TEORIA DEI MASSIMI INSTABILI Piero Alquati Arrangiamoci a tentare di evitare il peggio Le opinioni che voglio esprimere a molti parranno deliranti ma, forse, è il delirio la liberazione dall'usuale e, con esso, dall'errore originale. La malattia ereditaria delle anche del cane, definita ormai volgarmente displasia, è un incubo che diviene un imprendibile e temibile killer che danneggia le razze, incentiva utili per le sue indagini, confonde gli allevatori e deprime i proprietari. E' ormai dal lontano 1964 che mi confronto con questo male, quando acquistai il Sieger della classe giovani del Campionato SV Aro v. Worringer Reitweg. Con lui scoprii il problema perché gli allevatori tedeschi mi fecero notare che era molto importante il contrassegno stampato sul suo pedigree il quale diceva: "A befund". Una ricerca che da tempo quegli allevatori silenziosamente effettuavano. Tacevano anche sul riproduttore displasico Lido v.d. Wienerau, che è nei grandi ceppi, come lo fu per l'Auslese Caro Schaafgarten, nonno del Sieger Dick Adeloga, la cui fasulla esenzione mi permise di acquistare l'allevamento in Germania, posto a fianco dell'Allevamento di Walter Martin e prossimo a quello di Hermann Martin, perché il proprietario di Caro, lo svizzero Richner, dovette, per questo dolo, precipitosamente abbandonare la Germania. Le avventure per contrassegnare i cani di allora con il timbro di esenzione erano infinite, molto costose, soprattutto per i lunghi viaggi che erano imposti per trovare in Germania un Veterinario autorizzato alla prova radiografica i cui esiti erano solo valutati dal Centro di lettura scelto dalla SV. Nascono strutture anche in Italia Il problema era grave e le cose migliorarono in fretta istituendo Centri di lettura anche in Italia. Ansie, delusioni, piccole speranze si alternavano. Le matrici dei grandi danni del male furono individuate, ma nulla di più: come del resto avviene tuttora. Se consideriamo che dal 1964 siano stati pre-radiografati e radiografati almeno 3000 cani all'anno (e molti anni furono di più) per quasi 40 anni comporta un ammontare di oltre 120.000 cani sottoposti ad indagine esenti e scartati. Se attribuiamo una spesa media di 250 euro costituita da pre-radiografia, radiografia e lettura, viaggi conseguenti e ore di lavoro perdute, l'allevamento del pastore tedesco in Italia si è fatto carico di una spesa di circa 30.000.000 di euro, dimenticando gli interventi chirurgici, spesso impropri, effettuati a cani anche in età avanzata. Se dovessimo ampliare questa presunzione di spesa sostenuta per tutte le altre razze e per tutti gli Stati interessati, sortirebbe una cifra da capogiro o di supina sottomissione ad un vano programma sanatorio. Le ragioni del male A coloro che penseranno quanto sia inutile piangere sul latte versato, replico che possiamo consolarci constatando il diradarsi dei casi più gravi anche se ancora si vedono insorgere disastri. La frequenza della patologia, distinta nei gradi d'intensità convenuti, oggi omologati dal protocollo FCI, rimane intorno ai dati d'origine e, pertanto, si può dedurre che il criterio adottato non ha generato gli effetti sperati. I presupposti della metodologia sono concettualmente errati perché una semplice analisi fenotipica delle anche sarebbe utile per il miglioramento di un carattere mendelliano,
come lo sarebbe monitorando il colore degli occhi. Togliendo dalla riproduzione i soggetti con occhi chiari, ed individuando con appositi accoppiamenti i portatori di questo difetto, sarebbe possibile, anche con notevole impegno e con sacrifici zootecnici, ottenere dei risultati. Questo male coinvolge diverse architetture ossee, quali la cavità acetabolare, la conformazione della testa del femore, la conseguente lassità tendindinea, l'inclinazione del collo del femore; altrettanto possono gravare diverse patologie su queste parti e tanto altro ancora. Un quadro anatomico e patologico tanto complesso coinvolge la funzione di molti geni la cui espressione è influenzata da fattori ambientali (peso ponderale, costituzione, alimentazione, movimento, traumi occasionali, ecc.). Queste considerazioni sarebbero bastate per prevedere che, attraverso la semplice indagine radiografica (fenotipica), i risultati sarebbero stati pressoché modesti. Il risanamento di una patologia tanto complessa avrebbe dovuto adottare, da subito, un programma capace di scindere le responsabilità genetiche da quelle ambientali e valutare il comportamento patologico seguendo i criteri della genetica quantitativa, trattandosi di un male dovuto a più geni e a molti fattori. Inoltre avrebbe dovuto perfezionare il grado di ereditarietà e di ereditabilità, scisso per singola razza a grande diffusione. Come sarebbe stato importante individuare le possibili correlazioni della displasia delle anche con altri caratteri, essendo ormai noto che la scelta preferenziale di alcuni caratteri, anche diversi per tipo e natura, è legata da un nodo indissolubile per cui, selezionandone uno, si promuove anche l'altro. Solo per esempio, ben inteso, potrebbe accadere che una pressione selettiva intesa a selezionare il colore scuro degli occhi possa correlarsi alla presenza della displasia. Propositi scarsamente efficaci Tutti questi propositi non hanno indotto i centri di lettura a fornire concrete informazioni per meglio rinnovare e canalizzare i criteri selettivi suggerendo, e distinguendo palesemente, agli allevatori i migliori ceppi o i migliori riproduttori sempre celati da un diritto di privacy che, in zootecnia, diviene un mezzo per disastrare le razze e per tutelare alcune tasche. Di recente, in Germania, la SV ha istituito lo Zuchtwert. Questo rappresenta un indice che, attraverso una quantificazione numerica, suggerisce, un orientamento e una strada per il risanamento di questa patologia anche se i suoi effetti sono spesso remoti, indicativi di frequenze e non individuali e guardati dall'allevatore, quando le sue indicazioni sono favorevoli, piuttosto come un vanto economico che come un mezzo rassicurante. Un "esente" equivoco La dichiarazione "esente da displasia" è impropria perché, sebbene le anche di un soggetto possano essere dichiarate "normali", non implica che quel soggetto non trasmetta la displasia e pertanto, non dovrebbe essere dichiarato "esente da displasia". L'esenzione dichiarata, infatti, è semplicemente fenotipica e non genotipica e definire un cane "esente da displasia" con anche normali è improprio. In un'ottica genotipica è invece vero che un cane, il cui esito radiografico è valutato "quasi normale", ma che ha prodotto un elevato numero di soggetti esenti, va considerato "più esente" del cane la cui indagine fenotipica ha permesso di dichiarare le sue anche
"normali" mentre si è a conoscenza che questo ha prodotto un elevato numero di soggetti displasici Scontate, ma utili premesse Tante premesse, anche già note e per certi versi tediose, per permettermi l'audace proposito di esprimere un'empirica opinione personale sulla patologia, dopo cinquant'anni di lavoro selettivo. In questi ultimi anni ho allevato con una certa intensità, proponendomi non tanto il successo agonistico quanto quello dell'innalzamento medio qualitativo della mia produzione, ritenendolo oggi un proposito primario, maggiore della produzione di alcune punte. Nel corso di questo lavoro, rifacendomi anche all'esame di molti soggetti famosi nella razza, ho potuto riscontrare che il più delle volte il miglior innalzamento delle media qualitativa delle anche proviene da soggetti esenti, anche non perfettamente, ma piuttosto dotati di costruzioni essenziali, ossia senza abbondanze labiali, con muscolatura tenace, non predisposti al gigantismo e dotati di costruzioni mesomorfe non appesantite. Molte di queste caratteristiche sono ovvie ma nell'insieme, compresa la non perfetta esenzione, rappresentano un quadro favorevole molto più di quello fornito da soggetti completamente esenti. I massimi instabili Su questa osservazione ho riflettuto e una spiegazione plausibile mi è venuta da Federico Tesio, grande ippologo ed allevatore, amico dei migliori scienziati della sua epoca. Tesio, come allevatore, aveva il proposito che un cavallo andasse nel tempo più breve da un punto di partenza ad un palo di arrivo. Studiò ceppi e risultati consultando annotazioni stilate già nel settecento. Con grande sorpresa scoprì che i grandi vincitori erano prodotti da cavalli che non avevano mai vinto il meglio delle competizioni e che, una volta raggiunto il massimo del successo, la loro stirpe tendeva a decadere. Tesio stipulò così la teoria dei "massimi instabili". Riflettendo sulla sua intuizione ho convenuto che vi è una ragione materiale del pensiero tesiano quando dovessimo unire, ad esempio, due pastori tedeschi al massimo conosciuto della taglia. Immaginiamo cm. 74 per il maschio e cm. 66 per la femmina: due misure che io ho avuto occasione di accertare. Questi casi, probabilmente, sono il massimo della taglia che il genoma della razza riesce ad esprimere, perché è facile intuire che non vi sono contenute memorie tali da generare un pastore tedesco alto cm. 120. Io stesso ho avuto occasione di notare che una femmina tanto grande, impiegata in razza, con un cane alto, al massimo consentito della taglia, ha prodotto figli grandi ma di altezza contenuta ed i suoi discendenti, comunque, non hanno più generato i suoi eccessi. Questo perché, dice il Tesio, una discendenza, arrivata al meglio della selezione, dopo qualche generazione, non può che recedere. Probabilmente accade qualcosa del genere anche per la displasia che, essendo male radicato nella razza, quando si vede sconfitta dalla presenza di anche "normali" tende a ribellarsi e a ridestarsi rabbiosamente. Mai come in questo caso vale il detto "non svegliar il can che dorme".
Arrangiamoci a tentare di evitare il peggio Molti insorgeranno subito affermando che io sostengo che per produrre i cani esenti da displasia servano soggetti lievemente displasici e, irriducibilmente legati a protocolli ormai chiaramente inefficaci, provocheranno ironiche risate. L'intento del mio empirico assioma ha invece il solo scopo, in attesa che la Scienza dia qualche concreto suggerimento in cambio dei 30.000.000 euro spesi per una sola razza in Italia, di dubitare della validitĂ del metodo sanatorio e, nel frattempo, di tentare qualche espediente per evitare il peggio. Un programma il cui ammontare, se moltiplicato per le altre razze e per le Nazioni di tutto il mondo, si concreterebbe in una cifra da capogiro (circa 1.000 miliardi delle vecchie lire). Va ancora ricordato agli Scienziati che il proposito di un Allevatore non è solo quello di selezionare cani esenti, ma altrettanto belli e sani nel corpo e nella mente, diversamente il successo sarebbe inutile. Qualunque proprietario tra un cane esente che morde suo figlio e ha gravi problemi intestinali, opta per un cane equilibrato, sano, afflitto da leggeri segni di osteoartrosi e, se non invogliato ad effettuare esami radiografici, non si accorgerĂ di nulla come quando le strumentazioni radiografiche erano solo a disposizione di pochi ammalati benestanti. Â