazi, rafforzare i legami sociali tra periferia e centro, offrire un luogo alternativo dove riunirsi. L’idea è quella di lavorare sulla trasformazione di terreni, privati o pubblici, abbandonati o in attesa di un progetto, e di intervenire in forma

“City is a playground” Florian Rivière Dublino, 2012

“A nous le parking!” Ecole publique d’ingénieurs et d’architects Strasburgo, 2008


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“Parkdesign 2012” Studio Basta, Wagon Landscaping [et alii] Bruxelles, 2012

temporanea con la possibilità che le installazioni possano durare nel tempo. I lotti sono stati scelti in base alla redazione della “Carta delle possibilità”, una cartografia in cui sono riportati i quartieri più densi e lontani dai parchi. Questi dovevano essere vicini gli uni agli altri per poter essere visitati in poche ore, muovendosi a piedi. Il territorio scelto era molto interessante poiché presentava ambiti con caratteristiche molto diverse: terreni piatti a Sud, in pendenza o a strapiombo a Nord. L’area di intervento inoltre si estendeva su tre comuni, un aspetto che complicava le procedure e rallentava i processi burocratici. Tuttavia questa combinazione di fattori rendeva l’area unica da un punto di vista sociale, demografico e politico. Una volta ricevuti i due progetti relativi a due siti differenti da ogni équipe, sono stati intrecciati insieme, facendo dialogare in una variegata gamma più interventi, capaci di lasciare una traccia visibile per circa un mese: - installazioni costruite per e con gli abitanti; - una struttura mobile al tempo stesso orto-giardino e cucina; - un taxi con una proiezione di cortometraggi che mostravano i sogni e la realtà degli abitanti del quartiere; - una fonte di acqua potabile creata in un lotto postindustriale; - installazioni classiche e contemporaneamente non convenzionali, che hanno permesso di apprezzare la qualità paesaggistica; - una installazione che ha mostrato le barriere che impediscono l’accesso ai vuoti urbani; - un progetto minimale nell’attuazione, ma con un forte impatto ideale, che ha previsto la rimozione di una recinzione in un territorio abbandonato.


CAPITOLO 2

Il caso Palermo



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Il tema dello Spazio Pubblico a Palermo è collegato in modo inscindibile alla sua evoluzione storica in quanto la città rimane all’interno delle mura fino alla fine del Settecento. Tuttavia è possibile riscontrare due espansioni extramoenia della borgata di Santa Lucia a Nord e della borgata di Sant’Erasmo a Sud tra il XVII e il XVIII secolo. Attraverso la cartografia storica redatta da Gaetano Lossieux nel 1818 si può osservare la struttura urbana con un tessuto prevalentemente medievale ed arricchito dalle aggiunzioni barocche come i Quattro Canti, l’intersezione tra Corso Vittorio Emanuele e Via Maqueda. I grandi spazi pubblici sono legati alle manovre militari, che vedranno il loro tramonto con le innovazioni belliche: lungo il Cassaro si individuano la piazza d’arme del Palazzo Reale (ad Ovest) e lo spazio che diventerà Piazza Marina (ad Est). Dunque il problema principale dello spazio pubblico in una grande città come Palermo è che in realtà questo è fortemente legato ad alcune funzioni ben precise. La prima espansione, dettata dall’incremento della popolazione e dunque dalla richiesta di nuove abitazioni, si verifica nel 1778 con l’addizione Regalmici che prevedeva lo spostamento del baricentro della città verso Nord. L’ingegnere Nicolò Palma aveva il compito di collegare la città antica con il borgo Santa Lucia, assecondando i canoni di razionalità geometrica che vigevano in quel periodo. Tuttavia non è ancora possibile parlare di spazio pubblico vero e proprio perché le funzioni tipiche legate alla Città di Palermo Marchese di Villabianca, 1777


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mobilità, come la costruzione della stazione, si svilupperanno più tardi nell’Ottocento. Rimane uno spazio pubblico funzionale o in alcuni casi celebrativo come il giardino della Cattedrale, per questo si parla di funzioni precipue fortemente legate a determinate esigenze. Sia il piano del Palazzo Reale, ovvero Piazza della Vittoria, sia il piano della marina, che diventerà Giardino Garibaldi, sono due luoghi che saranno trasformati perché la perdita di valore della funzione difensiva legata alle nuove modalità di far la guerra è un’opportunità che consente l’occupazione di questi spazi. Non ci sono più eserciti da manovrare ma giardini da costruire. È emblematico il caso di Piazza Marina: lo scenario urbano sarà occupato dall’intervento dell’architetto G. B. Filippo Basile con la costruzione del Giardino Garibaldi, che costituisce uno spazio urbano da un punto di vista vegetazionale e paesaggistico assolutamente nuovo e fortemente celebrato dalla presenza del ficus macrophylla. Il giardino si impone come recinto geometrico rispetto alla discontinua cortina edilizia prospiciente la piazza, la disposizione interna invece non segue regole geometriche precise, i viali e la vegetazione si sviluppano in modo irregolare secondo i canoni del giardino romantico all’italiana. Il progetto iniziale si basava sulla realizzazione di un giardino pubblico commemorativo attraverso la costruzione di nuovi assi regolari che lo avrebbero posto come centro di un contesto urbano caratterizzato da antichi monumenti. Tuttavia gli interventi previsti per l’assetto delle nuove strade, essendo eccessivamente onerosi, non vennero mai realizzati. Fuori dalle mura si trova la Villa Giulia, costruita dall’ingegnere Nicolò Palma nel 1777 come primo giardino pubblico in Sicilia. L’intera superficie del giardino si sviluppa sul piano e l’impianto è generato dall’applicazione del quadrato, del cerchio e dell’ottagono. La villa si affacciava sul mare tramite la strada Colonna, oggi Foro Umberto I, in seguito con la sedimentazione dei detriti provocati dalla guerra si allontanerà di molti metri. Oggi gran parte degli oggetti d’arredo versano in cattivo stato e presentano mutilazioni, il manto dei viali è danneggiato, le vasche sono prive d’acqua ed i condotti vengono utilizzati solo per le irrigazioni. Il Giardino Garibaldi e la Villa Giulia denunciano non solo una cattiva manutenzione, ma anche l’evidente degrado e il progressivo abbandono dello spazio pubblico [Pirrone et alii, 1987]. Nel 1891 si tiene a Palermo l’Esposizione Nazionale per lanciare la città come capitale del commercio a scala internazionale. Viene allestito un quartiere lungo il nuovo asse di Via della Libertà ed entra nello scenario un nuovo spazio pubblico, piazza Castelnuovo. La costruzione di nuove parti della città offrirà nuove occasioni per la realizzazione di nuovi impianti: un esempio è la stazione ferroviaria che verrà dotata di uno spazio antistante. Edoardo Caracciolo nel 1953 pubblica nella sua rubrica su Urbanistica un articolo intitolato «Difesa del paesaggio urbano» i cui contenuti risultano ancora oggi molto attuali. Nell’introduzione Caracciolo sottolinea la necessità di una maggiore Padiglione Esposizione Nazionale Palermo, 1891


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difesa del paesaggio urbano e rurale, intesi come declinazione dei caratteri identitari della Nazione. Successivamente sviluppa un ragionamento semplice e al tempo stesso di grande forza: non esistono ambienti da rispettare ed ambienti che è possibile violare. Le figure dell’urbanista e dell’architetto devono impegnarsi affinché la progettazione dei lavori non rimanga un mero lavoro sulla carta e devono inoltre imparare a confrontarsi con il contesto ed essere in grado di comprenderne i valori. Il disordine urbanistico di Palermo congiuntamente al degrado ambientale e all’abusivismo edilizio sono il risultato di una carenza da parte del Comune di controlli sulle attività che si svolgono nel territorio. In chiave contemporanea Palermo non ha offerto molto, ma sicuramente merita una nota di attenzione l’ex Piazza Vittorio Emanuele Orlando, lo spazio libero di fronte il Palazzo di Giustizia. Questo edificio occupa il sedime di un bastione demolito appositamente per la sua costruzione, l’opera di fondazione risale alla fine degli anni ‘30, ma verrà interrotta a causa della guerra. Il progetto viene completato negli anni ’50. È importante sottolineare che quasi tutti i nuovi spazi costruiti a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60 a ridosso e fuori dalle mura sono connotati dalla forte presenza della mobilità privata delle autovetture. Il recente intervento nella piazza di fronte il Palazzo di Giustizia cambia la percezione dell’edificio. Si decide infatti di espellere il parcheggio a raso che aveva connotato per i tre decenni precedenti l’aspetto del luogo a favore della zona pedonale. Si prevedeva inoltre di costruire un parcheggio sotterraneo, con la consapevolezza che si sarebbero incontrate le fondazioni del bastione. Questo intervento dal punto di vista architettonico ha riconfigurato la facciata del Palazzo dotato di uno scalone che ricordava il crepidoma di un tempio ed utilizzato come ingresso principale. L’inserimento della piazza su due livelli con la problematica e la protezione della sicurezza dell’edificio ha reso schiacciato il prospetto principale, modificandone la sua percezione e non risolvendo del tutto le criticità del posto. In epoca recentissima esempi di spazio pubblico sono stati realizzati in occasione di Manifesta12, biennale di arte contemporanea che aprirà nel 2018. L’intervento allo ZEN, il quartiere di edilizia economica e popolare nella periferia di Palermo, riguarda la costruzione di un giardino all’interno delle insulae. Gli spazi liberi tra una palazzina e un’altra sono utilizzati come discarica. Attraverso l’intervento di Gilles Clement questi spazi sono diventati un paesaggio di fiori e piante di cui gli abitanti si prendono cura. Questo approccio è visto come un interessante tentativo di partecipazione reale per gli abitanti. Un ulteriore esempio è Parco Uditore che, seppure nato come attrezzatura specialistica, è uno dei progetti di riappropriazione di uno spazio pubblico più riusciti non solo architettonicamente ma anche sul piano del coinvolgimento della società. Da fondo agricolo recintato di uso esclusivo, negli ultimi venti anni della

Piazza Vittorio Emanuele Orlando Palermo, 2017


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Regione Sicilia e dei trenta precedenti da una famiglia di affittuari, si è trasformato in uno spazio pubblico definitivamente a disposizione di tutti.


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Città di Palermo Gaetano Lossieux, 1818



CAPITOLO 3

Parco Uditore da campagna a campagna



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Parco Uditore è un residuo agricolo della campagna di Palermo. Durante il percorso delle sue vicende storiche è sempre stato un fondo destinato alla coltivazione del fico d’India. Tale produzione è rimasta attiva fino agli anni ‘90: dal fico d’India infatti non si ricava soltanto il frutto ma si utilizza anche la pala, ovvero la foglia, che in ambito rurale è adoperata come mangime per gli animali. Palermo come tante altre città del Sud Italia ha mantenuto fino agli anni ‘70 e ‘80 una presenza di piccole stalle e piccoli appezzamenti produttivi con animali che sicuramente venivano nutriti grazie al taglio delle pale di fico. Negli anni ‘30, in preparazione alla Guerra Mondiale, Mussolini costituisce l’AGIP, come Agenzia Generale di Idrocarburi e Petroli. Dovendo insediare un deposito, si decide di posizionare sul versante Est di quello che oggi è il Parco Uditore un sistema di cisterne sotterranee in calcestruzzo, nascoste così all’occhio del nemico. Queste vengono progettate con l’ausilio dell’ingegnere ed architetto Pierluigi Nervi, esteta del calcestruzzo e noto per altri progetti in Italia, come lo stadio di Firenze, lo stadio Flaminio e il Palazzetto dello sport a Roma. Questo pezzo della campagna rimane attivo e produttivo, nel frattempo, su questo terreno erano stati costruiti oltre i serbatoi anche dei piccoli depositi e un piccolo baglio. Dopo la seconda Guerra Mondiale con la caduta della monarchia e la riorganizzazione dello Stato Repubblicano, tutti i possedimenti dello Stato, della Corona Sabauda, passano alla Repubblica Italiana. Particolare Parco Uditore Fotopiano, 1987


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Questi in parte vengono riorganizzati su base regionale, per cui il Parco trasferito in dotazione demaniale della Regione siciliana, che non sa come occuparsene, viene affidato in locazione ai Gelsomino, una famiglia numerosa che lo assume in conduzione e lo rende produttivo per circa trent’anni. Il vero punto di svolta nella storia del Parco è la cattura del boss mafioso Totò Riina nel 1993. Egli svolgeva le sue attività illegali nei pressi del quartiere Uditore ed utilizzava il territorio del Parco come punto di appoggio. I Gelsomino, subendo forse la presenza di questa figura e non potendo opporsi a questo scomodo personaggio, gli permettevano di muoversi all’interno del fondo senza difficoltà. Dopo la grande operazione che vede il boss assicurato alla giustizia, iniziano le ricerche di evidenze della sua colpevolezza: il taglio dei fichi d’India di questo luogo è drammatico. Circa il 95% delle piante viene taglia to ed espiantato nella ricerca di prove della sua presenza criminale, tuttavia i rinvenimenti non sono significativi. La Regione si riappropria del fondo e, come previsto dal Piano Regolatore Generale, insedia degli uffici all’interno dell’area recintata, che rimane un perimetro alieno al resto della città. Nel frattempo quest’ultima, tra gli anni ‘70 e ‘80 si sta espandendo oltre la circonvallazione ed ingloba il fondo, trasformandolo in quello che sarà il quartiere Uditore ad Ovest del centro. Nei vent’anni successi non vi accade quasi nulla. Nel 2008 il professore Giuseppe Barbera, docente presso l’Università di Palermo, inizia lo studio della vegetazione presente nel fondo. Nello stesso anno il professore Manfredi Leone, anche egli docente presso l’Università di Palermo, insieme alla tesista Alessandra Amoroso, porta avanti una ricerca mirata allo studio della previsione urbanistica in questione, la quale nel frattempo aveva destinato il fondo a centro direzionale della Regione. Questa tesi dimostrerà che le densità necessarie affinché la Regione possa insediarsi portano ad un totale stravolgimento dell’area con la costruzione di numerosi edifici, e che pertanto risulta insostenibile. Alcuni cittadini residenti in zona vedono da sempre il fondo come risorsa ed iniziano così ad utilizzarla abitualmente. Si stabiliscono buoni rapporti con i funzionari regionali che sono insediati all’interno, alcuni di loro scoprono che esistono degli studi universitari sull’area, decidono di aggregarsi e coinvolgere altri soggetti. Inizia il processo di riappropriazione del luogo. Il processo più importante è determinato dalle dinamiche pubbliche. Il progetto per la realizzazione di un parco viene infatti discusso in sedi pubbliche, in occasioni di feste con un corredo di attività che aumentano la voglia di miglioramento della qualità della vita e che vengono lanciate attraverso YouTube e Facebook. Quando la petizione raggiunge gli 8.000 firmatari, diventa una vera e propria forza politica. L’amministrazione comunale, con l’allora sindaco Diego Cammarata, decide di non perdere questa occasione e chiama a colloquio il professore Leone. Questo incontro porta alla redazione, da parte dei professori Leone e Barbera, di una variante urbanistica. L’azione viene reputata estremamente interessante dalla presidentessa della commissione urbanistica, l’avvocato Nadia Spallitta, che convoca più volte la commissione. Mentre il Comune ragiona sulle azioni da intraprendere, la Regione che è il proprietario del fondo con l’assessore all’economia Gaetano Armao,


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oggi vicepresidente della Regione, chiama i docenti chiedendo di sviluppare delle proposte per rendere il luogo uno spazio pubblico. Inizia così il processo che porta in un anno e mezzo all’apertura del parco. Il primo stanziamento prevedeva una disponibilità di 100.000 euro, serviti ad aprire il parco alla città. Il fondo viene attrezzato con un’area per l’educazione fisica, con tavolini da pingpong nei vialetti e con un’area giochi grazie all’azienda Kompan. Il vero ribaltamento della situazione è stato l’abbattimento del muro che da più di sessant’anni precludeva la vista del luogo ai palermitani. Questo è stato un punto fondamentale tanto in termini progettuali quanto di azione paesaggistica sociale nei confronti della città. Parco Uditore rimane ancora oggi campagna, perché il relitto vegetale – al netto dei fichi d’India – di fatto rimane. Naturalmente l’operazione di pulizia per la gestione di manutenzione di sfalcio rende il luogo più gradevole e frequentabile. Negli ultimi tempi, in particolare nel 2018, Palermo si trova in una situazione di affaticamento perché Parco Cassarà è temporaneamente chiuso per un’indagine della magistratura per la presenza di inquinamento ambientale e Parco Uditore costituisce un polmone verde fondamentale per la città. Il parco è estremamente radicato nella coscienza dei cittadini e di chi gli vuole. Correre, passeggiare con il cane, portare i figli a giocare con gli scivoli costituiscono gli elementi che portano la qualità della vita ad un livello superiore. Grandi eventi consentono di sostenere attraverso il fundraising la vita del parco, oggi gestito dagli eredi della prima associazione che nel corso del tempo si è trasformata in una cooperativa sociale. In definitiva si tratta di una storia di buone pratiche che trasforma un pezzo di campagna in una campagna attrezzata. Chiamarlo parco nella definizione paesaggistica più tradizionale può sembrare non del tutto corretto, ma di fatto resta una di quelle azioni sociali e paesaggistiche cha hanno permesso l’utilizzo di un bene comune aperto effettivamente a tutti i cittadini.

Particolare PRG, 2004

Particolare Parco Uditore Fotografia aerea, 2017



CAPITOLO 4

Parco Uditore e la percezione della comunità



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La città di Palermo presenta ancora oggi vistose carenze relativamente alla presenza di servizi e attrezzature pubbliche: i vuoti maggiori si riflettono nella dotazione del verde pubblico ed attrezzato e dell’edilizia scolastica. Le dotazioni attuali di verde pubblico si limitano essenzialmente ai giardini, realizzati nel nucleo storico alla fine dell’Ottocento, attualmente spesso privi di una corretta manutenzione. Nelle zone di espansione la percentuale di realizzazione di verde pubblico è molto bassa. In particolare, in riferimento al quartiere Uditore il dato si aggira intorno allo 0.04 mq/ab (contro i 9 mq/ab previsti per legge dal D.M. 1444/68) [Picone et alii, 2012]. Una caratteristica di questo borgo è la presenza di spazi agricoli, in particolare nella zona occidentale i campi coltivati si alternano ad alcune villette. L’apertura di Parco Uditore ha determinato anche il cambiamento percettivo del luogo, trasformando il quartiere-dormitorio in un centro capace di attirare i cittadini da ogni zona di Palermo. I temi affrontati nei capitoli precedenti sulla consapevolezza dei beni comuni e la riappropriazione di spazi negati ricorrono spesso durante il percorso di formazione del Parco Uditore. Infatti la prospettiva di un’area verde all’interno di un tessuto urbano in cui prevaleva la presenza degli edifici è stata accolta da parte della comunità in modo aperto e solidale. Il processo di partecipazione attiva, iniziato con l’iscrizione di 8.000 persone, tramutatesi in seguito in significativo gruppo di pressione, continua ancora oggi attraverso varie organizzazioni. Una delle iniziative, denominata “Parco Uditore è mio”, consisteva nello scattare una foto con un cartello con su scritto «Parco Uditore è mio». La foto avrebbe poi fatto il giro dei social allo scopo di dare un volto alle persone che avevano sostenuto attivamente la campagna. Non solo l’utilizzo dei social network è servito


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Festa del Terzo settore Parco Uditore, 2017

a far conoscere in poco tempo il parco ai cittadini, maè stato anche d’aiuto soprattutto contro le ultime resistenze politiche. Dopo il lancio della prima petizione e dopo l’apertura del la prima pagina Facebook “Facciamo nascere un nuovo parco a Palermo”, l’aspettativa da parte dei cittadini è esponenzialmente cresciuta. Grazie all’interesse dell’assessore Gaetano Armao e della Regione Sicilia, decisi ad impegnarsi direttamente conferendo visibilità al fondo, si è organizzata una piccola festa di apertura dei lavori all’interno del parco. Un gesto eccezionale, ma anche simbolico, finalizzato a dare alla cittadinanza la consapevolezza che il parco stava nascendo ed era aperto per loro. Il desiderio, generato dalla pubblicità sui canali social, di vedere questo luogo crescere passo dopo passo, era stato di una tale portata che vennero organizzate per diversi weekend visite guidate a numero chiuso. Tutti volevano vedere cosa stava succedendo e tutti cercavano di conoscere e scoprire il parco. Questa situazione, del tutto nuova ed estremamente eccezionale dimostrava l’interesse che i palermitani avevano nei confronti dell’innovazione, della scoperta dei luoghi ma soprattutto esprimeva la bramosia di normalità nel possesso di attrezzature e di risorse. Nel corso del tempo sono state proposte diverse campagne di fundraising, al fine di ottenere sponsorizzazioni più o meno stabili da parte di imprenditori locali e non. Un esempio tra questi è quello dell’azienda Leroy Merlin, che attraverso i negozi di Palermo ha dato contributi nel tempo. Tante piccole e medie realtà locali appassionate al tema della rigenerazione hanno costruito in qualche modo un elemento di propulsione dello sviluppo del futuro parco. Si è rafforzata la presenza di alcune filiere: sono state messe in opera una serie di occasioni di mercato del contadino, di fiere natalizie, di feste del terzo settore che si occupa di solidarietà e di volontariato. Sicuramente la partecipazione del mercato della filiera corta è stata una di quelle più interessanti con un numero sempre costante di visitatori. Il parco è diventato un posto multi livello dove diversi strati della società, composta da soggetti per età, stato sociale e impegno sociale diversi tra di loro, hanno trovato un luogo che li potesse ospitare. È necessario sottolineare che le azioni sociali sono sempre state collegate alle azioni paesaggistiche. Sono state condotte infatti delle riqualificazioni del parco attraverso la collaborazione delle scuole, delle associazioni e dei semplici cittadini che hanno donato più di cinquecento alberi dall’apertura ad oggi. Queste operazioni hanno permesso di arricchire il corredo vegetale dopo lo stravolgimento del taglio dei fichi d’India. Il fondo era di fatto un pezzo di campagna abbastanza desolata e poco ombreggiata, eccezion fatta per alcuni esemplari di bagolaro (Celtis Australis), qualche albero di ulivo e pochi alberi d’alto fusto, tra i quali i pini nella zona occidentale. Di fatto mancava un vero e proprio corredo vegetale, ma soprattutto mancava una disposizione ordinata, legata in qualche modo alla struttura di un progetto paesaggistico. Le azioni promosse, determinate sulla scorta della volontarietà e dell’entusiasmo,


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sono anche sintomo della mancanza di un rigore progettuale. Se da un punto di vista metodologico questa mancanza può risultare una grave pecca agli occhi dei più esperti, da un altro punto di vista ha permesso a tante comunità e ad altrettante scuole di entrare in contatto con questo tipo di realtà, di appropriarsene, di viverla e di avere una partecipazione attiva all’interno del parco nella sua vicenda evolutiva. Esiste una cooperativa che gestisce il parco e una più ampia comunità. Ogni frammento di questa comunità partecipa, più o meno in modo incisivo alla vita del parco. Sono tanti i livelli di comunità con partecipazioni differenti che costituiscono la vera identità di questo luogo, prescindendo dalla sua sistemazione architettonico-paesaggistica e da ciò che concretamente c’è dentro. Esiste un’anima sociale all’interno di questo spazio che è il frutto della capacità di gestioni di chi, giorno per giorno, si occupa della sua crescita. Questo tipo di gestione costituisce un caso abbastanza unico nel suo genere, che ne sostiene la sopravvivenza e lo sviluppo. Per ciò è importante che le iniziative legate alla promozione della fruizione del parco vengano continuamente alimentate al fine di non esaurirsi. L’iniziativa proposta nel 2017 “Terra Promessa” prevedeva la realizzazione di un giardino aromatico attraverso la collaborazione degli studenti dell’Istituto Agrario E. Majorana e di giovani migranti neo maggiorenni residenti a Palermo. Il progetto ha consentito l’inserimento lavorativo di un giovane straniero ormai uscito dal percorso di accoglienza. In Italia la legislazione prevede che gli extracomunitari appena compiuti 18 anni devono uscire dalla comunità e pensare al loro futuro, spesso senza alcun sostegno. Attraverso questo evento è stato possibile offrire un aiuto a coloro i quali, segnati da un vissuto spesso traumatico, viene chiesto di diventare improvvisamente adulti. Tutte le forme di finanziamento su base volontaria o azioni provenienti da enti benefattori hanno permesso al parco di non essere dimenticato. Ad esempio di ciò, recentemente il fondo Aviva sta donando al Parco Uditore una somma per un progetto che vede insieme nonni e nipoti usufruire dello spazio pubblico. In aggiunta a questo continuano gli eventi estivi per i giovani, il cosiddetto “tempo d’estate”, che dal 2015 il parco organizza ogni anno riscuotendo enorme successo e visibilità. Esiste dunque un’attenzione da parte della comunità che non si ferma ai cittadini del quartiere ma che, promossa anche dai social, riesce a suscitare l’interesse per le iniziative messe a disposizione dagli operatori del parco. Eventi di tal genere legati alla realtà del parco, come spazio pubblico, ottengono in breve tempo reazioni positive da parte da parte della comunità cittadina che percependo lo spazio come proprio, lo sfrutta adeguatamente ai propri bisogni.

Progetto di cittadinanza attiva Parco Uditore, 2017

Iniziativa “Terra Promessa” Parco Udiore, 2017



CAPITOLO 5

Evoluzione dello spazio pubblico a Treviso: cenni storici



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L’antico villaggio di Treviso (dal latino Ter-Visum, “tre Viste”) nasce in epoca pre-romana su tre alture nei pressi di un’ansa del fiume Sile. Il nucleo storico si sviluppa all’interno della cinta muraria, ricostruita circa cinquecento anni fa, per difendere la città dagli attacchi nemici. Durante i secoli, la città viene invasa da diversi popoli, primo tra tutti quello degli Unni: l’eco del nome di Attila, come flagellum Dei, risuonò a lungo nelle campagne trevigiane. Con la nascita dei Comuni i trevigiani iniziarono a stipulare trattati di alleanza con i centri abitati limitrofi, iniziando così un periodo di pace e libertà. Nel 1389 la città passa definitivamente sotto il dominio della Signoria di Venezia, allontanando la guerra dai propri confini per più di un secolo, fino al 1509. In questo anno la Serenissima viene sconfitta nella battaglia di Agnadello dalle truppe francesi della Lega di Cambrai, e, costretta a rinunciare all’espansione nel resto dell’Italia, decise di fortificare le sue più importanti città. A Treviso questo progetto fu affidato al frate francescano Giovanni Giocondo da Verona. I lavori durarono nove anni e cambiarono il volto della città: le mura medioevali vennero abbattute e così anche i borghi e gli edifici esterni, lasciando posto ad una spianata. La nuova cinta muraria fu costruita a terrapieno e rivestita all’esterno da una spessa muraglia in mattoni, attraverso cui era più facile resistere agli attacchi dell’artiglieria moderna. Dopo aver completato le mura, iniziarono le opere idrauliche: il corso del fiume Botteniga fu deviato in modo da creare un fossato abbastanza profondo. L’attacco delletruppe della Lega di Cambrai venne Particolare cinta muraria Treviso


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sferrato nell’estate del 1511 e durò fino ad ottobre. Le opere difensive di Fra Giocondo resistettero e le mura non subirono gravi danni. Per celebrare questa vittoria furono costruite porta Santi Quaranta e porta San Tommaso con il linguaggio degli archi trionfali romani. Durante il XIX secolo le mura iniziarono ad essere un luogo di incontro e passeggio, si fece realizzare un lungo viale alberato ed i varchi vennero trasformati in caselli daziari. Dopo un lungo periodo di abbandono e degrado sono tornate a risplendere negli anni ’90, diventando palcoscenico di eventi, manifestazioni musicali ed enogastronomiche e continuando a mantenere la loro vocazione naturale, ovvero quella di essere un luogo dedicato alle passeggiate e al jogging. Estate ed inverno, sotto le folte ed ombrose chiome degli alberi, rimane uno dei luoghi simbolo del centro storico di Treviso. Agli inizi dell’Ottocento, dopo aver sconfitto gli austriaci, Napoleone entra con le sue truppe all’interno della città, utilizzando le chiese e molti altri conventi come depositi e caserme, incurante del pregio storico dei manufatti. La carta storica “Pianta della Regia città di Treviso”, realizzata dal capitano Basilio Lasinio nel 1822, mostra come lo spazio all’interno della città fosse dedicato in prevalenza al verde, diviso in giardini ed orti. Anche gli spazi formali monumentali sono caratterizzati da una notevole austerità. Ne sono esempio la sistemazione del Duomo prospicente all’omonima piazza e il Palazzo dei Trecento, centro della vita politica, amministrativa e sociale rivolto verso Piazza dei Signori. Al di fuori della cinta muraria si trova una grande distesa messa a coltura, la spianata, con la presenza sporadica di edifici nella zona Sud-Est. La più significativa innovazione che Napoleone ha lasciato a Treviso è stata la costruzione di due strade, ancora oggi esistenti, che collegano la città a Nord con Vienna e a Sud con Venezia. Durante la prima guerra mondiale Treviso fu oppressa dai bombardamenti aerei che distrussero gran parte della città. Soffrì ancora di più durante l’ultimo conflitto mondiale, quando subì un bombardamento che provocò migliaia di vittime e distrusse edifici pubblici e monumenti di notevole interesse storico ed artistico, patrimonio della città e suoi simboli. Nel 1944, infatti, un’incursione breve e devastante ad opera delle Fortezze Volanti americane distrusse gran parte della città. L’obiettivo principale era la stazione, ma le bombe colpirono interi quartieri residenziali che furono rasi al suolo. Tra gli edifici che hanno subito ingenti danni si annovera anche il Museo Bailo, la più antica tra le sedi museali civiche. Venne ricostruito ed ampliato con l’inserimento di una pinacoteca ai piani superiori, che raccoglie le opere di pittori veneti e circonda i due chiostri al piano terra. Un altro edificio bombardato fu il complesso di Santa Caterina: a favorire la decisione di recuperare l’intero spazio è stato il ritrovamento di pitture nascoste da secoli sotto gli intonaci che imbiancavano le pareti dell’omonima chiesa. Negli anni ’70 si decise di trasformare in museo tutto il complesso e di affidare il progetto all’architetto Carlo Scarpa, che aveva seguito i lavori iniziali, ma queste opere non furono mai del tutto completate. Lo spazio pubblico può essere, dunque, il risultato di fattori esterni o di un progetto unitario che deriva da modificazioni progressive della città.


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Nel caso di Treviso questo spazio si è sviluppato nel corso dei secoli in simbiosi con i cambiamenti biologici, topografici ed architettonici dei luoghi. L’installazione di opere d’arte contemporanea all’interno del nucleo storico, l’uso di viali alberati lungo le strade più trafficate e la presenza di aiuole all’interno delle calli arricchiscono lo spazio pubblico. Se da un lato però la città di Treviso focalizza il suo interesse all’organizzazione del centro intramoenia, è tuttavia differente il modo in cui si approccia alle aree extramoenia. Un esempio è dato dal Prato della Fiera, sito collocato fuori dalle mura e visibilmente separato dalla spianata difensiva di fra Giocondo, uno dei luoghi più antichi e importanti per la storia della città definito «Un porto in una città di terraferma» [Casellato, 1998]. L’elemento di maggiore rilevanza ed attrattività era il Sile, straordinaria arteria che attraversava la campagna trevigiana, trasportando merci, persone ed idee. In una società prevalentemente contadina, chi lavorava sulle barche aveva il privilegio di poter conoscere il mondo esterno, venendo a contatto con nuove e diverse realtà. Il fiume fungeva da snodo portuale con quattro scali principali: il porto Makallè, della Rotta, del Cristo e della Gobba. Inizia a svilupparsi, attraverso le diverse voci di chi viveva lì e di chi, invece, era solo di passaggio, la storia del borgo. Questo luogo, resiliente di fronte ai mutamenti, alle guerre e alle repressioni, vedrà il suo declino nel secondo dopoguerra ed insieme al Sile verrà dimenticato dai suoi cittadini, a causa della graduale chiusura dei complessi industriali e la definitiva cessazione dell’attività dei barcari negli anni ’60. Un’analisi attenta del tessuto contemporaneo della città di Treviso non evidenzia la presenza di interventi significativi. Attraverso una comparazione tra la cartografia di Lasinio ed una carta moderna è stato possibile notare che tutti gli spazi verdi ora sono saturati dagli edifici. Nel corso del Novecento iniziano le prime espansioni al di fuori della cinta muraria, i quartieri creati traggono spunto dall’esperienza delle garden cities, ovvero rettifili principali da cui si diramano strade secondarie con abitazioni basse e giardini limitrofi. Anche per il complesso della stazione che si presenta come un semplice snodo viario posto all’esterno della città la qualità dello spazio pubblico rimane modesta. A pochi passi dalla stazione di fronte ad una piazza si trova la sede del Genio Civile, la cui struttura austera non riesce a comunicare con lo spazio limitrofo. Entrambi i luoghi sembrano aver perso il contatto con la realtà perché, utilizzati esclusivamente come punto di passaggio, non vengono riconosciuti dai cittadini come spazi di aggregazione. Inoltre a Nord della città si trovano due parcheggi: uno all’esterno delle mura, sorto in sostituzione del Pattinodromo, un altro dentro le mura. Quest’ultimo in particolare precede un terrapieno attraverso cui poter accedere alla parte superiore delle mura. La presenza, se pur necessaria, di queste due aree, non determina tuttavia spazi di qualità.

Porto della Gobba Treviso


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Pianta della Regia città di Treviso Basilio Lasinio, 1822


CAPITOLO 6

Il Prato della Fiera e le istituzioni



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In Veneto il tema della tutela del patrimonio ambientale, paesaggistico e naturalistico si impone all’attenzione dell’opinione pubblica nella seconda metà degli anni Settanta. Gli interventi dello Stato, effettuati tramite le normative ormai insufficienti ed inadeguate della L. 1487/1939, generano un forte movimento culturale per il risanamento del patrimonio. In questi stessi anni l’economia veneta è in pieno sviluppo ed in netto contrasto con le trasformazioni del territorio. Questo modello economico da un lato favorisce e incoraggia la diffusione di strutture produttive di tipo artigianale o industriale nelle campagne da cui derivano alti costi ambientali e dall’altro si scontra con il nuovo tema del “parco naturale”. Inizia un confronto tra istanze spesso incompatibili, che coinvolge i partiti, le associazioni ambientaliste e le organizzazioni economiche. Il primo elenco di “aree meritevoli di tutela” viene redatto da una commissione tecnico-scientifica di livello universitario e viene approvato dalla Commissione tecnica regionale nel 1983, in attuazione dell’art.5 della L.R. 72/1980 [Zanetti, 1998]. Questo documento, utilizzato per redigere il Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC), comprende circa settanta ambiti di particolare rilievo, individuati in diverse fasce geografiche del territorio. Da questo documento nasce una discussione relativa ai limiti concettuali della L. 72/1980, che prevede la tutela di ambiti territoriali a prevalente o assoluta naturalità, Piano Territoriale di Coordinamento Tav 05 - Ambiti per la istituzione di parchi e riserve regionali ed archeologici ed aree di massima tutela naturalistico paesaggistica 1992


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stabilendo un vincolo nelle aree a elevata dotazione ambientale ma contemporaneamente dense di attività economiche, come nel caso del Sile. Nel 1984 si conclude il processo di revisione della legge sui parchi con l’emanazione della Legge Regionale n. 40. La compilazione del PTRC viene accelerata dall’approvazione della legge nazionale 431/1985, conosciuta come “Legge Galasso”. Nella seconda metà degli anni Ottanta e negli anni Novanta inizia la fase attuativa del piano e vengono istituiti quattro parchi regionali, tra cui, ultimo in ordine di tempo, il Parco Naturale Regionale del fiume Sile (L.R. 8/1991). Tuttavia il processo di attuazione della costituzione del parco non si può accostare al concreto avvio dell’elaborazione e dell’adozione dei piani ambientali e dei relativi strumenti attuativi. I parchi regionali, anche dopo un lungo periodo, sono lontani dal produrre i benefici culturali, economici e di miglior qualità della vita che costituiscono l’obiettivo qualificante della loro realizzazione. Gli elaborati che costituiscono il Piano ambientale sono costituiti da una serie di approfondite analisi sugli aspetti geomorfologici ed insediativi del territorio, accompagnati da una relazione illustrativa degli obiettivi e delle scelte adottate per la realizzazione del piano. Redatte le norme di attuazione con precisazione dei vincoli è stato elaborato un programma finanziario di massima con l’individuazione degli interventi ritenuti necessari. L’incarico per redigere il piano è stato affidato nel 1994 allo studio Veneto Progetti di Conegliano, il quale ha impiegato due anni per l’elaborazione delle analisi, delle relazioni e degli elaborati grafici. Il piano viene approvato nel 1997 dalla commissione tecnica, che nell’ultima fase di esame ha suggerito ulteriori modifiche. Per ovviare al ritardo nell’avvio della gestione delle risorse economiche, ambientali e naturalistiche, l’Ente Parco ha pubblicato nel 1994 un documento nel quale si dichiarava che i terreni agricoli coltivati potevano continuare ad essere gestiti in tal modo, mentre chi voleva indirizzarsi verso pratiche colturali meno invasive poteva usufruire di specifici contributi della Comunità Europea. Il Piano prevede la redazione di un documento attraverso cui individuare e classificare le aree comprese nel perimetro dell’area, chiamato “azzonamento del parco”. Le zone, ai sensi della legge quadro regionale, si suddividono in: - zone di riserva naturale generale, che comprendono l’area delle risorgive, le aree a riserva naturale orientata e le aree in cui è previsto il ripristino della vegetazione - zone agricole, con aree sottoposte a tutela del paesaggio - zone a urbanizzazione controllata, relativa alle aree urbanizzabili o edificate - elementi puntuali, costituiti anche da elementi esterni, ma strettamente connessi al Parco. Nell’ambito degli “Elementi puntuali e connessioni” il piano ambientale definisce il Progetto speciale Treviso, in cui, attraverso la riqualificazione paesaggisticoarchitettonica degli edifici che fanno da fondale Piano ambientale del Parco Naturale Regionale del Fiume Sile Tav. 24.04 – Elementi puntuali ed interconnessioni 1999


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scenico al Sile, vengono individuati i punti di accesso e le aree urbane connesse con la fruizione del parco. Le strutture e le iniziative gestionali del Parco del Sile non svolgono un ruolo attivo all’interno del territorio. I volontari, impegnati nella realizzazione di opere di tutela, salvaguardia e valorizzazione, si scontrano spesso contro l’inerzia della burocrazia, fulcro dell’amministrazione delle risorse ambientali, economiche e storiche affidategli dalla legge. Il parco possiede significative potenzialità, che tuttavia rischiano di affievolirsi con il passare del tempo in assenza di controlli e di capacità gestionale attiva. La complessità del territorio si rivela nell’intreccio delle sue molteplici tematiche: la naturalità dei paesaggi si relaziona con i centri storici, la cultura popolare e il patrimonio artistico, formando un unicum inscindibile. Il Sile si pone come cerniera tra la zona agricola e quella edificata mentre il Prato funge da porta di ingresso tra queste due realtà. L’edificato si pone come quinta scenografica alla dilatata superficie aperta, disponibile ad utilizzi più o meno programmati. L’edificio, in cui hanno sede gli uffici dell’Ordine degli Ingegneri, si colloca nell’ala orientale di un complesso ottocentesco. Questa costruzione si staglia in posizione dominante rispetto agli insediamenti residenziali limitrofi. Sulla sinistra del Prato, oltre al complesso dell’Ordine degli Ingegneri, si trova la Villa Bassan. Alla destra della Villa si nota un palazzo ottocentesco, caratteristico per la presenza sul comignolo di una nave in ferro, costruita per celebrare la professione di “barcaro” del committente. Percorrendo il viale IV Novembre, oltrepassata la Villa Viola e la chiesa dedicata a Sant’Ambrogio, si giunge al Prato dove come fondale si scorge la facciata seicentesca del casino appartenuto un tempo ai nobili Pisani. La presenza di questi edifici, segnati come edilizia storica e dunque tra le residenze da salvaguardare nel Piano del Parco Naturale Regionale del Sile, contribuiscono alla valenza storica dell’area.

Sede dell’Ordine degli Ingegneri Treviso



CAPITOLO 7

Il Prato da fiera a festa



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La prima volta che si parla della Fiera di Treviso è in un Diploma di Berengario I Re d’Italia, redatto a Verona nella chiesa di San Zeno il 9 gennaio 905. In origine questa festa, che prendeva il nome dalla chiesa di San Michele, si svolgeva nel “Prato della Fiera” durante la festa dell’arcangelo (29 settembre). Nel 1226 le Fiere cambiano data e dalla fine di settembre vengono portate alla metà ottobre. Questo cambiamento fu disposto dal Podestà di Treviso, il quale emanò uno statuto che ordinava la posticipazione della festa di quindici giorni rispetto alla festa di San Michele. Da quell’anno le Fiere si ripeterono ogni anno nei giorni attorno a San Luca, dal quale presero il nuovo nome. Le Fiere nascevano come grande mercato, posto in una posizione favorevole alle porte della città e facilmente raggiungibili per via fluviale. Lo spettacolo era arricchito dalla presenza dei mercanti stessi, vestiti in modo inconsueto e seguiti da giocolieri e imbonitori che convincevano il compratore della qualità del prodotto. Con il passare del tempo, diminuendo in modo graduale la presenza delle botteghe e aumentando il numero dei giochi, le Fiere hanno cambiato il loro carattere, diventando un parco divertimenti. Dalla seconda metà dell’Ottocento, con le nuove innovazioni delle macchine a vapore e poi dell’energia elettrica, le giostre e le attrazioni furono rese ancora più complesse tanto da eclissare l’antica funzione di mercato. Negli anni che precedono l’inizio della Seconda Guerra Mondiale il martedì mattina veniva aperto il mercato del bestiame, che per mezza Prato della Fiera Fotografia storica


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Locandina storica festa del Prato della Fiera 1931

Via Alzaia e Mulino Treviso

giornata riportava le atmosfere ormai dimenticate. Il Sile è stato per secoli la via principale di transito tra la campagna e la città, lungo il suo corso è nato il quartiere della Fiera. Per il Comune il borgo diventa un punto di contatto con la sua campagna e con le altre città. È il fiume a creare una nuova identità diversa da quella del contadino, che proprio per la sua diversità rimane ostile. L’attività economica portuale procurava lavoro a barcari e scaricatori, i quali caricavano e trasportavano i raccolti. A questi, lungo gli argini del fiume, si affiancavano i mulini, le osterie e le botteghe dei fabbri, dei tintori e dei conciatori di pelli: una microeconomia in grado di mescolare i mestieri tradizionali degli abitanti del fiume con gli agricoltori che trovavano nel Sile l’elemento primario di sostentamento. «Percorrere le strade di un quartiere, osservarne i paesaggi e i volti, ascoltare i suoni e le voci. Mi hanno insegnato che è un buon inizio, per capire la storia di una città, camminarci dentro, descrivendo ciò che si vede, si sente, si annusa.» [Casellato, 1998]. Questa pratica aiuta chi vuole analizzare un territorio a non avere alcun tipo di pregiudizio. La Fiera si trova nella periferia di Treviso fuori dal cuore nobile della città e ne ha ospitato gli scarti ed i problemi. Ne sono dimostrazioni le vecchie fabbriche, gli attracchi dei barconi, i “lampori” delle lavandaie lungo il fiume ormai in disuso e le osterie, in cui gli scaricatori bevevano e giocavano a carte. Fiera, in una campagna avversa alla città, era un luogo di passaggio, di scambio di merci ed idee che scorrevano lungo un fiume con appuntamento agli scali o alla fiera autunnale. Fino a qualche decennio fa tra gli edifici che oggi formano il nuovo quartiere si trovava un campo di roulotte dei nomadi giostrai: gli zingari. Una microsocietà slegata dal lavoro della terra, cresciuta lontana mentalmente e fisicamente dalla città e dai luoghi dell’ordine. Gli zingari occupavano il quartiere ed erano loro che nei tempi passati compravano e vendevano il bestiame alla fiera di San Luca, aprivano le giostre al pubblico e organizzavano spettacoli. Purtuttavia per lungo tempo hanno sofferto il rifiuto della società e dei pregiudizi, che non hanno permesso loro di integrarsi in una società che non condivide le idee di culture diverse. “Fiera, gente da galera” è il motto che riecheggia se si parla del borgo. Quest’ultimo si spacca in una dicotomia tra spazio di incontro e di scontro, in cui si mescolano diversi ceti sociali e coesistono sogni, desideri e novità. Durante il periodo di dominazione veneziana, per ovviare ai disordini pubblici, le classi dirigenti cercano di civilizzare il popolo per via giudiziaria, sopprimendo le componenti più rissose e disordinate della società. All’inizio del Novecento gli insediamenti all’interno del borgo iniziano a subire la forte interferenza della città. L’apertura del varco di Porta Carlo Albero collega, tramite un sottopassaggio ferroviario, la Fiera a Treviso. Questa strada, che in seguito prende il nome di viale IV Novembre, sposterà il ruolo di baricentro del fiume e di asse del quartiere, attirando gli interessi dei costruttori sul nuovo asse di espansione della città.


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La concentrazione di fabbriche, che trasformarono Treviso in un polo industriale, avvenne nella preesistente rete delle botteghe artigianali che sfruttavano il sistema locale delle acque. In questo secolo la presenza di una via d’acqua all’interno dell’ambito urbano è considerata attrattiva per le attività ricreative. Nel 1908 viene fondata l’associazione Canottieri Sile che, inizialmente dedicata a scopi ludici, diviene in seguito una sezione agonistica. Il declino della balneabilità è dovuto sia allo sviluppo industriale che inquina le acque sia all’uso delle automobili. La perdita di interesse da parte dei cittadini è accentuata dal degrado della qualità delle acque, che determina anche la perdita della diversità della fauna. L’abbandono del Prato della Fiera e la sua lenta trasformazione in parcheggio non hanno lasciato indifferenti molti dei cittadini trevigiani. Nel corso degli ultimi anni, spinti da un senso comune di appartenenza ad un luogo che ha determinato la storia di Treviso, alcuni cittadini hanno deciso di riunirsi per una causa comune. È nata ad esempio l’associazione “Prato in Fiera”, che si occupa di coordinare e sostenere gli sforzi per la riqualificazione del borgo al fine di reintegrarlo nella vita quotidiana. I membri sono riusciti a ricreare l’atmosfera delle antiche fiere, organizzando nel 2017 la “Grande Festa sul Prato” e coinvolgendo un alto numero di persone. Anche la Fondazione Benetton si è occupata di indagare e di trovare delle soluzioni, pubblicando il bando di un workshop non internazionale. Il progetto si occupa di spronare l’immaginario collettivo a ritrovare un rapporto tra natura e cultura, con uno sguardo rinnovato sul valore e sull’uso degli spazi pubblici coerentemente con i principi espressi dalla Convenzione Europea del Paesaggio. Il metodo di lavoro si basa su tre momenti di riflessione: “leggere quello che c’è”, “nutrire il possibile” e “immaginarne il cambiamento”. Attraverso il secondo momento si è iniziato a guardare in un ampio quadro le possibili azioni mirate che potrebbero ricadere sulla vita del Prato. Tuttavia i progetti finali sono definitivi, ma si preoccupano di dare delle linee guida utili all’avvio dei processi di gestione. Tra le varie iniziative condotte dall’Associazione Prato in Fiera per la riqualificazione di Prato della Fiera si segnala che è stato chiesto l’intervento del professore Manfredi Leone, docente di Architettura del paesaggio presso l’Università di Palermo, autore del progetto di Parco Uditore. L’associazione Prato in Fiera ha immaginato il gemellaggio tra Parco Uditore e Prato della Fiera come gesto simbolico di vicinanza di idee per la rigenerazione dello spazio pubblico. Gli allievi del Laboratorio di Arte dei Giardini e Architettura del Paesaggio del DARCH dell’Università di Palermo, guidati dal Prof. Manfredi Leone (UNIPA), sono stati ospiti di Fondazione Benetton e Associazione Prato in Fiera durante il workshop dedicato alle conoscenze

Impianto industriale lungo il Sile Fotografia storica

Workshop di Progettazione OPS! Allestimento dello spazio del Piccolo Circo 2018


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ed alla esplorazione del Prato della Fiera di Treviso. I partecipanti hanno potuto studiare la città ed il prato, iniziando un percorso di progettazione paesaggistica che li ha visti impegnati nel proporre soluzioni per la crescita del Prato, tuttora in corso di elaborazione e alla concreta partecipazione all’allestimento del grande evento celebrato il 14 Aprile 2018, in cui il laboratorio LandLab ha dato un contributo alla sistemazione paesaggistica di alcune aree del “prato”.

Locandina per la festa del Prato della Fiera 1997


CAPITOLO 8

Patto di collaborazione



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Come già preannunciato, l’obiettivo di questo lavoro si basa sul ritrovato concetto di spazio pubblico inteso come bene comune. Mi sono soffermata in particolare sull’analisi delle esperienze del caso Parco Uditore a Palermo, ovvero sul recupero di un fondo attraverso la partecipazione attiva dei cittadini. Prendendo spunto dalle buone pratiche di cittadinanza attiva del caso Palermo ritengo che sia possibile portare avanti delle proposte atte a rinnovare lo spazio del Prato della Fiera a Treviso. Un esempio concreto è dato da Labsus, laboratorio nato nel 2004 che ha come obiettivo l’applicazione del principio di sussidiarietà. Suddetto principio crea da un lato una nuova cittadinanza attiva e solidale, dall’altro un nuovo modello di amministrazione condivisa, nel quale cittadini e amministrazione si prendono cura dei beni comuni. Gli individui infatti non sono solo portatori di bisogni ma anche di capacità: è importante mettere in gioco l’energia, le idee, il tempo e le competenze per risolvere i problemi di interesse generale. Il maggiore supporto è dato dall’introduzione dell’art. 118 nella Costituzione che riconosce i cittadini non solo come utenti ma anche come potenziali curatori dei beni comuni. Queste innovazioni, che si riflettono soprattutto sull’autonomia di azione del singolo individuo o di un gruppo di cittadini, pongono l’accento sulla riappropriazione degli spazi comuni percepiti con maggiore sensibilità. Un punto di inizio e soprattutto di connessione tra governo e associazioni è la stipula del patto di collaborazione [Arena, Iaione, 2015], uno strumento giuridico in grado di trasformare i desideri degli abitanti di una città in interventi reali di cura dei beni comuni atti al miglioramento della qualità della vita. Il percorso per arrivare concretamente a prendersi cura dei beni comuni si articola in tre passaggi: l’art. 118 ultimo comma della Costituzione, il Regolamento ed infine i patti di collaborazione. In particolare


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l’art. 118 ultimo comma della Costituzione, permette che i beni comuni diventino la base fondante di un modello sociale, economico e istituzionale in cui il singolo cittadino o gruppi di comunità decidono di esercitare la propria autonomia civica. Per evitare che il principio non venga applicato, come già accaduto dal 2001 al 2014, è stato introdotto il Regolamento che ha normato l’attuazione di principi e prescrizioni. Il primo comma dell’art. 5 del Regolamento definisce la natura e il ruolo del patto di collaborazione: “lo strumento con cui il Comune ed i cittadini attivi concordano tutto ciò che è necessario ai fini della realizzazione degli interventi di cura, rigenerazione e gestione dei beni comuni in forma condivisa”. Per attuare il principio della collaborazione civica occorre una diversa forma di Stato: la struttura dei poteri pubblici deve essere ridisegnata affinché il singolo cittadino o le associazioni possano collaborare con l’amministrazione in vista del raggiungimento degli interessi generali. Tradizionalmente le amministrazioni hanno sempre adottato strategie di government, caratterizzate Per attuare il principio della collaborazione civica occorre una diversa forma di Stato: la struttura dei poteri pubblici deve essere ridisegnata affinché il singolo cittadino o le associazioni possano collaborare con l’amministrazione in vista del raggiungimento degli interessi generali. Tradizionalmente le amministrazioni hanno sempre adottato strategie di government, caratterizzate da meccanismi pubblici autorevoli, verticali e autoreferenziali. Con questa forma di governo un’autorità pubblica sovraordinata impone agli enti pubblici subordinati e ai soggetti pubblici le sue decisioni. È necessario dunque elaborare una teoria generale degli strumenti di governance e di strategie politiche caratterizzate da paritarietà e apertura verso lo Stato-comunità. La governance è un processo che si basa sulla partecipazione al fine di sollecitare la volontà e la responsabilità di attori pubblici e privati, chiamati a cooperare per il raggiungimento di obiettivi comuni. In particolare la governance urbana è diventata una procedura sempre più attuata per elaborare le politiche della città. Questa viene definita dal politologo e sociologo francese Patrick Le Gales come un processo attraverso cui differenti attori, istituzioni e gruppi sociali tentano di raggiungere i loro obbiettivi discussi collettivamente in ambiti frammentati e incerti. [Dematteis, Lanza, 2014] Ad oggi la migliore soluzione di governance collaborativa è quella contemplata dalla Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, denominata Convenzione di Faro del 27 ottobre 2005. Questa ratifica la volontà degli Stati di promuovere e sostenere politiche di governance integrate con l’amministrazione e la conservazione del patrimonio culturale. Compito della politica dovrebbe essere quello di investire sull’approfondimento delle condizioni giuridiche ed economiche di fattibilità per dare l’avvio a nuove sperimentazioni, invece di continuare ad investire sulla logica del government per la soluzione dei problemi di dimensione collettiva.Il patto di collaborazione nasce come strumento che cerca di indirizzare tutti gli attori coinvolti verso un obiettivo comune. Essendo una normativa del


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tutto nuova, esistono delle linee guida contenute nel Regolamento che sono di aiuto per l’amministrazione. Il secondo comma dell’art. 5 prevede schemi-tipo di patti1, il terzo comma contiene a sua volta un elenco di cose contenute all’interno del patto, ritenute opportune dal Regolamento. I patti di collaborazione ordinari sono destinati ad interventi di manutenzione ordinaria per migliorare uno spazio pubblico, un giardino, una scuola. Questi prevedono che i cittadini, che intendono realizzare interventi di cura ripetuti nel tempo, presentino una proposta di collaborazione riempiendo il modello A di cui al comma 2. Gli stessi cittadini gestiscono in via telematica sia la fase iniziale sia una parte della fase istruttoria del procedimento amministrativo che porta alla stipula del patto di collaborazione. I patti di collaborazione complessi si utilizzano nel caso in cui i cittadini vogliano realizzare interventi di cura o rigenerazione di spazi o beni comuni urbani che comportano attività complesse volte al recupero, alla trasformazione e alla gestione continua nel tempo. La città di Treviso inizia ad entrare in un’ottica in cui l’amministrazione diventa collaborativa. Un esempio è dato dalla deliberazione del Consiglio comunale del 29 giugno 2016 n. 31 che risulta contigua ad altri regolamenti comunali sull’amministrazione condivisa, concepiti sulle tracce dell’esempio di Bologna2. Tuttavia le analisi di questo documento riportano alcune criticità che devono essere ripidamente modificate, affinché possa essere accettato. L’associazione Prato in Fiera, che si occupa da alcuni anni di risollevare le sorti del Prato della Fiera e che lotta contro una burocrazia invisibile, proporrà alla nuova amministrazione il Patto di Collaborazione, per sensibilizzare la politica sulle dinamiche della trasformazione che ha segnato la storia della città.

1 Si veda il prototipo Labsus “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazioni per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni urbani” nella sezione Allegati di questo lavoro. 2 Per approfondimenti si veda l’introduzione alla pagina 11.



CAPITOLO 9

Prospettive e conclusioni



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«Non chiedere: “Qual è il problema?”, chiedi: “Qual è la storia?”. Solo così scoprirai qual è per davvero il problema.» John Forester (1999), The Deliberative Practitioner, The MIT Press

Nel corso dei secoli è cambiata la funzione del territorio, creato per ospitare e soddisfare le necessità degli uomini primitivi riuniti in piccole società. Negli anni l’avidità dell’uomo è stata la causa principale dello sfruttamento ambientale in base alle necessità economiche: lo spazio pubblico cessa di esistere con la saturazione dei tessuti urbani, dovuta alla speculazione edilizia. L’urbanistica fino agli anni Settanta riguardava una stretta cerchia di persone appartenenti ad ambienti culturali elevati, come l’università o la politica. Queste persone possedevano il monopolio sull’argomento, mentre la maggioranza dei cittadini ignorava molti dei suoi aspetti. In tempi più recenti, invece, sembra che attraverso i mezzi di comunicazione, come la televisione, la stampa e i social network, un’ampia fascia dell’opinione pubblica stia iniziando a prendere coscienza e conoscenza delle dinamiche all’interno delle città. questo passaggio di interesse per la città e le sue dinamiche rimanda al ruolo primitivo e fondamentale della città quale luogo di aggregazione. La riqualificazione dello spazio pubblico è un tema affrontato nelle città moderne, congestionate dalla presenza di edifici: dar vita ai luoghi dimenticati è il primo passo per riappropriarsi dell’antico milieu che caratterizza ogni città. Le diverse associazioni, presenti nel territorio, si relazionano attivamente con i cittadini, cercando di ascoltare le loro necessità. Si cerca di coinvolgere nei processi di pianificazione, soprattutto a livello di quartiere, gli attori che in prima persona vivono quotidianamente quei luoghi. Tutte queste nuove iniziative hanno permesso una lenta riqualificazione delle città, come nei casi che ho presentato nei capitoli precedenti di Palermo per Parco Uditore e Treviso per il Prato della Fiera. Più volte è stato sottolineato come la componente della cittadinanza attiva è importante nel processo di sviluppo duraturo di un bene comune. Le amministrazioni, infatti, non devono imporre un cambiamento senza


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dare prima una motivazione. È importante che questi interventi, realizzati sovente nelle periferie o negli spazi più degradati e difficili, siano capaci di catturare l’approvazione della comunità. La tecnica del Planning for Real, sviluppata a Londra, prevede la partecipazione degli abitanti nella progettazione del proprio territorio. Il compito di un pianificatore, allora, non è solo quello di studiare cartografie all’interno di una stanza, bensì di vivere in prima persona le esperienze cittadine. Il tecnico se non è presente sin dall’inizio alla progettazione partecipata, nel momento in cui deve fornire un’interpretazione progettuale, può basarsi solo su stereotipi che non ha avuto modo di confrontare con la realtà. In vista del rinnovato ruolo del pianificatore, i docenti, durante il percorso di studi, mi hanno insegnato l’importanza delle passeggiate all’interno dei quartieri e dei dati qualitativi annotati durante seminari e workshop con i membri delle comunità. Gli interventi proposti devono essere realizzati in collaborazione con i cittadini, che si prenderanno cura del bene in prima persona. Anche i questionari ad esempio diventano una fonte ricchissima di informazioni per strutturare la consultazione pubblica o i laboratori progettuali, sedi in cui le persone discutono per costruire delle soluzioni insieme. Un altro strumento, indagato in modo più approfondito nei capitoli precedenti, attraverso cui cittadini ed istituzioni possono dialogare, è il patto di collaborazione che definisce ed individua l’uso di un bene comune. La trasformazione può avvenire attraverso una politica riformista, in grado di riconoscere le esigenze dei cittadini e al tempo stesso capace di imporre delle regole, intese come garanzia degli interessi della comunità urbana. Compito dell’urbanista, proiettato negli interessi socio-culturali, è essere mediatore tra le amministrazioni e la comunità. L’architettura è un modo di comunicare che tutti, potenzialmente, potrebbero usare: è importante che la gente partecipi ai processi di cambiamento della città e del territorio, ma è anche importante cambiare i metodi e gli strumenti dell’architettura, affinché diventi limpida e comprensibile.


Bibliografia



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BIBLIOGRAFIA GENERALE

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BIBLIOGRAFIA SPECIFICA PARCO UDITORE

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Allegati


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REGOLAMENTO SULLA COLLABORAZIONE TRA CITTADINI E AMMINISTRAZIONI PER LA CURA, LA RIGENERAZIONE E LA GESTIONE CONDIVISA DEI BENI COMUNI URBANI CAPO I – DISPOSIZIONI GENERALI Articolo 1 - Finalità, oggetto ed ambito di applicazione Articolo 2 - Definizioni Articolo 3 - Principi generali Articolo 4 - I cittadini attivi Articolo 5 - Patto di collaborazione CAPO II - DISPOSIZIONI DI CARATTERE PROCEDURALE Articolo 6 - Disposizioni generali Articolo 7 – Patti di collaborazione ordinari Articolo 8 – Patti di collaborazione complessi CAPO III - CURA, RIGENERAZIONE E GESTIONE CONDIVISA DI IMMOBILI E SPAZI PUBBLICI Articolo 9 - Azioni e interventi di cura, rigenerazione e gestione condivisa di immobili e spazi pubblici CAPO IV - FORME DI SOSTEGNO Articolo 10 - Attribuzione di vantaggi economici e altre forme di sostegno Articolo 11 - Esenzioni ed agevolazioni in materia di canoni e tributi locali Articolo 12 - Facilitazioni Articolo 13 - Materiali di consumo e dispositivi di protezione individuale Articolo 14 - Formazione Articolo 15 – Autofinanziamento CAPO V - COMUNICAZIONE, TRASPARENZA E VALUTAZIONE Articolo 16 - Comunicazione di interesse generale Articolo 17 - Misurazione e valutazione delle attività di collaborazione CAPO VI - RESPONSABILITÀ E VIGILANZA Articolo 18 - Formazione per prevenire i rischi Articolo 19 - Riparto delle responsabilità Articolo 20 - Tentativo di conciliazione CAPO VII - DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE Articolo 21 - Clausole interpretative Articolo 22 - Entrata in vigore e sperimentazione Articolo 23 - Comunicazione on-line dell’amministrazione condivisa Articolo 24 - Disposizioni transitorie

Roma, gennaio 2018


75 CAPO I – DISPOSIZIONI GENERALI Articolo 1 - Finalità, oggetto ed ambito di applicazione 1. Il presente regolamento, in armonia con le previsioni della Costituzione e dello Statuto comunale, disciplina le forme di collaborazione tra i cittadini e l’amministrazione per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni, dando in particolare attuazione agli articoli 118, comma 4, 114 comma 2 e 117 comma 6 della Costituzione. 2. Le disposizioni si applicano nei casi di collaborazione tra cittadini e amministrazione, per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni, avviati per iniziativa dei cittadini o su sollecitazione dell’amministrazione comunale. 3. Restano ferme e distinte dalla materia oggetto del presente regolamento le altre previsioni regolamentari del Comune che disciplinano l’erogazione dei benefici economici e strumentali a sostegno delle associazioni, in attuazione dell’articolo 12 della Legge 7 agosto 1990 n. 241. Articolo 2 - Definizioni 1. Ai fini delle presenti disposizioni si intendono per: a) beni comuni urbani e rurali: i beni, materiali e immateriali, pubblici e privati, che i cittadini e l’amministrazione riconoscono essere funzionali al benessere della comunità e dei suoi membri, all’esercizio dei diritti fondamentali della persona ed all’interesse delle generazioni future, attivandosi di conseguenza nei loro confronti ai sensi dell’articolo 118 comma 4 della Costituzione, per garantirne e migliorarne la fruizione individuale e collettiva; b) comune o amministrazione: il Comune di Roma Capitale nelle sue diverse articolazioni istituzionali e organizzative; c) cittadini attivi: tutti i soggetti, compresi i bambini, singoli, associati o comunque riuniti in formazioni sociali, anche informali o di natura imprenditoriale, che indipendentemente dai requisiti riguardanti la residenza o la cittadinanza si attivano per periodi di tempo anche limitati per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni urbani ai sensi del presente regolamento; d) amministrazione condivisa: il modello organizzativo che, attuando il principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, consente a cittadini ed amministrazione di svolgere su un piano paritario attività di interesse generale; d) proposta di collaborazione: la manifestazione di interesse, formulata dai cittadini attivi, voltaa proporre interventi di cura, rigenerazione o gestione condivisa dei beni comuni in forma condivisa con l’amministrazione, a condizione che tali interventi non configurino forme di sostituzione di servizi essenziali che devono essere garantiti dal Comune stesso secondo le leggi ed i regolamenti vigenti. La proposta può essere spontanea oppure formulata in risposta ad una sollecitazione del Comune; e) patto di collaborazione: l’atto attraverso il quale il Comune e i cittadini attivi definiscono l’ambito degli interventi di cura, rigenerazione o gestione condivisa di beni comuni; f) cura in forma condivisa: intervento dei cittadini per la conservazione, manutenzione e abbellimento dei beni comuni che produce capitale sociale, facilita l’integrazione, genera salute e rafforza i legami di comunità; g) rigenerazione: interventi dei cittadini volti al recupero dei beni comuni, con caratteri di inclusività, integrazione e sostenibilità anche economica: h) gestione condivisa: interventi dei cittadini finalizzati alla fruizione collettiva dei beni comuni, con caratteri di continuità, inclusività, integrazione e sostenibilità anche economica;


76 i) spazi pubblici: aree verdi, piazze, strade, marciapiedi e altri spazi pubblici o aperti al pubblico, di proprietà pubblica o assoggettati ad uso pubblico. Articolo 3 - Principi generali 1. La collaborazione tra cittadini e amministrazione si ispira ai seguenti valori e principi generali: a) fiducia reciproca: ferme restando le prerogative pubbliche in materia di vigilanza, programmazione e verifica, l’amministrazione e i cittadini attivi improntano i loro rapporti alla fiducia reciproca e orientano le proprie attività al perseguimento esclusivo di finalità di interesse generale; b) pubblicità e trasparenza: l’amministrazione garantisce la massima conoscibilità delle opportunità di collaborazione, delle proposte pervenute, delle forme di sostegno assegnate, delle decisioni assunte, dei risultati ottenuti e delle valutazioni effettuate. Riconosce nella trasparenza lo strumento principale per assicurare l’imparzialità nei rapporti con i cittadini attivi e la verificabilità delle azioni svolte e dei risultati ottenuti; c) responsabilità: l’amministrazione valorizza la responsabilità, propria e dei cittadini, quale elemento centrale nella relazione con i cittadini, nonché quale presupposto necessario affinché la collaborazione risulti effettivamente orientata alla produzione di risultati utili e misurabili; d) inclusività e apertura: gli interventi di cura, gestione condivisa e rigenerazione dei beni comuni devono essere organizzati in modo da consentire che, in qualsiasi momento, altri cittadini interessati possano dare il proprio contributo aggregandosi alle attività; e) pari opportunità e contrasto delle discriminazioni: la collaborazione tra amministrazione e cittadini attivi promuove le pari opportunità per genere, origine, età, cittadinanza, condizione sociale, credo religioso, orientamento sessuale e disabilità; f) partecipazione dei bambini: nei patti di collaborazione si deve tenere conto anche del punto di vista dei bambini, favorendone la partecipazione, sia in ambito scolastico sia extrascolastico, alla cura dei beni comuni; g) sostenibilità: l’amministrazione, nell’esercizio della discrezionalità nelle decisioni che assume, verifica che la collaborazione con i cittadini non ingeneri oneri superiori ai benefici né costi superiori alle risorse disponibili e non determini conseguenze negative sugli equilibri ambientali e sull’utilizzo dei beni comuni da parte delle generazioni future; h) proporzionalità: l’amministrazione commisura alle effettive esigenze di tutela degli interessi pubblici coinvolti gli adempimenti amministrativi, le garanzie e gli standard di qualità richiesti per la proposta, l’istruttoria e lo svolgimento degli interventi di collaborazione, semplificando al massimo il rapporto con i cittadini attivi; i) adeguatezza e differenziazione: le forme di collaborazione tra cittadini e amministrazione sono adeguate alle esigenze di cura, rigenerazione e gestione condivisa dei beni comuni e vengono differenziate a seconda del tipo o della natura del bene comune e delle persone al cui benessere esso è funzionale; j) informalità: l’amministrazione richiede che la relazione con i cittadini avvenga nel rispetto di specifiche formalità solo quando ciò è previsto dalla legge. Nei restanti casi assicura flessibilità e semplicità nella relazione, purché sia possibile garantire il rispetto dell’etica pubblica, così come declinata dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici e dei principi di imparzialità, buon andamento, trasparenza e certezza; k) autonomia civica: l’amministrazione riconosce il valore costituzionale dell’autonoma iniziativa dei cittadini e predispone tutte le misure necessarie a garantirne l’esercizio effettivo da parte di tutti i cittadini;


77 l) prossimità e territorialità: l’amministrazione riconosce nelle comunità locali i soggetti da privilegiare per la definizione di patti di collaborazione per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni urbani. Articolo 4 - I cittadini attivi 1. L’intervento di cura, gestione condivisa e rigenerazione dei beni comuni, inteso quale concreta manifestazione di partecipazione e strumento per il pieno sviluppo della persona umana e la costruzione di legami di comunità, è aperto a tutti i soggetti, singoli o associati, senza necessità di ulteriore titolo di legittimazione. 2. I cittadini attivi possono svolgere interventi di cura, rigenerazione e gestione condivisa dei beni comuni come singoli o attraverso le formazioni sociali, anche informali, in cui esplicano la propria personalità. 3. Nel caso in cui i cittadini si attivino attraverso formazioni sociali, le persone che sottoscrivono i patti di collaborazione di cui all’articolo 5 del presente regolamento rappresentano, nei rapporti con il Comune, la formazione sociale che assume l’impegno di svolgere interventi di cura, rigenerazione e gestione condivisa dei beni comuni. 4. Le attività di cura, rigenerazione e gestione condivisa dei beni comuni svolte dai cittadini attivi non comportano in alcun modo la costituzione di un rapporto di lavoro con il Comune, né danno vita ad un rapporto di committenza da parte del Comune ai soggetti realizzatori. 5. Gli interventi di cura, gestione condivisa e rigenerazione dei beni comuni possono costituire progetti di servizio civile in cui il Comune può, secondo modalità concordate con i cittadini attivi, impiegare i giovani a tal fine selezionati. Articolo 5 - Patto di collaborazione 1. Il patto di collaborazione è lo strumento con cui Comune e cittadini attivi concordano tutto ciò che è necessario ai fini della realizzazione degli interventi di cura, gestione condivisa e rigenerazione dei beni comuni. 2. Il contenuto del patto può variare in relazione al grado di complessità degli interventi concordati e della durata della collaborazione. 3. Il patto, avuto riguardo alle specifiche necessità di regolazione che la collaborazione presenta, definisce in particolare: a) gli obiettivi che la collaborazione persegue e le azioni di cura, gestione condivisa e rigenerazione; b) la durata della collaborazione, le cause di sospensione o di conclusione anticipata della stessa; c) le modalità di azione, il ruolo ed i reciproci impegni, anche economici, dei soggetti coinvolti, i requisiti ed i limiti di intervento; d) gli strumenti volti a garantire la fruizione collettiva dei beni comuni oggetto del patto; e) l’eventuale definizione, per lo specifico patto, di strumenti di governo e coordinamento (comunque denominati: cabina di regia, comitato di indirizzo, etc.) e partecipazione (forme di coordinamento delle formazioni sociali attive sul territorio interessato, consultazioni, assemblee o altri processi strutturati di partecipazione ai processi decisionali); f) le modalità di monitoraggio e valutazione del processo di attuazione del patto e dei suoi risultati; g) le misure di pubblicità del patto e le modalità di documentazione delle azioni realizzate, del monitoraggio e della valutazione, della rendicontazione delle risorse utilizzate e della misurazione dei risultati prodotti dal patto;


78 h) l’eventuale affiancamento del personale comunale nei confronti dei cittadini attivi, la vigilanza sull’andamento della collaborazione, la gestione delle controversie che possano insorgere durante la collaborazione stessa e le sanzioni per l’inosservanza delle clausole del patto da parte di entrambi i contraenti; i) le cause e le modalità di esclusione di singoli cittadini per inosservanza del presente regolamento o delle clausole del patto e gli assetti conseguenti alla conclusione della collaborazione; l) le conseguenze di eventuali danni occorsi a persone o cose in occasione o a causa degli interventi di cura, gestione condivisa e rigenerazione, la necessità e le caratteristiche delle eventuali coperture assicurative, le misure utili ad eliminare o ridurre le interferenze con altre attività, nonché l’assunzione di responsabilità secondo quanto previsto dagli articoli 18 e 19 del presente regolamento; j) le modalità per l’adeguamento e le modifiche degli interventi concordati. CAPO II - DISPOSIZIONI DI CARATTERE PROCEDURALE Articolo 6 - Disposizioni generali 1. La collaborazione con i cittadini attivi è prevista quale funzione istituzionale dell’amministrazione ai sensi dell’art. 118 ultimo comma della Costituzione. 2. L’organizzazione di tale funzione deve essere tale da: - assicurare la massima prossimità al territorio dei soggetti deputati alla relazione con il cittadino; - consentire il massimo coordinamento con gli organi di indirizzo politico-amministrativo a tutti i livelli e il carattere trasversale del suo esercizio; - garantire ai cittadini proponenti un interlocutore unico nel rapporto con l’amministrazione. 2. Al fine di semplificare la relazione con i cittadini si individua un’unità organizzativa per il presidio del procedimento di realizzazione dell’amministrazione condivisa. Tale unità organizzativa, denominata Ufficio per l’amministrazione condivisa (d’ora innanzi Ufficio): a) attiva e supporta gli altri uffici comunali nella relazione con i cittadini, nell’individuazione di strumenti di sponsorizzazione e di raccolta fondi, nella definizione dei contenuti dei singoli patti di collaborazione, nella promozione e rendicontazione sociale dei risultati dei patti; b) raccoglie le proposte di collaborazione avanzate dai cittadini attivi, ne verifica e valuta il contenuto, individua il dirigente o funzionario responsabile del confronto con il soggetto proponente e della elaborazione condivisa con i cittadini del patto di collaborazione, coordina i diversi uffici in caso di competenze sovrapposte e comunica al soggetto proponente il nome del dirigente o funzionario responsabile del procedimento di amministrazione condivisa; c) monitora le fasi del processo di formazione ed esecuzione condivisa dei patti di collaborazione; d) raccoglie i dati necessari per l’elaborazione degli indicatori di processo e di impatto. 3. L’Ufficio, per lo svolgimento delle attività di cui al comma 2 può avvalersi di un comitato consultivo composto da un referente delle articolazioni amministrative del comune maggiormente interessate.


79 Articolo 7 – Patti di collaborazione ordinari 1. I cittadini che intendono realizzare interventi di cura di modesta entità, anche ripetuti nel tempo sui medesimi spazi e beni comuni, presentano la proposta di collaborazione al Comune attraverso l’Ufficio secondo un modello che verrà messo a disposizione sul portale del Comune. 2. Il modello nel portale del Comune contiene un elenco, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, dei più frequenti interventi di cura di modesta entità che i cittadini attivi possono realizzare e indica i presupposti, le condizioni e l’iter istruttorio per la loro realizzazione. 3. A mero titolo esemplificativo e non esaustivo, possono essere oggetto di patti di collaborazione ordinari i seguenti interventi che i cittadini attivi possono realizzare su beni comuni materiali: pulizia, imbiancatura, piccola manutenzione ordinaria, giardinaggio, allestimenti, decorazioni, attività di animazione territoriale, aggregazione sociale, comunicazione, attività culturali e formative. 4. L’Ufficio identifica entro 15 giorni il Dirigente responsabile che, verificati il rispetto del presente regolamento e la fattibilità tecnica, sottoscrive il patto di collaborazione e lo pubblica sul portale del Comune. 5. Qualora non sussistano le condizioni per procedere alla stipula del patto di collaborazione il Dirigente responsabile lo comunica ai proponenti entro 15 giorni dalla sua designazione come soggetto responsabile, illustrandone le motivazioni o chiedendo informazioni aggiuntive. 6. Nel caso in cui il Dirigente responsabile resti inerte, il Dirigente dell’Ufficio, anche su istanza dei cittadini attivi interessati, diffida il Dirigente responsabile a concludere il procedimento entro ulteriori 7 giorni, scaduti i quali il Dirigente dell’Ufficio avvia una procedura di consultazione e confronto obbligatorio tra dirigente responsabile e cittadini attivi per raggiungere un’intesa che preveda anche l’adeguamento del patto ordinario. Articolo 7 – Patti di collaborazione complessi 1. I patti di collaborazione complessi riguardano spazi e beni comuni che hanno caratteristiche di valore storico, culturale o che, in aggiunta o in alternativa, hanno dimensioni e valore economico significativo, su cui i cittadini propongono di realizzare interventi di cura o rigenerazione che comportano attività complesse o innovative volte al recupero, alla trasformazione ed alla gestione continuata nel tempo per lo svolgimento di attività di interesse generale. 2. Il Comune può autonomamente individuare e proporre in apposito elenco ai cittadini i beni comuni che possono essere oggetto di patti di collaborazione complessi. 3. I cittadini possono a loro volta proporre all’amministrazione i beni comuni da inserire nell’elenco, trasmettendo la proposta all’Ufficio che la sottoporrà alla Giunta ai fini della valutazione rispetto alle finalità perseguite con i patti di collaborazione complessi. 4. I cittadini che intendono stipulare patti di collaborazione complessi presentano la propria proposta di collaborazione, anche per via telematica, all’Ufficio che pubblica sul portale del Comune l’avviso per la presentazione di eventuali ulteriori proposte di collaborazione da parte della cittadinanza e individua il Dirigente delegato alla sottoscrizione del patto di collaborazione, che svolge entro 30 giorni dalla presentazione della proposta l’attività istruttoria. Le ulteriori proposte di collaborazione devono essere presentate nel termine di 20 giorni dall’avvenuta pubblicazione dell’avviso e sospendono i termini della procedura di istruttoria. Scaduti i 20 giorni riprende la decorrenza del procedimento principale.


80 5. Entro il termine dell’attività istruttoria qualora non sussistano le condizioni per stipulare un patto di collaborazione complesso, l’Ufficio lo comunica ai proponenti illustrandone le motivazioni e chiedendo eventualmente informazioni integrative. 6. Al fine di dare maggiore pubblicità alle proposte di collaborazione di cui al comma 3 e per conoscere istanze e bisogni della comunità di riferimento, l’Ufficio o il dirigente delegato competente può ricorrere alle procedure della democrazia partecipativa, convocando entro 15 giorni dalla pubblicazione dell’avviso un’assemblea dei beni comuni. 7. Laddove per i medesimi spazi o beni comuni siano presentate più proposte per patti di collaborazione complessi l’Ufficio può avviare un confronto tra i diversi proponenti per facilitare la formulazione di una proposta condivisa. 8. Il Dirigente competente, verificati il rispetto del presente Regolamento e la fattibilità tecnica, predispone, entro 10 giorni dalla conclusione dell’attività di valutazione, gli atti necessari alla presentazione di una delibera da approvare da parte della Giunta Comunale, che delibera entra ulteriori 30 giorni. 9. Il patto di collaborazione complesso viene sottoscritto dal Dirigente competente a seguito dell’approvazione da parte della Giunta, alla quale è rimessa la valutazione circa la sussistenza dell’interesse generale alla realizzazione del patto di collaborazione complesso. CAPO III - CURA, RIGENERAZIONE E GESTIONE CONDIVISA DI IMMOBILI E SPAZI PUBBLICI Articolo 9 - Azioni e interventi di cura, rigenerazione e gestione condivisa di immobili e spazi pubblici 1. Le azioni e gli interventi per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa di immobili e spazi pubblici sono previsti dai patti di collaborazione di cui all’articolo 5 del presente Regolamento. 2. I cittadini attivi non possono in alcun modo realizzare attività o interventi che contrastino con la fruizione collettiva dei beni oggetto dei patti di collaborazione di cui al comma 1, pena l’annullamento del patto di collaborazione da parte del Comune. 3. Le proposte di collaborazione riguardanti patti di collaborazione complessi devono pervenire all’amministrazione corredate dalla documentazione atta a descrivere in maniera esatta e puntuale l’intervento che si intende realizzare. 4. Il patto di collaborazione può prevedere che i cittadini attivi assumano in via diretta la manutenzione, il restauro e la riqualificazione di beni immobili. 5. La sottoscrizione di patti di collaborazione complessi non esclude la necessità di prevedere che i soggetti firmatari garantiscano organizzazione e capacità tecnico-finanziaria idonee per il rispetto delle normative vigenti. L’assolvimento di tali obblighi può essere soddisfatto anche dal coinvolgimento nell’accordo di soggetti che presentino le garanzie richieste a supporto dei cittadini attivi. 6. Gli interventi inerenti beni culturali e paesaggistici sottoposti a tutela ai sensi del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, sono preventivamente sottoposti alla Soprintendenza competente in relazione alla tipologia dell’intervento, al fine di ottenere le autorizzazioni, i nullaosta o gli atti di assenso comunque denominati previsti dalla normativa vigente, così da garantire che gli interventi siano compatibili con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene. Le procedure relative alle predette autorizzazioni sono a carico del Comune.


81 7. I patti di collaborazione aventi ad oggetto la gestione condivisa o la rigenerazione di immobili prevedono l’uso dell’immobile a titolo gratuito e con permanente vincolo di destinazione, puntualmente disciplinato nei patti stessi. 8. La durata dei patti di collaborazione complessi non supera normalmente i nove anni. Periodi più lunghi possono eccezionalmente essere pattuiti in considerazione del particolare impegno richiesto per opere di recupero edilizio del bene immobile. 9. Il Comune può promuovere ed aderire a patti di collaborazione aventi ad oggetto interventi di cura, gestione condivisa e rigenerazione di immobili in stato di totale o parziale disuso di proprietà di terzi, con il consenso di questi ultimi ovvero ai sensi dell’articolo 838 Codice Civile. 10. Il Comune può destinare agli interventi di cura e rigenerazione di cui al presente capo gli immobili confiscati alla criminalità organizzata ad esso assegnati. CAPO IV - FORME DI SOSTEGNO Articolo 10 - Attribuzione di vantaggi economici e altre forme di sostegno 1. Il Comune può assumere direttamente, nei limiti delle risorse disponibili, oneri per la realizzazione di azioni e interventi nell’ambito di patti di collaborazione ordinari e complessi. 2. Il Comune stipula apposite polizze assicurative per la copertura dei rischi derivanti dalle attività previste dai patti di collaborazione, a favore sia di cittadini associati, sia di cittadini singoli purché inseriti in un apposito registro. 3. Il Comune si impegna altresì a favorire la copertura assicurativa dei cittadini attivi attraverso la stipulazione di convenzioni quadro con operatori del settore assicurativo che prevedano la possibilità di attivare le coperture su richiesta, a condizioni agevolate e con modalità flessibili e personalizzate. 4. Nell’ambito dei patti di collaborazione, l’Amministrazione non può in alcun modo destinare contributi in denaro a favore dei cittadini attivi. 5. Qualora il patto di collaborazione abbia ad oggetto azioni e interventi di cura, di gestione condivisa o di rigenerazione di beni comuni che il Comune ritenga di particolare interesse pubblico e le risorse che i cittadini attivi sono in grado di mobilitare appaiano adeguate, il patto di collaborazione può prevedere l’attribuzione di vantaggi economici a favore dei cittadini attivi, quali, a mero titolo esemplificativo: a) l’uso a titolo gratuito di immobili di proprietà comunale; b) l’attribuzione all’amministrazione delle spese relative alle utenze; c) l’attribuzione all’amministrazione delle spese relative alle manutenzioni; d) la disponibilità a titolo gratuito di beni strumentali e materiali di consumo necessari alla realizzazione delle attività previste. 6. Qualora il patto di collaborazione abbia ad oggetto azioni e interventi di cura, di gestione condivisa o di rigenerazione di beni comuni che il Comune ritenga di particolare interesse pubblico e le risorse che i cittadini attivi sono in grado di mobilitare appaiano adeguate, il patto di collaborazione può prevedere l’affiancamento di dipendenti comunali ai cittadini attivi. Articolo 11 - Esenzioni ed agevolazioni in materia di canoni e tributi locali 1. Il Comune può disporre esenzioni di specifici tributi per attività poste in essere nell’ambito dei patti di collaborazione. 2. Le attività svolte nell’ambito dei patti di collaborazione che richiedono l’occupazione di suolo pubblico sono escluse dall’applicazione del canone del Regolamento C.O.S.A.P. (Canone Occupazione Spazi e Aree Pubbliche), in quanto


82 attività assimilabili a quelle svolte dal Comune per attività di pubblico interesse. 3. Non costituiscono esercizio di attività commerciale, agli effetti delle esenzioni ed agevolazioni previste dal Regolamento C.O.S.A.P. e per l’applicazione del relativo canone, le raccolte pubbliche di fondi svolte per la realizzazione dei patti di collaborazione di cui all’articolo 5 del presente regolamento, qualora ricorrano tutte le seguenti condizioni: a) si tratti di iniziative occasionali; b) la raccolta avvenga in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione; c) i beni ceduti per la raccolta siano di modico valore. 5. Il Comune, nell’esercizio della potestà regolamentare prevista dall’articolo 52 del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, potrà disporre ulteriori esenzioni ed agevolazioni, in materia di entrate e tributi, a favore delle formazioni sociali che svolgono attività nell’ambito dei patti di collaborazione di cui all’articolo 5 del presente regolamento. Art. 12 – Facilitazioni 1. I patti di collaborazione possono prevedere facilitazioni di carattere procedurale in relazione agli adempimenti che i cittadini attivi devono sostenere per l’ottenimento dei permessi, comunque denominati, strumentali alla realizzazione dei patti di collaborazione. 2. Le facilitazioni possono consistere, in via esemplificativa, nella riduzione dei tempi dell’istruttoria, nella semplificazione della documentazione necessaria o nella individuazione di modalità semplificate per lo scambio di informazioni fra i cittadini attivi e l’amministrazione. Articolo 13 - Materiali di consumo e dispositivi di protezione individuale 1. Il Comune, nei limiti delle risorse disponibili, può fornire in comodato d’uso gratuito i beni strumentali ed i materiali di consumo necessari per lo svolgimento delle attività, compresi, per attività di breve durata, i dispositivi di protezione individuale. Tali beni, salvo il normale deterioramento dovuto all’uso, devono essere restituiti in buone condizioni al termine delle attività. 2. Il patto di collaborazione può prevedere la possibilità per il comodatario di cui al comma precedente di mettere temporaneamente i beni a disposizione di altri cittadini e formazioni sociali al fine di svolgere attività analoghe. 3. Il Comune favorisce il riuso dei beni di cui al precedente comma 2. Articolo 14 - Formazione 1. Il Comune promuove e organizza percorsi formativi, sia per i propri dipendenti sia per i cittadini attivi, finalizzati a diffondere la cultura della collaborazione tra cittadini e amministrazione ispirata ai valori e principi del presente regolamento. 2. Il Comune promuove nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla cittadinanza attiva attraverso la sottoscrizione di patti di collaborazione fra genitori, alunni e istituzione scolastica per la cura della scuola come bene comune materiale e immateriale. 3. Il Comune collabora con gli operatori scolastici e con l’Ufficio per l’amministrazione condivisa affinché nel progettare i patti di collaborazione si tenga conto del punto di vista dei bambini. Articolo 15 - Autofinanziamento 1. Il Comune agevola le iniziative dei cittadini volte a reperire fondi per le azioni di cura, gestione condivisa o rigenerazione dei beni comuni a condizione che sia garantita la massima trasparenza sulla destinazione delle risorse raccolte e sul loro puntuale utilizzo.


83 2. Nel rispetto di quanto previsto al precedente comma 1, il patto di collaborazione può prevedere la realizzazione di attività economiche, di carattere temporaneo, comunque accessorie nell’ambito del programma di azioni e interventi previsti dal patto, finalizzate all’autofinanziamento. CAPO V - COMUNICAZIONE, TRASPARENZA E VALUTAZIONE Articolo 16 – Comunicazione di interesse generale 1. Il Comune, al fine di favorire il progressivo radicamento dell’amministrazione condivisa, utilizza tutti i canali di comunicazione a sua disposizione per informare sulle opportunità di partecipazione alla cura, alla rigenerazione ed alla gestione condivisa dei beni comuni, prevedendo anche la realizzazione di un’area dedicata nel portale del Comune. 2. L’attività di comunicazione mira in particolare a: a) consentire ai cittadini di acquisire maggiori informazioni sull’amministrazione condivisa, anche arricchendole grazie alle diverse esperienze realizzate; b) favorire il consolidamento di reti di relazioni fra gruppi di cittadini, per promuovere lo scambio di esperienze e di strumenti; c) mappare i soggetti e le esperienze di cura, gestione condivisa e rigenerazione dei beni comuni, facilitando ai cittadini interessati l’individuazione delle situazioni per cui attivarsi. Articolo 17 - Misurazione e valutazione delle attività di collaborazione 1. La documentazione delle attività svolte e la valutazione delle risorse impiegate sono essenziali ai fini di garantire trasparenza e consentire una valutazione pubblica dei risultati prodotti dai patti di collaborazione. 2. Il Comune si adopera per consentire un’efficace diffusione di tali risultati, mettendo tutta la documentazione a disposizione della cittadinanza attraverso strumenti quali la pubblicazione sul sito internet, l’organizzazione di conferenze stampa, convegni, eventi dedicati e ogni altra forma di comunicazione e diffusione. 3. Le modalità di svolgimento dell’attività di documentazione e di valutazione vengono concordate nel patto di collaborazione. 4. La valutazione delle attività realizzate si attiene ai seguenti principi generali in materia di: a) chiarezza: le informazioni contenute devono avere un livello di chiarezza, comprensibilità e accessibilità adeguato ai diversi soggetti a cui la valutazione è destinata; b) comparabilità: la tipologia di informazioni contenute e le modalità della loro rappresentazione devono essere tali da consentire un agevole confronto sia temporale sia di comparazione con altre realtà con caratteristiche simili e di settore; c) periodicità: le rendicontazioni devono essere redatte con cadenza annuale e comunque alla conclusione del patto di collaborazione, parallelamente alla rendicontazione contabile in senso stretto, ferma restando la possibilità di prevedere, nel patto di collaborazione, valutazioni intermedie; d) verificabilità: i processi di raccolta e di elaborazione dei dati devono essere documentati in modo tale da poter essere oggetto di esame, verifica e revisione. Gli elementi relativi alle singole aree di valutazione devono essere descritti in modo da fornire le informazioni quantitative e qualitative utili alla formulazione di un giudizio sull’operato svolto. 5. La valutazione deve contenere informazioni relative a: a) obiettivi, indirizzi e priorità di intervento;


84 b) c) d)

azioni e servizi resi; risultati raggiunti; risorse disponibili ed utilizzate.

CAPO VI - RESPONSABILITÀ E VIGILANZA Articolo 18 - Formazione per prevenire i rischi 1. Il Comune promuove la formazione dei cittadini attivi sui rischi potenzialmente connessi con le attività previste dai patti di collaborazione e sulle misure di prevenzione e di emergenza. 2. I cittadini attivi si impegnano per parte loro ad utilizzare correttamente i dispositivi di protezione individuale adeguati alle attività svolte nell’ambito dei patti, ad agire con prudenza e diligenza ed a mettere in atto tutte le misure necessarie a ridurre i rischi per la salute e la sicurezza. Articolo 19 - Responsabilità 1. Il patto di collaborazione indica e disciplina in modo puntuale le responsabilità connesse con i compiti di cura, rigenerazione e gestione condivisa dei beni comuni previste dal patto. 2. I cittadini che si attivano per la cura, rigenerazione e gestione condivisa di beni comuni rispondono personalmente degli eventuali danni cagionati, per colpa o dolo, a persone o cose nell’esercizio della propria attività. Articolo 20 - Tentativo di conciliazione 1. Qualora insorgano controversie tra le parti del patto di collaborazione o tra queste ed eventuali terzi può essere esperito un tentativo di conciliazione avanti ad un Comitato composto da tre membri, di cui uno designato dai cittadini attivi, uno dall’amministrazione ed uno di comune accordo oppure, in caso di controversie riguardanti terzi soggetti, da parte di questi ultimi. 2. Il Comitato di conciliazione, entro trenta giorni dall’istanza, sottopone alle parti una proposta di conciliazione, di carattere non vincolante. CAPO VII - DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE Articolo 21 - Clausole interpretative 1. Allo scopo di agevolare la collaborazione tra amministrazione e cittadini le disposizioni del presente regolamento devono sempre essere interpretate ed applicate nel senso più favorevole alla possibilità per i cittadini di concorrere alla cura, alla gestione condivisa ed alla rigenerazione dei beni comuni. Articolo 22 - Entrata in vigore e sperimentazione 1. Le previsioni del presente regolamento sono sottoposte ad un periodo di sperimentazione e di valutazione della durata di due anni dall’entrata in vigore. Articolo 23 - Comunicazione on-line dell’amministrazione condivisa 1. Al fine della corretta applicazione del presente regolamento l’amministrazione comunale si impegna alla realizzazione di una sezione dedicata all’amministrazione condivisa sul portale istituzionale che, oltre a consentire la pubblicazione dei patti di collaborazione stipulati, dovrà soddisfare le esigenze di informazione, trasparenza e valutazione, nonché facilitare la partecipazione online da parte di tutti i cittadini. I contenuti dello stesso portale debbono essere georeferenziati, usabili e accessibili sui principali dispositivi tecnologici.


85 Articolo 24 - Disposizioni transitorie 1. Le esperienze di collaborazione già avviate alla data di entrata in vigore del presente regolamento potranno essere disciplinate dai patti di collaborazione, nel rispetto delle presenti disposizioni.


86 Associazione di Promozione Sociale Prato in Fiera APS. Proposta di collaborazione ai sensi dell’articolo 11, c. 1, lett. b) o c) del Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani. 0. Premessa L’Associazione di Promozione Sociale Prato in Fiera APS costituita ha come scopo statutario far tornare l’erba nel Prato della Fiera, nella Città di Treviso, e di prendersi cura di questo luogo unico che da oltre mille anni è un bene comune, centro di socialità, cultura e incontri, con un ruolo importante nella storia della Città e nello sviluppo del territorio. “PRATO IN FIERA” intende individuare e promuovere attività di qualità in grado di far vivere lo spazio del Prato, integrandolo nella vita del quartiere e della città. Promuove eventi che garantiscano una immediata visibilità e promozione di turismo culturale e ambientale. L’Associazione si propone di coprogettare e partecipare alla rigenerazione e alla futura cura di questo importante spazio pubblico favorendo il dialogo e la collaborazione con tutte le persone, le organizzazioni e le istituzioni pubbliche o private che sono interessate e che possono contribuire a questo scopo. 1. Attività di interesse generale L’associazione persegue il proprio scopo mediante lo svolgimento delle seguenti attività di interesse generale, previste dal Codice del Terzo Settore: a. interventi e servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell’ambiente e all’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; b. tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio; c. organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato, della cittadinanza attiva e delle attività di interesse generale. Sulla base dell’esperienza acquisita con la prima Festa di Prato in Fiera organizzata nel 2017 il gruppo di cittadini divenuti quest’anno soci fondatori di Prato in Fiera APS, il 14 aprile 2018 hanno curato la seconda Grande Festa - di concerto e con il patrocinio del Comune di Treviso e della Fondazione Benetton Studi e Ricerche che ha visto confluire sul Prato cavalli, musica, fiori e piante, fisarmoniche, bolle di sapone, giochi per tutti, biciclette per bambini e per famiglie, canoe, spettacoli di burattini, mercatini bio, attività sportive, visite guidate, pratiche di yoga, fumetti, tutte le danze del mondo, laboratori manuali, giochi di aquiloni, pic nic, gelati e tante altre attività svolte nel Piccolo Circo allestito nel Prato. 2. Il Piccolo Circo Il Piccolo Circo è una struttura composta di legno e di funi, rimovibile in qualsiasi momento - come ad esempio in occasione delle Fiere di San Luca -, ideata, progettata e realizzata nel rispetto della normativa vigente in materia di requisiti e qualità di esecuzione e collaudo di opere pubbliche. E’ stata concepita altresì come elemento architettonico coerente con i caratteri storico-culturali del Prato e di attrazione in grado di ospitare o di agire da punto di riferimento per una vasta ed eterogenea gamma di attività ed eventi di vita collettiva da parte di ogni categoria di cittadini. E’ quindi in grado di costituire un motore di sviluppo sostenibile condiviso per l’intero Prato. Le potenzialità del Piccolo Circo in tal senso sono emerse non solo in occasione della Festa ma anche successivamente, al punto da mettere all’ordine del giorno la sua gestione nell’arco dell’intero anno, ad eccezione del periodo dedicato alle Fiere di San Luca.


87 Ritenendo che la presente Proposta di collaborazione rientri nello spirito e nella lettera del Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, Prato in Fiera, l’APS Prato in Fiera ha predisposto e sottopone la seguente ipotesi progettuale. 3. Il Piccolo Circo nella cura e gestione di Prato della Fiera Ad ulteriore premessa rispetto a quanto già menzionato in precedenza, è necessario sottolineare le altre iniziative promosse negli ultimi anni dal Comune di Treviso inerenti all’ambito di cui trattiamo, vale a dire il Protocollo d’Intesa con la Fondazione Benetton Studi e Ricerche, e l‘istituzione di Fare Fiera, precisando che la Proposta di collaborazione intende evitare ogni forma anche di involontario conflitto con esse, considerandole invece integrabili nell’iniziativa pur nell’autonomia dei rispettivi ruoli: lo stesso Regolamento sembra prevedere questa circostanza quando esplicita che: “Nel caso in cui vi siano più proposte di collaborazione riguardanti un medesimo bene comune, tra loro non integrabili, la scelta dell’eventuale proposta da sottoscrivere viene effettuata mediante procedure di tipo comparativo.” (Art. 10, c.7). Inoltre, non si può ignorare la presenza di istituti scolastici gravitanti intorno alle dinamiche del Prato che rappresentano il tipo di utenza forse più significativa del Prato, vale a dire l’infanzia. Proprio l’esistenza di questo insieme di azioni ed esperienze maturate simultaneamente induce a chiedere se già non esistano i requisiti stabiliti dall’articolo 291 del Regolamento perché se la verifica dà esito positivo, si potrebbe procedere nella direzione prevista dall’art. 10, c. 42. 4. Oggetto della Proposta di collaborazione La Proposta di collaborazione ha come oggetto la gestione condivisa del Piccolo Circo in funzione dello sviluppo dell’intero ambito del Prato di Fiera nei suoi caratteri storico-culturali. L’esperienza maturata in occasione della Festa del 14 aprile 2018 indica che il mondo dell’infanzia è protagonista nell’ambito: si possono quindi prefigurare forme di fruizione sia ludica che didattica e storica, con spettacoli, ad esempio di burattini, così come con occasioni di lettura di racconti, storie etc., corsi di grafica e pittura, etc., ma anche come struttura per la celebrazione di piccole feste di compleanno o scolastiche. Musica, danza, recitazione, narrazione etc. sono forme di evento per il resto delle utenze, a cui si può associare anche la presenza di cinema estivo all’aperto. Le dimensioni del Piccolo Circo, atte ad ospitare un’ottantina di adulti, offrono un’idea delle dimensioni del pubblico cui si riferisce: questo dato consente anche di valutare gli eventi sotto il profilo delle misure di sicurezza di ogni genere e di eventuale presidio sanitario.

1 Art. 29 - Strumenti per favorire l’accessibilità delle opportunità di collaborazione 1. I dirigenti, nel rispetto degli ambiti di intervento e dei principi stabiliti dal presente regolamento, periodicamente definiscono e portano a conoscenza dei cittadini le ipotesi di collaborazione tipiche, definite in ragione della loro presumibile maggior frequenza, della necessità del territorio, della semplicità degli interventi, della possibilità di predefinire con precisione presupposti, condizioni ed iter istruttorio per la loro attivazione. 2 Art. 10 - Disposizioni generali 4. In relazione agli interventi di cura e rigenerazione di cui all’art. 29 comma 1, il consenso del Comune può essere manifestato ex ante. In tali ipotesi i cittadini attivi, accettando le regole previste, possono intraprendere gli interventi di cura e rigenerazione dei beni comuni urbani senza la necessità di ulteriori formalità.


88 5. La gestione del Piccolo Circo in riferimento al tipo di interventi di cura e rigenerazione di spazi pubblici (CAPO III del Regolamento). Il Capo III prevede due campi di applicazione: gli interventi di cura e rigenerazione di spazi pubblici e gli interventi di cura e rigenerazione di edifici. I primi contemplano le seguenti tipologie: a) gli interventi di cura occasionale (Art. 12); b) la Gestione condivisa di spazi pubblici (Art. 13); c) la Gestione condivisa di spazi privati ad uso pubblico (Art. 14); d) gli interventi di rigenerazione di spazi pubblici (Art. 15). I secondi si articolano in: a) Individuazione degli edifici (Art. 16); b) Gestione condivisa di edifici (Art. 17). Rispetto a queste categorie, la Proposta di collaborazione, escludendo la tipologia riferita agli edifici, si pone in modo sostanzialmente trasversale essendo ascrivibile sia alla Gestione condivisa di spazi pubblici (Art. 13); sia alla Gestione condivisa di spazi privati ad uso pubblico (Art. 14); sia agli interventi di rigenerazione di spazi pubblici (Art. 15). Nel nostro caso, il Piccolo Circo è senz’altro una struttura realizzata da privati ma chiaramente ad uso pubblico, che insiste in un ampio contesto di spazio pubblico come Prato della Fiera. La differenza tra gestione condivisa di spazi pubblici o di spazi a uso pubblico non è particolarmente evidente, ai nostri fini, e si tratta di convenire con l’Amministrazione la soluzione più idonea. 6. La gestione del Piccolo Circo in riferimento alle forme di sostegno (CAPO VI del Regolamento). Il Capo VI descrive le seguenti forme di sostegno. a) Esenzioni ed agevolazioni in materia di canoni e tributi locali (Art. 20); b) Accesso agli spazi comunali (Art. 21); c) Materiali di consumo e dispositivi di protezione individuale (Art. 22); d) Affiancamento nella progettazione (Art. 23); e) Risorse finanziarie a titolo di rimborso di costi sostenuti (Art. 24); f) Autofinanziamento (Art. 25) g) Forme di riconoscimento per le azioni realizzate (Art. 26); h) Agevolazioni amministrative (Art. 27). Nella fattispecie della nostra Proposta di collaborazione, prioritarie sono le forme di sostegno Esenzioni ed agevolazioni in materia di canoni e tributi locali; accesso agli spazi comunali; Agevolazioni amministrative, ma anche tutte le altre devono considerarsi pertinenti. 7. La gestione del Piccolo Circo in riferimento al ruolo delle scuole (Art. 19) Sulla base dell’esperienza acquisita tramite la propria attività, l’associazione ritiene molto utile che Il Comune promuova il coinvolgimento delle scuole di ogni ordine e grado quale scelta strategica per la diffusione ed il radicamento delle pratiche di collaborazione nelle azioni di cura e rigenerazione dei beni comuni e che collabori altresì con le scuole e con l’Università per l’organizzazione di interventi formativi, teorici e pratici, sull’amministrazione condivisa dei beni comuni rivolti agli studenti e alle loro famiglie. Si sottolinea inoltre che i patti di collaborazione con le scuole e con l’Università possono prevedere che l’impegno degli studenti in azioni di cura e rigenerazione dei beni comuni venga valutato ai fini della maturazione di crediti curriculari. 8. La gestione del Piccolo Circo in riferimento a comunicazione, trasparenza e valutazione (CAPO VII del Regolamento). Il Capo VII descrive le seguenti forme di comunicazione, trasparenza e valutazione:


89 a) Comunicazione collaborativa (Art. 28), secondo la quale il Comune, al fine di favorire il progressivo radicamento della collaborazione con i cittadini, utilizza tutti i canali di comunicazione a sua disposizione per informare sulle opportunità di partecipazione alla cura ed alla rigenerazione dei beni comuni urbani. b) Strumenti per favorire l’accessibilità delle opportunità di collaborazione (Art. 29 ), tali per cui i dirigenti, nel rispetto degli ambiti di intervento e dei principi stabiliti dal regolamento, periodicamente definiscono e portano a conoscenza dei cittadini le ipotesi di collaborazione tipiche, definite in ragione della loro presumibile maggior frequenza, della necessità del territorio, della semplicità degli interventi, della possibilità di predefinire con precisione presupposti, condizioni ed iter istruttorio per la loro attivazione. c) Rendicontazione, misurazione e valutazione delle attività di collaborazione (Art. 30), nella consapevolezza che la documentazione delle attività svolte e la rendicontazione delle risorse impiegate rappresentano un importante strumento di comunicazione con i cittadini. 9. La gestione del Piccolo Circo in riferimento a responsabilità e vigilanza (CAPO VIII del Regolamento). Il Capo VIII contiene le seguenti misure relative a responsabilità e vigilanza. Prevenzione dei rischi (Art. 31) 1. Ai cittadini attivi devono essere fornite, sulla base delle valutazioni effettuate e da parte degli uffici competenti per l’intervento, informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti in cui operano per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate o da adottare. 2. I cittadini attivi sono tenuti ad utilizzare correttamente i dispositivi di protezione individuale che, sulla base della valutazione dei rischi, il Comune ritiene adeguati ed a rispettare le prescrizioni contenute nei documenti di valutazione dei rischi. 3. Con riferimento agli interventi di cura o di rigenerazione a cui partecipano operativamente più cittadini attivi, va individuato un supervisore cui spetta la responsabilità di verificare il rispetto della previsione di cui al precedente comma 2 nonché delle modalità di intervento indicate nel patto di collaborazione. 4. Il patto di collaborazione può disciplinare le eventuali coperture assicurative dei privati contro gli infortuni e per la responsabilità civile verso terzi connessi allo svolgimento dell’attività di cura e rigenerazione dei beni comuni, in conformità alle previsioni di legge e, in ogni caso, secondo criteri di adeguatezza alle specifiche caratteristiche dell’attività svolta. Disposizioni in materia di riparto delle responsabilità (Art. 32) 1. Il patto di collaborazione indica e disciplina in modo puntuale i compiti di cura e rigenerazione dei beni comuni urbani concordati tra l’amministrazione e i cittadini e le connesse responsabilità. 2. I cittadini attivi che collaborano con l’amministrazione alla cura e rigenerazione di beni comuni urbani rispondono degli eventuali danni cagionati a persone o cose nell’esercizio della propria attività. 3. I cittadini attivi che collaborano con l’amministrazione alla cura e rigenerazione di beni comuni urbani assumono, ai sensi dell’art. 2051 del codice civile, la qualità di custodi dei beni stessi, tenendo sollevata ed indenne l’amministrazione comunale da qualsiasi pretesa al riguardo. 9. Aspetti edilizi ed amministrativi inerenti al Piccolo Circo Sotto il profilo abilitativo, la struttura del Piccolo Circo rientra nella fattispecie di


90 cui alla lettera e-bis del comma 1 dell’art. 6 (Attività edilizia libera) che disciplina: “le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all’amministrazione comunale;”. Nel nostro caso, la procedura è stata rispettata ed il termine conseguente previsto per la rimozione si riferisce al prossimo 14 luglio. Pertanto, se si intende dare seguito nel corso della prossima estate alle potenzialità ed alle aspettative suscitate sopra descritte, è necessario procedere anche sotto il profilo amministrativo per consentire la proroga fino al periodo dell’allestimento delle Fiere di San Luca. 10. Conclusioni Riassumendo i termini della proposta di Patto di Collaborazione si tratta di condividere con l’Amministrazione: - la proroga della validità del titolo abilitativo dal 15 luglio fino alla data di inizio dei lavori di allestimento delle Fiere di San Luca; - la gestione condivisa del Piccolo Circo in funzione dello sviluppo dell’intero ambito del Prato di Fiera nei suoi caratteri storico-culturali, ai sensi dell’art. 13 e/o dell’art. 14 del regolamento in oggetto, per eventi che pongano come prioritarie nell’ambito le esigenze del mondo dell’infanzia: si possono quindi prefigurare forme di fruizione sia ludica che didattica e storica, con spettacoli, ad esempio di burattini, così come con occasioni di lettura di racconti, storie etc., corsi di grafica e pittura, etc., ma anche come struttura per la celebrazione di piccole feste di compleanno o scolastiche. Musica, danza, recitazione, narrazione etc. sono forme di evento per il resto delle utenze, a cui si può associare anche la presenza di cinema estivo all’aperto. Le dimensioni del Piccolo Circo, atte ad ospitare un’ottantina di adulti, offrono un’idea delle dimensioni del pubblico cui si riferisce: questo dato consente anche di valutare gli eventi sotto il profilo delle misure di sicurezza di ogni genere e di eventuale presidio sanitario. - che, per la dimensione della struttura, la sua capienza e l’esperienza già maturata anche sotto il profilo logistico-amministrativo, la proposta, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lettera b), rientri tra i moduli di collaborazione predefiniti di cui all’art. 29 comma del Regolamento; - in quanto alle forme di sostegno, si dia priorità a: esenzioni ed agevolazioni in materia di canoni e tributi locali; accesso agli spazi comunali; agevolazioni amministrative.


2017 - 2018


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