Convertitevi perchè il regno dei cieli è vicino

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sperienze di ita

EV

Periodico della Comunità

Piccolo Gruppo di Cristo n. 147 - anno XXXI Febbraio 2010

“Coonvertitevi perchè ill regnoo dei cielli è vicinoo” (Mt.3,2)


In questo numero... Dallo scorso novembre il Responsabile generale ci invita alla conversione giornaliera e a compiere le “fatiche spirituali”meditazione, purificazione, preghiera incessante - necessarie a ogni discepolo di Cristo per far morire l'uomo vecchio e acquisire una nuova umanità in lui. Nel tempo di Quaresima il richiamo a convertirci e a credere al Vangelo diventa ancora più forte. Ecco quindi "a fagiolo" varie riflessioni sul sacramento della Riconciliazione e dei suggerimenti su come viverlo. Gli auguri del Cardinale Carlo Maria Martini per il 2010, che abbiamo trascritto, sono speciali, sarebbero cioè da meditare parola per parola: contengono un invito al sacrificio, alla dedizione evangelica, a una testimonianza gioiosa e coraggiosa. Una buona santa Quaresima dalla Redazione.

Sommario 4

Il peccato: rifiuto dell'Amore

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Un cordiale saluto da ...

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La gioia di ritornare incontro al Padre

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Lo scarabocchio Il sacramento della riconciliazione

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Incontro con la misericordia del Padre

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Il mondo diventerà un giardino

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Pensieri inerenti alla confessione

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L’obbedienza

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Una finestra sul mondo d’oggi

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La voce di chi è sempre con me

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Una storiella di Natale

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Quanta strada ancora

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Una luce nel buio

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È accaduto


Il Responsabile generale

IL PECCATO RIFIUTO DELL'AMORE In occasione degli Esercizi spirituali a Capiago dal 28 al 30 agosto 2009, siamo stati aiutati dal Responsabile Generale a vivere intensamente il momento della liturgia penitenziale, in preparazione alla Santa Confessione. Giancarlo ci ha proposto una riflessione, tratta da una sua meditazione di un testo di Santa Caterina da Siena. La proponiamo all'attenzione dei fratelli e sorelle, perché possa aiutare ognuno di noi a ricevere il sacramento della Penitenza. Care sorelle e cari fratelli, pensando al peccato di Adamo e di Eva, mi sembra di leggerlo in un modo un po' astratto. Riflettendo sulla reazione di Dio, mi è apparsa molto forte, quasi esagerata: addirittura li manda fuori dal paradiso terrestre. Pensando alla vicenda di Caino e di Abele, quello che Caino ha fatto a suo fratello a tutti noi appare orribile. Invece il Signore non è estremamente duro con Caino, anzi gli dà un segno perché gli altri, vedendolo, non gli facciano del male: si può dire quindi che, in certo senso, lo protegga. Pensando alla storia di Davide ricordiamo che aveva commesso un peccato grave e non ci risulta che avesse molto rimorso. Il profeta Natan gli porta la Parola di Dio e gli racconta una storia: un tale aveva tante pecore ed era andato a rubare l'unica pecora di un altro. Poi Natan chiede a Davide che cosa, secondo lui, meritasse quel ladro. E Davide risponde "La morte". A 4

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questo punto Natan rivela "Quell'uomo sei tu!". Notate bene che il Signore non rimprovera Davide di essere stato impuro e omicida nei confronti di Uria l'Ittita, ma gli rimprovera di essere stato senza misericordia nei confronti di Uria ( che aveva una sola moglie e lui gliela aveva portata via!). È anche vero che Bersabea (la moglie di Uria) lo aveva tentato, ma lui non aveva avuto cuore, perché altrimenti non avrebbe portato via l'unica moglie del suo fidato luogotenente, che era al fronte a combattere per lui. A quel punto Davide capisce di avere sbagliato (non sempre noi arriviamo a questo chiarimento) e dice: "il mio peccato mi sta sempre dinanzi". Questi tre episodi biblici ci fanno comprendere che, in fondo, la nostra sensibilità al peccato non è quella di Dio. Ci si chiede allora come mai il peccato di Adamo e di Eva è, agli occhi del Signore, più grave di quello di Caino che ha ucciso il fratello e si arriva a comprendere che il peccato di Adamo e di Eva ha rotto una relazione stupenda e amorosa con Dio. Se leggiamo la storia di Mosè vediamo che non è entrato nella terra promessa e che è morto vedendola solo da lontano, perché un giorno si è lasciato andare a qualche atto di scoraggiamento e aveva dubitato di Dio. Anche qui, se mettiamo in conto tutto quello che aveva fatto Mosé, ci sembra sproporzionata la punizione di Dio. Allora comprendiamo che qualsiasi peccato che è rifiuto dell'amore (qual-


siasi amore sia, e qualsiasi rifiuto sia) è estremamente grave per Dio. Tutte le volte che ci si prospetta la possibilità di crescere nell'Amore, di capirsi un po' di più, di permettere all'Amore di entrare un po' di più dentro di noi e noi rifiutiamo, questo rifiuto diventa la causa di tutti gli altri nostri peccati. Per questo non c'è proporzione tra gli altri peccati e il peccato del rifiuto all'Amore. Questo peccato, tra l'altro, è completamente invisibile. Chi può leggere nel cuore di una persona quando ha deciso di non disturbarsi troppo a capire che cos'è l'Amore? Solo Dio può leggere nel cuore dell'uomo, perché è lui che lo ha creato . Quando noi pecchiamo e non ci dispiacciamo del nostro peccato, andiamo contro l'amore. Se dopo aver peccato nasce in noi la contrizione, il peccato è meno grave. Se manca la contrizione, allora il peccato è grave! È abbastanza chiaro che per comprendere che cos'è il peccato occorre capire che cos'è l'amore. L'amore nasce spontaneamente nella misura in cui viene conosciuta la bontà di Dio. Nella Pentecoste lo Spirito santo (che è l'amore fattosi persona nel Padre e nel Figlio) scende sotto forma di lingue di fuoco. Questo vuol dire che l'amore di Dio ha questa capacità, come il fuoco, di trasformare l'anima che si unisce a questo amore attraverso il desiderio. Ma non siamo noi che dobbiamo metterci a desiderare. Il desiderio è un dono da chiedere nella preghiera. Chiediamo la grazia di conoscere la bontà di Dio, di crescere nell'Amore, di essere misericordiosi e di avere la

stessa sensibilità di Dio verso il peccato. Giancarlo Bassanini

Questo intervento di Bassanini potrebbe aiutarci a riflettere sulla "confessione", come una delle "pratiche" più importanti della nostra vita: come la viviamo? Quali fatiche incontriamo? Quale aiuto, quali emozioni? Al termine di quella giornata un'altra sorpresa ci è stata fatta: la voce gentile e giovane di Anna Baldo ci ha proposto lo spunto per l'esame di coscienza, utilizzando una traccia preparata da un fratello, in occasione di un altro corso di Esercizi spirituali. Ci è parsa molto "nuova e gioiosa", perché ha parlato il Signore ad ognuno di noi con amore accogliente.

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Il Responsabile generale ESAME DI COSCIENZA Il Signore Gesù ci ringrazia per essere venuti qui, a fare gli Esercizi spirituali, per aver sacrificato questi giorni per Lui, perché potesse farsi vicino a noi e parlare al nostro cuore ed aiutarci nella vita. Per qualcuno sarà stato difficile avere il permesso dal lavoro, per altri l'aver sacrificato la famiglia ed i figli, per altri ancora il non aver potuto riposare, magari facendo una piccola vacanza. Lui ci vuole ripagare di tutto questo, con la grazia di questi giorni. Il Signore ci ringrazia per aver ascoltato la Sua Parola, nella difficoltà di stare attenti, concentrati, ben sapendo che non è facile, con tutti i pensieri, le preoccupazioni, la stanchezza. Forse non siamo sempre riusciti ad ascoltarlo nella meditazione, nella lettura, nella liturgia, ma Lui ci rassicura che ci vuole bene, che domani, nei prossimi giorni, sarà ancora lì, ci verrà accanto, affinché possa sempre raccontarci, suggerirci qualcosa di bello, un consiglio utile, un sostegno, forse solo scaldarci il cuore con la Sua presenza, darci speranza. Il Signore Gesù ci ringrazia perché lo abbiamo voluto incontrare nel suo desiderio di comunicarci la Sua misericordia. Lui ci conosce, Lui sa che, se anche abbiamo mancato, gli vogliamo bene. In noi è presente nel cuore la volontà di fare il bene, di voler stare con Lui al di là delle nostre fragilità. Il Signore ci ringrazia per aver partecipato alla Sua offerta. Ci ringrazia perché il Suo sacrificio non è stato

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inutile e ancora oggi, nelle difficoltà del nostro tempo, c'è qualcuno, un gruppo, che lo accoglie nel proprio cuore, per portare Lui per le strade del mondo, affinché possa operare e far conoscere l'amore del Padre nell'attesa del ritorno alla vera e definitiva casa. Il Signore Gesù ci ringrazia per aver rispettato il silenzio malgrado non ci si veda mai ed in noi c'è il desiderio di stare insieme, di dirci le nostre cose. Ci rassicura che se anche abbiamo trasgredito a questa regola, Lui non si è offeso ma ne ha approfittato per dirci qualcosa, per farci sentire quanto ci vuole bene tramite i fratelli che ci ha messo accanto. Il Signore ci ringrazia di non aver pensato solo a noi stessi, ma di aver rivolto le nostre preghiere al Padre per i nostri cari, per i nostri morti e per tutti coloro di cui siamo preoccupati e che portiamo nel cuore. Le stesse preghiere che Lui faceva quando era presente tra noi e mai si dimenticava della sofferenza dell'uomo. Di fronte ad un Dio così, come non gioire e ringraziarlo a nostra volta, comunicandogli la nostra debole preghiera, esprimendogli la nostra lode per la bellezza della nostra chiamata Per questo diciamo.... GLORIA


Un cordiale saluto da... In occasione del Natale Ireos ha fatto visita al Card. Carlo Maria Martini. Al termine dell’incontro il Cardinale ha espresso con queste parole la sua vicinanza ed il suo affetto di pastore benedicendo tutto il Piccolo Gruppo.

" Sono qui vicino al carissimo amico Ireos Della Savia , che amo molto e che stimo molto, estendo un saluto cordiale a tutti i membri del Piccolo Gruppo di Cristo. Apprezzo molto la vostra spiritualitĂ , il vostro spirito di sacrificio, la vostra dedizione evangelica. E quindi vi auguro di andare avanti in questo Natale e in questo anno prossimo con grande gioia e grande forza. E pregate anche per me. Vi ricordo e vi benedico. Grazie ."

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Riflessioni

La gioia di ritornare incontro al Padre "Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te , o Dio." (Sal.41(42) Più vado avanti nella vita, più sono consapevole del mio peccato, delle mie infedeltà, della mia poca fede e più vedo le mie mancanze di carità e amore, i frutti dell'orgoglio. Chiedo a Gesù, come nelle litanie dell'umiltà, la costante memoria dei miei peccati e la cognizione del mio nulla. "Perché ti rattristi anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio, ancora potrò lodarlo, Lui, salvezza del mio volto e mio Dio". Sal.41(42) Quando sono triste Lui mi cerca e dice " Dove sei? Rispondo "Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura , perché sono nudo, e mi sono nascosto". (Gen.3,9) La domanda non è come posso trovare Dio, ma come posso farmi trovare da Lui. Non è come posso amare Dio, ma come posso lasciarmi amare. Sono io che mi nascondo, Lui mi sta cercando. Quante volte, Signore, mi sono perduta, quante volte Signore mi hai ritrovata? Quando prego chiedo al Signore che aumenti la mia fede e la consapevolezza che il suo amore è più grande del mio peccato e aspetto di trovare nella sua parola la sua voce che mi dice : "Perché hai paura, uomo di poca fede? Io sono sempre con te". La vita spirituale richiede un approfondimento costante e vigilante, che rianimi la presenza di Dio nel nostro cuore, e tutto questo avviene attraverso la 8

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preghiera, la meditazione, l'adorazione. È nel nostro cuore che si svolge la lotta spirituale. La nostra mente, la nostra intelligenza in alcuni casi comprendono le situazioni, ma il cuore si ribella, rimane adirato, risentito. Il perdono di Dio è senza condizioni, proviene da un cuore che non domanda nulla per se stesso. Ispiraci, Signore, ad anelare a te sempre, come la cerva anela ai corsi d'acqua, fa' che sentiamo la calma ristoratrice del tuo perdono, fa' che riposiamo nell'abbraccio del tuo perdono. Spesso non ho un cuore che cerca sempre Gesù e per questo i miei occhi non lo vedono e le mie orecchie non lo ascoltano. Il nostro amore per Lui molte volte è asfittico, incapace di vedere gli imprevedibili spazi d'amore di Dio nei quali abbandonarsi senza riserve. Chi non decide in cuor suo di convertirsi è destinato a regredire. Come Pietro anche noi scivoliamo in sottilissimi rinnegamenti quando siamo in un ambiente ostile o semplicemente ironico. Pietro piange amaramente e il pianto è il grande segno della conversione. Da un pianto sincero può nascere la sconfitta salutare dei nostri inamovibili orgogli, dalle lacrime può nascere il più tenero degli incontri con la bontà di Dio che ci guarisce e ci fa nuovi. "Ecco io ti tolgo di dosso il peccato; fatti rivestire di abiti da festa". (Zc 3,4) Gesù ci invita ad un banchetto gioioso: "Venite alle nozze" ma molti di noi non


se ne curano, sono troppo presi dai loro affari. Questo invito al banchetto è un invito all'intimità con Dio. Dio ci invita a gioire con Lui. "Rallegratevi con me", dice il pastore, "perché ho trovato la mia pecora che era perduta". "Facciamo festa" dice il Padre "perché questo mio figlio era perduto ed è stato ritrovato".Dobbiamo imparare a gioire di appartenere alla famiglia di Dio. Lo spazio d'amore più importante nel quale abbandonarsi alla misericordia è la confessione. Nel sacramento della riconciliazione la cosa più importante è incontrarsi con Cristo, essere toccati dalla sua potenza guaritrice. Non dobbiamo scoraggiarci perché entrando nell'intimo della nostra coscienza vediamo il ripetersi dei nostri peccati, ma pregando imploriamo la luce che guarisce i nostri disordini e le nostre piaghe. La guarigione spirituale è una forza che Cristo infonde nella nostra vita e che richiede la nostra collaborazione, la nostra conversione e la conversione è solo l'inizio di un cammino nella fedeltà. Il sacramento della confessione è un incontro reale nella fede con Cristo, e questo incontro toccherà la nostra volontà. Mettendoci di fronte al suo amore con profondità ci accorgiamo che è Lui che ci ama e ci perdona sempre e da questo amore possiamo far partire il nostro pentimento. Esprimiamo a Cristo il nostro ringraziamento come il lebbroso guarito e dichiariamo la nostra speranza e abbandono a Lui. Non è un incontro in cui sia per forza toccata la nostra sensibilità, anzi, a volte non riusciamo ad aprire il nostro cuore alla lode perché non conosciamo il confessore o per altri motivi come stanchezza, mancanza di preparazione al sacramento, fretta, nervosismo.

Sarebbe bello, in alcuni momenti più importanti, come la preparazione all'Eremo, ai primi voti e ai voti perpetui, poter fare una preparazione sacramentale più approfondita e confessarsi da un sacerdote che conosce la spiritualità della nostra vocazione, perché in questo modo il nostro cuore potrà mettersi di fronte all'amore di Cristo con molta profondità e ricevere la grazia di un aiuto per la nostra conversione e il nostro cammino vocazionale nel Piccolo Gruppo di Cristo. Cristo si è fatto uomo per salvarci e noi desideriamo salvarci. Lui è il nostro rifugio, la sorgente d'acqua per la vita eterna, la luce che vince le tenebre. "Quanto è preziosa la tua grazia, o Dio . È in Te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce". Sal. 35 Cristo ci chiede l'amore senza misura per il più debole, il più povero, il più difficile. E non ce lo chiede come se noi avessimo il diritto di stare piegati sulle ferite dei fratelli dalla vetta delle nostre perfezioni raggiunte, ma come poveri accanto ad altri poveri. Cristo ci offre il perdono e la guarigione e vuole elevare questi doni a fonte di gioia. Dobbiamo imparare a gioire di appartenere alla famiglia di Dio, dobbiamo farci piccoli, umili e poveri, puri e obbedienti figli di un Padre che ci ama immensamente. Donami Signore di vivere con carità e amore per ricomporre la comunione, l'unità da te implorata prima della passione: "perché siano una cosa sola con noi". (Giov.17) Rosalba Beatrice Oltre alla parola dalla Bibbia (citata nell'articolo), ho letto e preso spunto anche dal libro "L'ora della conversione" di Valerio Mannucci e "Una sola cosa necessaria : Vivere una vita di preghiera" di Henri J.M. Nouwen. Esperienze di vita

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Riflessioni

Lo scarabocchio Una stanza del mio ufficio è stata soprannominata: la stanza del "bianco e nero", a motivo della presenza di diversi quadri su tela bianca con macchie nere e su tela nera con macchie bianche. Questi quadri mi hanno sempre fatto pensare al cuore di ciascuno originariamente puro, senza peccato originale, che gradualmente, quotidianamente si macchia di peccati. Se il cuore di carne si lascia conquistare dalla concupiscenza, man mano i nostri cuori diventano come le tele nere, sulle quali si trovano piccole tracce bianche, che ricordano come in origine era il nostro cuore. Uno di questi quadri, di arte moderna e contemporanea, è molto particolare: vi è rappresentato un vero e proprio scarabocchio su un'enorme tela bianca; un semplice scarabocchio a cerchi concentrici, di quelli che si tende a fare quando si ha una penna e un pezzo di carta sotto mano e si è sulla propria scrivania a pensare o al telefono in attesa che qualcuno risponda. La particolarità è che è fatto di piccoli spilli, posti l'uno accanto all'altro, inseriti ed uniti dalle mani dell'artista, con esattezza, con cura, con pazienza, con precisione, con fiducia e passione nel voler dare vita ad un'opera, la sua opera. Anche questo quadro mi fa pensare a come il peccato, rappresentato da questi spilli raccolti di seguito, ad uno ad uno, modifichi la nostra anima, il nostro cuore. Il bello è avvenuto un giorno quando un bimbo piccolo tra le braccia del suo papà, che era in attesa in questa sala, 10

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con la sua spontaneità e semplicità si è avvicinato a quel quadro e toccandolo con le sue manine cercava di togliere quelle rotondità che sentiva sotto le sue dita…non sapendo infatti che quelle palline nascondevano uno spillo lungo che perforava la tela, da parte a parte. Era gioioso ed entusiasta nel fare quel nuovo gioco… "Gli spilli", cioè i nostri peccati, ad uno ad uno, giorno per giorno, disegnano uno "scarabocchio" sulla nostra anima e perforano il nostro cuore, deturpano il nostro volto e modificano il nostro agire nel mondo. Proprio l'azione di quel bambino in braccio al suo papà mi ha fatto pensare all'azione del sacerdote durante la confessione e a Gesù, che lo accompagna durante il sacramento. Il confessore per grazia, delicatamente e con amore, sostenuto da Gesù, si fa strumento e canale di Amore, ci accoglie e ci ascolta, toglie e cancella i nostri peccati, con gli stessi sentimenti che l'artista ha avuto nel creare la sua opera. La confessione è per me un'incontro d'amore, è il parlare faccia a faccia con il Signore, è l'avvicinarsi della mia anima in "bianco e nero", del mio cuore "scarabocchiato" al suo, che vuole ardentemente che io ridiventi a sua immagine e somiglianza, ridiventi come una tela bianca…senza segni che deturpino il mio volto, senza buchi, senza macchie. Il Signore cerca con tutto il suo Amore di sanarmi e liberarmi dal peccato. La mia fragilità umana mi porta a peccare ogni giorno in piccole e grandi cose, ma la gioia e la


pace che sento ogni volta che vado al mio "incontro" con Lui nel confessionale mi danno la forza di essere puntuale al mio appuntamento quindicinale. Sento la sua mano (come quella del piccolo bimbo nella stanza "bianco e nero") delicata ed ansiosa ad "alleggerire" il mio cuore affaticato, a liberarmi dal dolore e dalla pena, per donarmi il suo Amore. Dono immenso per noi sono i sacerdoti, che durante il nostro cammino ci amministrano il sacramento della confessione, grande grazia è trovarne uno che conoscendoci nel nostro percorso quotidiano diventa il nostro Confessore abituale, perché ci aiuta a crescere nel cammino spirituale. Spesso nella mia Parrocchia si recita

una preghiera per i confessori: si affidano a Maria Vergine e Madre i primi confessori, gli attuali confessori e quelli che ci confesseranno nella nostra ultima ora. "Pietà di me o Dio, nel tuo grande amore cancella il mio peccato, lavami…mondami…purificami…Fammi sentire gioia e letizia…Crea in me o Dio un cuore puro, non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo Spirito…Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato tu o Dio non disprezzi.." (dal Salmo 50) Nadia Quattrucci

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Riflessioni

Il sacramento della riconciliazione Nei cinque anni in cui sono stato Incaricato generale dell'aspirantato, ho avuto modo di fare molti colloqui spirituali con le tante persone che si sono avvicinate alla nostra Comunità. Una delle difficoltà che ho riscontrato nella maggior parte delle persone con le quali sono entrato in relazione è l'approccio al sacramento della riconciliazione. Anzitutto la difficoltà di trovare un confessore stabile e spiritualmente attento al cammino del penitente, poi la difficoltà ad aprirsi al confessore, non ultima la fatica di comprendere il significato della confessione. Personalmente considero il sacramento della riconciliazione come un rientrare nella vasca battesimale con il capo piegato in segno di umiltà, come un ritorno alla casa del Padre, come il luogo concreto nel quale faccio esperienza dell'amore misericordioso del Padre. Supero la difficoltà di aprirmi al confessore considerando che nel confessionale non c'è l'uomo-sacerdote, ma Gesù. Gesù si identifica totalmente con il confessore, ha scritto suor Faustina Kowalska nel suo "Diario". Allora sto molto attento a cogliere che cosa il Sacerdote mi dice, pensando che quei suggerimenti sono i suggerimenti di Gesù per me. Tanto più mi accuso, tanto più confesso i miei peccati e tanto più Gesù fa luce negli angoli bui del mio cuore, dove nascondo la mia inclinazione al male. Tanto più mi rendo conto della mia fragilità e della mia pochezza, tanto più la 12

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grazia di Dio opera in me e fa grandi cose. Per ottenere la grazia di un confessore che sappia far volare la nostra anima incontro al Signore occorre pregare molto e avere molta pazienza: così è stato per i santi e così sarà anche per noi poveri peccatori. Nei tempi forti della vita cristiana personalmente mi confesso una volta alla settimana. La confessione mi aiuta a crescere nella sensibilità spirituale. Dalla confessione traggo l'aiuto per superare le mie fragilità, che sono quasi sempre le stesse e che mi umiliano nell'accusarle ogni volta. Più mi confesso e più scopro l'amore di Dio per me, che ogni volta mi fa realtà nuova. Giancarlo Bassanini


Confessione, incontro con la misericordia del Padre "Il Signore Gesù Cristo, medico delle nostre anime e dei nostri corpi, colui che ha rimesso i peccati al paralitico e gli ha reso la salute del corpo, ha voluto che la sua Chiesa continui, nella forza dello Spirito Santo, la sua opera di guarigione e di salvezza, anche presso le proprie membra". Così recita il Catechismo della Chiesa Cattolica al n.1421. Rileggendo questo passo, ciò che mi commuove è proprio il miracolo esistenziale di guarigione e di salv e z z a c h e a c c o m pa g n a t u t ta l a nostra vita di credenti che ci accostiamo alla confessione, perché mi parla di amore infinito, incommensurabile del Signore per le sue creature, così preziose ai suoi occhi, per le quali continua a dare la vita. Vivere il sacramento della riconciliazione o penitenza è incontrare il Padre della misericordia che guarisce, risana, libera, trasforma la nostra esistenza. Di fronte a questo dono di Cristo, la cui grandezza e bellezza forse non riusciremo mai ad approfondire e apprezzare pienamente, c'è solo da contemplare, ringraziare, rendere lode. Di confessione in confessione, nel corso del tempo, possiamo cogliere come l'Amore misericordioso abbracci la nostra vita e ci attiri sempre più a sé, attraverso un cammino di spogliazione di noi stessi e di affidamento a Lui sem-

pre più totale, per incontrarci in quello spazio del cuore dove più intense sono le nostre contraddizioni e fragilità. È lì, infatti, nello spazio del cuore che tutto avviene: il prezioso scambio tra la nostra povertà, il male che noi confessiamo, e la sua Onnipotenza che lo brucia nel suo amore, spezza le nostre catene, ridona la pace e la libertà di figli di Dio. Certo è importante confessare singolarmente i peccati, ciò che non va nella nostra vita alla luce dei comandamenti e dei precetti evangelici ma, come ci ricordava il sacerdote nell'ultimo corso di e s e r c i z i s p i r i t u a l i , è i m p o r ta n t e concentrarci non tanto sugli atti esteriori quanto piuttosto su ciò che non è immediatamente visibile, e sta a monte, chiedendo a Dio la luce necessaria per verificare l'orientamento del cuore, la nostra disposizione intima. È necessario chiederci ad ogni esame di coscienza: che cosa, chi stiamo cercando, quale posto occupa Dio nella nostra vita. È Lui il Signore? E noi stiamo cercando prima di tutto il suo regno? L'evangelista Marco ci ricorda: "Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le i n t e n z i o n i c a t t i v e … Tu t t e q u e s t e cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo" (Mc.7,21-23) perché sono radicate nell'amore di sé, nell'amore alla Esperienze di vita

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Riflessioni propria volontà; per questo dobbiamo farci battezzare nel più profondo di noi stessi. Accennavo prima allo spazio del cuore: lì il Signore ci incontra, ci illumina, ci dona i suoi occhi, ci corregge, "fa la piaga e la fascia, ferisce e la sua mano risana". La radice del male è nel cuore di ogni uomo, è in me. Solo cogliendola, con l'aiuto della grazia possiamo scoprirla e liberarcene. "Dammi il tuo cuore" dice il Signore. Donargli il cuore, la nostra realtà più profonda, che solo Lui conosce, significa consentirgli di compiere in noi l'opera sua perché sempre più possiamo essere sua presenza nel mondo. Noi siamo suoi e coloro che Cristo ama Egli anche purifica da tutto ciò che non è Lui. Rendiamo gra-

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zie alla divina misericordia per il dono della Confessione, sorgente di libertà, di pace e di gioia. Gesù mite e umile di cuore ci guida in questo cammino, viene in noi con la sua grazia e ci dice: " I m pa r a t e d a m e … S o n o c o n v o i tutti i giorni…" Sì, è accanto, è dentro la nostra storia di debolezza e di miseria, risponde al grido del nostro cuore, non si allontana e non si stanca perché ci ama di amore eterno. Rosa Pozzobon


IL MONDO DIVENTERÀ UN GIARDINO Pensieri su il bene e il male, sui peccati e la confessione tratti liberamente dal libro di Carlo Maria Martini "LL e a l i d e l l a libertà"

Il Cardinale in questi esercizi spirituali impostati sulla Lettera ai Romani di San Paolo e rivolti ai sacerdoti, ma non solo a loro, affronta in due capitoli il tema del male e del bene e distingue i peccati in: peccati sociali (sperequazioni economiche, culturali e sociali, frutto di un sistema ingiusto di cui facciamo parte; peccati collettivi (indotti dalla moda e dalla mentalità corrente: ciò che dice la gente, la televisione e i mass media; indotti dalle tradizioni di famiglia o dalla cultura quando ci obbligano a rispettare convenzioni e abitudini contrarie al Vangelo. Vi rientrano anche il fatto di dire ciò che alla gente fa piacere sentire e le cosiddette nevrosi, peccati difficili da individuare); peccati personali( cioè quelli di cui ci accusiamo normalmente nella nostra confessione e che troviamo elencati in Marco 7, 21-22: fornicazioni e impudicizia, adulteri, furti, omicidi, cupidigie, invidie e calunnie, malvagità, inganni e finzioni, stoltezza). Il Cardinale dà su questi ultimi due avvertimenti: 1) dentro di noi c'è la possibilità di compierli tutti, quindi non diciamo che non ci riguardano; 2) nella storia del mondo e anche della Chiesa sono stati commessi tutti, quindi ci toccano, sono possibili. Ma, e qui sta la prospettiva positiva

che evidenzia, accanto al mistero del male che ha radici dentro il cuore e si manifesta nel mondo è sempre all'opera misteriosamente la Provvidenza di Dio e la sua Misericordia, che noi invochiamo nella preghiera e nella confessione. Sta al cristiano quindi di intuire, con l'aiuto del Signore e la sua grazia, il mistero del male per poterlo fuggire con orrore e di far prevalere dentro di sé la scelta del bene, per una vera conversione. Non è necessario che l'unione con il Signore sia sensibile. È indispensabile volerlo amare sempre, anche oltre il tempo dedicato alle pratiche di preghiera. Dobbiamo convincerci che Dio ci ama sempre giorno e notte e perciò a noi è chiesto di contraccambiarlo. Restando avvinti a lui è più difficile tradirlo, mentre è più facile essere sereni in ogni circostanza, anche quando essa può essere pesante da portare. Nella tradizione di Sant'Ignazio, Martini invita i preti, ma questo vale anche per noi consacrati, ad esaminarci sul disordine nella vita, che non è vero peccato, ma confusione, per rimettere ordine e così rispondere davvero alla chiamata ricevuta. Quante volte ce lo hanno suggerito Ireos e i nostri responsabili in Comunità! Il Cardinale evidenzia quattro disordini: nell'orario (invita a fare una programmazione a rovescio, cioé a partire dall'orario serale in cui si va a letto per prevedere l'orario in cui ci si alza, si fa meditazione, si va a Messa, ecc.); negli impegni (sono da ordinare, occorre cioè stabilire un ordine di prioEsperienze di vita

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Riflessioni

rità e decidere, con discernimento, quelli importanti e quelli meno e prevedere una mezza giornata libera alla settimana da dedicare alla solitudine e alla preghiera); negli interessi. Si suggerisce questo proposito di essere ben aggiornati e quindi l'importanza di buone letture religiose, filosofiche e culturali. Anche Ireos ce le ha consigliate ultimamente, perché siamo laici chiamati a operare nel mondo. Bella l’idea del Cardinale di un quaderno in cui riassumere quotidianamente gli stati d'animo, gli avvenimenti, le vittorie e le sconfitte, per mettere davanti al Signore la nostra giornata. Ho pensato sia un modo per fare l'esame di coscienza L'ultimo disordine è relativo alla confessione. Il Card. Martini mette in guardia da due errori: 1) pensare che una confessione sia più facile se è più rara. A volte lo si può ritenere, anche se nella nostra spiritualità siamo invitati a confessarci una volta ogni quindici giorni. Ebbene il Cardinale conferma:

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una confessione tanto più è frequente tanto più è facile; 2) pensare che una confessione sia più efficace quando è più breve. "Al contrario è più facile quando è un po' più prolungata e articolata; quando non solo ci accusiamo delle colpe formali ma cominciamo col ringraziamento a Dio e mettiamo sul tavolo anche i nostri disordini, le nostre vanità, le nostre mondanità, le nostre antipatie, le nostre paure, le nostre vigliaccherie e le lasciamo purificare dalla grazia. Questa è una confessione che aiuta molto perché non è caratterizzata dalla fretta e dalla superficialità", conclude Martini. "Se cambia qualcosa dentro di noi", sostiene infatti Martini, "allora il cambiamento si vedrà fuori di noi...e il mondo diventerà un giardino". È, con altre parole, il richiamo del Piccolo Gruppo a vivere in unione a Cristo per conformarci a lui e testimoniarlo con l'esempio. Vilma Cazzulani


Pensieri inerenti alla confessione Spunti di riflessione sulla S. Confessione, sul Bene e il Male, e sulla Conversione

Dal "Dialogo della Divina provvidenza" S.Caterina da Siena Ed. Cantagalli 1988 Siena …La divina carità conosceva l'infermità e fragilità dell'uomo, per le quali pecca, non quasi che sia costretto dalla fragilità o da altro a commettere la colpa se non vuole, ma fragile come egli è, cade nella colpa del peccato mortale, per la quale perde la grazia ricevuta nel S.Battesimo in virtù del Sangue. Perciò fu bisogno che provvedesse a lasciare agli uomini come un continuo Battesimo di sangue. Esso si riceve con la contrizione del cuore e con la santa confessione: confessandosi, quando si può, ai miei ministri che tengono la chiave del Sangue…. …sicchè tu vedi come sia continuo questo Battesimo, nel quale l'anima ha da battezzarsi fino all'ultimo. In esso tu arrivi a conoscere che la mia sofferenza in croce fu finita, ma il frutto della pena, che voi ricevete da me, è infinito. (Dal capitolo 75 pag.152).

Da "Emergenza educativa e oblio del perdono" di G.Vico (Professore ordinario di Pedagogia generale presso l'Università Cattolica di Milano). Ed.Vita e Pensiero 2009 Milano …Il perdono è l'atto di chi, ingiustamente offeso, decide di ristabilire la comunione con chi lo ha offeso. Il perdono non cancella la realtà di ciò che è avvenuto …. Più semplicemente rista-

bilisce tra chi ha offeso e chi è stato offeso una tale comunione da dover dire che, tra i due, non vi è realmente più alcuna opposizione o contrasto. Il peccato investe il cuore a tal punto che il suo perdono esige una reale conversione, la comunità cristiana insegnerà la necessità del perdono. Innanzi tutto a livello interpersonale: infatti "se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe" (Mt 6,15; cf. 18,21-35); livello più alto, però, è quello sacramentale (Gv 20,23): il potere di rimettere i peccati, proprio di Gesù (Mc 2,10; Gv 1,33), passa da lui alla sua comunità (Mt 18,18; Gc 5,16). (pag 112) La riconciliazione con Dio, attraverso la mediazione salvifica del Verbo Incarnato, porta necessariamente alla riconciliazione dell'uomo con se stesso, cioè a ricostruire in sé l'immagine di Dio, unico mezzo per ritrovare la pace. Infatti più cresce questa ricostruzione spirituale più l'uomo sperimenta la riconciliazione interiore. Da parte dell'uomo, la riconciliazione sta a significare l'accettazione del progetto di Dio… (pag. 114) Il perdono è profezia del Regno, segno dell'azione dello Spirito, manifestazione delle energie del Risorto, svelamento dell'amore di Dio Padre. Riflesso dell'amore trinitario di Dio, il perdono è partecipazione alla vittoria di Cristo sulla morte: se la resurrezione "dice" che la morte non ha l'ultima Esperienze di vita

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Risonanze parola, il perdono "dice" che il peccato non ha l'ultima parola, non è la verità dell'uomo. (pag.185)

"Memorie spirituali" di Pietro Favre (1542-1546) ( primo compagno di Ignazio di Loyola e primo prete formatosi con la spiritualità Ignaziana). Ediz. Piemme 1990 Milano …In un momento di elevazione della mente, meditavo che Cristo siede alla destra di Dio Padre onnipotente e vede anche con i suoi occhi umani quanto male si fa sotto il sole, tutte le ingratitudini, le malizie, le bestemmie contro Dio. E provai una certa meraviglia della gran pazienza e bontà propria di Cristo, che tanto potere ha in cielo e sulla terra. In modo consimile meditai ciò che significa crocifiggere l'Agnello nella sua carne mortale, senza ponderare, o peggio disprezzando che egli già regna e trionfa in cielo. Perciò mi parve che nella sua pazienza, colui che già vive e regna, si espanda nella bontà in proporzione del male oppostogli.

Da "Quando il maestro parla al cuore", di Gaston Courtois (sacerdote, Figlio della Carità, Parigi 1897-1970). Ediz. San Paolo 2010 Milano …Sii maggiormente in ascolto. Soltanto io posso darti quella luce di cui hai un così urgente bisogno. Nella mia luce il tuo spirito si fortificherà, i tuoi pensieri si chiariranno, i problemi si avvieranno a soluzione…. …Vorrei servirmi di te in modo più pieno. Per questo, orienta continuamente la tua volontà verso di me. Spogliati di te stesso. Fatti una mentalità di membro che ha soltanto me come 18

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ragione e scopo della vita. …Raccontami la tua giornata . Certo io già la conosco, ma mi piace sentirtela narrare, come alla madre piace il chiacchierio del suo bambino al ritorno da scuola. Esponimi i tuoi desideri, i tuoi progetti, i tuoi fastidi, le tue difficoltà. Forse che non sono in grado di aiutarti a superarli?

"Atto di Venerazione all'Immacolata a Piazza di Spagna". Dal discorso del Santo Padre Benedetto XVI a Roma, 8 dicembre 2009. …La città è fatta di volti, ma purtroppo le dinamiche collettive possono farci smarrire la percezione della loro profondità. Vediamo tutto in superficie. Le persone diventano dei corpi, e questi corpi perdono l'anima, diventano cose, oggetti senza volto, scambiabili e consumabili. Maria Immacolata ci aiuta a riscoprire e difendere la profondità delle persone, perché in lei vi è perfetta trasparenza dell'anima e del corpo. È la purezza in persona, nel senso che spirito, anima e corpo sono in lei pienamente coerenti tra di loro e con la volontà di Dio. La Madonna c'insegna ad aprirci all'azione di Dio, per guardare gli altri come li guarda lui: a partire dal cuore. E a guardarli con misericordia , con amore, con tenerezza infinita, specialmente quelli più soli, disprezzati, sfruttati. "Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia". Voglio rendere omaggio pubblicamente a tutti coloro che in silenzio, non a parole ma con i fatti, si sforzano di praticare questa legge evangelica dell'amore che manda avanti il mondo. Sono tanti, anche qui a Roma, e raramente fanno notizia. Uomini e donne


di ogni età, che hanno capito che non serve condannare, lamentarsi, recriminare, ma vale di più rispondere al male con il bene. Questo cambia le cose, o meglio, cambia le persone e, di conseguenza migliora la società…

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Riflessione

L'obbedienza come la vede e la vive un giovane in cammino "Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo… e capo di Cristo è Dio" (1 Cor 11,3). Queste parole di San Paolo riassumono bene il significato dell'obbedienza, tema su cui la comunità romana del Piccolo Gruppo di Cristo si è fermata a riflettere nel ritiro di inizio Avvento e scelto per iniziativa di don Leone Messa, sacerdote che accompagna a vario titolo persone e momenti della nostra vita comunitaria. Quale senso ha l'obbedienza nella Chiesa e, nello specifico, nel nostro gruppo? Il senso dell'obbedienza cristiana

Per il mondo è molto facile fraintendere l'obbedienza perché la società la giudica una sciocca rinuncia alle proprie idee o persino alla propria personalità in nome di un'imposizione esterna forzata. Per dare invece una risposta adeguata dobbiamo anzitutto risalire alla radice dello scopo del nostro cammino: il senso del Piccolo Gruppo di Cristo, come quello di ogni altro gruppo che lo Spirito Santo suscita nella Chiesa, è aiutare il singolo cristiano a incarnare Gesù Cristo nella concretezza della propria vita quotidiana. Altre motivazioni non reggono il confronto con questo fine e vanno purificate man mano che il cammino di fede progredisce. Ogni uomo, anche il più lontano dalla fede, è chiamato a essere segno di Dio e incarnare il Vangelo che il Signore ci propone. Perciò è necessario distaccarsi da un'immagine comoda e buonista di un Dio tranquillo; il nostro è un Dio che provoca e ci chiede di vivere i consigli evangelici 20

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di povertà, castità e obbedienza, ci sconvolge la vita per un progetto veramente alto, perché Egli sa che ci ha resi capaci di poterlo fare. È necessario tenere presente che una comunità cristiana non deve essere idealizzata. In quanto vivente nella storia, la nostra comunità, come ogni altra, per quanto si sforzi di incarnare i valori del Vangelo, non è immune alla zizzania della discordia, dell'invidia o delle mormorazioni che ne avvinghiano i rapporti e le relazioni tra i vari membri. Già San Paolo dovette richiamare con forza la comunità di Corinto, che appariva divisa e disordinata (cfr. 1 Cor 11-14). Quando ci capita di fare esperienza del peccato all'interno della comunità, dobbiamo ricordare che la Chiesa è santa non perché sia fatta di uomini santi, bensì perché essa è fondata sulla santità di Dio. È la santità di Cristo quella a cui aspiriamo ed è soltanto Lui il modello della nostra vita spirituale, privata e comunitaria! Il significato dell'obbedienza nella comunità del Piccolo Gruppo di Cristo

Quindi, se Cristo obbediente è il vertice della vita del cristiano, è evidente che le altre due basi su cui essa poggia sono l'individuo con il suo IO e la comunità che rappresenta il NOI, con cui ogni membro del corpo della comunità interagisce. L'obbedienza non è passiva remissione né rinuncia a prendere una decisione, ma trova fondamento nell'incontro vivo e personale con Gesù. Da qui scaturisce la libertà di affidarsi alla mediazione di un fratello maggiore nel


cammino di fede per realizzare meglio la volontà di Dio. Pur nei reciproci limiti umani, il rapporto tra il singolo e il responsabile rimane comunque affidato all'azione dello Spirito Santo. Perché bisogna affidarsi alla cura di un'altra persona che potrebbe potenzialmente avere stessi limiti e problemi di chi accompagna? All'interno della comunità una data persona, il responsabile, riceve il ministero di consigliare, di aiutare a discernere e anche di correggere il fratello che accompagna. Quando quest'ultimo obbedisce al suo responsabile, non rinuncia alla propria volontà per subordinarla alle disposizioni di un altro, ma si propone di scoprire e realizzare la volontà di Dio. È infatti evidente che, essendo inseriti nella storia, non abbiamo una conoscenza diretta della volontà del Signore, ma il responsabile, svolgendo un ruolo di mediatore, ci aiuta a conoscerla, a capirla, a discernerla, perché il rischio di scambiarla con i propri desideri è molto alto. Questo compito di mediazione del responsabile è fondamentale ed è riscontrabile anche nella struttura gerarchica della Chiesa. L'obbedienza nel mio cammino personale e comunitario incontro a Cristo

Questa meditazione è servita a interrogarmi personalmente sul mio rapporto con il consiglio evangelico dell'obbedienza. È appunto un consiglio, non una strada obbligata, ma sento che gradualmente mi aiuta a cercare di vincere i miei limiti, anche con degli sforzi, che voglio accettare per amore, sebbene non vi riesca sempre. Ricordo che mio padre, quando piantava gli alberelli di ulivo, poneva sempre un paletto di legno ben conficcato nel ter-

reno accanto al giovane fusto della pianticella, che non era in grado di sostenersi da sé. Ricordo anche che papà legava le piante con delicatezza, ma con nodi ben stretti: l'ulivo sarebbe cresciuto dritto soltanto se aiutato dal palo e dai nodi che lo assicuravano a esso. Questa è l'immagine che ho dell'obbedienza evangelica. La mie scelte tendono a prendere numerose direzioni, tutte possibili, ma solo se saldamente assicurata a Cristo la mia vita porterà frutto. L'obbedienza sta nell'accettare il nodo che il responsabile fa su di me per legarmi a Dio. Per cercare di capire il progetto di Dio su di me, sto imparando ad avere l'umiltà di verificare i miei desideri con il mio responsabile e, per quanto abbia sperimentato ogni volta l'amorevolezza di Dio nei suoi consigli, certamente non è facile aprire il cuore. Finora non mi è mai capitato che ciò che mi è stato chiesto contrastasse in maniera assoluta e inconciliabile con la mia iniziativa personale. Però, avverto che Dio sta cercando di fare continuamente delle microrivoluzioni nella mia vita partendo dalla novità delle scelte quotidiane, apparentemente piccole e insignificanti, ma che sono l'espressione della mia persona (del mio cuore, per usare un linguaggio biblico). Se non sarò stato capace di restare in adorazione davanti all'Eucaristia per un tempo adeguato, ogni giorno, sarò capace di restare concretamente con Gesù durante tutta la mia vita in questo mondo? Per raggiungere questa costanza sento che sono necessarie fedeltà, pazienza e, naturalmente, obbedienza. Ad esempio, ho dovuto cominciare a imparare che un desiderio o un progetto, per quanto sinceri mi possano semEsperienze di vita

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Riflessioni brare, non sono necessariamente buoni perché nascono spontanei nel mio cuore. Infatti, Gesù mi dice che "ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore" (Mt 15, 18), ma mi ricorda anche che non tutto ciò che proviene dal cuore è buono (cfr. Mt 15, 15-20). Discernere ciò che è meglio per la mia vita non è semplice, perché il rischio di confondere la verità con la spontaneità del cuore è molto alto. Per questo motivo non può bastare la felicità di un'emozione, spesso momentanea, per garantire che il mio desiderio sia veramente suscitato dalla volontà di Dio, ossia il mio massimo bene. Come modello perfetto di obbedienza a Dio, la Chiesa - e la comunità - mi propone la figura di Maria. Anche se sicuramente ha avuto una fiducia in Dio incomparabilmente più grande della mia, credo che Maria non abbia sempre capito del tutto i progetti e le

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azioni di Gesù, come la Sua risposta spiazzante di quando fu ritrovato a insegnare tra i dottori del Tempio (Lc 2, 48-50). Però Maria si è fidata! Ha obbedito per amore: infatti, la sua presenza sotto la croce del Figlio, pur nella dolorosa tragicità e nell'apparente assurdità, è un grande segno di obbedienza. Questo modello sono invitato a emulare. A volte credo che sia impossibile da realizzare per me. Ma qui sbaglio: è lo Spirito Santo che dà vita e realizza; a me sta soltanto la fedeltà alla Sua azione, ossia l'obbedienza fiduciosa che l'ultimo verso della Preghiera del Cammino mi ricorda: "Signore, prendimi come sono e fammi come tu mi vuoi". Enrico De Angelis


Una finestra sul mondo d’oggi Non è certo una novita' che molti di noi, anche secondo lo spirito suggerito dalla Icona Biblica, siano impegnati con discrezione in attivita' sociali e di promozione e prossimita' umana e spirituale. Ma vorremmo da questo numero in poi far conoscere alcune di queste esperienze. Per chi le fa ci auguriamo ne tragga incoraggiamento e aiuto concreto per chi legge spunto per interventi simili.Per tutti un’occasione di confronto. Lo scorso 12 dicembre è stata inaugurata in via Jommelli 10 a Milano la nuova Accoglienza Notturna per i Senza Fissa Dimora. Ogni sera la casa si aprirà per quattro Ospiti che troveranno un Volontario ad accoglierli, una cena calda ed un comodo letto, e dove soprattutto riceveranno attenzione, considerazione ed ascolto. In quell'occasione la presidente dell'Associazione EFFATA' (Anna Pirola) ha rivolto ai presenti alcune parole di ringraziamento e ha spiegato il senso di questa nuova realtà, che viene ad affiancarsi al Centro Diurno portato avanti, tra i vari volontari, dal nostro fratello Francesco Corda. "Grazie di essere presenti e di condividere con la nostra Associazione questo momento di festa e di gioia", ha detto la Presidente e ha aggiunto: "Effatà-Apriti, sono le parole di Gesù: ci esortano ad aprire la mente ed il cuore per vedere ed ascoltare la richiesta di aiuto di chi vive emarginato, in povertà e solitudine. La nostra Associazione ha fatto proprie queste parole e da ben 25 anni opera al servizio di anziani Senza Fissa Dimora. Abbiamo ritenuto e riteniamo tuttora

che le persone anziane siano le più fragili e deboli, bisognose di aiuto per ricostruire relazioni umane e sociali e riprendere ad essere i protagonisti della propria vita. Oggi siamo particolarmente felici, perché siamo riusciti a realizzare un progetto che ci ha visto tutti molto impegnati: il desiderio di offrire un'Accoglienza Notturna più consona ai bisogni dei nostri Ospiti e più accogliente affinché ciascuno si senta a casa propria, circondato da affetto vero e da calore sempre più simile a quello familiare, che quasi tutti hanno perso o addirittura non hanno mai avuto". Ma per capire meglio che cosa è Effatà ecco la presentazione fatta da Francesco Corda durante l'incontro con il Cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi avvenuto sempre in occasione dell'inaugurazione dell'appartamento di via Jommelli. NOI CHI SIAMO "Effatà-Apriti!" è un'Associazione ONLUS di volontari che si prefigge la promozione umana e sociale dei poveri Senza Fissa Dimora, uomini anziani che si trovano in stato di grande indigenza. L'Associazione nasce come esigenza di solidarietà e di servizi... si prefigge il recupero ed il sostegno di persone anziane, sole, senza dimora o con problemi di emarginazione grave, ponendo attenzione innanzi tutto alle loro necessità più vere ed urgenti e ricercando quindi soluzioni adeguate Esperienze di vita

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Testimoniannza ed efficaci per la loro promozione umana e sociale, instaurando, con l'azione di gruppo più che del singolo volontario, rapporti di personale amicizia, in un clima di fraterna collaborazione, di reciproca fiducia e di solidarietà. (Statuto, Art. 3) Abbiamo iniziato ad operare nel 1984. Le nostre attività sono così articolate. La Cena del Martedì vuole essere un momento conviviale, di incontro in amicizia, in un clima di serenità; è un momento fondamentale di comunicazione con gli Ospiti. È l'occasione propizia per iniziare ed approfondire il rapporto di fiducia reciproca. Durante la settimana, i Volontari, secondo le proprie disponibilità di tempo, si impegnano ad essere vicini agli Amici là dove questi vivono, cercando di affrontare i loro problemi contingenti e di individuare soluzioni durature per il recupero sociale. L'Accoglienza Notturna, nella sede dell'Associazione in via Jommelli, offre ricovero a quattro Ospiti per un tempo limitato. In questo periodo, i Volontari dell'Associazione e l'Ospite cercano una soluzione al problema abitativo, secondo un progetto pensato insieme, per il suo reinserimento sociale. La permanenza in Accoglienza consente, a coloro che ne fossero sprovvisti, di riacquistare la residenza anagrafica e, con essa lo status di cittadino con tutti i suoi diritti ( assistenza sanitaria, pensione sociale, od un sussidio minimale di sussistenza, ecc.).

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Il passaggio successivo è l'inserimento in un Alloggio Protetto (un monolocale gestito dall'Associazione), che consente al nostro Amico di gestirsi da solo, senza l'assillo degli oneri finanziari, in attesa che maturino le condizioni per l'ottenimento del minimo necessario per l'autosufficienza. Anche in questa fase continuerà il legame con l'Associazione, anzi si rafforzerà, incoraggiandolo a vivere in autonomia. Il Centro Diurno (aperto 5 anni fa) offre agli Ospiti la possibilità di svolgere durante la giornata attività ricreative e formative e di sviluppare così le relazioni interpersonali. La Piena Autonomia è l'obiettivo finale del percorso di recupero: essa si ha portando l'Amico all'autosufficienza finanziaria (grazie all'ottenimento della pensione sociale) e alla piena autogestione (con l'ottenimento dell'alloggio popolare), di una vita sociale "normale", in cui potrà comunque fare sempre riferimento all'Associazione come ad una sua famiglia adottiva. Il Sabato mattina, alcuni di questi Amici accolgono con fedeltà la nostra proposta di meditare insieme il Vangelo della Domenica: è l'occasione non solo per commentarne il testo, ma anche per fare una breve catechesi a persone davvero molto desiderose di conoscere il Signore. Tanti di loro da decenni non frequentavano la Chiesa né i sacramenti mentre oggi sono assidui all'Eucarestia domenicale e talvolta anche infrasettimanale. Per concludere, uno dei segni incoraggianti dell'efficacia del percorso


di recupero proposto dall'Associazione è che molti degli Amici che già hanno raggiunto la propria autonomia, anche dopo anni continuano a frequentarci con regolarità , rendendoci felici di averli come fratelli nell'unica famiglia di Dio. Francesco Corda

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Segni di speranza

La voce di chi è sempre con me Ringrazio di cuore la mia cara amica Lucia per avermi un po' "spinto" a partecipare a questo convegno per raccontare qualcosa della forte esperienza di vita vissuta con la mia amata sposa Manuela nei 4 anni in cui abbiamo condiviso la sua malattia. E' quindi con un po' di trepidazione che cercherò di raccontarvi qualche tratto di questo tempo così ricco vissuto insieme… Il tumore al colon-retto si è manifestato nel 2003 quando Manuela aveva 33 anni. Il primo intervento di resezione in laparoscopia, la convalescenza e la chemioterapia "precauzionale" li abbiamo affrontati con il coraggio e la forza di vivere che hanno sempre contraddistinto Manuela e anche i medici dell'oncologia di Treviso ci sono stati vicini, ci hanno convinto che la terapia precauzionale prescritta abbinata alla radioterapia era più che sufficiente. La speranza di una possibile guarigione stava prendendo piede, anche gli effetti collaterali della chemioterapia e la menopausa indotta dalla radioterapia sono stati accolti da Manuela e da me come un percorso necessario per guarire… I controlli successivi sono sempre andati bene… Dopo circa due anni però a fine anno 2004 un rene si gonfia e non riesce più a scaricare bene. Capiamo subito che la situazione è grave, sembra proprio che la malattia sia tornata… A fine aprile del 2005 concordiamo con la chirurgia di Treviso un interven26

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to esplorativo in laparotomia che purtroppo conferma la gravità del quadro. L'unica speranza umana di guarigione rimaneva ancorata alla chemioterapia e quindi dopo la convalescenza siamo tornati in oncologia a Treviso per definire la terapia chemioterapica. La prima cosa che vi posso confidare è il clima per me diverso che ho subito respirato. Quando si ha a che fare con un malato grave di cui si sa che la terapia che si propone avrà solo l'effetto di allungare la vita del paziente ma non lo farà mai guarire, il paziente è i suoi familiari si accorgono che spesso c'è uno "SCOLLAMENTO" tra quello che è l'atteggiamento del medico (spesso schivo e affrettato) e quelle che sono le sue parole che a me sembravano troppo ottimistiche e, anche se Manuela le apprezzava, mancavano di verità. Per fare la terapia che avevamo concordata, mi sembra si chiamasse "FOLFIRI", purtroppo non c'erano posti disponibili in day hospital, quindi doveva farla in reparto e questo comportava il ricovero di Manuela per tre giorni consecutivi con tutte le difficoltà legate al mio lavoro e alla gestione di nostro figlio che aveva allora 6 anni. Ma la cosa che più ci ha messo in difficoltà era la mancanza di un oncologo "FISSO" sempre lo stesso che si occupasse di lei, che lei potesse contattare in caso di bisogno per instaurare quella intima relazione di fiducia tra medico e paziente che io ritengo necessaria quando si ha a che fare con malattie gravi. La chemioterapia è proprio strana: per


farti stare meglio ti fa star male, a volte molto male e in questo passaggio il malato oncologico per me deve essere sostenuto soprattutto dal medico che lo cura. A Treviso era tutto lo staff medico che si occupava di tutti i pazienti e quindi avere un medico fisso sembrava non fosse possibile, se non in regime di libera professione… Dopo una lunga e sofferta riflessione, sapendo bene cosa avrebbe comportato farci curare in un ospedale più lontano abbiamo scelto di appoggiarci ad un'altra struttura. Avevamo raggiunto l'obiettivo minimo di avere sempre lo stesso oncologo di riferimento ma i 50 chilometri di strada da fare per la chemioterapia non erano pochi.. Come mio altro piccolo contributo vi volevo parlare della preparazione alla morte. Tutti vogliamo e speriamo che la terapia ci porti alla guarigione, ma purtroppo, in alcuni casi, come è successo a noi, ci dobbiamo rassegnare. In questo doloroso passaggio invito tutto il personale medico ad essere il più VERO possibile. Se non fosse stato per alcuni nostri amici, che ci sono stati vicini, noi non ci saremmo preparati in tempo alla morte di Manuela, troppo ottimismo c'era nelle parole del medico che curava Manuela. Ma troppo ottimismo non va bene. C'è quel passaggio di resa di fronte ai limiti degli strumenti che la scienza medica ci dà che, io penso, i medici debbano fare, almeno con i familiari del malato, per comunicare loro che presto il loro amato li lascerà…. Voglio qui esprimere col cuore anche la mia solidarietà e un sincero ringraziamento a tutte le persone che si

occupano dei malati di tumore. So che spesso si debbono fare i conti con i bilanci, con gli scarsi finanziamenti, con la difficoltà a far fronte a tutti i bisogni per oggettivi limiti di tempo e di persone, quindi sinceramente dico a tutti grazie. Mi avvio a concludere con una delle frasi dette da Manuela il giorno prima della sua morte. Lei aveva fede in Dio, penso comunque siano parole che valgono molto anche per chi è in ricerca o la fede non ce l'ha, perché la fede non toglie nulla di tutto ciò che si prova avvicinandosi alla morte: "So che mi aspetta l'incontro con un Volto Raggiante e anche se, lo confesso, sono ancora molto arrabbiata con la vita, so che anche questa è vita. Io non vorrei questa vita di malattia, di sofferenza, ma cosa ci posso fare? È la mia vita e non posso fare altro che abbracciarla". È bellissimo per me questo insegnamento di Manuela: lei ha davvero abbracciato la vita e la morte fa parte della vita, è VITA nella sua fase conclusiva ma è profondamente vita e noi tutti non ci dobbiamo nascondere ma dare ad essa la sua grande dignità. Per me e Manuela è stato molto importante essere consapevoli e coscienti della verità, cioè che presto ci saremmo salutati su questa terra, verità che abbiamo accettato come un cammino spirituale. Mi permetto ancora di sottolineare che per me spetta al medico curante, che conosce la prognosi, cercare di non illudere malati e familiari, ma orientarli ad essere guidati anche da chi li può Esperienze di vita

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Segni di speranza prendere in cura come persone (come un medico palliativista o uno psicologo di cure palliative) e costruire per tempo una relazione di accompagnamento finale. Auguro ad ognuno di voi, come la mia sposa Manuela, di abbracciare con speranza la vostra VITA! Grazie a tutti.

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Eugenio Bardini


Una storiella di Natale Durante una santa Messa dei passati giorni natalizi ho ascoltato una omelia che mi ha particolarmente colpito. Il sacerdote si rivolgeva ad un pubblico non certo giovane e con il suo fare molto dolce quasi chiedeva il consenso di poter leggere questa storia di Natale che, a suo parere (poi condiviso da molti dei presenti), ci avrebbe aiutato a vivere un po' più profondamente il Mistero del Natale. Guido Purlini aveva 12 anni e frequentava la prima media. Era già stato bocciato due volte. Era un ragazzo grande e goffo, lento di riflessi e di comprendonio, ma benvoluto dai compagni. Sempre servizievole, volonteroso e sorridente, era diventato il protettore naturale dei bambini più piccoli. L'avvenimento più importante della scuola, ogni anno, era la recita natalizia. A Guido sarebbe piaciuto fare il pastore con il flauto, ma la signorina Lombardi gli diede una parte più impegnativa, quella del locandiere, perché comportava poche battute e il fisico di Guido avrebbe dato più forza al suo rifiuto di accogliere Giuseppe e Maria. La sera della rappresentazione c'era un folto pubblico di genitori e parenti. Nessuno viveva la magia della santa notte più di Guido Purlini. E venne il momento dell'entrata in scena di Giuseppe, che avanzò piano verso la porta della locanda sorreggendo teneramente Maria. Giuseppe bussò forte alla porta di legno inserita nello scenario dipinto. Guido il locandiere era là in attesa. "Che cosa volete?" chiese Guido,

aprendo bruscamente la porta. "Cerchiamo un alloggio". "Cercatelo altrove, la locanda è al completo!" La recitazione di Guido era forse un po' statica, ma il suo tono era molto deciso. "Signore, abbiamo chiesto ovunque invano, viaggiamo da molto tempo e siamo stanchi morti". "Non c'è posto per voi in questa locanda" replicò Guido con la faccia burbera. "La prego, buon locandiere, mia moglie Maria, qui, aspetta un bambino e ha bisogno di un luogo per riposare. Sono certo che riuscirete a trovarle un angolino; non ne può più". A questo punto, per la prima volta, il Esperienze di vita

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In ascolto locandiere parve addolcirsi e guardò verso Maria. Seguì una lunga pausa, lunga abbastanza da far serpeggiare un filo d'imbarazzo tra il pubblico. "No! Andate via!" sussurrò il suggeritore da dietro le quinte. "No!" Ripetè Guido automaticamente. " Andate via!". Rattristato, Giuseppe strinse a sé Maria, che gli appoggiò sconsolatamente la testa sulla spalla, e cominciò ad allontanarsi con lei. Invece di chiudere la porta, però, Guido il locandiere rimase sulla soglia con lo sguardo fisso sulla miseranda coppia. Aveva la bocca aperta, la fronte solcata da rughe di preoccupazione, ed i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Tutt'a un tratto, quella recita divenne differente da tutte le altre. " Non andare via Giusepppe" gridò Guido. " Riporta qui Maria". E, con il volto illuminato da un grande sorriso, aggiunse: " potete prendere la mia stanza". Secondo alcuni, quel rimbambito di Guido Purlini aveva mandato a pallino la rappresentazione. Ma per gli altri, per la maggior parte, fu la più natalizia di tutte le rappresentazioni che avessero mai visto. Questo racconto oltre a commuovermi mi ha fatto fare alcune brevi considerazioni. Non sempre la "parte" che vogliamo recitare noi è quella più utile nel disegno del Regista (con la R maiuscola) Dobbiamo vivere intensamente (come Guido nel racconto) l'attesa di poter condividere con gli amici il ruolo

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che ci viene assegnato. Dobbiamo interpretare fino in fondo il nostro compito, ma restare aperti a che cosa il cuore ci suggerisce, sempre, in ogni occasione. Non dobbiamo avere paura di "uscire dal seminato", di farci distrarre dalle critiche che potrebbero (anzi sicuramente) arrivare da qualcuno. Renato Rossi


Quanta strada ancora? Settimana per l'unità dei Cristiani "Voi sarete testimoni di tutto ciò" (Luca 24, 45-49) è il tema scelto per l'anno 2010 per la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, che si è celebrata dal 18 al 25 gennaio scorso. Ritrovandoci insieme per l'appuntamento annuale ci si ripropongono i temi cari e pressanti del dialogo tra le Chiese e comunità cristiane. Sorge di nuovo la domanda: a che punto siamo? Passano gli anni e si possono elencare successi, risultati positivi, frutti persino insperati di convergenza, incontri fraterni, preghiere comuni, ma anche brusche frenate, sospetti, incomprensioni, insofferenze, impazienze. Una cosa è certa comunque: l'appuntamento di gennaio, divenuto un crocevia di cristiani diversi, sta ad indicare che la "via" non è interrotta, che la speranza non è venuta meno e che lo Spirito continua a indicare la meta e a suscitare la spinta verso la piena comunione. Ringraziamo lo Spirito Santo del dono della preghiera che unisce e cambia il cuore degli uomini, anche di quelli che si dicono uomini di Dio, se il loro cuore non è indurito. Ringraziamo per averci fatto capire che la "via" è un processo senza limite prevedibile, e che l'unità è già in atto nel momento in cui si cammina insieme verso il regno di Dio. La direzione del cammino è segnata, perché la Chiesa è guidata infallibilmente dal suo Signore: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei mondo" (Mt. 28,20). Ai cristiani compete di progredire nel processo storico verso il Regno promesso con pazienza, fedeltà, tenacia

e serenità. Il cammino ecumenico, poi, non è fine a se stesso, ma è strettamente collegato al tema della pace e al rapporto con l'Islam. Alla luce di queste due realtà risulta particolarmente "scandalosa" la divisione dei cristiani. Come potranno, infatti, i Cristiani essere credibili testimoni del Vangelo, della pace, della riconciliazione, del perdono se tra loro permangono asprezze incomprensioni e conflitti? Questa, dunque, è l'urgenza per la Chiesa ed è la condizione essenziale della sua presenza nel mondo. Questo è il comando del Signore Gesù: "Fa’ che siano tutti una cosa sola: come tu, Padre, sei in me e io sono in te. Anch'essi siano in noi: così il mondo crederà che tu mi hai mandato" (Gv. 17,21). Ci accompagni in questo cammino la preghiera di Padre David Maria Turoldo:

"Ama, saluta la gente, dona, perdona. Ama e ancora e saluta. Dai la mano, aiuta, comprendi, dimentica e ricorda solo il bene. E del bene degli altri godi e faí godere. Godi del nulla che hai, del poco che basta giorno dopo giorno. Eppure quel poco se necessario dividi. E vai, vai leggero dietro il vento e il sole e canta. Vai di paese in paese e saluta. Saluta tutti, il nero l'olivastro e perfino il bianco. Canta il sogno del mondo: "Che tutti si riconoscano creature di Dio"! Augusto Galliani

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Attualità

Una luce nel buio

In chiusura del Giornale due avvenimenti ci colpiscono come un pugno allo stomaco perché coinvolgono tanti nostri fratelli e anche noi: le violenze di Rosarno e il terremoto di Haiti. Ecco una prima riflessione a caldo. Qui in Occidente abbiamo fortemente ridotto la consapevolezza che, al di qua (cioè prima) delle differenze culturali, religiose, degli usi e costumi, quello che ci unisce a tutti gli esseri umani che vivono e abitano questa terra è la comune umanità. Ci arrabbiamo tutti allo stesso modo, ci intristiamo e amiamo per le medesime ragioni. La forma che prende questa umanità condivisa, nella sua dimensione psicologica e 32

Esperienze di vita

quotidiana è dovuta alle culture e alla stratificazione delle tradizioni. È in questo semplice principio la ragione per la quale la Chiesa ricorda sempre ai propri figli la dignità di ogni essere umano, la necessità di salvaguardarla e rispettarla sempre e comunque. Il Papa nell'ultima Enciclica ha sottolineato la necessità di un mondo più giusto, nel quale non avvenga che ogni trenta secondi un bambino sotto i cinque anni muoia per fame, violenza, guerra, mancanza di farmaci o di acqua. Siamo talmente assuefatti alle immagini di violenza e appagati del nostro benessere che fatichiamo a vedere, dietro le tragedie rappresentate dai media, esseri umani fatti della nostra stessa carne. Ma quando vi sono catastrofi come quella di Haiti o drammi come quelli di Rosarno siamo messi di fronte, drammaticamente, alla verità dell'uomo e dobbiamo decidere dove ci collochiamo, cosa ci unisce all'altro. I nostri fratelli di Haiti visti da vicino, quando arrivano in casa nostra, possono sembrare fastidiosi come i nostri fratelli di Rosarno, come tutti gli immigrati che attraversano le nostre strade. Preghiamo perché il Signore aiuti i nostri politici a costruire vere politiche di inclusione sociale finalizzate alla convivenza delle diversità e ci aiuti a guardare ogni situazione e persona con gli occhi dell'amore, per quella comune umanità con cui Dio ci ha pensati e voluti. La solidarietà che ci viene richiesta deve aiutarci ad aprire gli occhi e a


illuminare alla luce della fede tutti gli angoli bui delle società, a interrogarci sulle nostre responsabilità e a cercare di capire come rendere più giusto questo mondo a partire da quel pezzettino di realtà in cui ognuno di noi è posto. Le morti di Haiti sono pezzi della nostra carne che viene strappata, a maggior ragione se pensiamo alla povertà di quel Paese: si apprende che l'ottanta per cento degli haitiani vive (viveva) con meno di un dollaro al

giorno. Che il novanta per cento abita (abitava) in baracche senza acqua potabile né elettricità. Che l'aspettativa di vita è (era) di 50 anni. Che un bambino su tre non raggiunge (raggiungeva) i 5 anni. E che, degli altri due, uno ha (aveva) la certezza pressoché assoluta di essere venduto come schiavo. Sandro Venturoli

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in redazione: Donatella Bergamini, Adriana Bertoni, Giorgio Casiraghi, Paolo Cattaneo, Rosanna Ceccattoni, Adriana Bertoni, Vilma Cazzulani, Antonio Ficara, Angela Gironi, Renato Rossi Progetto grafico: Francesca Ficara Impaginazione: Paolo Cattaneo, Antonio Ficara Redazione: via San Pietro 20 - 20033 Desio


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