EDV Periodico della Comunità il Piccolo Gruppo di Cristo | n°. 167 - anno XXXVII | Dicembre 2015
esperienze di vita
BEATI I MISERICORDIOSI
Quando l’Amore si fa presenza
Imparare a guardare la povertà e la miseria da una prospettiva diversa.
Dialoghi di bene con chi cerca di vivere con uno sguardo di misericordia.
L’esperienza del Cenacolo Evangelico, un’occasione per crescere insieme nella fede.
Pensiero SpirItuale
FOTO TWEET
Benedetto XVI, I domenica di Avvento Omelia, 27 novembre 2010 Proprio il mistero grande e affascinante del Dio con noi, anzi del Dio che si fa uno di noi, è quanto celebreremo nelle prossime settimane camminando verso il santo Natale. Durante il tempo di Avvento sentiremo la Chiesa che ci prende per mano e, ad immagine di Maria Santissima, esprime la sua maternità facendoci sperimentare l’attesa gioiosa della venuta del Signore, che tutti ci abbraccia nel suo amore che salva e consola. Dio ci ama in modo profondo, totale, senza distinzioni; ci chiama all’amicizia con Lui; ci rende partecipi di una realtà al di sopra di ogni immaginazione e di ogni pensiero e parola: la sua stessa vita divina.
L’enorme possibilità di accesso a risorse condivise e soprattutto l’impressione di un’altrettanto grande opportunità di incontro e di contatto con una quantità di persone che il mio ordinario quotidiano mai avrebbe potuto garantirmi. Queste sono state le primissime ragioni che mi hanno spinto nel mondo 2.0.
“Il Giubileo della Misericordia ci ricorda che Dio ci aspetta a braccia aperte, come fa il padre con il figlio prodigo.”
www.iubilaeummisericordiae.va
Nuovo sito piccologruppo.it In queste settimane (entro la fine dell’anno) sarà rilasciata la nuova versione del sito della Comunità del
Piccolo
Gruppo
di
Cristo
all’indirizzo www.piccologruppo.it . Sarà l’occasione per rendere visibile la nostra presenza anche sugli strumenti digitali e accorciare le distanze verso chi desidera entrare in contatto con la nostra realtà.
inrete Sul sagrato digitale: il web come luogo di interdipendenza e gratuità
Per chi, come me (don Cristiano Mauri), vive il proprio ministero in quella parrocchia di provincia in cui spesso gli orizzonti di pensiero non hanno un grande respiro e in cui il “giro” delle persone rischia di essere sempre e solo lo stesso, la possibilità di allargare lo sguardo non può che esercitare un invincibile fascino. Dal 2011 a oggi, prima con Facebook, poi con Twitter, poi con un blog dal titolo «La Bottega del Vasaio» ho cominciato ad abitare il mondo 2.0 trovando effettivamente ciò che speravo. Una ricchissima esperienza di ascolto di punti di vista radicalmente opposti al mio. Fonte: firenze2015.it
redazione EDV
info PGC
Giancarlo Bassanini Rosalba Beatrice Paolo Cattaneo Giorgia Evangelisti Letizia Pasqualotto Vilma Cazzulani Donatella Zurlo Andrea Giustiniani
Il Piccolo Gruppo di Cristo
PROGETTO GRAFICO Paolo Cattaneo
Via San Pietro, 20 20832 Desio, MB www.piccologruppo.it
SEGRETERIA segreteria@piccologruppo.it segreteria.pgc (+39) 0362 621651
Sommario EdV • Dicembre 2015
In questo numero approfondiremo il tema della misericordia in vista dell’anno Giubilare indetto dal Santo Padre. Riflettere su questa beatitudine ci permetterà ci assaporare gli aspetti della vita quotidiana con uno sguardo diverso, lo sguardo di Gesù. Il modo migliore per prepararci al prossimo Santo Natale.
EDITORIALE
IN COMUNITà
Siate misericordiosi come il Padre vostro
Come realizzare la sua volontà. La festa dell’Eremo
Giancarlo Bassanini
Benito Di Foggia
pag.4
pag.19
Angela Salvioni e Cristian Fardello ATTUALITà
Accogliere Dio rende liberi Elisabetta Fumagalli
pag.6
Essere portatori di bene Ivo Di Gateano
pag.8 CHIESA NEL MONDO
La Chiesa si interroga e guarda avanti Luigi Crimella
pag.10 IL VOLTO DEI SANTI
Come un’ombra non lascia traccia di sè Rosalba Beatrice
pag.14 GOZO 2017
Impegnarsi a fare la volontà del Padre Mons. Mario Grech
pag.16
pag.19
Ilaria Beneventi
pag.20
Chiamati alla piccolezza Francesco Pio Attard
pag.24
Guardare al futuro con fiducia nel Signore Antonio Caselli
pag.25
Camminare insieme nella fede Giulio Pedrotti e Lisa Sacchi
pag.26 LA BUSSOLA
Treviso, Tempio monumentale di S.Nicolò Andrea Giustiniani
pag.28 L’ANGOLO DEI LIBRI
Una lettura per tutti i gusti
Vilma Cazzulani e Donatella Zurlo
pag.30
EDITORIALE
imparare a guardare la miseria e la povertà da una prospettiva diversa “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”: con queste parole Papa Francesco inizia la Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia che si è aperto lo scorso 8 dicembre, solennità della Immacolata Concezione di Maria, e che andrà a caratterizzare il cammino della Chiesa nel nuovo anno pastorale appena iniziato. L’annuncio dell’amore senza misura che Dio ci ha offerto e testimoniato nel Figlio fatto uomo e morto sulla croce per noi, è il cuore pulsante del Vangelo che siamo chiamati tutti a riannunciare con la convinzione che esso potrà salvare anche l’uomo contemporaneo, dalle sue paure, dai suoi egoismi, dalla sua avidità e dall’idolatria. Siamo invitati anche noi ad abbeverarci con abbondanza alla sorgente della vita per guarire dalla stanchezza, dall’apatia e dalla delusione che rendono sempre più insensibile, indifferente, duro il nostro cuore. Solo così potremo anche noi diventare misericordiosi come il Padre che è nei cieli.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro di Giancarlo Bassanini [responsabile generale]
4
BEATI I MISERICORDIOSI
In sempre più occasioni sperimentiamo come oggi sembra non ci sia più spazio per la Misericordia. A volte ci pare addirittura contraria alla giustizia. In realtà è solo in essa che la giustizia si compie, perché la giustizia a cui noi miriamo non è quella commisurata alle ristrettezze del cuore e della mente dell’uomo, ma al dono di Dio. Come gli scribi e i farisei possiamo talvolta anche noi rimanere scandalizzati dalla generosità che Dio dimostra verso chi non se la merita, ma è necessario accettare e forse poi anche comprendere il senso di un amore così grande ed incondizionato. La parola “Misericordia” mette insieme la miseria e il cuore.
Vuol dire imparare a guardare la miseria e la povertà nostra e altrui da una prospettiva diversa, quella che oggi chiameremmo “empatica”, quella cioè che viene dal profondo del cuore. La miseria non verrà in questo modo negata, giudicata, esibita, rifiutata; essa verrà posta accanto, dentro il cuore, affinché possa essere compresa, perdonata, guarita e infine redenta. Solo l’amore infatti ci può liberare dal male. La misericordia non è buonismo, non è un’idea, un vago sentimento dal sapore dolciastro. Niente della nostra fede galleggia a mezz’aria senza trovare quella concretezza necessaria in cui esprimersi e realizzarsi. La carità non si dice, ma si fa. Da qui la tradizione spirituale che vede nelle sette opere di misericordia corporale e spirituale la via per praticare l’amore che sa comprendere la miseria dell’uomo e contribuisce al suo riscatto. Scrive il Papa nella Bolla “Misericordiae Vultus” : “È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare
pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Non possiamo sfuggire alle parole del Signore: e in base ad esse saremo giudicati: se avremo dato da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete. Se avremo accolto il forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tempo per stare con chi è malato e prigioniero (Mt. 25,31-45). Ugualmente ci sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto pazienza sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle. In ognuno di questi “più piccoli” è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga...per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura. Non dimentichiamo le parole di San Giovanni della croce: “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”(M.V. n.15). Riflettiamo, sorelle e fratelli, a livello personale e nei nuclei estivi, su questi temi, per riscoprire il senso e il valore di una carità e di una misericordia sollecita, fattiva, praticabile, sempre è ovvio, con l’aiuto indispensabile che può venirci solo da Dio. Maria, madre della misericordia, ci apra la porta del giardino celeste nel quale si entra solo per l’infinita misericordia di Dio. BEATI I MISERICORDIOSI
Giubileo, la preghiera di papa Francesco Signore Gesù Cristo, tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste, e ci hai detto che chi vede te vede Lui. Mostraci il tuo volto e saremo salvi. Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro; l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura; fece piangere Pietro dopo il tradimento, e assicurò il Paradiso al ladrone pentito. Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio! Tu sei il volto visibile del Padre invisibile, del Dio che manifesta la sua onnipotenza soprattutto con il perdono e la misericordia: fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, suo Signore, risorto e nella gloria. Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza per sentire giusta compassione per quelli che sono nel l’ignoranza e nell’errore; fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio. Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore e la sua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri il lieto messaggio, proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà e ai ciechi restituire la vista. Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia a teche vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen
5
ATTUALITà
dialogo a cuore aperto con una giovane aspirante del piccolo gruppo “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” è il motto della Gmg ed il Papa esorta i giovani a comprendere che l’amore di Dio per il suo popolo è un amore capace di “fare spazio all’altro dentro di sé, di sentire, patire, gioire con il prossimo”, un amore “fedele, che perdona sempre”. Come figlia, giovane studentessa universitaria, aspirante, riesci a percepire la presenza di questo amore in famiglia, con le tue sorelle, con i tuoi amici? Riscontro questa misericordia in tutte le relazioni autentiche che vivo. Durante lo scorso ritiro a Desio don Diego ci ha detto che “la concretizzazione della misericordia è l’accoglienza”, e l’accoglienza è proprio questo fare spazio dentro di sé all’altro con tutto quello che l’altro è, e cioè con le sue piccolezze, le sue difficoltà, i suoi limiti. Il primo luogo in cui ci è chiesto di vivere un amore così vero, scarno di ogni romanticismo ma chiamato a scontrarsi con la quotidianità e tutte le fatiche che essa comporta, è la famiglia. Mi rendo conto che in assoluto è il luogo più difficile in cui esercitare questa “misericordia”: quante povertà dobbiamo avere a cuore in famiglia. A casa affido ai miei genitori e alle mie sorelle davvero tutto ciò che sono: i miei entusiasmi, le mie passioni, i miei slanci d’altruismo verso gli altri, ma anche tutti i miei momenti-no, le mie arrabbiature, le mie delusioni ed è proprio qui che chi mi sta accanto, quando sa capire la mia stanchezza, quando sa abbracciarmi nonostante le mie sfuriate, quando sa sorridermi e incoraggiarmi nonostante il mio essere scontrosa, mi fa vivere la misericordia, che è una carezza all’anima, che mi dà il coraggio di ripartire nonostante un brutto momento… La stessa cosa vale con i miei amici.
6
Accogliere Dio rende liberi di Elisabetta Fumagalli
Con questa nuova, fantastica, esperienza all’università sto conoscendo un sacco di belle persone, e più “mi metto a nudo” nella relazione con loro, più mi svuoto di me stessa per lasciare che loro entrino nella mia vita, più la relazione si fa vera: ciascuno depone ogni maschera e con umiltà si consegna all’altro per quello che è, sapendo che ogni limite, se accolto, può essere anche occasione di crescita. Nell’ultimo anno ci sono stati incontri, occasioni in cui hai potuto “incontrare il Suo abbraccio misericordioso” ? Assolutamente sì, e sono stati davvero tanti che a elencarli tutti non finirei più. Senz’altro il primo luogo dove ho respirato a fondo in questo abbraccio misericordioso è stata la Settimana di Comunità a Villabassa: stare coi BEATI I MISERICORDIOSI
fratelli e le sorelle del Piccolo Gruppo mi spalanca sempre il cuore, perché mi insegna ogni volta la bellezza di mettersi gli uni nelle mani degli altri, affidando anche le proprie povertà e fragilità. Ma vorrei condividere qui con voi un momento più ordinario rispetto alla Settimana, che mi ha insegnato che questa misericordia è davvero una cosa di tutti i giorni. Nelle due settimane di studio “matto e disperatissimo” che hanno separato la fine della scuola dall’inizio degli scritti di maturità, per studiare più proficuamente che a casa, sono stata ospite di Letizia e Alberto, che mi hanno accolta tra loro, facendomi spazio come se fossi una figlia. Sempre don Diego, prendendo la tavola come luogo esemplare in cui praticare la misericordia, ci ricordava che
essa è un luogo di rivelazione, in cui scopriamo chi siamo, e che è anche il luogo della più alta comunione. È stato proprio vivendo quelle giornate così intense (chi si dimentica i giorni della maturità!), raccogliendo le fatiche, le cose belle, gli incontri di quella giornata, e mettendo poi tutto sul tavolo la sera a cena, condividendo ciò che di bello anche quel giorno il Signore ci aveva donato, che mi sono sentita accolta, amata dal Signore. È in queste cose così concrete che vivo la dimensione altissima della fratellanza che ci insegna Gesù. Misericordia è scomodarsi, compromettere la propria routine, le proprie comodità, i propri schemi per lasciare spazio all’altro nella nostra vita. L’esempio che ho appena portato può sembrare banale, ma non lo è affatto: aprire la nostra casa a un’ altra persona, lasciare che la nostra vita sia trasformata dalla presenza di un altro non è così immediato da desiderare, soprattutto se si pensa che non ho fatto due-tre giorni di vacanza da loro, ma sono stata lì ben due settimane, durante le quali ognuno di noi ha dovuto vivere la propria realtà: Alberto e Mattia il loro lavoro, io lo studio, Leti i suoi mille impegni di nonna baby-sitter, catechista, amica di persone che a volte vivono delle difficoltà... E proprio a motivo di questo vorrei portare un esempio che mi ha insegnato molto. Sempre durante quei giorni, un pomeriggio, in casa Cattaneo, ha trovato accoglienza Anna, una ragazza autistica, figlia di loro amici. Gestirla un intero pomeriggio significava non avere nemmeno il tempo di andare in bagno, rinunciare a qualsiasi impegno, lavoro che si doveva portare avanti, significava insomma sacrificare mezza giornata. Eppure è stata accolta in maniera davvero significativa. Non è stata ricevuta con commiserazione, come se Letizia volesse fare l’elemosina ai suoi genitori “buttando via” un pomeriggio così, quasi con compassione, no… non è questa
l’accoglienza che ci chiede il Signore. Ma è stato fatto con semplicità, come se fosse uno dei tanti normalissimi e sorprendenti impegni di quella giornata, come se fosse un dono di quella quotidianità, come può esserlo delle volte un tramonto, o una bella giornata di scuola, un incontro fuori da chiesa dopo la messa. È proprio tra i riverberi del nostro quotidiano, che giorno dopo giorno dobbiamo accogliere ogni occasione che il Signore ci offre per concretizzare quella misericordia di cui Lui è maestro. La misericordia – mette in guardia il Pontefice – non si riceve soltanto, si mette anche in pratica. Anzi: “Saremo veramente beati e felici soltanto se entreremo nella logica divina del dono, dell’amore gratuito, se scopriremo che Dio ci ha amati infinitamente per renderci capaci di amare come Lui, senza misura”. Come diventare, allora, strumenti di misericordia verso il prossimo, ricordando che “la misericordia non è ‘buonismo’? La misericordia è una sfida grande! Significa guardare l’altro con lo sguardo di Dio, e cioè con uno sguardo che fino all’ultimo secondo della vita di un uomo sa vedere il suo lato bello, fecondo, “divino”, nonostante il peccato. Se io guardassi gli altri un po’ più spesso con questo sguardo sono certa che darei modo a un sacco di relazioni di fiorire al meglio. Lo vedo per esempio coi diciannove ragazzi cui faccio catechismo e i loro genitori. Non è semplice fare catechismo oggi, quando spesso è subordinato a qualsiasi altra attività; però in questi cinque anni di cammino con loro è stato proprio quando, anziché criticare o giudicare, ho avuto misericordia che ho raccolto anche molto più di quanto avevo seminato. Penso che la misericordia debba essere una testimonianza autentica dell’amore di noi cristiani che non siamo chiamati a giudicare proprio nessuno ma solo ad amare. BEATI I MISERICORDIOSI
Quali azioni concrete o gesti hanno bisogno oggi i giovani come te per sentire “la fiamma dell’amore misericordioso di Cristo” nella lorovita quotidiana? Noi giovani, come tutti gli uomini, cerchiamo due cose nella vita: la Verità e l’Amore e abbiamo bisogno di testimoni autentici di queste due dimensioni. Siamo sempre alla ricerca di persone capaci di indicarci la strada più bella e più profonda da seguire, non quella più facile. Necessitiamo di persone che con la loro vita, senza troppe parole, ci dimostrino che non c’è nulla di più grandioso che fondare la propria esistenza sull’Amore. Abbiamo bisogno di modelli felici, ma felici sul serio, che nonostante le difficoltà del nostro tempo, ci insegnino sempre a tenere lo sguardo alto. Io ho cercato queste figure di riferimento nelle realtà a me più vicine e quindi nella mia scuola, nella mia parrocchia, nel Piccolo Gruppo, e se sono qui evidentemente è perché in comunità ho trovato dei grandi esempi! Penso che gran parte di ciò che sono oggi lo devo in particolare a una mia carissima insegnante, oggi mia amica, che quando ero alle medie, per tre anni mi ha fatto sentire la fiamma dell’amore misericordioso di Cristo, e attraverso la letteratura mi ha trasmesso il desiderio grande di voler conoscere e incontrare Dio. Ha saputo raccogliere questo mio desiderio, ha saputo coltivarlo e ha fatto sì che potessi scoprire quella vocazione che Dio ha seminato in me, e che oggi è alla base di ogni mia scelta e desiderio: quella cioè di fare l’insegnante. In lei ho trovato un paradigma di vita davvero esemplare, come prof, madre, catechista, che ha permesso che nella mia esistenza nascessero piccoli-grandi miracoli, ed è proprio a partire dal bene immenso che mi ha voluto che ho potuto desiderare di voler trasmettere anche io, un domani, a dei ragazzi la stessa passione per la vita.
7
ATTUALITà
la misericordia. La concretezza di un amore che è fedele, gratuito e sa perdonare
Essere portatori di bene di Ivo Di Gateano
8
BEATI I MISERICORDIOSI
La beatitudine della Misericordia, quanto spesso citata nelle omelie e nei discorsi di Papa Francesco, è frutto ed immagine della bontà di Dio Padre, di Gesù Figlio Salvatore e dello Spirito Santo Amore. Vivere la beatitudine è dunque fare di tutta la nostra vita un atto di bontà verso ogni creatura, tenendo bene in mente che solo Dio è buono. La Misericordia di Dio è molto concreta, innanzitutto crea l’universo e gli da vita. Questa è già una indicazione sul come vivere la beatitudine: una famiglia che accetta di sacrificarsi nel crescere ed educare cristianamente i propri figli, con amore ed abnegazione, spesso senza sentirsi dire grazie; i coniugi che restano fedeli quando la vita si fa difficile, che si sentono incompresi dall’altro, ma continuano ad amarlo, che litigano, ma la sera si perdonano; chi si prende cura con uguale amore dell’anziano familiare o del giovane che ha bisogno di consigli e di esempi, con la grazia del Signore generano vita perché l’amore crea altro amore. L’amore che nasce nelle nostre famiglie e che continuamente si rigenera, le rende aperte, accoglienti, luoghi di fratellanza e di incontro. Per essere beati il dono di sé deve essere fedele e non occasionale, vuol dire vivere con passione ogni momento della giornata in casa, al lavoro, per le strade delle nostre città. La fedeltà ha a che fare con l’amministrazione di qualcosa; forse, semplicemente, il dono di Dio che dobbiamo amministrare fedelmente è proprio la capacità di amare, gratuitamente, anche i nostri nemici. Dio è stato Misericordioso con noi quando si è incarnato e ci ha rivelato il volto del Padre. In Cristo siamo tutti fratelli ed eredi, non per merito, ma per dono gratuito. Chi ha un fratello desidera che non gli manchi
niente, che abbia una vita bella e gioiosa, che si realizzi pienamente a seconda delle sue inclinazioni e potenzialità e, se può aiutarlo, in questo non si aspetta elogi o gratitudine, ma lo fa per amore. La beatitudine sta nel guardare brillare i suoi occhi di gioia. Il desiderio bello di Dio di vederci vivere insieme in pace, come fratelli, deve essere anche il nostro sogno.
“La Misericordia di Dio è molto concreta, innanzitutto crea l’universo e gli da vita.”
La gratuità ha a che fare con la povertà e l’umiltà. Un proverbio arabo dice che la corona del buonumore è l’umiltà. Pensavo in questi giorni al passo del vangelo in cui la vedova getta due spiccioli nel tesoro, dona tutto quello che ha, non la immagino triste ed impaurita, perché non ha più niente, ma piuttosto con un gran sorriso perché è consapevole che ha appena costretto Dio a guardare la sua miseria ed a prendersi cura di lei. Non sa come Dio si prenderà cura di lei, ma i doni inaspettati non sono forse i più belli? Dio, poi, è stato misericordioso con noi quando ci ha redenti, quando, per il peccato, ci siamo allontanati da Lui ed abbiamo rischiato di morire. Se la vita è amore generativo e dono di sé, allora oggi il rischio di stare “nelle tenebre e nell’ombra della morte” è quanto di più attuale. La diffidenza ed il giudizio dell’altro, basta guardare i commenti pieni di odio sui social network ed i condomini blindati fino ad arrivare alle famiglie a tavola con televisione BEATI I MISERICORDIOSI
accesa e telefonini in mano. “È un mondo lacerato e diviso, servono gesti di Misericordia” dice il Papa. Il perdonare credo sia uno di quei gesti che scuote le coscienze, per perdonare bisogna amare. Abbiamo visto in questi giorni tra le tante reazioni di odio ai terribili fatti di Parigi anche mariti che hanno scritto “non avrete il mio odio”, genitori che hanno voluto condividere il lutto con fratelli della religione accusata delle stragi, ragazzi adolescenti che hanno perso amici dire che i terroristi non sono per forza cattivi ma solo deboli e facili prede del male. L’unico baluardo che abbiamo contro il male e la cattiveria è l’amore. Uno dei sacerdoti della mia parrocchia è della Costa d’Avorio, la sua regione era al 99% musulmana e non c’era possibilità di abbracciare altre fedi, i suoi stessi genitori sono stati uccisi per difenderlo quando lui si è convertito al cristianesimo. Quando racconta queste cose non c’è il benché minimo risentimento, come lui tanti altri nel suo paese non hanno risposto alla violenza con la violenza, ma hanno pregato, hanno continuato a partecipare ai sacramenti, hanno perdonato. Il seme che muore porta molto frutto: oggi, ci diceva, in molte famiglie c’è almeno un cristiano e la convivenza è molto migliorata. Tutto ciò mi interpella profondamente, se Dio è con me chi sarà contro di me. Quella persona irritante d’un tratto mi sembra solo che richieda più attenzione e condivisione. Provo ad aiutare più attivamente il capo, non ne avrò io beneficio ma il clima penso sarà più sereno. Il solito furbetto che supera la fila e si infila davanti a tutti, forse avrà fretta per qualcosa, lo lascio passare e sorrido. Torno a casa beato, per così poco! Grazie Signore.
9
CHIESA NEL MONDO
Sinodo sulla famiglia e convegno ecclesiale di Firenze: Due eventi di grande rilievo
La Chiesa si interroga e guarda avanti di Luigi Crimella
“Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”: sono parole di Papa Francesco, rivolte il 10 novembre scorso nella cattedrale di Firenze ai duemila delegati del 5° Convegno ecclesiale nazionale sul tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Invitato ad aprire i lavori, che erano stati inaugurati la sera prima, Papa Francesco ha rivolto ai presenti, ma con essi a tutti i cattolici del nostro paese, l’augurio di animare la comunità cattolica italiana confermando quello che la nostra Chiesa nazionale è sempre stata, pur tra gli alti e i bassi della sua storia bimillennaria: “una Chiesa adulta – ha detto – antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti. Perciò – ha sottolineato – siate creativi nell’esprimere quel genio che
10
i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese”. Il Papa, quindi, vuole bene all’Italia, di cui è figlio venuto da lontano, ma chiede anche a tutti i credenti di porsi in movimento. Lo ha fatto con una indicazione precisa: quella di avviare “in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in modo sinodale un approfondimento della ‘Evangelii gaudium’, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni. Sono sicuro – ha aggiunto – della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio”. Inclusione dei poveri e dialogo sociale - Dal convegno decennale di Firenze (l’ultimo, dieci anni prima era stato a Verona) viene per ciascun credente lo stimolo a raccordare la proBEATI I MISERICORDIOSI
pria mente, il proprio cuore e anche la propria azione di servizio (qualunque essa sia e dovunque si esplichi) nella direzione che il Papa ha tracciato con la “Evangelii gaudium”. Sappiamo cosa sta particolarmente a cuore a Papa Francesco: “l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel Paese, cercando il bene comune”. Qualcuno giudica questa visione del pontefice un po’ “ristretta”, in quanto sembra concentrarsi su una categoria – quella dei “poveri” – che non rappresenta tutta la Chiesa e nemmeno tutta la società. Secondo i sociologi e gli studiosi i poveri sono un dieci per cento circa della popolazione. Sui 60 milioni di abitanti del nostro paese, si tratta di circa 6 milioni di persone, famiglie spesso con bambini e un solo stipendio, oppure famiglie con più figli e magari due o più entrate ma piccole e quindi insufficienti ad assicurare il minimo vitale. Per loro è previsto
un apparato di sostegni pubblici, il cosiddetto welfare state, che benchè ridotto in questi ultimi anni continua a rappresentare una forma di redistribuzione abbastanza capillare e attenta. Detto questo, che riguarda la sfera civile e politica, Papa Francesco ci sprona nella direzione dei “poveri” perché afferma categoricamente che “l’opzione per i poveri è una ‘forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa’ (citazione di Giovanni Paolo II nella ‘Sollicitudo rei socialis’, n. 42”). E il suo appello non va semplicemente nella direzione dell’aiuto materiale, di cibo, bevande, vestiti, ma si spinge a qualcosa di più esigente e forse difficile: l’accoglienza vera, la vicinanza cordiale, il “lasciarsi educare dai poveri”, come ha ripetutamente detto in vari discorsi. Questa è la sfida lanciata dal Papa alla Chiesa italiana a Firenze. Sinodo e popolo le due parole-chiave - Il Papa nel suo discorso fiorentino ha poi sottolineato un altro aspetto molto importante, che chiama in causa di nuovo tutte le persone e tutte le realtà ecclesiali, variamente connotate (quindi anche il Piccolo Gruppo). Ha infatti spinto la sua riflessione sull’importanza per la società italiana del “dialogo tra le sue diverse ricchezze culturali”, parlando di un “dialogo costruttivo” tra le varie componenti: popolare, accademica, giovanile, artistica, tecnologica, economica, politica, dei mass media. Il messaggio che ha lanciato è sia “di sostanza”, sia “di metodo”: vuole cioè che la Chiesa tutta impari ad “essere fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto – ha aggiunto – anche le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo avere paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia”.
Questo vuole il Papa da noi e noi, sia come singoli sia come realtà aggregativa, siamo chiamati a una filiale obbedienza, che poi significa entrare nella mente e nel pensiero di Papa Francesco per assumerne le movenze e gli slanci affettivi e spirituali che lo caratterizzano. In questo caso lo stile di azione della Chiesa tutta è proposto come “sinodale”, cioè di una sostanziale convergenza delle diverse componenti verso un percorso e una visione comune, che superi e trascenda gli aspetti particolari che possono essere la storia, la cultura e tradizione locale, oppure le tipicità carismatiche o associative. La dimensione sinodale assorbe tutte queste componenti e ne fa emergere quell’aspetto di percorso popolare che tanto piace al Papa e sul quale da subito ha concentrato l’attenzione, sin dal momento della sua elezione al soglio pontificio. Se ci ricordiamo, dall’alto della balaustra in San Pietro davanti alla piazza gremita di fedeli si è come “inchinato” a Dio e anche al “popolo di Dio” lì convenuto, chiedendo che questo stesso popolo invocasse la benedizione divina sul nuovo pontefice. Sinodo e popolo sono quindi le due parole-chiave da tenere presenti quando guardiamo al pontificato di Francesco e al suo stile pastorale. La “comunione ai divorziati” - E ora eccoci a riflettere brevemente sull’altro grande capitolo della più recente storia della Chiesa: quello del Sinodo sulla famiglia che è stato celebrato, nella sua seconda fase ordinaria, nell’ottobre 2015 in Vaticano. Le attese, le polemiche, i dibattiti teologici e giuridico-pastorali sono stati fortissimi, sin dalla prima fase – quella ‘straordinaria’ – dell’autunno 2014. In gioco sembrava l’intero apparato della dottrina teologico-spirituale e della prassi pastorale legata al matrimonio, alla sua concezione di sacramento istituito direttamente da Gesù. I punti salienti della tensione BEATI I MISERICORDIOSI
che ha traversato il mondo cattolico più o meno in tutti i continenti, nelle università e diocesi, così come nelle parrocchie e associazioni e poi dentro i giornali e i dibattiti, è stato il famoso tema della “comunione ai divorziati e risposati” (civilmente). Chiaramente questo non è stato l’unico argomento affrontato per tre settimane dai “padri sinodali” convenuti da ogni parte del mondo, in gran maggioranza vescovi ma anche religiosi, teologi e alcuni laici e coppie di sposi in veste di uditori. Anzi, l’intera concezione e struttura del matrimonio sacramentale così come la Chiesa lo propone da due mila anni è stata rivisitata, alla luce dei grandi e anche sconvolgenti cambiamenti sociali e demografici in atto. Perché il punto è proprio questo: finché l’umanità ha vissuto entro confini più o meno “chiusi”, in contesti nazionali o continentali alquanto omogenei, il matrimonio tipico di ciascun ambiente è stato semmai raggiunto dall’annuncio evangelico e l’inculturazione del Vangelo ha prodotto una sostanziale visione unitaria delle nozze cristiane. Negli ultimi decenni, complice l’aumento demografico senza precedenti (siamo a 7 miliardi di uomini e nel giro di pochi anni arriveremo a 10, mentre nel 2050 i demografi pronosticano i 15 miliardi), e complice anche la “globalizzazione”, stanno saltando gli antichi e secolari equilibri sociali e culturali. Col risultato che anche la Chiesa nel suo insieme, e le Chiese nazionali ciascuna per la sua parte e con la sua cultura fanno fatica a star dietro ai grandi spostamenti di masse umane che sono in corso. Risultato è che la “civiltà cristiana” risulta più debole e indistinta, persino nei paesi dove è stata per secoli forte e autorevole. E a risentirne per prima è la famiglia, con le sue concezioni di base, che vengono prese d’assalto da parte di tendenze destrutturanti di vasto respiro. Le quattro opzioni per le giova-
11
ni coppie oggi - Ecco quindi che il melting pot culturale, etnico e linguistico, insieme all’indebolimento delle categorie di fondo sulle quali si è sempre retto l’annuncio cristiano, ha prodotto lacerazioni profonde soprattutto nelle giovani generazioni. La castità pre-matrimoniale sembra essere uno sbiadito ricordo, se non per esigue minoranze di giovani convinti. Le libere convivenze sono ormai molto diffuse, si parla del 30-40 per cento delle giovani coppie in circolazione. Il matrimonio religioso mantiene – almeno da noi – una certa prevalenza, ma il suo fascino sfuma. Fa fatica anche ad imporsi il matrimonio civile, preso tra due fuochi: da un lato il “senso” sacro che costituisce ancora il richiamo per chi si sposa in chiesa e dall’altro la “libertà” di chi sceglie la convivenza, che mette al riparo da tutti i doveri previsti in caso di separazione anche per i coniugi sposati civilmente. Insomma, i giovani di oggi si trovano di fronte non a due opzioni (chiesa o comune) ma – si dice - addirittura a quattro: matrimonio in chiesa, nozze civili in comune, convivenza e single; quest’ultima scelta nel senso che si vive tendenzialmente da soli (o si rimane in famiglia fino a 3540 anni) permettendosi brevi periodi di vita di coppia o “scappatelle” nel week-end, secondo la disponibilità di un/una partner più o meno di riferimento. Ma senza legami stabili, senza responsabilità, e di norma respingendo piuttosto categoricamente l’idea di un figlio. La caduta del senso del peccato - Il Sinodo sulla famiglia ha dovuto prendere atto che, soprattutto da parte dei paesi del nord Europa più secolarizzati, appare sempre più difficile accettare l’idea di “peccato” riferita a comportamenti sessuali pre-matrimoniali; o riferita anche alla convivenza; o al “controllo delle nascite” per l’uso di contraccettivi che la Chiesa ha sempre considerato
12
non accettabili. Qualche realtà nazionale più “avanti” di altre su questo percorso di laicizzazione dell’idea di matrimonio e legame, ha parlato addirittura di inappropriatezza del matrimonio cristiano come “disposizione originaria di Dio”, sostenendo che anche altri tipi di unione rientrano nel piano di Dio sugli uomini (comprese quelle gay). In tal senso si sono espressi con diverse varianti in Belgio, Svizzera, Austria, Germania e altri paesi – con accenti diversi ma sostanzialmente mettendo in dubbio l’impianto generale della visione cristiana del matrimonio che si trova nel “Catechismo della Chiesa Cattolica”. Altre realtà nazionali, come ad esempio la Chiesa polacca, quelle africane, diverse chiese asiatiche minoritarie ma molto convinte sui valori tradizionali, e in parte anche alcune Chiese europee seppure con forti distinguo tra i vescovi, hanno ribadito la sostanziale bontà dei valori tradizionali sul matrimonio, sulla sua indissolubilità, sull’apertura alla vita, sulla nonammissibilità dei coniugi separati civilmente alla comunione eucaristica. E la “Relazione finale del Sinodo” offerta al Papa al termine dei lavori (24 ottobre 2015) mostra proprio questa realtà complessa e articolata, con cui la Chiesa oggi guarda al matrimonio. Cosa deciderà il Papa - Sui punti salienti dell’apertura ai risposati e alle coppie gay, apparentemente non è cambiato nulla in tale documento rispetto agli insegnamenti precedenti. Ma il Sinodo ha comunque messo nero su bianco che occorre guardare alle “situazioni complesse” di oggi (cap. III, n. 69 in avanti) tenendo conto della situazione odierna che è quanto mai articolata e anche culturalmente delicata e in evoluzione. Parole come “misericordia” e “accoglienza”, insieme ad “accompagnamento” costituiscono la chiave interpretativa di questa disposizione che il Sinodo ha dato nel documenBEATI I MISERICORDIOSI
to conclusivo: cioè di “integrare nelle comunità cristiane” tutti coloro che vivono situazioni difficili, in quanto “appartengono al Corpo di Cristo”. Cosa voglia dire poi concretamente rispetto al desiderio che molti divorziati risposati civilmente esprimono di poter ricevere la comunione eucaristica e non “accontentarsi” di quella spirituale sin qui proposta, è tutto da vedere. Sarà il Papa in ultima analisi a fare sintesi dei lavori del Sinodo. C’è chi teme che una eccessiva apertura, concedendo la possibilità di comunicarsi, anche dopo un periodo di riflessione e pentimento, voglia dire distruggere in radice il valore supremo della indissolubilità. Chi ragiona così argomenta che o il matrimonio sacramentale è indissolubile oppure se si autorizzasse la comunione a persone che vivono in condizione di pubblico adulterio permanente, di fatto si annullerebbe il comandamento di Gesù di “non separare ciò che Dio ha unito” e anche di profanare la vera unione benedetta da Dio che è quella sacramentale che è stata spezzata. Altri ritengono che il Papa possa agire sul piano normativo, così come ha già fatto con il recente Motu proprio sulle procedure per concedere l’annullamento del matrimonio, demandando ai singoli vescovi l’autorità di decidere circa i singoli casi. Staremo a vedere. La cosa certa è che il grande significato del sacramento del matrimonio è stato confermato: e tale significato – come sappiamo – rimanda l’uomo e la donna che davanti a Dio stipulano il “patto nuziale” a manifestare con la loro vita, con la loro unione nella carne e nello spirito, quell’amore che unisce Cristo alla sua Chiesa, cioè Dio all’umanità. Gli sposi dovrebbero essere consapevoli della grande dignità che posseggono manifestando visibilmente questa Alleanza e proponendola “finchè morte non li separi” come una prova che l’amore è più forte della morte.
Lo scrittore D’Avenia: la responsabilità di offrire risposte di senso da Avvenire, 11 novembre 2015 Educare fa rima con pregare. Per Alessandro D’Avenia, professore di lettere e scrittore di successo, «la via dell’educare dipende da quanto preghiamo, dal tempo che passiamo davanti al Signore»: è Dio infatti «che converte me e, attraverso di me, l’altro percepirà lo sguardo trasformante per cui le cose appaiono belle e buone». Ecco allora che, come ricorda la Traccia del Convegno ecclesiale nazionale, «il primato della relazione, il recupero del ruolo fondamentale della coscienza e dell’interiorità nella costruzione dell’identità della persona umana, la necessità di ripensare i percorsi pedagogici come pure la formazione degli adulti, divengono oggi priorità ineludibili». «Il nuovo scenario – evidenzia ancora la Traccia – chiede la ricostruzione delle grammatiche
educative, ma anche la capacità di immaginare nuove ‘sintassi’, nuove forme di alleanza che superino una frammentazione ormai insostenibile e consentano di unire le forze, per educare all’unità della persona e della famiglia umana». Del resto, rileva il documento preparatorio, «educare è un’arte» e «occorre che ognuno di noi, immerso in questo contesto in trasformazione, l’apprenda nuovamente, ricercando la sapienza che ci consente di vivere in quella pace tra noi e con il creato che non è solo assenza di conflitti, ma tessitura di relazioni profonde e libere». In quest’ottica, sottolinea D’Avenia intervenendo al dibattito che dà il via ai lavori di gruppo del Convegno, «l’arte di educare è l’arte di vivere». Non c’è infatti separazione tra le due sfere WWW.FIRENZE2015.IT
né tra terra e cielo. «Educhiamo se siamo educati, ma diamo il tempo all’eternità di educarci?», domanda provocatoriamente ai partecipanti riuniti alla Fortezza da Basso. «Altrimenti – sottolinea l’insegnantescrittore – rischiamo di portare il soffio corto delle nostra esperienza e delle nostre ferite». Il segreto invece è «rivolgere lo sguardo all’infinito», senza scoraggiarsi di fronte alle difficoltà e alle inevitabili paure. «Siamo inadeguati e per questo abbiamo bisogno dell’infinito che si serve di questa inadeguatezza per arrivare ad altri che si sentono inadeguati e che in questo modo si sentiranno un po’ meno inadeguati », afferma D’Avenia con un gioco di parole che nasconde in realtà una saggezza antica. Una profondità e “pesante” dietro la leggerezza del lessico. Ecco perché, riprende subito, «bisogna dire basta a quel gioco al massacro che cerca di individuare di chi è la colpa». Ciò che serve in realtà, conclude, «è il senso di responsabilità che significa dare risposte ». Soprattutto ai ragazzi – è la riflessione finale dell’educatore che sente l’impegno di partecipare al destino dei “suoi” giovani – «che chiedono un motivo per cui valga la pena morire, non vivere, perché solo così possono giocarsi la vita».
IL VOLTO DEI SANTI
“il cammino di conversione del cuore”. la testimonianza di San Leopoldo Mandic lenzio, con profonda discrezione, sempre pronto e sorridente, confidente accogliente, consigliere spirituale paziente e comprensivo.
“Come un’ombra che non lascia traccia di sé”
di Rosalba Beatrice
La parola «misericordia» (hésed) non è buonismo, possiede invece tanti significati: tenerezza, grazia, indulgenza, bontà, amore, rivela un tratto sorprendente di Dio: quello della maternità. Le viscere materne di Dio si commuovono al punto da perdonare il grande peccato commesso. “Con la misericordia”, ci dice Papa Francesco, “l’uomo sperimenta di essere amato, accettato e perdonato da Dio, di costituire per Lui un valore; è l’antidoto alla mancanza di gioia.” La missione della Chiesa è rendere accessibile a tutti lo sguardo misericordioso, l’azione risanatrice di Cristo e il cammino di conversione del cuore, per questo è stato indetto il Giubileo straordinario della Misericordia. Papa Francesco ha deciso, nell’ambito delle celebrazioni
14
del Giubileo, di procedere all’ostensione di due «confessori», nel senso proprio di coloro che hanno amministrato per gran parte della loro vita il sacramento della penitenza, san Pio e san Leopoldo Mandić. La vita di Padre Leopoldo Mandić fu quella dei poveri, coloro che non hanno nulla da difendere perché veramente non possiedono nulla. Commuove la sua umile vita, senza grandi avvenimenti, un povero frate: piccolissimo, la sua statura non superava il metro e trentacinque, malaticcio, sacerdote al quale era impossibile predicare per un difetto di pronuncia. Sopportò per tutta la vita diverse infermità senza mai un lamento e con tanta pazienza. La sua grandezza è altrove, il donarsi giorno dopo giorno per cinquant’anni nella celletta-confessionale, nel siBEATI I MISERICORDIOSI
La sua grandezza sta nello scomparire per fare posto al vero Pastore delle anime. “Nascondiamo tutto, anche quello che può avere apparenza di dono di Dio, affinché non se ne faccia mercato. A Dio solo l’onore e la gloria! Se fosse possibile noi dovremmo passare sulla terra come un’ombra che non lascia traccia di sé.” Il primo fondamento del suo programma spirituale era la preghiera. E pregava davvero per tutto il tempo che aveva libero dal ministero della confessione. In confessionale, anche per un breve tempo, se non vi era nessuno, si inginocchiava sul pavimento e pregava. Mentre gli altri frati riposavano, egli si recava in chiesa a pregare. Quando usciva dal convento da solo, camminava con gli occhi a terra e pregava. Per non farsi notare pregava fino a tarda notte, a luce spenta, in ginocchio nella sua cella o davanti al tabernacolo. Pregava chiedendo a Dio di essere illuminato per conoscerlo meglio e unirsi a Lui nella uniformità della sua volontà. Spinto dalla propria esperienza di dolore e dalla carità, pregava per il prossimo fino a piangere con chi piange. Nei casi di estrema gravità, passava anche tutta la notte in preghiera per ottenere da Dio la grazia per qualche infelice. Pregava in espiazione delle colpe dei suoi penitenti. Padre Leopoldo cercava di rendere vive e operanti le parole di Gesù che dobbiamo pregare sempre, senza interruzione. Egli lasciò capire che, dopo la consacrazione della messa, aveva spesso contatti diretti con Dio, così da non poter dubitare d’essere stato in
Dio e Dio in lui. Un giorno, parlando con un penitente della bontà del Signore che si manifesta alle anime e le unisce a sé, improvvisamente pianse a dirotto, allargò le braccia e, rivolgendo gli occhi al cielo, disse: “Ma perché a me queste cose? A me tanto misero? Per carità, domandi al Padrone Iddio che voglia usarmi misericordia!.” Lo assalivano frequenti aridità spirituali da causargli vere agonie con violentissime tentazioni. Tutto quello che aveva fatto gli sembrava sbagliato, si sentiva perduto e lo assalivano noia, scoraggiamento, paura. Veniva assalito da sentimenti rabbiosi di rivolta per le continue sofferenze, per le sue minorate condizioni fisiche e le umiliazioni subite. Era come l’albero squassato dalla bufera e passava la notte intera a piangere tremando come una foglia. Ricorreva al confessore e al direttore spirituale perché aveva tanta paura e Padre Odorico gli diceva: “Sia tranquillo, cammini veloce per la via segnata, cammini sicuro perché è la via che conduce al cielo. Cristo l’ama grandemente. Coraggio e piena fiducia in Dio, Padre nostro, buono e pietoso.” Padre Leopoldo amava profondamente la Madonna alla quale, la sua mamma, lo aveva consacrato da piccolo, il suo era un vero amore filiale che lo sostenne nella sua vita travagliata. Bisognava vederlo per capire il fuoco di amore che gli ardeva nel cuore. Aveva espressioni dolcissime nella sua devozione alla Madonna, non le faceva mai mancare fiori freschi sull’altare, a volte rimaneva talmente assorto nella preghiera che i confratelli dovevano scuoterlo. Dopo un pellegrinaggio a Lourdes, con la sua umiltà, annotò su una immagine della Vergine: “La Madonna mi ha fatto capire che devo ricominciare da capo nella mia vita spirituale, perché tutto quello che ho fatto finora è nulla.”
Il simbolo stesso della sua vita fu il confessionale di Padova dove servì fedelmente il Signore. Una stanzetta due metri per tre, con una finestrella su un cortile stretto e angusto, risparmiata dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale nel 1944 che devastarono il convento come lui stesso aveva profetizzato. Un piccolo frate con una lunga barba, seduto con la stola sulle spalle e la mano sollevata nel gesto dell’assoluzione. Padre Leopoldo confessava con amore e sapienza, riuscendo a leggere nel cuore dei penitenti, con grande comprensione per le debolezze umane. Egli rimaneva anche quindici ore al giorno nel confessionale. La sua misericordia e bontà erano diventate sempre più profonde, si erano trasformate nell’infinita misericordia e bontà del Signore. Egli accoglieva con amore i suoi penitenti, li ascoltava con pazienza, li consolava riportando la pace di Dio nelle loro anime. Nel suo confessionale le persone si sentivano amate, ritrovavano nuova forza per iniziare una vita nuova, egli si metteva al fianco dell’uomo rinato: “Dobbiamo avere grande misericordia nel giudicare le anime e seguirle nei loro sforzi con carità e premura.” Padre Leopoldo ascoltava senza pregiudizi: “Noi nel confessionale, non dobbiamo fare sfoggio di cultura e non dobbiamo parlare di cose superiori alla capacità delle singole anime, altrimenti, con la nostra imprudenza, roviniamo quello che il Signore va in esse operando. È Dio che opera nelle anime; noi dobbiamo scomparire.” Un giorno disse: “Quando confesso e do’ consigli, sento tutto il peso del mio ministero e non posso tradire la mia coscienza. Quando ho la stola sulle spalle come ministro di Dio, non ho paura di nessuno. Prima e soprattutto la verità. Ci ha dato l’esempio BEATI I MISERICORDIOSI
Lui a non aver paura di nessuno e di dare anche la vita per la verità!.” Per questo ebbe noie anche non lievi. La bontà di Padre Leopoldo era congiunta a cristiana fortezza e a una straordinaria mitezza. Davanti a lui nessuno aveva l’impressione di trovarsi davanti a un giudice, ma sempre e solo a un padre e quasi ad una madre, tanto era il riguardo nel richiamare, nel correggere, nell’additare la retta via. Padre Leopoldo considerava un grande dono, che Dio fa ad un’anima, quello di darle un esperto confessore e direttore spirituale. I doni di Dio agli uomini sono molto diversi in qualità e quantità. “Il direttore spirituale”, diceva Padre Leopoldo, “deve impostare la sua azione, senza imporre alle anime schemi propri, egli è solo un aiuto alla grazia di Dio. Con umiltà egli deve sempre ricordarsi che spetta, sì, a lui piantare, irrigare, curare la pianta, ma che solo Dio le dà la forza di nascere e crescere secondo la propria natura.” Padre Leopoldo si stimava l’ultimo dei cristiani e non parlava mai di sé. Lui desidera servire gli altri con grande discrezione. Talvolta prima di rispondere al penitente, si raccoglieva, ma poi era deciso e preciso e diceva: “Faccia così, e abbia fede”. Un vero direttore spirituale offre all’anima, che gli si affida, una assistenza discreta ma continua. Egli pregava per loro, faceva penitenza per loro e attendeva il loro ritorno. Nacque il 12 maggio 1866 ed ebbe il nome Giovanni Bogdan (Adeodato, cioè “dato da Dio”) nella deliziosa cittadina di Castelnovo, sul mediterraneo, vicino alle Bocche di Cattaro, insenatura della costa Dalmata Un nome quanto mai indovinato: egli si sarebbe dimostrato un dono della Misericordia di Dio al mondo per la salvezza d’innumerevoli anime. Dopo gli studi e l’ordinazione sacerdotale a Padova, inizia il suo
15
GOZO 2017
apostolato silenzioso nel confessionale e, la non meno preziosa, offerta silenziosa per “ il ritorno dei fratelli separati orientali all’unità cattolica”. Questa vocazione lo accompagnerà, talvolta in modo tormentato, per tutta la vita. La sua aspirazione ecumenica era rivolta ai dissidenti serbi ortodossi della Dalmazia. Vive con fervore e profondo sacrificio (vittima) per questa vocazione definendola “il fine della mia vita”. Egli spera di poter partire come missionario per l’oriente non lontano dei Paesi balcanici. I suoi superiori, a causa della sua cagionevole salute, non gli affidarono questa missione ecumenica, ma lo mandarono in vari conventi francescani fino a rimanere per tantissimi anni a Padova nel suo famoso confessionale. Padre Leopoldo fu sempre obbediente ai suoi superiori, ma pregava la Madonna (Padrona benedetta) di fargli la grazia, di portare le sue povere ossa fra il suo popolo per il bene delle loro anime. Seppure dispiaciuto di non poter attuare il suo sogno missionario, in quanto uomo di fede, è persuaso che la rivelazione del disegno di Dio avrà luogo attraverso l’obbedienza. Con il suo apostolato interiore e i suoi consigli contribuì alla nascita delle “ Poverelle di San Francesco per l’unità della Chiesa”. Commosso esclamò: “Ora la mia missione è finita. Il Buon Pastore offre la vita per le sue pecore. È Lui che perdona, è lui che assolve.” Il 16 ottobre 1983 è canonizzato da Papa Giovanni Paolo II con queste parole nella sua omelia: “Dio è amore... Noi abbiamo creduto nell’amore.” (Gv 4, 8-16) Bibliografia: Leopoldo Mandić Santo della riconciliazione. P.E. Bernardi Padre Leopoldo G. Cavalleri
16
le Parole rivolte al piccolo gruppo dal Vescovo di GOZO alLA FESTA DELL’EREMO DI ROMA NEL 2014
Impegnarsi a fare la volontà del Padre
di Mons. Mario Grech
«In nulla ti distinguerai se non nell’essere un Vangelo vivente». Duro questo appello, duro come le parole del Signore, dure per te, che ti accingi a formulare la tua scelta di appartenere al Signore mediante i voti. Non so se vi rendete conto, ma Gesù ha queste parole: «Non vi ho mai conosciuto, siete operatori di iniquità»1. Non si sta certo rivolgendo alle prostitute o ai farisei, ma a quelli che dicono: «Kyrie», «Signore, Signore», a quelli che spendono la vita profetizzando nel nome del BEATI I MISERICORDIOSI
Signore, a quelli che cacciano i demoni, pure a quelli che fanno i miracoli: in altri termini, sono parole rivolte direttamente a noi tutti. A noi in particolare che abbiamo questo ministero di cacciare i demoni, di predicare, di compiere i miracoli, perché i suoi criteri non sono i nostri criteri. I responsabili, quando vengono ad ammettere qualcuno nella Comunità, nel Seminario, nell’Istituto, delle volte cercano gente brava, che sa fare; ma i criteri del Signore sono assoluta-
mente diversi: sono quelli che fanno la volontà del Padre, sono quelli che ascoltano le sue parole e le mettono in pratica che si qualificano per il discepolato. In altre parole, il criterio per discernere una chiamata autentica è l’impegno personale a fare la volontà del Padre, a mettere in pratica non tanto i suoi insegnamenti, quanto i suoi esempi. È difficile. Oltretutto, noi stiamo vivendo in una società che è molto attenta al fare, che gli dà più importanza che all’essere; ma il fare che indica e che sottolinea il Signore, non è un fare materiale, non è l’attivismo – che molte volte uccide – ma è il fare del cuore, è il fare della vita interiore. Non è tanto l’azione, quanto i nostri atteggiamenti, le nostre convinzioni. Quello che dice Paolo della seconda lettura (Rm 12,1-13,10), il precetto «non commettere adulterio, non uccidere, non rubare», mi fa ricordare quello che il Signore dice nel “Discorso della montagna”, quando dice, per esempio, «beati i puri di cuore»: anche colui che soltanto desidera una donna commette adulterio, perché tutto quello che parte dal cuore, dalla nostra interiorità, è azione. Questa è la sfida che ci propone il Signore, e questo è ciò che caratterizza il discepolo. Cari fratelli e sorelle, tutto dipende dalla nostra intimità con Gesù. Ieri abbiamo parlato dello sguardo di Giovanni Battista fissato su Gesù: è questo il segreto per vivere bene la nostra consacrazione, perché anche i consacrati possono qualificarsi come operatori di iniquità. Io ho sempre detto che nemmeno chi è dentro la Chiesa può rimanere tranquillo di fronte a questa parola. È grazie alla nostra vicinanza e intimità con il Signore, che noi saremo in grado di compiere la sua volontà in modo tale che, poi, la nostra vita, il nostro essere, assuma un carattere speciale, ossia diventi una vita crea-
tiva nel mondo di oggi. Questo è il fare, l’essere: poter stare in mezzo al mondo, e creare. Ma – ripeto – tutto dipende da quanto siamo immersi nella persona di Gesù. Concludo con questo racconto, dato che siamo in questo tempo in cui la Chiesa sta chiedendo l’aiuto del Signore per apprezzare di più la vita matrimoniale, di famiglia. Una signora prese i bambini e andò al mercato, essendo il compleanno del marito, per comprargli un regalo. I bambini si aggiravano qua e là, cercando qualcosa di costoso. Ma questa donna, invece, prese una camicia di un colore particolare, che non costava tanto. Quando tornarono a casa, la donna diede il regalo al marito, che fu contentissimo. I ragazzi dissero: «Mamma, come hai saputo che questo regalo sarebbe piaciuto a papà?» «Ho vissuto con lui vent’anni e conosco i suoi gusti». Noi, quanti anni abbiamo vissuto con il Signore? Possiamo dire di conoscere i suoi gusti? Questo racconto mi fa ricordare un aneddoto sul mio predecessore. Io gli ero vicino, poiché stavo in curia. Un giorno era un po’ arrabbiato e mi rimproverò, dicendo: «Tu devi saper i miei likes and dislikes». Con questo intendeva dire che non doveva avere bisogno di spiegarmi cosa fare: doveva essere sufficiente che io sapessi i suoi gusti e i suoi disgusti. Io mi auguro che il Signore, quando lo incontrerò, non mi farà questo rimprovero. Questo è quello che ti auguriamo, in questo momento molto particolare della consacrazione che ti dà la Chiesa, per te, per la società e per il mondo. Noi preghiamo per te, perché questa promessa, questa donazione al Signore, cresca di giorno in giorno e sia per te un motivo in più per addentrarti in questa realtà, la persona di Gesù. BEATI I MISERICORDIOSI
Ci auguriamo che faremo del nostro meglio affinché, quando incontreremo il Signore dopo una vita di sacerdozio, di ministero episcopale, di vita consacrata, non ci rimproveri con queste parole dure: «Voi siete stati operatori di iniquità». Questa possibilità mi fa paura, sia rispetto alla mia vita personale, sia rispetto a coloro che stanno all’interno della Chiesa. Sia lodato Gesù Cristo.
1
Mt 7,23
Si sono aperte le iscrizioni al pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Tà Pinu, nella piccola e bella isola di Gozo (Malta), in vista della ricorrenza del sessantesimo anno di fondazione del Piccolo Gruppo di Cristo (10 febbraio 1957 - 10 febbraio 2017). Sostaremo in preghiera davanti all’immagine di nostra Signora di Tà Pinu, ai piedi della quale hanno pregato in profondo raccoglimento i papi San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, in occasione dei loro viaggi apostolici a Malta. Il pellegrinaggio si svolgerà da sabato 22 aprile 2017 a martedì 25 aprile 2017. Il largo anticipo con cui il pellegrinaggio viene annunciato permetterà a ciascuno di effettuare dei risparmi che consentiranno la partecipazione a questo significativo evento. Il responsabile generale Giancarlo Bassanini
17
IN COMUNITà
FESTA DELL’EREMO 2015: IL PROPRIO “ECCOMI” PER CONTINUARE IL CAMMINO DI SEQUELA
Come realizzare la sua volontà
18
BEATI I MISERICORDIOSI
di Benito Di Foggia Le letture di questa settimana, ci parlavano del Profeta Giona e di come lui scappava dal Signore, perché aveva paura, non si fidava di Lui! Ebbene anche io l’ho fatto! Anche io, cercavo di scappare dal Signore, ma la Sua chiamata era troppo forte, inequivocabile! Anch’io non mi fidavo, anch’io avevo paura, paura di perdere tutte le mie certezze! Ma come Giona, anch’io alla fine mi sono fidato e ho buttato via tutte le mie umane certezze. Ma nella Sua bontà misericordiosa, il Signore me ne ha date altre di certezze, quelle della fede e dell’amore, sulle quali costruire la mia nuova vita. Sono trascorsi tanti anni dalla mia riconversione, e di questi, dieci ne sono passati dall’emissione dei primi voti. In questo lasso di tempo molto è cambiato nella mia vita, spero tutto in positivo, la sola cosa però che non è cambiata, è la mia appartenenza e il mio amore per Cristo Gesù, nostro fratello Dio! Ho imparato tante cose, conosciuto tante sante persone, purtroppo ho perso persone che amavo tanto, proprio 10 anni fa ritornava alla casa del Padre mia mamma Maria, che voi con la vostra preghiera, insieme alla mia e a quella dei miei affetti, avete accompagnato tra le braccia di Dio. Non ho perso solo lei in questi anni, ma anche altri amici e conoscenti per i quali ho sofferto molto. Però sono avvenuti anche tanti avvenimenti belli, anzi meravigliosi! Uno fra tutti il mio 25° di matrimonio. Che dono stupendo! Poter confermare il mio amore a Sefy con la consapevolezza di avere al centro della nostra vita Gesù! È proprio vero! Se il Signore permette che ti venga tolto 10, è perché ti ridarà 100! Parte di questo 100 è il matrimonio
di Silvia, poi la nascita di Giulia mia nipote. Ti ringrazio Signore per tutto quello che in questi anni mi hai donato (se facessi l’elenco, ci vorrebbero 10 fogli), per la forza e il sostegno che continui a darmi nelle vicende dolorose e di sofferenza! Ma il mio ringraziamento più grande te lo faccio per il dono della fede. Attraverso di essa, mi hai reso più forte nello spirito, più coraggioso nelle problematiche della vita, più prossimo verso i fratelli! Mi hai fatto sperimentare che mettendo te al primo posto, riesco ad amare ed apprezzare di più la mia famiglia e i miei fratelli! Sicuramente non sono diventato Santo come dovrei, anzi, le mie difficoltà umane, spesso emergono in contrasto col mio stato di consacrato! È l’eterna lotta tra il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il retto e lo scorretto, tra il buio e la luce! Però ho capito una cosa! Affidando a te queste mie debolezze, caricandole sulle Tue spalle, ne traggo la forza e il sostegno dì resistergli e continuare a camminare lungo la via della salvezza! Benedici me, la mia famiglia, i miei fratelli e sorelle, nella carne e nella fede. “Signore, prendimi come sono, e fammi come tu mi vuoi.” P.s. Il Signore è come quell’allenatore fortissimo, che prende i giocatori scarsi e li trasforma in campioni! Ecco! Con me, ha appena incominciato l’allenamento!
di Angela Salvioni e Cristian Fardello Arriviamo qui a dirti il nostro personalissimo Eccomi ma non possiamo Signore non ringraziarti per averci donato di poterlo dire quasi all’unisono. ECCOMI! ECCOMI! ECCOCI! Ci siamo da sempre sentiti amati e BEATI I MISERICORDIOSI
chiamati a vivere nella nostra pochezza e fragilità qualcosa di veramente grande. Abbiamo avuto percorsi di vita e di fede diversi che tu hai preparato per ciascuno di noi perché ad un certo punto le nostre strade si incontrassero e finalmente potessimo metterci alla ricerca e scoperta di te INSIEME. Oggi ci sentiamo rinnovati anche nella nostra consacrazione di sposi e riconosciamo che quella promessa di non essere in due ma in tre a camminare nell’amore ogni giorno si è rivelata sempre più vera. Sei presente nelle pieghe della nostra quotidianità, ci sei e agisci. Ti ringraziamo per esserti rivelato in mille occasioni, luoghi e tempi, attraverso incontri che ci hanno portato a Te. A cominciare dai nostri genitori, per noi esempio di amore costante e fedele. Grazie Signore per Giovanni Parmigiani che, più di 30 anni fa, mi ha fatto innamorare di Te. Grazie per Giulio, Livia e Antonio, per la loro incrollabile pazienza e fiducia, e con loro tutti i cari fratelli del Cenacolo. Grazie per Ireos, che mi vedeva nel Piccolo Gruppo quando ancora facevo i primi passi nel Cenacolo. Grazie per Augusto, che con il suo fare discreto sempre ci accompagna. Grazie per Giancarlo perché con mitezza e forza ci porta a Cristo. Grazie per i nostri responsabili che, guidati dallo Spirito Santo, ci sostengono e incoraggiano nella fede vissuta e declinata nella quotidianità. Grazie Signore per Mikiko che ci ha guidato in questi anni di aspirantato con tanta dedizione nella crescita spirituale e nel cammino di discernimento, facendoci amare sempre di più Cristo e la Chiesa. E per Rosanna e Michele che ci hanno donato la loro esperienza di fede e di vita. Grazie per Alberto che ci ha aiutato a vivere con maggior consapevolezza questo periodo di preparazione.
19
Grazie Signore per averci fatto camminare insieme a Elena, passo dopo passo, accomunati da tante esperienze di vita ma soprattutto dal desiderio di desiderare solo Te. Grazie per ciascun fratello del Piccolo Gruppo. Ti rendiamo grazie Signore per il caro Don Giuseppe Perugia, uomo di fede e di preghiera. Siamo certi che dal cielo continui a intercedere per noi presso il Padre e l’amato San Giuseppe, al quale più volte ha affidato noi come giovani sposi e come famiglia, arricchendoci di tante benedizioni. Sei un Dio fedele e grande nell’amore, come non riconsegnarti e rimettere tutto nelle tue mani? Ti consegniamo Signore le chiavi del nostro cuore, della nostra anima e della nostra vita che ci hai donato. Abbiamo provato ad essere proprietari della nostra vita ma troppe volte Signore ci siamo chiusi dentro di essa, così ti abbiamo invocato e tu sei intervenuto a liberarci restituendoci le chiavi. Troppe volte ci siamo chiusi fuori così ti abbiamo invocato e tu sei intervenuto, e ci hai fatto rientrare restituendoci le chiavi. Troppe volte abbiamo fatto entrare nella nostra vita chi doveva restare fuori e abbiamo lasciato fuori chi doveva entrare, così ti abbiamo invocato e tu hai aggiustato tutto. Oggi Signore, desideriamo restituirti le chiavi, rimettiamo tutto nelle tue mani e, in obbedienza, castità e povertà, con il nostro vivere tutto abbandonato a te, facciamo in modo che si evidenzi il fine della nostra vita: la partecipazione umana alla tua Gloria.
di Ilaria Beneventi “Siano rese grazie a Dio, il quale ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza al mondo
20
intero”. Quando ho conosciuto il Piccolo Gruppo di Cristo sono rimasta colpita e “ammirata” dalla fantasia di Dio che le pensa davvero tutte per raggiungere l’uomo e, in un’epoca in cui ormai le chiese sono meno frequentate rispetto al passato, chiama e consacra alcuni affinché le persone che vivono accanto a loro (in famiglia, sul luogo di lavoro, nelle diverse realtà sociali), guardando al loro modo di vivere, possano leggere pagine di vangelo. A distanza di tempo, dopo il cammino di questi anni, guardando alla vocazione nel PGC, penso che la nostra sia una vocazione veramente affascinante. Perché riusciamo a entrare in tutti i diversi ambienti della società, anche in quelli in cui la Chiesa magari non arriverebbe mai, e lì (nel nascondimento, senza che nessuno sappia che siamo consacrati) portiamo la presenza del Signore, il Suo amore, un raggio della Sua luce, la Sua pace. Come il lievito nella pasta, come è scritto nel vangelo e come anche ci ricordava il Card. Martini: “bisogna che voi siate come coloro che si spandono come lievito nella pasta, senza pretese, senza volersi distinguere, senza avere privilegi”. Il Signore ha voluto avere bisogno di noi. Le persone con cui viviamo il Signore vuole incontrarle attraverso di noi (come dice la nostra “Preghiera del Cammino”, e come cerco di ricordarmi ad esempio ogni mattina prima di varcare il portone dell’azienda) e questa è una cosa grandissima. Lodo e ringrazio il Signore per tutto il cammino di questi anni, che a poco a poco ha trasformato tutte le dimensioni della mia vita (rapporti di famiglia, parentela, lavoro, amicizia, affettivi, di vicinato, rapporto con le cose, il tempo libero..); in cui il Signore mi ha sempre accompagnato con il Suo amore e la Sua misericordia, nonostante tutte le mie debolezze, tiepiBEATI I MISERICORDIOSI
dezze, infedeltà, dimenticanze. In primo luogo il Signore a poco a poco è diventato il Signore della mia vita, il senso della mia vita, senza il quale non potrei vivere; con Lui tutto acquista una nuova luce e un sapore diverso. Lui mi dona una pienezza e una pace che nulla e nessuno può dare su questa terra. Ho imparato a poco a poco a vivere tutto con il Signore (questo è stato evidente soprattutto dopo i primi voti), a vivere con Lui le varie situazioni della vita, le gioie e le sofferenze; a chiedere consiglio a Lui, a domandarmi come Lui si comporterebbe. Il Signore mi ha insegnato ad abbandonarmi a Lui (abbandono che va re-imparato ogni volta), mi ha insegnato a confidare in Lui. Soprattutto in situazioni particolarmente difficili quando non c’era nessun “appoggio” umano, o quando era difficile trovare un senso (ad es. periodi di ricerca del lavoro, aneorisma cerebrale di mia mamma, perdita di una persona molto cara). Ma anche nelle situazioni difficili del quotidiano (soprattutto sul lavoro). Mi ha insegnato ad offrire le difficoltà, quindi a dare loro un senso, non solo quelle grandi, ma anche quelle più piccole (certo magari non proprio subito, ma dopo il ….“moto primo”). Le difficoltà se le offriamo non sono inutili: il Signore le usa per riversare il bene là dove sa Lui. E tante volte, dopo questo abbandono o dopo questa offerta, il Signore mi ha fatto sperimentare la Sua pace (e si capisce che viene proprio da Lui, perché magari la situazione esterna è tempestosa, oppure perché quanto desidero non si sta realizzando; e tuttavia, inspiegabilmente, io sono nella pace). Tutto questo grazie alla preghiera: “lavora e prega”, “la tua preghiera contemplativa sale dalla valle opero-
ALCUNI SCATTI FOTOGRAFICI DALLA FESTA DELL’EREMO 2015
Cristian, Angela, Elena, Michela.
Ireos, Andrea.
Antonio, Giancarlo, Ilaria, Lorenzo.
Festa dell’Eremo San Pio-San Carlo. Don Diego Pirovano.
Festa dell’Eremo di San Ambrogio. Messa del Sabato. BEATI I MISERICORDIOSI
21
sa” è scritto nell’Icona; il PGC mi ha insegnato a pregare, mi ha insegnato la bellezza della preghiera; mi ha insegnato a prendere sul serio il vangelo, senza far finta che certe pagine non fossero scritte; ad assaporare l’adorazione (e l’adorazione è stato il momento in cui più di una volta il Signore mi ha “parlato”). La preghiera è capace di trasformare il mio cuore; senza la preghiera non posso vivere (o quanto meno vivrei in una dimensione solo “orizzontale”). Ma - prima di “prega” – “lavora”. Il lavoro in passato lo consideravo come qualcosa che mi allontanasse dal Signore, quasi fosse in contrapposizione ai momenti di preghiera. Invece a poco a poco è diventato un luogo “significativo”: una periferia esistenziale dove mi è dato di incontrare la povertà spirituale (non tanto quella materiale); un luogo in cui offrire le piccole o grandi difficoltà e sofferenze, una “palestra” per un esercizio continuo, quotidiano, di quanto il Signore ci chiede (la fede; l’abbandono; il richiamo a ciò che è essenziale; non tener conto del male ricevuto; ricambiare il male con il bene; avere il cuore accogliente, e disponibile ad aiutare; senza pretendere nessuna ricompensa; pregare per i nemici); è stato anche luogo della tentazione dell’inutilità (mi domandavo: “a che cosa serve una vita consacrata così, con tante ore chiusa tra le pareti dell’ufficio? Non sarebbe più utile impiegarla in qualcos’altro?”). Però anche il luogo in cui il Signore mi ha mandato messaggi importanti; in cui mi ha fatto sperimentare la Sua pace (anche quando le condizioni esterne erano di segno totalmente opposto), e la Sua provvidenza, che mi è venuta in aiuto tante e tante volte; luogo in cui so di poter contare sulle “infinite forze” che Lui ha promesso di concederci, e questo mi rassicura tantissimo; luogo della testimonianza (ad es. la mia pace anche in mezzo a tanto lavoro urgente e
22
pressante, pace che ha colpito il mio capo; “città sul monte: città serena, piena di pace del Paradiso”); luogo in cui vivere nei confronti delle mie colleghe quelle parole dell’Icona “li amavo, li servivo, li proteggevo” (dal capo e da colleghi di altri uffici); luogo in cui il Signore ha fatto “passare” qualcosa a chi mi era vicino: “il bene è un seme che prima o poi porta frutto” - ci disse anni fa il nostro assistente della Fuci di Genova (ora Card. Angelo Bagnasco), e dopo anni di “semina”, continuata anche quando sembrava che non succedesse assolutamente nulla, un paio di mesi fa sembra essere sbocciato qualche piccolo fiore; certo il valore di tutto quanto abbiamo vissuto lo vedremo in Paradiso; “mentre lavoravi e pregavi …. hai costruito la città sul monte”: questo è importante che lo tenga sempre presente. Luogo dunque della mia santificazione (che matura non “nonostante” il lavoro, ma “attraverso” il lavoro), in cui il Signore mi ha chiesto di rimanere quando avrei voluto andarmene; luogo dove mi ha insegnato a vivere con maggiore distacco, senza prendermela troppo, sapendo che “una sola è la cosa di cui c’è bisogno”, che tutto passa e che siamo fatti per un’altra vita; ed essendo consapevole che ho ricevuto tanto; luogo dove c’è la possibilità di costruire rapporti umani a vari livelli, talvolta anche di amicizia; luogo dove il Signore mi ha fatto capire che devo anche ringraziare quelli da cui ricevo del male, perché magari quella diventa l’occasione per imparare ad abbandonarmi di più a Lui e quindi avvicinarmi a Lui, o perché magari così ho avuto qualcosa da offrirGli. “Fai opere di bene senza pretendere nessuna ricompensa”. Quante volte, dopo tante “opere di bene”, non è tornato indietro propriamente il bene … : dopo tanta disponibilità con le colleghe, o dopo aver fatto un buon BEATI I MISERICORDIOSI
lavoro; oppure in famiglia. Questo “senza pretendere nessuna ricompensa” ha assunto quindi sfaccettature diverse. Certo a volte si rimane proprio delusi, però il Signore nell’Icona ce lo ha detto. Poi comunque sarà Lui a trovare tempi e modi per darci una ricompensa; già qui (sta a noi vederla e riconoscerla), e poi, ancor più, di là: “ti presenterò al Padre, che ti consegnerà l’anello della carità, dell’amore , della gloria”. “Li amerai come io li amo”. In famiglia il Signore mi ha aiutato a vivere alcune difficoltà che negli ultimi anni si sono presentate: mi ha insegnato ad avere maggiore misericordia, a non giudicare (perché non sappiamo cosa c’è nel cuore dell’uomo; e quindi “li amerai come io li amo”); mi ha insegnato ad affidarmi unicamente a Lui nella preghiera quando non ci sono possibilità di intervento (sapendo che il Signore non potrà non esaudire la mia preghiera, se gli chiedo la salvezza dei suoi figli) . *** Ringrazio dunque il Signore per l’intenso cammino di questi anni, e per tutto quanto mi hanno donato, trasmesso e insegnato con le parole e con l’esempio Ireos, i responsabili generali, il responsabile personale (che è un dono grandissimo, immenso) e ciascun fratello e ciascuna sorella della Comunità, prezioso compagno di viaggio. Aiutiamoci reciprocamente a rimanere fedeli, fino alla fine, al Signore e alla bellissima vocazione che ci ha donato (è il dono più grande che abbiamo ricevuto), ad essergli sempre riconoscenti, a rimanere sempre disponibili a quanto vorrà indicarci; e concludo riprendendo una breve ma intensa preghiera inserita nella Liturgia della nostra Festa: Signore fa di me ciò che tu vuoi, nella mia piccolezza fammi Tu crescere secondo la Tua volontà.
Comunità di Treviso
Comunità di Roma
Comunità San Carlo e San Pio
Comunità San Ambrogio BEATI I MISERICORDIOSI
23
IN COMUNITà
da malta le parole e i desideri di un aspirante della comunità
Chiamati alla piccolezza di Francesco Pio Attard
Ad ottobre scorso, durante la Festa dell’Eremo della comunità Romana, io mi sono impegnato per cominciare il periodo più intenso (4° periodo) dell’aspirantato nel Piccolo Gruppo di Cristo (PGC). Questa occasione mi ha dato l’opportunità di guardare indietro con gratitudine all’esperienza fatta negli ultimi tre anni che ho conosciuto il gruppo e di ringraziare il Signore per tutto quello che, grazie a tante carissime persone, ha fatto con me in questi anni che sono stati significativi nella mia vita. Ricordo come se fosse ieri il primo incontro con il gruppo nella “Settimana Aspiranti” a Villabassa nell’estate del 2012. Mi sono sentito attratto, forse senza saper dare una spiegazione precisa, dallo zelo della comunità che con uno spirito semplice di fraternità si faceva sempre più amica di Gesù e in Lui, con gli altri. Questo era quello che desideravo, quindi mi sono sentito subito in sintonia con i fratelli, che con cuore sereno cercano la loro santità e quella del loro prossimo. Tutti abbiamo una chiamata nella
24
Chiesa e ognuno di noi è chiamato a viverla nello spirito del Vangelo, secondo i suggerimenti che lo Spirito suscita in ciascun cuore. Questa chiamata ha origine nel cuore di Cristo… e quanto più è ancorata in Lui, tanto più è il successo di ogni esperienza pastorale. La vita semplice della santità la percorriamo insieme, condividendo quella sequela Christi che, in qualche momento della vita è rimasta impressa nella nostra mente e ci siamo sentiti spinti per cominciare a camminare. Nei momenti d’entusiasmo condividiamo insieme le gioie e nei momenti di apatia e abbattimento ci sosteniamo a vicenda. Questi sono alcuni elementi che ho sentito risaltare nella piccolezza di questa realtà. Fino ad oggi, tanti che fanno parte della mia vita, inclusi i miei parenti e amici, ancora non riescono a capire che cosa sia il Gruppo… e forse non ci riusciranno mai! Anche io credo che ne capisco poco! Però nella piccolezza, nascosto come il lievito in mezzo all’impasto della comunità cristiana, c’è nascosto il segreto e la forza del PGC. BEATI I MISERICORDIOSI
La mia esperienza nel Gruppo è nata grazie al mio contributo nella traduzione al Maltese del libro che è così centrale per la sua spiritualità: Con animo sereno (in maltese, B’ruħna ferħana). Da questo sono nate una serie di amicizie che mi hanno aiutato a continuare ad entrare nella vita spirituale matura e ho cercato, nella mia povertà, di tradurli in un impegno più grande per lasciare che Cristo “mi faccia come Lui vuole”. Oggi capisco in una luce diversa quello che avevo letto circa quattro anni fa in questo libro. La “gioia del Vangelo” è un grande tesoro e l’eperienza del Gruppo, l’accompagnamento nelle istruzioni e nella direzione del responsabile personale, piano piano mi hanno aiutato a capire che vale la pena lasciare altre cose per acquistare Gesù. Come uno poteva aspettarsi, nella piccola reltà della Chiesa di Gozo, ricca di tradizione Cristiana e di religiosità ma allo stesso tempo assetata di una spiritualità più radicata, l’inizio del Gruppo è stato umile. La sua presenza, anche se accolta dalla gente con tanto amore, rimane una presenza molto piccola, forse insignificante. Isola piccola, gruppo piccolo, presenza umile… queste sono le caratteristiche che accompagnano la prima missione del PGC al di la del territorio italiano. E forse questa rimarrà la vocazione del Gruppo. Però questo è di una grande gioia per tutti i membri, perchè: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (cfr. Mt 18:20). L’arrivo dei nostri giovani fratelli e sorelle da Malta nell’ultimo anno è un segno che il Signore desidera costruire qualcosa di più.
IN COMUNITà
la festa del cenacolo evangelico di roma: rinnovare il proprio “eccomi”
Guardare al futuro con fiducia nel Signore di Antonio Caselli
La festa del Cenacolo Evangelico è sempre un’occasione speciale.Ancor più lo è stata quest’anno che abbiamo deciso, in semplicità, di dedicare alla festa ben due giorni nella splendida cornice dell’Oasi Francescana di Vicovaro che tutti noi, soprattutto i più piccoli, abbiamo apprezzato. La festa rappresenta l’inizio del nuovo anno insieme ed è l’occasione per rinnovare i propositi già emersi durante il campo estivo e concordare il programma per proseguire il cammino insieme. Anche quest’anno siamo stati supportati da alcuni fratelli del Piccolo Gruppo. Cinzia, Saverio, Simona, Giorgia ed Ivo con pazienza ci hanno dedicato il loro tempo aiutandoci a coordinare i momenti di preghiera, a cui qualcuno di noi non è particolarmente fedele come con quelli conviviali... nei quali invece siamo bravissimi. Condividere il tempo, condividere
la giornata ha contribuito a rafforzare in noi il senso di appartenenza al gruppo; condividere la preghiera ha conferito e conferisce senso a tutto. Che bello ripetere insiema la nostra Preghiera nel giorno in cui abbiamo rinnovato la nostra volontà di “esserci”, di proseguire il cammino. La festa è stata anche l’occasione per guardarci un poco dentro ed è emersa una richiesta comune: aiutiamoci, sosteniamoci reciprocamente perchè rimanere fedeli non è semplice, partecipare agli incontri non è semplice, prepare gli incontri non è semplice, condividere non è semplice. Eppure, ci ha ricordato Manlio nella sua esortazione, siamo quasi maggiorenni, il Cenacolo di Roma ha quasi diciott’anni ed è ancora qui a festeggiare sé stesso; questo è il segno di quanto ci voglia bene il Signore di quanto tenga a noi. Pertanto, con il nostro “eccomi” abBEATI I MISERICORDIOSI
biamo rinnovato la nostra disponibilità ad esserci per i fratelli ma abbiamo anche chiesto che i fratelli ci siano per noi che ci passino quel po’ di rugiada piegandosi come fili d’erba. Ci sono mancati la commozione “piagnereccia” di Paola e la simpatia di Gianni, assenti giustificati, che hanno comunque espresso la loro vicinanza e, certo, dedicato un pensiero ed una preghiera affinchè la festa andasse per il meglio. Un aiuto non comune anche quest’anno lo ha fornito il nostro caro Don Pierpaolo che si è reso disponibile a partecipare alla festa nonostante la lontananza da Roma ed i tanti impegni; per tutti noi del Cenacolo è oramai un importante punto di riferimento. Eccoci dunque, eccoci anche quest’anno fiduciosi che il Signore ci sosterrà nel proseguire il Cammino per divenire cristiani migliori.
25
IN COMUNITà
IL DONO DEL CENACOLO: un’occasione per sperimentare il senso della fraternità
Camminare insieme nella fede di Giulio Pedrotti e Lisa Sacchi
La fraternità è uno stato di vita conseguente al riconoscimento di appartenenza ad un unico Padre; ogni cristiano dovrebbe avere la consapevolezza, in qualità di figlio, di essere parte di un’unica grande famiglia, composta da tanti fratelli. Il cammino cristiano non è fatto “in solitaria” ma è un cammino comunitario, che non prescinde tuttavia da una relazione personale col Padre Celeste, condizione indispensabile ma non esclusiva. Il tema quindi della relazione trasversale tra i fratelli risulta essere centrale nel percorso di fede di ciascuno. È proprio la dimensione relazionale e
26
la trasversalità ad essere oggetto di questa riflessione, che non si esaurisce in queste poche righe in quanto necessita un percorso e un approfondimento da compiere in una dimensione di condivisione. Ciascuno di noi, attraverso la propria vita, è immerso in una rete di relazioni che spaziano in vari luoghi: la famiglia, il lavoro, gli amici, le associazioni, la comunità cristiana. Tutti siamo più o meno consapevoli di essere in “relazione” con qualcuno, e la relativa “qualità” determina il nostro stato e grado di “felicità”. Quando le relazioni sono BEATI I MISERICORDIOSI
buone, stiamo bene, quando invece sono critiche avvertiamo disagio ed entriamo in crisi perchè non riusciamo a riorientarle a nostro favore. Talvolta possiamo avere un ruolo attivo nel poter cambiare le cose, in altre invece siamo solo spettatori o vittime. Le relazioni investono poi tanti luoghi della sfera sociale, formando una rete molto fitta e sempre dinamica: alcuni fili si aggiungono, altri si tolgono conformando una rete a geometria variabile. Quale è il luogo in cui vivere la fraternità? ovunque direi. Soprattutto un cristiano dovrebbe avere la con-
sapevolezza di essere collocato nella rete generale di relazioni con uno spirito e un atteggiamento rivolto al dono, al servizio, alla disponibilità, etc. Un cristiano è tale in ogni luogo e con chiunque. Ma allora che senso ha cercare di vivere la fraternità in un contesto come il Cenacolo evangelico, se tanto sono cristiano ovunque? Che differenza fa vivere la mia fede nel cenacolo o in una qualsiasi altra comunità cristiana, o semplicemente in parrocchia? Perché proprio il Cenacolo? Andiamo per gradi. La dimensione della fraternità, che altro non è quella della relazione in chiave cristiana, è così ampia da non poterne vedere i confini: si sviluppa nello spazio del globo terreste ma anche nel tempo della storia dell’uomo, è universale. Troppo difficile da comprendere, serve una dimensione più alla nostra portata, più vicina a noi. Potremmo partire dall’esperienza più piccola della famiglia di origine, o dalla coppia, e questo è senza dubbio un inizio che abbiamo tutti sperimentato. Direi però che esiste una dimensione intermedia che merita di essere investigata. Il cenacolo si colloca in questa fascia. Ma come il cenacolo anche altri luoghi sono preposti a poter svolgere ed esercitare la nostra cristianità. Ma cos’è in sintesi questo “esercizio di cristianità”? Provo ad usare una sola parola: amore. Ci si esercita nel volere il bene reciproco, per aiutarci vicendevolmente ad essere felici affrontando la vita per come ci viene proposta. Sembra “quasi” facile se lo pensiamo nell’ambito della famiglia, ma appena al di fuori da questi confini le cose si complicano! Come faccio a volere il bene di un collega che neanche mi saluta, o di un estraneo che tenta di imbrogliarmi, o di un politico che ruba i nostri soldi? Dicevamo che dobbiamo andare
per gradi, diamoci allora obiettivi adeguati alle nostre forze! Iniziamo da un contesto non troppo piccolo ma neanche troppo grande, fatto da persone diverse ma accomunate da una spiritualità cristiana. Il Cenacolo, per esempio. Fermo restando che qualsiasi altro contesto, al di fuori del cenacolo, è valido per fare esperienza di fraternità, vorrei qui ragionare su di esso. Durante i vari incontri cenacolari, c’è stata data occasione di conoscere il Piccolo gruppo, ed altri modelli di vita comunitaria, tutti validi e rispondenti ad una scelta personale di adesione. Il cenacolo, pensato da Ireos per illuminazione dello Spirito, è un’ulteriore contesto per nulla improvvisato, anzi, offerto gratuitamente per il nostro bene. Ogni anno, rinnovando in ottobre il nostro “ci sono”, ci ricordiamo reciprocamente che dovremmo sfruttare tale occasione un po’ più intensamente! È utile ripartire dal programma spirituale proposto da Ireos nel 1997. Diceva in particolare che: • scopo del cenacolo è rinnovare i cristiani semplici, riportare a casa quelli che si sono allontanati e quelli che non credono, • lo stare insieme serve per aiutarci e aiutare ad essere cristiano così come si è (…) senza altra regola oltre a quella comune a tutta la Chiesa. In queste poche parole troviamo un’essenza così profonda e intensa che ancora oggi, a distanza di diversi anni, sentiamo il bisogno di verificarci in occasione del rinnovo della nostra adesione. La cristianità è dunque al centro del cenacolo. Cosa significa essere cristiano? Papa Francesco, in occasione dell’omelia mattutina in Santa Marta dell’11/06/2015, ci evidenzia le tre parole chiave per essere “di Cristo”, per capire bene quello che BEATI I MISERICORDIOSI
Lui vuole da noi: cammino, servizio e gratuità. Il cenacolo è quindi luogo in cui si esercita questo come se fosse una palestra, per rafforzarci ed esprimerci negli altri contesti della vita. È luogo in cui reciprocamente ci si aiuta in questo esercizio e responsabilmente ognuno si fa carico di aiutare l’altro. Il Maestro è uno solo, e gli allievi si allenano in “squadra”. Il gioco si compie però con senso di continuo rinnovo della cristianità, perchè la cristianità di ciascuno non è mai finitamente compiuta, ma necessita di una continua e progressiva disponibilità al cambiamento. Esercitarsi nel cenacolo significa qualcosa che va oltre la sola partecipazione agli incontri. Oltre alla telefonata o alla disponibilità all’aiuto. La particolare condizione ambientale e sociale in cui viviamo, certo non aiuta a percepire la dimensione comunitaria e di condivisione, ma questo è il nostro contesto storico e ne prendiamo atto. Dobbiamo allora fare lo sforzo di “sentire” la dimensione comunitaria e il senso di appartenenza. Se si condividono i presupposti sopra esposti, scandire il tempo delle attività cenacolari, tra cui in particolare la festa del rinnovo dell’adesione, acquista un altro sapore e implica un coinvolgimento importante, più spirituale che materiale. Penso in particolare alla domanda che ciascuno dovrebbe porsi: nell’ultimo anno, mi sono rinnovato?, o almeno mi sono sforzato di farlo? Voglio farlo? Rispetto alle tre parole chiave della cristianità io come mi sono comportato? Quali sono i miei propositi? È una riflessione personale ma rivolta non solo alla singola persona ma agli effetti che si sono riverberati nella rete di relazioni che caratterizzano il cenacolo.
27
LA BUSSOLA
IN VENETO, l’arte e la storia di una chiesa ci trasmettono angoli di fede
Treviso, Tempio monumentale di San Nicolò di Andrea Giustiniani
Mi capita di sfilarci davanti tante volte, piuttosto di fretta, quando in macchina dal centro di Treviso sono diretto verso casa. Adesso è su di una strada a senso unico di scorrimento relativamente veloce ma si prova sempre una certa emozione quando sulla sinistra appaiono le alte e possenti absidi, aperte al centro da slanciate vetrate gotiche, poi perpendicolarmente si protende verso la strada la grande mole del transetto, ed infine cominciano a sfilare le campate della navata. In effetti questa grande chiesa domenicana non ci viene incontro con la sua facciata, imponente anch’essa, ma piuttosto chiusa sulla stretta piazza dove adesso si apre l’ingresso principale del seminario. In effetti la chiesa chiude un lato del maestoso convento dei domenicani, presenti a Treviso fin dal 1221. Presentandosi
28
così lateralmente ci richiama l’antica metafora marinaresca adombrata dal termine navata. Sembra proprio distendersi ormeggiata sulle rive del Sile, come una maestosa nave da crociera, e come tale si presenta a noi come punto di incontro di folle di individui incamminati verso una comune destinazione. Un effetto di grandiosa accoglienza ancora potenziato dai lavori di innalzamento della navata realizzati nell’Ottocento. Questi edifici sono come organismi viventi, maestose sequoie che sfidano i secoli e che portano su di sé i segni della storia e degli uomini che l’hanno vissuta e che, fortunatamente assai spesso, non perdono il contatto con l’intuizione di chi ha posato le prime pietre. Anche entrando, lo spazio si innalza sicuro in altezza, circa trenta metri, BEATI I MISERICORDIOSI
ma come è noto in Italia il gotico sembra sempre temperarsi, non raggiunge mai gli estremi di verticalità e di arabesco decorativo che si sono ricercati oltralpe. Qui un effetto mitigante lo danno ad esempio le travi di rinforzo che collegano i pilastri circolari della navata centrale, un espediente tipico delle chiese domenicane e francescane di Venezia. Percorrendo la navata sui grandi pilastri circolari cominciamo ad incontrare una sorta di compagni di strada, affreschi di santi che datano a metà del ‘300 e che cominciarono ad essere lì dipinti ben prima che si completasse la chiesa. Alcuni sono riconducibili al grande artista che dominò la scena trevigiana in quel periodo, Tomaso da Modena. Osserviamo ad esempio il suo S. Girolamo, assiso in trono con il suo cappello cardinalizio; austero, guida sicura, nel pieno dominio del sapere e degli strumenti che servono ad acquisirlo. Oppure una bellissima, lunare, soave S. Agnese. Alle pareti non vi sono molti monumenti sepolcrali, ma lo spazio è rallegrato da un certo numero di opere dipinte di varia epoca e provenienza, anche di noti autori come ad esempio Palma il giovane, che danno al luogo un certo effetto di galleria d’arte. E ancora ritorna un po’ il senso di una “piazza religiosa”, dove incontrarsi, ma anche riflettere.Riprendendo il cammino verso il presbiterio è interessante notare che esso non aveva la lunghezza e la profondità odierne. Fino alla prima parte del Seicento era occupato quasi per metà dall’immenso coro dei frati domenicani, poi il coro dei frati è stato ridotto e la chiesa è tornata ad essere un grande ambiente destinato alle folle dei fedeli, come erano
in origine le chiese di questi ordini, nati per diffondere il vangelo. Un altro intervento che è andato in questo senso, con esiti a mio parere assai felici, è stato il ridimensionamento di una sorta di ostacolo che si frapponeva tra il fedele e l’abside: un grande altare con numerose sculture in pietra che raggiungeva un’altezza considerevole. Fu demolito nell’Ottocento e ci consente di avere davanti a noi in tutta la sua bellezza, un’opera straordinaria, la Sacra Conversazione con Madonna e Santi, che, incastonata nell’abside, sembra chiudere e finalizzare il lungo percorso della navata. Il grande pittore bresciano Savoldo probabilmente ne realizzò solo l’angelo musicante ai piedi della Vergine e un drappo sul trono. In gran parte la tavola è opera di fra Marco Pensaben, uno dei numerosi artisti domenicani, anche se non di primo piano. Visse prevalentemente a Venezia, tra il 1484 ed il 1531. Dai documenti sappiamo che lavorò all’opera nel 1520. Non era un grande artista, ma seppe certamente trarre profitto dal magistero di altri maestri vissuti a Venezia nella sua epoca, in particolare Giovanni Bellini. Infatti le figure dei santi sono solide, corpose, immerse in un dialogo sommesso e profondo, e la Vergine si erge su un trono ed ha sopra di sé un baldacchino a cupoletta decorato a sfondo dorato con girali vegetali che evoca i mosaici paleocristiani. Ma oltre le colonnine è un magnifico squarcio di cielo che domina lo sfondo. Un cielo che immerge i sacri personaggi in una luce soprannaturale e insieme umana. Divinità e umanità che convivono e si compenetrano luminosamente sotto lo stesso cielo. Un’intuizione tipicamente umanistica che ci viene offerta come meta a cui tendere, quando ci raccogliamo in preghiera in que-
sta chiesa. Tornando verso l’uscita, un’opera di grazia squisita ci attende nella sacrestia, piccolo ambiente che si apre lateralmente verso la fine della navata destra. Qui troveremo un santo, S. Nicola di Mira, di cui tendiamo a dimenticare che è all’origine del protagonista laico dei tempi natalizi: Babbo Natale.
attorniati dai loro strumenti, leggii, volumi, penne, calamai, lenti, occhiali! Sono tesi, concentrati, indaffarati, assolutamente vitali. Lungi dall’essere imprigionati da tutto ciò che sembra circondarli e comprimerli, mostrano come studio, preghiera, meditazione, insegnamento caritatevole, possono liberare l’anima, qualunque sia lo sforzo che esse richiedano.
Infatti nella parete di fondo troviamo un piccolo affresco, di autore anonimo, dipinto appena dopo la grande peste di metà Trecento, verso il 1350. È un’opera semplice, ma piena di dinamismo, proprio nello spirito di una rinascita. Celebra l’Annunciazione in tre momenti: in alto a sinistra il Padre, assiso nella mandorla e circondato dai suoi angeli ne invia uno, come messaggero, verso la Vergine. Questa è ritratta in basso a destra all’interno di una sottilissima edicoletta che si rivela parte di un edificio più grande e poi di una città; a proseguire il racconto, sulla sinistra vi è Gesù che invia S. Nicola, anziano vescovo, a convincere i fedeli del dono divino rappresentato dalla Vergine. Nicola era un santo della generosità, in particolare verso i giovani, e quale regalo è più bello della fede? Le figure, quanto mai lontane dal realismo giottesco, sono dipinte con spontaneissima vitalità e brio. Sembrano anticipare lo spirito dei migliori racconti a fumetti dei nostri giorni. E questa piccola opera coinvolge e commuove. Ma, non potremmo lasciare questo luogo senza una piccola visita all’opera più celebre: la sala del Capitolo all’interno del convento. Al centro vi è un umano e toccante Crocifisso, sereno nello spasmo arcuato della morte, secondo l’iconografia di origine bizantina. Ma ai lati, si snoda un capolavoro di Tomaso da Modena, i ritratti di domenicani illustri nello studio. Le figure, ognuna con precisi caratteri individualizzati, appaiono un po’ incastrate nei loro scranni, BEATI I MISERICORDIOSI
29
L’ANGOLO DEI LIBRI
consigli di lettura per tutti i gusti. ALCUNE RECENSIONI DA NON PERDERE di Vilma Cazzulani e Donatella Zurlo Il monaco di Bose Ludwig Monti ci introduce alla Preghiera dei Salmi (di Gesù con Gesù) con lo scritto del pastore e martire luterano Bonhoeffer; egli, commentando il Salmo 119, scriveva: “Sono un ospite sulla terra...Come ospite sono sottoposto alle leggi del luogo dove alloggio. La terra che mi nutre rivendica un diritto al mio lavoro e alla mia forza...Non devo chiudere il mio cuore nell’indifferenza verso i compiti, i dolori e le gioie della terra; devo attendere con pazienza l’adempimento della promessa divina, ma attenderlo davvero e non assicurarmelo in anticipo nei desideri e nei sogni”. Imparare a pregare / Dietrich Bonhoefer / Edizioni Qiqajon / 2015 / pag.125 / € 13
Contiene riflessioni per ogni giorno di dicembre, fino a Natale, che ci invitano ad approfondire il significato della nascita di Gesù e ad accogliere i suoi doni spirituali. Questo non per puro esercizio di comprensione astratta e intellettuale, bensì affinchè ogni giorno della nostra vita possa essere una traduzione concreta del mistero dell’Incarnazione. È ricco di esempi che ci possono aiutare nel quotidiano. Natale ogni giorno. Per riscoprire i preziosi doni di Gesù / Marco Gionta / 2015 / San Paolo / pag.144 / € 13
Si può vivere le nostre relazioni oltre la morte? La domanda è dolorosa quando ci capita di perdere una persona cara. Se un punto fermo, accanto alla preghiera e alla vicinanza di amici e fratelli, può essere il libro di Carlo Maria Martini Credo la vita eterna, questo testo di Grun ci aiuta con alcune indicazioni pratiche a dire addio alla persona amata e a dare spazio al lutto nel nostro cuore. Il lutto infatti, sostiene l’autore, è amore che continua al di là della morte. Se infatti la perdita di una persona cara può scuotere le fondamenta della nostra esistenza e mettere in gioco la nostra identità diventa necessario ricevere consolazione e aiuto e, nel caso dell’accompagnatore di una persona in lutto, darli. Come instaurare una relazione con il defunto in modo che diventi un compagno di strada da integrare nella nostra esistenza? In una dimensione di fede poi, sarà possibile attingere alla consolazione che viene dal mistero della Resurrezione di Cristo, perchè per esperienza provata l’amore vince la morte. Vivere il lutto significa amare / Anselm Grun / 2015 / Queriniana / pag.168 / € 14
30
BEATI I MISERICORDIOSI
Il volume, curato dal religioso sacramentino Giuseppe Bettoni, raccoglie gli interventi che il Card. Martini ha dedicato alle persone consacrate durante il periodo tra il 1980 e il 2002. Divisa in quattro parti, l’antologia approfondisce sia gli aspetti fondativi della vita consacrata come il primato della Parola, dell’Eucaristia, della carità, sia gli aspetti legati alla missione, ad alcune figure storiche che hanno segnato profondamente la vita monastica e consacrata nella Chiesa, fino ad affrontare il grande interrogativo sul futuro che attende i consacrati. “Nessuno può prevedere ciò che Dio sta facendo nascere attraverso le doglie della nostra travagliata storia contemporanea, tuttavia i religiosi sanno bene che cosa è chiesto loro di essere. Vite donate per il servizio dell’uomo, fraternamente radicate nell’amore di Cristo e capaci di una fede risplendente come lampada in una società talora confusa e dimentica dei valori essenziali”. Per amore, per voi, per sempre. Parole ai consacrati / Carlo Maria Martini / 2013 / Ancora / pag.239 / € 18
L’autore, attraverso la lectio divina, ripercorre alcune parole chiave del Convegno della Chiesa Italiana di Firenze a partire da uno di quei “dieci gesti” che l’evangelista Matteo ci fa contemplare come coordinata per ritrovarci nella nostra piena umanità. Dopo aver ammaestrato le folle e i discepoli con le “dieci parole” delle beatitudini, Gesù compie “dieci gesti” di guarigione attraverso cui ci viene indicato il cammino per diventare uomini e donne più veri, più affidabili, più umani. Per un nuovo umanesimo, sul quale il Convegno si interroga, bisogna tornare al Vangelo lasciando che non solo le parole, ma anche le azioni del Signore diventino il sale e il lievito per essere nel mondo secondo il nostro tempo. Cinque importanti verbi sono offerti per giungere ad un umanesimo concreto, plurale e in ascolto: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Venite e guarite, I “dieci gesti” di Gesù per una nuova umanità / Fratel Michael Davide / 2015 / San Paolo / pag.160 / € 14
Il libro guarda alla vita nascosta di Maria che si snoda tra la casa di Nazareth e il cenacolo di Gerusalemme per imparare dal suo quotidiano, dai suoi gesti, dalle sue parole, dai suoi sentimenti a non vivere senza mistero, ad abitare la nostra terra amando le cose di ogni giorno, dilatando le relazioni, salvando lo stupore della fede e reincantando la vita. “Perché in quella casa e in quell’atmosfera sono le radici nascoste della Chiesa”(Joseph Ratzinger). Le case di Maria / Ermes Ronchi / 2006 / Paoline / pag.160 / € 10
Santo Natale O Gesù, che ti sei fatto Bambino per venire a cercare e chiamare per nome ciascuno di noi, tu che vieni ogni giorno e che vieni a noi in questa notte, donaci di aprirti il nostro cuore. Noi vogliamo consegnarti la nostra vita, il racconto della nostra storia personale, perché tu lo illumini, perché tu ci scopra il senso ultimo di ogni sofferenza,
dolore, pianto, oscurità. Fa’ che la luce della tua notte illumini e riscaldi i nostri cuori, donaci di contemplarti con Maria e Giuseppe, dona pace alle nostre case, alle nostre famiglie, alla nostra società! Fa’ che essa ti accolga e gioisca di te e del tuo amore. Carlo Maria Martini
ESPERIENZE DI VITA, LA RIVISTA è ON LINE è possibile leggere la rivista “Esperienze di Vita” direttamente in rete, cioé senza avere materialmente tra le mani la stessa rivista in formato cartaceo. La rivista in formato cartaceo che ognuno di noi riceve può diventare un dono a qualche familiare, amico o conoscente che possa avere un interesse per il discorso religioso e di vita evangelica, e che magari si intende avvicinare al “Gruppo”.
NEWSLETTER Per tutti c’è la possibilità di iscriversi al sito internet www.piccologruppo.it e ricevere aggiornamenti sulle proposte e il cammino della Comunità.
31
S A N T O NATALE 2 0 1 5
www.piccologruppo.it
Il Natale ĂŠ un esodo dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dal nostro naturale egoismo, a Dio che ride come un bambino. (Ungaretti)