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Spirito di Dio, ma dovrà essere in ascolto degli uomini. Autorità esercitata perciò in comunione con la comunità. Certo l’autorità viene da Dio, ma come tutti gli altri anche questo carisma deve essere sempre verificato. L’autorità dovrà essere vissuta, ad ogni livello, in modo che nessuno ne abbia paura. Non dobbiamo poi dimenticare che tutta la comunità ha autorità: è la comunità che influisce sulle idee di coloro che esercitano l’autorità e sul loro modo di esercitarla. Perciò se è vero che il vescovo fa la sua diocesi, è ancora più vero che è la diocesi che fa il suo vescovo. E ciò vale anche per la parrocchia. È in fondo la comunità che forgia in qualche maniera il modo di esercitare l’autorità: se siamo poco seri di fronte all’autorità, corriamo il rischio di sciupare il dialogo; se tutto attendiamo da essa, si arriverà ad una inevitabile rovina. Chi ha autorità e chi ubbidisce sono allo stesso livello e devono tendere allo stesso fine: la ricerca della verità, la scoperta della volontà di Dio. Ma la ricerca della verità è secondaria davanti all’amore, anzi l’autentica verità è l’amore. Tutto questo, nella Chiesa, è impossibile comprenderlo senza entrare nel mistero della croce: per qualcuno sarà un’esperienza dolorosa, sarà una chiamata alla croce per essere, con Cristo, salvatori del mondo. fratel Gian Carlo

Q JesusCaritas

«Tutto quello che vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non imitatene le opere, perché dicono e non fanno» (cfr. Mt 13,1ss.). «Il più grande tra voi divenga vostro servo …» (Lc 22,26). Gesù non esclude l’autorità, anzi si presentava alla gente come uno che ha autorità, ed essa gli veniva riconosciuta da quelli che lo seguivano, anche se nessuno gliela aveva giuridicamente affidata, come era invece avvenuto per gli scribi e i farisei. Gesù nel Vangelo mette sempre in guardia i discepoli dall’errore dell’autoritarismo. Il primo atteggiamento di chi ha autorità è l’obbedienza e l’apertura per gli altri, una continua attenzione a tutto ciò che li condiziona, per scoprirvi il disegno di Dio su ciascun fratello. È vero che troppo spesso l’autorità è invece vissuta come un limite, come una diminuzione per gli altri: questo è proprio il potere che Gesù ha escluso tra i suoi discepoli: «voi siete tutti fratelli». Spesso, purtroppo, si crea della confusione per il fatto che l’autorità si pone all’inizio di tutto. Mentre anche la Costituzione conciliare sulla Chiesa Lumen gentium ci ricorda che ciò che esiste per primo è il popolo di Dio, la comunità cristiana, la Chiesa. Solo in seguito esistono i capi per la comunità. Il popolo di Dio attende che coloro che hanno autorità siano, prima di tutto, semplici cristiani; anzi desidera che siano uomini come tutti e che non abbiano paura di dimostrarlo. Chi ha autorità deve ricordarsi che tutto in lui viene dallo Spirito Santo. Autorità non equivale a privilegio di comando: è invece una responsabilità e il timore di non confondere se stessi con lo Spirito d’amore. L’autorità deve poi ricordarsi che lo Spirito Santo alita anche nelle comunità fraterne dei fedeli: essa, perciò, non è l’unica depositaria dello

(Charles de Foucauld)

anno VII / numero 1-2

puntini di sospensione sospensione

Apparteniamo completamente soltanto all’attimo presente.

15 gennaio 2013

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Quotidianità


Una testimonianza diretta Lo scorso 4 gennaio, in occasione della festa della Beata Angela, è stato ospite graditissimo, a Foligno, monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea. Alla presenza del padre provinciale dei frati francescani conventuali, del vescovo Gualtiero Sigismondi e di una sala gremita, l’anziano padre conciliare, tra gli ultimi testimoni del Concilio ancora in vita, ha offerto la sua colorita e puntuale testimonianza sul cammino che la Chiesa ha percorso in questi cinquanta anni. Quello che colpisce maggiormente di monsignor Bettazzi è la grande capacità di coniugare contenuti profondi con una comunicazione dinamica e coinvolgente. Di lui si potrebbe dire che è in grado di colmare – fosse anche solo minimamente – il vuoto denunciato dal cardinale Ravasi a proposito della capacità di comunicare (la fede) perché «i modelli di eloquenza non sono più oggi i classici, ma le agenzie pubblicitarie che riescono a plasmare talmente il messaggio che la moderna Cappuccetto Rosso non avrebbe nulla in contrario a lasciarsi oggi mangiare dal lupo!» (G. RAVASI, Lectio

Magistralis, Pontificia Università Lateranense, 9 novembre 2012). Monsignor Bettazzi ha sintetizzato il cammino della Chiesa postconciliare con il concetto della teologia biblica del «già e non ancora», in quanto molti dei temi cari al Vaticano II hanno ancora bisogno di essere concretizzati: la parola di Dio si legge di più, ma non è ancora determinante; il concetto della gerarchia al servizio del popolo di Dio è più affermato che praticato. Anche il laicato è poco consapevole del proprio ruolo e tende a scaricare sui presbiteri tutte la responsabilità della vita della comunità. La collegialità col papa non è attuata, poiché il Sinodo dei vescovi ha solo funzione consultiva. Inoltre ci sono numerosi temi, come le questioni bioetiche e la sessualità, che il Concilio non ha affrontato e che sono ancora aperti. Si potrebbero affidare a Sinodi nei quali tutti i vescovi, dopo essersi ben preparati, si riuniscano insieme al papa per decidere. Tutti i temi accennati dal vescovo emerito di Ivrea e la difficoltà di attuarli fino in fondo sono comprensibili alla luce della storia dei

concili. In genere è condivisa dagli studiosi la maggiore difficoltà per la recezione del concilio rispetto alla sua celebrazione. Se poi teniamo presente la difficoltà di passare da una dottrina sulla Chiesa concepita come una «societas perfecta» e definita in termini giuridici a quella che la concepisce come «communio» – la Chiesa icona della Trinità –, comprendiamo, in parte, le resistenze e gli apparenti – si spera – tentativi di fare un passo indietro. L’aggiornamento della Chiesa auspicato da papa Giovanni XXIII deve aver suscitato diverse interpretazioni, se già Paolo VI metteva in guardia sulla necessità di una corretta comprensione: «La Chiesa – affermava papa Montini – si ricompone nelle nuove norme che il Concilio le ha date: la fedeltà le caratterizza; una novità le qualifica, quella della accresciuta coscienza della comunione ecclesiale, della sua meravigliosa compagine, della maggiore carità che deve unire, attivare, santificare la comunione gerarchica della Chiesa […]. Aggiornamento vorrà dire d’ora innanzi per noi penetrazione sapiente dello spirito del celebrato Concilio e applicazione fedele delle sue norme, felicemente e santamente emanate» (PAOLO VI, Allocuzione ai Padri conciliari, 18 novembre 1965). A cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II si continua a parlare della necessità di fare una «giusta ermeneutica», cioè del modo corretto di interpretazione e attualizzazione dei testi conciliari alla luce del nostro periodo storico. Questa attualizzazione richiede la collaborazione di tutto il popolo di Dio nell’agire come Chiesa fraterna, dialogica e comunicativa. È quanto continua a fare monsignor Bettazzi e molti altri come lui. Si avverte da diverse parti lo sforzo di chierici, laici e religiosi

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Gli aspetti incompiuti del Concilio Vaticano II


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nelle proprie chiese particolari. Tuttavia, la responsabilità maggiore ricade sul collegio dei vescovi in comunione con il papa. «Sul piano della universalità, la Chiesa, in un mondo sempre più globalizzato e tuttavia intimamente lacerato, ha bisogno – per amore dell’unità nella multiformità delle singole chiese –, di ambedue queste cose: un forte centro, che mantenga unita la Chiesa nell’unica fede di Pietro, e di un rafforzamento della sua struttura collegiale e sinodale. Le due cose non contrastano fra di loro. La maggiore integrazione dei due punti di vista, voluta dal concilio Vaticano II, contribuirebbe piuttosto a superare il complesso antiromano ancor sempre presente e indebolente e disturbante l’unità della Chiesa, e contribuirebbe a rafforzare l’unità interna. Perciò in futuro sarà inevitabile opporsi a un centralismo, che vuole tutto stabilire e tutti tenere al guinzaglio, e concedere una maggiore responsabilità alle chiese locali, cioè alla Chiesa di un paese, di una cultura o anche di un continente. Con ciò l’importanza

del compito affidato al ministero petrino di confermare le sorelle e i fratelli non diminuirà, ma aumenterà». (W. KASPER, La chiesa cattolica, 547). L’anno della fede è un tempo propizio per approfondire i temi sulla Chiesa e riscoprire quel mistero d’amore racchiuso nelle parole della sposa del Cantico dei cantici (1,5): «Bruna sono, ma bella». fratel Oswaldo

Impressioni di un lettore                      

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JesusCaritasQ quindicinale di attualità, cultura, informazione www.jesuscaritas.it Registrazione tribunale di Perugia n. 27/2007 del 14/6/2007 Sede Piccoli Fratelli di Jesus Caritas Abbazia di Sassovivo, 2 06034 Foligno PG Codice fiscale: 91016470543 Telefono e FAX: 0742 350775 Editore Piccoli Fratelli di Jesus Caritas piccolifratelli@jesuscaritas.it Direttore responsabile Leonardo Antonio De Mola leonardo@jesuscaritas.it Redazione Massimo Bernabei massimo.bernabei@alice.it

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