1968 a Salerno - Miti, Utopie e Speranze di una generazione

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Con i contributi di

Les murs ont des oreilles. Vos oreilles ont des murs. Camarades vous encoulez les mouches.

PROVINCIA DI SALERNO

Make love - No war.

68 S

Jouissez ici et maintenant. Les syndacats sont des bordels.

a

La rage au ventre. ’ Pouvoir etudiant.

Je suis marxiste tendance groucho.

’ Deboutonnez votre cerveau aussi que votre braguette.

a cura di

68 S

’ Soyez realistes, demandez l’impossible.

Piero Lucia e Francesco Sofia

a

’ toi. Cours camarade, le vieux est derrier

alerno

Miti, Utopie e Speranze di una generazione

alerno

GUSEPPE ACOCELLA FERDINANDO ARGENTINO ANTONIO CAIELLA GIUSEPPE CANTILLO BIAGIO DE GIOVANNI LUCIA DI GIOVANNI MICHELE FORTUNATO SALVATORE GALIZIA GIANNI IULIANO MASSIMO LA VIA PASQUALE LENZA PIERO LUCIA PAOLO PETRACCARO LUIGI PIZZA ERNESTO SCELZA FRANCESCO SOFIA

I

Ici on pense. ’ c’est la conscience de la necessite. ’ ’ La liberte, ’ ’ ’ Je decrete l’etat de bonheur permanent.

Maggio ‘68 - scritte sui Muri di Parigi

Progetto Grafico e Copertina a cura di MASSIMO La Via

è

Associazione Culturale

è Associazione Culturale

PROVINCIA DI SALERNO

l volume raccoglie gli interventi al convegno su “Il '68 a Salerno: Miti, Utopie e Speranze di una generazione”, tenutosi il 22 maggio 2008 al palazzo della Provincia con il concorso di un pubblico folto ed eterogeneo (protagonisti dell'epoca, studenti liceali ed universitari, giovani studiosi, docenti, archivisti, sindacalisti, imprenditori). E' stato organizzato dalla neonata associazione “Pensiero è Libertà”, grazie soprattutto all'impegno di Pasquale Lenza, e d i M a s s i m o L a Vi a , f o n d a t o r i dell’associazione, con la disponibilità dell'Amministrazione Provinciale, in particolare del Vice-Presidente, Gianni Iuliano. Perché un convegno sul '68? A distanza di qualche decennio, il '68 (e gli avvenimenti ad esso collegati) rimane, nella sua complessità, un oggetto difficile da ricostruire, che si presta a manipolazioni, deformazioni, colpevolizzazioni, da parte di chi lo esalta o, al converso, lo demolisce. A mo' di esempio, è ritenuto responsabile di aver provocato una serie di permissivismi dannosi e deteriori, nella scuola e nell'università, per la formazione dei giovani studenti, abbassandone radicalmente la cultura e la qualità della preparazione e l'intensità dello studio. E' considerato, per vari aspetti, l'inizio di forme esasperate e violente di lotta politica e di rivendicazioni sindacali, se non proprio il padre degli anni di piombo. Ma le cose andarono diversamente da quella che è la vulgata corrente. In realtà, almeno tre tipologie di conflitto sono individuabili: di classe, di generazione, di genere. Gli autori si sono confrontati, evitando commemorazioni personali ed autocelebrative, con i nodi problematici connessi al ‘68.




IL '68 A SALERNO MITI UTOPIE E SPERANZE DI UNA GENERAZIONE a cura di

PIERO LUCIA e FRANCESCO SOFIA


ProprietaĂ letteraria riservata


FRANCESCO SOFIA

Introduzione Il volume raccoglie gli interventi al convegno su Il '68 a Salerno: Miti, Utopie e Speranze di una generazione, tenutosi il 22 maggio 2008 al palazzo della Provincia con il concorso di un pubblico folto ed eterogeneo (protagonisti dell'epoca, studenti liceali ed universitari, studiosi di etaÁ giovane, docenti, archivisti, sindacalisti, imprenditori). EÁ stato organizzato dalla neonata associazione Pensiero eÁ libertaÁ, che ha avuto tra i primi promotori il Presidente Pasquale Lenza ed il Vice-Presidente Massimo La Via, e grazie alla disponibilitaÁ dell'Amministrazione Provinciale, in particolare del Vice-Presidente, Sen. Gianni Iuliano. Perche un convegno sul '68? A distanza di qualche decennio, il '68 (e gli avvenimenti ad esso collegati) rimane, nella sua complessitaÁ, un oggetto dif®cile da ricostruire1, che si presta a manipolazioni, deformazioni, colpevolizzazioni, da parte di chi lo esalta o, al converso, lo demolisce. A mo' di esempio, eÁ ritenuto responsabile di aver provocato una serie di per1

Mi limito a segnalare l'agile sintesi di M. TOLOMELLI, Il Sessantotto. Una breve storia, Carocci, Roma 2008; Cosa vogliamo? Vogliamo tutto. Il '68 quarant'anni dopo, a cura di C. Arruzza, Edizioni Alegre, Roma 2008; A. BRAVO, A colpi di cuore. Storie del sessantotto, Laterza, Roma-Bari 2008; R. LUMLEY, Dal '68 agli anni di piombo. Studenti e operai nella crisi italiana, Giunti, Firenze 1998; G. C. MARINO, Biogra®a del Sessantotto. Utopie, conquiste, sbandamenti, Bompiani, Milano 2004; P. ORTOLEVA, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Editori Riuniti, Roma 1988; G. VIALE, Il 68 tra rivoluzione e restaurazione, NdA Press, Rimini 2008 (in appendice: Contro l'universitaÁ, giaÁ in «Quaderni Piacentini», 33, febbraio 1968); dichiaratamente di parte eÁ N. BALESTRINIP. MORONI, L'orda d'oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Feltrinelli, Milano 20074, che contiene gran quantitaÁ di materiali, documenti, spunti e ricostruzioni; interessante la ricostruzione di A. LEPRE, Storia della prima Repubblica. L'Italia dal 1943 al 2003, SocietaÁ editrice il Mulino, Bologna 2004, pp. 195222 (Il centro-sinistra), 223-249 (Il Sessantotto), 251-287 (Gli anni della solidarietaÁ democratica); un'analisi statistica eÁ in S. TARROW, Democrazia e disordine. Movimenti di protesta e politica in Italia. 1965-1975, Laterza, Roma-Bari 1990. Una bibliogra®a completa, a cura di Massimo la Via, eÁ in questo volume.

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missivismi dannosi e deteriori, nella scuola e nell'universitaÁ, per la formazione dei giovani studenti, abbassandone radicalmente la cultura e la qualitaÁ della preparazione e l'intensitaÁ dello studio2. EÁ considerato, per vari aspetti, l'inizio di forme esasperate e violente di lotta politica e di rivendicazioni sindacali, se non proprio il padre degli anni di piombo. Ma le cose andarono diversamente da quella che eÁ la vulgata corrente. In realtaÁ, almeno tre tipologie di con¯itto sono individuabili: di classe (con la ripresa delle lotte soprattutto nel settore industriale), di generazione (segnato da una rottura-contrapposizione tra la nuova generazione e la precedente), di genere (connotato dall'emergere di un protagonismo femminile di massa ed autonomo)3. I nodi problematici connessi al '68, e con i quali tutti gli autori presenti in questo libro si sono confrontati nel ricostruire la realtaÁ salernitana, evitando commemorazioni personali ed auto-celebrative, sono parecchi: d la ricostruzione avvenimenziale, non limitata strettamente all'anno '68, ma durevole almeno ®no a tutti gli anni Settanta, apparsa immediatamente necessaria; 4 d le lotte e le rivendicazioni degli studenti liceali e universitari , dall'iniziale unitarietaÁ alla disseminazione e frammentazione; 5 6 d le lotte operaie e il collegamento tra studenti ed operai (Operai e studenti uniti nella lotta); 2

Cf. M. VENEZIANI, Rovesciare il '68. Pensieri contromano su quarant'anni di conformismo di massa, Mondadori, Milano 2008. 3 Cf. D. GIACHETTI, Un Sessantotto e tre con¯itti. Generazione, genere, classe, BFS Edizioni, Pisa 2008. 4 Cf. Documenti della rivolta universitaria, a cura del Movimento studentesco, Laterza, Roma-Bari 2008, (ristampa anastatica dell'edizione 1968). 5 Su cui cf. L'operaismo degli anni Sessanta. Da «Quaderni rossi» a «Classe operaia», a cura di G. Trotta e F. Milana, con un saggio introduttivo di M. Tronti, Derive Approdi, Roma 2008; cf. anche Gli autonomi. Le storie, le lotte, le teorie, a cura di S. Bianchi e L. Caminiti, Derive Approdi, Roma 2007. 6 Secondo il Lepre «La protesta operaia ebbe origini e motivazioni diverse da quella degli studenti. Essa fu espressa in un primo momento dagli operai specializzati; l'iniziativa passoÁ poi agli operai non quali®cati [...] Era anche questo il signi®cato dell'ideologia del salario come ``variabile indipendente'', non legato alla situazione economica o all'aumento della produttivitaÁ» (Storia della prima Repubblica. cit., p. 235).

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Introduzione d

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l'elaborazione di pratiche anti-istituzionali tra spontaneismo, assemblearismo e teorizzazione del ruolo delle eÂlites politiche ed ideologiche; la formazione di gruppi e il loro rapporto critico con i partiti e i sindacati (in particolare, con le forze storiche della Sinistra); il ruolo (e la centralitaÁ) della vasta area comunemente indicata come ``dissenso cattolico''7, critica dell'individualismo. il con¯itto generazionale tra padri e ®gli, quale ulteriore possibilitaÁ di leggere il '688; la ricezione, penetrazione e diffusione degli avvenimenti internazionali, nonche di autori, libri, testi, forme culturali diverse, se non opposte (anche realizzate in loco), i relativi circuiti e tramiti9; la crescita di una coscienza e la formazione di gruppi femministi; le trasformazioni tangibili nel costume e nelle pratiche quotidiane, rispetto alle precedenti forme della sociabilitaÁ e di aggregazione, in particolare giovanili10.

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Si pensi a «Il Genovesi», rivista bimestrale di politica e cultura, diretta da Alfredo Capone, maturata nel 1961 nell'ambito della FUCI e pubblicata ®no al luglio 1962; vi lavorarono Lucio Avagliano, Guglielmo Barela, Giuseppe Cantillo, Renato Fuccella, Edoardo Guglielmi, Andrea Manzella, Vittorio Salemme, Antonio Vitale. L. Pedrazzi scrisse: ``Esiste tra noi una grande consonanza di pensieri e di sentimenti: le vostre posizioni [...] sono per noi, non solo validissime, ma estremamente interessanti perche eÁ stato ed eÁ questo il nostro stesso impegno''. 8 La questione eÁ stata messa in rilievo ef®cacemente da Franco D'Acunto in un intervento verbale durante un incontro sul '68 a Salerno, tenutosi il 3 aprile 2008 presso la sede di Salerno Energia. Per un'analisi generale, cf. L. ZOJA, Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualitaÁ e scomparsa del padre, Bollati Boringhieri, Torino 2000; larga diffusione ebbe A. MITSCHERLICH, Verso una societaÁ senza padre. Idee per una psicologia sociale. Giusti®cazione e critica dell'autoritarismo, Feltrinelli, Milano 1970. 9 Sulle riviste che ri¯ettevano la cultura del '68, cf. G. BECHELLONI, Cultura e ideologia della nuova sinistra. Materiali per un inventario della cultura politica delle riviste del dissenso marxista, ComunitaÁ, Milano 1972. Su quelle della Destra cf. M. BOZZI SENTIERI, Dal neofascismo alla nuova destra. Le riviste 1944-1994, Nuove Idee, Roma 2007. 10 Per esempio, ®no ai primi anni Sessanta «conservando una abitudine tipicamente ottocentesca, gentildonne e gentiluomini salernitani, dopo la messa di mezzogiorno all'Annunziata si portavano al bar Varese, allora al larghetto Santa Lucia per l'aperitivo. Il

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l'avvio del processo di recessione economica di ®ne anni '60 e degli anni '70 a Salerno, i precedenti tentativi di farne una realtaÁ industriale, la composizione socio-professionale della cittaÁ11; il con¯itto con i gruppi e i militanti della Destra e dell'estrema Destra12.

In apertura, Gianni Iuliano esorta ad evitare il rischio di un sentimentale amarcord, traccia il clima politico nazionale ed internazionale, considera che «il '68 spazzoÁ via tutte le certezze, i dogmi, i miti falsi e le ipocrisie che avevano caratterizzato la societaÁ italiana ®no ad allora». Quella stagione, in¯uenzando profondamente le coscienze individuali e collettive, ha stimolato una classe dirigente piuÁ capace di senso critico e piuÁ attenta alle dinamiche di una societaÁ in cambiamento. «I giovani di oggi sono forse alla ricerca di un qualcosa che noi, per fortuna, in quegli anni riuscimmo a trovare». Pasquale Lenza ri¯ette sul '68 come «primo esempio di globalizzazione», sui cambiamenti dei modi di vivere, sui movimenti marciapiedi che collegava la chiesa al bar era, settimanalmente, occasione di incontro e di intreccio tra famiglie note e spesso potenti. Dall'altro lato della strada, dal lato del bar Vittoria, circolavano invece pensosi o animati in discussioni gli intellettuali piuÁ in vista. All'interno del bar, nella saletta antica che dava sul lungomare, in alcune domeniche, vi era Enrico De Nicola che da Torre del Greco veniva a prendere il caffeÁ a Salerno. Anche questo era Salerno. Una cittaÁ che si manifestava ®sicamente, che faceva corrispondere ai luoghi distinzioni sociali e civili, oltre che abitudini. I luoghi ricordavano e rappresentavano le stagioni», cosõÁ descrive la cittaÁ negli anni '50 e primi '60 L. GIORDANO, La cittaÁ rimossa. Cronache di vita culturale salernitana tra il 1949 e il 1963, Pietro Laveglia, Salerno 1982, p. 18; negli anni Sessanta una funzione non trascurabile di aggregazione fu svolta dai cineforum e dai circoli (La Scacchiera e Il Ridotto), frequentati ed animati da giovani, che poi aderirono al movimento del '68; cf. E. BARONE, Le stagioni di via Cannonieri. ``Il Ridotto'': un'aggregazione giovanile salernitana degli anni sessanta, Elea Press, Salerno 1995. 11 Cf. G. PANICO, Ritratto di borghesie meridionali. Storia sociale dei salernitani nel Novecento, Avagliano, Roma 2005, in particolare alle pp. 159-218; L. GIORDANO, La cittaÁ rimossa. Cronache cit. 12 In Italia giaÁ da anni erano in atto tentativi e proposte destabilizzanti, con ipotesi di derive autoritarie ed antidemocratiche (la Grecia dei colonnelli, il convegno al Parco dei Principi ...); cf. M. FRANZINELLI, La sottile linea nera. Neofascismo e Servizi Segreti da piazza Fontana a Piazza della Loggia, Rizzoli, Milano 2008; cf. anche L. TELESE, Cuori neri, Sperling & Kupfer, Milano 2006 (il tragico evento di C. Falvella eÁ alle pp. 26-62).

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cattolici, sulla musica. Esplicita le motivazioni della neonata associazione ``Pensiero eÁ LibertaÁ'' che, in vari modi, sono ricollegabili a quanto avvenne quarant'anni fa. «Ci proponiamo di stimolare e mantenere vivo un continuo confronto sulle idee [...] Un percorso che speriamo possa essere fecondo nell'interesse di tutta la cittaÁ. Continuare rafforzando lo spirito aggregativo originario da cui ha preso avvio questo nostro tentativo che diventi Ð di nuovo Ð tema portante. PiuÁ che nostalgia o rimpianto mi sembra un'obbligata necessitaÁ». Piero Lucia, autore, in questi ultimi anni, di due libri importanti, (sugli intellettuali italiani e sull'industria tessile salernitana13), nel '68 studente al liceo ``De Sanctis'', uno dei promotori del ``movimento del 23 agosto'', propone un ampio, articolato e convincente saggio, nel quale ricostruisce, cronologicamente ed onomasticamente, il contesto di quel periodo (gli studenti, i gruppi, le richieste, le scuole occupate, gli obiettivi raggiunti), gli avvenimenti ®no a tutti gli anni '70, li inserisce nella dinamica economica cittadina e provinciale (i poli di sviluppo, l'ISVEIMER del grand commis e sindaco Alfonso Menna14, la Marzotto), sociale (soprattutto Eboli e Battipaglia, di cui fornisce una lettura condivisibile ed approfondita Ð si pensi all'interpretazione che ne fu, invece, data da Potere Operaio, in termini di coscienza strutturata Ð), politica (gli equilibri interni alla DC, il con¯itto De Mita-Scarlato, le tensioni PSI-PCI, le linee all'interno del PCI di fronte alla protesta giovanile) e sindacale (il ruolo del Sindacato nel garantire la tenuta democratica in opposizione a moti populistici e ribellistici e nel saper interpretare i bisogni dei lavoratori). Conclude individuando una serie di strade ed ipotesi praticabili per uno sviluppo possibile, con l'attenzione tutta rivolta ad un impegno collettivo rinnovato nella realtaÁ presente: «Ricerca 13 Cf. P. LUCIA, Intellettuali italiani del secondo dopoguerra. Impegno, crisi, speranza, Guida, Napoli 2003; ID., Nel labirinto della storia perduta. Apogeo e ®ne dell'industria tessile a Salerno, Guida, Napoli 2006. 14 Cf. N. LISI, Un uomo inquieto alla guida dell'ISVEIMER. Alfonso Menna: 19631974, De Luca, Salerno 1992.

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scienti®ca, ambiente e territorio appaiono pertanto le basi essenziali su cui eÁ possibile innestare processi virtuosi di crescita e di sviluppo. In larga parte della Campania un tale circuito virtuoso purtroppo appare, ancora per un prevedibile lungo arco di tempo, decisamente compromesso. [...] Nel prossimo futuro i settori tradizionali daranno un contributo alla crescita ben inferiore a quello del passato, nel mentre ricerca scienti®ca ed innovazione tecnologica, ricerca applicata, acquisizione e moltiplicazione della conoscenza, dovrebbero poter rappresentare il volano essenziale su cui far leva per la valorizzazione del grande patrimonio ambientale, storico, culturale, che ci eÁ stato trasferito e che abbiamo il dovere di salvaguardare e di difendere. Questi, nell'immediato, saranno sempre piuÁ i terreni privilegiati su cui si potranno garantire piuÁ ampi e duraturi livelli della crescita». Giuseppe Acocella, nel '68 giovane studente universitario a Napoli, forte anche della sua militanza attiva nella CISL, sviluppa una ri¯essione sulla peculiaritaÁ della valenza cattolica riscontrabile nel Sessantotto. Non Marcuse o Mao, ma don Lorenzo Milani, «che invitava allo studio e al sacri®cio, necessario per i ®gli dei poveri, e non alle scorciatoie dei ®gli di papaÁ che intendevano regolare i conti con i propri padri per poi goderne la protezione». Non l'astratto formalismo degli intellettuali sedicenti rivoluzionari, ma «i preti impegnati nella ricerca della partecipazione per tutti, della giustizia, dell'eguaglianza». Tre furono le strade imboccate dal Sessantotto cattolico: 1) l'approdo «all'ideale della palingenesi strettamente politica e al marxismo e addirittura al terrorismo15, con una de®nitiva secolarizzazione della propria posizione»; 2) il ritiro dalla dimensione politica per «coltivare un dissenso interno alla Chiesa di carattere eminentemente anti-devozionistico, teso a valorizzare un cristianesimo ispirato dalla semplicitaÁ evangelica ed operante nella comunitaÁ (®no alla esasperazione delle opere separate dalla fede, come nelle comunitaÁ di base, 15 Cf. anche A. PLACANICA, Segni dei tempi. Il modello apocalittico nella tradizione occidentale, Marsilio, Venezia 1990 (in particolare: Morte e tras®gurazione. Il fascino e l'onnipresenza dei modelli apocalittici, pp. 317-336).

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alla ricerca di una organizzazione autonoma agente soprattutto nel sociale)»; 3) la terza, con grandi aspirazioni alla giustizia sociale, «trovoÁ nella ACLI e nella CISL la possibilitaÁ di concretizzare l'ideale di dare vita al programma degli ``studenti ed operai uniti nella lotta'', riattualizzando la dottrina sociale della Chiesa». Ernesto Scelza (incontestabilmente uno dei leaders del Movimento), attraverso la forma della ballata, recupera, dalla sua memoria personale e dal privato delle relazioni, fatti, persone, e soprattutto sensazioni e sentimenti: il sogno che cresceva, gli echi dell'altra America, il mito del Che e del vecchio Ho, «la cittaÁ che si chiude disperata», il «potere che soffoca le speranze», le scuole che scoppiarono, le botte coi fascisti, il drappo rosso sul balcone del Tasso, il corteo del 9 gennaio, la rivolta che si scontra con il volto duro della repressione, i compagni che non ci sono piuÁ (Capisci, ora, Antonio, // perche eÁ cosõÁ dif®cile accettare una vita banale // perche ci eÁ penoso // vivere // [...] // Capisci perche la cronaca di quegli anni eÁ sempre chiusa in un cassetto // Perche per noi vivere eÁ giocarsi tutto sul cambiamento // Perche eÁ la speranza che daÁ colore ai giardini // ci fa amare la gente // Perche accettare le cose che sono sempre cosõÁ // eÁ morire in silenzio // Senza un grido // Senza l'urlo della mia generazione). Ferdinando Argentino, militante del PCI e responsabile della FGCI, visse in prima persona e da protagonista quella fase, le possibilitaÁ di intervento giovanile, le assemblee, i cortei, portoÁ avanti, rappresentando la Sinistra tradizionale, una linea di autonomia dell'organizzazione giovanile. Nel suo intervento, tra l'altro, osserva che «il movimento degli studenti medi a Salerno, ``protetto'' a livello politico, istituzionale e sociale dalla CGIL e dai partiti della sinistra storica, spostoÁ l'orientamento di grandi masse giovanili in senso democratico e progressista e [...] concorse sul senso e l'indirizzo dei cambiamenti della politica e della societaÁ nel suo complesso, sulla maturazione e formazione della nuova classe politica locale». Luigi Pizza, noto medico psichiatra, analizza in profonditaÁ «le radici di un'altra rivoluzione degli anni Sessanta»: il diverso approc-

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cio e le formulazioni teoriche e culturali, che portarono alla Legge 180 (Legge Basaglia). Si trattoÁ di temi che furono molto presenti nella dialettica culturale dell'epoca, collegati ad una piuÁ generale ri¯essione sulle Istituzioni, sul controllo esercitato dalla classe dominante, sulla produzione del sapere psichiatrico, sul ruolo del medico, sui circuiti di emarginazione, sulla storicizzazione della malattia mentale16. Il Pizza ricorda l'esperienza della comunitaÁ terapeutica nell'ospedale psichiatrico e centro neurologico di Materdomini, diretto dal giugno 1959 al febbraio 1969 da una singolare e coltissima ®gura di psichiatra, ®losofo, psicoanalista, Sergio Piro17, nella quale (intorno al `68) si lavoroÁ, tra l'altro, in alternativa alla violenza addizionale, in collaborazione tra medici, altri operatori, infermieri, al ®ne di garantire spazi di libertaÁ ai ricoverati18. Massimo La Via costruisce uno specimen di bibliogra®a, che risulta particolarmente utile, perche contiene anche un elenco dei periodici e dei fogli dell'epoca, consentendo di avviare ricerche mirate. Giuseppe Cantillo trae le conclusioni del convegno su un duplice piano: da una parte la realtaÁ salernitana (i fenomeni culturali e politici signi®cativi, i fermenti cattolici), dall'altra «il grande cambiamento etico con la straordinaria portata emancipativa e libertaria, ma anche con la grande richiesta di un fortissimo senso di responsabilitaÁ, di autonomia». Conclude soffermandosi su «una delle idee caratteristiche dello ``spirito'' del '68, del suo progetto antropologico e sociale, che ancora oggi merita di essere ripensata: l'idea della ``esteticitaÁ diffusa'', centrale per l'intimo legame che aveva con il progetto del cambiamento, della trasformazione della totalitaÁ della vita». Non si puoÁ non pensare, allora, alla Profezia di una societaÁ 16 Cf. G. CORBELLINI-G. JERVIS, La razionalitaÁ negata. Psichiatria e antipsichiatria in Italia, Bollati Boringhieri, Torino 2008. 17 Cf. S. PIRO, Il linguaggio schizofrenico, Feltrinelli, Milano 1969. 18 Cf. il resoconto in S. PIRO, Le tecniche della liberazione. Una dialettica del disagio umano, Feltrinelli, Milano 1971, pp. 171-184.

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estetica (1968) di Filiberto Menna, un grande intellettuale salernitano, che maturoÁ e lavoroÁ anche a Salerno. Biagio De Giovanni19 insegnoÁ, dal 1971 al 1975, alla facoltaÁ di Lettere e Filoso®a dell'ateneo salernitano, proveniente da Bari (e dall'eÂcole barisienne). Nei suoi Ricordi salernitani, attraverso un ragionamento rigoroso, ricompone la trama di molte vicende, senza alcuna retorica: un Movimento «senza una signi®cativa direzione intellettuale, che ebbe molti caratteri ``plebei'', che gli impedirono una effettiva espansione politica e alleanze signi®cative in cittaÁ»; le lezioni su Vico, Kant, Hegel ..., la sponda del Partito che «faceva da orizzonte possibile di un modo di vedere le cose piuÁ storicamente determinato»; si sofferma sugli anni in cui matura il progetto per la nuova universitaÁ, rammenta come la parte piuÁ forte e ri¯essiva di quella ``nuova gioventuÁ'' con¯uõÁ, dopo quegli anni tumultuosi, anche a Salerno nel PCI (ma «il partito la accolse senza riuscire a comprendere, sul piano nazionale, che quella inedita politicizzazione di massa poteva essere la condizione per una piuÁ coraggiosa trasformazione della propria collocazione»), le segreterie e gli uomini che si successero, «la dif®denza ancestrale che divideva i professionisti della politica dai ``professorini''», la straordinaria esperienza umana compiuta personalmente a Salerno. «E tanti volti, ormai senza nome, tornano alla memoria. Braccianti, operai, studenti, donne, in un partito che sembrava accogliere tutto, ma, alla ®ne si ripresentava con il suo volto centralista, i ``suoi'' uomini, i suoi apparati, le sue convinzioni catafratte». EÁ sembrato, inoltre, opportuno pubblicare alcune delle interviste sul '68 (effettuate da P. Lucia e F. So®a), perche servono a ricostruire gli avvenimenti e le tensioni morali ed ideologiche dell'epoca. Antonio Caiella, operaio all'Ideal Standard e poi sindacalista, costituõÁ un solido punto di riferimento personale e sindacale per le lotte operaie e per la saldatura di un positivo rapporto tra studenti ed 19 ``Pensiero eÁ LibertaÁ'' e i curatori ringraziano il prof. De Giovanni per aver aderito alla richiesta di fornire un suo contributo scritto di analisi e di testimonianza su quegli anni.

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operai. I punti centrali dell'intervista sono: il lavoro in fabbrica all'Ideal Standard, le lotte per la riduzione della distanza tra impiegati ed operai, gli obiettivi speci®ci (quali la mensilizzazione e la contingenza, il riconoscimento del periodo di malattia nella corresponsione del salario), la costituzione del Consiglio di fabbrica e del Consiglio di zona, la presenza del Sindacato a ®anco e a difesa dei lavoratori, la partecipazione attiva della classe operaia alla vita sociale e politica della cittaÁ (particolarmente evidente in alcune circostanze cruciali). Vale a dire, lo strutturarsi di una elevata coscienza, non solo di classe (manifestata anche attraverso un tasso di sindacalizzazione notevole), ma anche civile, in senso lato. Dall'intervista a Lucia Di Giovanni risalta come il ruolo delle donne in una prima fase non fu decisivo, ne centrato immediatamente sulla speci®citaÁ o su obiettivi di genere. Lo svilupparsi di una coscienza femminile e femminista fu fenomeno temporalmente successivo al '68 a Salerno. In effetti, la ricostruzione del femminismo salernitano nel volume non ha lo spazio ampio che meriterebbe; cioÁ eÁ dipeso dal fatto che l'apparire di una presenza femminista eÁ posteriore (primi anni '70), e soprattutto perche motivi di organizzazione tecnica del convegno (i tempi stretti conseguenti) hanno costretto ad una accelerazione repentina, sacri®cando una prospettiva d'intervento che in origine era prevista ben piuÁ ampia e corposa. Tuttavia, la Di Giovanni fa riemergere con chiarezza il clima interno al Collettivo di via Genovesi, le compagne, i dibattiti, l'iniziale subalternitaÁ ai maschi infervorati di discussioni astratte, i processi subiti, le lotte per il divorzio e la difesa della legge sull'aborto. Salvatore Galizia fu tra i fondatori del Movimento studentesco a Magistero. Racconta la sua scelta comunista (del 1964 con le discussioni con i braccianti agricoli), l'inserimento come matricola nel nuovo contesto di studi, individua le prime mosse del Movimento (a partire dal 1966, contro l'autoritarismo accademico), descrive l'abolizione dell'ORU, il contributo e il ruolo di vari docenti alla riuscita dei contro-corsi, rileva l'accentuazione «di parole d'ordine e di obiettivi non sempre adeguati, anzi talora intrisi di astrattezza»,

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sposta con toni critici l'analisi sulla stagione presente della scuola, osservando, in modo inequivocabile, che «occorre rimboccarsi le maniche, studiare, organizzare, lottare». Michele Fortunato non fu presente, eÁ vero, a Salerno nei mesi caldi del 1968-69, ma, essendo impegnato, come operaio prima, e come sindacalista poi, nel difendere i diritti e le conquiste della classe operaia, per di piuÁ in un settore delicato qual era quello tessile, la sua testimonianza diretta eÁ un documento di particolare interesse per gli anni '70, che puoÁ servire per ulteriori e piuÁ mirate ricostruzioni delle dinamiche imprenditoriali ed operaie, e costituisce anche un segno per un'esatta percezione della idealitaÁ morale e politica, e sindacale di quegli anni (si veda il richiamo dei vecchi sindacalisti al giovane che si appresta a ricevere l'ereditaÁ di lotte e conquiste), quando il sindacato sapeva individuare richieste ed obiettivi, bisogni e necessitaÁ fondamentali di larghissime fasce della popolazione e dei lavoratori giaÁ occupati, e non, invece, difendere privilegi, immunitaÁ, privative, o condurre battaglie di retroguardia, come troppo spesso sembra apparire oggi. Paolo Petraccaro nel '68 era matricola al Magistero di Salerno. Delinea il passaggio da forme goliardiche di rappresentanza ad una serie di lotte, iniziative organizzate e richieste (la situazione dell'Istituto, mensa ed alloggi, richiesta dei buoni-libro, ruolo dell'Opera e dell'assistenza universitaria), con un'aspra critica e denunzia nei confronti delle baronie locali e delle distorsioni macroscopiche della didattica. EÁ utile il suo richiamo al fatto che gli studenti non si lasciarono mai andare ad atti vandalici, di distruzione del patrimonio pubblico. Tra i giovani oggi c'eÁ il distacco e la disaffezione dalla politica in quanto tale; l'attuale organizzazione della societaÁ ed i modi di costruzione del consenso determinano il disamore verso i Partiti e la politica. «I giovani corrono il rischio, assai serio, di essere strumentalizzati dalla tecnologia e dalla tecnocrazia, a discapito della Scienza che eÁ la vera conoscenza. EÁ decisivo, percioÁ, un potente rilancio del pensiero critico». Che dire, in conclusione?

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Almeno tre considerazioni vanno fatte: 1. La prima eÁ di ambito locale: eÁ innegabile la necessitaÁ di spingere piuÁ avanti l'analisi, proseguendo gli studi sulla Salerno degli anni '70-'80: economia, politica, ricerca del consenso, ricon®gurazione dell'assetto dei poteri della macchina burocratico-amministrativa, ruolo della Chiesa e della gerarchia, evoluzioni (o trasformazioni?) strutturali, scelte industriali e commerciali, modi®cazioni del territorio, protagonisti e fatti, redditi, variazioni demogra®che e socio-professionali. 2. Dagli interventi riemerge una non spenta carica etica e culturale (dunque non solo ideologica e di parte), che oggi si fa davvero fatica ad individuare nei giovani, negli studenti, negli operai, e in quanti svolgono o ambiscono a fare attivitaÁ politica. E, aggiungo, una non interrotta coerenza ideologica che, certo, ha attraversato evoluzioni e ri¯essioni, per alcuni versi lacerazioni, ma che, sostanzialmente, non ha richiesto, ne prodotto alcun autodafeÂ. E dalla coerenza alla lunga fedeltaÁ il passo eÁ, a mio avviso, molto breve. 3. Nella fase attuale, eÁ tempo, ormai, dopo il pensiero negativo, il pensiero debole, i dibattiti su strutturalismo e marxismo, la storia debole, le magni®che sorti e progressive, le cadute dei muri, l'economicismo a tutti i costi, le globalizzazioni enfatizzate ed edulcorate, di riguardare criticamente la realtaÁ presente e i modelli di sviluppo proposti o imposti, di ritornare, questo sõÁ, a rileggere i classici della politica e dell'economia, senza gli in®ngimenti e le forzature ideologiche di decenni fa. «Ogni uomo s'ingegna di procurare all'altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacri®cio, per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica. Ognuno cerca di creare al di sopra dell'altro una forma essenziale estranea per trovarvi la soddisfazione del proprio bisogno egoistico. Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri estranei

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Introduzione

ai quali l'uomo eÁ soggiogato, e ogni nuovo prodotto eÁ un nuovo potenziamento del reciproco inganno e delle reciproche spoliazioni»20.

20 La citazione dai Manoscritti economico-®loso®ci del 1844 eÁ in K. MARX, Antologia. Capitalismo, istruzioni per l'uso, a cura di E. Donaggio e P. Kammerer, Feltrinelli, Milano 20072, p. 81.

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GIANNI IULIANO

Quarant'anni dopo Parlare del '68 dopo 40 anni da parte di chi ne eÁ stato protagonista, o in qualunque misura partecipe, puoÁ far correre il rischio di un romantico e sentimentale ``amarcord'' che puoÁ interessare al massimo chi quegli eventi ha personalmente vissuto. Farlo rivivere attraverso una rigorosa ricostruzione storica e coglierne i signi®cati, non solo ideologici di fondo, eÁ invece l'operazione, secondo me assai ben riuscita, di Piero Lucia che con Francesco So®a ha riacceso un dibattito che coinvolge senza dubbio anche le generazioni che sono venute dopo il '68. Ma eÁ corretto parlare solo di quell'anno, o non eÁ forse piuÁ giusto parlare degli anni che hanno preceduto il '68 ed almeno degli altri 10 che lo hanno seguito? Qual era il clima politico nazionale ed internazionale che si respirava allora, e quale cultura prevaleva nella societaÁ italiana in anni ancora troppo vicini alla ®ne della seconda guerra mondiale? Io credo che nonostante il carattere internazionale di quel movimento, esploso con il maggio francese ed i moti della Sorbona, in Italia vi sia stata una peculiaritaÁ particolare che ha consentito di far vivere il movimento, se pur nelle sue diverse sfaccettature, almeno ®no alla metaÁ degli anni '70. I fermenti ideologici, culturali e religiosi che si moltiplicavano negli anni precedenti erano la spia evidente di un cambiamento radicale che stava per sopraggiungere. Questi fermenti si evidenziavano nei campi piuÁ svariati dell'agire. I Beatles irrompevano sulla scena inglese, e poi internazionale, con una rottura netta rispetto ai canoni classici della musica melodica, Papa Giovanni XXIII riproponeva come essenziale il principio della tolleranza e del rispetto della persona in maniera molto piuÁ incisiva di quanto avesse fatto la Chiesa nei secoli passati. I giovani cominciavano a sperimentare, in maniera spontaneistica e disorga-

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GIANNI IULIANO

nizzata, le prime forme di volontariato, come accadde dopo l'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966: le immagini televisive di centinaia di ragazzi che salvavano il patrimonio artistico e librario della cittaÁ d'arte, fecero il giro del mondo e qui da noi costituirono una spinta formidabile verso l'impegno sociale e civile. Nel mondo la questione razziale si riproponeva con prepotenza nella sua dura crudezza e leaders storici come John Kennedy e Martin Luther King ponevano alla opulenta ed egoista societaÁ statunitense interrogativi profondi ed angosciosi che cominciavano a demolire certezze radicate. La generazione del '68 aveva recepito questi fermenti e si poneva come protagonista nel cambiamento di una societaÁ che ancora si reggeva su vecchi e logori stereotipi e su principi che nessuno, ®no a quel momento, aveva sognato di mettere in discussione. Le donne erano ancora considerate utili solo per i lavori domestici e per fare ®gli, ed era quasi uno scandalo vedere una donna al volante di un'auto o presa a fumare una sigaretta in pubblico. La nostra era ancora l'Italia venuta fuori dal ventennio fascista, i genitori dei ragazzi del '68 avevano fatto gli esercizi ginnici del sabato fascista, erano stati piccoli Balilla, a cui era stata inculcata una strana idea di Patria ed erano sinceramente ed integralmente presi dal culto per l'AutoritaÁ in quanto tale, qualunque essa fosse. Al Liceo Tasso di Salerno non esistevano le classi miste, e gli ingressi di uomini e donne erano separati. Il '68 spazzoÁ via tutte le certezze, i dogmi, i miti falsi e le ipocrisie che, ®no ad allora, avevano caratterizzato la societaÁ italiana plasmandone l'identitaÁ ®n nel profondo. Non riconoscere l'autoritaÁ del Preside di un Istituto fu per l'epoca un atto rivoluzionario. L'occupazione delle scuole, la rivendicazione disordinata e confusa di alcuni nuovi diritti, la voglia di stare insieme dei giovani trascorrendo il tempo a discutere dei massimi sistemi, sono state da taluni prese quale esempio negativo di lassismo e decadenza. Io credo invece che quella stagione, al di laÁ degli eccessi e delle esagerazioni, che senza dubbio vi furono, sia stata eccezionale e

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Quarant'anni dopo

straordinaria per gli effetti immediati e di trascinamento prodotti nelle coscienze individuali e collettive e per aver stimolato una classe dirigente piuÁ capace di senso critico e piuÁ attenta alle dinamiche di una societaÁ in continuo cambiamento. L'opera di Piero e Francesco analizza, con estrema razionalitaÁ e in maniera ¯uida e coinvolgente, quell'epoca, ed io mi sento in dovere di ringraziarli per il serio contributo non storicamente datato ma rivolto, in modo particolare, ai giovani di oggi che sono forse alla ricerca di nuovi e validi punti di riferimento ed ancoraggi in cui credere, un qualcosa che noi, per fortuna, in quegli anni riuscimmo ad incontrare.

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PASQUALE LENZA

«Pensiero eÁ LibertaÁ» ``Pensiero eÁ LibertaÁ'': eÁ questo il nome che, non a caso, abbiamo inteso dare ad un'associazione che si propone di produrre un nuovo slancio, partendo dal nostro territorio ma non esaurendo la propria azione nell'esclusiva dimensione locale. Uno slancio volto alla diffusione ed alla promozione della cultura nelle distinte forme, sfaccettature e aspetti in cui essa si esprime. GiaÁ esistono ed agiscono da tempo diverse associazioni impegnate nei piuÁ svariati campi del sociale. Allora a cosa serve costituirne un'altra nuova? Queste le domande che il lettore, e non solo lui, puoÁ certamente porsi. Bene, per tirare un parallelo si puoÁ in un certo qual senso sostenere che questa associazione, per piuÁ aspetti, eÁ nata esattamente sulla stessa lunghezza d'onda delle idealitaÁ, le speranze di cambiamento, le energie, la voglia di mettersi in gioco che caratterizzoÁ, in maniera cosõÁ unica e forse irripetibile, l'evento '68. La volontaÁ di ritornare a stare insieme, di incontrarsi confrontando liberamente e criticamente le proprie posizioni nel sentiero tracciato da un'Idea-forza originaria eÁ l'ardito progetto dell'associazione. Ci eÁ sembrato potesse risultare utile, e quanto mai opportuno, partire da una ri¯essione collettiva su un grande evento nazionale, europeo e mondiale, storicamente datato ma che ha di certo concorso a mutare nel profondo il modo d'essere di una civiltaÁ. Ed abbiamo voluto ricostruire, seppure solo parzialmente, il clima, le lotte, la messa in discussione di un consolidato modo di pensare che si realizzoÁ quattro decenni fa. Il '68 eÁ la prima iniziativa pubblica, il primum di una serie di eventi che, nelle ulteriori e future iniziative giaÁ in cantiere, proporremo alla cittaÁ. Facile gioco eÁ stato pensare ai 40 anni trascorsi dal 1968. L'attenta e appassionata partecipazione all'evento pubblico che ne eÁ conseguita ci conforta nella convinzione che il percorso

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PASQUALE LENZA

iniziato eÁ di sicuro quello giusto. Abbiamo ottenuto lo scopo che ci eravamo pre®ssi: risvegliare un qualche interesse nella nostra cittaÁ riconsegnando ad essa un pezzo importante della propria storia recente. Ma veniamo al libro. Esso raccoglie svariati e quali®cati contributi, alcuni dei quali giaÁ presentati nel pubblico convegno alla Provincia di Salerno del 22 maggio 2008. Indubbiamente il movimento di massa che sfocioÁ negli ``eventi del `68'' partiva ben prima. Il mondo si stava da tempo preparando ad essere investito dal grande movimento di contestazione. GiaÁ alcuni anni prima si potevano cogliere i prodromi di cioÁ che poi avvenne. Si sa, prima della coscienza del popolo animi piuÁ attenti, acuti e sensibili in parte anticipano gli eventi. Nelle arti ®gurative ed in un campo d'impatto piuÁ immediato sui giovani come eÁ quello della musica si potevano giaÁ cogliere, negli anni precedenti, segni e tendenze ad un cambiamento irreversibile. Ad esempio l'evoluzione del Rock and Roll degli anni '50 che evolveva in nuovi percorsi di ricerca musicale, e ancora prima le rinnovate forme interpretative dell'arte pittorica che ricercava diverse e originali strade espressive scompaginando il canonico ®gurativo in nuovi modelli come quelle della Guernica di Picasso, del Futurismo di Giacomo Balla e di Marinetti. Insomma, il piuÁ importante processo che in quella stagione sconvolse il mondo e la vita sociale del pianeta aveva radici ben piuÁ profonde e antiche anche se la societaÁ dell'epoca non riuscõÁ a coglierne a tempo e pienamente la direzione e il segno. Bisogna pur dire che era una generazione, quella degli adulti dell'epoca, che usciva da un altro grande e drammatico evento storico: il ventennio fascista ed era stata educata all'interno di un'idea dogmatica e rigidamente inquadrata dell'esistenza. Ad un tratto, anche a fronte del tragico e rovinoso impianto costruito da quel sistema autoritario,ormai in dissoluzione. intrattenibili, sgomitando, si fecero largo nuove idee e concezioni di societaÁ. La cultura, il canovaccio portante delle Idee, eÁ musica. Il '68

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Pensiero eÁ LibertaÁ

ebbe la sua. Da quei primi passi dettati dalle canzoni dei Beatles, si formarono gruppi destinati a segnare la storia della musica e che, ancora oggi, condizionano il modo di suonare. I Rolling Stones, i Led Zeppelin, i Pink Floyd e, ancora prima, Jimi Hendrix, Bob Dylan, Joan Baez diedero ai ragazzi di quegli anni un nuovo lite motive. Le canzoni romantiche e piuttosto sdolcinate che avevano caratterizzato gli anni '40, '50 e la prima parte degli anni '60 vennero sostituite da una musica piuÁ giovane, meno intimistica e piuÁ immediatamente coinvolgente. Stare insieme era diventato all'improvviso il modo di confrontarsi sulla propria vita, e sul futuro della societaÁ. Questo avveniva in una linea di pensiero che scompaginava gli antecedenti modelli e schemi borghesi della societaÁ dell'epoca. Ci si rese conto di essere partecipi di un insieme piuÁ grande, che l'orticello di casa non bastava piuÁ ma che fuori dall'uscio c'era un intero mondo sconosciuto. I giovani studenti fecero proprie istanze e ideologie di altri popoli che lottavano per la libertaÁ. Divennero famosi i nomi e gli esempi di Ernesto Guevara, Ho Chi Min, Mao Tse Tung, Simon Bolivar. Si partecipava agli eventi appassionatamente, discutendo e confrontandosi su argomenti nuovi e piuÁ ampi. Cominciavano a modi®carsi le coscienze e si allargavano gli orizzonti di ciascuno. Era, tutto sommato, il primo esempio di una globalizzazione. Nulla dopo quegli anni sarebbe piuÁ stato come prima. Nel bene e nel male. Da quei movimenti, da quei confronti, nacquero le nuove classi dirigenti ed una nuova societaÁ ma apparvero contemporaneamente in emersione anche stridenti aberrazioni. Da quei momenti di assoluta esaltazione della libertaÁ di pensiero ampliarono la propria capacitaÁ di presa le grandi ideologie che caratterizzarono gli anni successivi ma apparvero anche violenze ed estremizzazioni che sfociarono negli anni di piombo, un cancro doloroso da estirpare dal ventre della societaÁ italiana. EÁ il momento delle grandi occupazioni delle scuole. A Parigi, giaÁ patria della Rivoluzione Francese, si ebbe le prima scintilla. Fu la Sorbona. A Salerno l'Istituto magistrale, i primi momenti cittadini di

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PASQUALE LENZA

una ribellione studentesca che, estromesse alcune ideologie, emetteva i primi vagiti in un corale anelito di LibertaÁ. Come molti degli eventi storici che nascono da primigenie e felici idee di LibertaÁ, Uguaglianza e Fratellanza ci fu il rischio di perdere le ragioni iniziali nel contesto stesso di una partecipazione che non si credeva potesse divenire tanto massiccia ed ampia. Il bagno di folla, divenuto in breve tempo ben piuÁ esteso e coinvolgente di quanto all'inizio si potesse immaginare, conteneva al proprio interno il rischio concreto di far perdere di vista gli obbiettivi iniziali. Era giaÁ accaduto ai tempi della Rivoluzione Francese e sarebbe potuto succedere di nuovo. L'intelligenza dei ragazzi dell'epoca evitoÁ il disperdesi di tante positive energie. Ed io credo che ancora oggi, nel senso comune della collettivitaÁ, il meglio di quei valori e delle forti ragioni di quegli anni continuino ad avere una valenza attuale e positiva. All'epoca si ebbe un forte cambiamento del modo di vivere, fu una vera e propria rivoluzione sociale, ideale e dei costumi quella che incendioÁ tutto il mondo. Ma, pur partendo da identiche basi comuni, si caratterizzoÁ fortemente nella speci®citaÁ di ciascuna nazione assumendo connotazioni insieme eguali e diverse. Guai se cosõÁ non fosse stato! Ciascun paese ha cultura, tradizioni e momenti storici assolutamente unici e peculiari, non confondibili con altre situazioni. Anzi, il distinguo si ebbe addirittura a livello delle singole cittaÁ italiane. Anche a Salerno. Sulla scia di quanto accadeva nelle cittaÁ industriali, si visse un importante momento di lotta sociale con i movimenti studenteschi al ®anco della classe operaia. Anche a Salerno si ebbero i movimenti cattolici studenteschi che si mossero su una linea di rinnovamento e di progresso. E in quei frangenti ci fu una parte della migliore intellighenzia che propose con forza nuove idee, piuÁ strutturate a misura della cittaÁ. In pratica Salerno ebbe la fortuna di vivere, sia pure in miniatura, tutti i momenti salienti del '68. Ma non solo! La lotta studentesca per la conquista delle libertaÁ, come romanticamente mi piace de®nirla, coinvolgeva le piuÁ brillanti menti salernitane. CambioÁ per®no il rapporto con la chiesa. I giovani

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Pensiero eÁ LibertaÁ

cattolici furono fortemente coinvolti nelle lotte studentesche e l'istituzione ecclesiastica non pote fare a meno di un confronto d'idee che la vedeva peroÁ per piuÁ versi impreparata ad un evento di una simile portata. Il Mondo cambiava decisamente e si era a un punto di non ritorno. I ragazzi si sentivano partecipi, in qualitaÁ di attori protagonisti e non di comparse, della vita politico-sociale. Fin dai tempi del liceo s'inizioÁ a partecipare ai collettivi e si decideva, per la prima volta, come gestire se stessi e la propria vita. Mi sorge spontaneo un parallelo. «Pensiero eÁ LibertaÁ» vuole mantenere accesa quella scintilla, quell'entusiasmo. Certamente, con la sopraggiunta maturitaÁ e coscienza delle profonde mutazione col tempo sopraggiunte ma sempre con la stessa musica nel cuore. Questo non eÁ romanticismo, ne stanca nostalgia. Le basi di una cultura libera sono l'autonomo e soggettivo pensiero portato in una collettiva comunione d'idee. Oggi si parla di brain storming quando si vuole ricavare il meglio delle idee comuni. Noi di «Pensiero eÁ LibertaÁ» ci proponiamo di stimolare e mantenere vivo un continuo confronto sulle idee, abbiamo l'aspirazione e vogliamo impegnarci per tenere accesa una scintilla. Un percorso che speriamo possa essere fecondo nell'interesse di tutta la cittaÁ. Continuare rafforzando lo spirito aggregativo originario da cui ha preso avvio questo nostro tentativo che diventi Ð di nuovo Ð tema portante del nostro stare insieme. Partecipare con un nuovo e appassionato impegno alla vita sociale confrontandosi intelligentemente sulle idee e sui progetti in campo, piuÁ che nostalgia o rimpianto mi sembra un'obbligata necessitaÁ e quanto mai attuale. Su questa lunghezza d'onda a presto ritrovarci, dunque.

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PIERO LUCIA

Salerno: il 1968 e gli anni Settanta, origini e storia di una mutazione La provincia di Salerno eÁ, ancora oggi, centrale e decisiva per la qualitaÁ delle prospettive economiche, civili, ambientali di tutta la Regione Campania1. Un territorio, dove l'eccesso di concentrazione urbana in alcune aree metropolitane de®nite e nell'immediato interland circostante ha prodotto effetti, ormai intollerabili, di esasperata congestione abitativa e, di conseguenza, un altissimo tasso d'inquinamento ambientale. Tale appare, in particolare, la condizione della striscia di territorio che si estende tra la cittaÁ di Napoli e l'agro nocerino. EÁ questa una delle ragioni della odierna persistenza di condizioni di grave degrado, accresciute a dismisura negli ultimi tempi col precipitare della tragica crisi dei ri®uti, e di un livello di qualitaÁ della vita assolutamente in®mo, accentuato dalla persistenza di gravi fattori d'insicurezza e di illegalitaÁ, dovuti a frequenti e sistematiche in®ltrazioni malavitose. Organizzazioni quotidianamente impegnate in ogni genere di affari illeciti, dalla droga alla prostituzione, alla gestione sistematica e diffusa dei processi di cementi®cazione selvaggia e di abusivismo edilizio, troppe volte in passato tollerati e coperti da Amministrazioni comunali colluse e compiacenti e spesso consentiti da una scarsa o addirittura nulla funzione di contrasto dello Stato. Un processo di crescita, convulso e incontrollato, le cui origini vanno in special modo rintracciate, per circoscrivere l'indagine alla 1

La Campania, con 5.652.492 di abitanti ed un'estensione di 13.595 Kmq eÁ, dopo la Lombardia, la seconda regione italiana, ma la prima per densitaÁ di popolazione (in media 416 ab. per Kmq), per tasso di crescita demogra®ca (0,8% annuo), per popolazione giovanile al di sotto dei 15 anni (21,8%) e per natalitaÁ (1,17%). Nell'area metropolitana e nell'hinterland napoletano risiede la grande maggioranza della popolazione regionale, con i massimi livelli di densitaÁ abitativa per kmq.

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PIERO LUCIA

sola cittaÁ di Salerno, nell'arco temporale che coincide con gli anni '60. Nel corso degli anni '60 la cittaÁ di Salerno visse, infatti, una fase di sviluppo di particolare intensitaÁ, mai conosciuta nei decenni antecedenti. In un arco di tempo relativamente breve, la popolazione si era espansa a dismisura, crescendo in maniera esponenziale, passando Ð in poco piuÁ di un ventennio Ð dai 50.000 abitanti del 1950 ad oltre 150.000. Un tasso di crescita piuÁ che triplicato, anche in relazione all'impressionante, inedito e caotico sviluppo dell'edilizia abitativa. La nuova emigrazione dell'immediato secondo dopoguerra e degli anni '50 aveva drammaticamente svuotato ed impoverito le campagne dell'Italia meridionale e della stessa provincia di Salerno orientandosi, in larga prevalenza, verso il Nord del Paese e le nazioni del centro Europa, la Germania, la Svizzera, la Francia, il Belgio. Nel corso degli anni '60, essa era invece divenuta, in prevalenza, emigrazione interna alla Provincia, con migliaia e migliaia di persone che si erano mosse dai centri dell'entroterra, in specie dal Cilento e dal Vallo di Diano, ma anche dalle limitrofe regioni della Lucania e della Calabria, verso il comune capoluogo. La composizione di queste grandi masse di persone in movimento era costituita, in larga parte, da contadini e da piccoli borghesi. Essi avevano maturato la decisione di abbandonare le proprie comunitaÁ d'origine in seguito alle speranze ed alle illusioni di una nuova ed accelerata crescita economica e di un miglioramento della loro condizione sociale, ritenuta concretamente perseguibile in seguito al lancio della politica dei ``poli di sviluppo''. In sostanza, un tentativo dirigistico, veicolato dall'alto, volto a creare un forte dinamismo industriale, garantito dall'af¯usso di consistenti capitali, pubblici e privati, delle Partecipazioni Statali e di alcuni grandi gruppi industriali manifatturieri del Nord. Imprese che avevano guardato, con forte favore ed interesse, all'utilitaÁ di localizzare, nel territorio salernitano, in Campania ed in altre aree meridionali de®nite, nuovi stabilimenti o quote di pro-

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Salerno: il 1968 e gli anni Settanta, origini e storia di una mutazione

prie attivitaÁ, ma i cui cervelli direttivi continuavano da tempo ad operare saldamente al Nord. D'altronde, gli incentivi, particolarmente vantaggiosi, i suoli, pressoche gratuiti, assicurati dalla disponibilitaÁ della Pubblica Amministrazione e da una legislazione favorevole, le varie facilitazioni nell'accesso al credito bancario ed il concorso, percentualmente assai elevato, all'acquisto di macchinari per l'avvio delle nuove attivitaÁ, avevano costituito il volano in grado di superare incertezze, prevenzioni ed i molteplici ostacoli ®no ad allora esistenti. L'ulteriore elemento di attrazione era poi costituito dallo sviluppo e dalla moltiplicazione delle occasioni di lavoro nel Pubblico Impiego. Era, infatti, quello il periodo in cui iniziavano ad accentrarsi, soprattutto nel Comune capoluogo, ®liere di uf®ci amministrativi e grandi plessi ospedalieri, centri decentrati di Ministeri, strutture giudiziarie. La rendita fondiaria, in®ne, poteva favorire l'acquisto, a prezzi ancora relativamente bassi e di favore, di abitazioni in quartieri di recente insediamento che si stavano predisponendo ad accogliere, nella cittaÁ, questa massa enorme, supplementare, di abitanti. La cittaÁ di Salerno iniziava ad assumere, in quei frangenti, una ®sionomia nuova, allungandosi, come un grande serpente di cemento, verso Sud liquidando, di conseguenza, inevitabilmente, le centinaia e centinaia di ettari di terreno ®no ad allora adibiti alle tradizionali attivitaÁ agrarie. Limoneti ed agrumeti, di cui era disseminato il territorio di con®ne, vennero fagocitati velocemente e per sempre dai mostri di cemento delle nuove abitazioni e da interi quartieri nati dal nulla e come per incanto2. La cittaÁ, in veritaÁ, mostrava ancora sulle proprie carni il trascinamento degli effetti della tragica alluvione del 25 e del 26 ottobre 1954 che aveva prodotto, oltre ad innumerevoli morti e feriti, l'estesa devastazione di intere parti del vecchio nucleo urbano, in particolare nell'antico Centro Storico. EÁ lo sviluppo in direzione della zona orientale, con la crescita e l'ampliamento dei quartieri di Torrione, Pastena, Mercatello, Mariconda. 2

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Urgente e indifferibile appariva un'accelerazione della riorganizzazione urbana e abitativa, che consentisse una diversa e civile sistemazione a migliaia di baraccati e senzatetto. Tale urgenza si mischioÁ poi con l'altra, ovvero quella di assicurare, nei nuovi quartieri, un'abitazione decorosa alle famiglie contadine e di piccola e media borghesia provenienti dalle aree interne. L'inurbamento avvenne, tuttavia, in maniera disordinata e anarchica, senza aver predisposto ne approvato, in precedenza, alcun piano regolatore de®nito. E cioÁ spiega il procedere caotico, irregolare ed arrembante, del carattere assunto dall'urbanizzazione cittadina. In un tale contesto si stabilirono nuove gerarchie economiche, in grado d'incidere, condizionandolo, sul potere politico, crebbero grandi ricchezze, s'affermoÁ la nuova casta dei ``palazzinari''. Uno strato sociale intraprendente e dinamico che, proprio in quel periodo, grazie alla notevole espansione delle costruzioni ed alla vendita di migliaia e migliaia di nuovi vani e abitazioni, riuscõÁ ad accumulare nelle proprie mani ingenti e rapide fortune. E questi imprenditori delle costruzioni per lo piuÁ gravitavano nella ricerca di in un rapporto privilegiato, d'intesa e di scambio, col Partito-Stato della Democrazia Cristiana. Gli affari assicurati venivano di frequente ricambiati col consenso politico, diretto e indotto, veicolato alle elezioni in quella direzione prevalente3. Il potere politico del tempo, incentrato sul ruolo nevralgico della Democrazia Cristiana, in effetti spalleggioÁ la crescita selvaggia e la speculazione, traendo un consistente riscontro elettorale dalla nuova organica alleanza che si andava a de®nire. In ogni caso, s'amplioÁ la base occupazionale antecedente e mi3

Tra i maggiori costruttori edili, protagonisti in quegli anni della grande crescita urbana della cittaÁ di Salerno, vanno ricordati: Rocco Angrisani, Arcieri e Batoli, Braca e Cavaliere; i fratelli Cocomero, Giovanni Coraggio, D'Agostino, i fratelli Durante, Matteo De Martino, Esposito, Gattola, Cherubino Gambardella, Emilio Napoli, i fratelli Pastore, Pellegrino, Tobia Rizzo, Franco Ruongo, Pionecillo, insieme al cosiddetto ``gruppo dei Padulesi''. Un nucleo di imprenditori delle costruzioni tornato dal Venezuela, Cesareo, Conquistatore, Francesco De Simone, Di Giuda, Carmine Pagliata, Vertucci e Volpe.

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gliaia e migliaia di lavoratori della cittaÁ e dell'hinterland trovarono lavoro nell'edilizia, nell'industria, nella Pubblica Amministrazione. Le forze della sinistra e i sindacati, reduci dalle dure battaglie degli anni '50 in difesa del lavoro, riuscirono ad in¯uire in maniera assai ¯ebile ed incerta sui nuovi indirizzi ed equilibri di potere, che si stavano sedimentando, nel mentre si assisteva alla realizzazione di un processo accelerato, seppur tortuoso, di sviluppo che sembrava offrire una risposta vincente all'atavico bisogno di lavoro. Erano nati in quegli anni, dalla ®ne degli anni '50 e nel corso degli anni '60, nuovi complessi industriali, la Pennitalia, l'IdealStandard, la Landis e Gyr e, soprattutto per il settore tessile e dell'abbigliamento, la Marzotto Sud o ``Issimo''4: non si trattava di aziende grandissime, solo 4 o 5 superavano i 400-500 dipendenti, ma suf®cienti a pre®gurare l'idea della concreta praticabilitaÁ di una nuova prospettiva di trasformazione, di una profonda mutazione, in senso industriale, della Provincia di Salerno. La struttura industriale si riorganizzoÁ in maniera diversa dal passato, e per piuÁ versi inedita, con la nascita di nuovi settori, ma ®nõÁ per risultare ben presto evidente come i vari insediamenti procedessero in assenza di una visione organica d'insieme, fuori da ogni limpida e rigorosa strategia dello sviluppo, senza un'accorta valutazione delle ulteriori possibilitaÁ di espansione. Nessuna delle nuove imprese riuscõÁ, percioÁ, ad assumere funzioni d'avanguardia, ne si realizzoÁ alcuna specializza4 Sui modi di erogazione dei ®nanziamenti alle imprese si era soffermato, in maniera critica, Gaetano Di Marino nella sua relazione al VII Congresso Provinciale della Federazione Comunista Salernitana, (8-10 Gennaio 1960): ``Per nuove industrie sono stati dati ®nanziamenti per oltre 5 miliardi, ma cosõÁ ripartiti: 1 miliardo e mezzo solo per Marzotto, una industria di confezioni con appena 400 operaie, in genere ragazze a sottosalario, una succursale delle sue imprese di Valdagno; circa 600 milioni a Valsecchi per una industria conserviera stagionale di cui si parla di gravissima crisi, se non di fallimento; 325 milioni per il SUME, giaÁ chiuso; 50 milioni per la Cartaria di Fisciano, fallita; 40 milioni per una fabbrica di legno a Piaggine, chiusa. Oltre 300 milioni per piccole imprese artigiane, meritevolissime, ma che certo non c'entrano con l'industrializzazione. Altri 5 miliardi per ampliamenti: anche per essi circa mezzo miliardo per 51 piccole imprese artigianali, 3 miliardi e 500 milioni per industrie stagionali conserviere e circa 800 milioni per 5 grossi capitalisti salernitani, per ampliamento dei Pasti®ci Amato, Pezzullo, Ferro e la Cartiera Cimmino''.

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zione di qualitaÁ in particolari segmenti produttivi in grado di portare ad un'ulteriore fase di crescita e di consolidamento per naturale gemmazione. L'espansione in direzione della conquista dei mercati nazionali ed esteri, che in una prima fase era apparsa possibile, in un tempo relativamente breve si contrasse e la ®sionomia delle imprese acquisõÁ una dimensione sempre piuÁ limitata e angusta, essenzialmente circoscritta all'ambito locale e regionale. Sono quegli gli anni in cui in Italia s'avvia la sperimentazione della politica del Centro Sinistra e si attua la scelta socialista dell'ingresso organico al governo insieme alla Democrazia Cristiana, il partito che a Salerno, subentrato alle forze della destra monarchica e liberale, per la sua vitalitaÁ, iniziava ad esercitare una diffusa ed pervasiva egemonia su tutti i gangli vitali, istituzionali, ®nanziari ed economici, dell'articolazione della societaÁ locale. In realtaÁ, il potere politico della DC si limitoÁ, nella sostanza, a svolgere un ruolo, peraltro essenziale, di collante e garanzia del rapporto tra strutture locali e centro politico nazionale, esercitando, in loco, la funzione di intercettazione di consistenti ¯ussi di risorse pubbliche e di accurata gestione della loro distribuzione ai ®ni del conseguimento di un consenso sociale sempre piuÁ diffuso ed ampio. Tale saraÁ, come vedremo, la funzione garantita da uomini come il sindaco Alfonso Menna. RisultoÁ, poi, del tutto chiaro come, a differenza di quanto contemporaneamente avveniva per l'area avellinese e, per un lungo arco di tempo in quella napoletana, la funzione della classe politica salernitana non riuscõÁ a in¯uire, in maniera signi®cativa, sugli equilibri politici e di potere nazionali, facendo blocco, ne fu in grado di fuoriuscire da una dimensione sostanzialmente locale e circoscritta, quasi completamente relegata negli angusti e limitati con®ni del territorio di propria competenza. C'eÁ da aggiungere ancora che, non a caso, anche per questa ragione, non decolloÁ alcun progetto di qualitaÁ, in alcun segmento di attivitaÁ, in grado di caratterizzare, su un piano di eccellenza, il territorio sia a livello nazionale che internazionale.

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Ancora oggi il nodo della scarsa incidenza della classe politica locale sulle principali scelte d'indirizzo strategico della politica economica nazionale e di governo continua ad essere un problema, essenziale ed irrisolto, il vizio d'origine ancora attuale nell'etaÁ contemporanea. Quasi nessuna signi®cativa attivitaÁ produttiva o culturale originale, innovativa e d'avanguardia, capace di strutturarsi stabilmente e di durare nel tempo intorno a cui avviare la costruzione di un processo di crescita e di sviluppo nuovo e inedito, competitivo ed autopropulsivo, imperniato sulla scienza e sulla tecnica, ne nei settori produttivi tradizionali, ne in quelli innovativi e tale da generare, di per seÂ, un potente indotto. Ne derivoÁ la realtaÁ di un territorio scarsamente produttivo, che continuoÁ a ruotare, essenzialmente, intorno a piccole attivitaÁ commerciali ed all'espansione dilatata dell'impiego pubblico, vivendo di quote di risorse supplementari trasferite alle famiglie dal sistema previdenziale ed assistenziale. Una realtaÁ, in conclusione, per piuÁ versi ancora parassitaria ed arretrata, non in grado di cimentarsi, in maniera vincente, coi nuovi processi di internazionalizzazione e globalizzazione dell'economia. Era una condizione che non poteva non pesare sulla mentalitaÁ, i comportamenti consueti, la cultura prevalente della comunitaÁ locale. Il sintomo, in ogni caso, di un equilibrio per piuÁ ragioni, attuali e prospettiche, economicamente e socialmente fragile e potenzialmente instabile. Le risorse, pur notevoli, di cui era ed eÁ disseminato naturalmente il territorio, da quelle ambientali, paesaggistiche ed archeologiche, a quelle costituite dall'antico patrimonio culturale, potenzialmente in grado di assicurare una notevole espansione delle occasioni di crescita, ampliamento e diffusione delle opportunitaÁ di lavoro furono allora e continuano in larga misura ancora oggi ad essere colpevolmente sottovalutate, trascurate, non nobilitate per l'assenza di scelte strategiche chiare, per la mancanza di un rigoroso e realistico progetto di sviluppo diffusamente condiviso e determinatamente perseguito.

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Scuola di massa e lotte studentesche nel 1968-69 a Salerno Ulteriore elemento da considerare era costituito, a quel tempo, dalla diffusione delle possibilitaÁ di accesso delle varie classi sociali all'istruzione ed alla scuola pubblica, che aveva iniziato a perdere la ®sionomia elitaria antecedente. La scuola dell'obbligo inglobava, ormai, nel proprio seno, anche i ®gli delle classi contadine ed operaie storicamente subalterne. Si moltiplicavano, oltre alla tradizionali scuole di formazione professionale, i Licei, ad orientamento classico e scienti®co. E fu proprio nelle scuole che inizioÁ a sedimentare, dapprima timidamente, poi in maniera sempre piuÁ chiara e stringente, un elemento di critica, all'inizio ancora confuso e inde®nito, ma destinato ben presto a chiarirsi e dilatarsi, che esaltava alcune evidenti discrasie della societaÁ italiana con la sua organizzazione tradizionalmente strutturata in rigide e de®nite gerarchie. Il '68 rappresenteraÁ la conclusione di una fase e contemporaneamente l'apertura di una situazione nuova, il momento della traumatica rottura degli equilibri antecedenti e dello svilupparsi di tensioni e radicalismi tali che incideranno, ®n nel profondo, nella struttura e nella mentalitaÁ delle societaÁ contemporanee. Fulcro essenziale di quella novitaÁ saraÁ rappresentato dall'idea di fondo di ampliare e sviluppare i concetti di democrazia e di libertaÁ, individuali e collettivi. Una rivolta, nella mentalitaÁ e nei costumi, che intendeva ridare nuova linfa al concetto di piena affermazione dell'autonomia dell'individuo. La critica diffusa all'idea di libertaÁ per come in precedenza era stata immaginata, l'affermazione del diritto e della legittimitaÁ della persona a decidere da seÁ i percorsi della propria vita individuale, sociale, sessuale. E l'idea dell'esigenza, insopprimibile, dell'avvento di una nuova societaÁ, piuÁ libera ed eguale, pur attraverso un sentiero accidentato e carico di eccessi ed esagerazioni, si sarebbe fatta strada con una rapiditaÁ in origine del tutto imprevedibile. Si era agli albori della ``contestazione'' e dell'impetuoso procedere di una furia iconoclasta che, procedendo a volte anche con inusitata asprezza, prendeva di mira, senza risparmiare niente, tutto

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cioÁ che sembrava in qualche modo riferirsi alla complessitaÁ dei poteri dominanti che col tempo si erano andati a strutturare nei campi piuÁ svariati, dalla politica alle Istituzioni, ai monopoli della ®nanza e dell'economia. Fu un'opposizione che ®nõÁ per riversarsi ®nanche contro le piuÁ prestigiose ed eminenti espressioni della cultura nazionale progressista di quel tempo5. A Salerno la rivolta degli studenti medi esploderaÁ solo alla ®ne del 1968 e per buona parte del 1969. L'UniversitaÁ ne saraÁ lambita, invece, in maniera solo marginale. L'indirizzo di fondo di un tale movimento era decisamente opposto e d'altro segno rispetto a quanto era avvenuto nel passato piuÁ recente. Le ultime manifestazioni studentesche di una qualche portata erano state infatti quelle, d'indirizzo prevalentemente nazionalista e di destra, per l'Ungheria alla ®ne del 1956 e per Trieste e Trento italiane. Il clima d'insieme dela societaÁ locale appariva adesso in ogni caso intriso di suggestioni molteplici, d'una nuova e pervasiva carica antiautoritaria e di liberazione che traeva linfa ed alimento dal moltiplicarsi dei con¯itti, aspri, che attraversavano la societaÁ nazionale e lo scenario quanto mai inquieto del mondo. Fatto eÁ che il movimento, con le molteplici tendenze in esso concentrate, si mosse in quella fase ricercando, come d'istinto, un collegamento, immediato e diretto, con la ``classe'', intendendo contemporaneamente sottrarsi, giaÁ in origine, al rischio di un confronto ingessato, di una contaminazione e di una feconda relazione con le rappresentanze uf®ciali dei partiti politici della sinistra storica. PiuÁ in generale, sembroÁ prevalere un approccio di natura cosmopolita, piuttosto che un ancoraggio limitato alla parzialitaÁ della dimensione nazionale.6 In Italia, in Eu5

La contestazione non risparmioÁ neppure Alberto Moravia, autentica icona della letteratura italiana che, reduce da un viaggio in Cina, recatosi alla facoltaÁ di Lettere per solidarizzare con gli studenti romani all'indomani dei gravi scontri avvenuti il 1 marzo 1968 a Valle Giulia, intorno alla facoltaÁ di Architettura, era fatto oggetto di dure critiche e sarcasmi per aver sostenuto la necessitaÁ di guardare in maniera piuÁ oggettiva, meno dogmatica e ideologica, ai processi inediti, originali e tumultuosi che, con la rivoluzione culturale, erano stati messi in moto in quel lontano paese dell'oriente. 6 Un modo nuovo d'interpretare la necessitaÁ di una diretta ed incisiva funzione nella

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ropa, nel Mondo montava un movimento nuovo che non avrebbe lasciato indenne alcuna articolazione dell'organizzazione della societaÁ, compresa la stessa Chiesa cattolica. Essa Istituzione, non a caso, ®niraÁ per essere a sua volta investita frontalmente dal vento del rinnovamento ed impegnata in tante sue espressioni periferiche nel riaffermare la forza e la pregnanza dell'autenticitaÁ della propria ispirazione originaria incentrata sull'urgenza di ridare ruolo, funzione, centralitaÁ, speranza al ``popolo di Dio''. La Chiesa romana, superando pratiche consunte ed antiquate, con le sue dogmatiche e inalterabili certezze, avrebbe a sua volta dovuto rinnovarsi alla radice mischiandosi con profonda intensitaÁ alla vita pratica in tal modo favorendo, col proprio esempio positivo, la conquista di una nuova dignitaÁ col riconoscimento agli ultimi di diritti ®no allora negati. E cioÁ daraÁ luogo a tensioni, fermenti e contrapposizioni mai prima neppure immaginati. Una questione, questa, che, per ovvie e comprensibili ragioni, meriterebbe di per se un'accurata e approfondita indagine. In questa circostanza eÁ forse appena il caso di far riferimento, seppure solo per cenni assai fugaci, alla vicenda de ``L'Isolotto'' di Firenze, che vedraÁ frontalmente contrapposto a Don Mazzi il Cardinale Florit7. storia favorito dalla diffusione di testi innovativi come quelli di Herbert Marcuse e di Franz Fanon. Marcuse aveva pubblicato nel 1955 Eros e CiviltaÁ e nel 1964, L'Uomo ad una dimensione, una spietata denuncia dell'alienazione e dello smarrimento prodotto dal lavoro e dalla societaÁ industriale. Del 1961 era il libro di Franz Fanon, I dannati della terra, di forte ispirazione terzomondista. L'autore denunciava l'integrazione, ormai avvenuta, della classe operaia dei paesi capitalisti e sosteneva la necessitaÁ di volgere lo sguardo altrove, verso i diseredati e gli esclusi del terzo e quarto mondo, i soli soggetti conseguentemente rivoluzionari, dai quali era lecito attendere una coerente e radicale azione per l'abbattimento delle piuÁ odiose ingiustizie del mondo. 7 Il contrasto era esploso all'indomani dell'occupazione del Duomo di Parma da parte di gruppi di ``cattolici del dissenso'', che propugnavano l'interpretazione autentica dello spirito originario del Vangelo. Il messaggio di Cristo non poteva che essere uno solo e d'indirizzo univoco ed esso andava colto senza che ne venisse snaturato il valore essenziale, di forte tensione verso una maggiore giustizia ed eguaglianza. Il Vangelo trasudava di una grande ed intensa umanitaÁ ed esso non poteva che privilegiare i poveri e gli esclusi. Non si doveva percioÁ volgere lo sguardo soltanto verso i ricchi, se non se ne voleva travisare l'essenza e i contenuti. Il Vescovo della cittaÁ aveva deciso di costruire una nuova chiesa coi ®nanziamenti offerti dalla locale Cassa di Risparmio. Gli studenti cattolici,

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Un travaglio profondo ed un'innovazione che non lasciarono indenni neppure le comunitaÁ cattoliche di base di Salerno. Frattanto, proprio in quei mesi in cittaÁ s'inizioÁ, per la prima volta, a sperimentare il tentativo d'intervento diretto di frange del movimento studentesco, di appoggio e di sostegno alle lotte operaie. Il mondo del lavoro era da tempo attraversato da una forte inquietudine. Salari eccessivamente bassi e pressoche nulla la capacitaÁ d'incidenza sull'organizzazione del lavoro. Gruppi di giovani con¯uirono nelle manifestazioni operaie per i rinnovi contrattuali a Fratte, davanti allo stabilimento D'Agostino e, soprattutto, in occasione dello Sciopero Generale indetto dai Sindacati il 4 novembre 1968. Atti, comportamenti, scelte di campo indubbiamente nuovi e innovativi. InizioÁ un percorso d'intervento inedito, di ricerca di collegamento e di alleanza con le lotte operaie. Nel mondo del lavoro appariva piuÁ netta ed evidente la propensione ad uscire dal recinto delle singole realtaÁ di fabbrica. S'iniziava a ricercare un piuÁ stretto rapporto, di confronto e di collaborazione, tra le aziende dei diversi settori produttivi e ci si muoveva per conseguire un piuÁ ampio e diffuso livello di coinvolgimento e di solidarietaÁ sociale, intuendo come sarebbe potuto risultare decisivo per un esito favorevole dello scontro, ormai contestando tale scelta, durante una funzione religiosa, erano entrati in Cattedrale chiedendo a gran voce un confronto al Vescovo che aveva invece reagito facendo ricorso all'intervento della polizia contro ``i profanatori del tempio''. I ``profanatori'' di Parma raccolsero l'immediata solidarietaÁ dei parrocchiani di Don Mazzi dell'Isolotto di Firenze. Florit dif®doÁ Don Mazzi e gli intimoÁ una ritrattazione pubblica, pena le dimissioni. La vicenda ebbe un grande risalto sulla stampa nazionale. Florit prima sospese, poi rimosse d'imperio Don Mazzi. La cittadinanza nella sua quasi totalitaÁ e 93 preti della diocesi di Firenze si schierarono, senza alcuna incertezza, al ®anco del religioso ®orentino. La chiesa venne presidiata dai parrocchiani. Nelle scuole e per le strade di Firenze si svolsero massicce manifestazioni di solidarietaÁ al sacerdote ribelle. Florit tentoÁ di rientrare in chiesa per celebrarvi di persona la funzione ma ne fu impedito. Don Mazzi, in pieno con¯itto con la gerarchia, insistette sull'idea di una Chiesa nuova, legata al popolo degli operai, dei disoccupati, degli analfabeti, degli esclusi. L'intervento di Paolo VI riuscõÁ a sanare, provvisoriamente, la ferita aperta. La spinta ad un profondo e indifferibile rinnovamento della Chiesa favorõÁ la nascita e l'ampia diffusione dei coordinamenti delle comunitaÁ di base, la crescita di peso, di prestigio e di incidenza delle Acli e di quelle componenti piuÁ avanzate e innovatrici del sindacalismo cattolico e della stessa CISL.

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prossimo, il diverso posizionamento ed un favorevole orientamento di larghi strati sociali non direttamente operai. Era il tentativo di esercizio di una inedita funzione di egemonia della classe, la prassi di una nuova politica delle alleanze sociali ricercata e costruita direttamente sul campo. La guida ideologica e la carica simbolica rappresentata dagli operai apparve il referente, obbligato e necessario, in grado di costituire un nuovo e piuÁ potente collante del fronte di progresso che si era messo in movimento. ``Operai e studenti uniti nella lotta'' il nuovo, coinvolgente e mobilitante rito, la parola d'ordine gridata nelle strade e nei cortei, la lotta senza quartiere all'ideologia borghese l'altro essenziale cardine della ricerca di una strada nuova. Nel dicembre 1968 venne occupato il Magistero. In quella occasione si ebbero tafferugli ed alcuni studenti furono contusi. La stampa di destra, in specie ``Il Roma'', attribuõÁ la responsabilitaÁ degli atti di violenza alla sinistra ed agli attivisti della Cgil. Da quel momento in avanti gli scontri tra militanti di destra e di sinistra si moltiplicarono. Uno dei piuÁ violenti si veri®coÁ nei pressi del cinema Metropol, in questo caso con feriti da entrambe le parti. Proprio alla ®ne del 1968, a partire dal 12 dicembre, negli istituti medi superiori della cittaÁ si tennero assemblee e manifestazioni. Il Liceo ``Francesco De Sanctis''8, il Liceo ``Torquato Tasso'', il Liceo scienti®co ``Giovanni Da Procida''9, il Tecnico- industriale, l'Istituto ``Regina Marghe-

8 La massiccia immigrazione dai comuni e dalle province limitrofe verso la cittaÁ, avvenuta dai primi anni '60 in avanti, produsse l'incremento della stessa popolazione studentesca. Le autoritaÁ del tempo sostennero, per questa ragione, la necessitaÁ di creare nella cittaÁ capoluogo un nuovo liceo classico. Pertanto, all'inizio del 1962, il Consiglio comunale, all'unanimitaÁ, inoltroÁ la richiesta al Ministero della Pubblica Istruzione, che convenne sull'opportunitaÁ della creazione di un secondo Liceo ginnasio Statale. Esso sorse in un palazzo per civili abitazioni nel Rione Calcedonia, al di laÁ del ®ume Irno. Il nuovo liceo entroÁ in piena attivitaÁ il primo ottobre del 1962-1963. Dal ``Tasso'' passarono al ``De Sanctis'' circa 600 alunni e vennero formati 4 corsi completi. L'Istituto si eÁ trasferito nella sua nuova sede, a Torrione Alto, nel 1973. 9 Tra i giovani piuÁ colti, dotati e intelligenti del Liceo Scienti®co ed animatore del Movimento studentesco cittadino eÁ il caso di ricordare Alfredo Di Legge.

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rita'', l'``Avogadro'' vennero investiti, uno dopo l'altro, dai venti della contestazione. La protesta prendeva di mira un'organizzazione scolastica che appariva, in tutta evidenza, assai antiquata e completamente avulsa e slegata dalle vere esigenze e pulsioni della societaÁ contemporanea e dai gravi problemi che sotto la super®cie si agitavano. Un corpo separato ed impermeabile ad ogni sollecitazione al cambiamento. Veniva in sostanza contestato un impianto della scuola tradizionalmente autoritario, eccessivamente ``cattedratico'' e inutilmente ``nozionistico'', l'assenza di osmosi e di dialogo tra docenti e studenti, cresceva la richiesta del riconoscimento del diritto all'assemblea generale. L'interrogazione giornaliera, vissuta come odioso retaggio della ``scuola di classe'' avrebbe dovuto essere sostituita dal lavoro di gruppo. In breve, dalla protesta in assemblea si passoÁ alle occupazioni degli istituti che si veri®carono, nel 1968, alla vigilia delle feste natalizie. Il diritto all'assemblea generale, insieme alla costituzione di rappresentanze studentesche democraticamente elette, furono le prime uf®ciali rivendicazioni del movimento. I rappresentanti degli studenti avrebbero dovuto esprimere la propria opinione sia in occasione degli scrutini trimestrali che in relazione ad eventuali provvedimenti disciplinari conseguenti alle agitazioni. Nacque un coordinamento dei vari istituti ed in molti plessi si tennero collettivi o gruppi di studio e di approfondimento, su singoli e speci®ci argomenti di piuÁ immediata attualitaÁ, che sembravano potere intercettare, in modo attivo, l'interesse e l'inquietudine dei giovani. Si trattava, di norma, di questioni senza alcuna immediata attinenza ai programmi scolastici ministeriali, nel mentre venivano affrontati argomenti inerenti le vicende nazionali ed internazionali del mondo contemporaneo10. In veritaÁ, la critica appariva, insieme, almeno nelle piattafor10

Nel corso dell'anno scolastico, in genere, non si arrivava quasi mai ad affrontare la storia del Novecento e la contemporaneitaÁ. Ebbero inizio un confronto ed una discussione per tentare di comprendere meglio alcuni temi, di portata strategica e di piuÁ ampio rilievo, quali quelli della guerra e della pace, si tese ad indagare il ruolo delle due superpotenze,

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me dei licei classici e scienti®ci, in larga misura radicale ed ideologica, d'ispirazione genericamente anarchica, pur cogliendo ed intercettando, senza alcun dubbio, un malessere di fondo che da lungo tempo covava sotto la cenere nella scuola e nella societaÁ italiana. La scuola, in quanto istituzione riproduttiva di funzioni ed antiche, immobili e inalterabili gerarchie economico-sociali, veniva messa sotto accusa quale acritico e stanco contenitore della ``cultura borghese'' che andava invece rapidamente liquidata. Nelle rivendicazioni e proposte emerse in quella fase all'interno del movimento degli studenti medi colpisce, di converso, la concretezza delle posizioni di alcuni istituti d'indirizzo tecnico, ben diversamente ancorate alla realtaÁ. Per citare un solo esempio, all'istituto ``Avogadro'' la rappresentanza studentesca pose, nell'autogestione e con l'occupazione, l'essenziale problema di pervenire ad un rapporto diverso, piuÁ aggiornato e fecondo, tra scuola e industria; si avanzoÁ la richiesta di dotazioni strumentali e di laboratorio piuÁ moderne ed ef®cienti; e si propose d'istituire corsi di aggiornamento periodici in sintonia con l'evoluzione del progresso tecnologico e scienti®co dell'industria. Si diede voce all'urgenza di poter studiare in un istituto nuovo e dai locali piuÁ idonei rispetto al vecchio edi®cio ormai decrepito e cadente. La risposta alle agitazioni fu di frequente maldestra ed arretrata e in genere si manifestoÁ, fatta eccezione per un assai esiguo gruppo di docenti, nel segno della frontale opposizione, sintomo di un vecchio retaggio di conservazione11. A fronte dell'acuirsi della protesta studentesca, che aveva ormai coinvolto tutti gli istituti superiori, il 23 dicembre 1968 si riunõÁ, presso il Jolly Hotel, un nutrito gruppo di genitori per individuare le azioni piuÁ opportune atte a ``garantire ai propri ®gli il diritto allo studio''. degli USA e dell'URSS, la funzione del colonialismo e dell'imperialismo, crebbe la coscienza del pericolo mortale di un con¯itto nucleare nell'epoca della ``guerra fredda''. 11 Tra i pochi docenti decisamente orientati in senso democratico e progressista eÁ giusto ricordare almeno il prof. Giovanni Esposito, insigne grecista e latinista, del Liceo ``F. De Sanctis''.

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Le lotte popolari, di braccianti, operai e contadini erano riprese, in quella fase, nelle fabbriche del Nord ed in alcune aree contadine e bracciantili delle campagne meridionali e ®nivano di frequente per sfociare in aspri con¯itti di piazza conclusi, non di rado, in maniera tragica e sanguinosa. Va considerato il fatto che, negli anni '60, stridente era la discriminazione salariale tra le diverse aree del Paese. Tra Milano e Reggio Calabria, sul salario, si registravano differenze anche del 2030 % a svantaggio delle realtaÁ del Sud. Braccianti morti ad Avola nel dicembre 196812, piuÁ avanti, nell'aprile del 1969, l'esplosione dei moti di Battipaglia, con morti e decine di feriti, apparvero l'espressione piuÁ tragica e convulsa del profondo malessere che aveva iniziato a serpeggiare in ogni articolato ganglio della societaÁ italiana. L'invasione sovietica della Cecoslovacchia e l'ampia opposizione e resistenza sociale che in quel paese si era palesata con imprevedibile clamore confermavano l'esistenza di un esteso bisogno di profonde riforme e di maggiore libertaÁ. Era un forte sentimento di liberazione che aveva ormai investito i vari continenti della terra, insieme l'oriente e l'occidente, il nord e il sud del Mondo. A Praga, in Piazza San Venceslao, per protesta contro l`occupazione militare, si diede fuoco un giovane studente, Jan Palach, dopo aver cosparso il proprio corpo di benzina. Il 25 gennaio 1969 a Praga si tennero i funerali a cui parteciparono oltre un milione di persone. A Salerno, 12 Ad Avola, in provincia di Siracusa, il 2 dicembre 1968, nel corso di una manifestazione bracciantile, la polizia intervenne sparando sui lavoratori centinaia di proiettili. Rimasero uccisi sul selciato Angelo Sigona, 25 anni, di Cassibile, e Giuseppe Scibilia, 47 anni, di Avola. Molti i feriti, una decina gravi. Al comando delle forze dell'ordine era il vice questore Camperisi. La vertenza, in atto da oltre tre settimane, mirava a superare la differenza di salario, ``le gabbie'' esistenti tra le diverse aree regionali. Un bracciante che lavorava nella cosiddetta ``area a'' riceveva una paga giornaliera di 3.480 lire, chi, come la provincia di Siracusa, era invece collocato nell'``area b'' percepiva la retribuzione di 3.110 lire al giorno. I fatti di Avola produssero un'emozione enorme nel Paese. L'accordo per il superamento delle differenze salariali tra distinte aree fu di lõÁ a poco siglato dai sindacati confederali nazionali. Si era alla vigilia del varo del governo di centro-sinistra Rumor-Nenni.

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lo stesso giorno, sull'onda dello sdegno e dell'emozione suscitata, i movimenti giovanili e le federazioni monarchica e del MSI proclamarono uno sciopero generale di protesta negli istituti medi superiori13. La testa del corteo fu attaccata e la manifestazione sciolta con violenza dall'intervento di gruppi di edili, in lotta contro il licenziamento di 64 operai, che da alcuni giorni avevano alzato una tenda, iniziando un presidio in piazza Portanova14. Anche in questa occasione ci furono diversi feriti. Al ®anco degli operai, in quella circostanza, intervennero anche attivisti del movimento studentesco15. Si trattava di molteplici e contraddittori segnali di un con¯itto che aveva iniziato a snodarsi con veemenza, dopo la relativa inerzia delle fasi precedenti, e che non appariva immediatamente componibile se non attraverso il perseguimento di un nuovo e diverso equilibrio di poteri tra le diverse classi allora frontalmente contrapposte. In conclusione, il movimento degli studenti medi a Salerno determinoÁ un nuovo posizionamento, su basi genericamente di sinistra, di grandi masse giovanili16. Un elemento, questo, destinato a pesare, in 13

Il ``Fronte della GioventuÁ'' ed il ``Fronte Monarchico Giovanile'', stretti in patto d'unitaÁ d'azione, erano a Salerno suf®cientemente compatti ed aggressivi. Tra gli attivisti di quelle formazioni giovanili, diretta diramazione del MSI e del Partito Monarchico protagonisti di scontri in cittaÁ coi militanti delle sinistre, eÁ il caso di ricordare tra gli altri: Vincenzo Consiglio, Giovanni Crispino, Giuseppe Damiano, Enzo Fasano, Giampiero Stabile, Sergio Valese, Mimmo Vetromile. Ad essi piuÁ avanti si aggiungeranno anche Luca e Primo Carbone, Fiore Cipolletta. 14 Tra gli operai impegnati in quella lotta, in prevalenza aderenti al PCI ed alla CGIL, possono essere ricordati Matteo Ragosta, Saverio Della Rocca, Luigi Garofalo, Antonio Lambiase, Enrico Mari, Ciro Pellecchia. 15 Anche a Salerno frequenti furono gli interventi della polizia contro manifestazioni operaie e studentesche. Nel corso della lotta degli edili contro i licenziamenti, poco tempo dopo la manifestazione della destra per Palach, aspri scontri si registrarono sotto il Comune. Vennero picchiati e tratti in arresto Luigi Garofalo, Renato Peduto, Antonio Scielzo; ferito nell'occasione anche il Senatore Riccardo Romano. 16 Le scuole della cittaÁ, occupate dagli studenti, vennero sgomberate dalla polizia all'indomani delle feste natalizie. Fu il ``battaglione mobile'' dei celerini di Foggia ad intervenire con durezza negli istituti, a fermare ed identi®care diversi studenti, poi denunciati all'autoritaÁ giudiziaria, per ``danneggiamento aggravato, violenza privata aggravata, oltraggio e vilipendio alla forza pubblica, interruzione di pubblico servizio, occupazione di pubblico edi®cio''. Lo sciopero generale degli studenti ed una grande manife-

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maniera decisa, sul senso e l'indirizzo dei cambiamenti della politica locale e ®nanche sulla formazione, la ®sionomia, l'identitaÁ della nuova classe politica nei decenni che seguirono. Il movimento, che allora nacque e si sviluppoÁ a Salerno, fu uno dei piuÁ importanti, tra i pochi per davvero di rilievo, di tutto il Mezzogiorno d'Italia. Il 1968 rappresentoÁ, per piuÁ ragioni, insieme, la conclusione di un periodo e l'apertura di una fase profondamente nuova.

In un mondo inquieto Fermenti, all'inizio solo ¯ebili ed incerti, iniziavano ad incidere, prima in maniera sotterranea e poi sempre piuÁ chiara ed evidente, sul contesto d'insieme d'una societaÁ locale tradizionale, tranquilla, per tanti versi stagnante e limacciosa. La piuÁ ampia circolazione di notizie e informazioni, la costante ricerca di un confronto e di una comune ri¯essione su quanto succedeva a livello internazionale, consentivano l'apertura di una ®nestra sul mondo ed aiutavano l'avvio di una fuoriuscita dalle anguste dimensioni, locali e circoscritte, in cui ®no ad allora aveva continuato a scorrere il tempo di vita e di lavoro delle generazioni antecedenti, dei padri e dei nonni dei giovani del tempo. L'accesso ad un grado di piuÁ ampia e approfondita conoscenza del mondo, l'affermarsi di una idea della cultura non separata ma sempre piuÁ strettamente intrecciata alle vicende della vita reale degli uomini, permettevano di contestare, a fondo, l'idea di un percorso della propria esistenza individuale giaÁ in precedenza, rigidamente, da altri in larga misura preordinato e de®nito. Si manifestoÁ cosõÁ l'indisponibilitaÁ di quella giovane generazione, davanti a cui iniziava ad aprirsi un mondo nuovo, di seguire e riprodurre, per inerzia, le funzioni esercitate dai padri, un lascito di cui anzi, se del caso, ci si doveva de®nitivamente e per sempre liberare. stazione contro la repressione indetta per il 9 gennaio 1969 furono l'immediata risposta del movimento che, nell'occasione, portoÁ in piazza circa 8.000 persone. Ne diede notizia ``L'UnitaÁ'' del 10 gennaio 1969.

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E poi le certezze antiche ed indiscutibili, i dogmi profusi a piene mani su un presunto e inalterabile assetto dei poteri e delle gerarchie, proposti ai giovani nella famiglia e nella societaÁ, iniziarono a perdere autorevolezza, smalto ed ef®cacia. Germinava la rivolta, l'opposizione dei ®gli contro i padri. La scuola, apparsa in tutti gli anni antecedenti quale elemento statico di conservazione ostativo ai cambiamenti ed incapace di produrre adeguate innovazioni grazie a un piuÁ fecondo collegamento con le moderne esigenze della vita, corpo separato ed impermeabile a qualsivoglia attiva mutazione, apparve in quel momento il nervo, piuÁ scoperto e vulnerabile, di un'organizzazione sociale, invece bisognevole di profonde ed incisive riforme strutturali. La scuola e chi la dirigeva, tranne sporadiche e rarissime eccezioni, non colse cioÁ che stava maturando nel suo seno, la prorompente carica d'un bisogno e di un desiderio nuovo di libertaÁ e giustizia, l'insopprimibile esigenza di una svolta profonda e radicale. Entrava in crisi l'equilibrio di poteri che aveva segnato le stagioni precedenti e che ora appariva pericolosamente instabile. La classe politica dirigente diffusamente intesa, di contrasto, si ritrasse ed anzi sembroÁ piegarsi su se stessa. La tregua recentemente concordata, tra capitale e lavoro, non reggeva piuÁ e la faglia, che cominciava ad aprirsi sotto l'apparentemente tranquillo scorrimento delle cose, avrebbe di lõÁ a poco prodotto una de¯agrazione diffusa e prorompente. Nel maggio del 1968 in Europa era stata la Francia l'epicentro della grande rivolta, operaia e studentesca, che aveva tentato di incrinare, alla radice, gli equilibri di potere antecedenti17. Il rimbalzo 17

La contestazione, partita dalle UniversitaÁ di Nanterre, chiusa dalle autoritaÁ accademiche il 2 maggio, e dalla Sorbona di Parigi, nel suo avanzare tumultuoso, aveva ®nito per incrociarsi e collegarsi con le lotte e le proteste esplose nei piuÁ grandi complessi industriali del Paese, dando vita a grandi manifestazioni di popolo con centinaia di migliaia di manifestanti che sembravano sancire una nuova unitaÁ di classe tra studenti ed operai. La protesta, particolarmente aspra ed estesa, duroÁ per tutto il mese di maggio ®no a raggiungere la sua massima estensione il 24 maggio 1968 con lo sciopero generale cui parteciparono 9 milioni di lavoratori e che fu piuÁ avanti circoscritta e repressa dal pode-

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delle vicende francesi si trasferõÁ in altri grandi paesi come la Germania e la stessa Italia. In precedenza, giaÁ in alcune delle principali universitaÁ degli USA la contestazione aveva fatto il suo apparire rumoroso. Sullo sfondo della scena mondiale acquisõÁ nuova linfa e vitalitaÁ l'estendersi delle lotte di liberazione nazionale contro le potenze coloniali sfociate, di frequente, in lotta di popolo armata contro le potenze imperiali. In un tale contesto la guerra del Vietnam ®nõÁ per acquisire la dimensione piuÁ carica fra tutte di straordinaria e simbolica valenza, fattore ideale d'identitaÁ e straordinaria suggestione per la creazione di un nuovo orientamento politico tra le grandi masse giovanili del vecchio e del nuovo Continente18. Il Presidente Ho Chi Min sembrava esprimere nella sua ®sicitaÁ, nell'esile ®gura e nella fascinosa serenitaÁ che trasferiva dal drammatico scenario di morte e distruzione che inesorabilmente violava quel paese, il simbolo, concentrato, di milioni di persone in marcia inarrestabile da ogni parte del globo verso la libertaÁ. L'ef®gie, condensata ed in nuce, del Nuovo Mondo che andava costruito. Straordinario apparve il fatto che un piccolo paese, scarso di mezzi e con null'altro che uno straordinario orgoglio nazionale speso senza risparmio per la libertaÁ, avesse deciso di ergersi in piedi, combattendo per la propria indipendenza prima contro il dominio coloniale francese e poi contro gli USA, la piuÁ grande potenza imperiale del pianeta. L'effetto simbolico inizioÁ a costituire il piuÁ potente collante roso ritorno sulla scena del Generale De Gaulle, giaÁ eletto Presidente della Repubblica nel 1965. Comunque, quel moto fu un esempio, di tale incidenza, forza ed estensione, da non potersi contenere, per le sue simboliche suggestioni, nell'esclusivo recinto di quel solo Stato nazionale. 18 Il 16 marzo 1968, presidente Johnson (a cui il 5 Novembre 1968 succederaÁ Richard Nixon), era stato compiuto l'orrendo massacro di My Lay, il piuÁ grande genocidio di donne, vecchi e bambini in Vietnam. Un'identica emozione suscitarono le foto pubblicate in America dalla rivista LIFE il 3 settembre 1969. Esse mostravano le crudeli atrocitaÁ commesse dai soldati americani nel villaggio vietnamita di Song My. Le immagini fecero rapidamente il giro dell'America e del Mondo, procurando un orrore e un'emozione profondi per una carne®cina praticata senza alcuna ragione, del tutto inutile da un punto di vista squisitamente militare. Crebbe a dismisura la solidarietaÁ per i combattenti vietnamiti, nel mentre il governo americano accentuoÁ il proprio isolamento.

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per le nuove generazioni in movimento, per la ricollocazione, ideale e culturale, di milioni di giovani, in ogni parte della terra. Ho Chi Min, Che Guevara, Mao Tse Tung e la rivoluzione culturale cinese, le guerre contro il dominio coloniale in Africa, nel Congo, in Guinea, in Angola, nell'America latina, apparvero le scansioni, distinte e convergenti, dell'unica pellicola del grande ®lm di quel mondo inquieto che si era messo in movimento. Nel mondo occidentale le UniversitaÁ furono il cuore pulsante della contestazione. Prima a Berkeley, piuÁ avanti a Francoforte in Germania, all'UniversitaÁ di Nanterre e poi alla Sorbona in Francia, dove un nucleo di intellettuali inquieti e coraggiosi, come Foucault, Touraine, Mallet, Morin, aveva iniziato a produrre una critica pungente ed af®nata contro i processi di burocratizzazione delle forme piuÁ brutali e ingiuste del potere, all'ovest come all'est. Herbert Marcuse, Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, Bertrand Russell, Jean Paul Sartre e Albert Camus, ma anche dirigenti del movimento quali Rudi Dutschke e Daniel Cohn Bendit, divennero ben presto i leaders di masse giovanili sterminate alla ricerca di nuovi riferimenti, di diverse, originali e suggestive identitaÁ. I successi delle lotte di liberazione nazionale sembravano percettibilmente dimostrare la praticabilitaÁ di una strada, diversa ed alternativa, allo stanco e consumato, distante e inef®cace parlamentarismo dei consunti sistemi politici al tempo dominanti. Nel sentire comune apparivano ormai svuotate di valore, e inef®caci, le sedi della pratica di una democrazia troppo formale apparsa ormai incapace di scal®re, alle radici, il grumo concentrato di ingiustizie ed orrori di cui era disseminata la vita dei diversi Stati nazionali. L'analisi di massa si spinse ancora oltre. Nacque un nuovo mito, in Italia: quello della ``Resistenza tradita''. La Lotta di liberazione nazionale, che tanto sangue era costata, lungi dall'aver prodotto l'agognata giustizia e libertaÁ, aveva piuttosto comportato il reiterarsi di disuguaglianze, antiche e devastanti. I padri erano rei e responsabili di un tale inaccettabile stato delle cose. In Italia fu il Partito Comunista ad essere individuato come l'ar-

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te®ce di una speranza resa vana dall'inganno ``revisionista'', la forza che aveva illusoriamente optato per l'avanzata parlamentare, democratica e paci®ca al socialismo, ed in tal senso compromesso l'idea, palingenetica, della rottura rivoluzionaria e della liberazione dell'uomo da troppo tempo attesa. Un'analisi, come si vede, asciutta, sempli®cata, schematica e liquidatoria, che non concedeva alcun appello alla principale forza politica organizzata del movimento operaio. Nel convulso, incalzante procedere degli eventi era sorto un movimento, magmatico e complesso, in cui avevano ®nito per miscelarsi elementi distinti e variegati, forti contraddizioni, un indistinto condensato di tendenze libertarie, di anarchismo ed antiautoritarismo, una confusa tensione progressiva, un vuoto da colmare. Fu un movimento di massa che comunque mantenne, per tutta una prima fase, il suo carattere unitario. Lo fu ®no a quando decise di battersi contro l'autoritarismo e la scuola di classe e ®no a che sollecitoÁ un confronto stringente e piuÁ vicino ai problemi della societaÁ, quando si mosse per ridurre lo steccato tra docenti e studenti apparso a lungo invalicabile. Mantenne una sua interna coesione nel ri®uto di af®dare ad alcuno una delega in bianco esaltando l'assemblea, ebbe il suo collante nell'antifascismo e nell'anti-imperialismo, e restoÁ compatto ®n quando rivendicoÁ e difese la propria autonomia, ma che al contempo piuÁ avanti ®nõÁ per dividersi e sfaldarsi quando si pose il problema, piuÁ complesso, del passaggio all'organizzazione. Era, in ogni caso, un movimento composito, straordinariamente appassionato e generoso, che al proprio interno giaÁ presentava sotto traccia distinte posizioni, da quella genericamente anarchica a quella operaista. Un ®lone di pensiero, questo, che insisteva sulla necessitaÁ dell'analisi aggiornata del capitalismo che doveva ripartire dallo studio delle modalitaÁ di produzione nel cuore della fabbrica, nel mentre un'altra posizione, richiamando la rigorosa, letterale e dogmatica lettura dei testi leninisti, sembrava porsi l'immediato obiettivo del passaggio dalla spontaneitaÁ all'organizzazione. In una tale visione fu posto all'ordine del giorno il problema di creare un nuovo e diverso partito della rivoluzione, rigidamente strutturato per inter-

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ne ed ordinate gerarchie, che accentuoÁ gli elementi di propria distinzione e opposizione, spesso frontale, verso le rappresentanze uf®ciali delle forze politiche della sinistra storica. EÁ il caso di notare come tutte queste micro-formazioni che stavano per nascere glissavano del tutto tematiche e problemi, come quello della centralitaÁ della persona o della difesa e della tutela dell'ambiente, che si sarebbe iniziato ad affrontare soltanto un decennio piuÁ avanti. L'insieme delle forze politiche, incluse quelle di sinistra, apparve per piuÁ versi impreparato a fronteggiare l'inedita situazione che si proponeva adesso. In quella stagione aumentoÁ a dismisura, come mai forse in passato, il desiderio divorante di conoscenza e di una cultura non ®ltrata. Crebbe, in via esponenziale, la lettura di libri e di riviste, nacquero, dall'oggi all'indomani, numerosi fogli su cui iniziarono ad apparire proposte e sollecitazioni ad una nuova critica, aumentoÁ la propensione e l'attenzione per ogni manifestazione di cultura d'avanguardia19. Ed eÁ il caso di ricordare, EÁ a questo punto opportuno fare un breve cenno al ruolo di rilievo che negli anni precedenti avevano avuto riviste come ``Quaderni Rossi'', nata nel settembre 1961, i cui principali animatori erano stati Raniero Panzieri, Mario Tronti, Alberto Asor Rosa, Toni Negri e a cui avevano collaborato, tra gli altri, noti esponenti del sindacato come Vittorio Foa, Sergio Garavini, Emilio Pugno. La rivista concentrava l'attenzione in special modo sull'accurata indagine delle novitaÁ emerse nell'organizzazione del lavoro nella nuova fase di sviluppo del capitalismo e sulle diverse forme assunte dal con¯itto tra capitale e lavoro. L'esame critico delle contraddizioni non risolte e l'individuazione delle basi del futuro con¯itto costituiranno alcuni dei punti principali di lavoro teorico che si articoleraÁ anche attraverso lo sviluppo di numerose inchieste su speci®che situazioni aziendali di particolare rilievo quali quelle della Fiat e dell'Olivetti. Ai partiti storici della sinistra veniva rimproverato un riformismo ritenuto ``debole'' ed un eccesso di attenzione al livello istituzionale, l'insuf®cienza di un pensiero ef®cacemente e conseguentemente critico ed antagonista verso il neocapitalismo. ``Quaderni Piacentini'', cui avevano dato vita, in prevalenza, giovani di provenienza socialista e radicale, era invece apparsa a Piacenza nel marzo 1962. Piergiorgio Bellocchio e poi Sergio Bologna, Franco Fortini, Giovanni Giudici, Grazia Cherchi tra i principali animatori. Una costante attenzione fu rivolta alla critica dell'industria culturale e grande spazio ebbero sulle sue pagine i temi della letteratura, della poesia, del cinema, della storiogra®a. Aspra la polemica contro gli intellettuali ``integrati'' nel sistema. Dal 1965 in avanti sul foglio venne dato ampio spazio alle elaborazioni teorico-politiche della nuova sinistra americana ed europea, alla guerra in Vietnam e poi alla rivoluzione culturale cinese. In essa appariraÁ il saggio di Guido Viale ``Contro l'UniversitaÁ'', considerata il principale e deteriore strumento di manipolazione 19

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in questa occasione, lo straordinario impulso che in tal senso si veri®cheraÁ anche a Salerno grazie alla promozione culturale di cui divennero protagoniste alcune librerie, come quella di Umberto Carrano in via dei Mercanti nel Centro Storico. Il piccolo locale era in ogni suo angolo straripante di pubblicazioni italiane e straniere. Straordinaria la capacitaÁ di Umberto nell'individuazione repentina dei testi piuÁ rari, e spesso sconosciuti, richiesti dal nuovo pubblico di giovani lettori. In un attimo, tra gli scaffali e le casse traboccanti di volumi, veniva individuato e posto all'attenzione, e spesso di frequente anche sinteticamente commentato, ®nanche il libro piuÁ inconsueto. Un concentrato, palpitante e sorprendente, di conoscenza, cultura e di sapere. I giovani, si accennava, si collegarono piuÁ fortemente tra loro, in modo ben diverso dal passato, ricercando confronti, idee ed opinioni nuove, iniziando a viaggiare per l'Italia e per l'Europa, tendendo a un nuovo senso da dare all'esistenza20. In quella stagione la domanda di partecipazione alla politica, di conseguenza, crebbe in maniera esponenziale. I giovani italiani apparivano impermeabili nel far proprie le ispirazioni e le idee che avevano plasmato il comune sentire delle generazioni appena antecedenti. In effetti il 1968 introdusse nei fatti una secca scomposizione, ed anzi una netta frattura, nel percorso di trasmissione della cultura tra le generazioni. L'immenso patrimonio costituito dalla grande cultura borghese, in larga parte sconosciuto, pur appariva come un concentrato inutile e dannoso, non degno di essere conosciuto ne sottoposto ad alcuna collettiva ri¯essione ed anzi come qualcosa di cui ci si dovesse sbrigativamente liberare. Serviva invece una cultura completamente nuova! Veniva anzi avvertita come distante e vacua, priva di senso e di valore, la ricerca, l'impostazione storiogra®ca proposta da tempo dalla sinistra storica, di ancoraggio all'idea di ``nazione'' ed ogni riferimento, giudicato retorico e parziale, alle ideologica e politica, usata dal potere per annullare la coscienza critica dei giovani. Il saggio di Viale eÁ senza dubbio uno dei principali testi teorici del 1968 italiano. 20 Il mito del viaggio, con la sua magica e struggente suggestione, eÁ al centro di On the road di Jack Keruac.

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tradizioni di tipo tardo-risorgimentale, spesso disinvoltamente ed arbitrariamente confuse con posizioni che apparivano d'ispirazione nazionalista e che pertanto, in quanto tali, andavano decisamente espulse e sbrigativamente liquidate. Si palesava una esplicita alteritaÁ ed un'assoluta distanza dall'idea di ``Patria'' e di ``Stato nazionale''. Un legame d'analisi teorica piuÁ intenso veniva piuttosto ricercato nel riferimento al concetto di ``Classe'' inteso in una dilatazione internazionale del tutto decisiva per la de®nizione di una vincente strategia d'azione. In quel frangente il Partito Comunista Italiano esplicitoÁ al proprio interno diverse posizioni e distinti orientamenti. Intervenendo su ``Rinascita'', la rivista teorica del Partito, Amendola21 parloÁ del concreto rischio della riedizione di un ``nuovo sovversivismo'' e del pericolo di un ``fascismo rosso'', invece Longo apparve piuÁ problematicamente aperto alla discussione ed al confronto ed anzi sembroÁ sollecitarlo22. La scelta di campo appariva in ogni caso de®nita. La generazione nuova apparsa all'orizzonte non si sarebbe piuÁ confusa nell'indistinto magma dei vecchi simulacri del potere borghese occidentale. L'Oriente era il nuovo orizzonte alternativo da esplorare e per molti 21 Il 28 giugno 1968, sempre su ``Rinascita'', il dirigente comunista aveva sostenuto che ``il modo di esprimere comprensione per il travaglio dei giovani non eÁ quello delle facili civetterie. Occorre porsi, invece, sul piano della responsabilitaÁ. V'eÁ un atteggiamento molto diffuso tra gli anziani, che vuole apparire di larga apertura: commettano pure i giovani i loro errori, lasciamoli fare, ci penseraÁ l'esperienza a correggerli `il faut que jeunesse s'amuse', poi metteranno la testa a posto, penseranno alla carriera''. Per Amendola il problema studentesco era invece un problema nuovo, determinato dalla rivoluzione scienti®ca e tecnologica. Il sistema capitalista aveva bisogno, per la propria sopravvivenza, di un numero crescente di intellettuali che avrebbe tentato di legare sempre di piuÁ a seÂ, assicurando loro condizioni particolarmente favorevoli di vita e di lavoro, mentre essi esprimevano un bisogno profondo, e non compreso, di autonomia e libertaÁ, che quel modello di produzione e di sviluppo non poteva garantire. In cioÁ la vera ragione dell'acuta contraddizione venuta in emersione. 22 In quegli anni, e per diverso tempo ancora, la guida del Paese eÁ nelle mani della D.C che, forte di un consenso diffuso e consistente, daraÁ vita con Leone e Rumor, alternativamente, a governi di coalizione insieme al PSI ed al PRI o a governi monocolore. Solo nel 1972 l'indirizzo politico del governo Andreotti-Malagodi saraÁ piuÁ decisamente orientato verso destra.

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di quei giovani da assumere a modello. La radicalitaÁ, l'assenza di zone ``grigie'' e problematicitaÁ, impediva di dispiegare lo sguardo, con critica attenzione, verso l'altro grande gigante del mondo, il sistema socialista, che aveva nell'URSS il proprio principale ed ingombrante referente. L'utopia dogmatica circa la realizzabilitaÁ di una societaÁ nuova, di uomini liberi ed eguali, ®niva per mischiarsi con gravi errori, parzialitaÁ, ideologismi giusti®canti ®nanche orrori e aberrazioni23. Oltre che Mao Tse Tung, ®niva in tal modo per esaltarsi addirittura Stalin e una sua presunta ``funzione progressiva'' esercitata nella storia, la palingenesi della dittatura proletaria quale magico antidoto, risolutivo e ®nale, ad ogni persistente prevaricazione ed ingiustizia che continuavano a sussistere nel mondo. Una visione delle cose, sostanzialmente manichea, che Ð di per  se Ð sembrava escludere la possibilitaÁ di eventuali distinzioni ed intermedie sfumature. In tal modo, evidentemente, pur sollevando in super®cie critiche ed obiezioni alla ``politica imperiale''del grande colosso comunista, non potevano essere colti ed anzi venivano negati i segni premonitori di una crisi profonda che, poco piuÁ di due decenni dopo, avrebbe investito alla radice e sgretolato l'URSS e, piuÁ complessivamente, l'insieme del ``sistema socialista'' dei paesi satelliti gravitanti nella sua diretta sfera d'in¯uenza. Non esisteva neppure la vaga consapevolezza del lento avanzare e strutturarsi di una crisi politica, economica e sociale acutissima che, come eÁ noto, avrebbe prodotto la disgregazione e la ®ne dei regimi del ``socialismo reale'', dando l'avvio ad un potente e massiccio processo migratorio, da 23 Il 30 aprile 1968 in Russia venne diffuso clandestinamente il primo numero del principale bollettino dell'opposizione intellettuale al regime sovietico contro la sistematica repressione di ogni forma di dissenso, ``Khronika tekuscikh sobytij'' (Cronaca degli avvenimenti correnti), fondato da Natalia Gorbanevskaja. La vita della rivista, ostacolata in ogni modo dalle autoritaÁ, si concluderaÁ de®nitivamente il 17 novembre 1983. In sostanza, le voci critiche di Solgenitzin e Sakarov, e le numerose espressioni del dissenso emerse, a partire da quegli anni, tra gruppi di intellettuali dell'est non avranno, per tutta una lunga fase, il risalto che avrebbero invece meritato. Oltre ad Arcipelago Gulag, Una giornata di Ivan Denisovic, Reparto C di Solgenitzin, vanno ricordati almeno il librotestimonianza di Artur London La Confessione e 7.000 giorni in Siberia di Karlo Stejner, edizione italiana Tullio Pironti Editore, Napoli 1985.

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quelle regioni dell'Est verso i maggiori paesi dell'Europa Occidentale, che avrebbe investito in pieno la stessa Italia. Eppure, in ogni caso, in quel frangente storico ogni occasione mirava a rimarcare, seppure coi limiti e con tutte le parzialitaÁ di cui si eÁ detto, l'esistenza di un collegamento, stretto ed intrecciato, tra situazione particolare e minuta con dinamiche geogra®camente, economicamente e politicamente piuÁ ampie, estese, tra di loro strettamente interdipendenti e collegate. Crebbe a dismisura il protagonismo di massa nelle scuole e nelle fabbriche, fu messa in crisi la prassi, consueta, della delega ad altri sulla legittimitaÁ delle decisioni. Ciascuno si sentõÁ, per una breve stagione, protagonista delle proprie scelte, del proprio destino personale ed insieme parte attiva del gigantesco processo di costruzione di un nuovo futuro collettivo e della nascita di un nuovo mondo, senza dubbio migliore. Il privato ®nõÁ per confondersi sempre di piuÁ integralmente col pubblico, ®n quasi ad annullarsi. Rosso o nero i due distinti corni del problema. Contestazione e ri®uto radicale unico antidoto alla passiva e subalterna integrazione. L'assemblea generale fu la sede che esplicitoÁ, plasticamente, l'idea di una democrazia di massa, diretta e alternativa, l'unica occasione in cui assumere orientamenti e decisioni condivise. Le sedi formali della democrazia rappresentativa vissute come luoghi sempre piuÁ as®ttici e privi di autorevolezza, erano svuotate di effettivi poteri e di funzioni vere, valide ed ef®caci. Dal caos prodotto a piene mani, come d'incanto, sarebbe emersa la nuova societaÁ.

Fine anni '60 e primi anni `70: la lotta per un nuovo potere in fabbrica Nel mondo del lavoro, contemporaneamente, proprio in quella fase, sarebbero state spazzate via, in un breve arco di tempo, le condizioni troppo diseguali, umilianti e proibitive, degli operai in fabbrica e sarebbe emersa una potente e diffusa contestazione incentrata sull'abolizione delle vecchie gabbie salariali, per diversi e me-

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no pesanti orari di lavoro, per l'aumento dei salari e, piuÁ in generale, per migliori condizioni normative e contrattuali. La conquista del contratto nazionale di categoria per singoli settori, il raggiungimento di una maggiore eguaglianza tra salariati, il conseguimento di nuovi diritti del mondo del lavoro, che in precedenza non erano mai stati conosciuti, furono i primi obiettivi perseguiti e progressivamente raggiunti con lo sviluppo delle grandi agitazioni operaie. Inoltre inizioÁ a venir messa in discussione la prerogativa dell'impresa circa l'insindacabilitaÁ delle forme, rigide e tradizionali, dell'organizzazione tradizionale del lavoro, avanzoÁ la richiesta del diritto all'assemblea retribuita, anche con la partecipazione di dirigenti sindacali esterni, e dell'organizzazione della rappresentanza dei lavoratori eletta democraticamente in fabbrica. Si apriva la grande stagione dei Consigli di fabbrica, che avrebbero di lõÁ a poco sostituito le vecchie Commissioni Interne. Riprendeva prestigio il sindacato, ®no a quel momento ancora piegato dalla grave scon®tta subita alla FIAT nel cuore dell'aspro scontro degli anni '50. Era in sostanza cominciata un'azione contro l'autoritarismo e per la messa in discussione dell'organizzazione tayloristica del lavoro e per l'apertura di una nuova stagione di diritti del mondo del lavoro. EÁ proprio dagli inizi degli anni '60 e poi per tutti gli anni '70 che puoÁ essere in effetti individuata la fase, complessa ed intensa, rivolta ad una diversa de®nizione degli equilibri di forza e di potere nell'impresa italiana24. La discrezionalitaÁ aziendale venne messa in 24 Si realizzano, allora, primi elementi di contrattazione per una nuova classi®cazione della forza lavoro: nel comparto tessile, ad esempio, le categorie saranno ridotte da otto a cinque, e verranno introdotte prime forme di avvicinamento salariale per settori similari, in special modo per il laniero e il cotoniero. Fu quello, inoltre, il tempo in cui si attuarono consistenti cambiamenti nell'organizzazione del lavoro, col passaggio dal cottimo individuale e, quindi, dall'eccesso di parcellizzazione produttiva, al lavoro di gruppo, con attivitaÁ sulle ``isole'' ed aree di produzione, con una nuova ed inedita impostazione che affermoÁ il principio di forme organizzative piuÁ aggreganti del lavoro operaio. Si consolidoÁ, poi, il diritto all'informazione preventiva sui programmi e gli indirizzi generali dell'impresa, si realizzarono nuove forme di controllo e di contrattazione dal basso dell'attivitaÁ produttiva, fu posto un limite all'unilateralitaÁ dell'impresa nella de®nizione delle scelte aziendali e si affermoÁ la linea dell'obbligo dell'informazione preventiva alle rappresen-

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crisi anzitutto sul tema dell'attribuzione del salario: s'incrinoÁ la prassi, divenuta consueta, della corresponsione dei superminimi contrattati individualmente tra impresa e singolo lavoratore e delle elargizioni unilaterali dei datori di lavoro, sostituita con la corresponsione di salari collettivi di produttivitaÁ o con i premi di produzione annui, integrativi agli incrementi contrattuali de®niti a livello nazionale. Il settore metalmeccanico, a partire dalla Fiat, divenne la punta di diamante di tutto il movimento sindacale italiano. S'aprõÁ, dopo il periodo delle differenziazioni territoriali, delle gabbie salariali, una lunga fase di vertenze contrattuali per conseguire condizioni normative e salariali uniformi valide, contemporaneamente, in tutta la penisola. E si conquistoÁ il diritto alla contrattazione aziendale con la ricerca di intese integrative, migliorative degli accordi raggiunti a livello nazionale. Fu quella la stagione, indice della speci®citaÁ del sindacalismo italiano, di apertura d'una azione che non limitava ed esauriva la propria attenzione al terreno, seppur primario, della fabbrica ma che, piuÁ di quanto era successo in passato, si mostrava attenta alle vicende piuÁ generali del paese e al suo destino. Il movimento dei lavoratori iniziava a dimostrare, tangibilmente e nel concreto, d'essere portatore d'idee e progetti innovativi, di valenza ben piuÁ ampia e generale. La lotta per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori si combinoÁ, cosõÁ, con forme d'avanzamento e di progresso della condizione di civiltaÁ del complesso della societaÁ nazionale. Un tale processo veniva favorito dal fatto che nel ventre della nazione, alla ®ne degli anni '60 si era messo in moto, dopo la relativa stasi degli anni '50, un meccanismo economico dinamico e virtuoso. Con la crescita dei consumi era stato riscritto il pro®lo d'una societaÁ in profonda mutazione che ridisegneraÁ l'identitaÁ speci®ca del Paese e la speci®citaÁ della sua storia. Da una struttura economico-sociale a tanze sindacali sulle scelte strategiche che il padronato intendeva perseguire. Iniziarono, di conseguenza, ad entrare in crisi le annose gerarchie che ®no a quel periodo avevano operato senza controlli o condizionamenti veri.

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larga prevalenza agraria si era innestata una fase che aveva prodotto un cambio di ®sionomia, profondo e repentino che, recuperando in tempi relativamente brevi gran parte dei gravi ritardi accumulati, aveva avviato la trasformazione dell'Italia in un moderno ed avanzato Paese industriale, in una potenza economica di primario rilievo nello scenario europeo e mondiale. Il quadro politico ne risulteraÁ sensibilmente trasformato. La sinistra, nelle sue principali componenti storiche, quella socialista e comunista, si era divisa, posizionandosi in maniera divergente: i socialisti al governo, i comunisti all'opposizione25. EÁ ®n troppo nota la discussione, aspra ed appassionata, per piuÁ aspetti anche lacerante, sull'esperienza dei governi di centro-sinistra. Un elemento d'indubbia novitaÁ fu, in un tale scenario, il ricco dibattito sviluppato sul ruolo dello Stato nell'economia, sulla funzione delle aziende a Partecipazione Statale per lo sviluppo del Paese e, specialmente, del Mezzogiorno: si assistette, in sostanza, al manifestarsi di due distinte e contrapposte posizioni, una favorevole, l'altra decisamente contraria26. 25 Á E il caso di ricordare che, in precedenza, era stato l'Istituto Gramsci ad organizzare un importante confronto tra diversi studiosi ed economisti sull'identitaÁ e le prospettive del capitalismo nazionale. A Roma dal 23 al 25 marzo del 1962 si era tenuto il pubblico convegno sulle ``Tendenze del capitalismo italiano''. Un'occasione in cui erano state presentate le impegnative relazioni di Antonio Pesenti, Vincenzo Vitello, Bruno Trentin e Giorgio Amendola, che avevano esplicitato diversitaÁ di vedute circa le ulteriori possibilitaÁ espansive del sistema o sui caratteri dell'inevitabile crisi che necessariamente ne avrebbe incrinato la tenuta. Gli Atti saranno raccolti in una pubblicazione, che prenderaÁ lo stesso titolo del Convegno, stampata dagli Editori Riuniti, Roma 1962. Lo stesso Istituto, il 14 ed il 15 marzo 1963, aveva dato vita al Convegno ``Programmazione Economica e rinnovamento democratico'', ulteriore passaggio di rilievo nell'analisi e nello studio dell'evoluzione delle dinamiche economiche e politiche che si erano messe in movimento. Nel 1968 e negli anni immediatamente seguenti il movimento degli studenti liquideraÁ sbrigativamente l'analisi di merito sulla tenuta e l'ulteriore capacitaÁ espansiva del sistema, di cui, parafrasando una massima di Mao, si profetizza la ®ne ormai prossima ``L'imperialismo eÁ una tigre di carta''. 26 Furono favorevoli, in prima istanza, uomini d'estrazione liberale, legati in prevalenza al potente insegnamento di Benedetto Croce, raccolti intorno a riviste quali ``Nord e Sud''. Essi ritenevano necessario, obbligato ed indifferibile l'intervento diretto dello Stato nell'economia e proponevano di concentrarsi prioritariamente sulla realizzazione d'un processo diffuso d'industrializzazione, una strada obbligata per il Mezzogiorno d'Italia. Con l'immissione in circuito di robuste quantitaÁ di capitali si sarebbe potuto recuperare

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Esempio illuminante ed esempli®cativo era stato il punto di vista in precedenza esplicitato da Francesco Compagna27, che aveva visto con estremo favore l'azione per localizzare nel Mezzogiorno parti consistenti d'attivitaÁ di tutti o quasi tutti gli ampliamenti ed i nuovi impianti della cosiddetta grande industria di base''28. A cioÁ dovevano essere indotti anzitutto i grandi gruppi, pubblici e privati, che avrebbero trovato, perseguendo una tale posizione, forti convenienze da una diversa collocazione produttiva che, da un lato, ricomponesse lo sviluppo produttivo squilibrato prodottosi tra le diverse regioni italiane, dall'altro, realizzasse l'azione, non oltre differibile, di decongestionamento delle aree industriali del triangolo industriale del Nord. Le posizioni di Compagna erano uno degli esempi, piuÁ espliciti ed evidenti, del clima di ottimismo e di speranza circa i destini futuri del Paese e, in specie, del Mezzogiorno d'Italia. In questa visione, andava accelerata la realizzazione delle infrastrutture primarie ed il rafforzamento delle vie di comunicazione, dei principali assi viari, delle ferrovie e delle autostrade, in maniera tale che tutto lo sforzo straordinario dello Stato, in termini di investimenti per lo sviluppo industriale, non fosse reso vano dalle forti diseconomie esterne all'impresa e dall'arretratezza del territorio, negativi condizionamenti all'ambizioso progetto. Questa idea di sviluppo, virtuoso e progressivo, sembrava non tenere nel giusto conto l'elemento, che si dimostreraÁ invece decisivo, del ruolo e della funzione che, in questo processo dinamico, da realizzare a tappe accelerate, erano disposte a svolgere le classi politiche dirigenti meridionali. Di certo esistevano forze in grado di sintonizzarsi con la novitaÁ della situazione, d'interpretarla in maniera creativa e intenzionate a far prevalere l'interesse generale su quello angusto di ceto, di gruppo, di appartenenza, uomini determil'antico ritardo cui dal tempo dell'uni®cazione nazionale era stata di fatto condannata quella parte del Paese. 27 FRANCESCO COMPAGNA, La Questione Meridionale, Garzanti 1963. Vedasi anche la piuÁ recente edizione pubblicata nel marzo 1992 a cura delle Edizioni Osanna di Venosa, con l'introduzione di Giuseppe Tiranna. 28 Pag. 138, op. cit., edizione 1992.

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nati e capaci di porsi quale depositari intransigenti d'un progetto ambizioso che, materializzandosi, per la sua indiscutibile ef®cacia sociale avrebbe concorso ad invertire la storia di assenteismo e di degrado, la ``cultura'' deviata che col tempo era attecchita in queste aree al punto da sembrare inscal®bile per sempre29. Questa tensione non poteva certo esaurirsi negli esclusivi con®ni, angusti e limitati, della fabbrica ed anzi avrebbe dovuto investire nel suo insieme la societaÁ circostante, dove erano da conquistare e dilatare spazi ben piuÁ ampi di democrazia. Coniugare i due piani signi®cava porsi il grande problema d'incidere sul terreno dello Stato e della sua organizzazione estendendo, in maniera diffusa ed organizzata, forme stabili ed attive di partecipazione alla vita democratica della Nazione. Intenzioni che, tuttavia, negli anni che verranno, non saranno suf®cienti a determinare l'attecchire di un rinnovato, radicato e robusto spirito pubblico, cosõÁ che, di frequente, i fattori di coesione individuati, che si tenteraÁ di perseguire col concorso delle forze d'avanguardia piuÁ avvertite operanti nella realtaÁ meridionale, ®niranno per s®lacciarsi, non riuscendo ad incidere nel reale, se non in maniera assai parziale e limitata. In ogni caso, il con¯itto, giaÁ da tempo in gestazione ed alimentato dal diffuso grado d'ingiustizie sopportato in prevalenza dal mondo del lavoro, si era in breve tempo esplicitato in tutta la sua portata, costituendo, per una volta ancora, il fulcro su cui andranno a strutturarsi nuovi rapporti politici e di potere nel Paese. In questo contesto, il dibattito sull'intervento pubblico nell'economia e sulla funzione delle Partecipazioni Statali, il rapporto tra Stato ed impresa, il diffuso sostegno al complesso delle aziende la cui consistenza quantitativa si stava ulteriormente ampliando, risulteraÁ particolarmente ricco e appassionato. Un problema aggiuntivo appariraÁ, poi, il rapporto da stabilire con l'impresa privata e la funzione dei monopoli nell'economia, con la loro capacitaÁ di condizionamento reale sugli indirizzi e le scelte di governo. Individuato come essenziale era il ruolo che avrebbe dovuto essere svolto 29

GUIDO DORSO, La Rivoluzione Meridionale. Saggio storico-politico sulla lotta politica in Italia, Piero Gobetti Editore, Torino 1925.

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dal Parlamento, dal Governo e dal Ministero delle Partecipazioni Statali sulle forme di controllo da esercitare sugli strumenti della presenza pubblica in economia. Problemi, come eÁ facile comprendere, d'importanza estrema e che costituiranno la cornice d'insieme nella quale opportunamente collocare l'evoluzione della vicenda delle principali aziende manifatturiere, pubbliche e private, dell'area salernitana.

La rivolta di Battipaglia dell'aprile 196930 Fatto eÁ che proprio in quella fase, in difformitaÁ da quanto ci si poteva attendere, piuÁ che ridursi si accentuoÁ, in maniera esplicita e drammatica, la forbice di uno sviluppo diseguale tra le aree del Centro e del Nord protagoniste di un accelerato sviluppo economico ed industriale e realtaÁ meridionali, come in particolare alcune zone della Provincia di Salerno, dove inizioÁ a riproporsi, drammaticamente, una condizione di sottosviluppo e stagnazione. Nell'immediato secondo dopoguerra si era sviluppato nella Piana del Sele, in sintonia con quanto avveniva in larga parte del Mezzogiorno d'Italia, una grande e massiccia iniziativa di lotta, protagonisti i contadini senza terra, per l'occupazione e la divisione delle terre incolte, in specie demaniali31. Fu il periodo della grande speranza di un radicale cambiamento nella direzione politica del paese. Alla testa di questi movimenti si erano posti il Partito Comunista Italiano e la CGIL32. 30

L'indagine delle principali ragioni che causarono le rivolta di Battipaglia dell'aprile 1969 e, piuÁ avanti, quella di Eboli del maggio 1974, sono state analiticamente ricostruite con le loro interne distinzioni nel volume di PIERO LUCIA, Nel labirinto della storia perduta, Guida Editore, Napoli 2006. 31 A proposito delle lotte per l'occupazione delle terre incolte e la piena attuazione della riforma agraria in Provincia di Salerno eÁ illuminante la lettura del volume di GIUSEPPE LANOCITA, Il latifondo delle masserie, prefazione di Augusto Placanica, Edizioni Arti Gra®che Boccia, Salerno 2000. 32 Nell'immediato secondo dopoguerra era nato il Movimento di Rinascita del Mezzogiorno, che aveva avuto tra i principali animatori Giorgio Amendola, Mario Alicata, Francesco De Martino. Esso poneva, tra le proprie prioritaÁ d'azione, la centralitaÁ della questione agraria e la necessitaÁ della rottura del latifondo, baluardo delle classi conservatrici del Mezzogiorno. Abdon Alinovi, Gaetano Di Marino, Feliciano Granati, Pietro

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Tuttavia, questa epoca storica di lotta economica e politica d'enorme signi®cato generale, ®niraÁ per concludersi col raggiungimento di risultati largamente inferiori alle attese suscitate. Nella Piana del Sele, nonostante la grande iniziativa profusa nella lotta per l'occupazione delle terre incolte e mal coltivate, era mancata l'organizzazione di cooperative di conduzione collettiva da contrapporre all'azienda capitalista. Le cooperative non ebbero, cioeÁ, alcun serio sviluppo. Si generoÁ, estendendosi a dismisura, il progressivo svuotamento delle campagne con l'incremento, esponenziale e accelerato, del fenomeno migratorio. CioÁ ®nõÁ per isterilire l'ossatura sociale, la forza ed il prestigio politico del Partito e del Sindacato. In considerazione dei limitati risultati raggiunti, si sostenne da piuÁ parti la tesi secondo cui una vera prospettiva di sviluppo andava individuata puntando piuttosto su altri settori, ovvero sull'inizio di una nuova fase d'industrializzazione. Su questa linea con¯uirono tutte le interne anime del Partito Democristiano con l'emersione di con¯itti pubblici, di tale asprezza, da condurre ad una nuova geogra®a del potere, nel partito e nelle istituzioni. L'area del Sele aveva visto un notevole sviluppo della produzione e dell'occupazione, in special modo nel settore del tabacco. Nella Provincia, negli anni '60, erano ben 9.000 i lavoratori impiegati nel comparto. Essi si ridussero a meno di 3.000 nel 1970, anche a seguito di un'epidemia di ``peronospora tabacina''33. A tale verticale caduta produttiva ed occupazionale aveva concorso il contemporaneo rafforzamento di altri paesi come la Grecia. La situazione sociale nella Piana del Sele, a seguito della perdita di migliaia di posti di lavoro, Grifone, Silvano Levrero, Piero Memmi, Giovanni Perrotta, Michele Rossi, furono tra i principali dirigenti impegnati, insieme a Lanocita, sul fronte della lotta per la riforma agraria in provincia di Salerno ed in specie nella Piana del Sele, l'ossatura essenziale del futuro gruppo dirigente del PCI e della CGIL. A livello nazionale il maggior esperto della questione agraria e contadina era Emilio Sereni, autore de Il Capitalismo nelle campagne e de La questione agraria nella rinascita meridionale; Pietro Grifone, altro acuto studioso della questione agraria, eÁ autore de Il capitale ®nanziario. 33 LUIGI GRAZIANO, Clientelismo e Sistema politico: il caso dell'Italia, Franco Angeli Editore, Milano, pag. 173.

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era ben presto divenuta assai critica e gravida di fortissime tensioni. In seguito alla chiusura di uno stabilimento, la protesta esplose, in forme gravissime ed incontrollate, degenerando ben presto in una rivolta che colse totalmente impreparati Partito e Sindacato. Emerse un rapporto, ormai lacerato e consunto, tra il Partito e le masse e, contemporaneamente, tutti i limiti di tenuta e di rappresentanza del Sindacato. Il tessuto sociale connettivo e democratico parve liquefarsi, rivelandosi pressoche inesistente. Ci furono, a Battipaglia, morti e feriti34. La notizia dei gravi moti, con le strade e la ferrovia bloccate, l'incendio del Municipio, le barricate, l'intervento della polizia, i morti, non poteva non avere conseguenze all'interno del Sindacato Confederale. La situazione apparve subito molto preoccupante. Luciano Lama, allora Segretario Generale della CGIL, intervenne in maniera assai determinata: d'intesa con Rinaldo Scheda ed Aldo Giunti35, convocoÁ Giuliano Baiocchi e lo invioÁ a Salerno, con l'incarico di lavorare al ripristino di una situazione di normalitaÁ. Baiocchi, col gruppo dei dirigenti della Camera del Lavoro, avvioÁ una immediata presa di contatti con la Cisl e la Uil: per sbloccare la situazione, divenuta effettivamente drammatica, venne proclamato lo sciopero generale36. La rabbia popolare, incontrollabile, non fece 34 La rivolta di Battipaglia esplose, in maniera incontrollata, il 9 aprile 1969 a seguito della notizia della chiusura della manifattura tabacchi e dello zuccheri®cio. Anche in questo caso la polizia fece ricorso alle armi da fuoco. Morirono Raffaele Citro, un operaio tipografo di 19 anni, e Teresa Ricciardi, insegnante nella scuola media di Eboli, colpita al petto mentre si affacciava alla ®nestra di casa. I moti che si veri®carono nelle ore successive causarono centinaia di feriti tra manifestanti e forze dell'ordine. Venne incendiato il municipio, fu invasa e devastata la stazione ferroviaria, assediati il commissariato e la caserma dei carabinieri. La protesta non apparve in alcun modo contenibile ed inascoltati restarono, per giorni e giorni ancora, i richiami alla calma dei partiti e delle organizzazioni sindacali a loro volta travolti dalla furia della protesta popolare. 35 A quel tempo responsabile d'organizzazione della Cgil. 36 Nel moto di Battipaglia emersero in maniera ben presto evidente fattori eversivi ed antidemocratici. Fu un episodio grave che non restoÁ isolato. PiuÁ avanti si veri®coÁ, dal luglio 1970 al febbraio 1971, la grave rivolta di Reggio Calabria per ``Reggio capoluogo'' diretta dai ``Boia chi molla'' di Ciccio Franco. Anche in questa occasione ci furono morti e feriti, prima che la situazione si rasserenasse dopo che Emilio Colombo annuncioÁ la decisione di un investimento di 3.000 miliardi di lire per la creazione in Calabria del quinto centro siderurgico nazionale, una decisione che avrebbe procurato 10.000 posti di

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differenze: nel corso della manifestazione sindacale il palco fu incendiato. Si trattoÁ di un impatto, aspro e doloroso, con una realtaÁ del Mezzogiorno, pesantemente segnata dalla gravitaÁ della situazione economica, sociale, occupazionale. Baiocchi sostituõÁ Giuseppe Amarante, incaricato di dirigere la Federazione comunista salernitana, alla guida della CGIL e si trovoÁ di fronte ad una situazione ambientale che piuÁ avanti rappresenteraÁ, comunque, come interessante e favorevole, con dirigenti capaci e competenti, educati sindacalmente e politicamente. Un gruppo dirigente, unito e compatto, che non gli faraÁ mai mancare la piuÁ ampia e solidale collaborazione. L'inizio degli anni '70 si con®guroÁ come uno straordinario periodo di protagonismo operaio e sindacale. Si apriva una nuova stagione di ricche esperienze sindacali, costellata dalle grandi assemblee operaie37. Migliaia di operai e di operaie, dai braccianti ai lavoratori tessili e dell'abbigliamento, dai lavoratori del pubblico impiego ai metalmeccanici, ai chimici ed agli edili, concorsero, da protagonisti, alla de®nizione delle piattaforme rivendicative. Emerse dal movimento, a Salerno, un nuovo gruppo di quadri e dirigenti sindacali, forte e quali®cato. L'esperienza di Baiocchi a Salerno38 si concluse in un arco di tempo relativamente breve e gli successe, alla guida della CGIL, Claudio Milite, mentre al Congresso del Sindacato della zona di Battipaglia fu eletto Gaetano Maiorano. Momenti di lotta particolarmente aspri di quella fase furono lavoro. Un'altra rivolta ad ampia partecipazione popolare si veri®coÁ a L'Aquila. Situazioni tutte concentrate nel meridione d'Italia, in realtaÁ territoriali di forte disoccupazione e precarietaÁ, interessate da ampi fenomeni migratori verso il Nord del paese. E tutte espressioni di una violenta ed ostile ``cultura'' antistatale giaÁ emersa in passato in altre circostanze nella storia d'Italia. 37 La lotta piuÁ importante fu quella per la conquista dello Statuto dei diritti dei lavoratori. EÁ allora che venne strappato il diritto all'assemblea retribuita nei posti di lavoro. 38 Giuliano Baiocchi era un quadro di provenienza operaia. Aveva lavorato 7 anni in fabbrica e nel 1949 era diventato Segretario della CGIL di Abbadia San Salvatore. Nel 1955 diventoÁ Segretario delle industrie estrattive. PassoÁ alla direzione della CGIL di Siena e, quindi, nell'Uf®cio di Segreteria del Centro Nazionale Confederale. Mentre ricopriva questo incarico, fu inviato a Salerno dalla Confederazione.

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quelli del blocco della mungitura nell'azienda ``Valsecchi'' durante gli scioperi bracciantili nella Piana del Sele. La Provincia di Salerno era una delle aree decisive in Italia per la conquista del contratto nazionale dei braccianti ed il Sindacato Confederale poteva contare su quadri dirigenti della Federbraccianti di particolare combattivitaÁ, passione e competenza come Giuseppe Colasante ed Eufrasia Lepore: eÁ in occasioni simili che la direzione sindacale deve mettersi, se necessario, anche contro i lavoratori, prendendo le distanze da forme di lotta estreme ed esasperate per affermare la linea della salvaguardia del patrimonio, costituito in questo caso dal bestiame. Dif®cilissima si riveloÁ anche la lotta per la difesa dell'occupazione nei tabacchi®ci in crisi. Una positiva caratteristica dei gruppi dirigenti sindacali e politici di quel periodo fu la scelta della non esclusione dalle decisioni e dagli organismi dirigenti di quanti dissentissero dalla linea e dalle scelte dell'organizzazione, la capacitaÁ di ascolto e la tolleranza per il dissenso che, piuÁ avanti e in tempi piuÁ recenti, saranno sempre meno praticati. Avendo da tempo rinunciato ad un'accurata e rigorosa selezione dei gruppi dirigenti e ad un'accorta veri®ca della loro qualitaÁ, troppo spesso tali oggettivi requisiti ®nirono per essere sostituiti dall'esclusiva logica di appartenenza, non di rado subalterna, ai vari gruppi interni, spesso scarsamente rappresentativi del reale movimento ed autoreferenziali, che si erano nel frattempo costruiti e rigidamente organizzati. La libera dialettica ed il libero confronto di distinte posizioni, tesa alla ricerca paziente delle piuÁ avanzate mediazioni, essenziale per una grande e matura forza sociale democratica, diventarono cosõÁ sempre piuÁ evanescenti e ¯ebili, accentuando, assieme alla caduta verticale dell'autonomia sindacale, gli elementi di cesura, crisi e scollamento nel rapporto tra lavoratori e sindacato. Sintomo, questo, di un'evidente involuzione e gravido di negative conseguenze per la vita democratica dell'organizzazione. In ogni caso, i gravissimi fatti di Battipaglia impedirono o almeno rallentarono il rischio che, di lõÁ a poco, nella Piana del Sele, si veri®cassero altre chiusure di aziende tabacchine. Il 1969 si concluse con la tragedia della strage alla Banca del-

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l'Agricoltura, a Milano, in Piazza Fontana. Una bomba collocata in una cartella piazzata al centro del salone affollato di clienti esplose, alle 16,37 del 12 dicembre, provocando la morte di 16 persone ed il ferimento di altre 90. Contemporaneamente un altro ordigno scoppioÁ a Roma, alla Banca Nazionale del Lavoro in Via Veneto, ferendo 16 persone. S'accentuoÁ l'incertezza ed un clima di paura si diffuse nel Paese. EÁ l'accelerazione di quella che saraÁ de®nita ``la strategia della tensione'', costellata negli anni a venire da molte altre azioni delittuose per le quali troppo spesso non verranno individuati ne esecutori ne mandanti.

L'inversione del ciclo economico e segni di crisi Ai principi degli anni '70 il grande boom economico che aveva lasciato addirittura immaginare la percorribilitaÁ e la realizzabilitaÁ dell'obiettivo della piena occupazione con la soluzione di alcune delle piuÁ stridenti ed acute discrasie nel tasso di sviluppo, a partire dall'antica ed irrisolta questione meridionale, s'era ormai interrotto, giungendo al capolinea. I margini di agibilitaÁ per una piuÁ equa distribuzione del reddito cominciavano ad assottigliarsi. Iniziava una fase di stagnazione e regressione nelle dinamiche dello sviluppo economico, si apriva la fase del ri¯usso e della ritirata. I sogni di una rapida e rigenerante palingenesi della societaÁ nazionale cominciavano ad infrangersi di fronte agli scogli della crisi che appariva all'orizzonte. Nel 1971 era stata sospesa la convertibilitaÁ del dollaro, nel 1973 si registroÁ la prima crisi petrolifera, nel 1979, la seconda. Dal 1975 in avanti, la curva dell'economia divenne discendente e la crescita del PIL si dimezzoÁ. Si ridussero, di conseguenza, i margini di manovra per gli interventi degli ammortizzatori sociali e per la spesa pubblica. Non si era di fronte ad una recessione ma ad un serio e grave peggioramento nelle prospettive dello sviluppo. Dall'obiettivo del raggiungimento della piena occupazione, si passoÁ alla disoccupazione strutturale, sempre aggiratasi attorno al 10 %, a prevalente valenza giovanile e femminile, e concentrata, in larga parte, nel Mezzogiorno d'Italia. Ne derivarono scelte che diedero vita a modelli di diffusa precarietaÁ nel mercato del lavoro, il ricorso al

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lavoro in nero inizioÁ a crescere in maniera esponenziale. Ulteriore elemento, di novitaÁ in negativo, divenne la questione inedita, mai affrontata in passato, dell'invecchiamento della popolazione. Il Sindacato, uno dei maggiori soggetti organizzati in campo, mostroÁ i limiti della sua forza strategica ed inizioÁ a manifestare palesi dif®coltaÁ d'azione sul terreno delle grandi questioni sociali, ridimensionando il suo ruolo e la propria funzione di autorevole forza sociale che, insieme, faceva vertenze nei luoghi di lavoro ponendosi, al contempo, obiettivi generali di riforma, quali la conquista della piena occupazione, la tutela della salute, il diritto all'istruzione. Il Sindacato non agiva piuÁ in relazione ad una visione progettuale d'insieme generale, sostenuta, quando era il caso, dall'organizzazione e dalla direzione del con¯itto. Finiva per limitarsi a rappresentare una complessa articolazione di interessi solo di una parte dei lavoratori occupati. Troppo spesso la linea, il progetto, la strategia divennero, di conseguenza, inde®nite. O, pur avendo valide intuizioni, ad esse non si riuscõÁ a dare una coerente e pratica attuazione. In proposito, divenne dirimente il nodo della vertenzialitaÁ territoriale, sostanzialmente liquidata. MancoÁ una linea organica, costruita intorno all'idea- forza dell'unitaÁ tra i sindacati. CioÁ favoriva, di converso, la nascita, la crescita, la diffusione del sindacalismo autonomo e corporativo. Il Sindacato mediava con la controparte e, continuamente, al proprio interno con le varie anime, le ``componenti'', in un esercizio che, in genere, ormai avveniva sul terreno puntualmente de®nito ed imposto dalle controparti. In sostanza, non venne colto a tempo cioÁ che iniziava a mutare nel ventre profondo della societaÁ, l'accelerazione del processo tecnologico ed insieme l'avanzata di un nuovo e potente modello ``culturale'' individualistico ed accentuatamente competitivo ne l'articolazione, sempre piuÁ complessa, degli interessi che il particolare tipo di sviluppo che iniziava a determinarsi aveva messo in movimento. Sfuggiva del tutto il fatto che si stava realizzando una nuova e profonda mutazione ed una scomposizione economica, produttiva, sociale, culturale della societaÁ nel suo complesso.

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Il salario divenne cosõÁ la cartina di tornasole piuÁ evidente della perdita della capacitaÁ di contrattazione del sindacato. Fatto salvo il limitato involucro del contratto collettivo nazionale, si produsse, nei fatti, attraverso l'estrema diversi®cazione dei contratti integrativi, quasi un sistema di nuove gabbie salariali, tra settori ed all'interno dei singoli settori39. Importanti riforme istituzionali, come quella che istituiva le Regioni, economiche, per l'intervento dello Stato nell'economia e per la movimentazione di risorse verso il Mezzogiorno, e sociali, come quella per la possibilitaÁ di ricorso alla cassa integrazione guadagni, per la diffusione del sistema pensionistico pubblico, per la realizzazione dei contenuti sanciti dallo Statuto dei Diritti dei lavoratori, non a caso sono il frutto dell'azione sindacale degli anni precedenti e della positivitaÁ del ciclo economico.

La ®ne di una stagione Facendo a questo punto della storia un passo indietro, puoÁ risultare utile ricordare che nel 1970 a Salerno poteva ritenersi ormai conclusa la lunga stagione politica di Alfonso Menna che aveva saldamente mantenuto nelle proprie mani la direzione politico-amministrativa della cittaÁ nel periodo intercorso tra il 1956 ed il 197040. Sotto la sua guida la cittaÁ, che in larga misura in quel tempo s'identi®coÁ in lui, visse il grande sviluppo urbano, disordinato e caotico di cui in premessa si eÁ detto, e l'illusione della realizzabilitaÁ 39 L'ultima ricerca sui salari in Italia saraÁ quella di Pierre Carniti, nei primi anni `80. Poi, pressoche nulla. In precedenza uno dei piuÁ accurati tentativi di analisi e d'interpretazione delle trasformazioni avvenute nell'interna composizione dei diversi gruppi economico-sociali del Paese era stato il prezioso Saggio sulle classi sociali di Paolo Sylos Labini, apparso nel 1974 e poi ripubblicato da Laterza nel 1988. In esso, tra varie ed acute osservazioni, era stato messo a fuoco il dato costituito dal fortissimo incremento delle classi medie, ed in specie il sensibile incremento della piccola borghesia impiegatizia e commerciale, la cui composizione numerica era passata da meno di un milione su 16 milioni di occupati al principio del XX Secolo ad oltre 5 milioni su 19 milioni di occupati ai primi anni `70. Un fattore che, negli anni a venire, si sarebbe ulteriormente espanso, divenendo economicamente e politicamente sempre piuÁ rilevante e decisivo. 40 Sul ruolo svolto da Alfonso Menna alla guida dell'Isveimer eÁ utile consultare il libro di NINO LISI, Un uomo inquieto alla guida dell'Isveimer, De Luca Editore, Salerno 1991.

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della trasformazione radicale degli assetti economici e produttivi antecedenti. Era la fase d'avvio della politica dei ``poli di sviluppo'', l'idea ambiziosa che solo piuÁ avanti nel tempo mostreraÁ, in maniera drammatica, la propria intrinseca fragilitaÁ strategica. Menna, in ogni caso, pur condividendo l'ispirazione dirigistica della linea nazionale della direzione del Partito democristiano, riteneva allo stesso tempo perseguibile la parallela realizzazione di un nuovo modello economico incentrato sulla crescita e lo sviluppo di un sistema locale di piccole imprese. L'impraticabilitaÁ di tale idea si palesoÁ ben presto e si vani®coÁ a causa di una condizione ambientale sfavorevole dovuta a piuÁ ragioni, dalla presenza di gravi fattori di illegalitaÁ diffusa a quella dell'arretratezza delle infrastrutture e dell'inesistenza di un moderno ed avanzato sistema di servizi alle imprese. La tempestiva trasmissione di ®nanziamenti alle imprese, garantita da Alfonso Menna durante il periodo del suo sindacato, ed anche dopo, quando ricoprõÁ la carica di Presidente dell'Isveimer, dal 1963 al 1974, non fu suf®ciente a superare l'insieme dei negativi limiti d'origine esistenti. E la sua idea non fu, in conclusione, considerata suf®cientemente valida e realistica, e scarso in sostanza risultoÁ il sostegno politicosociale ad una tale ipotesi di lavoro. A Salerno troppo forte appariva la suggestione di soluzioni miracolistiche, calate dall'alto, che si identi®carono o col miraggio della grande impresa o con l'impiego pubblico, prospettive che, seppur perseguite, non risultarono da sole suf®cienti a superare il problema di un tasso di disoccupazione e di precarietaÁ ben piuÁ alto ed elevato rispetto a quello del centro-nord, ormai proiettato a raggiungere la quasi piena occupazione. Alfonso Menna lasceraÁ la guida dell'Isveimer nel settembre del 1974. I gravi errori di valutazione e di strategia si chiariranno solo due decenni dopo, quando tutta l'architettura economica, politica, ideologica, a quel tempo immaginata, rapidamente ®niraÁ per sgretolarsi41. 41

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C'eÁ da considerare un elemento di evidente discrasia e divaricazione tra la situa-


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Spesso, con Menna, consistenti contributi ®nanziari, anche di decine e decine di miliardi, furono trasferiti discrezionalmente a soggetti senza alcuna speci®ca esperienza e competenza industriale, che percioÁ si dileguarono e sparirono di scena a fronte delle prime avvisaglie e delle dif®coltaÁ, congiunturali o strutturali, apparse all'orizzonte Dalla ®ne degli anni '60, e per i due decenni successivi, l'incremento dell'occupazione industriale, che era stata nel breve arco di tempo di un decennio di 13.000-15.000 unitaÁ, si contrasse inesorabilmente ®n quasi ad esaurirsi con la caduta, pezzo dopo pezzo, di tutta l'ossatura portante della grande impresa pubblica e privata.

La rapida meteora della sinistra extraparlamentare La fase di nascita e sviluppo dei gruppi extra parlamentari proliferati a sinistra del PCI42, temporaneamente individuabile all'indozione del Centro Nord e quella dell'Italia Meridionale. Qui la base sociale della popolazione era, in larga prevalenza, ancora contadina. Dopo la grande epopea delle lotte per l'occupazione e la distribuzione delle terre incolte ai contadini, realizzatesi, in veritaÁ, in dimensioni ben piuÁ ridotte e limitate rispetto a quanto auspicato dalle leggi di riforma Gullo, era iniziato il massiccio processo migratorio, che aveva portato, al Nord Italia e all'estero, milioni di lavoratori meridionali che contribuiranno in maniera decisiva al grande sviluppo del Nord del paese, della Germania, della Francia, della Svizzera, determinando contestualmente un massiccio impoverimento della forza lavoro e lo svuotamento di tanti comuni meridionali. In quei centri spesso restavano soltanto vecchi, donne e bambini. Un processo, di una tale profonditaÁ ed estensione, invece non si registroÁ nel Centro Nord, dove, piuttosto, la tradizionale famiglia contadina ®nõÁ per trasformarsi in piccola impresa industriale. Di frequente, ai lavoratori impegnati per una vita nel lavoro di fabbrica, piuÁ che i soldi della liquidazione vennero ceduti i macchinari, che consentirono di avviare in proprio le nuove attivitaÁ. Il processo divenne cosõÁ diffuso ed esteso che, dopo una prima fase, tra i piccoli produttori del centro e del nord ®nõÁ per rafforzarsi una mentalitaÁ cooperativistica e consortile, che li indusse a cimentarsi con problemi nuovi, a partire dall'individuazione delle modalitaÁ piuÁ ef®caci per reggere nel sistema competitivo e della concorrenza di mercato. Essi, di conseguenza, ampliarono i propri orizzonti, e crebbero accentuando la propria professionalitaÁ, innovando nei materiali e nelle tecniche di lavorazione, af®narono rapidamente le proprie competenze. Le imprese a cui diedero vita, favorite nella loro capacitaÁ di commercializzazione all'estero dai ripetuti interventi governativi di svalutazione della lira, si con®gurarono, in genere, come nucleo a conduzione essenzialmente familiare. 42 L'organizzazione giovanile del PCI a Salerno, la Figc, annoverava a quel tempo tra

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mani delle lotte promosse dal movimento studentesco alla ®ne degli anni '60, come una meteora, volse in breve al termine, in sostanza a causa dell'incapacitaÁ di far convergere le diverse formazioni appena sorte verso un solo ed uni®cante progetto, politico ed organizzativo, che ne avrebbe potuto garantire ancora per qualche tempo la tenuta. I tentativi, rari in veritaÁ, di ampliare radicamento e consenso ricorrendo alla partecipazione alle elezioni, naufragarono miseramente. La scelta di partecipazione alle elezioni di alcune organizzazioni extraparlamentari si riveloÁ un autentico fallimento. InizioÁ la crisi e l'interno sgretolamento dei gruppi le cui componenti giovanili ®nirono per orientarsi, in larga prevalenza, verso gli approdi piuÁ sicuri dei grandi partiti della sinistra storica, i comunisti ed i socialisti. Fu questo lo sbocco conclusivo della fase degli ``eroici furori'' giovanili. Soltanto sparute minoranze rigettarono la strada dell'``entrismo'', optando, in genere, per due distinti orientamenti: chi circoscrisse nel tempo l'esperienza, riprendendo la via della normalitaÁ, ritagliandosi nuovi spazi nello studio e nella ricerca di fecondi sbocchi professionali nei piuÁ svariati campi dell'agire umano. Un manipolo, ben scarno e circoscritto, ri®utoÁ una tale prospettiva e scomparve nelle nebbie, frange ristrette, di assai scarsa consistenza, che avevano deciso di imbracciare nuove strade, rischiose e senza alcun ritorno. Il passaggio alla clandestinitaÁ e l'approdo alla lotta armata attraverso l'adesione al Partito Comunista Combattente. Troppo lunga e dolorosa eÁ stata nel nostro paese la stagione sanguinosa del terrorismo e tante le vittime che hanno costellato strade e piazze delle cittaÁ italiane. Fatto eÁ che il paese visse una lunga stagione in cui ben altro che scontata fu la capacitaÁ di far fronte a questo gravissimo pericolo, inedito per la democrazia italiana, senza che fosle proprie ®la un nucleo di giovani attivo e quali®cato. E' il caso al proposito di ricordare tra gli altri almeno: Fernando Argentino, Giuseppe Colasante, Nino Galderisi, Luigi Giordano, Rocco Di Blasi, Angelo Mammone, Giancarlo Montalto, Renato Peduto, Nino Rinaldi, Nello Rossi, Sergio Rubino, Orlando Vitolo. Nel Psiup, Enzo Sarli, Nicola Giannattasio, Peppe Carbonara. Nella Figs, Annibale Casilli, Enzo Napoli, Giovanni Sullutrone.

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sero messe mortalmente a rischio soliditaÁ e tenuta dello Stato democratico43. Solo la costruzione e la messa in campo di un ampio, esteso, determinato, compatto e consapevole movimento di massa, di un fronte unitario, garantito dall'azione convergente delle forze politiche e sociali democratiche, consentõÁ l'isolamento e poi la messa in crisi di una tale ``strategia'', il suo isolamento e la sua conseguente e sostanziale scon®tta. Anche Salerno risentõÁ, almeno in parte, del ri¯esso dell'azione scatenata contro ``il cuore dello Stato''. La lotta politica, che in precedenza non era mai giunta alla pratica dell'assassinio politico, vivraÁ allora un'aspra accelerata, dai drammatici contorni. Una storia, ancora in larga parte oscura e inesplorata, che produrraÁ vittime, lutti, dolori. Il magistrato Giacumbi moriraÁ colpito a morte, mentre tornava a casa con la moglie e il ®glioletto, il 16 marzo 1980 in un agguato nel cuore del centro cittadino. L'esecuzione saraÁ vantata dalle Brigate Rosse. In realtaÁ, l'azione venne effettuata dal gruppo di fuoco per accreditarsi verso il centro di comando strategico dell'organizzazione cosõÁ da garantire d'essere reclutati, a pieno titolo, nella formazione terrorista. E piuÁ avanti, nel luglio 1982, un nuovo agguato pose ®ne all'esistenza di alcuni giovani agenti di polizia e di un soldato di leva a Torrione44. Identico l'obiettivo strategico e simbolico che si intendeva perseguire: l'attacco mirato puntava a scompaginare ``il cuore dello Stato imperialista''.

8 luglio 1972: la tragica morte di Carlo Falvella La breve stagione del movimento studentesco che, pur tra le 43

Nel volume Terrorismi in Italia, a cura di Donatella Della Porta, Il Mulino, Bologna 1984, si calcola che, nel periodo 1975-1980, nel nostro paese si veri®carono ben 8.400 attentati contro persone e cose. Rosario Minna, affrontando nello stesso volume il tema de Il terrorismo di destra, ne attribuiva a quest'ultimo la responsabilitaÁ di circa 3.000, il 35% del totale. Dal 1970 al 1980 la punta piuÁ alta e numerosa di attentati saraÁ consumata nel triennio 1977-1979. 44 Nell'attacco terrorista perderanno la vita gli agenti della Polizia di Stato Antonio Bandiera e Marco De Marco insieme al caporale dell'esercito Antonio Palumbo.

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grandi contraddizioni ed utopie di cui si eÁ detto, era riuscito, per un periodo almeno, a mantenere il proprio assetto organizzativo sostanzialmente compatto ed unitario, consentendo il convivere, al proprio interno, di varie posizioni, aveva ceduto il posto all'apertura di una nuova fase contrassegnata dalla nascita di distinte formazioni politiche, di scarsa consistenza numerica, ma tutte rigidamente collocate alla sinistra del Partito Comunista Italiano. Frange derivate dal ceppo originario del movimento studentesco si misero ad inseguire il miraggio del passaggio dalla fase dello spontaneismo movimentista a quella della rigida e strutturata organizzazione politica. Tratto comune di queste nuove formazioni, di estrazione a larga prevalenza giovanile e studentesca, divenne l'esasperazione del rapporto di contrapposizione polemica con il Partito uf®ciale, considerato, essenzialmente, quale presidio subalterno del potere borghese, baluardo``revisionista'', che ne impediva la messa in crisi e la caduta. Nacquero allora i gruppi extra-parlamentari, polemicamente ostili all'idea dell'avanzata democratica e paci®ca al socialismo anche attraverso l'azione combinata della mobilitazione di massa e dei percorsi consentiti dall'articolazione della democrazia rappresentativa parlamentare. Le nuove formazioni apparse sullo scenario nazionale avevano in comune l'idea di dare vita ad un nuovo Partito, effettivamente rivoluzionario e di rottura. I modi per pervenire ad un tale obiettivo, peroÁ, apparivano tra loro divergenti. C'era chi sosteneva che il ®ne eÁ nulla e il movimento eÁ tutto; chi invece riteneva che l'indagine analitica e la critica dovessero ripartire dalla fabbrica, dal cuore del processo produttivo delle merci e dall'accurata analisi delle speci®che modalitaÁ dell'organizzazione del lavoro, essendo quello il terreno, privilegiato ed essenziale, da studiare ed indagare ben piuÁ a fondo per accentuare, dall'interno, la crisi dell'organizzazione capitalistica del lavoro; chi ancora insisteva sull'assioma secondo cui il ritorno alla purezza dei principi del marxismo-leninismo fosse il solo tratto distintivo da cui far derivare, con atto volontaristico, la crea-

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zione del nuovo e puro ``nucleo d'acciaio'', il partito che avrebbe potuto ®nalmente dirigere, in maniera vittoriosa, la lotta per la rivoluzione in Italia, quando le condizioni oggettive della rottura radicale fossero piuÁ esplicitamente maturate. In tal senso piuÁ forte e spietata avrebbe dovuto essere la lotta ``contro l'opportunismo ed il revisionismo''. Posizioni che si ritroveranno nei vari gruppi, non di rado tra loro con¯iggenti, de ``Il Manifesto''45 di ``Potere Operaio''46, ``Lotta Continua''47, ``Avanguardia Operaia''48, ``L'Unione dei Comunisti marxisti-leninisti''49. Tutti i principali gruppi cosiddetti extraparlamentari si radicarono rapidamente anche a Salerno50. 45

I piuÁ attivi militanti e fondatori del ``Manifesto'' a Salerno furono: Lucia Annunziata, Antonio Bottiglieri, Salvatore Galizia, Lucio Grippa, Gianfranco Longo, Nicola Paolino, Arturo Ricciardi, Bia Saracini, Ernesto Scelza. 46 I piuÁ attivi del gruppo erano Ubaldo Baldi, Alfonso Natella, Sergio Sarli. 47 A ``Lotta Continua'', tra gli altri, avevano aderito a Salerno: Giovanni Amatuccio, Antonio Braca, piuÁ avanti Antonio Casella, proveniente dall'Unione, Lucia De Giovanni, Antonio e Mario Giordano, Gaetano Milone, Remo Russo, Giuseppe Serrelli, Franco Smeraldo, Antonio Venturini. 48 A Salerno i piuÁ attivi del raggruppamento, sorto al principio degli anni `70, furono Franco e Fiorenza Calvanese, Raimondo Campostrino, Ernesto Scelza. 49 Il gruppo del ``Manifesto'', che daraÁ vita all'omonima testata, era costituito, in prevalenza, da ex dirigenti del PCI, espulsi per frazionismo dal Partito dopo il drammatico C.C. del 26 novembre 1969 (relazione di Alessandro Natta). Erano Lucio Magri, Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Aldo Natoli, Massimo Caprara, giaÁ segretario particolare di Togliatti. ``Potere Operaio'', nato nel 1967, era guidato da Toni Negri, Franco Piperno, Oreste Scalzone. Il movimento di ``Lotta Continua'', apparso per la prima volta a Pisa, aveva Adriano Sofri quale leader indiscusso, mentre Bellocchio dirigeva il giornale. Nell'Unione dei Comunisti marxisti leninisti, organo settimanale ``Servire il Popolo'', i maggiori dirigenti erano Aldo Brandirali, Angelo Arvati, Enzo Franceschini, Enzo Lo Giudice. A capo di ``Avanguardia Operaia'' c'erano tra gli altri Silvana Barbieri, Silverio Corvisieri, Massimo Gorla e Luigi Vinci. In questa formazione erano con¯uiti numerosi rappresentanti dei CUB (comitati unitari di base), da tempo in esplicito e aspro con¯itto coi sindacati confederali, che avevano lavorato per produrre una saldatura con gruppi studenteschi particolarmente attivi in specie nel Nord del Paese e soprattutto a Milano. 50 Il primo gruppo a formarsi in cittaÁ fu quello dell'Unione dei Comunisti marxistileninisti. Assieme a chi scrive, in esso tra gli altri con¯uirono Antonio Casella, Adolfo Criscuoli, Franco D'Acunto, Giovanni De Rosa, Silvana Di Gregorio, Lello Fenio, Gina Schiavone, Eugenio Mancini, Paolo Mazzucca, Andrea Memoli, Enzo Perozziello, Miki Rosco, Michele Santoro, Marina Ventura, Nicola Viscito, Graziella Zinzi. Molti provenivano dal Movimento Studentesco, in prevalenza dai Licei Classici ``F. De Sanctis'' e ``T.

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L'accentuazione dell'approccio polemico produsse un'accelerazione dei con¯itti, che trovarono il campo di coltura e la loro prevalente espressione nelle piazze. Si moltiplicarono le manifestazioni, non di rado trascese in scontri e contrapposizioni turbolente, che vedevano opposti militanti delle diverse formazioni extraparlamentari con la polizia ed i gruppi neofascisti. Si susseguirono le violenze, il clima si surriscaldoÁ a dismisura, le UniversitaÁ divennero le sedi dei con¯itti piuÁ aspri e piuÁ violenti. Si perseguõÁ, in quei frangenti, la tesi scellerata del diritto al ``voto politico'' agli esami. Nacquero sezioni e sedi di questi nuovi movimenti, stabilmente frequentate e presidiate da giovani e militanti che puntualmente intervenivano, distinguendosi per la particolare ®sionomia identitaria, con le loro speci®che parole d'ordine, nelle manifestazioni sindacali o politiche dei Partiti di sinistra e democratici. La violenza verbale, gli echi dell'Autunno caldo appena giunto a conclusione, i disordini che si moltiplicavano, le universitaÁ e le scuole sostanzialmente bloccate nelle loro funzioni educative e pedagogiche, lo scontro di frequente arti®cialmente esasperato, la comparsa dei primi episodi di terrorismo politico che prendeva di mira, in prevalenza, dirigenti d'industria, magistrati e giornalisti, non risultoÁ indifferente alla modi®cazione degli orientamenti dell'opinione pubblica in senso piuÁ marcatamente conservatore e moderato. EÁ nel 1972 che, dopo i successi elettorali della sinistra negli anni appena antecedenti, si veri®coÁ la svolta a destra del Paese. Il 1972 nacque il governo di centro-destra Andreotti-Malagodi, prodromo di un diverso orientamento che iniziava a maturare nella pubblica opinione. La ``maggioranza silenziosa'' divenne il convitato di pietra che operava per il ripristino delle condizioni di ordine e distensione antecedente alla stagione delle grandi lotte studentesche ed operaie della ®ne degli anni '60. Un vento di restaurazione attraversoÁ allora in lungo e in largo la nazione. EÁ in questo clima che iniziava a mutare alla radice Tasso'', diretti a quel tempo dai presidi Mancino e Vasile. L'Unione si radicoÁ, nella fase iniziale, in prevalenza, nel quartiere di Fratte e ad essa aderõÁ anche un nucleo consistente di giovani operai e sottoproletari.

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che Salerno visse un'esperienza drammatica, inedita per la sua antecedente storia politica51. In una sera d'estate del luglio 1972 si consumoÁ un episodio di particolare gravitaÁ. Un piccolo gruppo di anarchici si scontroÁ in via Velia, al centro della cittaÁ, sembra per futili motivi, con alcuni giovani missini. RestoÁ a terra sull'asfalto, ferito a morte, il giovane missino Carlo Falvella. Dell'omicidio fu ritenuto colpevole l'anarchico Giovanni Marini52. Il fatto di sangue produsse un effetto enorme nella cittaÁ e nel Paese! Calarono da quel momento a Salerno, dagli altri punti della regione e da altre aree meridionali, numerose squadre armate di missini, che per alcuni giorni pattugliarono la cittaÁ in lungo e in largo, avviando una caccia sistematica agli avversari politici, ai ``rossi''. Il ri¯esso emotivo dell'evento, che nella cittaÁ aveva reso la morte protagonista, fu fortissimo. Le squadre missine, robustamente rinforzate da nuclei di attivisti provenienti da altre cittaÁ della regione e dell'Italia Meridionale, si mossero per vendicare il proprio camerata caduto. La polizia non fu in grado o non volle fermare la spirale di terribile violenza che si era ormai innestata. Nell'aria si avvertivano, 51

Franco Fichera, in una relazione presentata al Comitato Cittadino del PCI, analizzoÁ il risultato delle elezioni politiche 1972 con i ri¯essi nella cittaÁ di Salerno. Alla Camera il PCI raggiunse il 18,31% dei consensi, il PSIUP il 2,44%. Al Senato, insieme, le due formazioni conseguirono il 21,30% dei voti. La DC, a sua volta, ottenne il 38% alla Camera ed il 34,40 al Senato. Il PSI il 6,35% alla Camera ed il 6,88 al Senato; il PSDI il 3,59 alla Camera ed il 2,89 al Senato. Il MSI balzoÁ al 22,16% alla Camera ed al 27,32% al Senato, incrementando i propri suffragi di quasi l'8% e divenendo di gran lunga il secondo partito in cittaÁ. La sinistra perdeva rispetto alle regionali del 1970, mentre una cocente scon®tta era quella del ``Manifesto'' che raccoglieva solo 577 voti, lo 0,64 del totale. Era in atto, per il relatore, una controffensiva moderata che si era sviluppata ``contro la lotta operaia e studentesca, in primo luogo, e per alcuni aspetti contro la lotta popolare per i salari, le riforme, l'occupazione, migliori condizioni di vita e di lavoro, per una nuova politica del Mezzogiorno''. Alcune ragioni del mancato successo del PCI potevano individuarsi nel fatto che la DC si era potuta giovare ``di un livello del movimento di massa'' intorno alle diverse rivendicazioni non adeguato, come ad esempio il movimento di lotta sindacale e politico per l'occupazione che troppo spesso si eÁ presentato come lotta di gruppi di disoccupati, di categorie o settori, di singole aziende sull'orlo del fallimento, in modo episodico o frammentario o ancora troppo generico ®no a confondersi col municipalismo o nel ``polverone ribellistico''. 52 Insieme a Marini si trovavano in quel frangente Scariati e Mastrogiovanni, con Falvella era Giovanni Al®nito.

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ovunque, la tensione e la paura. Le scorribande si susseguiranno per alcuni giorni, i pestaggi saranno numerosi prima che si pervenga al ristabilimento di un clima di relativa normalitaÁ. La violenza, seppure in modo intermittente, inquineraÁ ancora per una lunga fase, in maniera quasi ®siologica, le nuove ``modalitaÁ'' della lotta politica. Il confronto tra le diverse idee sempre piuÁ spesso, dalle sedi rappresentative naturali, ®niraÁ per scandagliarsi nelle strade e nelle piazze, in un alternarsi di tregua e d'improvvisa ripresa degli scontri, che procederaÁ ®no alla celebrazione del processo contro gli anarchici ed alla sua conclusione. Il dibattimento si tenne a Salerno, a porte rigorosamente chiuse, con uno straordinario spiegamento di forze di polizia e si concluse con la condanna di Marini a 19 anni di carcere. Il collegio di difesa dell'anarchico comprendeva eminenti personalitaÁ tra le quali uno dei fondatori della Repubblica e padre dell'Assemblea Costituente, Umberto Terracini, che accettoÁ di far parte del collegio di difesa53 respingendo, nei fatti, anche sollecitazioni e inviti alla prudenza provenienti dai vertici nazionali del suo stesso partito.

Il PCI a Salerno e la politica delle alleanze sociali, la localizzazione dell'universitaÁ, gli intellettuali, l'occasione perduta Il Partito Comunista acquistoÁ sul campo, in mezzo a quella dura prova, una rinnovata capacitaÁ di azione e d'in¯uenza politica, riuscendo a realizzare una piuÁ forte incidenza nella realtaÁ. Segretario della Federazione Comunista era da poco tempo un giovane e brillante intellettuale, il prof. Franco Fichera, che dimostreraÁ una notevole qualitaÁ di direzione, evitando l'isolamento dei comunisti ed anzi 53 Il collegio difensivo, oltre che da Umberto Terracini, era composto dagli avvocati Giuliano Spazzali, Marcello Torre e dal compianto Diego Cacciatore, piuÁ volte difensore dei giovani della sinistra denunciati dall'autoritaÁ giudiziaria per motivi politici. Le varie organizzazioni extraparlamentari potevano nazionalmente giovarsi, in simili occasioni, della struttura giuridica del ``soccorso rosso''. A svolgere le funzioni di presidente nel dibattimento fu chiamato il giudice Napoletano, piuÁ avanti eletto Senatore, come indipendente, nelle liste del PCI.

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affermando una capacitaÁ di egemonia ed incidenza ben piuÁ alta e superiore di quella delle stagioni precedenti. Fichera aveva ben compreso come fosse decisivo plasmare una moderna ed avanzata formazione politica, riprendendo e dilatando il rapporto, il dialogo, l'alleanza tra i gruppi operai piuÁ avanzati e combattivi e quella parte piuÁ avvertita e illuminata dell'intellettualitaÁ che dovevano essere indotti a collaborare e cooperare, sempre di piuÁ e meglio, tra di loro. Era a suo avviso necessario ritessere e rafforzare quella trama messa in moto, giaÁ nel 1970, con l'avvio delle lotte unitarie di operai e studenti, tesa a costruire una nuova alleanza, politica e sociale, per migliorare, insieme, la scuola e la qualitaÁ del lavoro in fabbrica. Bisognava agire con lungimiranza ed intelligenza nella prospettiva dell'apertura di una stagione di grandi riforme nella societaÁ, e unire maggiormente, intorno ad un progetto, discusso e condiviso, di forte impatto e valenza generale proiettato al futuro, mondo del lavoro e dei saperi. Il modo piuÁ ef®cace per realizzare, con lotte di massa estese, unitarie e democratiche, un nuovo salto in avanti nella qualitaÁ dello sviluppo locale, regionale, meridionale. Esistevano le condizioni di partenza favorevoli atte a riportare al centro del dibattito e delle scelte della politica nazionale alcuni temi, ancora inevasi, della questione meridionale nella sua decisiva attualitaÁ. In una tale azione un ruolo essenziale dovevano essere chiamati a svolgere i gruppi intellettuali d'avanguardia che avevano scelto di schierarsi, senza reticenze, dalla parte del mondo del lavoro e che proprio in quel frangente iniziavano a porsi il problema di un profondo cambiamento nella direzione politica della realtaÁ locale per costituire una robusta sponda istituzionale e di progetto alle domande di trasformazione presenti nella complessitaÁ della societaÁ del tempo. C'eÁ da dire ancora che nel 1972 e negli anni immediatamente successivi una gran parte dei giovani militanti della sinistra extra-parlamentare di Salerno aveva fatto la scelta della con¯uenza nel PCI. Franco Fichera favorõÁ l'ingresso nel PCI di queste forze che concorsero a dare nuova linfa ed energia al Partito, di frequente af®dando ad esse anche incarichi di direzione di importanti settori di lavoro. I giovani provenienti

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dall'estrema sinistra portarono a loro volta la consuetudine all'impegno quotidiano militante, ed in genere una grande e generosa passione civile, caratterizzata dall'assoluto disinteresse personale ed insieme da un forte senso della disciplina e dell'organizzazione, una persistente tensione all'unitaÁ. Ed insieme a questo, peroÁ, di frequente, i segni di un'inguaribile inquietudine e di un anticonformismo non sempre pienamente compresi e a volte a stento tollerati dai gruppi dirigenti locali e regionali. EÁ questo il periodo in cui ®nõÁ per assumere un particolare rilievo il dibattito sulla localizzazione dell'UniversitaÁ, nodo strategico per l'affermazione di una nuova idea dello sviluppo e tale da consentire il superamento d'ogni visione angustamente localistica. Il dibattito sull'universitaÁ di Salerno e sulla sua collocazione piuÁ idonea vide scontrarsi, essenzialmente, due linee politiche ed ipotesi di sviluppo tra loro alternative. C'era chi sosteneva l'utilitaÁ di una collocazione spezzettata dell'Ateneo, da conservare nell'area urbana della vecchia cittaÁ e nel centro storico antico, chi invece propendeva per un nuovo e moderno insediamento lungo l'asse di sviluppo viario posizionato tra le cittaÁ di Salerno e di Avellino, quale punto di raccordo mediale intorno a cui far sorgere la nuova CittaÁ Universitaria, di dimensione e pro®lo almeno meridionale. Si sarebbe in tal modo realizzata un'UniversitaÁ concentrata in un'area territoriale de®nita, che avrebbe consentito di accogliere, insieme, gli studenti provenienti dalla Provincia espandendo il proprio campo d'attrazione su quelli delle altre regioni limitrofe meridionali, in specie Lucania e Calabria, diventando, per forza concentrata di studenti, docenti e discipline, la seconda UniversitaÁ della Campania dopo la ``Federico II'' di Napoli. Su questa ultima linea con¯uirono comunisti e sinistra DC ed alla ®ne fu questo il progetto che ®nõÁ per prevalere. In quella fase storica alla guida del Comune capoluogo Alfonso Menna era stato appena sostituito da Gaspare Russo, che riuscõÁ a garantire, per la realizzazione del progetto di diversa collocazione dell'Ateneo, una quota di risorse regionali aggiuntive a quelle in origine attivate dal Ministero

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dell'Istruzione54. Si concretizzoÁ allora, in sostanza, su questo tema, di grande respiro strategico, un'idea che avrebbe potuto concorrere, in maniera decisiva, alla realizzazione accelerata di un diverso e piuÁ virtuoso sviluppo di qualitaÁ della cittaÁ e della provincia di Salerno. Furono vinte, in tal modo, le altre ipotesi in campo che invece propendevano per la collocazione dell'Ateneo nell'area tra Avellino e Benevento. La forza delle motivazioni presentate, e sostenute in maniera argomentata, consentõÁ la messa in campo di proposte persuasive ed in tal modo fu evitato il rischio di una frontale e paralizzante contrapposizione interna alla DC campana, che avrebbe potuto bloccare e vani®care del tutto l'ambizioso tentativo. Il dibattito sull'UniversitaÁ fu molto ampio e partecipato. Gli anni '70 sono quelli nei quali la giovane UniversitaÁ, collocata nel comune di Fisciano e nella frazione di Lancusi, svolse un'importante funzione di attrazione, non gregaria, per intellettuali di rilievo nazionale che in essa opereranno. Un nucleo di primissimo livello che annoveroÁ nelle sue ®la, tra gli altri, Pino Cantillo, Giuseppe Cacciatore, Umberto Cerroni, Lucio Colletti, Biagio De Giovanni, Gabriele De Rosa, Vittorio Dini, Paola Fimiani, Valentino Gerratana, Achille Mango, Aldo Masullo, Filiberto Menna, Enrico Nuzzo, Augusto Placanica, Roberto Racinaro, Edoardo Sanguineti, Fulvio Tessitore, Angelo Trimarco. Un gruppo intellettuale, di eccellente levatura, che avrebbe potuto consentire all'area salernitana l'assunzione di un pro®lo, almeno nazionale se non proprio europeo, in alcuni precisi campi della conoscenza e del sapere. Particolarmente sviluppati furono allora gli studi e le ricerche sull'hegelismo, il marxismo, lo storicismo. Proprio lo storico Gabriele De Rosa saraÁ il primo Rettore del nuovo Ateneo una volta realizzato. Con tali nuclei di intellettuali d'altronde la sinistra locale, in specie comunista, che in quel frangente stava ormai portando a conclusione l'azione per la ricostru54

L'investimento pubblico per la costruzione della nuova UniversitaÁ fu di ben 50 miliardi di lire, valore 1978, il piuÁ cospicuo ®nanziamento, insieme a quello per l'Ospedale cittadino ``San Giovanni di Dio e Ruggi D'Aragona'', mai realizzato nell'area di Salerno.

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zione del Partito dopo il drammatico scontro e la lacerazione interna del 1970 e la conseguente espulsione del gruppo de ``Il Manifesto'', tentoÁ di abbozzare un colloquio ed una feconda relazione. Fu un tentativo, tuttavia, praticato con determinazione insuf®ciente e che non risultoÁ inin¯uente alla scelta, piuÁ avanti maturata, di tanti docenti, di lasciare l'universitaÁ salernitana per emigrare in altri lidi. Si perse in sostanza un'occasione, probabilmente irripetibile, per una caratterizzazione di avanguardia e qualitaÁ, che avrebbe potuto consentire al territorio la predisposizione di un'offerta culturale di eccellenza. Presenze d'altissimo pro®lo che avrebbero potuto garantire la stabile realizzazione di un ben piuÁ solido legame, reciprocamente fecondo, tra universitaÁ e territorio che non verraÁ mai compiutamente realizzato55. Il nucleo di docenti ed intellettuali d'avanguardia che per una breve fase operarono nell'UniversitaÁ, purtroppo ®nõÁ invece per sfrangiarsi, dissolvendosi come gruppo, per ricollocarsi altrove in altre aree del paese. Un fenomeno non circoscrivibile alla sola universitaÁ, ma che ®nõÁ per coinvolgere altri gruppi intellettuali e professionisti impegnati su piani e discipline differenti, di fortissimo impatto sociale, come quello della salute, ed in specie sul terreno della lotta per la riforma psichiatrica. Si eÁ giaÁ fatto cenno, a tal proposito, a come la spinta del movimento democratico alle riforme di struttura avesse, negli anni '70, individuato terreni d'impegno, nuovi e originali, d'immediato impatto sociale. La lotta per migliori condizioni di lavoro in fabbrica si era collegata all'idea di estendere la gamma dei diritti civili ®no ad allora garantiti. Si manifestava per il diritto al lavoro, all'istruzione, alla casa, alla salute. Lotte che puntavano, tutte, a garantire l'affermazione di ambiti di libertaÁ ben piuÁ estesi, profondi e generali. Fortissimo divenne l'im55 Oggi, comunque, l'universitaÁ di Salerno si eÁ quantitativamente espansa. Essa si con®gura come Campus universitario che conta circa 40.000 studenti provenienti in prevalenza dalla Campania, dalla Basilicata, dalla Calabria. Ha 10 facoltaÁ: Economia, Farmacia, Giurisprudenza, Ingegneria, Lettere e Filoso®a, Lingue e Letterature straniere, Scienze della Formazione, Scienze matematiche, ®siche e naturali, Scienze Politiche e, dal 2005, eÁ stata istituita anche la facoltaÁ di Medicina e Chirurgia. I docenti, tra ordinari, associati e ricercatori sono, complessivamente, 945 (fonte: www.unisa.it).

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patto sociale di queste iniziative, netta la scelta del campo e della parte da cui stare, dando ®nalmente voce a chi prima mai ne aveva avuta. In questo contesto uno dei piani di piuÁ radicale rottura fu appunto rappresentato dalla lotta per realizzare, anche in Campania e nella Provincia di Salerno, una psichiatria effettivamente democratica. Un nucleo di medici, raccolti intorno a Sergio Piro e che avevano come riferimento nazionale Franco Basaglia, diede luogo alle prime sperimentazioni, di apertura, all'inizio ancora parziale, delle vecchie strutture manicomiali sedi dei piuÁ devastanti orrori. Il Frullone, e poi Materdomini e il Vittorio Emanuele di Nocera Inferiore, gli ospedali campani nei quali inizioÁ a procedere una linea di sperimentazione culturale e di cura alternativa per affrontare il dramma devastante della sofferenza psichica che non andava fronteggiata piuÁ solo con il ricorso ai farmaci, la reclusione del sofferente psichico e gli elettrochock, quanto piuttosto partendo da un approccio radicalmente nuovo, che avrebbe dovuto ridare ai malati quel ruolo centrale di persone che ®no ad allora non avevano mai avuto. La malattia psichiatrica, in tale visione, altro non era che il tunnel disperato in cui ciascun essere vivente poteva venire potenzialmente fagocitato durante il corso della propria esistenza. Non piuÁ carcerieri dei ``diversi'', ma operatori impegnati a consentire il massimo di recupero sociale e nuovi diritti di cittadinanza a persone che le circostanze occasionali della vita avevano condotto in recinti segregati. Un impianto ed un approccio, radicalmente nuovo e mai sperimentato prima, che ®nivano per divenire duramente con¯iggenti con le antiche ed arretrate consuetudini dei tradizionali metodi di cura. Le sperimentazioni tentate nel territorio salernitano e regionale, per molteplici ragioni, purtroppo non produssero i risultati attesi. Il nucleo di brillanti psichiatri di Salerno decideraÁ a sua volta, data la veri®cata impraticabilitaÁ di attuare in sede locale l'ambizioso progetto innovativo, di imboccare strade nuove indirizzandosi in altre regioni ed aree del paese, a Trieste, Udine, Gorizia, Pordenone, in realtaÁ nelle quali riusciraÁ a conseguire risultati straordinari, apprezzati in tutta Italia, in Europa, nel mondo. L'abbandono della provincia di Salerno di Enzo Sarli,

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Giuseppe Dell'Acqua, Carlo Rizzo, Giuseppe Carbonara ed altri ancora impoveriranno, anche su questo campo, la cittaÁ e la provincia di Salerno di professionalitaÁ e risorse intellettuali di grande livello e qualitaÁ. Tali assenze, con l'andare del tempo, peseranno, e molto, impedendo il salto auspicato e che pure, invece, sarebbe stato del tutto perseguibile.

Eboli maggio 1974, Scarlato e De Mita, l'aspra lotta per il potere nella DC Nel 1974, la protesta di massa scoppioÁ ad Eboli, sulla falsariga di quanto era giaÁ avvenuto in altre cittaÁ meridionali, a Battipaglia e a Reggio Calabria. Essa, questa volta, fu originata dalla mancata conferma del piano di investimenti della Fiat ad Eboli, grazie al quale si sarebbe dovuta realizzare una fabbrica d'auto per circa 3.000 posti di lavoro. La crisi petrolifera indusse la Fiat a rivedere il proprio progetto originario e ad orientarsi verso una maggiore produzione di autobus: un aggiustamento di linea che ora puntava all'incremento del trasporto pubblico, con la secca riduzione della produzione di automobili prevista in precedenza. Una delibera Cipi del maggio del 1974 informoÁ che l'investimento immaginato per Eboli sarebbe stato invece dirottato a Grottaminarda, in Provincia di Avellino. Per Eboli, in sostituzione, non fu proposto nulla. La situazione divenne, allora, incandescente e, di nuovo, rapidamente esplosiva. Sull'autostrada Napoli-Reggio Calabria, proprio nel tratto di Eboli, vennero erette barricate, col metodo giaÁ ripetutamente sperimentato nelle lotte bracciantili, e per vari giorni furono completamente bloccate le vie di comunicazione tra il Nord ed il Sud del paese. De Mita era allora Ministro dell'Industria e fu in particolare contro di lui che si rivolse la rabbia della gente. In questa circostanza, peroÁ, diversamente da quanto era accaduto in precedenza a Battipaglia, il Sindacato ed il Partito Comunista non furono colti alla sprovvista: i Sindacati riuscirono, anzi, a controllare e incanalare la protesta, impedendo che essa assumesse un segno eversivo e reazionario. D'altra

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parte, la Fiat aveva operato la scelta di investire ad Eboli anche in seguito all'azione del sindacato nazionale dei metalmeccanici, rivolta a realizzare investimenti dei grandi gruppi nelle aree meridionali: il sindacato unitario dei metalmeccanici poteva, percioÁ, giocare una carta di coerenza, potendo vantare un prestigio indiscutibile. Lo sciopero generale evidenzioÁ, come dichiareraÁ Claudio Milite, allora segretario della Camera del Lavoro di Salerno, l'esistenza di un movimento di grande ampiezza ``condotto con civiltaÁ e con senso democratico, diretto dal sindacato con l'appoggio dei partiti democratici, evitando incidenti e scontri''. La lotta non era contro Avellino, quanto piuttosto contro il modo clientelare e disinvolto di fare politica industriale e d'individuare le scelte di sviluppo nelle aree meridionali. Il grande sciopero generale, cui parteciparono oltre 30.000 persone, fatte con¯uire da tutta la regione, pose ®ne alla rivolta dopo che il governo si impegnoÁ uf®cialmente ad assicurare investimenti complessivi equivalenti ai posti di lavoro giaÁ promessi e non realizzati dalla Fiat. All'epoca era in atto uno scontro politico imperniato su diverse concezioni dello sviluppo, un con¯itto che, naturalmente, coinvolgeva le diverse formazioni politiche impegnate sul territorio ed in particolare la principale forza di governo del tempo, la Democrazia Cristiana. La vicenda di Eboli avraÁ ripercussioni particolarmente gravi e negative in questo partito dove, ormai conclusa la fase politica segnata dal ruolo centrale e prevalente di Alfonso Menna, era in atto un'aspra lotta tra i vari gruppi per l'interna egemonia e per l'affermazione di una nuova direzione. Come giaÁ si eÁ detto, ®n dai primi anni '70, in seguito alla ®ne del sindacato Menna, era in atto un duro confronto per la conquista della leadership locale che si esplicitoÁ in una forte contrapposizione tra De Mita e Scarlato, il piuÁ forte leader del partito nella provincia di Salerno56. De Mita e Scarlato appartenevano entrambi alla corrente di base, ma De Mita intendeva ridimensionare il ruolo e la forza di Scarlato: il 56

Partito Comunista Italiano, Federazione di Salerno, Pubblico Convegno su ``Insediamento Fiat e sviluppo economico'', Eboli 13 luglio 1973, relatore Franco Fichera.

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con¯itto tra i due leader in Campania divenne cosõÁ acuto da vedere continui scon®namenti ed incursioni reciproche dell'uno nel feudo dell'altro, pur di pervenire al piuÁ ampio controllo del partito. Nel 1973, la sinistra di base aveva raccolto, a livello nazionale, 140.000 voti delega, 50.000 dei quali solo in Campania, soprattutto nelle province di Avellino e Salerno57. Dei 50.000 voti campani, Scarlato ne controllava 23.000. ``Si sostituiscono a Menna ... diversi ed atomizzati centri di potere, organizzazioni elettorali, clientelari, intorno a vari leader; cosõÁ alla linea di Salerno, centro gerarchico superiore, si sostituisce quella del riequilibrio tra Salerno e le altre zone, tra fascia costiera ed interno ... La DC intende in tal modo rispondere alla crisi di una linea politica nazionale e meridionale con una operazione di redistribuzione del potere a livello provinciale nel partito e nel rapporto tra Salerno e le altre parti della provincia e della regione''58. Nel Comitato regionale del Partito, da poco rieletto, la DC salernitana aveva 12 esponenti59. La vicenda di Eboli, insomma, divenne un tassello, seppure di rilievo, della piuÁ generale partita che si stava giocando in Campania e nella provincia di Salerno per la leadership della Democrazia Cristiana60. Piccoli, Ministro delle Partecipazioni Statali, invitato ad Eboli da Scarlato, aveva appena esaltato, in un pubblico discorso, la decisione di localizzare ad Eboli l'impianto Fiat, sostenendo che tale atto era il piuÁ ef®cace esempio della ``incisiva politica meridionalistica'' perseguita dal governo. De Mita piuÁ avanti arriveraÁ ad accusare Scarlato di essere stato l'organizzatore della rivolta di Eboli. 57

Lo ricorda ROCCO DI BLASI in La DC nel salernitano, Laveglia, Salerno 1975. Relazione di Franco Fichera al Convegno ``La DC nel salernitano'', Laveglia editore, Salerno 1975. 59 Roberto Virtuoso per i dorotei, Matteo Barra, Nicola Carola, Gennaro Corvino, Ettore Ferri per i fanfaniani, Giovanni Alfano, Felice Colliani, Gaspare Russo, Pino Pizza, Mauro Scarlato per la ``sinistra di base'', Marino De Luca per i morotei. In La Dc nel salernitano cit., pag. 55. 60 Nel comitato provinciale l'interna geogra®a delle correnti democristiane era cosõÁ distribuita: 22 membri alla corrente di base,10 ai fanfaniani, 4 ai morotei, 4 ai tavianei, 2 membri agli amici di Sullo. 58

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In veritaÁ, si era consumato, sullo sfondo, un aspro scontro, tutto politico, interno al partito della Democrazia Cristiana. Il vero contrasto era con De Mita, che aveva spinto in maniera pressante per favorire la localizzazione degli insediamenti industriali nell'area di Avellino. De Mita aveva giaÁ allora solidi riferimenti a Salerno, nel partito, a cominciare da Gaspare Russo, Presidente della Camera di Commercio. La vicenda di Eboli fu il punto di svolta di una idea che era partita prima, quando Scarlato aveva chiesto a Gaspare Russo di commissionare uno studio sulla piuÁ idonea collocazione di un aeroporto internazionale in Campania e l'Aeritalia aveva individuato proprio nella Piana del Sele l'area piuÁ idonea alla realizzazione di un tale progetto. Scarlato, da sottosegretario, scelse di interloquire con Donat Cattin, capo della sinistra del partito, ma anche Ministro dell'Industria e delle AttivitaÁ Produttive, per farsi sostenere nel processo teso a trasformare la Piana del Sele in un polo di sviluppo. La Piana del Sele presentava tutte le condizioni oggettive per un rapido ed ef®cace sviluppo in grado di garantire il riequilibrio tra le diverse zone della regione alleggerendo, contemporaneamente, il congestionamento dell'area metropolitana di Napoli: l'area poteva vantare la naturale collocazione a ridosso di Salerno, della costiera amal®tana e del Cilento, tutti territori a naturale vocazione turistica, l'antica e naturale tradizione agricola con produzioni molto apprezzate all'estero, la dorsale autostradale che la collegava facilmente alla Lucania e alla Puglia, con la Basentana e, a Sud, con la SalernoReggio Calabria. Del tutto realistici apparivano i progetti per costruire nella Piana del Sele un aeroporto e l'interporto, ed anche per una diversa collocazione del porto commerciale di Salerno. La Fiat aveva giaÁ esplicitato il proprio orientamento a costruire uno stabilimento, l'Iveco: il gruppo torinese studioÁ il territorio e convenne sull'opportunitaÁ di individuare Eboli quale sede di insediamento. Era un progetto di forte concretezza, che poteva essere realizzato senza grandi dif®coltaÁ. In una riunione al CIPI prevalsero, invece, spinte d'altro segno.

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La Fiat cambioÁ l'orientamento a favore di Grottaminarda, ad onta di quelle che sembravano le ragioni di buon senso. ScattoÁ allora il moto popolare di disapprovazione. Esso si orientoÁ verso la classe politica salernitana, verso Scarlato, che sembrava poterlo rappresentare con la massima ef®cacia. Scarlato denuncioÁ pubblicamente quanto era accaduto e sostenne che la protesta era del tutto giusta. Essa avrebbe dovuto essere forte, decisa ed unitaria, pur mantenendosi sempre nei limiti della lotta democratica. Respinse con durezza le critiche rivoltegli da Mariano Rumor, che lo aveva accusato di ``coprire un movimento eversivo''. Ci furono blocchi della linea ferroviaria e dell'autostrada, manifestazioni di piazza. Pietro Ingrao de®nõÁ quello di Eboli l'ultimo moto popolare del Mezzogiorno. Poi il Governo si impegnoÁ a compensare l'investimento Fiat perduto con una serie di stabilimenti della SIR di Rovelli. Alla popolazione parve una felice soluzione e suonarono addirittura le campane per annunciare la ®ne dell'occupazione dell'autostrada ed il raggiungimento del risultato sperato: 3.000 posti di lavoro. Scarlato appariva, tuttavia, scettico. La battaglia di Eboli, conclusasi per Scarlato con una scon®tta personale, tuttavia saraÁ quella per cui meneraÁ piuÁ vanto: una scon®tta di cui si eÁ fregiato piuÁ delle tante vittorie, che pure aveva avuto nella sua lunga vicenda politica. Era allora sottosegretario, ma da quel momento non entreraÁ piuÁ al Governo. Divenne vice-presidente del Banco di Napoli. Quella di Eboli fu l'ultima battaglia per il riequilibrio territoriale e nella quale fu esposta la leadership della provincia, tentando di svolgere un ruolo di ``intelligenza governante'', di perseguire un progetto di sviluppo. Per i ri¯essi dell'aspro con¯itto per l'egemonia combattuto nella DC accadde che le risorse destinate a Salerno ed alla sua Provincia furono di frequente orientate in relazione agli equilibri di potere di volta in volta raggiunti nel partito61. E cioÁ ®nõÁ per condizionare, ®no 61

La classe politica salernitana in tutti quegli anni non dimostroÁ mai l'identica coesione di cui invece fu capace il gruppo irpino. LõÁ emergeranno dirigenti, come Ciriaco De

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a comprometterla gravemente, la funzione dirigente del Partito-Stato e il suo ruolo di guida politico-sociale. Come si eÁ detto, fu assai forte l'attenzione per la politica dei poli di sviluppo industriali, volta a realizzare, anche nella provincia di Salerno, un'occupazione industriale vera, espressione di una crescita economica virtuosa, non eternamente subordinata ed assistita dall'esterno. Iniziavano, peroÁ, come si eÁ accennato, proprio in quegli anni a scomparire le grandi iniziative di gruppi industriali provenienti dal Nord: ottenuti i terreni per insediare le fabbriche e, soprattutto, i consistenti aiuti ®nanziari, i gruppi imprenditoriali del Nord fecero vivere le fabbriche qui collocate per un tempo limitato, ®ssato dalla durata dei vincoli posti dalle istituzioni per acquisire gli incentivi, dai tempi di redditivitaÁ degli investimenti e dalla loro capacitaÁ di produrre i pro®tti attesi; poi, progressivamente e cinicamente, le consegnarono ad una morte precoce62.

Mita, Nicola Mancino, Gerardo Bianco, Giuseppe Gargani, in grado di esercitare una funzione nazionale di primo piano nel Partito Democristiano, cosa invece mai riuscita ai salernitani. Una peculiare caratteristica degli avellinesi saraÁ, a lungo, quella di agire come gruppo compatto nello scontro interno tra le correnti. La forza del gruppo esalta, in tale azione di squadra, le capacitaÁ dei singoli. 62 Nella metaÁ degli anni '70 la crisi industriale investõÁ ancora l'area di Salerno con gravi conseguenze sull'occupazione. Nel 1975 l'Ideal Standard pose in cassa integrazione i reparti di ceramica e fonderia, la Landys & Gyr ricorse allo stesso provvedimento per 248 operai. Scomparve una miriade di piccole imprese. Il 1976 inizioÁ la grande lotta contro la minaccia di licenziamento per 550 operai della Pennitalia, la multinazionale americana con cervello produttivo a Pittsburg, negli Stati Uniti, che aveva avviato nei suoi stabilimenti un drastico processo di ristrutturazione e concentrazione produttiva. L'impianto di Salerno produceva a ciclo continuo vetri e cristalli per l'edilizia e per le auto. L'azienda nel 1962 aveva avuto gratuitamente 50.000 m2 di terreno, gas, luce, tre linee telefoniche, vari miliardi dalla Casmez. L'investimento prevedeva l'occupazione di 1.500 unitaÁ, ma in tale misura non verraÁ mai concretizzato. La vertenza ha un particolare rilievo in quanto il blocco totale di nuovi e necessari investimenti, effettuati invece a Cuneo, accelereraÁ la morte della struttura di Salerno, mentre la manodopera espulsa dal processo produttivo non saraÁ mai ricollocata in altre attivitaÁ sostitutive, quali la Coral, pur individuate. Gli impegni ai vari livelli autorevolmente assunti saranno puntualmente disattesi. Un copione, negli anni a venire, replicato, quasi in fotocopia, nelle tante altre aziende di Salerno di volta in volta colpite dalla crisi.

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Negli anni '80, il processo di diffusa deindustrializzazione, ormai innestato, subõÁ una forte e repentina accelerazione.

Il femminismo, la battaglia del divorzio, le elezioni amministrative del 1975 Un ulteriore, inedito elemento di novitaÁ fu a quel tempo rappresentato dal ruolo, nuovo e protagonista, assunto dalle donne nella battaglia per i diritti civili e l'ampliamento delle tradizionali libertaÁ. EÁ quello, infatti, il tempo in cui nacque sviluppandosi un movimento nuovo, quello femminile e femminista, che inizioÁ a battersi per l'affermazione di maggiori diritti sul piano della paritaÁ e dell'emancipazione. Ebbe l'inizio la messa in crisi di un modello sociale, consolidato e antico, da sempre ritenuto inscal®bile, che relegava le donne a ruoli rigidamente de®niti ed in sostanza strutturalmente subalterni: quelli della riproduzione e della cura dei ®gli, la vita da consumarsi nell'esclusivo e circoscritto orizzonte domestico. Una tale, radicata concezione aveva ricevuto una spallata, di forte intensitaÁ, giaÁ al ®nire degli anni '60. EÁ peroÁ nel pieno degli anni '70 che essa si esplicita in tutta la sua dirompente dimensione con¯ittuale. La battaglia, vittoriosa, sul diritto al divorzio, condotta con estrema determinazione contro le forze politiche piuÁ oscurantiste ed arretrate, segnoÁ di per se l'inizio di una netta rottura dal passato e la de®nizione di un diverso e piuÁ avanzato equilibrio di genere63. Anche in questa circostanza eccessi ed estremismi ®nirono per depotenziare, almeno in parte, l'elemento di feconda novitaÁ determinato dall'esplodere di un nuovo protagonismo femminile. Si ebbero avanzate ed insieme regressioni. In questo contesto un grande risalto ebbe, a Salerno, il processo Sanfratello del 1977-1978. 63 Partecipata ed avvincente fu la battaglia del referendum del 12 maggio 1974 sull'abrogazione del divorzio. I NO prevalsero con il 59,3% dei voti validi contro il 40,7% che si era schierato per il SI. In Campania i No furono il 47,8%, i SI il 52,2%.

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In quella occasione un gruppo di militanti femministe accusoÁ pubblicamente il professore universitario per l'estrema esasperazione con cui conduceva una pregiudiziale opposizione, frontale ed ideologica, all'idea del ricorso all'aborto. Alla denuncia per diffamazione, promossa dal docente, seguõÁ l'atto di auto-denuncia di 45 donne che, alla ®ne del dibattimento, furono condannate al risarcimento delle spese legali. Un processo, in sostanza, perso legalmente ma indiscutibilmente vinto sul piano piuÁ squisitamente politico. Da allora in avanti maturoÁ un metodo d'approccio ben piuÁ compiuto, equilibrato e consapevole, nell'affrontare un tema di speciale delicatezza e rilevanza, lacerante per le donne, troppe volte in passato relegato alla clandestinitaÁ ed anzi quasi sempre occultato nel pressoche totale oblio. La strada, comunque, era stata ®nalmente tracciata e la contraddizione emersa non saraÁ piuÁ ricomposta col ritorno ad antiche ed usurate consuetudini. La nuova situazione, culturale e di profondi cambiamenti nel costume, che ne scaturiraÁ ®niraÁ per permeare, ®n nel profondo, la societaÁ che non potraÁ piuÁ prescindere dagli elementi di prorompente innovazione messi in moto dal movimento femminile e femminista di quegli anni. Le elezioni amministrative del 1975 videro un grande balzo in avanti del Partito Comunista Italiano ed una contrazione della capacitaÁ di consenso e di egemonia della Democrazia Cristiana64. Un grande successo del Partito Comunista Italiano si realizzoÁ, nelle elezioni del 15 giugno 1975, anche a Salerno, un risultato che cambiava, sensibilmente, la geogra®a politica della cittaÁ e della Provincia. Il partito, per la prima volta dalla Liberazione, varcava la soglia 64 Alle regionali del 1975 il PCI, a livello nazionale, balzoÁ dal 27,9% del 1970 al 33,4%, passando da 200 a 247 seggi e conquistoÁ la direzione delle piuÁ grandi cittaÁ d'Italia, al Nord, al Centro, al Sud. Straordinario fu il successo di Napoli, dove per la prima volta verraÁ insediata una giunta rossa. La DC arretroÁ sensibilmente, dal 37,8% del 1970 al 35,3% del 1975, da 287 a 277 seggi. Il PSI avanzoÁ dal 10,4% al 12%, e da 67 a 82 seggi. Un buon successo ebbe anche, a destra, il MSI, dal 5,9 al 6,4%, ottenendo 40 seggi, mentre erano 34 nel 1970.

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del 20 %65. La tendenza venne ancora confermata nelle elezioni politiche del 197666.

La politica della solidarietaÁ nazionale, la linea dell'EUR, il terrorismo Nel frattempo non crebbe il Partito Socialista, al cui interno esplose una sorda lotta che, di lõÁ a poco, avrebbe condotto al cambiamento della direzione politica nazionale con la sostituzione, dopo il congresso del Midas, di Francesco De Martino con Bettino Craxi. Con Craxi inizioÁ la fase della ricerca di una piuÁ forte caratterizzazione autonomista delle forze socialiste ed ebbe avvio la stagione della competizione, a volte particolarmente aspra, tra i due maggiori partiti della sinistra storica italiana. EÁ in®ne rilevante la decisione, assunta proprio allora, di ampliare il diritto di voto ai diciottenni. Il 1976 fu l'anno dell'ulteriore avvicinamento elettorale del Pci alla Dc e la stagione della sperimentazione di nuove formule politiche, ra65

Nelle regionali conseguiva il 21,5% dei suffragi, il 5% in piuÁ rispetto al 1970 e raggiungeva i 120.000 voti. Nelle provinciali, col 23,2%, incrementava i consensi addirittura del 7% rispetto al 1970. Alle comunali avanzava ovunque, conseguendo anche a Salerno cittaÁ un'affermazione straordinaria, con il 19% dei consensi e 10 consiglieri comunali (dai 7 precedenti). La Dc, di converso, arretrava, perdendo l'1% sulle regionali, l'1% sulle provinciali, il 4% sulle politiche del 1972. Alle comunali la sua rappresentanza si riduceva di 3 consiglieri, da 23 a 20. Il MSI, scon®tto duramente, tornava ad essere a Salerno il quarto partito della cittaÁ. La destra estrema subiva una ¯essione anche a Cava, Battipaglia, Pagani. Il consenso comunista si era espanso in tutti i ceti sociali, tra i lavoratori, i giovani, il ceto medio produttivo, gli intellettuali. Si apriva una situazione nuova in una realtaÁ in cui gravi erano i problemi sociali ancora aperti, a partire dai 50.000 disoccupati. Assai carente il funzionamento dei principali servizi pubblici. I comunisti erano per l'avvio di una svolta nella qualitaÁ del governo cittadino che si sarebbe dovuta realizzare grazie all'intesa unitaria incentrata su misure urgenti di politica economica tali da garantire occupazione stabile, nel quadro di una programmazione regionale con prioritaÁ per agricoltura, industria di trasformazione, sostegno alla piccola e media impresa e attraverso la realizzazione degli insediamenti produttivi giaÁ programmati 66 L'andamento elettorale favorevole al PCI fu confermato nelle politiche del 1976. Il PCI avanzoÁ al 34,4%, la DC ottenne, ferma al 38,7%, l'identico risultato conseguito nel 1972. Il PSI confermoÁ il 9,6% delle politiche del 1972. Il MSI, protagonista del grande balzo in avanti del 1972, anno del suo massimo storico, dall'8,7% arretroÁ al 6,1%. Il PCI in Campania raggiunse il 32,3%, mentre a Salerno passoÁ dal 18,31% del 1972 al 28,64% del 1976.

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dicalmente inedite, che sancirono il passaggio al periodo della linea della ``solidarietaÁ nazionale'', fortemente sollecitata e voluta dal segretario comunista Enrico Berlinguer. Il periodo del ``compromesso storico'' fu quello in cui la sinistra politica e sindacale fece propria l'idea della linea dell' ``austeritaÁ'', de®nendo, anche con la conferenza dell'Eur della Cgil di Luciano Lama, una posizione in cui divenne centrale il tema della lotta all'in¯azione quale essenziale antidoto all'erosione del potere di acquisto delle pensioni e dei salari67. La linea, da piuÁ parti contestata, rappresentoÁ forse l'ultima occasione in cui le forze sociali, pur pagando un prezzo immediato sul piano del consenso e della popolaritaÁ, optarono con decisione estrema, limpidamente e senza alcuna ambiguitaÁ, per l'idea di far prevalere l'interesse generale contro le potenti tendenze, giaÁ in quel frangente in essere, protese al proliferare incontrollato dei corporativismi che, negli anni a venire, segneranno, in maniera decisivamente negativa, storia, qualitaÁ e caratteri distorti dello sviluppo della societaÁ italiana. La politica della solidarietaÁ nazionale trovoÁ la sua ragione anche nella decisa scelta di campo assunta in difesa dello Stato democratico dopo il rapimento di Aldo Moro avvenuto alla metaÁ del 1978, il tragico episodio in cui le Brigate Rosse avevano dato una spietata dimostrazione della propria ``geometrica potenza''68. La stagione del terrorismo vide in quel periodo una recrude67

Il 12 aprile 1979 la Segreteria della Federazione CGIL - CISL - UIL, in vista delle elezioni ormai imminenti, richiamava tutti i propri militanti all'integrale rispetto delle norme statutarie, in specie quelle di non utilizzare simboli, sedi, stampa sindacale, strutture della Federazione ``a ®ni di propaganda di partito o di candidato ne per promuovere comunque iniziative di carattere elettorale''. Andavano intensi®cate le iniziative di lotta dei lavoratori sulle questioni ed i contenuti programmatici attinenti i bisogni immediati del mondo del lavoro. La situazione ®nanziaria, sociale e dell'occupazione, in specie nel Mezzogiorno, appariva assai critica: l'ordine e la legalitaÁ democratica minacciati. I Sindacati avrebbero dovuto ``gettare sul piatto del dibattito elettorale i reali e drammatici problemi del paese'' e, in coerenza con la linea dell'Eur, concentrarsi su occupazione e mezzogiorno. Il sindacato, si sosteneva con orgoglio, grazie a quella linea responsabile, aveva concorso in modo decisivo a bloccare l'in¯azione, riducendo il de®cit della bilancia dei pagamenti con un'azione esercitata nell'interesse di tutto il paese. 68 Le Brigate Rosse e i gruppi terroristi ``di sinistra'' sostennero l'analisi della illusorietaÁ della praticabilitaÁ di un'azione atta a modi®care i caratteri dello Stato autoritario,

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scenza di violenza senza precedenti. Il paese visse una condizione di sbandamento e di paura che rischioÁ di minare, alla radice, le ragioni della civile convivenza. Fu un pericolo mortale che venne battuto solo grazie alla determinazione ed alla scelta di campo, particolarmente determinata e decisa, del complesso delle forze democratiche69. Questa drammatica pagina di storia nazionale eÁ stata ricostruita, analiticamente e storiogra®camente, in maniera ancora parziale e provvisoria. Si tratta di scavare ancora ben piuÁ a fondo le ragioni che indussero a imboccare quella scelta disperata. Fu comunque un periodo, denso e drammatico, ancora oggi non de®nitivamente chiuso, che nella realtaÁ salernitana non fu vissuto in dimensioni paragonabili a quanto accadeva altrove. Certo la cittaÁ campana non aveva, nella generale strategia dei gruppi terroristi, la centralitaÁ di altre grandi metropoli italiane, ma in ogni caso gli anticorpi presenti nella societaÁ locale apparvero, in sostanza, suf®cientemente robusti ed in grado di opporsi alla deriva. Eppure il peggioramento della situazione economico-sociale, coi germi disseminati di diffusa violenza prima ricordati, avrebbe potuto favorire un diverso e piuÁ incisivo attecchire di tali estreme e devastanti posizioni. La metaÁ e poi la ®ne degli anni '70 videro infatti l'emersione di primi processi di crisi industriale, che condurranno

antipopolare e repressivo. Un dato che, di per seÂ, non poteva essere messo in discussione. PercioÁ esse contestarono, alla radice, la linea della democrazia progressiva e l'idea della opportunitaÁ della lotta parlamentare che, unita alla cosciente mobilitazione delle masse, poteva comportare un graduale ampliamento della democrazia e della libertaÁ. 69 Il documento della Segreteria della Federazione CGIL - CISL - UIL del 18 aprile 1979 in vista delle imminenti consultazioni politiche era al proposito del tutto esplicito. In esso veniva ribadita ``la precisa volontaÁ di essere parte attiva nella lotta contro le forze che hanno scelto la strada della provocazione, della violenza, del terrorismo e che minacciano la libertaÁ di espressione ed il carattere democratico della consultazione democratica''. La Federazione chiamava i lavoratori ad intensi®care l'iniziativa e la vigilanza, in quanto ``l'obiettivo di queste forze, come appare ormai chiaro da troppi lunghi anni di violenza e terrorismo, eÁ meno contingente: esse attaccano la democrazia italiana e, percioÁ, sono mortali nemici dei lavoratori''.

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all'avvio di profonde ristrutturazioni nei grandi gruppi manifatturieri, pubblici e privati, di piuÁ antico e recente insediamento70. La ``Marzotto Sud'' si avvitoÁ in una crisi di mercato, accentuata dalla scarsa produttivitaÁ dello stabilimento, che in una prima fase si concluse con una riduzione di 400 addetti seppur ricollocati in altre attivitaÁ collaterali di settore. Una crisi di dimensioni simili investõÁ, quasi in contemporanea, il grande gruppo pubblico delle Manifatture Cotoniere Meridionali ed iniziava a lambire la stessa Snia Viscosa, mentre segnali di pesante sofferenza giaÁ s'evidenziavano anche nei comparti chimico e meccanico. Erano i prodromi della drammatica accelerazione che, ai primi anni '80, condurraÁ alla scomparsa, pressoche de®nitiva, dell'assetto produttivo precedente ed al processo di diffusa deindustrializzazione, con la polverizzazione di migliaia e migliaia di posti di lavoro, drammatico e conclusivo epilogo del tentativo prodotto con la politica dei ``poli di sviluppo''71. L'onda del 1968, a differenza di quanto accadde in Francia, in Italia si protrasse ben piuÁ avanti nel tempo. Essa si snodoÁ in un percorso lungo e accidentato scandito, tra l'altro, dalle recrudescenze violente del 1977, l'anno dell'assalto degli autonomi al comizio di Lama nell'universitaÁ di Roma, dai drammatici 54 giorni del rapimento, della prigionia e in®ne della morte di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse72 ®no alla lunga lotta dei 55 giorni di occupa70

Le elezioni politiche del 3-4 giugno 1979 registrarono un'inversione di tendenza, con un blocco dell'avanzata del Partito Comunista ed un suo arretramento rispetto al 20 giugno 1976. La Direzione Nazionale del partito riconobbe che c'era stata ``una sensibile e preoccupante ¯essione in particolare in alcune regioni meridionali, in alcuni grandi centri urbani soprattutto per quanto concerne gli strati piuÁ poveri e diseredati e in®ne nel voto delle giovani generazioni''. Al Senato, infatti, i comunisti passavano dal 33,8% del 1976 al 31,5% del 1979, da 116 senatori a 109; la DC, invece, in sostanza manteneva: 38,3% rispetto al 38,9% del 1976, incrementando i senatori da 135 a 138. Il PSI dal 10,2% del 1976 passava al 10,4 del 1979, e da 29 a 32 senatori. Alla Camera il PCI ¯etteva di ben 4 punti, dal 34,4% del 1976 al 30,4% del 1979, da 227 deputati a 201; il piuÁ forte arretramento, del 5,8%, si concentrava nel Mezzogiorno. La DC sostanzialmente reggeva, mentre il PSI avanzava di poco. 71 La ricostruzione piuÁ in dettaglio di tale involuzione eÁ affrontata nel volume di Piero Lucia, Nel labirinto della Storia perduta cit., Guida Editori, Napoli 2006. 72 L'onorevole Aldo Moro, segretario Nazionale della DC, fu rapito a Roma alle 9,15

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zione della Fiat, conclusasi con l'espulsione di decine di migliaia di lavoratori dall'azienda e la grave ed inequivocabile scon®tta subita dal movimento operaio italiano73. Non poteva che essere la Fiat lo snodo, temporalmente e simbolicamente conclusivo, della fase che eÁ stata esaminata, l'azienda in passato piuÁ volte decisiva per sancire avanzate o scon®tte del movimento democratico italiano.

Nel tempo presente in cui viviamo Oggi, nell'attualitaÁ contemporanea, la destra, con la sola eccezione della Spagna e in parte della Germania, domina pressoche tutto il continente europeo. La sinistra, invece, vede sensibilmente erosa la sua tradizionale base politico-sociale. In Italia essa in sostanza eÁ costituita dai cinquantenni che vivono, per lo piuÁ, nelle grandi cittaÁ. Persone con un discreto o alto grado di cultura ed in larga prevalenza impiegati nel settore pubblico. Ha perso consenso e ridotto la propria capacitaÁ di presa tra gli strati popolari ed i lavoratori dipendenti dei settori privati, in specie del nord, ma non solo. Non esercita un'attrazione suf®ciente verso i libero-professionisti e l'ampio arcipelago dei lavori precari in rapida espansione. EÁ apparsa inoltre, ancora una volta, incapace di cogliere a tempo i profondi cambiamenti e le mutazioni piuÁ recenti della societaÁ e non in grado di stimolare, a suf®cienza, ®ducia nell'idea di cambiamento e di trasformazione. PiuÁ in generale, eÁ sembrata perdere smalto sul terreno, per essa del 16 marzo 1978 e il suo cadavere venne ritrovato il 9 maggio 1978 in via Caetani, poco distante dalle sedi della DC e del PCI. Tra il 1976 ed il 1980 furono 96 le vittime delle Brigate Rosse o di altre formazioni terroristiche di sinistra. 73 La Fiat il 10 settembre 1980 annuncioÁ la propria decisione di effettuare 14.469 licenziamenti. Il 10 ottobre l'azienda mise in cassa integrazione 26.000 dipendenti. Dieci giorni dopo dispose la cassa integrazione a 0 ore per 36 mesi per 24.000 lavoratori. Nel 1979 i dipendenti del colosso automobilistico in Piemonte erano 102.508. Solo 5 anni dopo, nel 1984, saranno ridotti a 55.398. La lotta si concluse il 14 ottobre 1980 con la grande manifestazione dei capi e dei quadri intermedi, la ``marcia dei 40.000'', terminata al Teatro Nuovo. In Gli anni ribelli: 1968-1980, Tano D'Amico, Editori Riuniti, Roma 1998.

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storicamente primario ed essenziale, della lotta ideale e culturale. EÁ apparsa, di continuo, divisa e litigiosa nelle sue distinte componenti. La societaÁ eÁ cresciuta, diventando ancora piuÁ complessa. Eppure in essa sussistono e forse si sono addirittura incrementate, molteplici ingiustizie, paure e incertezze. Autentiche e pericolose ipoteche sul prossimo futuro. In un tale scenario desta particolare apprensione la condizione di tantissimi giovani, in specie del meridione d'Italia, stretti nella morsa di acute insicurezze, piuÁ deboli ed esposti nel vorticoso sistema di competizione globale. E che appaiono privi di solide e sicure basi di riferimento. La sinistra non ha combattuto, con suf®ciente forza ed ef®cacia, le esasperate forme d'individualismo di massa profuse negli anni a piene mani, in specie tramite l'uso spregiudicato e pervasivo dei mezzi di comunicazione di massa, ne eÁ riuscita a rompere le potenti incrostazioni corporative su cui si eÁ retto e mantenuto l'equilibrio sociale di questi anni. Nel suo insieme, percioÁ, la societaÁ italiana appare verticalmente piuÁ divisa e lacerata. Corpi sociali un tempo assai compatti hanno iniziato in tal modo a sfrangiarsi e a disunirsi. EÁ avanzata una diffusa polverizzazione sociale, la perdita di senso e di certezze. La societaÁ si eÁ atomizzata. La solidarietaÁ eÁ stata sostituita da un individualismo diffuso ed esasperato. Inoltre sono cresciuti un senso di passivitaÁ e s®ducia, l'acquiescenza passiva ai poteri forti, il piatto conformismo, la verticale caduta della criticitaÁ e forse una rassegnazione. In tale contesto si eÁ accentuata la delega a pochi manovratori. Le sedi un tempo naturali del confronto tra le distinte posizioni, se non del tutto scomparse, appaiono troppo vaghe, rare, formali e pertanto inadeguate. E del tutto slegate, troppo spesso, dalle ansie e dalle preoccupazioni vere delle comunitaÁ. In tal modo hanno ®nito per moltiplicarsi molteplici emergenze che sembrano travolgerci. Il ricorso a pratiche tese alla riedizione pallida di un neo-bonapartismo non hanno arrestato il processo di arretramento, s®lacciamento e declino del Paese. Il quadro eÁ sotto gli occhi di qualsiasi appena un poco attento osservatore. EÁ una tendenza da invertire con urgenza.

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EÁ sempre dif®cile e complesso riprendere un cammino che ad un certo punto si eÁ interrotto e ricomporre una trama s®lacciata. Il nostro compito eÁ peroÁ ancora , e nonostante tutto, quello di recuperare, salvare, attualizzare l'insieme delle idee, dei valori e delle aspirazioni positive che in questa circostanza abbiamo ricordato. E trasferire nel nuovo mondo attuale questo pezzo di storia generosa che sarebbe esiziale abbandonare. Ci sono un insieme di fattori e ri¯essioni che dovrebbero costituire il nuovo, vero banco di prova delle forze avanzate e di progresso.

Alcune ri¯essioni conclusive Tornando, dopo la ricostruzione della vicenda politica, economica e sociale di quegli anni per grandi linee appena tratteggiata, alla piuÁ immediata e contingente attualitaÁ, sembra a ragione potersi sostenere che le prospettive di medio e lungo periodo, confermandosi le attuali tendenze, appaiono per il Mezzogiorno d'Italia ed in specie per la Campania e la provincia di Salerno ancora piuÁ incerte e problematiche anche a fronte dei recenti ingressi nella ComunitaÁ Europea di nuovi Paesi dell'Est Europa, un tempo gravitanti nell'area d'in¯uenza dell'ex-Unione Sovietica. EÁ evidente come sia all'ordine del giorno la concreta possibilitaÁ di una drastica, progressiva riduzione dei trasferimenti di risorse ®nanziarie ®nora assicurate, con i fondi comunitari, alle aree regionali europee in ritardo di sviluppo, individuate dall'obiettivo 1, proprio a vantaggio dei paesi di piuÁ recente adesione all'Europa. Certo, alla ®ne degli anni '60 e all'avvio degli anni '70, era complesso prevedere la qualitaÁ e l'intensitaÁ della crisi che di lõÁ a poco si sarebbe abbattuta, massicciamente, sui settori industriali manifatturieri di base e che sarebbe esplosa, in maniera ancora piuÁ acuta, negli anni '80 e '90, un processo economico-sociale di rilievo che, seppur per sommi capi, in questa occasione si eÁ ritenuto pertinente richiamare. Di sicuro mancoÁ la capacitaÁ di comprendere che i grandi complessi siderurgici, chimici e tessili trasferiti al Sud dif®cilmente si

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sarebbero integrati con le preesistenti strutture dell'industria locale, ne avrebbero sostanzialmente modi®cato il gracile quadro economico e sociale antecedente. Dopo l'iniziale fase di consistenti aiuti economici e ®nanziari, l'azione di promozione degli interessi collettivi avrebbe dovuto evidentemente concentrarsi sulle strategie e sui modi piuÁ ef®caci di crescita di un'impresa robusta, autonoma, non assistita, produttiva, idonea a reggere, sul piano dei costi e della qualitaÁ, la concorrenza sui mercati nazionali ed esteri. A tale necessaria iniziativa, si sostituõÁ, invece, troppo spesso l'ibrida commistione tra politica ed economia, la sovrapposizione sull'impresa del ruolo, improprio e negativo, giocato dalla politica. I manager pubblici, diretta emanazione del potere politico centrale, furono uno dei piuÁ clamorosi esempi della potente e sistematica invadenza e occupazione dello Stato da parte della politica. I ``boiardi di Stato'', incapaci, tranne rarissime eccezioni, di promuovere convincenti linee di politica industriale e di produrre ef®cienza, qualitaÁ, produttivitaÁ, innovazione, per collocare le imprese pubbliche nel sistema della competizione, confusero il loro ruolo con quello di liquidatori delle attivitaÁ avviate, scaricando sulla collettivitaÁ e sul debito pubblico, che cresceva a dismisura, i costi delle disfunzioni dell'impresa pubblica. Le decine di migliaia di lavoratori occupati nell'impresa salernitana, campana e meridionale, ebbero assicurato, per un arco di tempo piuttosto lungo, il reddito di sussistenza con l'uso, protrattosi per molti anni, della Cassa Integrazione Straordinaria e con l'ingresso nel lavoro nero e sommerso dei cassintegrati, che diedero vita ad una impropria e sleale concorrenza con i giovani e le ragazze che si affacciavano sul mercato del lavoro, tanto da consolidare il dato della disoccupazione strutturale, a due cifre, per i giovani del sud. Alla morte della grande impresa pubblica e privata, di piuÁ antico o piuÁ recente insediamento ed alla crisi di altri signi®cativi settori dell'industria, cui diede un ulteriore e mortale colpo di maglio il terribile sisma del 23 novembre 1980, non si sostituirono un'impren-

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ditoria ed un progetto industriale e produttivo alternativo di sviluppo allo stesso modo valido ed autorevole. L'assenza di un'imprenditoria locale in grado di assumere, ancora oggi, una funzione vincente e di eccellenza sui mercati nazionali ed esteri, eÁ in sostanza riconosciuta da piuÁ parti. A Salerno, dopo gli anni '60, '70 e '80, eÁ rimasta soltanto un'imprenditoria di piccole e medie imprese, con un mercato essenzialmente locale, e percioÁ as®ttico, che sconta i limiti derivanti dalle diseconomie del territorio. In alternativa a quanto eÁ scomparso non si eÁ creata alcuna impresa d'avanguardia, ne sono nati veri distretti industriali. Per limitarci appunto al solo esempio dei settori industriali si puoÁ osservare come, fatta eccezione per il comparto conserviero, un'impresa che agisce a Salerno dipende, per l'80 %, da altre imprese del Nord. L'acquisto dei macchinari rappresenta un potente onere, non c'eÁ, generalmente, un forte indotto, ne una robusta struttura di commercializzazione. La scelta delle imprese alla piccola dimensione e la scarsa propensione all'aggregazione sono un grave ed ulteriore limite: nella nostra realtaÁ ha storicamente pesato, in negativo, l'individualismo eccessivo, mentre avrebbero dovuto essere incentivati processi di aggregazione, collaborazione e di fusione tra le imprese. EÁ ancora troppo forte l'arretratezza delle infrastrutture. Il porto di Salerno consente ancora oggi un buon livello di trasporto delle merci e cioÁ permette il mantenimento di un discreto livello di competitivitaÁ: i costi, in media, sono inferiori di un terzo rispetto al trasporto su gomma. Il bacino del Mediterraneo non assicura, peroÁ, il valore di mercato del Centro Europa. Insomma, oggi creare un'impresa al Sud d'Italia o in provincia di Salerno eÁ compito dif®cile, un'autentica incognita. Signi®ca decidere per un investimento con una soglia di rischio assai elevato. L'accelerazione dei processi di delocalizzazione produttiva all'estero eÁ d'altra parte favorita dalle convenienze ben piuÁ consistenti che vengono garantite nei paesi dell'Est europeo: in Slovacchia, il suolo costa 3 euro a metro quadro, qui 100 euro. Ed ancora, l'ap-

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provvigionamento energetico eÁ assicurato alle imprese a costi assai piuÁ bassi. In®ne, i rapporti con la pubblica amministrazione sono piuÁ agili, veloci e produttivi. L'Europa mostra al suo interno differenze molto signi®cative nelle scelte per lo sviluppo economico: altrove si utilizzano meglio le risorse comunitarie, si attivano agenzie di sviluppo per attrarre investimenti, si punta sulla rapiditaÁ dei tempi di decisione per l'insediamento delle imprese e su una leva ®scale assai piuÁ favorevole. E paesi dell'Europa, come la Spagna e l'Irlanda, che solo pochi anni fa erano in una condizione di ritardo nello sviluppo, hanno innestato una nuova marcia, realizzando un tasso di crescita accelerato ben superiore al nostro paese e in specie al Mezzogiorno. In Italia si sono avuti una piuÁ forte tassazione dei redditi d'impresa, un eccesso di garantismo e di legislazione, un apparato amministrativo e una burocrazia pletorici e assai gelatinosi: una barriera che penalizza, ulteriormente, la giaÁ fragile imprenditoria locale e meridionale e chiunque intenda di nuovo investire nell'impresa industriale74. In un'economia sempre piuÁ globalizzata, in cui il mercato eÁ l'elemento destinato ad assumere funzioni selezionatrici tali da determinare la morte o lo sviluppo delle imprese, l'accelerazione governata dei mutamenti tecnologici, insieme all'investimento sulla qualitaÁ, eÁ fattore decisivo per la crescita della produttivitaÁ ed elemento indispensabile per reggere nella competizione tra imprese e tra sistemi territoriali differenti. C'eÁ da osservare in®ne, a tal proposito, come permangono forti limiti, di natura progettuale e strutturale, che non consentono di guardare con suf®ciente ®ducia al prossimo futuro. L'impresa manifatturiera locale col tempo eÁ ®nita in agonia essenzialmente per il fatto che i segni dei cambiamenti che si manifestavano negli orientamenti di mercato non sono stati colti a tempo e 74

Recenti osservazioni di Andrea Prete, ex-Presidente di Assindustria di Salerno, raccolte durante un colloquio con chi scrive.

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in quanto non eÁ stata effettuata la scelta strategica dell'investimento sull'ampliamento delle conoscenze tecniche e scienti®che. EÁ emerso in maniera sempre piuÁ chiara l'elemento di freno nello sviluppo del sistema industriale e dei servizi, nell'organizzazione delle infrastrutture territoriali dell'area salernitana: una insuf®ciente capacitaÁ di innovazione e di modernizzazione industriale a sostegno di una scelta strategica sul terreno della qualitaÁ. Gli errori piuÁ gravi, le carenze o la rinuncia all'innovazione impiantistica, merceologica, produttiva, sono avvenuti negli anni '70, nel periodo che eÁ stato a grandi linee esaminato. Le cadute produttive e di occupazione nell'industria tradizionale che si sono realizzate non sono state compensate con la parallela acquisizione di un ruolo di rilievo in settori destinati, col tempo, a diventare quali®canti e decisivi nelle societaÁ della nuova rivoluzione scienti®ca e tecnologica. Il contraddittorio sviluppo, che comunque si eÁ vissuto, non eÁ avvenuto su basi solide, stabili e robuste. In larga misura cosõÁ la Regione Campania ed ampie parti della stessa provincia di Salerno appaiono piuttosto come un ecosistema per piuÁ aspetti parassitario e squilibrato, in specie, ma non solo nella grande area metropolitana di Napoli. A cioÁ va aggiunto, come si accennava in premessa, in piuÁ punti del territorio, un peggioramento della generale qualitaÁ della vita. E cioÁ nonostante le straordinarie risorse naturali costituite dalle costiere amal®tana e cilentana, dal sistema dei Parchi naturali della Regione, da quello del Cilento e del Vallo di Diano, al Matese, alla catena dei Picentini e del Partenio, che costituiscono una straordinaria struttura paesaggistica ed ambientale, non sostenuta da un adeguato e parallelo processo d'innovazione tecnologica. Siamo, in sostanza, rimasti fuori come sistema paese, ed ancora di piuÁ come regioni meridionali e come provincia di Salerno, dai processi di sviluppo di funzioni post-industriali e, quindi, dagli straordinari avanzamenti altrove realizzati nei campi dell'elettronica, delle telecomunicazioni, della chimica, della biotecnologie, delle nanotecnologie, dell'ingegneria, della robotica e delle attivitaÁ in

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vario modo legate al grande tema dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile. E sempre piuÁ oggi le imprese multinazionali scelgono per i propri investimenti, per la produzione di beni e servizi ad elevato contenuto tecnologico, oltre che le realtaÁ piuÁ vantaggiose per il piuÁ basso costo del lavoro, anche i siti territoriali capaci di garantire le migliori condizioni ambientali e di qualitaÁ della vita, i piuÁ appetibili ``stili di vita'', come li de®nisce, con felice espressione, Giuseppe De Rita. Ricerca scienti®ca, ambiente e territorio appaiono pertanto le basi essenziali su cui eÁ possibile innestare processi virtuosi di crescita e di sviluppo. In larga parte della Campania un tale circuito virtuoso appare, ancora per un prevedibile lungo arco di tempo, decisamente compromesso. EÁ sotto i nostri occhi la tragedia rappresentata dalla crisi dei ri®uti, che ha gravemente compromesso la credibilitaÁ delle Istituzioni e delle classi politiche dirigenti regionali. Persiste ed anzi si accentua la scissione tra popolazioni e politica, mentre non appare immediatamente quantizzabile il danno immane prodotto, nell'immediato e nella piuÁ lontana prospettiva, all'immagine della Campania nel resto del Paese, in Europa e nel mondo. Il fatto piuÁ grave e doloroso eÁ che un disastro di tale portata puoÁ incidere in negativo, ancora a lungo nel tempo, sulle prospettive di futuro, di occupazione e di lavoro delle nuove generazioni75. Il governo centrale ha il dovere di assumere decisioni urgenti e impegnative che, rimuovendo le ragioni strutturali della crisi ed avviandola a de®nitiva soluzione, 75 Varie ed autorevoli fonti di rilevazione statistica, quali Istat, Svimez, Eurostat, Unioncamere, giaÁ nel dicembre 2006, prima dell'esplosione della fase piuÁ grave ed acuta dell'annosa e drammatica questione dei ri®uti, avevano messo in evidenza l'accentuarsi di una situazione di particolare criticitaÁ. A quella data infatti il Pil procapite della Regione Campania si attestava al 68,4% rispetto alla media Ue (nel 1999 era al 71%). Il Pil regionale dal 2001 al 2006 era cresciuto, in media, solo dello 0,9% all'anno. Gli occupati nel primo trimestre del 2006 erano 1.667.000 a fronte del 1.700.000 del 1994. Nel decennio 1995-2005 erano emigrati 254.000 campani. Nel 2006 si erano avuti 1.568.000 turisti in meno del 2000. I dati della bilancia commerciale, che nel 2000 segnavano un attivo di 235 milioni,nel 2006 erano in rosso per 922 milioni di euro. Le ore di cassa integrazione nel 2006 erano cresciute in media del 7,7% rispetto al 2000.

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evitino l'accentuarsi di una condizione di degrado e di marginalitaÁ ancora piuÁ marcata di una realtaÁ comunque decisiva per le prospettive dell'insieme del paese. La possibilitaÁ di ripresa di una funzione virtuosa della Regione, non potendosi giocare evidentemente, rispetto ai paesi di nuovo e piuÁ recente ingresso nell'area dell'Europa, sul terreno del costo del lavoro, dovrebbe caratterizzarsi sui nuovi parametri di riferimento essenziali per la crescita della competitivitaÁ. In tal senso appare indispensabile una scelta che punti all'attuazione di uno sviluppo accelerato della qualitaÁ e della quantitaÁ della ricerca scienti®ca. Un'assoluta prioritaÁ! Nel prossimo futuro i settori tradizionali daranno un contributo alla crescita ben inferiore a quello del passato, nel mentre ricerca scienti®ca ed innovazione tecnologica, ricerca applicata, acquisizione e moltiplicazione della conoscenza, dovrebbero poter rappresentare il volano essenziale su cui far leva per la valorizzazione del grande patrimonio ambientale, storico, culturale, che ci eÁ stato trasferito e che abbiamo il dovere di salvaguardare e di difendere. Questi, nell'immediato, saranno sempre piuÁ i terreni privilegiati su cui si potranno garantire piuÁ ampi e duraturi livelli della crescita. Accumulare e vendere conoscenza competitiva, valorizzare, come non eÁ mai avvenuto nel passato, l'ambiente e il territorio, questi gli obiettivi che andrebbero prioritariamente perseguiti. Appare, per altro, non oltre rinviabile l'attivazione di un nuovo ed armonico progetto di sviluppo, incentrato sul decongestionamento delle aree costiere e di incremento della popolazione delle aree interne,oggi in larga parte deserti®cate. Il riequilibrio della distribuzione territoriale della popolazione e di funzioni rivolte in prevalenza verso l'area sud della Regione eÁ decisivo per la salvaguardia e la valorizzazione piena dell'ambiente ®no a questo momento drammaticamente trascurate. Un contesto ambientale favorevole ed accogliente, la cui realizzazione, a fronte del perdurare delle grandi e acute emergenze prima richiamate, oggi appare particolarmente improbabile puoÁ essere, tuttavia, ancora fat-

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tore potenzialmente attrattivo per professionalitaĂ ad elevata qualiÂŽcazione provenienti da altre aree d'Italia o dell'Europa piuĂ evoluta, per risorse umane decisive per la realizzazione di nuove e solide iniziative economiche, produttive, culturali in grado di affermarsi e di durare a lungo e stabilmente nel tempo.

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La manifestazione studentesca del 9/1/1969 (da L'UnitaĂ ). Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1970. Battipaglia, un anno dopo: comizio di Umberto Terracini. Si riconoscono: Antonio Cassese, Luigi Giordano, Gaetano Di Marino. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1972. Salerno, manifestazione contro la repressione. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1973. Salerno, manifestazione operaia, Consiglio di fabbrica dell'Ideal Standard. Si riconoscono Francesco Calvanese e Raimondo Campostrino. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1974. Salerno, manifestazione studentesca per il diritto allo studio e difesa dell'UniversitaĂ Pubblica. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1974. Salerno, manifestazione per la difesa del salario e l'occupazione: giovani aderenti alle formazioni extraparlamentari. In primo piano si riconosce Remo Russo. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1974. Salerno, operai e studenti uniti nella lotta per il lavoro e l'occupazione. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1974. Studenti delle Scuole Superiori e di Magistero ed operai nella manifestazione operaia e sindacale. In primo piano a destra Salvatore Galizia. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1974. Manifestazione sindacale unitaria del 1ĂŤ maggio. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1974. Operai e studenti alla Manifestazione del 1ĂŤ maggio. Tra gli altri: Carmine Simone, Nicola Paolino, Lello Fenio. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1974. Giovani del Movimento Studentesco alla Manifestazione del 1ĂŤ maggio. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1975. Salerno, manifestazione del 1ĂŤ maggio. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1975. Manifestazione per l'occupazione. Delegazioni di Eboli e della Piana del Sele. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1976. Manifestazione sindacale unitaria con il Segretario Generale della CGIL Luciano Lama. In primo piano da sinistra: Giuseppe Colasante, Claudio Milite e Giuseppe Amarante. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


1976. Salerno, Piazza Amendola, la folla al comizio di Luciano Lama. Foto Archivio Privato Ferdinando Argentino.


Primi anni '80. Salerno, occupazione della Ferrovia da parte dei lavoratori dell'industria tessile salernitana. In primo piano con megafono Piero Lucia. Foto Archivio Privato Piero Lucia.


GIUSEPPE ACOCELLA

Un '68 ``cattolico''? Va detto Ð anche per spiegare certe affermazioni apparse in qualche rievocazione recente Ð che la valenza ``cattolica'' per tanti versi riscontrabile nel Sessantotto ha profonde motivazioni. Poiche il ``1968'' comprende un arco di tempo piuÁ lungo di un solo anno, che va dagli anni immediatamente precedenti a quelli immediatamente successivi, non si puoÁ dimenticare che l'evento straordinario del Concilio Vaticano II Ð conclusosi appena nel 1965 Ð aveva messo in moto il vasto arcipelago dei movimenti cattolici e delle comunitaÁ ecclesiali, dando vita a fermenti e vivaci dibattiti, che anche nel fenomeno de®nito allora del dissenso cattolico trovoÁ una espressione signi®cativa. La domanda forte di una riforma interna alla Chiesa, della quale si invocava una perfetta aderenza alle indicazioni del Concilio (Gaudium et Spes), per essere una Chiesa pura, non devozionistica, rivolta all'Annuncio del Segno ma senza rinunciare ad essere testimonianza feconda nella Storia, chiamava i credenti a non negare il mondo, ma anzi ad impegnarsi per edi®care una societaÁ piuÁ giusta. Sono gli anni (1967) della Populorum progressio di Paolo VI, della Chiesa dei poveri, della presenza dei cristiani nelle lotte di liberazione in varie zone del pianeta, del richiamo forte ad una fede non devozionistica. Il ri®uto della religiositaÁ inerte dei padri pote cosõÁ preparare e poi partecipare al clima che si presentoÁ come ``ri®uto dei padri stessi''. PeroÁ le icone, anche negli anni successivi, non furono Marcuse o Mao, ma don Lorenzo Milani (scomparso nel 1967) Ð che invitava allo studio e al sacri®cio, necessario per i ®gli dei poveri, e non alle scorciatoie dei ®gli di papaÁ che intendevano regolare i conti con i propri padri per poi goderne la protezione Ð o i preti impegnati nella ricerca della partecipazione per tutti, della giustizia, dell'eguaglianza. Queste tensioni sfociarono anche nella consapevolezza della crisi dell'unitaÁ politica dei cattolici, la cui necessitaÁ non era piuÁ general-

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mente avvertita, giacche una fede che si incarna non suggerisce un unico progetto politico (come era sembrato in precedenza necessario), ma puoÁ ispirare piuÁ progetti e scelte politico-culturali, purche siano coerenti con le scelte della Fede che vuole l'uomo ``volto di Dio'', e dunque non puoÁ ne sparire dalla storia politica, ne rassegnarsi a non ispirarne alcuno. Fu questo uno degli elementi che piuÁ pesarono nei rapporti tra giovani credenti alla ricerca del volto nuovo della Chiesa e della giustizia sociale che essa gli ispirava e le gerarchie ecclesiastiche (che ®nirono peroÁ per fornire, alla ®ne, una riconsiderazione del contributo offerto da quei fermenti e da quelle aspirazioni). Nella prefazione ad un volume pubblicato nell'aprile 1968, Umberto Segre fotografava i fermenti del mondo cattolico con queste parole: «In Italia con maggiore cautela e lentezza che in altri paesi cattolici viene pure diffondendosi quella ``responsabilizzazione delle scelte politiche'' che deriva dalla liceitaÁ delle opzioni statuite, in questo campo, dal Concilio Vaticano II. La coincidenza della difesa della libertaÁ della Chiesa (contro il comunismo all'interno, e contro il mondo comunista in generale) ha a lungo insinuato una acritica identi®cazione dell'impegno cristiano con quello occidentalistico. Non solo l'insegnamento giovanneo, prima, eÁ valso a detronizzare il feticcio della confusione borghese-cristiano; ma successivamente il Concilio, e poi le encicliche paoline e specialmente la Populorum progressio hanno insieme dissolto questo errore, e af®dato alla coscienza del cattolico la piena decisione del ``meglio'' in politica»1. Al quadro puntuale e sintetico offerto da Segre va aggiunta la forte connotazione ideale determinata dalla ri¯essione per l'attuazione dello spirito conciliare, l'aspirazione alla Chiesa dei poveri che appunto contribuiva a determinare una cesura della relazione tra Cristianesimo e spirito borghese, come il movimento democratico aveva determinato nella seconda metaÁ dell'Ottocento la rottura dell'alleanza Trono-Altare. Per comprendere il vasto moto che fu fret1

U. SEGRE, Prefazione a AA.VV., La DC dopo il primo ventennio, Marsilio, Padova 1968, p. 13.

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tolosamente de®nito dissenso cattolico occorre considerare come si saldassero, in un momento storico reso fecondo per i credenti dall'avvenimento dirompente del Concilio, le spinte che venivano da Est e da Ovest: la ``primavera cecoslovacca'' di Dubcek, che segnava l'inizio dello sgretolamento del sistema comunista (e che fu sottovalutato intenzionalmente da altre componenti del movimento degli studenti legati alle liturgie comuniste), le tensioni razziali che denunciavano la democrazia incompiuta negli Stati Uniti Ð usciti dalla traumatica esperienza degli assassinii dei fratelli Kennedy Ð che ebbero proprio nel 1968, a CittaÁ del Messico, la manifestazione piuÁ eclatante nei pugni chiusi nei guanti neri di Tommie Smith e John Carlos sul podio olimpico. Va detto che, mentre il movimento in Italia fu universitario (Trento, Milano, Pisa, Roma Valle Giulia, Napoli), e i salernitani che vi parteciparono erano universitari a Napoli, a Salerno, come meglio altri diranno, fu movimento degli studenti degli Istituti di scuola media superiore. Solo qualche tempo dopo si saldarono le presenze degli universitari e degli studenti, ed anche in questa cornice va valutato il fenomeno a Salerno. EÁ stato detto che inizialmente per molti versi il Sessantotto fu cattolico (si ricordino gli eventi dell'UniversitaÁ di Trento e dell'UniversitaÁ cattolica di Milano) per poi secolarizzarsi e far prevalere una risistemazione interna alla borghesia italiana (come dimostrava la contestazione di Adorno da parte degli studenti alla Fiera del Libro di Francoforte in quel 1968), che dalla rivoluzione dei costumi guadagnoÁ mani piuÁ libere per consolidare il proprio modello di vita edonistico e rapace senza mai divenire rivoluzione sociale. Il paradosso sta anche in questo: l'esaltazione del soggettivismo che caratterizzoÁ la natura borghese, come denuncioÁ nel PCI anche Giorgio Amendola, dei tanti ®gli di papaÁ Ð poi forse profondamente ``ravvedutisi'' e, capitalizzato il ``movimento'', in®latisi negli anni successivi in redazioni giornalistiche e televisive o nei gangli delle carriere politiche o delle provvidenze pubbliche per pochi prescelti Ð che aderirono e furono protagonisti del '68, volendo declinare in termini nuovi il rapporto

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il personale ed il politico, negando l'oggettivitaÁ dei valori e ogni autoritaÁ della morale, salvo la propria autoproclamatasi assoluta. Il frutto paradossale eÁ che l'individualismo che ha segnato le generazioni successive si eÁ arrestato al ``personale'', trascurando il pubblico, privilegiando il privato rispetto al ``sociale'', generando un ri®uto di massa del rispetto per una coscienza comunitaria. Rispetto a questo esito diverso fu il destino di chi quella stagione visse con l'occhio rivolto agli ideali di giustizia sociale, di eguaglianza, di abbattimento delle caste sociali che imperversavano ed ancora sono tornate ad imperversare nella nostra societaÁ. Il sindacato fu il destino di quelli che ritennero che ``studenti e lavoratori fossero uniti nella lotta''. Come dice il mio amico Raffele Morese, ricordando quegli anni e le aspirazioni che li caratterizzarono specie nel Mezzogiorno, noi volevamo che fossero garantite la condizioni per poter studiare senza impedimenti derivanti dalla condizioni economiche incerte delle nostre famiglie e attraverso il nostro impegno contribuire ad edi®care una societaÁ giusta. Il Sessantotto ``cattolico'' si separoÁ in tre direzioni: 1) la prima, costituita dai molti che dall'originario spirito di riforma generosa (con il ruolo centrale svolto inizialmente da «Questitalia» di Wladimiro Dorigo, i circoli di ``Testimonianze'', le tasse alla UniversitaÁ cattolica) approdarono all'ideale della palingenesi strettamente politica e al marxismo (``messa i parentesi della fede'') e addirittura al terrorismo, con una de®nitiva secolarizzazione della propria posizione (non a caso «Questitalia» scomparve nel 1970); 2) la seconda, ritirandosi dalla dimensione politica, e dedicandosi a coltivare un dissenso interno alla Chiesa di carattere eminentemente anti-devozionistico, teso a valorizzare un cristianesimo ispirato dalla semplicitaÁ evangelica ed operante nella comunitaÁ (®no alla esasperazione delle opere separate dalla fede, come nelle comunitaÁ di base, alla ricerca di una organizzazione autonoma agente soprattutto nel sociale); 3) la terza, con la volontaÁ di operare sempre all'interno della comunione ecclesiale e con forti aspirazioni alla giustizia sociale,

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Un '68 ``cattolico''?

che trovoÁ nella ACLI e nella CISL la possibilitaÁ di trasformare in atto l'ideale di concretizzare il programma degli ``studenti ed operai uniti nella lotta'', riattualizzando la dottrina sociale della Chiesa. Lo stesso Segre ha opportunamente sottolineato, ®n dall'aprile 1968, i caratteri assunti dalla posizione dei giovani cattolici nel '68 (in funzione antiborghese per esaltare la partecipazione popolare) per una decisa «contestazione di una razionalizzazione eminentemente eudemonistica della societaÁ, nella quale verrebbero ribadite, sotto le lusinghe di una integrazione sicura, le dif®coltaÁ giaÁ esistenti di una effettiva partecipazione popolare al potere. Questa contestazione, che muove da una insorgenza di appelli cristiani, raggiunge la sua espressione oggi nelle ACLI. Per altro verso, di fronte alla riduzione tecnocratica della politica, le forze sindacali che giaÁ costituirono la ``corrente cristiana'' della CGIL e poi si costituirono in sindacato ``libero'' nella CISL, sono venute Ð almeno nella loro cerchia piuÁ impegnata sul terreno della lotta industriale Ð rendendosi sempre piuÁ autonome dal compromesso democristiano»2. In un bellissimo volume del 1972 questo processo, che eÁ soprattutto una iniziazione, viene spiegato benissimo: «Le encicliche sociali non potevano piuÁ rappresentare una fonte viva di ispirazione quotidiana. Il loro ruolo era stato quello di rendere legittimo ai cattolici occuparsi attivamente dei problemi sociali esorcizzandoli nel contempo contro le tentazioni del socialismo rivoluzionario; il primo punto era ormai acquisito e il secondo messo in dubbio o quanto meno non era il principale all'ordine del giorno per un sindacalista cattolico dopo il 1960. SaraÁ semmai la Pacem in terris a segnare luminosamente la conclusione di una svolta nelle coscienze cristiane. Anche tutto il dibattito aperto da Maritain e dai primi tentativi di scon®ggere l'integrismo, rivendicando l'autonomia e il pluralismo dell'esperienza politica passa sopra la testa del mondo sindacale, si svolge magari nella FUCI e cioeÁ molto distante dagli oratori popolari (....) Sono piuttosto pensatori come Mounier a con2

Ibidem, p. 15.

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tare: il personalismo eÁ un corrosivo antidogmatico, svela la dimensione solidaristica di ogni lotta per la giustizia, ripropone l'inconciliabilitaÁ tra il cristiano e il ``disordine costituito'' e non per chiuderlo nell'attesa dell'aldilaÁ bensõÁ per impegnarlo nella costruzione di un ordine nuovo»3. Si possono cosõÁ, forse, tentare di comprendere le speci®citaÁ della percezione del fenomeno da parte dei cattolici che ne furono coinvolti, anche di fronte alle diverse ``interpretazioni'' che del Sessantotto offrivano gli eventi, i movimenti. In realtaÁ il Sessantotto arrivoÁ in Italia con tre differenti, prevalenti ``icone'': Berkeley, che voleva essere il ribellismo annunciante il sovvertimento delle gerarchie sociali e la libertaÁ sessuale, che in¯uenzoÁ il corpo diffuso del movimento; Parigi, la rivolta sociale che metteva in discussione l'autoritaÁ politica e culturale; Pechino, la rivoluzione ``culturale'' ideologizzata, che sedusse tanti, troppi con la proliferazione di innumerevoli gruppuscoli ``®locinesi'', che subirono l'involuzione del dogmatismo. Per i giovani cattolici, piuttosto, il sacri®cio di Ian Palach fu l'icona piuÁ incisiva e resistente: dare la vita per gli altri allo scopo di abbattere regimi ingiusti. Per i credenti, quelli che non misero ``in parentesi'' la Fede, abbracciando il marxismo-leninismo o addirittura il nichilismo con gli esiti nefasti e noti ®no al terrorismo, il '68 costituõÁ la veri®ca degli ideali messi alla prova, che dovevano passare il fuoco della storia per poter guardare al di laÁ della storia.

3

G. P. CELLA-B. MANGHI-P. PIVA, Un sindacato italiano negli anni Sessanta. La FIMCISL dall'associazione alla classe, De Donato, Bari 1972, p. 15.

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Il '68 a Salerno. In forma di ballata *1 Dedicato a: Antonio, Enzo, Angelo, Mimmo, Giovanni ...

Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia la mia generazione le menti migliori distrutte dalla pazzia. E intanto Rosanna cresceva. Che grande sogno, ricordi, Antonio? I ragazzi come noi, Antonio a Parigi: li seguivamo giorno per giorno con pochi giornali e poca tv. Ma le loro voci, quelle sõÁ erano le nostre. Chiedere l'impossibile, l'immaginazione che prende il potere: Non consumiamo Marx Qui si spontaneizza Qualcuno di quelli che sanno sempre sempre tutto ci diraÁ che erano situazionisti, anarchici, destinati a fallire. fuori dai grandi partiti, destinati a fallire E quelli che non sono falliti: che ®ne hanno fatto, Antonio? * L'intervento di E. Scelza eÁ stato accompagnato dalle note musicali di Antonio Giordano.

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La veritaÁ eÁ che dei programmi, delle teorie, allora, ci importava meno. Molto meno. Ed eravamo quelli che avevano giaÁ letto Foucault che avevano messo in scena Sartre delle mani sporche che facevano domande imbarazzanti ai professori che citavano poeti e ®loso® che nessuno di loro aveva mai sentito. Dello s®lare stretti per il quartiere latino sotto la Sorbona, nei viali a disturbare Eugene Jonesco e la sua Cantatrice Calva del loro andare incontro contro, i ¯ic sotto la pioggia degli idranti del tenersi stretti, delle ragazze dei visi puliti, dei capelli sciolti del gridare la felicitaÁ e la rabbia ci interessava di piuÁ. Di colpo, il corteo si sarebbe rotto, la violenza della polizia avrebbe spento i canti e le parole i manganelli avrebbero impastato di sangue i capelli. Ma ogni giorno erano di piuÁ ... e poi, arrivarono gli operai della Saint Gobain. Finalmente quelli che avevano combattuto i fascisti di Vichy i nazi sotto l'arco di trionfo riconoscevano i loro ®gli. C'era giaÁ stata Berkeley. L'altra America era giaÁ scesa per le strade.

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Il '68 a Salerno. In forma di ballata

I volontari del Vietnam avevano gettato le loro medaglie davanti al Congresso. I neri marciavano cantando spirituals a Memphis. Una donna nera aveva ri®utato di cedere il posto in autobus ad un bianco. Nei campus gli studenti ascoltavano Woody Guthrie e Marcuse: i grandi spazi da percorrere il gran ri®uto dell'uomo a una dimensione e la violenza della piccola provincia lasciata dietro la porta del ristorante di Alice. La beat generation aveva giaÁ fatto saltare il mito americano il ricatto della bomba a quello atomico preferiva il fungo messicano, che dava allucinazioni. Kerouac si era messo per strada Ferlinghetti cercava i fogli delle sue poesie nella Kasbah tangerina Burroughs beveva ®no a morirne E Ginsberg, dal suo Jukebox all'idrogeno urlava: Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia. E cantava poesie sugli acuti di un sax tenore. La nostalgia per una libertaÁ mai conosciuta ha una voce jazz e un'anima blues. La ribellione e la rabbia hanno un'anima blues. Ma i ragazzi di Berkeley erano nuovi e diversi. La paura se l'erano gettata dietro Sognare aerei colorati e volare a fare l'amore sulle sabbie dei deserti. Il ``Che'' aveva giaÁ conosciuto gli anfratti della Sierra viveva sulle pareti delle nostre stanze continuava a dirci

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dalla Trilaterale che il potere immane globale dell'imperialismo non eÁ niente i poveri popoli piccoli potevano farcela. Anche dall'estremo del mondo, dall'oriente dei miliardi di contadini la forza stava nelle mani di chi non aveva, mai, avuto niente. LõÁ, dove una stella rossa brillava sulla Cina le montagne potevano essere spostate. Come i ®li della barba del vecchio Ho Avevano ricostruito i cannoni, smontati pezzo a pezzo e spalla a spalla portati, per chilometri, tra spari e foreste per vendicare My Lay e coprire le ferite del Napalm dei bambini di My Lay E a Salerno, come rimanere fermi? Avevamo mangiato rabbia, per anni, nella cittaÁ i nostri anni soli. Che brutta una cittaÁ che si chiude disperata e non vale l'apertura del mare a darle respiro ne il sole, la storia, le sue belle donne a darle vita. Un potere paterno vescovi, sindaci e costruttori soffocava le speranze. Fu cosõÁ che i ®gli sentirono di morire Tra la messa la domenica e il rito casto del corteggiamento

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Il '68 a Salerno. In forma di ballata

Sentirono violenta la sicurezza tranquilla delle consuetudini. Le famiglie non riuscirono a tenere chiusa quella voglia forte di amore, vita, di felicitaÁ e futuro. E le case scoppiarono Le scuole scoppiarono Le strade si riempirono di urla. E arriva il 23 agosto: Dopo aver divorato le cronache della rivolta francese da UmanitaÁ nova L'anarchico, che sorride nella sua edicola, E le notti a discutere, nelle cantine Vino acido e zuppa di soffritto. Le riviste d'avanguardia divorate Quindici, Carte Segrete, Contropiano I Quaderni rossi Negri, Asor Rosa E Tronti che cerca Lenin a Detroit I Quaderni Piacentini trovati sotto pile di Libri da Umberto ai Mercanti. Trenta ragazzi si ritrovano nei giardini ... le menti migliori della mia generazione ... Comunisti anarchici, psiuppini, giovani repubblicani, socialisti, comunisti, i cattolici del dissenso, un fascista di sinistra. PercheÂ, per lui, prima o poi, la violenza verraÁ. Poi seduti a terra, alla luce delle candele, Il mio intervento, la nostra rivolta,

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ERNESTO SCELZA

La rivoluzione che ricomincia Il ®lo rosso dello schiavo Spartaco I contadini tedeschi di Thomas Muntzer scon®tti che tornano cantando: i nostri ®gli riprenderanno. E passano tra gli alberi che portano i frutti amari degli impiccati. Il mio intervento concluso da Michele: vinceraÁ il proletariato, vinceraÁ la rivolta. E poi tentativi e fallimenti, Botte dei fasci e contestazione ai Berretti verdi di John Wayne. Un manifesto scritto a mano per la riapertura delle scuole: Gli studenti, che in tutto il mondo ... E ancora botte coi fascisti sulle scale del Tasso. La saracinesca calata sulla testa, ricordi, Antonio davanti al De Sanctis. Al lungomare facciamo la lista dei feriti. Il movimento saraÁ per l'Assemblea, Le studentesse smetteranno il grembiule nero, Nessuna entrata separata per maschi e per femmine. Il preside Vasile che offre le chiavi del liceo e noi che ri®utiamo: a te, se riesci, di fermare la rivolta a noi la contestazione. E la cerimonia di apertura dell'anno scolastico saltata E le assemblee sulle scale E poi, a dicembre, l'occupazione. Prima al De Sanctis, e Michele prende il potere dei padri E il Tasso: un drappo rosso sul balcone.

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Il '68 a Salerno. In forma di ballata

E Rosanna lþà sotto a guardare incantata. gli eroi son tutti giovani e belli. Le mattine gli istituti in lotta a fare assemblea La notte a parlare e fare lunghi documenti. E le telefonate dei ragazzi dell'Avogadro: arrivano i fascisti E i turni di guardia negli abbaini I frati di San Francesco che pettinano le loro barbe al mattutino. E arriva la polizia, invocata dal Roma e dal Tempo. Il freddo ferro di una pistola alla tempia a svegliarmi Un'alba livida Scendiamo le scale muti poi un sussurro un sommesso canto dell'internazionale ci accompagna sui cellulari. Le feste di capodanno ci vedono per strada. Il nove gennaio un immenso corteo tiene Salerno per un'intera giornata. Le quindicenni ferme per terra davanti ai celerini La piccola provincia dei basilischi scoperta a respirare come i ragazzi di Berlino e Parigi Come Medicina a Napoli, Architettura a Roma, la Statale e Scienze a Milano Come sui ponti di Pisa si bloccano i celerini ai Principati. Saranno mesi di collettivi, cortei, contestazioni e lotta. L'autoritarismo, la scuola dei padroni unitaà con gli operai sempre uniti vinceremo.

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ERNESTO SCELZA

Saranno giornate di cento ore. Leggiamo di tutto Saggi, storia i grandi vecchi E i documenti ciclostilati la notte all'enaip e diffusi a migliaia la mattina. Ma Salerno moderata, di destra non molla. I suoi ®gli non li ascolta ma li denuncia a centinaia. In primavera Praga si rivolta. I carri armati russi, Jan Palach si daÁ fuoco per protesta. I fascisti, a Salerno, organizzano un corteo Sono quelli di sempre, arrivati con i camion tricolori. Nel Tasso dei ®gli borghesi si tiene un'assemblea. Difendiamo la rivolta di Praga, non lasciamola ai neri Usciamo in corteo anche noi EÁ un massacro: le ragazze vomitano sangue Gli studenti che saggiano, per la prima volta la violenza su di loro. Ma la mattina dopo sono i ragazzi delle parrocchie e dei salotti buoni che cacceranno dagli scalini del liceo le squadracce. E poi l'uccisione dei contadini di Avola La prima occupazione di Magistero con i braccianti di Gildo Ciafone E poi la rivolta di Battipaglia Una cinquecento bianca carica di studenti

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Il '68 a Salerno. In forma di ballata

L'occupazione della Ferrovia Un ragazzo alla ®nestra Ucciso Come il mattino di Pavese: Ieri, dalla breve ®nestra eÁ svanito come svaniraÁ tra un istante, senza tristezza ne parole umane. La strumentalizzazione di destra Noi cacciati dalla cittaÁ da una ®umana di attivisti missini. La nostra rivolta comincia a scontrarsi con il volto duro della repressione. Oramai i libri di poesia li leggiamo di nascosto Senza farlo sapere Per un bisogno di tenerezza. Si arriva cosõÁ all'estate Il movimento chiede organizzazione. Ci muoviamo senza una lira in giro per l'Italia Ricordi, Antonio? Con Mario A Roma, a Firenze. C'eÁ l'articolo di Sofri sulla Monthly Review. C'era stata l'assemblea del Potere operaio pisano. L'operaismo, l'autonomia della classe Quel movimento aveva bisogno di parole nuove Non esiste parola che lo contenga o accomuni alle cose passate. E, invece, di colpo, i maoisti dissero: basta pensare: l'organizzazione eÁ il partito, la teoria un libretto rosso niente da cercare.

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ERNESTO SCELZA

Cominciava il ri¯usso, uno dei tanti, per tanti anni Con la paura di perdersi Perche accade spesso a chi ha perso tutto di perdere anche se stesso Capisci, ora, Antonio, perche eÁ cosõÁ dif®cile accettare una vita banale perche ci eÁ penoso vivere in una cittaÁ che si chiude. Capisci perche la cronaca di quegli anni eÁ sempre chiusa in un cassetto Perche per noi vivere eÁ giocarsi tutto sul cambiamento Perche eÁ la speranza che daÁ colore ai giardini ci fa amare la gente Perche accettare le cose che sono sempre cosõÁ eÁ morire in silenzio Senza un grido Senza l'urlo della mia generazione.

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FERDINANDO ARGENTINO

Il Sessantotto a Salerno: giovani, politica, ragioni della militanza1 Le leadership giovanili e la parte piuÁ politicamente avveduta del movimento giungono alle esperienze del '68 fortemente in¯uenzate dai grandi eventi che hanno segnato la storia politica e culturale degli anni '50 e '60 del nostro paese. Nell'ottobre del 1956, l'insurrezione del popolo ungherese chiede libere elezioni, libertaÁ di stampa e di riunione, l'uscita del paese dal Patto di Varsavia. L'invasione sovietica spazza via l'aspirazione degli ungheresi alla libertaÁ e all'autonomia da Mosca e a un progetto riformatore. E, tuttavia, nel movimento comunista internazionale, ®no ad allora monoliticamente e solidarmente legato alla leadership di Mosca, si apre un aspro dibattito: in Italia: gli intellettuali comunisti esplicitano la loro condanna abbandonando in tanti la militanza nel Partito Comunista e lo stesso leader carismatico della CGIL, la piuÁ forte organizzazione sindacale dei lavoratori, Giuseppe Di Vittorio rende pubblico, fuori dalle stanze chiuse del Comitato Centrale del P.C.I., il suo radicale dissenso e quello dei lavoratori italiani. A cavallo degli anni '60, in Europa si afferma una nuova cultura giovanile di massa: anche in Italia si indossano i blue-jeans, si balla il rock'n'roll, si ascolta musica davanti ai juke-box e il gruppo dei Beatles si appresta a diventare rapidamente una icona della gioventuÁ. Nel luglio del 1960 nasce, con i voti determinanti del Movimento 1

Il Sessantotto eÁ uno degli eventi della storia contemporanea piuÁ documentati e su cui piuÁ si eÁ scritto e, dunque, non vi eÁ in me alcuna ambizione di aggiungere con questo lavoro nulla di nuovo o di originale a quanto in tanti anni si eÁ letto. Mi auguro solo di riuscire a parlare del Sessantotto, partendo da un punto di osservazione piuÁ limitato e assolutamente personale, non con indulgenza al rimpianto, ma per tentare di contribuire a rendere vivo e attivo un pezzo straordinario della nostra storia, e, poi, spero, per sollecitare nei giovani che avranno la pazienza di dare uno sguardo a queste righe qualche positivo sentimento che alimenti un loro nuovo protagonismo sociale e politico.

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FERDINANDO ARGENTINO

Sociale Italiano, il governo Tambroni: scoppiano in tutto il paese forti proteste antifasciste, emerge una nuova generazione, cresciuta nella repubblica, educata ai valori della pace, in¯uenzata dalle lotte per la libertaÁ e l'indipendenza dei popoli: eÁ la generazione dei giovani dalle ``magliette a strisce''. Nascono nel 1962 due straordinarie riviste di cultura politica, ``Quaderni rossi'' e ``Quaderni piacentini'', sulle cui pagine cresce e si forma una nuova generazione di militanti che af®na le sue capacitaÁ critiche e innalza il suo livello di contestazione all'assetto sociale, politico ed istituzionale della societaÁ del tempo. Nel 1967 viene pubblicato Lettera ad una professoressa di don Lorenzo Milani. Con La rivoluzione liberale di Piero Gobetti e Lettere dal carcere di Antonio Gramsci, sono le letture fondamentali che ispireranno il lavoro politico e l'azione sociale di tantissima parte della gioventuÁ impegnata nel Sessantotto. Nel 1966, a Roma, all'UniversitaÁ, nel corso di violenti scontri con i fascisti, muore lo studente Paolo Rossi. Nel paese vengono indette dai partiti della sinistra decine e decine di manifestazioni di protesta antifascista. A Salerno, nel corso della manifestazione convocata a Piazza Portanova, sono violentissime le cariche dei celerini del Battaglione Mobile di Foggia. Il 20 agosto 1968 i carri armati del Patto di Varsavia invadono la Cecoslovacchia, spezzando il nuovo corso politico, democratico e liberale, della ``primavera di Praga'', promosso dal Partito Comunista Cecoslovacco, dal suo segretario generale Alexander Dubcek e dal Presidente della Repubblica Ludwig Sboboda. Luigi Longo, eroe dell'antifascismo e della guerra di Spagna, segretario del Partito Comunista Italiano, esprime il ``grande dissenso'' dei comunisti italiani: eÁ, di fatto, un grande ed irrevocabile atto di rottura dell'unitaÁ del movimento operaio e comunista internazionale e la sanzione dell'esaurimento della positiva spinta propulsiva dell'Unione Sovietica. Sono queste le radici profonde del '68 nel nostro paese. E, tuttavia, eÁ la lotta di indipendenza nazionale del Vietnam, di

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Il Sessantotto a Salerno: giovani, politica, ragioni della militanza

un piccolo paese che ha combattuto per la propria libertaÁ, prima contro il dominio coloniale francese e, poi, contro gli USA, ad unire la generazione del '68. Ho Chi Min eÁ il simbolo piuÁ esplicito di una lotta che mette in crisi un ingiusto equilibrio mondiale per costruire un nuovo ordine internazionale, nel quale si ritrovano le passioni di cambiamento di milioni di giovani, da Berkeley alla Sorbona, da Harlem alle universitaÁ italiane. Negli anni '60, in Italia si amplia la possibilitaÁ di accesso di tutte le classi sociali all'istruzione ed eÁ proprio nella scuola pubblica che s'inizia a sedimentare la critica piuÁ aspra alle discrasie della societaÁ italiana ed alle sue ingessate gerarchie. Per tantissimi giovani il '68 eÁ il primo, entusiasmante approccio alla politica, eÁ scoprire il senso alto, migliore, della politica e dell'impegno diretto come strumento per cambiare il proprio destino. Il '68 eÁ il racconto della formazione al mondo di una generazione che percorre la propria strada con l'entusiasmo del ribelle piuÁ che con la consapevolezza del rivoluzionario. I ragazzi del '68 entrano nel ``movimento'' con la voglia straordinaria di uscire dalla palude dell'immobilismo, di cambiare il modo di stare al mondo, di conquistare una libertaÁ che non vivono nella vita quotidiana, segnata da tanti limiti e impedimenti. La straordinaria intensitaÁ della partecipazione di massa dei giovani agli eventi del `68, eÁ dovuta proprio al fatto di sentirsi protagonisti di un distacco fortissimo dai comportamenti e dalle convenzioni tradizionali e, per®no,dalla pratica esistenziale, di fatto ancora quelli di 50 anni prima, nonostante la societaÁ sia cambiata in maniera enorme: si usciva dagli anni '50, dalla ricostruzione, da anni duri, tristi; arrivavano, per tante famiglie, gli anni di un discreto benessere, si affermavano nuovi modi di vivere. Patty Pravo cantava ``Oggi qui, domani laÁ ... Io amo la libertaÁ e nessuno me la toglieraÁ mai!''. In tutti era la grande, straordinaria emozione di vivere un salto epocale e il percorso creativo che giaÁ investiva Berkeley, Parigi, Berlino. A Salerno il movimento eÁ, almeno in una prima fase, fortemente unitario, con una grande solidarietaÁ generazionale anche tra la gio-

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ventuÁ che piuÁ oltre con¯uiraÁ nella sinistra extraparlamentare e i giovani della sinistra storica, orgogliosi della loro appartenenza ad una costola vitale di un movimento che aveva cambiato, con la rivoluzione proletaria nella Russia del 1917, la storia del mondo. Nel movimento si miscelano grandi tensioni ideali e politiche, domande di riforma della societaÁ e dello stato, confuse aspirazioni progressive, anarchismi ed antiautoritarismi. Tuttavia, la contestazione e il ri®uto radicale appaiono l'unico ef®cace antidoto al rischio concreto dell' integrazione. In Italia, nelle aree piuÁ radicali del movimento giovanile, con una analisi schematica e sbrigativa, si giunge per®no a parlare di ``Resistenza tradita'' e a sostenere che la lotta di liberazione nazionale, lungi dall'aver prodotto giustizia e libertaÁ, aveva, piuttosto, riproposto le diseguaglianze preesistenti: persisteva il cancro del pro®tto e del capitalismo. Il Partito Comunista, che aveva optato per l'avanzata parlamentare al socialismo, eÁ additato come responsabile di aver compromesso l'idea della rottura rivoluzionaria e di aver reso vana, col suo ``revisionismo'', la speranza di radicale trasformazione del paese. Il P.C.I. esplicita due orientamenti: Giorgio Amendola parla del pericolo della riedizione di un nuovo ``fascismo rosso'', Luigi Longo apre, invece, alla discussione ed al confronto. A Salerno, nel corso di una drammatica assemblea alla FacoltaÁ di Magistero, le posizioni assunte dal Partito Comunista, esplicitate in un articolo su ``L'UnitaÁ'' dell'autorevole dirigente Ugo Pecchioli, prestigioso capo partigiano in Piemonte, vengono messe sotto accusa, provocando la violenta espulsione dall'assemblea degli studenti aderenti al Partito Comunista e alla Federazione Giovanile Comunista. La scelta di campo appare de®nita. Tramontata la capacitaÁ di presa e persuasione del potere borghese occidentale, ora sono l'Oriente e la Cina i nuovi orizzonti da inseguire. La visione manichea e la radicalitaÁ, senza distinzioni e sfumature, l'utopia dogmatica dell'idea di una societaÁ nuova, di uomini eguali si mischiano con errori, parzialitaÁ, ideologismi che giusti®cano anche le aberrazioni e gli orrori che contemporaneamente accadono nell'Est d'Europa. Oltre che Mao Tse Tung,

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che diviene un vero eroe per i dannati della terra e del Terzo Mondo, si esaltano per®no Stalin e la dittatura proletaria, magico antidoto alle tante ingiustizie esistenti sulla terra. Dietro la continua evocazione delle masse, emergono fanatici, estremisti, mosche cocchiere, vanitosi. Basta essere in pochi per rubare la scena al resto del mondo, ai silenziosi, agli incerti, ai confusi, agli ugualmente incazzati e, peroÁ, non avvezzi al palcoscenico, ai timidi, a chi progetta nel silenzio cose migliori, a chi lavora e tace, a chi lotta ma non eÁ narciso, a chi legge, pensa e discute, ma non considera indispensabile urlare il suo comizio, a chi si vergogna di essere protagonista ad ogni costo. Eppure l'organizzazione della politica, la sua incisivitaÁ, la sua forza di rappresentanza poggiano sul protagonismo delle masse, sull'organizzazione degli ultimi e della parte debole della societaÁ e su questa concezione della politica e della lotta per il cambiamento poggia l'orgoglio dell'appartenenza dei militanti del PCI e la loro capacitaÁ di reggere ad un confronto con i gruppi extra parlamentari e la loro capacitaÁ di crescente aggregazione. A Salerno, la rivolta degli studenti medi esplode alla ®ne del '68 e attraversa larga parte del `69. Nell'universitaÁ, ancora sostanzialmente estranea al vento della contestazione, nel 1968 vengono convocate le elezioni per il rinnovo dell'O.R.U.S., l'Organismo Rappresentativo degli Universitari Salernitani: saranno le ultime. Gli studenti universitari, sui quali eÁ grande l'in¯uenza dei tanti fuorisede lucani e calabresi e del Partito Comunista, riescono ad imporre le assemblee come unici organi decisionali, in contrapposizione al vecchio organismo rappresentativo. Nel dicembre del 1968 viene occupato il Magistero. Ma la prima, dirompente manifestazione di protesta studentesca che, di fatto, apre il '68 a Salerno eÁ quella che interrompe l'iniziativa delle celebrazioni istituzionali dell'inizio dell'anno scolastico al Liceo Tasso. Alla cerimonia inaugurale del prestigioso liceo, che ospita i ®gli della piuÁ ricca borghesia imprenditoriale, del commercio e delle professioni della cittaÁ, eÁ prevista, nell'Aula Magna, la tradizio-

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nale, dotta prolusione del preside Vittorino Vasile e, prima, l'esibizione del coro delle studentesse, nella antica divisa del grembiule nero con colletto bianco, nell'aria del ``Va', pensiero!'' del ``Nabucco''. Una trentina di studenti universitari, af®ancati da pochi coraggiosi e coraggiose ragazze del Liceo, ben distribuiti nell'ampio salone, interrompono rumorosamente il coro, reclamando l'assemblea generale, inneggiando alla protesta studentesca di Parigi, acclamando ai leaders della lotta antimperialista nel terzo mondo, a Ho Chi Min, al Che, a Fidel, a Mao. Sconcertati e sorpresi, ancor piuÁ che preoccupati, tra sonori ®schi e sfottenti applausi, gli ospiti guadagnano rapidamente l'uscita e le coriste e i professori le stanze della presidenza. I giovani prendono possesso della presidenza e, tra l'allegria e l'entusiasmo degli studenti che, ormai, hanno lasciato le loro aule e hanno riempito l'Aula Magna, danno inizio all'assemblea, conquistata con l'inaspettato blitz. La miccia accesa al ``Tasso'' brucia rapidamente: in tutti gli istituti delle scuole superiori della cittaÁ vengono indette le prime assemblee nelle quali si esprime una straordinaria volontaÁ di partecipazione degli studenti. Dalle assemblee, esprimendo una volontaÁ di lotta anche piuÁ radicale, alla vigilia delle feste natalizie del 1968, si passa all'occupazione delle scuole. Gli scontri tra i militanti di destra, sempre piuÁ politicamente isolati ed anche ®sicamente estromessi dalle occupazioni, dalle assemblee e dai collettivi di studio, e quelli di sinistra si moltiplicano: al Corso, davanti al cinema Metropol, avviene lo scontro piuÁ duro, con vari feriti da entrambe le parti. Le rivendicazioni del movimento sono il diritto all'assemblea generale e l'ingresso di rappresentanze studentesche, elette in assemblea, nelle sessioni per gli scrutini trimestrali e in relazione ai provvedimenti disciplinari. Si moltiplicano le riunioni dei collettivi e dei gruppi di studio su una molteplicitaÁ di argomenti e questioni prive di attinenza con i tradizionali programmi scolastici che, invece, stimolano all'esame ed all'indagine piuÁ approfondita delle vicende nazionali ed internazionali del mondo contemporaneo. La critica eÁ, nelle

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piattaforme dei licei classici e scienti®ci, insieme radicale ed ideologica, sintomo del malessere di fondo che cova nella scuola e nella societaÁ. La ``cultura borghese'' va decisamente liquidata a partire dalla scuola, dal punto iniziale della sua riproduzione e diffusione. Le posizioni di alcuni istituti d'indirizzo tecnico sono, invece, decisamente piuÁ concrete e ragionevoli. All'``Avogadro'', nell'autogestione e con l'occupazione, oltre che ad interventi di riassetto strutturale dell'edi®cio, si propone d'istituire corsi di aggiornamento periodici in sintonia con l'evoluzione del progresso tecnologico e scienti®co dell'industria. Le posizioni gradualiste e riformiste sono decisamente minoritarie e, tuttavia, quando possibile, vengono espresse dai giovani del P.C.I. e della F.G.C.I.. In una delle assemblee generali convocata nell'Aula Magna del ``Tasso'', decido di rilanciare la parola d'ordine ``Salviamo la scuola!'', in coerenza con la scelta politica decisa dall'organizzazione giovanile del P.C.I. di differenziarsi dalle scelte piuÁ radicali del movimento degli studenti e di contrastare la linea dello scioglimento della F.G.C.I. nel movimento. Subissato da una clamorosa valanga di ®schi, non mi eÁ possibile portare a conclusione l'intervento e, tuttavia, traggo la convinzione che anche una piattaforma riformista puoÁ essere proposta alla discussione di un'area non limitata degli studenti salernitani. La risposta alle agitazioni studentesche eÁ di sostanziale chiusura: un nutrito gruppo di genitori, riuniti al Jolly Hotel, chiede alle autoritaÁ scolastiche ed alle istituzioni azioni risolute per ``garantire ai propri ®gli il diritto allo studio''; le scuole occupate vengono sgomberate all'indomani delle feste natalizie dal ``battaglione mobile'' dei celerini di Foggia. La F.G.C.I. eÁ la piuÁ decisa tra le organizzazioni nel proporre una ferma e tempestiva risposta alle intimidazioni e alla repressione: preceduto da due grandi manifestazioni studentesche nel centro e nella zona orientale della cittaÁ, il 10 gennaio 1969 si tiene lo sciopero generale degli studenti, la piuÁ grande ed unitaria manifestazione studentesca che mai la cittaÁ abbia visto: in piazza sono circa 8.000

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giovani. Della manifestazione daÁ notizia la stampa nazionale e ``L'UnitaÁ'' vi dedica un titolo in prima pagina e un corposo articolo in seconda. Le ragazze, che non avevano il permesso di restare fuori casa dopo le 11 di sera, partecipano alle assemblee del movimento ®no alle 2, alle 3 di notte, sono attive nei picchetti e nei blocchi stradali, partecipano ai blitz nei palazzi istituzionali, occupano i licei. Dal punto di vista di comportamenti nuovi, di libertaÁ individuale, il 1968 ha aperto una grande stagione soprattutto per le ragazze: il movimento ha aperto la ®nestra verso la libertaÁ personale, la libertaÁ di vivere come si sceglieva di vivere, di non avere un destino segnato: dietro l'angolo, per una ragazza, c'era sempre stato il matrimonio, i ®gli, e non sempre la scuola o l'universitaÁ. Era impensabile, prima, di poter andare a vivere da sole, indirizzare la propria vita in modo diverso da quella che era stata la vita delle madri: per una ragazza, aver avuto 16, 17, 18 anni in quel periodo non era certo la stessa cosa che averli adesso! Dentro il movimento la FGCI: Renato Peduto, Orlando Vitolo, Angelo Mammone, Francomassimo e Giovanna Lanocita, Nino Galderisi, Mario e Antonio ChioÁ ChioÁ Giordano, Franco Colace, Antonio Braca, Lucio Grippa, Franco Smeraldo, Alfredino Di Legge, Antonio Scielzo, Luigi Giordano, Giancarlo Montalto, e tanti studenti universitari fuori sede; gli studenti del De Sanctis e del Tasso, la gran parte dei quali daraÁ vita all'Unione dei Comunisti Italiani marxisti-leninisti o saraÁ tra i fondatori de Il Manifesto e, nel 1972, di Avanguardia Operaia: Michele Santoro, Adolfo Criscuolo, Ernesto Scelza, Piero Lucia, Giovanni Di Domenico, Ciccio D'Acunto, Miki Rosco, Silvana Di Gregorio; e poi ancora Nicola Paolino, Antonio Casella, Salvatore Galizia, Mena Scelza, Gerardo Giordano, Gianfranco Longo, Grazia Zinzi, Franco Calvanese, Lucia Annunziata. Il movimento studentesco sorto e sviluppatosi a Salerno ricerca ad un certo punto un collegamento diretto con la ``classe'', scegliendo di evitare una relazione mediata con le organizzazioni sindacali e il partito. La ripresa delle lotte popolari, di braccianti, operai e con-

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tadini nelle fabbriche del Nord e nelle campagne meridionali appare in quel periodo forte e sorprendente. Nell'aprile del '68, a Valdagno, gli operai della Marzotto iniziano uno sciopero e i Marzotto rispondono con la serrata; scoppiano gravi incidenti con la polizia; il giorno 19 viene abbattuta la statua del conte Marzotto, simbolo del rapporto tra l'impresa e la cittaÁ. Nel 1968, ad Avola muoiono due braccianti negli scontri con la polizia. Nell'aprile del 1969, esplodono i moti di Battipaglia. A Salerno gruppi di giovani con¯uiscono nelle manifestazioni operaie per i rinnovi contrattuali davanti allo stabilimento D'Agostino e nello sciopero generale del 4 novembre 1968. Il movimento degli studenti medi a Salerno, ``protetto'' a livello politico, istituzionale e sociale dalla C.G.I.L. e dai partiti della sinistra storica, spostoÁ l'orientamento di grandi masse giovanili in senso democratico e progressista e, senza dubbio, concorse sul senso e l'indirizzo dei cambiamenti della politica e della societaÁ nel suo complesso, sulla maturazione e formazione della nuova classe politica locale. Il ri¯usso e, poi, la scon®tta dei movimenti ma, soprattutto, il ri®uto della politica come luogo di un'azione organizzata e di massa, porta, anche a Salerno, le frange piuÁ estreme del movimento giovanile a fughe in avanti distruttive, alla violenza, alla droga, per qualcuno per®no al terrorismo. Nella affollata e, tuttavia, confusa pubblicistica di oggi, sul `68, sembra confermarsi il fenomeno impropriamente chiamato di ``revisionismo storico''. Certo, la rilettura e la revisione della storia sono la materia stessa di qualsiasi lavoro storiogra®co. Ma in Italia si eÁ accreditata la volontaÁ ideologica e politica di contrapporre ad una presunta ``storia uf®ciale'', presentata come imbalsamata dalla sinistra, una contro-storia che mette in ®la come birilli da abbattere, la lotta del Risorgimento, la Resistenza e la guerra di Liberazione, la guerra di Spagna, la guerra civile nell'Irlanda repubblicana, la lotta del popolo palestinese per la patria. Le tesi di un revisionismo storico assolutamente partigiano affermano che il '68 in Italia eÁ sicuramente

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durato per piuÁ di un decennio e che il prolungamento della rivolta giovanile ha determinato una trasmutazione di quel fenomeno di massa nel terrorismo, che, partito silenziosamente all'inizio degli anni '70, eÁ esploso nel corso del decennio ®no all'uccisione di Moro, per esaurirsi solo agli inizi degli anni '80. Il '68 italiano viene, quindi, complessivamente identi®cato come fenomeno degenerativo, che ha prodotto i cosiddetti ``anni di piombo'', con una sovrapposizione tra '68 e terrorismo, lotta armata, violenza. Oggi, quando si parla di quegli anni, si usa la dizione, tanto impropriamente quanto strumentalmente, di ``anni di piombo'', con una meccanica identi®cazione tra il movimento di lotta e di contestazione degli anni `67, '68 e '69 e gli anni della strategia della tensione e delle stragi di Stato che hanno insanguinato l'Italia dal 1969 e che sono stati, forse, la vera causa che ha generato il terrorismo di sinistra. Il 1969, invece, eÁ la data di chiusura di quella fase del movimento degli studenti e degli operai che chiamiamo il ``68 italiano''. Prevalgono, oggi, lo spirito polemico e la strumentalitaÁ per alimentare lo scontro politico contingente. I giornali e i reportage televisivi trattano gli avvenimenti del '68 come se si fossero svolti ieri. No! EÁ storia, ormai! E di questa storia c'eÁ una rivendicazione ragionata: il '68 non come l'etaÁ delle utopie e delle speranze ®nite nel piombo del terrorismo, ma come un'esperienza umana e sentimentale, politica e militante. Non c'eÁ nella rivendicazione ragionata di questa storia ne il reducismo rancoroso o il memorialismo depressivo, ne una rilettura tutta soggettiva della storia, per ridurre il punto di vista sui fatti, sulle persone, sulle circostanze del passato ad una osservazione assolutamente personale. Il tempo ha sedato anche le piuÁ tormentate passioni e calmato anche le piuÁ forti turbolenze ideologiche, ma gli anni non hanno corroso la forza di antichi princõÁpi che hanno motivato scelte politiche di fondo e ispirato le ragioni della militanza. Possiamo guardare a quegli anni con un sorriso insieme dolce e disincantato? Era la nostra giovinezza!

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LUIGI PIZZA

Negli anni Sessanta: le radici di un'altra rivoluzione Una esperienza che sicuramente a ciascuno eÁ capitato di fare, soprattutto negli anni addietro, eÁ stata quella di aver incontrato per strada, nelle stazione ferroviarie, sugli autobus, persone che parlavano a voce alta; o che confabulavano ``minacciando'' e imprecando contro interlocutori immaginari; portandosi il piuÁ delle volte appresso contenitori di diverse forge e fattura, pieni delle cose e degli oggetti piuÁ disparati. A chi non eÁ capitato? Ebbene costoro, nell'immaginario collettivo, erano i ``matti''. Almeno quelli ``visibili''! Mentre molti altri ``vivevano'' rinchiusi nei manicomi e ricoverati all'interno di strutture di custodia e vigilanza. Ed ancor piuÁ nelle famiglie, nascosti ed occultati in una dimensione di vergogna e marginalizzati come vite di scarto da uno stigma strutturato, diffuso e pervasivo. Un ``fenomeno'' tuttora particolarmente rilevante e resistente, soprattutto nel Sud d'Italia, che si appalesa, purtroppo, con le modalitaÁ strutturate di una solida costruzione culturale, e che trova ancora oggi solo parziali ed incomplete spiegazioni. Una delle quali, sostenuta tuttora da strenui fautori, eÁ quella incarnata nello storicismo crociano dell'antropologia dei De Martino1 e dei Di Nola2, con la loro visione dello studio dell'uomo come soggetto storico capace di imporre al mondo una peculiare e caratteristica forma; e pertanto le costruzioni culturali ``del Mezzogiorno come luogo di incontro, ma anche di con¯itto, tra diverse culture, sensibilitaÁ, mentalitaÁ, ideologie ed istituzioni religiose''. Con la distorsione evidente, eÁ stato da piuÁ parti sottolineato, di aver adoperato la distinzione storica dei 1

E. DE MARTINO, Sud e Magia, Feltrinelli, Milano 1983. A. M. DI NOLA, L'arco di rovo. Impotenza e aggressivitaÁ in due rituali del Sud, Boringhieri, Torino 1983. 2

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LUIGI PIZZA

processi formativi di mentalitaÁ, di comportamenti in sede antropologico-religiosa come principale discrimine Nord-Sud, secondo la formula ``banalizzata'' di Carlo Levi3 nel suo ``Cristo si eÁ fermato a Eboli''. Distorsione e chiave interpretativa in gran parte superate dai risultati dello storico salernitano-lucano Giuseppe Viscardi4, mettendoci bene in guardia dall'avallare le tesi di quanti ``privilegiano la chiave delle pratiche religiose e delle superstizioni per leggere la storia sociale del nostro Meridione''. Ed inoltre, attraverso una rigorosa e puntuale controanalisi, anche sulla riduzione del Mezzogiorno alla sua storia di arretratezza: identi®cata ed identi®cabile con la sola ``questione meridionale''. E non posso in®ne non af®ancare alle precedenti ``letture'' anche la rivoluzionaria formula strutturalista di Claude LeÁvi-Strauss5, particolarmente furoreggiante negli anni sessanta ed anche nel prosieguo, secondo cui le costruzioni culturali, tra cui appunto lo stigma della follia, hanno solo in parte origini storiche, sociali ed ambientali, ma per altra parte obbediscono a regole universali Áõnsite nel funzionamento della mente: le cosiddette ``strutture'', cioeÁ le invarianti. In de®nitiva, Claude LeÁvi-Strauss ha cercato di connettere, soprattutto sulla scia di Freud e pertanto attraverso la ricognizione anche delle istanze inconsce ``vuote e quantitativamente limitate'', le ``strutture'' come due facce della stessa medaglia: l'universalitaÁ della natura umana e la diversitaÁ delle singole culture. Delineando con cioÁ vaghe risonanze con gli archetipi collettivi di matrice junghiana. Comunque orizzonti di grande complessitaÁ, a tutt'oggi ancoÁra minimalmente declinati nelle inestricabili polaritaÁ: natura-societaÁ; cervello-coscienza; biologia-cultura. 3

C. LEVI, Cristo si eÁ fermato a Eboli, Torino, Einaudi 1978. G. M. VISCARDI, Tra Europa e ``Indie di quaggiuÁ''. Chiesa, religiositaÁ e cultura popolare nel Mezzogiorno (secoli XV-XIX), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2005. 5 C. LEÁVI-STRAUSS, Tristi tropici, Il Saggiatore, Milano 1955. 4

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Ma tornando all'iniziale Áõncipit, qual'era e qual eÁ oggi la condizione degli ammalati psichici: prima e dopo l'avvento della legge 180 del 1978?6 Appunto la legge di riforma sulla Salute Mentale fortemente voluta da Franco Basaglia e inserita di lõÁ a poco, come parte integrante, nella legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale: la legge 833 dello stesso anno7. Comunque prima di entrare nel merito della questione eÁ opportuno fare almeno alcune necessarie premesse. Innanzitutto la malattia mentale, nelle sue forme piuÁ gravi, eÁ la malattia piuÁ devastante e umiliante: perche la piuÁ disumanizzante. Proprio nel senso che colpisce l'uomo, morti®candolo e distruggendolo in quello che egli ha di piuÁ speci®co: l'essenza stessa del suo essere! Disgregando e frammentando la sua coscienza e la sua interioritaÁ. Ed occorre altresõÁ ribadire che purtroppo nella nostra societaÁ, storicamente, eÁ sempre prevalsa la tendenza ad ``escludere'' gli ammalati psichici. Quasi una sorta di rimozione collettiva verso qualcosa che viene percepito come ``alieno'', altro da seÂ; e pertanto connotazione e ``griffe'' culturale della pervasiva tendenza a rinchiuderli e segregarli all'interno di ``istituzioni totali'', secondo una felice intuizione della sociologia inglese, e cioeÁ: manicomi e ospedali psichiatrici. La ``follia'' come un male oscuro ed incomprensibile; la malattia mentale come un ``vacuum'' che suscita orrore e paura e pertanto: da custodire e vigilare! Non secondo categorie o dimensioni cliniche, bensõÁ in base al pregiudizio di una Áõnsita pericolositaÁ sociale: categoria nient'affatto clinica e ``criterio'' unico di internamento e segregazione. In Italia la Legge n. 36 del 14 Febbraio 19048 regoloÁ l'istituzione 6

Legge n. 180 del 13 Maggio 1978, Accertamenti e Trattamenti Sanitari Obbligatori. Legge n. 833 del 23 Dicembre 1978, Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. 8 Legge 14 Febbraio 1904 n. 36, Disposizioni sui manicomi e sugli alienati. Custodia e Cura degli alienati. 7

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dei manicomi per il ricovero e ``la cura'' degli ``alienati''. Precedentemente l'assistenza dei ``mentecatti poveri'' era af®data ai Comuni e alle Province. Con la Legge 36 del 1904 l'onere della spesa dei manicomi restoÁ in capo alle Province; mentre la vigilanza passoÁ al Ministero dell'Interno. E poiche l'ammissione era coattiva, i regolamenti attuativi della Legge 36/1904, emanati il primo nel 1905 e quello de®nitivo con il Regio Decreto n. 615 del 19099, stabilivano che il ``ricovero'' in via de®nitiva ``doveva essere ordinato dal Tribunale in Camera di Consiglio, sentito il Pubblico Ministero e in base a una relazione del Direttore del Manicomio''. Mentre ``la dimissione, in via di prova, era disposta dal Direttore del manicomio sotto la sua responsabilitaÁ, ma, in via de®nitiva, era disposta dal Presidente del Tribunale''. Appare evidente che tale legislazione, ``elaborata'' da Giolitti, pur giungendo ad ``una de®nitiva regolamentazione dell'assistenza psichiatrica'' era improntata ``a un sistema custiodalistico che basava il trattamento della malattia mentale esclusivamente su concezioni di difesa sociale piuttosto che di tutela della salute''10. Nel 1925 in Italia si contavano 42 manicomi provinciali, 11 istituti opere pie, 6 amministrazioni private o religiose, 31 ricoveri di cronici, 27 case di salute per abbienti, 12 istituti per de®cienti, 4 manicomi criminali. In tutto, 133 istituti per il ricovero e la ``cura'' dei malati mentali. In sostanza una legislazione ancoÁra speciale, in netto contrasto con il valore clinico della malattia; e successivamente, sul piano dei diritti, anche con l'impianto complessivo della nostra Carta Costituzionale, promulgata nel 1948, ed in particolare con la prima parte dedicata ai principi generali. L'avvento degli psicofarmaci in seguito, 1952, mutando il quadro sindromico e prognostico delle psicosi gravi, aprõÁ un ulteriore spiraglio determinando una prima innovazione con la Legge n. 431 9

Regio Decreto 16 Agosto 1909 n. 615, Regolamento per l'esecuzione della Legge 14 Febbraio 1904 n. 36. 10 S. CARTA - P. PETRINI (a c. di), Quale futuro per la Legge 180, Ma.Gi. Srl, Roma 2005.

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del 1968 che autorizzava il ricovero volontario con ``embrioni'' di servizi territoriali. Veniva inoltre cancellata la registrazione del ricovero nel Casellario Giudiziario. Al contempo, peroÁ, continuava ad identi®care il malato di mente: ``un infermo pericoloso per se e per gli altri''11. Comunque nel secolo scorso la terapia dei disturbi mentali, nonostante l'internamento coattivo all'interno dei manicomi, ha seguito molte strade. Ciascuna in sintonia con la ``scuola'' di riferimento. Con indirizzi diversamente orientati: sia per quanto riguarda le cause, sia per quanto concerne le cure. Contrasti effettivamente legati all'incertezza sul contenuto e sui con®ni della Psichiatria; ed inoltre sui limiti del patrimonio di conoscenze, relativamente piuÁ ampi ma meno oggettivabili rispetto ad altri settori della Medicina. Nella prima metaÁ del secolo scorso si puntoÁ soprattutto su terapie mirate ad intervenire, per la prevalenza di concezioni positivistiche e deterministiche, sull'assetto neurobiologico cerebrale, tra cui le piuÁ diffuse: l'insulinoterapia, per l'induzione arti®ciale di uno stato di coma (1932); l'elettroshock, per l'induzione di crisi convulsive mediante applicazione di corrente elettrica (1938); la psicochirurgia, per la separazione delle strutture anatomiche cerebrali, in particolare la lobotomia prefrontale e bilaterale, mirabilmente narrata nel ®lm di Milos Forman ``Qualcuno voloÁ sul nido del cuculo'', girato in un Ospedale psichiatrico dell'Oregon (USA) e interpretato dall'attore americano Jack Nicholson12. In seguito, tutte queste ``terapie'' verranno abbandonate. Per la scarsitaÁ di risultati connessi tra l'altro ad alti rischi, ma soprattutto a seguito della fortuita scoperta dei cosiddetti ``psicofarmaci'' (anche questo eÁ uno stigma lessicale!), avvenuta, come ho in precedenza ricordato, agli inizi degli anni cinquanta. Farmaci effettivamente 11

Legge 18 Marzo 1968 n.431, Provvidenze per l'assistenza psichiatrica. Qualcuno voloÁ sul nido del cuculo (One Flew Over the Cuckoo's Nest), 1975, regia di Milos Forman, dal romanzo di Ken Kesey, USA. 12

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capaci di agire sulle manifestazioni piuÁ eclatanti della sintomatologia psicotica. Contemporaneamente ulteriori fondamentali apporti contribuirono, assieme all'introduzione della terapia farmacologica, a modi®care nella sostanza l'approccio alla malattia mentale. Vanno assolutamente menzionate in primis le esperienze di ``comunitaÁ tera-peutica'' avviate in Inghilterra verso la ®ne degli anni quaranta; la cosiddetta ``Psichiatria di settore'' in Francia sul ®nire degli anni cinquanta; la nascita della ``psichiatria territoriale'' agli inizi degli anni sessanta; ed inoltre la diffusione del ``modello psicoanalitico'' e gli studi sociologici sulle ``istituzioni totali''. ``Tuttavia la crisi investõÁ la pubblica opinione a partire dal 1960, sotto la duplice spinta della contestazione da un lato e del riformismo psichiatrico dall'altro, producendo una perentoria richiesta di liberazione della psichiatria e dei malati di mente dalle coercizioni di cui erano oggetto e una diffusa e a volte anche confusa domanda di deistituzionalizzazione. Sono di quegli anni le opere di Laing in Gran Bretagna, di Basaglia in Italia, la nascita di associazioni e di gruppi, la presa di posizione di societaÁ scienti®che e di associazioni sindacali, il ®orire di convegni e proposte, in rapporto ai nuovi stimoli della sociologia, dell'antropologia culturale, della psicoanalisi''13. In de®nitiva iniziava a svilupparsi e a prendere piede la cosiddetta: ``psichiatria sociale''. Recuperando sotto certi aspetti la lezione di Pinel14, medico francese, che con la sua prima classi®cazione dei ``disordini comportamentali'' aveva propugnato il principio del ``trattamento morale'' dei malati psichici, escludendo categoricamente ogni sistema o metodo coercitivo. Questi nuovi approcci alla malattia mentale ``consentivano di ridurre le pratiche restrittive; miglioravano la qualitaÁ assistenziale; 13

Cfr. nota 10. PH. PINEL, TraiteÁ meÁdico-philosophique sur l'alieÁnation mentale, seconda edizione, Parigi, Brosson, 1809. 14

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riducevano di numero e di durata le degenze; favorivano processi di guarigione precedentemente af®dati al decorso naturale della malattia; rendevano praticabili modelli assistenziali alternativi all'internamento manicomiale''15. E proprio in quegli anni, negli anni sessanta, nel crogiuolo di una palingenesi antropologica di respiro mondiale incarnata nella contestazione giovanile, si fece strada la originale ``corrente antipsichiatrica'' che in Italia faceva riferimento agli studi ed alle intuizioni di Franco Basaglia. Basata su alcuni principi essenziali, che avrebbero poi dato vita, tra l'altro, alla Legge 180 del 13 Maggio del 1978, interamente assorbita all'interno della piuÁ ampia Legge n. 833 del 23 Dicembre 1978, istitutiva del Servizio Nazionale Italiano, di stampo solidaristico ed universalistico, ed alla de®nitiva chiusura dei manicomi e degli Ospedali Psichiatrici. I principi ispiratori della Legge 180, appunto conosciuta come Legge Basaglia, furono elaborati da Basaglia stesso e dal gruppo di operatori, di ogni tipologia professionale, che con lui aveva avviato le esperienze antimanicomiali di Gorizia e Trieste. Era il 1968 quando il Governo di centro sinistra, sulla spinta delle prime aperture dei manicomi a Gorizia, Perugia e Materdomini (Salerno) metteva mano alla Legge del 1904 sui ``frenocomi e gli alienati'' e introduceva il ricovero volontario, creava un'alternativa alla pesantezza dell'internamento coatto e alla sottrazione dei diritti civili. Avviava un processo di radicale cambiamento che si concluderaÁ solo dieci anni dopo, con la Legge 180. In quegli anni nel campo della salute mentale si sono prodotte accelerazioni, innovazioni, cambiamenti inconfrontabili col resto degli altri Paesi occidentali. Cambiamenti che cominciavano a restituire possibilitaÁ. PossibilitaÁ di restare cittadini, di essere titolari dei propri diritti, di avere la speranza di rimontare il corso delle proprie esistenze, per®no di guarire ..... A partire da quegli anni siamo stati in grado di vedere 15

I malati mentali. Dall'esclusione alla solidarietaÁ, a cura della Caritas Italiana, Casale Monferrato (AL), Piemme 1997.

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e ascoltare le persone che vivono il dolore della mente in quanto persone e non diagnosi, malattie, oggetti''16. E L'istituzione negata di Franco Basaglia pubblicato nello stesso anno17 ``non per raccontare o ®ngere la morte di Agamennone, ma per uccidere con le proprie mani''18 diviene in breve tempo il libro cult del movimento di contestazione. Per quanto riguarda le esperienze salernitane occorre fare riferimento alle pratiche innovative avviate presso il manicomio di Materdomini da Sergio Piro e di cui era il Direttore Sanitario. Quelle esperienze innovative, sulla scia delle effrazioni antimanicomiali avviate a Gorizia e a Perugia, gli costarono la rimozione dalla Direzione Sanitaria. In particolare suscitoÁ scandalo una mostra di pittura completamente dedicata al lavoro dei ``matti''. Nell'occasione accorsero a Vietri sul Mare anche Basaglia, Agostino Pirella e Antonio Slavich, per fare il punto della situazione ed avviare, proprio in occasione di una oggettiva criticitaÁ di sistema, una rimodulazione della strategia di ``distruzione dell'ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione''19 e probabilmente fu avviata proprio allora la costituzione di Psichiatria Democratica20. Parteciparono inoltre attivamente alcuni giovani ``appena usciti dalle rivolte studentesche'',alla loro prima esperienza di lavoro, che cercavano ``strade di cambiamento sia in psichiatria sia in altri settori delle istituzioni e della societaÁ. Fra essi il compianto Enzo Sarli e Peppe Dell'Acqua, attuale Direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste. 16 Cit. da un articolo di Giuseppe Dell'Acqua, direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, Questa Legge daÁ piuÁ diritti, pubblicato su ``la Repubblica-Salute'', anno 14 n. 579 dell'8 Maggio 2008. 17 F. BASAGLIA (a c. di), L'istituzione negata, Einaudi, Torino 1968. 18 L. MANGONI, Pensare i libri, Bollati Boringhieri, Torino 1999. 19 Il saggio La distruzione dell'ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione. Morti®cazione e libertaÁ dello ``spazio chiuso''. Considerazioni sul sistema ``open door'' fu presentato per la prima volta al Congresso Internazionale di Psichiatria Sociale, Londra, agosto 1964. 20 A. SLAVICH, La scopa meravigliante, Editori Riuniti, Roma 2003.

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I principi della rivoluzione culturale basagliana possono essere sinteticamente riassunti nei seguenti punti: a) la malattia mentale non eÁ essenzialmente una malattia organica, ma eÁ anche una malattia sociale, donde la necessitaÁ di una speci®ca analisi di contesto; b) l'internamento coatto in un manicomio o in un ospedale psichiatrico non conduce alla guarigione, giacche essi stessi, per la loro intrinseca costituzione e con®gurazione, sono una ``fabbrica di follia''. Il manicomio, in quanto ``istituzione totale'', provoca una completa e tragica perdita di identitaÁ, diventando un inevitabile destino di segregazione ed esclusivo strumento di controllo e custodia; c) poiche la malattia mentale ha origine nel ``territorio'', eÁ in esso che deve trovare la cura adatta: nell'aÁmbito dello speci®co e peculiare contesto socio-relazionale; d) il malato psichico ha gli stessi diritti degli altri ``pazienti'' e pertanto come tale il suo trattamento curativo deve essere inserito a pieno titolo all'interno della sanitaÁ generale. Ebbene, proprio in base ai principi ispiratori della nuova riforma, il Servizio Sanitario Nazionale disponeva l'istituzione dei ``servizi a struttura dipartimentale che svolgono funzioni preventive, curative e riabilitative relative alla Salute Mentale'': tali interventi ``sono attuati di norma dai presidõÁ e servizi territoriali extra-ospedalieri''. Realizzando di fatto lo scopo prioritario di spostare la centralitaÁ delle cure psichiatriche dai luoghi separati al territorio; con una armonica integrazione dei servizi ospedalieri ed extraospedalieri; garantendo la continuitaÁ terapeutica attraverso l'equipe multiprofessionale e multidisciplinare; e bloccando de®nitivamente ulteriori ammissioni in Ospedale Psichiatrico o Manicomio. Regolando inoltre normativamente gli ``Accertamenti e i Trattamenti Sanitari Obbligatori'': con accertamenti e cure di norma volontari e il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), de®nito atto sanitario e non di controllo sociale, da attuare solo in casi eccezionali e attraverso una serie di valutazioni e garanzie. Oggi, a trent'anni dall'approvazione della Riforma, il bilancio

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complessivo, sotto ogni pro®lo, risulta decisamente positivo. Le strutture per la salute Mentale sono capillarmente diffuse su tutto il territorio nazionale. Ovunque sono presenti servizi territoriali, servizi ospedalieri per acuti e strutture residenziali di diversa tipologia. Il campo del lavoro terapeutico eÁ effettivamente cambiato, con l'intervento di nuove ®gure professionali ed il forte apporto della cooperazione sociale. In trent'anni sono stati attivati21: servizi ospedalieri per il ricovero degli acuti (SPDC): circa 280 per quasi 4.000 posti letto; oltre 700 Centri di Salute Mentale (CSM), che rappresentano il punto di ascolto, di elaborazione della domanda di bisogno, di presa in carico e di continuitaÁ terapeutica. I CSM dovrebbero tutti funzionare sulle 24 ore. Allo stato, in funzione delle risorse, sono aperti con modalitaÁ e orari diversi da Regione a Regione. Inoltre sono circa 20.000 i posti nelle Strutture Residenziali di varie dimensioni e tipologia di programmi socio-riabilitativi. Mentre sono rimaste sostanzialmente invariate le Case di Cura, che ammontano complessivamente a 56, con circa 4500 posto letto. Evidentemente l'impianto ``culturale'' della Riforma Basaglia non eÁ solo basato sulla pur necessaria diffusione dei servizi, ma soprattutto sul modello di cura. Un modello di cura che non deve contare solo sui luoghi di ricovero per gli acuti e sulle strutture di lunga ospitalitaÁ per i cronici, ma prevede inoltre: attivitaÁ routinarie di sostegno alle famiglie; sostegno al reddito e all'abitare; programmi integrati per ``le persone piuÁ vulnerabili'' e che hanno dif®coltaÁ ad accedere ai servizi; iniziative di presa in carico delle persone detenute nelle Carceri e negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, settore per il quale solo recentemente, nel 2008, si eÁ avviata una pro®cua riforma di trasferimento delle competenze al Servizio Sanitario Nazionale; ed in®ne il tema del lavoro, vero ostacolo al completo e de®nitivo reinserimento nel pro21

Fonte: audizione Ministro della Salute a Commissione inchiesta Senato, 2005, Ministero della Salute, Regione, UNASAM, 2008.

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prio naturale aÁmbito di riferimento socio-ambientale ed affettivorelazionale. In de®nitiva un modello territoriale di intervento sull'ammalato psichico, in cui il momento ospedaliero per l'acuzie eÁ solo un passaggio intermedio tra un prima e un dopo, caratterizzato da una continuitaÁ terapeutico-assistenziale e da una presa in carico globale e integrata da parte di tutte le Agenzie socio-sanitarie del Territorio. EÁ questa, nella sostanza, la cifra rivoluzionaria ed originale del nuovo approccio alla Salute Mentale. E proprio in virtuÁ di tale con®gurazione e della sua intrinseca dimensione personalistica, l'Organizzazione Mondiale della SanitaÁ e moltissime Nazioni, tra cui ora anche gli USA, hanno de®nito la ``180'': indice di civiltaÁ e democrazia. E i suoi principi ispiratori sono gli stessi alla base del ``Green Paper'' sulla Salute Mentale approvato dall'Unione Europea nel 2005. Fermo restando che l'Italia eÁ oggi l'unico Paese al mondo senza manicomi; e confermando l'evidente ed oggettivo valore dei principi di fondo e la sostanziale positivitaÁ dei risultati ottenuti attraverso la diffusione del modello territoriale di prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento sociale, eÁ possibile altresõÁ prevedere alcuni necessari aggiustamenti, da poggiare sulle solide basi della positiva esperienza maturata in questi trent'anni dalla sua iniziale applicazione. Ben consapevoli che i servizi non devono e non possono essere autoreferenziali, bensõÁ in sintonia con l'evoluzione della societaÁ; e pertanto ne un totem da idolatrare, ne un tabuÁ da non poter infrangere. Una delle prime lacune manifestate dalla ``180'' era strettamente connessa alla eccessiva delega alle Province e alle Regioni: giacche non tutte in grado, sia sul piano tecnico che culturale, di tradurre in pratica i nuovi servizi psichiatrici: con risultati enormemente diversi®cati per i nuovi e dif®cili coÁmpiti che ad esse imponeva la legge. Inoltre la nuova riforma, che dovette accelerare i tempi della sua elaborazione in vista della proposta dei Radicali di sottoporre a referendum la vecchia legge manicomiale, e pertanto con un suo

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stralcio strumentale dalla piuÁ generale Legge di riforma che avrebbe di lõÁ a poco istituito per la prima volta nel nostro Paese il Servizio Sanitario Nazionale, mentre stabiliva con chiarezza i principi ispiratori, al contempo non indicava i mezzi per tradurre in pratica quei principi sul piano del ®nanziamento, del coordinamento e dell'aspetto organizzativo. Ed ancoÁr meno gli interventi ``sostitutivi'' verso le amministrazioni inadempienti. ``Sviste'' in veritaÁ che hanno in piuÁ di qualche caso causato abbandono dei pazienti e sovraccarico delle famiglie. Aspetti questi ultimi spesso e strumentalmente utilizzati per affossare la riforma. Ne va sottaciuto che la Legge 180 non affronta adeguatamente la questione della nuova cronicitaÁ; tant'eÁ che in essa mancano e non sono previste le relative strutture e di conseguenza le modalitaÁ operative. Ne tantomeno offre indicazioni sul grave e purtroppo diffuso problema del ri®uto di cure e del ``drop-out'' delle persone che, proprio a causa della enorme sofferenza interiore, non sono pienamente e perfettamente in grado di comprendere la necessitaÁ della cura, attutendo in un certo senso il diritto inalienabile di chiedere e pretendere comunque assistenza. Un primo tentativo di colmare alcune lacune della Legge 180 si eÁ avuto con il Progetto Obiettivo sulla Salute Mentale del 199422 con la ®nalitaÁ di migliorare la qualitaÁ degli interventi, mediante: 1) creazione di una rete di servizi integrati in tutte le Aziende Sanitarie Locali e in particolare: strutture residenziali e semi-residenziali. Destinate prevalentemente al post-acuzie e con precisi indirizzi riabilitativi e di reinserimento sociale; 2) sviluppo dell'organizzazione dipartimentale del lavoro, in grado di coordinare e integrare le diverse strutture operanti all'interno della medesima ASL; 22

Decreto del Presidente della Repubblica del 7 Aprile 2004, approvazione del Progetto Obiettivo ``Tutela della Salute Mentale 1994-1996''.

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3) implementazioni delle competenze professionali degli operatori; 4) de®nitiva e completa deistituzionalizzazione degli ammalati psichici e superamento dell'Ospedale Psichiatrico. Il successivo Progetto Obiettivo sulla Salute Mentale del 199823 si eÁ fatto poi carico sia delle mancate realizzazione di quello precedente, sia di ulteriori contingenti evenienze indicando nuovi ed aggiuntivi obiettivi di salute, tra i quali: a) prioritaÁ ad interventi di prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi mentali gravi; b) prevenzione, primaria e secondaria, del disagio giovanile; c) produzione di relazioni affettive e sociali nel nucleo familiare e nel tessuto sociale e relazionale del paziente; d) riduzione dell'incidenza di suicidi; e) maggiore e piuÁ puntuale coinvolgimento delle famiglie nella formulazione e nell'attuazione del progetto terapeutico e salvaguardia della qualitaÁ della vita del nucleo familiare di riferimento. In®ne l'ultimo contributo programmatico eÁ contenuto nel Piano Sanitario Nazionale del 200624 laddove per la Salute Mentale sono previsti interventi mirati al superamento di tutte le criticitaÁ emerse e con piuÁ ambiziosi obiettivi, ma in perfetta sintonia con l'impianto ispiratore della Legge di Riforma del 1978. Con l'intento di superare de®nitivamente quanto ancoÁra oggi, a trent'anni dal varo della coraggiosa riforma, eÁ rimasto inattuato ed a colmare quanto il Ministero della Salute, nelle Linee di Indirizzo Nazionali per la Salute Mentale, approvate il 20 Marzo 2008 e recepite dalla Conferenza Stato-Regioni25 ha denunciato e cioeÁ: ``l'aumento delle differenze tra Nord e Sud; tra Regione e Regione; tra 23 Decreto del Presidente della Repubblica del 01 Novembre 1999, approvazione del Progetto Obiettivo ``Tutela della Salute Mentale 1998-2000''. 24 Piano Sanitario Nazionale 2006-2008, Cap. 5.4, Tutela della Salute Mentale. 25 Ministero della Salute, Linee di Indirizzo Nazionale per la Salute Mentale, Decreto Ministeriale del 20 Marzo 2008.

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aÁmbiti urbani e rurali; con la preoccupazione aggiuntiva di alcuni segnali di arretramento rispetto ai livelli di deistituzionalizzazione raggiunti''. Avendo manifestato altresõÁ il timore di possibili opzioni controriformistiche attraverso ``un maggior ricorso all'obbligatorietaÁ dei trattamenti, a pratiche estese di privazione della libertaÁ e di contenzione, a inserimenti su vasta scala in strutture a tempo indeterminato''. Preoccupazioni condivise dalla stragrande maggioranza di noi operatori della Salute Mentale e ``sintomaticamente'' dal collega Giuseppe Dell'Acqua, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste e Collaboratore di Basaglia, che in prossimitaÁ di possibili nuovi scenari ha richiamato l'attenzione sull'attuale e tuttora incombente ``contraddizione tra le indicazioni dichiarate di attenzione alla persona e alla famiglia e il modello medico che persiste e vede solo la malattia e non le persone''26. EÁ questa in estrema sintesi la trama ``dell'altra rivoluzione'' degli anni sessanta, che ci ha portati dalla Psichiatria alla Salute Mentale. Ringrazio l'amico fraterno Piero Lucia, ``compagno'' di comuni idealitaÁ per quel tempo ed oltre, assieme agli altri amici di sempre, per avermi offerto la preziosa ed irrinunciabile opportunitaÁ di poter esprimere alcune considerazioni di merito, e una ri¯essione sull'esperienza e sull'attualitaÁ della lezione umana, civile e professionale di Franco Basaglia. Ispiratore della Legge 180 del 1978 che porta appunto il suo nome e che ha avviato e realizzato in Italia, attraverso una vera e propria rivoluzione culturale, l'originale intuizione di superamento dell'Ospedale Psichiatrico e di chiusura de®nitiva dei manicomi. Per un verso, eÁ una doverosa testimonianza ad un intellettuale ``scomodo'' che ha contribuito in parte alla formazione della mia generazione. Attraverso quelle che sono state de®nite ``le sue effrazioni antiistituzionali'' e che per noi erano invito alla veri®ca ed 26

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Cfr. nota 16.


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all'analisi critica della realtaÁ contro ogni assolutismo delle ``istituzioni''; e per un altro verso, un personale contributo dettato dalla consapevolezza, anche a distanza di oltre tre decenni dalla promulgazione della ``sua'' Legge, della necessitaÁ di riattualizzare la sua lucida visione. Punto irrinunciabile a maggior ragione nell'incombenza di una rimodulazione funzionale dei Servizi, che non sono appunto autoreferenziali, ma dinamici e pertanto necessariamente in sintonia con la storia di una comunitaÁ. Il pensiero psichiatrico del Novecento deve molto a Franco Basaglia. ``L'uomo dei matti'' infatti con la sua ``utopia necessaria''27 e ``l'istituzione negata'' mette in atto una imprevedibile e per quel tempo impensabile pratica intellettuale. E cioeÁ, una vera e propria commistione della medicina con la ®loso®a, la sociologia e la politica per leggere e spiegare diversamente ``la follia'' rispetto alla rigida e riduttiva impostazione organicistica di stampo positivista. Il pensiero ®loso®co cui faceva riferimento Basaglia era prevalentemente quello fenomenologico-esistenziale, ritenuto in grado di fornire gli elementi teorici di controanalisi e di veri®ca critica di quel modello. E questa originale impostazione teorica e metodologica fu avversata, e tacciata dalla stragrande maggioranza della comunitaÁ scienti®ca del tempo, cosõÁ come egli stesso aveva preconizzato, alla stregua di ``una semplice eversione intellettualistica''! In realtaÁ Basaglia non ha mai negato la malattia mentale, come qualche suo pessimo ``esegeta'' si affanna ancoÁra a rimarcare. Mentre la sua preoccupazione, il suo cruccio, la sua ossessione, il fulcro del suo pensiero era incentrato sul pericolo persistente e pervasivo che la malattia mentale esclusivamente medicalizzata, e che trovava nel manicomio, con la propria concezione totalizzante, custodialistica ed emarginante, il suo piuÁ raggelante totem, ``eliminava la complessitaÁ delle sue implicazioni sociali e individuali'', cancellando altresõÁ ogni diritto di cittadinanza e l'inviolabile ed ineludibile 27

Intervista a Franco Basaglia: Dopo l'ospedale nel territorio, in E. VENTURINI (a c. di), Il giardino dei gelsi. Dieci anni di antipsichiatria italiana, Einaudi, Torino 1979.

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diritto naturale alla dignitaĂ personale. Basaglia ha contribuito, proprio attraverso la sua effrazione teorica, a spostare deÂŽnitivamente l'asse assistenziale verso una gestione con modelli allargati di responsabilizzazione, realizzando di fatto una lenta e progressiva trasformazione dei luoghi e della metodologia di approccio e di cura della malattia mentale. A maggior ragione, proprio nell'imminenza di una annunciata rivisitazione della attuale legislazione in materia di assistenza psichiatrica, con precisi riferimenti in particolare alla ``180'', avvertiamo l'esigenza di un richiamo rigoroso alla sua lezione che ci lascia, oltre ad alcuni principi irrinunciabili, anche un ``percorso di umanitaĂ e dignitaĂ ''.

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Salerno, il '68, la profezia di una societaÁ estetica Ringrazio vivamente Piero Lucia, Francesco So®a e i dirigenti dell'associazione culturale ``Pensiero eÁ libertaÁ'' per avermi coinvolto in questa importante iniziativa di ri¯essione sul Sessantotto a Salerno. Intervenendo per ultimo, sono straordinariamente agevolato, perche l'essenziale eÁ giaÁ stato detto dagli amici che mi hanno preceduto. Mi limiteroÁ a qualche ulteriore considerazione e a qualche ricordo personale. Nella sua ef®cace introduzione Gianni Iuliano ha detto che ``Pensiero eÁ libertaÁ'' eÁ un'associazione di buontemponi che amano incontrarsi e discutere. ``Buontemponi'': viene da ``buon tempo''. Ora, la domanda eÁ: il Sessantotto eÁ stato un ``buon tempo''? Io direi di sõÁ, in qualche momento eÁ stato per®no un tempo ottimo, anche se di poca durata. Il Sessantotto, inteso come un tempo che si estende all'indietro e in avanti per circa un decennio, come hanno ricordato lo stesso Iuliano e specialmente Ferdinando Argentino, trae origine da un clima che si eÁ venuto creando negli anni precedenti. Giusto il ricordo del '56, della tragedia ungherese, fatto da Fernando; siamo giaÁ di fronte a una rottura forte verso la gabbia d'acciaio di un sistema autoritario. Ma direi che le trasformazioni piuÁ profonde e in qualche modo epocali si veri®cano nei primi anni sessanta e sono simboleggiate dalla nuova frontiera di Kennedy e dall'indizione e apertura del Concilio da parte di Giovanni XXIII. Pino Acocella ha giustamente insistito sull'intera stagione del Concilio e sull'atteggiamento escatologico che da essa si diffuse anche al di laÁ della realtaÁ ecclesiale e del mondo cattolico. PiuÁ in generale Ð nell'arte, nella cultura, nella politica, nella spiritualitaÁ, nel costume Ð si afferma in quegli anni un'esperienza fondamentale: l'esperienza del cambiamento, la volontaÁ del cambiamento rivol-

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to alla espansione del ``regno della libertaÁ''. Una volontaÁ di emancipazione, di rivendicazione di diritti fondamentali, delle persone e delle comunitaÁ, delle istituzioni. Emancipazione femminile, sviluppo della democrazia, della partecipazione, espansione dei diritti civili, superamento delle discriminazioni razziali, conquista dei diritti dei lavoratori. Sono questi gli strati profondi, le tendenze sotterranee, che hanno poi trovato la loro piuÁ forte visibilitaÁ in quell'insieme di atteggiamenti, eventi, mutamenti, di con¯itti anche aspri, che si riassume sotto il titolo di ``Sessantotto''. Si potrebbe riassumere tutto questo nella grande lezione del pensiero utopico di Ernst Bloch e ancor di piuÁ di Herbert Marcuse piuÁ fortemente incrociato anche con la critica francofortese. Questo aspetto dei mutamenti ideali e concettuali, che hanno preparato il Sessantotto, ha un particolare valore specialmente in una realtaÁ provinciale com'era quella della Salerno degli anni sessanta. Non c'eÁ dubbio infatti che a Salerno, come ha ricordato Piero Lucia, si ha un mutamento a tutto campo nell'assetto della cittaÁ: l'espansione demogra®ca, l'industrializzazione, la scomposta crescita urbanistica, l'istituzione dell'UniversitaÁ, che cresce rapidamente al di laÁ della iniziale statizzazione del Magistero. Al tempo stesso, soprattutto a livello delle nuove generazioni della borghesia salernitana, si manifestarono sul piano associativo e culturale alcuni fenomeni signi®cativi. Nel mondo cattolico la FUCI di Don Guido Terranova e la breve esperienza innovativa della rivista ``Il Genovesi'', diretta da un intellettuale di notevole fascino qual era allora Alfredo Capone: un'esperienza culturale e politica Ð per me allora studente universitario Ð che apriva alla nuova teologia francese dei Congar, dei Domenach, e al dialogo tra mondo cattolico e mondo della sinistra socialista. In un ambito piuÁ generalmente culturale, va ricordata l'esperienza dei cineforum, specialmente quello che si svolgeva presso i Gesuiti, curato dai giovanissimi Franco Tozza e Fiorenzo Santoro, la nascita di circoli culturali come quelli della ``Scacchiera'', una costola controcorrente del ``Ridotto'', quest'ultimo particolarmente impegnato nell'ambito dell'esperienza teatrale, musicale

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e della cultura popolare. Attraverso queste esperienze pur diverse tra loro si respira un clima di forte cambiamento nei modelli di comportamento, nelle forme di pensiero, nei criteri di valutazione, che segna profondamente la nuova classe professionale salernitana e comincia a intaccare per®no la rigida ortodossia del Partito Comunista Italiano, che a Salerno di lõÁ a qualche anno sperimenteraÁ un momento di grande innovazione con la segreteria di Franco Fichera. Ma, soprattutto, il mutamento del clima culturale viene promosso dall'UniversitaÁ allora sia pur precariamente insediata nel centro della cittaÁ. Il che si ri¯etteraÁ fortemente nelle nuove posizioni culturali e nei nuovi modelli educativi che portano nella scuola a favorire la nascita dei movimenti studenteschi su cui hanno richiamato l'attenzione Piero Lucia, Ferdinando Argentino e Renato Peduto. Personalmente, per ragioni di etaÁ, ho partecipato piuÁ direttamente alla fase preparatoria del '68, mentre giaÁ da docente mi sono confrontato con il movimento degli studenti sia a livello della scuola media superiore, sia a livello universitario, e quindi ho avuto nei confronti delle istanze del Sessantotto un atteggiamento di comprensione e di sforzo di razionalizzazione e sistemazione, di trasformazione in termini di organizzazione scienti®ca, cioeÁ di nuovi saperi, e anche politica. Per quest'ultimo aspetto fu signi®cativa, anche a Salerno, l'esperienza, purtroppo breve, del PSIUP (tra i piuÁ giovani d'allora Enzo Sarli, Peppe Dell'Acqua, Peppe Carbonara). CosõÁ come va riconosciuta l'apertura al nuovo della federazione giovanile comunista ricordata da Ferdinando Argentino. Sul piano universitario voglio ricordare che, dopo una fase di scontri piuÁ accesi, su cui ci potrebbero dire molte cose importanti Lella Marinucci e Salvatore Galizia, ci fu un notevole tentativo di accogliere le istanze innovative, di democratizzazione, di uni®cazione tra mondo intellettuale e mondo del lavoro, tra intellettuali, studenti e operai, che fu fatto dalla FacoltaÁ di Magistero con la presidenza di Filiberto Menna e poi anche di Achille Mango nel corso degli anni settanta. In conclusione, vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che il movimento degli studenti a Salerno dovette fare i conti con una forte presenza della

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gioventuÁ neofascista che portoÁ a drammatici, tragici scontri, e proprio in questa lotta con la destra Ð Salerno eÁ sempre stata una cittaÁ di destra Ð trovoÁ signi®cativi collegamenti con una parte del mondo operaio. Su un piano piuÁ generale, il grande risultato del Sessantotto eÁ stato il grande cambiamento etico che ha investito l'intero mondo occidentale con la straordinaria portata emancipativa e libertaria, ma anche con la grande richiesta di un fortissimo senso di responsabilitaÁ, di autonomia, che non sempre peroÁ eÁ riuscito a far fronte alle tante tentazioni di arbitrio, di egoismo, di soggettivismo estremo, di radicalismo e purtroppo spesso di opportunismo, che di quel processo di liberazione eÁ stata la inevitabile drammatica controfaccia. Ed eÁ cosõÁ che il Sessantotto ha lasciato il suo umore migliore sul piano della coscienza e delle sue espressioni, come nella poesia esistenziale di cui Ernesto Scelza, con la sua acuta intelligenza e sensibilitaÁ, ci ha dato una prova esemplare questa sera, restituendoci in modo vivo lo ``spirito'' del Sessantotto. E in conclusione vorrei soffermarmi proprio su una delle idee caratteristiche dello ``spirito'' del '68, del suo progetto antropologico e sociale, che ancora oggi merita di essere ripensata. Mi riferisco all'idea della ``esteticitaÁ diffusa'', centrale per l'intimo legame che aveva con il progetto del cambiamento, della trasformazione della totalitaÁ della vita. La tensione verso il novum Ð non solo verso un'altra societaÁ, un'altra forma di organizzazione politica, il socialismo, ma piuÁ in generale verso un'altra forma di vita, un altro ethos fondato sulla liberazione degli uomini come individui e come collettivitaÁ Ð rappresentoÁ, infatti, uno degli elementi piuÁ generali e accomunanti del movimento degli anni sessanta e dei primi anni settanta. ``Il movimento degli anni sessanta Ð ha scritto nel 1977 uno dei suoi `padri', Herbert Marcuse Ð tendeva a una trasformazione radicale della soggettivitaÁ e della natura, della sensibilitaÁ, dell'immaginazione e della ragione; esso ha aperto una nuova prospettiva sulle cose, una incursione della soprastruttura nella base o struttura''. L'obiettivo era la svolta verso una cultura qualitativa-

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mente nuova, che appariva possibile grazie allo stesso sviluppo tecnologico e che si manifestava nell'affermarsi di una ``nuova sensibilitaÁ'' e nella ricerca di una ``nuova moralitaÁ'', che non fosse semplicemente negativa di quella tradizionale e borghese, ma segnasse, invece Ð come diraÁ Marcuse nel '78 Ð il declino dell'etica del lavoro alienato e ``il salto dal regno del bisogno a quello della libertaÁ''. Con le sue remote ascendenze schilleriane e il suo piuÁ prossimo radicamento nelle esperienze delle avanguardie artistiche moderne, riconducibili sotto il segno dell'equazione arte-vita (Mondrian), l'idea dell'esteticitaÁ diffusa trovava proprio nelle ri¯essioni di Marcuse degli anni cinquanta e sessanta i suoi piuÁ consistenti fondamenti teorici tramite il ripensamento critico tanto del marxismo quanto della psicoanalisi freudiana (binomio Ð quello Marx-Freud Ð certamente centrale nella cultura del Sessantotto). Essa peroÁ non intendeva indicare una prospettiva estetizzante, un punto di fuga, elitario e intellettualistico, dalle pesanti contraddizioni delle societaÁ opulenti, che avevano ben presto smentito le attese di una liberazione ``tecnologica'' dell'uomo. Al contrario, implicava un progetto dialettico volto a sottrarre lo sviluppo tecnologico, il suo potenziale di liberazione e di riscatto al destino del suo rovesciamento in forme nuove, sempre piuÁ so®sticate e mascherate di dominio dell'uomo sull'uomo. PercioÁ aspirava a legarsi ai contenuti della lotta politica non piuÁ solo della classe lavoratrice, ma piuÁ in generale dei ceti e dei popoli emarginati e oppressi. La conversione dell'arte nella vita, nell'ideale di una ``societaÁ estetica'', si richiamava quindi a un ampio progetto rivoluzionario fondato Ð come chiariva Marcuse nella ``Prefazione politica 1966'' alla seconda edizione di Eros e civiltaÁ Ð sul ``ri®uto della produttivitaÁ opulenta'': non certo per tornare ``alla puritaÁ e semplicitaÁ della 'natura' ma per porre ®ne alla `produzione di beni inutili e distruttivi' e creare invece nuove condizioni in cui `la formazione dell'ambiente e la trasformazione della natura potrebbero essere promosse

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dalla libera manifestazione degli istinti di vita non piuÁ repressi, e l'aggressivitaÁ essere sottomessa alle loro esigenze' ''. Nell'ambito della cultura italiana, e in particolare della ri¯essione sull'arte, la portata critica, e insieme costruttiva ed emancipativa, della «rivendicazione dell'estetico» trovoÁ, alla ®ne degli anni sessanta, una esemplare chiari®cazione e fondazione teorica nel pensiero critico e nella indagine storico-artistica di Filiberto Menna. In modo particolare resta fondamentale l' interpretazione dei percorsi teorici e dei signi®cati sociali ed etico-politici delle avanguardie artistiche e del movimento dell'architettura moderna, proposta in un suggestivo libro di Filiberto Menna, emblematicamente intitolato Profezia di una societaÁ estetica (1968). E col ricordo di questo libro di Filiberto del '68 mi piace concludere questo mio breve intervento sul Sessantotto a Salerno.

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Ricordi salernitani Giunsi a Salerno nel 1971, come professore di Filoso®a morale in quella splendida FacoltaÁ di Lettere che allora aveva sede in Via Irno. Splendida per qualitaÁ di docenti (da Tullio De Mauro a Edoardo Sanguineti a tanti altri), attiva per un movimento di studenti confuso ma vivo, capeggiato da un giovanotto che si chiamava Galizia e che riusciva a raggiungere una violenza verbale e demagogica capace di dominare e sovrastare ogni assemblea, ma che nel contatto ravvicinato risultava assai piuÁ ragionevole e ``umano'': il che richiama la ``psicologia delle folle'' di Auguste Le Bon. Il ``68'' proprio allora stava esplodendo nell'UniversitaÁ salernitana, portandosi dietro Ð in un coacervo dove dif®cili sono le distinzioni nette Ð ideologismi e volontaÁ di cambiamento, lotta all'autoritarismo e ri®uto di ogni meritocrazia, attacco violentissimo a tutti i partiti (PCI compreso, l'odiato ``revisionista'') e capacitaÁ di mobilitare masse considerevoli di studenti che volevano costituire l'embrione di una ``nuova'' societaÁ. Come dappertutto, il '68 salernitano ha avuto dentro di se tutte queste facce, e dolorosamente, oltre un certo punto, anche quella del ``partito armato''. Ma non aveva una signi®cativa direzione intellettuale, ed ebbe molti caratteri ``plebei'' (piuÁ che ``popolari'': la cosa eÁ diversa) che gli impedirono una effettiva espansione politica e alleanze signi®cative in cittaÁ. Io provenivo dal ``68'' barese, forse il piuÁ ``aristocratico'' e intellettuale d'Italia, dove il PCI, per opera soprattutto di una singolare ®gura di intellettuale-politico quale era Beppe Vacca e con il contributo di chi scrive e di molti altri, si era assicurata una larga egemonia sul movimento, anche per una capacitaÁ di elaborazione teorico-politica (la ®n troppo ironizzata ``eÂcole barisienne'' eÁ stata una realtaÁ di non poco conto) che provava a raccogliere le tumultuosa ``novitaÁ'' del '68 per interpretarla come base di un rinnovamento dello Stato. Mi trovai subito in un certo disagio politico, prima di compren-

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dere il territorio nuovo in cui era necessario operare. Fui bollato come il professore revisionista del PCI e additato, sostanzialmente, come un ``nemico'' da cui i giovani dovevano guardarsi, tanto piuÁ pericoloso perche si dichiarava ``di sinistra''. Nell'universitaÁ, io continuai a lavorare con il solito metodo, maturato negli anni giovani della mia formazione, e che, senza nessuna mitizzazione, considerava l'universitaÁ come luogo per eccellenza di formazione e di selezione, un luogo severo dove non c'era spazio per il voto politico e tanto meno per i profeti delle cattedre. Non ho mai svolto esami ``collettivi'' o ``di gruppo'', come si preferiva dire, ne ho mai consentito una libera scelta di programmi che talvolta pretendevano di limitarsi a manifesti politici ... Anche a Bari avevo reagito allo stesso modo, rendendo piuÁ ``dif®cili'' corsi ed esami, non per gusto conservatore; memore piuttosto di quel Lavoro intellettuale come professione di Max Weber che eÁ stata la mia ``Bibbia'' a cui dedicai l'apertura del corso salernitano per mettere subito una distanza dai corsi ``iperpoliticizzati'', non consueti, in veritaÁ, in una universitaÁ come quella. A Bari, avevo scelto la Scienza della logica di Hegel che non era facile proporre a un centinaio di studenti politicizzati; a Salerno, mi mossi fra Hegel ancora, e poi Kant, Rousseau, Marx, Vico, ``assistito'' da Franca Papa e Roberto Racinaro, che allora entravano nell'agone universitario e che oggi sono autorevoli professori nelle loro discipline. Lezioni, quelle salernitane, svolte dinanzi a piccoli gruppi di studenti, fra i quali ricordo, Vincenzo De Luca (che, a dire il vero, penso avesse per secondo ®ne una bella fanciulla che frequentava il mio corso), Michele Santoro, Andrea De Simone, (tutti, poi, laureati con me), ``Ciccio'' D'Acunto e altri ancora, che poi sarebbero stati, uno dopo l'altro, il nucleo forte del nuovo gruppo dirigente del PCI. Alcuni di loro, e sicuramente D'Acunto, provenivano dal ``movimento'' e proprio di lui ricordo interventi a voce altissima, tanto alta che talvolta diventava grido incomprensibile, che mi toccavano per la convinzione che manifestavano, per la volontaÁ di urto violento con le cose, per il senso di una discontinuitaÁ radicale che proponevano. Poi eÁ arrivato il ripensamen-

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to e l'educazione politica, e quasi direi la civilizzazione di un discorso critico, possibile perche la sponda del Pci faceva da orizzonte possibile di un modo di vedere le cose piuÁ storicamente determinato, piuÁ legato non a un cielo astratto di bisogni, non a impossibili rivoluzioni giacobine, quanto a concrete possibilitaÁ di emancipazione e di lotta speci®ca. Furono anche gli anni del progetto per la nuova universitaÁ, quella che oggi giace nel territorio di Fisciano, alla cui nascita molti di noi hanno dato un contributo. L'episodio val la pena di esser ricordato, perche rappresentoÁ un altro momento di lotta politica, nella quale fui additato da parecchi come nemico del popolo, perche quella dislocazione dell'universitaÁ fu vista dai critici (Vittorio Dini in testa) come una sottrazione dell'universitaÁ alla cittaÁ, come un clamoroso distacco dal tessuto urbano, una sorta di isolamento del ``sapere'' nelle campagne fra Fisciano e Mercato Sanseverino. E naturalmente, il PCI veniva additato come il vero nemico, quello che avrebbe dovuto fare e non faceva .... Il ``movimento'' immaginava il PCI come una sorta di cassa di risonanza delle proprie rivendicazioni e del proprio ``cervello'' politico, ma la sapienza politica di quel partito si muoveva su tutt'altro terreno, anche se esercitava anche lõÁ la sua sapiente ``doppiezza''. Per tornare all'universitaÁ, la veritaÁ, secondo me che facevo parte del Consiglio di Amministrazione con rettore prima Nicola Cilento poi Luigi (``Gigi'') Amirante, era altra, e forse le cose ci hanno dato ragione. Salerno non aveva la possibilitaÁ urbanistica di un nucleo universitario centralizzato nella cittaÁ, e dunque ci si muoveva fra appartamenti e appartamentini, che, quelli sõÁ, non potevano dare agli studenti la rappresentazione di un luogo comune, dove si devono incontrare esperienze diverse .... Ma anche questo scontro faceva parte dei ``miti'' di quegli anni, per cui, poiche si immaginava l'universitaÁ anzitutto come luogo di mobilitazione e di scontro politico, la sua collocazione nel ``territorio'' cittadino avrebbe dovuto rappresentarne la vera sostanza. Si immaginava di acuire cosõÁ le contraddizioni, e dare nuova esca al ``68'', che nel frattempo stava

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uscendo dalle universitaÁ, e i suoi rivoli tendevano alla militarizzazione e alla teorizzazione dello scontro armato. Anche Salerno, si potrebbe dire nel suo piccolo, non si sottrasse a questo esito, che forse fu quello che convinse non pochi ``militanti'' a reincontrare la politica nella veste del PCI. Ignoro se ci furono dibattiti interni al ``movimento'', e sarebbe abbastanza interessante conoscerlo. Certo, a Salerno, la stragrande maggioranza si dissocioÁ da una via che avrebbe condotto anche ad episodi sanguinosi che sono ancora oggi nel nostro ricordo. Dif®cile oggi una valutazione sintetica di quegli anni e di quella data, in una fase nella quale prevale la critica distruttiva, la diagnosi del ``nullismo'' sessantottesco frutto del nihilismo d'Occidente. Ultimi, in ordine di tempo, Tremonti e Sarkozy. Le cose sono naturalmente assai piuÁ complesse. Non vorrei ricordare cose tanto ovvie quanto vere: il '68 fu data mondiale (nacque nei campus americani, in California, non dimentichiamolo); sconvolse relazioni fra le generazioni; modi®coÁ culture e clicheÁs culturali; introdusse nella cultura e nel linguaggio in tutto il mondo nuovi autori, nuovi temi, nuovi collegamenti fra problematiche diverse; introdusse sensibilitaÁ politiche che giaÁ contribuirono a rompere la forma dei vecchi partiti. Per fare un esempio italiano, uno dei piuÁ grandi storici delle idee, Eugenio Garin, sostenne che la vera frattura nella storia della ®loso®a, in Italia, sia per problematiche sia per autori studiati, non avvenne nel dopoguerra, ma proprio in quel '68 che ne modi®coÁ in profonditaÁ il corso. E ben sappiamo quanto gli ``autori'' di un'epoca sono decisivi per comprenderne i caratteri. Quello che cadde o entroÁ in una problematicitaÁ radicale, fu quella cultura dello storicismo che aveva dato sostanza anche alla cultura politica dei grandi partiti di massa e soprattutto del PCI. Si incomincioÁ allora ad incrinare la forma-partito, a spezzarsi quella continuitaÁ politica che si era formata dopo il 1945. Ma si tratta di cose complicate da analizzare, che non eÁ possibile approfondire in una sede sintetica come questa, e soprattutto in una nota che vuol costituire anzitutto una sorta di mio piccolo promemoria salernitano.

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E peroÁ qualcosa va aggiunto sulla debolezza e doppiezza della risposta ``politica'' italiana alla vicenda ``68'' che spiega il suo allungarsi oltre ogni con®ne, il suo dissiparsi nella rottura del 1977 e nel terrore, il suo racchiudersi, dal punto di vista istituzionale, in risposte corporative e demagogiche soprattutto sul fronte della scuola e dell'universitaÁ. Si combatteÁ contro una riforma allora possibile, perche si immaginava l'avvento di una rivoluzione impossibile; non si accompagnoÁ, con le richieste trasformazioni, il necessario passaggio all'universitaÁ di massa, e quella straordinaria politicizzazione, che ho sopra richiamato, si andoÁ progressivamente disperdendo. La parte piuÁ forte e ri¯essiva di quella ``nuova'' gioventuÁ, anche a Salerno, entroÁ nel PCI, e il partito la accolse senza riuscire a comprendere, sul piano nazionale, che quella inedita politicizzazione di massa poteva essere la condizione per una piuÁ coraggiosa trasformazione della propria collocazione internazionale, soprattutto dopo gli eventi che sconvolsero la Cecoslovacchia proprio nel 1968, sbloccando ®nalmente la democrazia italiana. Il Pci non comprese, o non volle comprendere o non poteÁ comprendere e agire di conseguenza. EÁ tutto un misto di cose, un dif®cile ®lo da dipanare, ma, a creder mio, fu allora che inizioÁ il suo vero declino politico. Il vecchio partito togliattiano aveva esaurito il suo ruolo storico che aveva portato ®no al suo limite possibile; il nuovo partito berlingueriano giocoÁ una partita ambigua, fra esaltazione della ``diversitaÁ'' comunista Ð idea che dette luogo all'irrompere prepotente di una ``questione morale'' che invase la politica oltre ogni con®ne Ð e ``compromesso'' politico che non fu giocato, come si doveva, sul piano della riforma dello Stato. Ma eÁ il momento di tornare a Salerno. Fu a Salerno che, dopo Bari, reincontrai il PCI, al quale, peraltro, mi ero iscritto nel 1969, dopo il parziale distacco dall'Urss seguito agli eventi cecoslovacchi, e guardando in un certo modo al 1968. La Federazione del PCI Ð via Manzo 15 Ð era retta allora da un raf®nato intellettuale, acuto e ironico, protagonista, talvolta, di risate raggelanti e di analisi suggestive, che risponde al nome di Franco Fichera, oggi illustre giurista e preside della FacoltaÁ di Giurispru-

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denza dell'UniversitaÁ di Suor Orsola a Napoli. GiaÁ questo elemento costituiva una novitaÁ rilevante nella storia del partito, conseguenza evidente degli avvenimenti che ho prima ricordato. Nelle piccole federazioni meridionali, si procedeva a qualche esperimento politico, impraticabile altrove, e fu possibile che un giovane intellettuale diventasse segretario di Federazione. Non ricordo per quanti anni egli rimase in quella funzione, ma non molti, e quando andai via da Salerno per tornare a Napoli nel 1975, credo che l'esperienza di Fichera stesse per giungere al suo termine, o vi fosse giaÁ giunta. Per il successore, Paolo Nicchia, sarebbe da fare tutt'altro discorso. La veritaÁ eÁ che per i politici di professione la direzione di Fichera restava un fatto anomalo, da guardare con dif®denza. Bassolino, che in quegli anni diventava segretario regionale, non gli fu mai amico, a riprova di una dif®denza ancestrale che divideva i professionisti della politica dai ``professorini'' (e altrettali) che bussavano alla porta delle federazioni e chiedevano posti di comando e di decisione. Appena fu possibile, Bassolino ``fece fuori'' Fichera (cosa che credo gli abbia apportato molti vantaggi nella ricerca scienti®ca e nella carriera accademica), e questo segnoÁ un passaggio signi®cativo nel rapporto fra intellettuali e partito. Sarebbe una vicenda da ricostruire con piuÁ attenzione (i miei ricordi sono appannati dai lunghi anni trascorsi) per comprendere alcune linee di tendenza prima affermate, poi progressivamente bloccate per interpretare almeno un tratto della vicenda politica intitolata al ``68'' e del rapporto del mondo sessantottesco con la politica e il partito. In sintesi, si potrebbe dire: venite pure, studenti, capelloni, intellettuali, insegnanti, professionisti, purche il comando rimanga nell'apparato di partito che non intende sottoporsi, in quanto tale, a nessuna ``rivoluzione culturale'', a nessun mutamento morfologico. Per me, la questione era diversa. Non ho mai preteso di trasformarmi in un politico di professione, e dunque non sono mai stato considerato un vero ``pericolo'' per i gruppi dirigenti del partito. Quando arrivai a Salerno, peraltro, ero giaÁ considerato un quadro intellettuale nazionale, dirigente dell'Istituto ``Gramsci'', candidato

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e poi eletto prima al Comitato centrale, poi addirittura alla Direzione nazionale, e non ero un pericolo, perche non intendevo travalicare il mio ruolo, avendo avuto sempre con la politica un rapporto di odioamore, geloso delle mie ricerche solitarie, affezionato al massimo al lavoro universitario, che ho sempre considerato il ``mio'' lavoro. Insomma, un potenziale ``traditore del popolo'' secondo qualcuno. Nonostante questi miei caratteri, quando incominciai a frequentare la Federazione di Salerno, avvertii anche nei dirigenti piuÁ aperti (ricordo in particolare NinõÁ Di Marino) insieme ad affetto, interesse e curiositaÁ, qualche dif®denza che si aggirava intorno alla domanda: ma che vogliono veramente questi ``professorini''? E quando nel 1972 fui candidato alla Camera dei deputati, non per essere eletto, ma per affermare attivamente il consenso alla lista, avvertii un po' di vuoto, perche sembrava (e fu effettivamente cosõÁ) che avessi molto piuÁ consenso del previsto nella cittaÁ di Salerno e che ``rischiassi'' per®no l'elezione, anche se in effetti rimasi molto lontano dal quorum necessario. Ma ci furono altri aspetti del rapporto con il partito salernitano che vorrei ricordare, un rapporto che non avevo avuto a Bari, dove la mia esperienza politica si consumoÁ tutta nell'universitaÁ e nel lavoro intellettuale. Quello che voglio ricordare eÁ la straordinaria esperienza umana (forse mai piuÁ ripetuta a livello politico) con i compagni, soprattutto di quella sterminata provincia che eÁ quella salernitana. Penta, Baronissi, Lancusi, le zone del Cilento, Mercato Sanseverino, Fisciano, Calvanico e tanti altri luoghi tornano alla memoria. Comizi, incontri, dibattiti, discussioni accanite e piene di vitalitaÁ, quando la politica attraversava per davvero la passione della gente, e poi si ®niva in trattoria continuando a discutere, intorno ai sapori e i profumi della grande cucina locale Ð anche a Salerno, festeggiamenti per vittorie, lutti per scon®tte, venivano ``digeriti'' da ``Giovanni'', piccola-grande trattoria sotto la Federazione, innaf®ati da vino cilentano che aiutava il nostro ottimismo o ci ``aiutava'' a piombare nella piuÁ nera depressione. E tanti volti, ormai senza nome, tornano alla memoria. Braccian-

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ti, operai, studenti, donne che allora costituivano ancora una sorta di ``categoria'' a parte, ma che portavano un contributo decisivo a quella che si chiamava la ``crescita'' del partito, di un partito maschilista per storia, che il '68 aveva trovato pieno di maschi Ð con le dovute eccezioni ``femminili''nelle vecchie lotte soprattutto operaie e in parte anche bracciantili, ricordate proprio da Di Marino in un suo libro Ð e che ora doveva ospitare femministe, studentesse in minigonna, che minacciavano, non solo per l'abbigliamento ma anche per quello, la stabilitaÁ dei ``quadri'' comunisti. Si discuteva di tutto, in quegli anni, della struttura del mondo, di ``scuola e territorio'', del femminismo, dei diritti civili, del divorzio, dell'aborto (questi ultimi, temi tabu per il vecchio partito), del partito stesso, che si immaginava destinato a governare, prima o dopo, l'Italia. Il tutto, con una irruenza e libertaÁ non consueta, in un partito che sembrava accogliere tutto, ma, come dicevo prima, alla ®ne si ripresentava con il suo volto centralista, i ``suoi'' uomini, i suoi apparati, le sue convinzioni catafratte. Per me, fu soprattutto una grandiosa esperienza umana, che mi ha profondamente segnato, ed eÁ questo aspetto, forse, quello che piuÁ di ogni altro mi eÁ rimasto dentro, con un effetto insieme di nostalgia e di lontananza, e alla ®ne la sensazione di una vicenda chiusa per sempre, e che non ha dato all'Italia cioÁ che forse (ma insisto su questo avverbio) avrebbe potuto dare. Non vorrei aggiungere altro, in un breve pro memoria come questo. Peraltro, lasciai presto, nel 1975, Salerno per Napoli, e Salerno la reincontrai tante tante volte, ma in un'altra veste, e come chi proveniva ``dall'esterno'', addirittura, a un certo punto, come componente della segreteria regionale. Non ho bisogno di indicare un bilancio. Le poche cose dette mi esimono dal farlo, giacche credo di aver indicato chiaramente le luci e le ombre di quella esperienza. A distanza di tanti anni, piuttosto, prevale in me l'impressione che il 68, per come concretamente ha sviluppato la propria storia, ha costituito l'inizio della ®ne dei partiti di massa, e anche del PCI. Una sorta di interna palinodia ha fatto sõÁ che proprio quell'``invasione'' dall'esterno del vecchio partito e del suo vecchio blocco sociale

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abbia immesso tanta vitalitaÁ che non eÁ riuscita a trovare, lõÁ, le sue forme politiche. Il discorso si dovraÁ, prima o dopo, riaprire, non foss'altro per ritornare su quei momenti decisivi della storia d'Italia che hanno condizionato tanto del suo sviluppo successivo.

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Duisburg-Salerno solo andata: 192 lire all'ora PIERO LUCIA: Antonio, molisano di origine, quadro operaio, dirigente in fabbrica e poi nel territorio, il cuore della tua attivitaÁ eÁ stata la fabbrica, l'Ideal Standard, un sindacalista prima degli altri. Nello scontro in atto tra capitale e lavoro, forzavi i rapporti di forza, cercavi di modi®carli a vantaggio degli operai, assumesti subito posizioni spinte, di sinistra. PercioÁ eÁ importante la tua testimonianza. Eri su posizioni estreme. Ti ricordo bene. Io ero un ragazzino, tu operaio curioso, attento, sindacalizzato. Uno che stava sempre in mezzo a noi, eri portato ad un rapporto piuÁ fecondo e dialogante con i giovani ed i gruppi della sinistra extraparlamentare. FRANCESCO SOFIA: Non era il tuo primo lavoro, di quali anni stiamo parlando? ANTONIO CAIELLA: Ci siamo visti nel '67. Io vado in fabbrica nel 1965, all'Ideal Standard, c'era allora il primo consiglio di fabbrica. Ho un incontro con Corrado Perna, della FILCEA. Lui proveniva dalle lotte al petrolchimico di Porto Marghera. La Filcea eÁ nata qui, con Caiella e Antonio Carrarese, poi arrivoÁ Fumo, su posizioni piuÁ moderate. Il primo problema era la democrazia in fabbrica. Il padrone (oggi sembra una bestemmia parlare di padroni, ma io li ho avuti come avversari, continuo a chiamarli cosõÁ) decideva come fare e quanto fare. Lo scontro tra sindacato interno e padronato eÁ nato sull'organizzazione del lavoro. Ero particolarmente legato ad Enzo Sarli, col quale fondammo il Manifesto. A Salerno vennero a quel tempo i massimi dirigenti: Luciana Castellina, Valentino Parlato, Luigi Pintor, Massimo Caprara, Aldo Natoli. Alcuni erano usciti dal PCI, secondo me per motivi di potere: Fenio, Rainone, Ragosta, Noschese. SõÁ, la loro scissione era solo un

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ANTONIO CAIELLA

fatto di potere. Non avevano niente a che fare con il Manifesto. Ci fu un forte con¯itto a Salerno1. P. L.: EÁ vero, il gruppo di Antonio si caratterizzava in modo politico, per il collegamento al Manifesto. Affrontavano temi forti. A. C.: Si analizzava il lavoro di fabbrica, organizzavamo le assemblee, discutevamo di contrattazione, di politica internazionale, facevamo manifestazioni. La polizia ci prendeva a braccetto, facevano i paternalisti, eppure il rischio concreto era la galera, signi®cava perdere la sopravvivenza. F. S.: Procediamo con calma. Dove avevi lavorato prima, come sei entrato in fabbrica a Salerno? A. C.: Sono venuto a Salerno a 33 anni. Al paese, avevo lavorato nelle cave di pietra, nei frantoi delle olive, 12 ore al giorno, per 50 giorni, da mezzogiorno a mezzanotte. Avevo 14 anni, ero un ragazzino. Poi in Venezuela ®no a venti anni, a vendere panini sulla Sabana grande di Caracas, ma c'erano i fascisti, un colpo di Stato. Me ne sono scappato dopo due anni. Andai in Germania, con un ®glio, a dormire nelle baracche, operaio nelle ferrovie tedesche, lassuÁ a Kassel e poi a Duisburg, il posto dove ci sono stati tempo fa i morti di `ndrangheta. In Germania, si prendeva la stessa paga degli operai tedeschi. Non potetti andare in Canada, perche avevo fondato la sezione PCI al mio paese e non mi sembrava bello venire meno alle mie responsabilitaÁ. Mi sfottevano, mi dicevano: ma come, la squadra del Catania ha 1 In realtaÁ, la militanza di Caiella e del gruppo di operai della Ideal Standard che si riferiva a lui fu in quegli anni sviluppata, in prevalenza, ai margini e fuori dal PCI. Il Partito si era a lungo lacerato in una sorda guerra interna che aveva come oggetto la direzione ed il controllo della Federazione. Una vicenda che lascioÁ tra i militanti strascichi lunghi e dolorosi. Una storia particolarmente signi®cativa e amara, non indagata ancora ®no in fondo e che, per ovvie ragioni, in questa occasione ci limitiamo solo ad accennare in super®cie. Il gruppo nazionale de `` Il Manifesto'', dopo le iniziali aperture di credito, fu molto prudente nel reclutare quanti, provenienti da alcune sezioni cittadine del PCI, avevano manifestato l'intenzione di iscrizione al gruppo diretto da Magri, Pintor, Castellina, Caprara. Una prudenza che invece non si ebbe per il gruppo dell'Ideal Standard e per i giovani. (P. L.)

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comprato Zymaniak (che era operaio) per 86 milioni, lo pagate, e poi venite a lavorare qui, perche da voi non c'eÁ lavoro? CapitoÁ che il capo del personale dell'Ideal, ex-uf®ciale dell'esercito, venne in Germania per le ferie e mi disse: perche non resti a Salerno? Il capo del personale conosceva bene mio suocero, che era portiere a piazza s. Agostino. Dalla Germania riuscivo a mandare a casa dei soldi, 130.000 lire al mese. Dopo due anni potetti comprare la casa, col mutuo. Invece, la prima busta paga giuÁ all'Ideal, fu di 42.000 lire, anche lavorando di domenica, era il 1965, e c'entravano tre assegni. 192 lire all'ora. Il mezzo pubblico costava 210 lire andata e ritorno. PiuÁ di un'ora di lavoro. La rabbia non era ideologica o politica, era proprio dettata dalla condizione materiale. Il terzo ®glio arrivoÁ proprio a Salerno. P. L.: C'era stato qualcuno, che ti aveva illuminato, al di laÁ della condizione materiale, nella scelta di diventare comunista? A. C.: A Salerno, mi affascinoÁ subito Feliciano Granati. Un grande tribuno, con una capacitaÁ di trascinamento eccezionale. Seguivo giaÁ quell'idea, tanto eÁ vero che, come vi ho detto, per questa ragione scelsi di non andare in Canada con mio fratello. Fu Granati, segretario della CGIL, che mi attrasse e poi Matteo Ragosta, un altro capo-popolo che organizzava gli scioperi nei cantieri. CosõÁ mi avvicinai al partito. Cominciammo a fare scioperi e manifestazioni con la CGIL. Sia la Cisl che l'UIL erano legati a ®lo doppio ai dirigenti delle aziende. Granati venne dopo Peppino Amarante. Da allora ho combattuto i padroni e i potenti del mio mondo. P. L.: C'erano le commissioni interne in fabbrica? A. C.: Le prime elezioni, mi ricordo, le vinse la UIL, perche chi contava era il capo del personale, molto legato ad Emilio Radetich, c'era anche un capetto della CISL; invece, noi della CGIL eravamo in minoranza, quando cominciarono le lotte per il diritto alla contrattazione. Riguardavano all'inizio la mensa e il salario. P. L.: All'IDEAL funzionavano la ceramica e la fonderia? A. C.: Nel 1966 c'era solo il reparto di ceramica. La fonderia

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nacque nel 1968. Bisognava lavorare segretamente per organizzare il sindacato. Come i carbonari! Alcuni amici mi proposero di essere capolista della CGIL. Prendemmo l'ottanta per cento! Un successo incredibile! Gli amici erano De Sio, Postiglione, Pasquale Tafuri, Battaglia, che purtroppo eÁ morto da poco. La commissione interna si eleggeva ogni anno. Arrivammo al cento per cento! E dopo le lotte operaie, il primo consiglio di fabbrica: cento per cento! Di cui l'ottanta per cento erano extraparlamentari, nemmeno un socialista, pochi iscritti al PCI. F. S.: Avesti dissensi interni alla CGIL? A. C.: Lo scontro avvenne su un manifesto fatto con gli studenti del Magistero di piazza Malta contro i padroni e il sindacato esterno. Questo me lo ricordo bene: fu un'elaborazione spontanea. Il gruppo che aveva procurato a Salerno il 100 per cento alla CGIL della fabbrica venne attaccato violentemente. Ci sembroÁ proprio una cosa ingiusta e ingenerosa! Intervennero Pallotta, della FILCEA, Umberto Apicella, Claudio Milite, per tre giorni consecutivi, contro quel manifesto: fui espulso dal sindacato. Si rielesse il consiglio, trovarono una scappatoia, il segretario del consiglio bisognava eleggerlo direttamente: ottenni il 90 per cento; allora si sciolse il consiglio; il segretario bisogna eleggerlo dai delegati: presi il 100 per cento. P. L.: Il consiglio aveva un suo segretario? A. C.: SõÁ. Ci doveva essere una contrattazione nazionale, condotta da Corrado Perna, si dovevano affrontare le questioni dei carichi di lavoro e del premio di produzione, parlarono Vittorio Foa e Gastone Sclavi. F. S.: A quale anno siamo arrivati: 1970 o 1971? P. L.: Dopo le battaglie del '70 sulla casa. La situazione era diventata incandescente. A. C.: Nel 1969 ero stato il primo operaio delegato al congresso nazionale di Livorno. Era all'ordine del giorno la discussione sull'incompatibilitaÁ tra cariche politiche e cariche sindacali, proposta da Vittorio Foa. Il segretario generale della Cgil era Agostino Novella. Il ministro del Lavoro era il socialista Giacomo Brodolini,

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quello dello Statuto. Ricordo che in una riunione criticai un articolo dello Statuto, in cui si stabilisce, testualmente, che il dirigente di categoria puoÁ eleggere il suo rappresentante sindacale aziendale, che diventa agente contrattuale. Io osservai: questa non eÁ democrazia! Tanto eÁ vero che avemmo problemi in fabbrica, con quelli della CISNAL; si trovava ad essere dirigente un funzionario della Previdenza Sociale, che aveva nominato il rappresentante sindacale aziendale, con due iscritti su mille. Correvamo noi il rischio di essere fuorilegge! Era pericolosissimo! P. L.: Erano nominati senza rappresentativitaÁ, senza democrazia! A. C.: era la ®ne della democrazia! Oggi diversi intellettualoidi criminalizzano il '68, invece il '68 ha portato la democrazia in fabbrica, la contrattazione aziendale economica, importanti miglioramenti normativi, l'avanzamento elettorale del PCI. Berliguer aveva capito il problema. P. L.: Le motivazioni dello scontro in fabbrica erano i ritmi, il lavoro, il salario... A. C.: Lo scontro sul premio di produzione mensile si concluse positivamente. I capi della CGIL di Salerno volevano chiudere la vertenza; io dimostrai scienti®camente che ci si perdeva. Aprii la busta, si sarebbe preso meno di prima, ci si rimetteva, gli operai si resero conto, si ribellarono in massa. Si trattava di un premio di produttivitaÁ mensile, collegato alla produttivitaÁ. Poi venne la lotta per la qualitaÁ del lavoro. Ci diede una mano Sergio Cofferati. Ed anche Gastone Sclavi. La rottura col PCI avvenne sul tema dell'organizzazione del lavoro. Il segretario era rigido e chiuso, sembrava possedere lui solo la veritaÁ, non dava la possibilitaÁ di controbattere. La mia uscita dal PCI, in quel periodo, ebbe questa motivazione: il lavoro in fabbrica. Continuai a dare il mio contributo alla CGIL su un'idea politica, per un progetto politico: 418 iscritti. E questo ebbe in¯uenza sulla fonderia: il 70 per cento si iscrisse alla FIOM. Negli anni Settanta Napoli aveva 80.000 iscritti, ma Salerno raggiunse i 50-60.000. Fate

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un confronto tra i dati e vedete se anche a Salerno la CGIL non crebbe in maniera prodigiosa! Sul ®ne-rapporto ci fu un'altra battaglia assai importante: un impiegato aveva diritto ad uno stipendio annuo, l'operaio a 10/30 sui minimi tabellari. Io sono stato alla Standard per 20 anni e ho ricevuto un terzo di quanto ho preso al sindacato dopo 10 anni. Aggiungici la Cassa malattie: i primi 3 giorni non li pagava nessuno, andavi a lavorare con la febbre a 39o, potevi morire! E le ferie: l'impiegato aveva diritto ad un mese, l'operaio a 2 settimane. Non parliamo poi della contingenza: il punto piuÁ basso era di 350 lire ogni scatto, toccava a noi. All'impiegato 1.100 lire! P. L.: Grazie anche all'impegno sindacale nel 1976 arrivoÁ un'avanzata travolgente! A. C.: Il PCI ottenne 12 consiglieri comunali. La realtaÁ eÁ che lottavamo per un tipo di societaÁ diversa. Le sezioni formavano ed informavano i giovani. Oggi i giovani pensano al posto, al denaro, crescono nell'illusione che tutto sia facile e dovuto. F. S.: E i rapporti con gli studenti? A. C.: A Mariconda fu istituita una scuola popolare da Salvatore Galizia, Lucia Annunziata e da altri. Mi ricordo dei corsi serali, le 150 ore, di Lino Picca. Si coinvolgeva anche il sotto-proletariato. Nel vecchio PCI, a Salerno, ancora in sofferenza per la scissione interna del 1970, non c'era molta attenzione per il lavoro in fabbrica. Si discuteva poco o niente lo Statuto. Gli studenti, invece, erano attenti. Conobbi cosõÁ Michele Santoro, Casella, Ciccio D'Acunto, Piero Lucia. Mi vedevo con parecchi del Movimento studentesco, con Enzo Sarli e il fratello, con Salvatore Galizia, Bianca Beccalli, ed anche con Edoardo Sanguineti, Lucio Colletti, Antonio Braca, Franco Smeraldo, Franco Calvanese. Sottraemmo al PCI le forze migliori. Nel '67, quando fu occupata l'Ernestine, mi avvicinoÁ Enzo Sarli, diventammo amici, e cosõÁ pure con Anacleto Carbonara, l'ingegnere Cosimo Mastandrea, lo psichiatra Dell'Acqua, Carletto Rizzo e la moglie, Maria Teresa Grillo.

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A Lucia Annunziata, mentre si presentava il suo libro sul 1977, fu fatta una domanda: chi ricordava di piuÁ del suo periodo salernitano. Lei rispose: il mio maestro vero eÁ stato Antonio Caiella, operaio. Mi ricordo anche che, quando ci fu la manifestazione per Jan Palach, organizzata dai fascisti e dai monarchici, noi operai scendemmo a dare una mano agli studenti di sinistra. C'era, evidente, una strumentalizzazione da parte delle Destre. Bisognava reagire, respingere l'attacco gratuito e violento contro i comunisti italiani. P. L.: Che cosa hai fatto dopo l'uccisione di Carlo Falvella? A. C.: Ho cercato di reagire alla strumentalizzazione, che c'eÁ stata anche in quella circostanza. Con chi ti potevi schierare in quel contesto? Certo non con Almirante. I fascisti attaccavano duramente i comunisti, aggredivano per strada, e percioÁ dovevi fare una scelta! Era un sabato, tutti si erano nascosti. Parlai a Portanova e poi a Pastena, con un avvocato di Roma. Divenni il presidente del comitato per la difesa di Giovanni Marini. Vennero giuristi del Soccorso Rosso nazionale, Giuliano Spazzali, quelli che impostarono all'inizio la linea difensiva furono Pecorella e Prisco. Poi Umberto Terracini, Marcello Torre. Con Dario Fo organizzammo 3-4 spettacoli all'Augusteo, per pagare i manifesti, la cena. Il PCI non volle dare la sua adesione. Invece, il Consiglio di fabbrica deliberoÁ all'unanimitaÁ. Venne sul sindacato Peppino Cacciatore e chiese che parlasse un operaio. Fu io l'operaio. Intervenne anche Vincenzo Giordano, delegato sindacale della Cgil della Pennitalia. Fu ripresa la cittaÁ; gli altri consigli di fabbrica si accodarono, il nucleo comunista dei ferrovieri, la cellula comunista della Pennitalia. Mi sentivo orgoglioso, presentavo Dario Fo, io, un operaio! Cacciammo via dall'Augusteo un commissario di polizia: lei eÁ indesiderato, gli urlai: vada via! Mi ricordavo della violenza a Franca Rame a Milano. Nessuno del collegio difensivo di Marini ha mai preso una lira, neanche il viaggio, nessuno. P. L.: E i problemi dell'organizzazione del lavoro? La lotta era

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per introdurre piuÁ democrazia in fabbrica, ma non si limitava solo a cioÁ. Il sindacato di allora fu uno strumento non corporativo. Si voleva creare il consiglio di zona. Dal rapporto con gli altri operai si passoÁ ai legami con i giovani. Per voi il mondo fuori era importante?. A. C.: Una cosa proprio grossa l'abbiamo organizzata. Con i magistrati, come Consiglio di fabbrica, af®ggemmo un manifesto per tutta Salerno: ricordo il titolo dell'iniziativa pubblica: ``Classe operaia, consiglio di fabbrica, magistratura a confronto''. Aderirono e parlarono Casale, Santacroce, Tringali, Michelangelo Russo. Ho dato molto al sindacato, ma ho ricevuto molto, a partire dalla dignitaÁ, che non ha paragoni. Avevamo conquistato un grande orgoglio: Noi eravamo coscienti che producevamo per tutto e per tutti ! P. L.: Parli come se la cittaÁ di Salerno, a quel tempo, sia stata quasi una scuola quadri sul campo, con molti giovani ... A. C.: Se pensi che c'erano Michele Santoro, Lucia Annunziata, Sandro e Guido Ruotolo, Fabrizio Feo. Salerno era una realtaÁ molto interessante e viva. F. S.: Come andavano i rapporti con le altre categorie operaie? A. C.: Gli edili li ho sempre stimati. Avevo rapporti con l'Italsider di Bagnoli, Organizzammo un convegno, vennero la Beccalli, gli studenti, Lucido Croce, Geppino Parente, Enzo e Sergio Sarli per costituire una commissione operaia. Nella zona industriale di Salerno, i contatti erano stretti tra l'Ideal Standard, la Pennitalia, la Brollo, la Landys & Gyr. P. L.: Nel movimento militavano anche donne ... A. C.: C'erano molte ragazze. Mi ricordo: Maria Teresa Grillo, una compagna di Roma, le sorelle Sarasini, Bia soprattutto, Ivana Zomparelli. P. L.: Sei diventato comunista, ma ci sono stati uomini di chiesa, preti, che hai conosciuti e che ti hanno in¯uenzato? Hai buoni ricordi di rappresentati della chiesa? A. C.: C'era un prete salesiano, voleva farmi studiare, diceva a mio padre: Giovannino, fallo studiare il ragazzo, eÁ intelligente, lo

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facciamo andare a Castellaneta. Mio padre rispose che dovevo andare a pascere gli animali. Padre padrone. Altro che Gavino Ledda! Eravamo sette ®gli. Ho letto attentamente don Milani, La lettera ad una professoressa. Ho avuto buoni rapporti col prete che mi sposoÁ, lo invitavo a casa quando si ammazzava il maiale. A Salerno nessun vescovo invece si eÁ dimostrato avanzato, ricordo un sacerdote di Torrione che non era anticomunista. No, in de®nitiva. P. L.: Allora dovevi per forza diventare comunista! A. C.: Essere comunista eÁ esserlo nella coscienza, ribellarti alle cose ingiuste che ti opprimono! F. S.: Hai subito processi ... A. C.: Per blocchi stradali, adunate sediziose, oltraggi a pubblici uf®ciali. Ancora non molto tempo fa, sono stato chiamato in tribunale, perche accusato di aver dato parere favorevole alla Cassa integrazione alla Casarte. In aula l'ho detto al giudice: lo rifarei, non una sola volta, ma mille altre volte! Sono stato prosciolto, con formula piena! Non ho mai chiesto elemosine per gli operai, ho solo cercato di aiutarli a rivendicare i loro diritti. Rifarei tutte le mie scelte. E mi sento ancora oggi comunista.

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Nessuno piuÁ mi ha tenuta FRANCESCO SOFIA: Quando eÁ cominciato il tuo '68, quando ti sei avvicinata alla politica? LUCIA DI GIOVANNI: Tardi. Ero studentessa di Lettere. Nel '67 sono andata a Napoli per incontrare il mio professore di Storia dell'arte, Valerio Mariani, per la tesi. Avevo un libretto pieno zeppo di 30 e 30 e lode, ma non ero una ragazza ambiziosa. Era l'inizio dell'estate, giugno o luglio. Trovai l'universitaÁ occupata, dovetti rinviare il mio appuntamento col professore. Nessuno poteva entrare. La cosa mi infastidõÁ. C'erano dei manifesti e dei tazebao, ma non li lessi, non sapevo quello che stesse succedendo, non mi rendevo conto di niente. Sembra incredibile, ma la massa della gente puoÁ ignorare quello che accade intorno, esserne totalmente all'oscuro; io all'epoca ero cosõÁ. F. S.: E allora cosa facevi, leggevi, stavi a casa, viaggiavi? L. D. G.: Andavo all'universitaÁ ed ero ®danzata da sette anni con un ragazzo. Il ®danzamento era una noia, non ne potevo piuÁ, volevo conoscere altre persone, altri ragazzi, conoscere la vita, insomma. Volevo conoscere ``i comunisti''. Sentivo la necessitaÁ di dare una motivazione alla mia esistenza; mollai il ®danzato e poi cercai, confusamente, di trovare uno scopo, un interesse. Cominciai a praticare tennis, poi mi misi a studiare inglese. Volevo cambiare vita. FincheÂ, a forza di giocare a tennis e studiare inglese, incontrai la politica. Avevo 23 anni, cercavo una via mia. Vennero fuori delle nuove amicizie. Tramite Lilia Carpenito, alla Baia, strano a dirsi, conobbi dei ragazzi di sinistra: Gianni Canzio e Enzo Barone. Si parlava del Vietnam, e io ascoltavo avida, ma senza mai leggere un giornale. Avvertivo una forte tensione morale che si avviava a diventare politica. A fare politica ho cominciato anni dopo, con la stagione del divorzio. C'era chi per diminuirmi mi

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chiamava Lucia vietcong. Un ®danzato, naturalmente. Dava fastidio il mio interesse per la politica. F. S.: Una maturazione tardiva? L. D. G.: SõÁ, ho cominciato tardi a fare politica. A 28 anni, sono partita per gli Stati Uniti: un viaggio di un mese e mezzo ®no al Canada, e poi in Texas, in auto, in bus, la California, Los Angeles, San Francisco. Era l'agosto del 1972, appena dopo l'omicidio Falvella: la paura si tagliava col coltello. Nella caccia al rosso che si era scatenata, avevo paura che fermassero anche me. Non sarei potuta partire. F. S.: Il viaggio come iniziazione e formazione? L. D. G.: No! Il viaggio come viaggio. Che andoÁ splendidamente, da sola on the road, Manhattan, il Madison Square Garden... conobbi due ragazze di Marsiglia, Chantal e Mireille, e con loro, piuÁ un francese e un ®glio dei ®ori dell'Oregon, andai a Montreal e poi nel sud degli USA, ospitate da chi incontravamo. Si dormiva chi sul letto, chi per terra, chi all'aperto. F. S.: E al ritorno la politica? L. D. G.: Ho assistito da insegnante alla contestazione degli studenti, al Professionale per il commercio di Nocera. Io ero la professoressa che aveva simpatia per il movimento, ero la piuÁ amata da tutti, non mettevo voti negativi, loro non studiavano e io non li punivo. Mi sono iscritta al PCI, ma sono rimasta alla sezione Di Vittorio un solo anno. Cercavo sempre una motivazione solida, seria, la dimensione politica era diventata la piuÁ importante. F. S: E venne la battaglia contro l'abolizione della legge sul divorzio ... L. D. G.: Feci la campagna per il divorzio. Dopo un anno nel PCI, cominciai a pensare di dovere essere piuÁ a sinistra di Dio. Frequentavo un po' tutti e scelsi, sulla base della simpatia, Lotta Continua. Non avevo letto Marx, Marcuse, ero ignorantissima, leggevo solo romanzi, Tolstoj, Dostojevskj, Svevo, la narrativa del `900 italiano, niente Gramsci, poco cinema. Tutto il contrario di oggi. F. S: Come andoÁ a Lotta Continua?

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L. D. G.: Lotta Continua era divertente. La sede era a via Duomo. C'erano Antonio Braca, credo ne fosse il responsabile, Mario Giordano, Peppe Serrelli, Giovanni Amatucci, Remo Russo, Enzina Braca. Le donne non erano molte: eravamo gli angeli del ciclostile. Le riunioni terri®canti: i compagni, i maschi, intorno a un grande tavolo, mettevano in mostra tutta la loro scienza politica, facevano di tutto per non farsi capire. E io non capivo niente! Da parte mia era tutto un sentito dire: da parte loro narcisismo. Poi andavamo al Magistero e io continuavo a non capire un tubo: c'erano i gruppi, Ernesto Scelza, Franco Calvanese, Salvatore Galizia, Titti Santulli, Peppe Salvioli. F. S: Una realtaÁ egemonizzata dai maschi? L. D. G.: A gestire le assemblee erano gli uomini: l'unica che interveniva era Titti Santulli. F. S: Quando presero consistenza i gruppi femministi? Tu che facevi? L. D. G.: Con Lotta Continua, con la battaglia per l'aborto, nel 1976. Il movimento femminista signi®ca nascita di collettivi. Le riunioni del mio collettivo si svolgevano nella sede di via Genovesi, nel centro storico. Due stanzucce. Ci vedevamo in trenta, quaranta. Quasi tutte piuÁ giovani di me: io avevo 32 anni. Le ragazze provenivano dai partiti politici, volevamo fare un consultorio. Volevamo organizzarlo in tempi brevi. Cominciammo a lavorarci, si cominciava a parlare di sessualitaÁ femminile, ci informavamo sull'uso dei contraccettivi. Ci vedevamo spesso, ogni pomeriggio, facevamo autocoscienza in gruppi di dieci, quindici ragazze, parlavamo dei problemi di coppia, di sessualitaÁ, di subalternitaÁ femminile, di liberazione dal maschio. Nella coppia la subalternitaÁ era forte. F. S: Che cosa leggevate? L. D. G.: C'era chi leggeva, le femministe storiche di un altro collettivo. Noi del consultorio di via Genovesi non studiavamo, facevamo autocoscienza, parlavamo del personale. F. S: E gli altri collettivi e le donne nei partiti? L. D. G.: Degli altri collettivi io ricordo il Collettivo Rosa del

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PCI con Luciana Libero, Tonia Cardinale, Silvana Gobbato; del PSI altre donne che poi, credo di ricordare, con¯uirono nel nostro. Ci vedevamo tutte in un coordinamento, quando dovevamo organizzare manifestazioni. Agli incontri e alle manifestazioni partecipavano donne dai 15 anni in su; ci si vedeva spesso. Nel Pci c'era Lilli De Felice, era il 1974-75, mi pare. Nel Psi, Stella Libertino, Adriana Mercede. Erano tante le donne che partecipavano alle manifestazioni. Ne ricordo una in particolare, con mille donne, all'epoca della battaglia per l'aborto: chiudemmo la manifestazione a Portanova. Tutte donne: gli uomini non potevano partecipare, li cacciavamo. Ci divertivamo con gli slogan: io misi un impermeabile con sulla schiena scritto Scum, che era il titolo del Manifesto per l'eliminazione dei maschi, scritto da Valerie Solanas, femminista americana. Ma erano teorie non nostre. F. S: E le donne della DC, di altri partiti? L. D. G.: Della Dc non ricordo nessuna: erano tutte di sinistra. Ci ponevamo il problema della doppia militanza, si teorizzava l'uscita da gruppi e partiti. Lotta Continua fu messa in discussione dai gruppi femministi e l'organizzazione si sciolse. F. S: Tu continuasti a fare politica nei collettivi? L. D. G.: SõÁ, continuai nei collettivi. F. S: Poi venne il processo Sanfratello L. D. G.: Nel periodo del referendum sull'aborto, Agostino Sanfratello girava nelle chiese, facendo propaganda antiaborto, con affermazioni pesantissime contro le donne. Proiettava ®lmati raccapriccianti. Andammo ai Salesiani, una pattuglia: io, Nadia Caragliano e altre compagne, e l'attaccammo violentemente. Donne presenti, solo monache. Nadia partõÁ sparata, eravamo ferratissime sulle questioni dell'aborto, leggevamo, avevamo imparato a parlare, si parlava sulla nostra pelle, eravamo diventate capaci di tenere testa a chiunque in un dibattito. Il giorno dopo, denunciammo in un manifesto la campagna di Sanfratello contro le donne. Il manifesto doveva essere un atto di

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accusa contro chi ci chiamava assassine. Ma facemmo un errore: mentre scrivevamo il testo da mandare in tipogra®a arrivoÁ una compagna e ci disse che Sanfratello era di Ordine Nuovo. Era falso, ma noi non veri®cammo la notizia e nel testo scrivemmo che Sanfratello era un nazista di ``Ordine Nuovo''. Sanfratello ci denunzioÁ, il manifesto fu sequestrato e quando la questura chiese chi fosse l'autrice del testo, noi, in quaranta, ci presentammo in questura a autodenunciarci: il manifesto, dichiarammo, lo avevamo scritto tutte insieme. Siamo tutte colpevoli, denunciateci tutte! CosõÁ politicizzammo il processo. Al processo, una folla: ricordo donne arrampicate sulle porte del tribunale. Mediaticamente e politicamente fu un successo. Ci difese Tina Lagostena Bassi, gratis. Il processo lo perdemmo. Ma la vittoria giudiziaria non ci interessava. In secondo grado, non controbattemmo grancheÁ. Fummo condannate ad una multa di 100.000 lire e a pubblicare la sentenza su ``Repubblica''. Ma fu una grande vittoria politica. Il giudice era Nicola Boccasini. Tra le auto denunziate: Michela Manzoni, Tina Carrozzo, Tonia Cardinale, Nadia Caragliano, Imma Caldarese, Silvana Gobbato, Anna Calvanese. F. S: Poi la tua militanza si interruppe. L. D. G.: La mia attivitaÁ si interrompe nel 1978: ho un bambino e mi dedico a lui. F. S: Che cosa accadde nei collettivi, ®nõÁ tutto? L. D. G.: No, non ®nõÁ tutto, le compagne continuarono a portare avanti la battaglia per il consultorio. Chiesero una sede al comune e ottennero lo spazio degli ex-bagni pubblici alla Ferrovia, che ribattezzarono Spazio Donna. F. S: Nei primi anni '70 c'erano state iniziative e lotte per l'autoriduzione? L. D. G.: SõÁ, le facemmo noi di Lotta Continua. Furono follie, coinvolgemmo 3.000 persone, facendogli autoridurre le bollette dell'Enel: ognuno pagava per quel che poteva. In seguito furono costretti a pagare tutto.

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F. S: Torniamo a qualcosa cui abbiamo giaÁ accennato: chi erano le autrici di riferimento per voi, per te? L. D. G.: Io non avevo alcuna cultura speci®ca circa i temi e i problemi femminili. Partivamo da noi. Non Sontag, non Irigaray. Se vuoi, Simone De Beauvoir, Il secondo sesso. Niente femministe americane. Engels, sõÁ. Le letture sono venute dopo. F. S: Mi dai una valutazione complessiva del femminismo a Salerno, a partire dalla tua esperienza? L. D. G.: Ti rispondo per me, ma credo valga per tutte. Il femminismo mi ha resa padrona di me stessa. F. S: Quindi tu individui un rapporto di causa-effetto tra femminismo e crescita personale. E le altre? L. D. G.: Le altre hanno fatto lo stesso percorso, almeno spero. Certo, c'era chi evidentemente non faceva sul serio. Le piuÁ estremiste, quelle contrarie al matrimonio, le fautrici della coppia aperta, sono state le piuÁ leste a sposarsi. L'autonomia, purtroppo, non appartiene a tutte. Autonomia non eÁ paritaÁ sul lavoro, eÁ soprattutto consapevolezza di seÂ. F.S: L'attivitaÁ politica ti riempiva la vita? L.D.G: Avevo una vita piena, dal mattino a mezzanotte. Il lavoro, i manifesti, le riunioni, le manifestazioni, le discussioni, le andate a Roma. Io ho avuto una vita pienissima. Dalla politica sono passata alla lettura dei giornali, alla passione per il cinema, al giornalismo. Nessuno piuÁ mi ha tenuta.

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Ho trovato una vaccarella con le zizze piene di latte FRANCESCO SOFIA: Nel '68 che cosa facevi? MICHELE FORTUNATO: Non ero a Salerno, ne al mio paese, Montoro Superiore. Correvo un'avventura pesante, che mi ha toccato molto, mi ha formato. Mi trovavo in Svizzera, in un paesino sul lago Lemano. C'ero andato tra il '66 e il '67, a sedici anni. Si andava per contratto, ne dovevo rispettare le clausole per un anno, anche subendo soprusi. Facevo il garcËon d'of®ce, in un albergo, ragazzo tuttofare. La Svizzera era organizzata civilmente, ma i padroni mi trattavano da schiavetto: lavavo per terra, servivo ... dalle 6,00 alle 8,30, dalle 11,30 alle 14,00, dalle 16,00 alle 20,00, impegnato ®no a sera. Mi rivolsi ad un giudice di pace. Mi diede ragione. In quell'albergo vidi per la prima volta i croissants, mi piacevano. Prendevo i panini dal centro della tavola nella sala da the, facendo attenzione a che non si vedesse che mancava un pezzo. Avevo sempre fame. Mi nutrivo a base di panini col formaggio, con le patate. Poi, a ®ne '67, andai a lavorare ai con®ni tra Svizzera e Francia, alla Peugeout. Facevo la staffetta in fabbrica. C'erano parecchi ricercati, alcuni per motivi politici. Mi misero alla catena a coprire i sedili; con me c'era un algerino. Ci accordammo, mezz'ora uno, mezz'ora l'altro. PIERO LUCIA: Quando sei tornato a Salerno? M. F.: Nel 1970. A Salerno, trovai Gigino Giordano e Angelo Petillo. Mi iscrissi al Partito. Con i soldi svizzeri ®nanziai alla grande la campagna elettorale del PCI. Mettevo la benzina. Dopo il servizio militare lavorai per nove mesi in Germania. E in®ne tornai de®nitivamente a Salerno. Mi ero anche sposato. F. S.: Trovasti da lavorare qui? M. F.: Presentai la domanda di assunzione alle MCM. Seguii un

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corso di formazione di sei mesi come addetto alla ®latura a Nocera. Dovevamo lavorare rispettando assolutamente i tempi del cronometro. Poiche ero bravo, divenni jolly. LõÁ ho conosciuto il sindacato. P. L.: Ti rendesti subito conto della pesantezza del lavoro operaio? M. F.: Si lavorava duro su quelle macchine che ®lavano in continuazione. Non potevi distrarti. Un po' di cotone si accumulava sulla bobina. Rincorrevo la perfezione delle macchine, ma non ce la facevo. La ®latura eÁ molto condizionata dall'umiditaÁ dell'aria nello stabilimento, che consente al cotone di diventare ®lo. Avevo da controllare sei macchine, cioeÁ dodicimila bobine. Ero bravo, le mie macchine erano sempre pulite. Mi presi la bissinosi. F. S.: Quella patologia che colpisce i lavoratori del cotone che sono in contatto col grezzo o addetti alla cardatura, con la broncostrizione evidente il primo giorno di ritorno dopo il ®ne settimana? M. F.: Quella. La polvere nei bronchi, la bronchite cronica. Me la diagnosticarono al Da Procida. Il medico mi disse: vi ammalate e non lo sapete neppure. Chiamai gli altri operai e facemmo un'assemblea sulla salute e le malattie in fabbrica. Cominciarono gli scioperi. Le cartelle cliniche furono consultabili. Vennero in fabbrica il giudice e l'ispettore del lavoro. L'azienda intervenne e fece degli investimenti per modi®care l'ambiente di lavoro. Fui spostato ad un'altra mansione. Mi occupavo dell'inventario. Rimasi a Nocera ®no al 1978-79. Mi trasferirono a Fratte, dove sono rimasto ®no al 1984, quando sono passato al Sindacato. Mi af®darono la linea industrie: tessuti di altre aziende, ricami. Subito dopo fui eletto delegato. P. L.: Cominciasti ad avere un ruolo sindacale preciso. M. F.: Tre vecchi compagni comunisti mi chiamano nella sala del Consiglio di fabbrica, la chiudono per bene, si siedono, mi guardano, mi dicono: Giovanotto, sei venuto qui, hai trovato la vaccarella con le zizze piene di latte. Per portare la vaccarella a questo punto, ci siamo fatti un culo tanto, e qualcuno c'eÁ pure morto. Ora sei delegato. Rappresentala bene la CGIL, non rovinar-

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la, stai attento! Fu una cosa forte. La feci con orgoglio. A Fratte, quando sono diventato delegato, ero giaÁ un punto di riferimento. Chiaramente, all'inizio non ero preparato. La sera, andavo alla Camera del Lavoro, non smettevo di fare politica e sindacato. Il sindacato eÁ stato una scuola di vita. Mi ricordo di un avvenimento: nel 1976, l'azienda licenzioÁ tre lavoratori, entrammo in sciopero, 18 giorni, e lo stabilimento occupato, arrivoÁ la notizia che questi avevano accettato, patteggiato una somma e se n'erano andati. Rilanciammo la lotta su un altro versante, cambiammo rotta: quei tre posti di lavoro dovevano essere sostituiti dall'uf®cio di collocamento, ce la facemmo. P. L.: I comunisti della CGIL erano stimati e preparati! M. F.: Noi eravamo comunisti, avevamo l'obbligo di studiare e documentarci, eravamo in prima ®la. I vecchi compagni mi avevano insegnato che dovevo prima lavorare e cosõÁ diventavo af®dabile. Io fui mandato a Roma a frequentare dei corsi di formazione tenuti da Rinaldo Scheda. P. L.: Come erano i rapporti con le altre forze sindacali e politiche? M. F.: I Socialisti erano nostri subalterni. Certo, c'erano i seguaci di Luigi Angrisani, aveva consensi, era un populista. I capireparto mi temevano, temevano la CGIL. La CISL e l'UIL scendevano a patti, compromessi, qualche volta ho avuto l'impressione che si facessero corrompere. Talvolta, la trattativa vera cominciava prima, per esempio per gli straordinari c'era una pre-trattativa, la conducevano per i fatti loro. L'azienda aveva bisogno di 30 lavoratori per il sabato, niente CGIL. Noi, promotori delle iniziative, eravamo i piuÁ discriminati. Non c'era nessun caporeparto comunista, votavano DC, qualcuno PSI, qualche simpatia per noi era detta sottovoce. La presenza della DC De Mita era pesantissima: per anni non si eÁ mossa una foglia che De Mita non volesse. Lo avvertivo soprattutto quando, per motivi sindacali, andavo ad Avellino e nell'Irpinia. Le assunzioni passavano anche sotto il ®ltro di Alfonso Menna.

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PeroÁ, ho avuto la soddisfazione di fare all'ultimo capo del personale la tessera del sindacato pensionati. P. L.: Partecipavi attivamente alle campagne elettorali, come comunista e sindacalista? M. F.: Nelle elezioni eravamo impegnatissimi per la propaganda. Allora c'era il PCI, l'indicazione di chi votare era sacra, nessuno la poteva cambiare. Accoglievamo gli emigrati che tornavano con i treni speciali e le bandiere rosse. In fondo, era una festa. P. L.: E i compagni sindacalisti? M. F.: Mi ricordo soprattutto degli edili, erano combattivi e politicizzati. Antonio Lambiase, Della Rocca, il fratello di Scelzo, Enrico Mari, Ciro Pellecchia, grandi compagni. P.L.: Avevate rapporti con gli operai delle altre categorie? Esisteva una reale solidarietaÁ? M. F.: C'era solidarietaÁ. Se un'azienda aveva problemi, un'altra azienda scioperava. Non c'era alcun isolamento. Ti racconto un fatto personale: quando morõÁ mia madre, nel 1980, stetti un mese e mezzo a Bologna, gli altri sindacati mi diedero tutto il monte-ore. P. L.: Tra operai e studenti negli anni Settanta ci fu un rapporto stretto? M. F.: Avvenne l'incontro tra il sapere e il lavoro, tra gli studenti e i lavoratori. Le condizioni del lavoro erano atroci, gli intellettuali ci hanno fatto capire. Il '68 ci ha fatto fare un balzo in avanti, ci ha proiettati nella societaÁ come protagonisti attivi. Prima non era cosõÁ, dopo il '68 sõÁ. Gli studenti venivano nelle fabbriche, socializzavano, durante gli scioperi, si incontravano con noi. Anche i giornalisti avevano attenzione verso di noi. Gli operai acquisirono coscienza e dignitaÁ, chi li aiutoÁ furono i giovani, gli studenti e gli intellettuali. F. S.: In base alla tua esperienza, in fabbrica ci sono stati elementi o situazioni che negli anni di piombo potessero far pensare a collusioni o ®ancheggiamenti, ad incertezze o sbandamenti? M. F.: No, non ho mai pensato che nelle fabbriche ci fossero elementi collusi. Neanche schegge! Noi eravamo per la superioritaÁ

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del rispetto degli altri e della vita. Abbiamo riscontrato solo incazzature, ci volevano bene, ci ascoltavano. Ebbene, quando Guido Rossa fu assassinato, il Partito e Berlinguer ci dissero di stare calmi, di vigilare, di isolare. Noi lottavamo allora su piuÁ fronti, ma sempre per una democrazia diversa. Quando c'erano attentati, andavamo o eravamo chiamati nelle altre fabbriche, e dicevamo: ragazzi, state calmi, siate responsabili, continuate a fare il vostro dovere, ricordatevi di Gramsci. P. L.: Le MCM entrarono in crisi. M. F.: Le MCM sono state una grande azienda nel Mezzogiorno. Bisogna fare una ri¯essione: grande era la forza sindacale dei lavoratori e degli operai. Ma non siamo entrati nel merito della condizione della salute dell'azienda, che era a partecipazione statale. Avremmo dovuto interessarcene. L'azienda era storicamente valida, aveva dei prodotti eccellenti. Accadde, forse era il 1973, un atto di sciacallaggio, proprio brutto. La rete commerciale MCM se la prese la Bassetti. Ci siamo venduti l'anima, con la vendita della rete commerciale, ci siamo accontentati dello stabilimento. Fu il sistema politico a consentire cioÁ. P. L.: Tra pubblico e privato si privilegiarono i grandi monopoli privati. M. F.: SõÁ, regalando la rete commerciale. Allora non siamo stati capaci di interpretare e prevedere cioÁ che accadeva anche se siamo stati protagonisti nel dare dignitaÁ al lavoro operaio, la salute dell'azienda. Un altro esempio: la Benetton, negli anni '70-inizi '80, utilizzava le MCM per creare colori e tessuti. Noi avevamo un laboratorio importante, Benetton veniva a Salerno con un campione per il colore. Il laboratorio ci lavorava sopra: i colori dei ragazzi, la varietaÁ. La maggior parte venivano creati a Fratte; in magazzino facevamo la campionatura Benetton. Con le MCM una grossa storia umana ed operaia si eÁ annullata anche a Salerno e pensare che nel '75 eravamo arrivati a 2400-2500 operai. P. L.: E i ragazzi di oggi?

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MICHELE FORTUNATO

M. F.: Se ne fregano di questo di cui stiamo discutendo. Se glielo ricordi, passi per pazzo. Abbiamo perso colpi, eÁ stata la cattiva politica, il sistema politico, abbiamo difeso una democrazia che eÁ diventata sempre piuÁ virtuale. Non abbiamo spiegato gli abusi, non li abbiamo eliminati, ci siamo arroccati sulla difesa dei posti. EÁ venuta meno la funzione educativa del Sindacato e del Partito. C'eÁ stata l'appropriazione di una grande rendita, la familiarizzazione. Ma io continuo ad essere comunista.

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Afferra il libro: eÁ un'arma FRANCESCO SOFIA: Come maturoÁ la tua scelta comunista? SALVATORE GALIZIA: Intorno al dicembre 1964, ebbi diverse discussioni con i braccianti agricoli Nicola Gatto e Rosario Bloise, con lo studente universitario Antonio Perrupato e con il laureando in Giurisprudenza Gaetano Di Cunto. Le discussioni vertevano sulla Rivoluzione socialista, sulla necessitaÁ di una fase transitoria di Dittatura rivoluzionaria del Proletariato, come preparazione ad una effettiva e vera democrazia dei lavoratori, della paritaÁ giuridica tra uomo e donna (in particolare, il compagno Di Cunto parlava della emancipazione delle donne dell'Est europeo, che svolgevano quasi tutti i lavori, e teneva vere e proprie ®lippiche contro il ``delitto d'onore''). Inoltre, il PCI di Cosenza era il partito piuÁ risoluto nel volere l'universitaÁ in Calabria (ed io ero alla vigilia del diploma). Da Cassano Ionio partecipammo in parecchi ad una manifestazione a Cosenza per l'universitaÁ. F. S.: Quando eÁ cominciato il tuo '68? S. G.: Il mio '68 comincioÁ, se cosõÁ si puoÁ dire, nell'aprile del 1966, quando, all'universitaÁ di Roma, venne ucciso dai fascisti lo studente socialista Paolo Rossi. A Salerno ci fu una grande mobilitazione antifascista, convocata da PCI, PSI, PRI e CGIL, cui aderimmo gruppi di universitari (io manifestavo con un mio paesano, Luigi Niger). Salerno era in stato d'assedio, centinaia di poliziotti e celerini controllavano, in assetto di guerra, il centro cittadino, da piazza Malta al teatro Augusteo. Pochi giorni dopo, nell'aula magna, straripante di universitari e universitarie, il professore Gabriele De Rosa rettore dell'allora Magistero, tenne un memorabile discorso per ricordare a tutti noi che lo studente Paolo Rossi era un vero democratico, appassionato agli studi, come testimoniato da alcuni docenti dell'universitaÁ di Roma, e per delineare in modo semplice e rigoroso

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la funzione dell'universitaÁ che doveva formare i giovani sul piano scienti®co e civile. F. S.: Tu, non salernitano, hai avuto dif®coltaÁ d'inserimento nella situazione salernitana oppure la tua integrazione in un diverso contesto ambientale eÁ avvenuta in maniera naturale, rapida e indolore? S. G.: Venni a Salerno nel lontano 30 settembre 1965. Abitavo in una pensione a via Sant'Eremita e ricordo che nei primi giorni di ottobre a piazza Malta, nel bar Arlecchino al grido di lurida, sporca matricola un gruppetto di goliardi mi fece ``offrire'' caffeÁ e bibite per 2.250 lire. Il modo come ero vestito, abito bleu, scarpe nere lucide, calzini bianchi, camicia bianca, cravatta a pois, non era sfuggito ad alcuni colleghi piuÁ ``grandi'' della goliardia dei ``Normanni'' e del ``Sultanatus della sacra palma'' (spero che la scrittura sia precisa), che mi fecero il ``cruento battesimo economico''. Vivevo la mia vita con colleghi e colleghe di via Sant'Eremita, dove c'era un settore maschile e uno femminile. Una vita tipica da collegiale tra altri collegiali appena ravvivata dalla prima impegnativa esperienza amorosa con una ragazza, che abitava in via Irno ed era collega in vari corsi. Mi ambientai in maniera soft, grazie soprattutto ai compagni e alle compagne dell'Unione Goliardica Italiana e della Federazione Giovanile Comunista, con cui presi contatti vari nei primi mesi del 1966. Ma, se cosõÁ si puoÁ dire, l'iniziazione vera con gli ``adulti'' salernitani al di fuori dell'universitaÁ avvenne tra il 1968 e il 1969, quando da Matteo Ragosta della CGIL venni incaricato di sostenere, con comizi volanti fatti con un megafono, una settantina di disoccupati, che chiedevano al sindaco Menna di essere assunti nell'organico della Nettezza urbana. Per alcune settimane, megafono a tracolla, comiziavo da via Robertelli, sede della Camera del Lavoro (la famosa CGIL), ®n sotto il municipio, perche i settanta disoccupati ottenessero un incontro. Quell'esperienza mi fece considerare da quei lavoratori ``disoccupati'' come uno di loro, un compagno che si metteva al servizio di una causa collettiva e cittadina, pur essendo io di un'altra regione.

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Afferra il libro: eÁ un'arma

F. S.: Come nacque il Movimento studentesco a Salerno? Oltre te, chi furono i promotori? S. G.: A Salerno, il Movimento studentesco incomincioÁ le prime mosse nella primavera del 1966, contro l'autoritarismo accademico e baronale. Alcuni docenti rappresentavano un ``terrore'' per la grande maggioranza degli studenti, in particolare il professore di Geogra®a Mario Fondi, di Letteratura francese Enzo Giudici, il romanista Antonio Guarino. Ricordo alcuni tratti del loro carattere e del loro comportamento: Fondi aveva una preparazione impressionante, era capace di fare connessioni appropriate all'inverosimile, ma, quando si ``imbestialiva'', perche qualcuno non aveva studiato a suf®cienza il suo libro Note di geogra®a ®sica sulla Italia meridionale, la giornata diventava nera per ogni esaminando. Le Note erano un libro ostico, un incubo di cento pagine da imparare quasi tutto a memoria. Ci voleva un Pico della Mirandola per digerirlo! Ricordo Tonino Rocchia, che andoÁ fuori-corso per alcuni anni per questo libro e superoÁ il terzo esame di Geogra®a quando il professore Fondi si trasferõÁ a Roma e venne a Salerno il professore Domenico Ruocco. All'esame di Tonino Rocchia non assistette nessuno di noi, per scaramanzia. Ne mai gli chiedemmo se l'aveva superato per ``preparazione raggiunta'' o perche il prof. Ruocco si era ``impietosito'' per la ``persecuzione'' subita ad opera del prof. Fondi. Il prof. Giudici era un eccellente conoscitore della Lingua francese, studioso in particolare dei secoli XV-XVI e XVII, ma ``terrorizzava'' quasi tutti gli studenti. Bisognava alzare in classe i libri di testo in adozione di grammatica e sintassi del Francese moderno, che erano stati scritti da lui; chi non li aveva, era allontanato dall'aula; i quadriennalisti di Francese dovevano andare ogni anno a Parigi e non a Marsiglia o a Nancy; varie volte disse allo studente Nino Vazza; ``Non venirmi a conferire con l'in¯essione marsigliese, perche ti boccio!''. All'esame era di una pedanteria esagerata, molto esagerata. Il professore dispone di una valutazione che va dal 18 al 30. Lui pretendeva la perfezione. Qualche conferma la potrebbe dare

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il prof. Petrone, che allora curava in particolare la dizione e l'aspetto glottologico della Lingua francese, essendo obbligatorio l'esame di Filologia Romanza. Con il prof. Giudici erano scintille, quasi sempre. Il prof. Guarino ci incuteva rispetto e timore per la ``fama'' che lo circondava. EÁ proprio il caso di dire: ea fama vagatur. Illustre romanista, come se non bastasse, aveva sposato la ®glia di un altro grandissimo Romanista, Arangio Ruiz, entrambi napoletani. Gli studenti del primo anno eravamo intimiditi, pur avendo seguito le sue lezioni, raccolte in una dispensa dal dott. Francesco Fratto. Ricordo la mia ``bocciatura'': ero andato per sostenere l'esame di Storia Romana, quando il bidello Peppino Scioscia mi acchiappoÁ per un braccio e mi disse: ``DottoÁ, cosõÁ vestito, il prof. Guarino non vi fa nemmeno sedere, vi fa scappare; non avete letto l'avviso in bacheca? Ci vuole la cravatta, dottoÁ, ci vuole la cravatta!''. Corsi a via Arce veloce come un fulmine e mi feci prestare una cravatta da Lello, che faceva l'istitutore al Convitto D'Azeglio, e che avevo conosciuto durante i corsi tenuti a piazza Malta. Ma non me ne venne un gran bene lo stesso. Ero visibilmente teso e leggermente contrariato, ero giovanissimo e al primo esame. Caddi sulla terza teoria circa l'origine degli Etruschi (Dionigi di Alicarnasso) e con le parole roboanti di Guarino, che, ancora, a 42 anni di distanza, ricordo con esattezza: ``E come si vuole addentrare nei meandri della Storia Romana, se eÁ giaÁ carente nei preliminari? Si ritiri!''. Il suo atteggiamento era assimilabile a quello di Lawrence Olivier che interpreta Crasso nel ®lm Spartacus: consapevole, severo, e talora altezzoso. Io mi imbattei in quello altezzoso. I promotori del Movimento furono una parte dell'Unione Goliardica Italiana (che era l'associazione di sinistra prima della nascita del movimento studentesco): Peppino Colasante, Domenico Pizzicara, Gigino Giordano, un gruppo di studenti di Cosenza, un altro gruppo di Catanzaro, altri di Avellino e Benevento. E poi ci davano una mano alcuni salernitani che studiavano all'UniversitaÁ di Napoli:

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Nicola Paolino, Nello Rossi, Ferdinando Argentino, Aurelio Musi, Renato Peduto, Enzo e Sergio Sarli, ed altri. F. S.: Quali furono gli obiettivi degli studenti? Per che cosa lottaste? S. G.: La lotta contro ``l'autoritarismo'' e l'ipse dixit. Questa lotta si andoÁ con®gurando come possibilitaÁ-diritto dello studente di proporre testi alternativi a quelli ``istituzionali''. Il docente veniva visto come una persona preparata e competente nel suo ramo di conoscenza, ma non doveva avere il diritto assoluto di imporre i suoi itinerari culturali. Il docente doveva guidare lo studio e la ricerca, facendo acquisire allo studente una sempre maggiore competenza scienti®ca disciplinare e metodologica e piuÁ elevati livelli culturali. Edoardo Sanguineti parloÁ di ``ruolo unico del docente ricercatore''. Penso che questa ®gura del ricercatore, aggiungerei instancabile, sia la piuÁ appropriata al docente. F. S.: Quale atteggiamento e reazione si ebbe da parte dei docenti? Ci sono fatti particolari da raccontare? S. G.: Diversi professori accettarono queste proposte: Gabriele De Rosa, Carlo Salinari, Aldo Masullo, Luigi Cortesi, Pasquale Villani, Edoardo Sanguineti, Giovanni Aliberti, Lucio Avagliano ed altri. Contribuirono alla riuscita di quelli che vennero de®niti ``controcorsi'' o corsi alternativi da concordare con il docente. In questa situazione di effervescenza e di movimento giocoÁ un ruolo propulsivo la lotta armata di resistenza che il popolo vietnamita conduceva in quegli anni contro il potente esercito americano, che aveva invaso il territorio vietnamita in nome della ``libertaÁ e della democrazia'' dell'occidente capitalistico. In tutte le universitaÁ italiane si cercoÁ di affermare il diritto degli studenti a conoscere ed approfondire quello che avveniva nel mondo, senza censure ideologiche e senza steccati culturali. Addirittura, sul piano della democrazia partecipata e diretta, nel giugno del 1968, si arrivoÁ, in un'assemblea affollatissima (ma tumultuosa per la presenza di forze fasciste che mal tolleravano il metodo democratico della discussione e del dibattito; erano per le

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gerarchie predestinate), a votare l'abolizione dell'ORU (Organismo Rappresentativo Universitario), ritenuto strumento di clientelismo e di favoritismo, un vero carrozzone politico-elettorale prevalentemente utilizzato dalle forze ®lo-governative. Diversi docenti parteciparono all'assemblea generale e votarono per la messa al bando dell'ORU. Forse fu una delle poche realtaÁ universitarie che votoÁ una mozione cosõÁ forte e decisa. F. S.: C'era un disprezzo, un ri®uto della cultura borghese? Si voleva forse affermare il bisogno di una nuova cultura? S. G.: PiuÁ che di un disprezzo parlerei di una lotta ideologica e teorica contro la borghesia, contro la grande borghesia. Molti di noi, in qualche modo, fummo vaccinati dal corso di Letteratura Italiana, nel 1968-69, di Carlo Salinari, che prevedeva anche lo studio del libro Scritti sull'arte di Marx e Engels, che sono un vero capolavoro di critica letteraria e un antidoto contro il dogmatismo. Studiarlo anche oggi nelle facoltaÁ umanistiche non potrebbe che essere di utilitaÁ per le giovani generazioni, perche lõÁ l'opera letteraria viene analizzata ``testualmente'' e ``contestualmente'' e sono tributati gli onori letterari a scrittori di varia, diversa e opposta tendenza. Inoltre, eÁ presentata la legge dei ``lunghi periodi'' di Engels, che imposta in maniera scienti®ca il rapporto tra struttura economica e sovrastruttura culturale, tra base economica e produzione spirituale. La nuova cultura che si volle affermare fu quella operaia e popolare, che, nonostante la presenza comunista e socialista fosse massiccia nella societaÁ italiana, non aveva una robusta consistenza nella produzione letteraria e poetica. Della vita e del lavoro degli operai non si sapeva alcuncheÂ. Da questo punto di vista si puoÁ parlare di opposizione e di tentativi di creare una ``nuova cultura''. Certamente, l'ipocrisia, la falsitaÁ, la doppiezza, il maschilismo, una certa pompositaÁ istituzionale, l'anti-fascismo di tipo ritualistico e di facciata, una democrazia falsa e ``perbenista'' furono combattuti dai giovani e dalle giovani (ma non solo!), che diedero vita al '68. F. S.: Uno degli slogan fu Operai e studenti uniti nella lotta, esso

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si realizzoÁ davvero a Salerno, in quali momenti, con quali categorie, con chi, in particolare? S. G.: Al Movimento studentesco si opposero frontalmente i fascisti del MSI e il Fronte Monarchico; si oppose, altresõÁ, in vario modo (compreso l'uso della violenza poliziesca) la parte maggioritaria della DC, che era egemone nello Stato e nei governi, ma non ne capirono la portata e una certa profonditaÁ nemmeno il PCI e il PSI, che sottovalutarono la grande ansia di libertaÁ e di vera partecipazione democratica alle decisioni e alle scelte che incidevano profondamente nella vita collettiva. Operai e studenti uniti nella lotta signi®coÁ il tentativo di unire la classe operaia (che aveva cominciato una grande lotta nel 1966 per migliori condizioni di vita e di lavoro, in particolare con i metalmeccanici) con gli studenti universitari e quelli medi i quali scesero in campo alla ®ne del 1968 e negli anni successivi contro l'autoritarismo e la selezione classista, che avveniva prevalentemente sulla base del reddito familiare. Questa saldatura avrebbe dovuto operarla il PCI, ma non lo fece, perche non riteneva superabile da sinistra la Costituzione repubblicana del 1948, nel mentre accadevano due fatti signi®cativi, sia pure di segno completamente opposto: da una parte si tentoÁ di fermare il movimento operaio e studentesco con la strategia delle bombe e degli attentati, che doveva per l'appunto bloccare lo sviluppo dell'insieme del Movimento, terrorizzare la societaÁ in generale e impedire, limitare, o frustrare la partecipazione consapevole e la discesa in campo delle giovani generazioni. La scelta di tipo rivoluzionario e socialista del Movimento studentesco, la forte ripresa del movimento operaio (organizzato e non) nella seconda metaÁ degli anni Sessanta provocarono paure ed inquietudini nel blocco economico-sociale dominante e la sua parte piuÁ reazionaria (fascisti, nazisti e pezzi non secondari dello Stato) reagõÁ con la ``strategia della tensione'', con il terrore stragista. Ma trovarono pane per i loro denti da Milano a Trapani. La lotta anti-fascista della stragrande maggioranza dei lavoratori e degli studenti fu formidabile e veniva connessa con le battaglie che miravano

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al miglioramento delle condizioni di vita, di lavoro, di studio. Dall'altra, l'incapacitaÁ o la non volontaÁ del PCI di uni®care tutte le lotte in corso in quegli anni (fabbriche, universitaÁ, scuola, sanitaÁ, casa, servizi sociali) per paura che si creasse una grande ondata rivoluzionaria capace di scavalcare e superare i limiti della democrazia borghese e anche di quella costituzionale (che non sono e non saranno l'ultima manna caduta dal cielo) indusse migliaia di militanti (uomini e donne) a dare vita alla cosiddetta Sinistra rivoluzionaria (o extra-parlamentare), che si poneva come orizzonte la rivoluzione proletaria socialista e il comunismo, che per noi era quanto Marx ed Engels avevano scritto il 1848 nel Manifesto del Partito Comunista: ``una societaÁ in cui il libero sviluppo di ciascuno eÁ la condizione per il libero sviluppo di tutti''. F. S.: Vi furono eccessi, esagerazioni? Qual eÁ la tua valutazione, oggi, su quelle che ritieni essere state le luci e le ombre di quella stagione? S. G.: Una parte della Sinistra rivoluzionaria (extra-parlamentare) pensava che la rivoluzione fosse alle porte e accentuoÁ una serie di parole d'ordine e di obiettivi non sempre adeguati, anzi talora intrisi di astrattezza e di soggettivismo (rivoluzione subito, prendiamoci la cittaÁ, vogliamo tutto e subito etc...); un'altra parte tentoÁ la costruzione di un Partito Marxista e Leninista senza riuscirvi per tante ragioni oggettive e soggettive, dif®cilissime e complesse da analizzare; un'altra parte ancora, piccolissima ma assai disastrosa, allontanandosi completamente dai fondatori del Socialismo scienti®co (Marx ed Engels), scelse la strada del ``terrorismo'' cosiddetto di ``sinistra'', che diede il colpo di grazia alle idee socialiste e comuniste, giaÁ fortemente incrinate e quasi demolite dalle strategie collaborative con la borghesia, prima del PSI e poi del PCI. Ma questa eÁ tutt'altra ardua storia. Voglio solo ricordare una nota del presidente Mao Tse Tung e cioeÁ che all'azione volontaria e consapevole delle masse non vi eÁ alternativa se si vuole realizzare una vera societaÁ socialista. Il '68 non eÁ morto come, soprattutto, non eÁ morto il Socialismo. EÁ

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stato storicamente e transitoriamente scon®tto. Ed in particolare, eÁ stato scon®tto dall'interno. Ma, se ogni anno nel mondo muoiono di fame quasi cinquanta milioni di persone, mentre si distruggono o non vengono prodotti o vengono contingentati miliardi di merci e centinaia di miliardi di capitali, si puoÁ ben dire che il Capitalismo, nella sua fase imperialistica (o imperiale) sta in una terribile situazione (e non solo per la vicenda dei mutui subprime!). F. S.: Oggi si vive un'altra stagione, diversa da quella descritta. Sei professore, hai contatti quotidiani con gli studenti: non ti sembra che si avvertano, in maniera preoccupante, una indifferenza e una disaffezione diffusa, in specie tra i giovani, alla politica e alla partecipazione? Esistono, a tuo avviso, degli antidoti e quali a questa tendenza, che per molti aspetti risulta oggettivamente negativa ed inquietante? S. G.: In questi quarant'anni sono cambiate molte cose, talune positive, altre negative. Una corrente positiva percorse gli anni Settanta: Statuto dei Diritti dei Lavoratori, Decreti delegati nella scuola, vittorioso referendum sul divorzio, riforma sanitaria (almeno positiva nei primi anni), riforma carceraria, riforma dei patti agrari, etc...; talune negative (e talora drammatiche): il terrorismo stragista e dinamitardo dell'estrema Destra fascista, a partire dalla strage di piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969, con i suoi legami internazionali, le Brigate rosse con l'assassinio di Aldo Moro nella primavera del 1978, la pesante scon®tta degli operai della FIAT nel 1980, la grande offensiva capitalistica in tutti i settori della produzione e dei servizi, che stanno rendendo il lavoro sempre piuÁ gravoso e stressante, il terremoto politico negli anni Novanta, che oggi sta trovando uno sbocco piuttosto allarmante con restrizioni varie delle stesse libertaÁ costituzionali (sbarramento elettorale al 5 o 4 o 3 % e niente preferenze), l'indebolimento dei redditi operai e dei ceti popolari e impiegatizi, una presenza ma®osa e camorristica non adeguatamente e complessivamente fronteggiata, che ha giaÁ da una ventina d'anni avvelenato, imbarbarito e passivizzato il tessuto civile e politico, l'affermarsi assai signi®cativo del lavoro nero, precario, semi-precario, sotto-pagato, lo sviluppo della televisione commerciale che insieme con quella pubblica negli ultimi vent'anni hanno

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trasformato quasi tutto in ``eventi spettacolarizzati'', o, se si vuole, di ``consumismo presentistico'' usa e getta. I giovani di oggi si formano in questo clima: arrivismo, competitivismo sfrenato, arroganza, prepotenza, corruzione, camorrismo, la fanno quasi da padroni. Nessuno puoÁ fare miracoli contro questo sfasciume. Tu mi chiedi perche tanta indifferenza, tanta poca passione politica e tanto poco senso civico tra i giovani (e purtroppo non solo tra i giovani!). EÁ tutto scritto nell'elenco che ho fatto appena sopra. Cosa puoÁ fare la scuola? Cosa possono fare gli insegnanti? Non molto, ma tanto. Le ragioni sono varie e complesse e cercheroÁ di esempli®care per quanto mi riesce. Non molto: perche la crisi eÁ di carattere organico e generale da almeno diciotto anni e la scuola la ri¯ette, un poco la subisce e ne eÁ parte. I partiti, che negli anni '50-'60-'70 organizzavano milioni di persone nelle cellule, nelle sezioni, in organismi culturali diffusi, presentavano proposte e progetti forti e spesso antagonistici, formativi peroÁ di una coscienza civile e politica, che aveva come orizzonte il ``bene comune'', pur tra serissimi contrasti erano luoghi di formazione. Negli ultimi venti anni, invece, in particolare, i partiti si sono trasformati quasi esclusivamente in agenzie elettorali, comitati di affari, gruppi trasversali decisionistici, che hanno reso quasi inoffensivo o infruttuoso il dibattito democratico sempre piuÁ ridotto ai minimi termini, quasi al lumicino. Qui la scuola non puoÁ fare molto. Per quel che mi riguarda, eÁ necessario e urgente che venga ripreso, conosciuto, studiato e approfondito il grande movimento socialista e comunista a partire dal 1848, cioeÁ dal Manifesto di Marx ed Engels, senza il quale l'avvenire della stragrandissima maggioranza dei lavoratori italiani, europei e del mondo intero non saraÁ ne facile, ne semplice, ne buono. I prossimi decenni si annunziano dif®cilissimi, forse terribili. Occorre individuare, con l'impegno di cui sopra, gli elementi positivi e negativi, storicizzandoli con il massimo rigore possibile, onde discernere e separare Ð come si usava dire e fare nel mondo contadino Ð il loglio dal grano. Questo eÁ il compito non solo

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dei comunisti e dei socialisti, ma di ogni sincero democratico. Negli ultimi dieci anni si eÁ buttato solo fango sul movimento operaio organizzato e spesso si sono dette grandi menzogne con il solo scopo di annichilire un pensiero e di tentare di rendere l'emancipazione dei lavoratori e dell'intera umanitaÁ una impresa impossibile. Ma tanto: la scuola, in particolare la Media superiore, puoÁ tentare di riprendere un cammino di conoscenza interrotto considerevolmente in questi ultimi lustri, che con intensa tensione democratica e un fortissimo metodo dialogico, un rafforzamento del lavoro collegiale metta al centro lo studente con le sue preoccupazioni, le sue demotivazioni, i suoi disincanti, le sue super®cialitaÁ, lo rimotivi, lo spinga alla curiositaÁ, lo aiuti a contrastare pressappochismo e spettacolarizzazioni, lo sostenga nelle dif®coltaÁ e gli infonda ®ducia per un cambiamento radicale della societaÁ. E tutto cioÁ non eÁ facile! Per fare questo, la scuola deve combattere il progetti®cio esasperato e tornare ad essere una ComunitaÁ educante, capace di respingere i divide et impera dei vari governi, non solo di Centro-Destra. La scuola in questi ultimi due lustri ha perduto parecchio in conoscenza e profonditaÁ e, paradossalmente, i teorici della severitaÁ apparente nei fatti hanno abbandonato la scuola a se stessa, favorendone l'indebolimento strutturale reale. CioÁ eÁ dimostrato ampiamente dal fatto che una vera riforma proposta tra la ®ne degli anni '80 e i primissimi anni '90 (Commissione Brocca) eÁ stata abbandonata alle ortiche e le ultime trovate dell'attuale ministro Gelmini hanno un evidente segno di maquillage e sono un reale arretramento (aumento esagerato del numero di alunni per classe, licenziamento tra il 2009 e il 2011 di circa 132.000 tra insegnanti e personale ATA, attacco persino all'occupazione degli insegnanti che sostengono i portatori di handicap, cinque in condotta alle Superiori come eventuale improbabile deterrente e, in®ne, il ritorno al maestro unico nelle elementari, segnale veramente regressivo sul piano culturale e scienti®co). La battaglia eÁ aperta e dif®cile, ma non eÁ certo che le proposte dal chiaro sapore ragionieristico debbano per forza prevalere, pur avendo l'attuale governo una suf®ciente ed ampia maggioranza. Qualche

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cosa si agita persino nella maggioranza. E la stessa Sicilia, nelle mani del Centro-Destra, sembra non condividere la paideia dell'attuale ministro. Occorre rimboccarsi le maniche, studiare, organizzare, lottare. Non basta, ma occorre farlo. A conclusione di questa nostra chiacchierata, ti chiedo di pubblicare, insieme con queste note, la poesia di Brecht, Lode dell'imparare Impara quel che eÁ piuÁ semplice! Per quelli il cui tempo eÁ venuto non eÁ mai troppo tardi! Impara l'abc; non basta, ma imparalo! E non ti venga a noia! Comincia! devi sapere tutto, tu! Tu devi prendere il potere. Impara, uomo all'ospizio! Impara, uomo in prigione! Impara, donna in cucina! Impara, sessantenne! Tu devi prendere il potere. Frequenta la scuola, senzatetto! Acquista il sapere, tu che hai freddo! Affamato, afferra il libro: eÁ un'arma. Tu devi prendere il potere. Non avere paura di chiedere, compagno! Non lasciarti in¯uenzare, veri®ca tu stesso! Quel che non sai tu stesso, non lo saprai. Controlla il conto, sei tu che lo devi pagare. Punta il dito su ogni voce, chiedi: e questo, percheÂ? Tu devi prendere il potere.

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Noi matricole, dalla goliardia alla coscienza PIERO LUCIA: Dal punto di osservazione per piuÁ aspetti privilegiato del ``Magistero'' di Salerno esistevano, in relazione al periodo storico a cui ci stiamo riferendo, segnali premonitori di tutto cioÁ che sarebbe poi avvenuto in quel 1968 e negli anni immediatamente successivi? PAOLO PETRACCARO: Ad onor del vero non mi sembra di poter dire che nella speci®ca realtaÁ universitaria che allora frequentavo si fossero avvertiti importanti segnali anticipatori di quel sommovimento che poi si registroÁ. Mi sembra piuttosto di poter sostenere che il ``Magistero'' fu affascinato e ®nõÁ per essere trainato seguendo l'onda della contestazione francese. Il rimbalzo di una situazione generale ed esterna alla speci®citaÁ dell'Istituto. Un ri¯esso indotto, quindi, piuÁ che la speci®citaÁ originale di una iniziativa propria. EÁ il caso in premessa di ricordare che l'istituto ``Cuomo'' si era costituito da poco ed aveva accorpato ed inglobato al proprio interno anche la componente femminile. P. L.: E quale clima si creoÁ quando questo Istituto si trovoÁ investito da questo ``vento generale'' sia dal versante degli studenti che da quello dei docenti? E tra i docenti si delineoÁ, per cosõÁ dire, uno ``spirito di scissione'', ovvero in quel gruppo sociale prevalse la tendenza a volersi relazionare col movimento che nasceva e che rapidamente si espandeva, o piuttosto si affermoÁ una posizione ostativa ai cambiamenti e di netta e antagonistica chiusura? P. P.: Dal versante degli studenti crebbe rapidamente l'esigenza e il desiderio di capire cioÁ che stava succedendo in piuÁ punti dell'Europa e del Mondo, di partecipare e di contare. Non ci fu l'atteggiamento della passivitaÁ. Anzi, rapidamente crebbe il fermento, la par-

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tecipazione divenne ampia e massiccia, s'inizioÁ a tessere una rete di relazioni e di collegamento cogli studenti delle scuole medie superiori della cittaÁ. Per la prima volta nella storia dell'istituto e poi dell'UniversitaÁ inizioÁ a svilupparsi anche un rapporto con le avanguardie operaie delle fabbriche della cittaÁ. E si diede vita a manifestazioni unitarie di studenti e di lavoratori che di frequente si svolgevano anche all'interno dell'Ateneo. Un'esperienza inedita ed assai signi®cativa, nel passato mai sperimentata. Il coinvolgimento fu ampio, la partecipazione solida e attenta. All'epoca, le assemblee si svolgevano nell'aula n.1 ed in quelle occasioni si veri®cava una grande partecipazione, anche di 400-500 persone. Un ruolo trainante e di rilievo, tra i rappresentanti studenteschi, ebbe senz'altro per passione politica, tenacia e capacitaÁ di aggregazione e guida Salvatore Galizia. Le Assemblee, come si accennava, erano per lo piuÁ incentrate su questioni di rilievo generale. Per tutta una fase la speci®citaÁ della situazione del ``Magistero'' non fu s®orata affatto. PiuÁ avanti, invece, s'inizioÁ a sviluppare un'attenzione speci®ca ai problemi dell'istituto e fu sollevata un'aspra critica nei confronti delle baronie locali, allora saldamente radicate nella realtaÁ. Venne preso di mira l'autoritarismo, si contestarono gli atteggiamenti repressivi, s'inizioÁ a mettere sotto accusa la ``scuola e l'universitaÁ di classe''. Il Magistero pullulava a quel tempo di una gran massa di studenti fuori-sede, in prevalenza calabresi, ma anche lucani, pugliesi e di studenti provenienti da altre aree della Regione Campania. Gli iscritti della cittaÁ capoluogo erano in netta minoranza. Il gruppo che in breve tempo divenne dirigente di quel movimento era composto da 14-15 persone, e questo nucleo era l'effettivo rappresentante degli studenti che, come si eÁ detto, partecipavano alle discussioni ed erano coinvolti, sistematicamente e preventivamente, nelle scelte, nelle rivendicazioni, nelle iniziative di lotta. La critica prendeva di mira ogni forma di autoritarismo, e non solo nella scuola, ma anche nelle sue variegate espressioni sociali e politiche. Si

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contestava il dominio della borghesia e si perseguiva l'obiettivo di pervenire ad un forte e consapevole elevamento del livello di coscienza medio delle masse anche e soprattutto per mezzo della diffusione della cultura. Si spingeva per realizzare una forma piuÁ piena, ampia ed avanzata di democrazia, eguaglianza e libertaÁ. P. L.: Allora non c'era, come da piuÁ parti si eÁ andato invece sostenendo, un disprezzo ed un ri®uto della cultura? Si voleva forse piuttosto affermare il bisogno di una nuova cultura? P. P.: SõÁ, nel modo piuÁ assoluto. Gli studenti e le loro avanguardie piuÁ accorte chiedevano di poter studiare di piuÁ e meglio, pretendevano un diverso e ben maggiore impegno dei docenti universitari per promuovere la crescita del corpo studentesco con l'organizzazione di corsi e sistemi di studio piuÁ frequenti e sistematici, piuÁ legati ai problemi dell'etaÁ contemporanea. Molti docenti facevano spesso solo vuota accademia, interessati come erano a vendere le loro dispense. La vita dell'universitaÁ ed il rapporto cogli studenti non erano affatto vissuti come dimensione interattiva, di confronto, scambio e collaborazione tra docenti e studenti. C'era anzi un netto diaframma divisorio ed una separazione. Soltanto una sparuta pattuglia di docenti, e assai minoritaria, si dimostroÁ piuÁ attenta alle domande e alle esigenze dei giovani di allora. Docenti che spesso partecipavano anche alle assemblee. Tra essi mi piace ricordare almeno Vittorio Dini, allora assistente di Sabetti, ed il nucleo di Filoso®a della Storia, e il professore Giuseppe Cacciatore. Tra coloro che si schierarono frontalmente contro, assumendo posizioni antagoniste, i docenti della cattedra di Pedagogia, allora governata da Roberto Mazzetti. Il Preside del ``Magistero'' era lo storico cattolico Gabriele De Rosa, col quale si stabilõÁ un confronto fecondo, un dialogo positivo, in sostanza un buon rapporto. Poi Fulvio Tessitore, che insegnava Storia delle dottrine e dei movimenti politici. Dalla parte degli studenti, in ogni caso, si schierarono pochissimi, che si potevano contare sulle dita di una sola mano. Il grosso dei docenti aveva il timore che potesse essere incrinato e scal®to il proprio potere gerarchico e percioÁ si mantenevano lontani e distanti,

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quando non esplicitamente e direttamente ostili. Non si schieravano ne si confrontavano, evitavano di assumere una qualsiasi posizione. Quando l'attenzione degli studenti inizioÁ a concentrarsi anche sulla speci®citaÁ della situazione dell'istituto, sui problemi della mensa e degli alloggi, sulla richiesta dei buoni-libro, dell'Opera e dell'assistenza universitaria, iniziarono ad emergere anche distorsioni macroscopiche. Tale il caso, ed anzi l'autentico scandalo, delle dispense scolastiche. Accadeva in sostanza che alcuni docenti, di frequente, si limitavano a pubblicare solo la parte iniziale delle dispense senza completare la ricerca. La parte mancante non veniva mai ®nita e non era pubblicata piuÁ. Il prezzo delle dispense veniva concordato, e in modo molto maggiorato, con l'editoria dell'universitaÁ. Del tutto evidente era la speculazione, che si attuava con l'attivo concorso della casa editrice compiacente che, discrezionalmente e in assoluta solitudine, gestiva il prezzo del libro che ®niva sul mercato. Gli studenti pretendevano, invece, e giustamente, testi completi, quali®cati, de®niti. La lotta percioÁ si concentroÁ sull'obiettivo di scardinare il perverso rapporto, ormai consolidato, tra baronia ed editoria. Particolarmente ed ingiusti®catamente elevati, ricordo, i costi delle dispense di Latino. Il fatto venne pubblicamente denunciato e creoÁ grande scalpore. Qualche docente fu anche chiamato a rispondere in tribunale delle proprie responsabilitaÁ. E a quella prassi spregevole, divenuta consueta, fu apportato un netto correttivo. Momenti assai belli, di un grande coinvolgimento e di un protagonismo vero. L'Istituto era a Piazza Malta, nel cuore della cittaÁ, che tante volte in quegli anni fu attraversata da folti cortei di operai e di studenti. Di frequente intervenivano, a ®anco agli studenti, gruppi di lavoratori, degli Enti Locali, metalmeccanici, edili, della N.U. Non di rado delegazioni di questi gruppi erano coinvolti nel confronto e nella discussione con la stessa dirigenza del Magistero. Sul problema della scuola, punta di diamante di un movimento che non doveva isolarsi, si registroÁ in sostanza un'ampia convergenza ed una diffusa alleanza di forze economico-sociali della cittaÁ.

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La vicinanza alla sede del MSI era causa di frequenti scontri tra giovani di diversi e opposti orientamenti. Spesso si corse il rischio serio dell'incolumitaÁ ®sica per i piuÁ attivi militanti. Piuttosto frequenti erano gli attacchi degli attivisti missini, che facevano uso di spranghe, bastoni e di catene, e che spesso erano soliti lanciare pezzi di marmo divelto dalle mura. La polizia, in genere, piuÁ che intervenire, si limitava a guardare. Eppure le forze dell'ordine, seppur con la dovuta discrezione, erano sempre presenti alle assemblee e controllavano l'evolversi dei fatti. Tutto veniva monitorato, ed accuratamente. EÁ utile ricordare che gli studenti del Magistero non si lasciarono mai andare ad atti vandalici, di distruzione del patrimonio pubblico in dotazione della scuola. Esisteva, di fatto, un patto col Rettore Gabriele De Rosa, che raccomandava ed esortava a salvaguardare il patrimonio pubblico. E con una tale esigenza si era in completa sintonia. Non ricordo che si siano mai avuti atti di violenza e vandalismo gratuiti che arrecassero danno all'istituto. La scuola era sentita come una cosa propria, un pubblico bene di cui andava garantita l'uso e la fruizione, la sede naturale della discussione e del confronto. P. L.: Eppure non puoÁ essere taciuto il fatto che vi furono gli eccessi e le esagerazioni. Puoi dare una tua valutazione, oggi piuÁ oggettiva e distaccata, su quelle che ritieni essere state le luci e le ombre di quella stagione? P. P.: A quel tempo all'interno del movimento convivevano due anime. Una costruttiva, progressista e responsabile, che si batteva per il miglioramento e per un vero salto di qualitaÁ dell'istituzione scolastica, per appropriarsi della cultura borghese, al ®ne di dominarla e superarla attraverso l' uso virtuoso degli stessi strumenti della cultura. Ci furono, senza dubbio, anche tendenze negative, di puro opportunismo che, con l'uso strumentale della legge sulla liberalizzazione dei piani di studio (all'epoca del Ministro Malfatti), ®nõÁ per costituire una risposta politica monca, subalterna e negativa alle richieste degli studenti.

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Ci fu chi utilizzoÁ una tale possibilitaÁ, che giaÁ nascondeva la tendenza alla dequali®cazione della scuola pubblica, per sottrarsi all'obbligo di sostenere gli esami fondamentali. E cioÁ avvenne a Ingegneria, a Lettere, a Filoso®a. Una tendenza che col tempo risulteraÁ del tutto funzionale al potere politico dell'epoca. CosõÁ nel futuro ci sarebbero state risorse intellettuali piuÁ deboli e non adeguatamente quali®cate e si sarebbero accentuati i fattori di marginalizzazione e di dif®coltaÁ d'integrazione di molti di quei giovani nel mondo dei lavori. La demagogica e dissennata richiesta del ``voto politico'' squali®coÁ, e molto, il movimento. La spinta del 1968 determinoÁ in ogni caso la stagione dei Decreti Delegati e la creazione degli Organi Collegiali della scuola. CioÁ avvenne con la promulgazione del DPR 417. Una risposta, di certo parziale e limitata ma comunque importante che, senza la spinta del movimento di quegli anni, di certo non vi sarebbe stata. L'ampliamento della possibilitaÁ di fruizione della cultura a livello piuÁ diffuso ed ampio, garantõÁ l'ingresso protagonista delle masse nel processo della storia della nostra democrazia repubblicana. Quel varco eÁ stato aperto grazie alle battaglie del 1968. Una stagione che, pur tra alcune ombre, eÁ stata comunque positiva perche ha sollecitato un grande protagonismo ed ha determinato un salto nella presa di coscienza e nella consapevolezza, perche ha concorso a dare un colpo secco al dogmatismo intellettuale e religioso-clericale. Si affermoÁ allora, infatti, una concezione piuÁ laica, con la creazione di un orientamento, in larga prevalenza di sinistra, seppure, per alcuni aspetti, anche ingenuamente romantico. P. L.: Quel tratto distintivo, che richiami, alla partecipazione diretta, al protagonismo, l'ansia di una piuÁ ampia libertaÁ di sicuro ha segnato la storia piuÁ recente della nostra societaÁ e quella delle altre nazioni del Mondo. Credi che la spinta di progresso e di liberazione di quella fase ai tempi d'oggi sia del tutto esaurita, e che le tensioni e le ragioni di allora oggi risultino per sempre cancellate?

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O che, in ogni caso e nonostante tutto, quel segno rimanga mantenendo ancora oggi una sua qualche attualitaÁ? P. P.: Credo che non si possa sostenere che di quella stagione tutto sia stato inesorabilmente sepolto e che di essa oggi resti soltanto cenere. Certo, quel tempo non va considerato in termini apologetici e in maniera mitologica. A me pare che ad un certo punto alle domande poste da quel grande movimento si sia iniziato a dare risposte piuÁ adeguate anche da parte dei Partiti e delle organizzazioni di massa, in primis i Sindacati. Si eÁ trattato di un grande movimento, con una forte aspirazione ad una piuÁ ampia e larga libertaÁ, e forse assai utopistico, un tratto peculiare questo che eÁ tipico dei giovani. S'immaginava, allora, che si potesse capovolgere il Mondo, all'improvviso e in una sola stagione. Tutti peccammo di questa ingenuitaÁ. Pensavamo che il senso della storia stesse inesorabilmente e indiscutibilmente dalla nostra parte e che il radicale cambiamento che auspicavamo fosse dietro l'angolo. Bisognava solo osare per trasformare in realtaÁ i nostri sogni. P. L.: Tu, di origine beneventana e non salernitana, come hai personalmente vissuto quel periodo? Hai riscontrato qualche dif®coltaÁ d'inserimento nella nuova situazione o la tua integrazione in un diverso contesto ambientale eÁ avvenuta in maniera naturale, rapida e indolore? P. P.: Nel 1968 ero una matricola. L'UniversitaÁ non era ancora diventata di massa, come poi accadde soltanto alcuni anni dopo. Il rapporto coi miei colleghi fu immediatamente ricco ed intenso, la diretta conoscenza tra le persone e la condivisione dei problemi che avevamo in comune accentuoÁ il rapporto, l'unione, la collaborazione e la crescita di tutti gli studenti. Come ho giaÁ ricordato il grosso degli iscritti era fuori-sede. Moltissimi i pendolari: calabresi, lucani, pugliesi, molte persone provenienti dalle altre province campane vivevano in cittaÁ. Esisteva un rapporto diretto tra di noi e l'integrazione era del tutto facile. Fu un'esperienza viva e corale, di socialitaÁ inte-

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rattiva. Nell'UniversitaÁ e nel tempo libero. Si frequentava la piccola biblioteca e spesso ci si ritrovava lõÁ. In quel periodo fu messa in crisi, ®no a scomparire, la ``cultura'' goliardica che, ®no a quel momento,aveva albergato indisturbata nell'universitaÁ. Il movimento del 1968 la spazzoÁ via in un sol colpo. Prima erano stati i vari ordini goliardici le sole forme di rappresentanza del mondo studentesco. Le rivendicazioni all'egualitarismo e ad una piuÁ ampia libertaÁ li misero rapidamente fuori gioco. P. L.: Come giudichi la fase del passaggio dal movimento studentesco a quella della nascita e dello sviluppo dei gruppi extraparlamentari? P. P.: Nel movimento del 1968 esisteva ancora la ®ducia e la speranza nei mezzi del confronto, della discussione e del dialogo. La ragione e le lotte democratiche, a volte sviluppate con elementi di evidente asprezza e che in alcune fasi potevano assumere anche tinte un poco forti, erano in grado di cambiare il Mondo e lo stato delle cose esistenti. Poi, una parte di noi prese un'altra strada, quella del ricorso alla violenza, con la nascita di vari gruppi estremisti. Molti presero le distanze da quello sviluppo delle cose, ci fu una interna scissione al movimento dell'universitaÁ e al sopraggiungere della stagione degli anni di piombo e dell'esaltazione del ricorso alla violenza quale strumento di lotta politica. Le forze che si erano mosse in maniera unitaria iniziarono a sfrangiarsi, a separarsi ed a dividersi. InizioÁ un processo di interna disgregazione. Non si poteva condividere l'esaltazione del ricorso alla violenza. Per continuare l'azione intrapresa molti individuarono nuove strade, nei partiti storici della sinistra e, soprattutto, nei Sindacati confederali. Ci fu una grande af¯uenza e convergenza verso la CGIL-CISL-UIL. Verso i sindacati non corporativi. LõÁ pulsava l'anima laica, libertaria e di sinistra che, in parte, si ritrovava nei Sindacati Confederali. E poi ci si riconosceva nelle ragioni di fondo delle rivendicazioni della lotta operaia, nei motivi della lotta di classe. C'eÁ da aggiungere che il Sindacato, in genere, non entroÁ in

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quanto tale nel movimento come soggetto co-protagonista. Eppure era a quel tempo assai rappresentativo della classe operaia e dei lavoratori, in modo ben piuÁ profondo ed esteso che i Partiti politici. P. L.: Oggi si vive un'altra stagione, del tutto diversa da quella che abbiamo appena tratteggiato. Non ti sembra che si avverta, in maniera preoccupante, una indifferenza e una disaffezione diffusa, in specie tra i giovani, alla politica e alla partecipazione? Esistono, a tuo avviso, degli antidoti e quali a questa tendenza che per molti aspetti risulta oggettivamente negativa ed inquietante? P. P.: Non credo che tra i giovani di oggi ci sia il distacco e la disaffezione dalla politica in quanto tale. Credo piuttosto che la disaffezione a cui fai cenno derivi dai numerosi esempi dei processi di degenerazione dei Partiti e delle coalizioni che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi. L'attuale organizzazione della societaÁ ed i modi di costruzione del consenso determinano il disamore verso i Partiti e la politica. Si rischia, cosõÁ, di smarrire, in via de®nitiva, tutto cioÁ che di meglio ha rappresentato la fase storica a cui ci siamo riferiti. Questo eÁ il grande rischio che dobbiamo sforzarci di evitare. C'eÁ un'onda lunga ed un rigurgito, neppure tanto mascherato, di populismo e di autoritarismo, che puoÁ minare alla radice le aspirazioni dei giovani alla libertaÁ e ad una piuÁ ampia e compiuta affermazione di seÂ. Ai giovani coi quali spesso, anche per ragioni di lavoro, mi capita di discutere io continuo a dire che se vogliono pensare a qualcosa di moderno e di attuale devono leggere e rileggere autori come Platone ed opere di genio fondamentali quali ``La Repubblica''. La libertaÁ in cui oggi viviamo eÁ il frutto di tante lotte, non di rado aspre e dolorose, delle generazioni che ci hanno preceduto. Essa, peroÁ, di per se non eÁ assicurata per sempre ed in eterno. I giovani devono impegnarsi ad acquisire e mantenere una mentalitaÁ critica. La cultura eÁ l'insostituibile strumento per essere piuÁ liberi. Si deve dif®dare di tutti coloro che intendono mettere le brache al pensiero libero. Di un risveglio di certo c'eÁ bisogno. Serve per aprire un orizzonte

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nuovo. Ma cioÁ deve avvenire sulla base della conoscenza e del vaglio critico delle esperienze passate che ci sono tramandate. Non ci si puoÁ liberare di quella che eÁ stata la nostra storia ne eÁ possibile ricostruire nulla sulle ceneri. PercioÁ, la cultura, ieri come oggi, eÁ decisiva, ed insostituibile, di essa ci si deve appropriare per non rinunciare all'aspirazione di fondare un mondo nuovo e piuÁ umano. I giovani corrono il rischio, assai serio, di essere strumentalizzati dalla tecnologia e dalla tecnocrazia, a discapito della Scienza che eÁ la vera conoscenza. Mentre le tecniche conducono all'immediato ed a soluzioni, spesso parziali, del problema contingente, esse distraggono dalla individuazione e dalla comprensione del senso piuÁ profondo delle cose. EÁ decisivo, percioÁ, un potente rilancio del pensiero critico, della scienza e, piuÁ in generale, della ®loso®a. I nuovi mezzi di comunicazione di massa contengono il rischio, se non ben utilizzati, di rendere ogni cosa virtuale, recidendo e facendo sembrare inin¯uente e inutile ogni ricerca del confronto e della relazione tra persone. E invece la crescita della nostra societaÁ puoÁ essere garantita soltanto dal libero confronto e dalla discussione tra le diverse tesi. Credo sia nostro dovere dirigere i nostri atti quotidiani avendo chiaro questo orizzonte e questa prospettiva.

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ADDAVENIÁ! A RIVISTA ANARCHICA ANARCHISMO ASSEMBLEA OPERAIA ASSEMBLEA GENERALE AVANTI POPOLO AGRICOLTURA E LOTTA DI CLASSE AUTONOMIA DI CLASSE AUTONOMIA PROLETARIA AVANGUARDIA OPERAIA AVANGUARDIA COMUNISTA AVANGUARDIA PROLETARIA BOLLETTINO BATTAGLIA COMUNISTA

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BOLSCEVICO (la) CLASSE CABALA CHE FARE (il) COMUNISTA COMUNISMO CONTROINFORMAZIONE COLLEGAMENTI CORRISPONDENZA INTERNAZIONALE COSCIENZA OPERAIA CONTROPOTERE CONTROCORRENTE COMPAGNI COMPAGNE CONTRO IL PADRONE CONTRROSTAMPA COLLETTIVI DIREZIONE OPERAIA DOPPIA COPPIA DONNE CONTRO DIFFERENZE DAZIBAO ESERCITO E POPOLO EFFE FABBRICA APERTA FABBRICAQUARTIERE (la) FALCE FILO ROSSO FRONTE COMUNISTA FUOCO FUORI FUORI DALLE LINEE GATTI SELVAGGI Á COMUNISTA GIOVENTU (il) GRUPPETTARO GIORNALE OPERAIO (il) GRAN SERRAGLIO INCHIESTA IDEOLOGIA PROLETARIA INIZIATIVA PROLETARIA INFORMAZIONE DIRETTA (l') INTERNAZIONALISTA


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(l') INTERNAZIONALE INCHIESTA QUARTIERI LAVORO ZERO LOTTA ALLA PIRELLI LOTTA COMUNISTA LOTTA DI CLASSE LOTTA DI LUNGA DURATA LOTTA PARTIGIANA MAGLIANA IN LOTTA MAQUIS MILANO DIECI MO' CHE IL TEMPO S'AVVICINA ML MOVIMENTO STUDENTESCO MURALES NUOVA RESISTENZA Á NUOVA UNITA NOTIZIARIO DEL CD DI PISTOIA OMBRE ROSSE (le) OPERAIE DELLA CASA OMPO OLTRE (il) PANE E LE ROSE (il) PARTITO COMUNISTA IN PIAZZA POLITICA ED ECONOMIA POLITICA COMUNISTA POTERE OPERAIO POTERE OPERAIO DEL LUNEDIÁ PRIMO MAGGIO (il) PROGRAMMA COMUNISTA PUGNO CHIUSO (il) PROLETARIO QUADERNI CALABRESI QUADERNI PIACENTINI QUARTIERE ROSSI RASSEGNA COMUNISTA RE NUDO (la) RESISTENZA CONTINUA RIPRENDIAMOCI LA NATURA (la) RISCOSSA COMUNISTA (la) RIVOLUZIONE COMUNISTA

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RIVOLUZIONE INTERNAZIONALE RIVOLTA DI CLASSE RIVOLTA PROLETARIA ROSSO (la) SCINTILLA SENZA PADRONI SENZA TREGUA SERVIRE IL POPOLO (per il) SINDACATO ROSSO (la) SINISTRA SINISTRA PROLETARIA SPARTACO SU POPULU SARDU SAMPIETRINO SENTIERO DI GUERRA TERZO MONDO Á DI CLASSE UNITA Á PROLETARIA UNITA Á OPERAIA UNITA Á E LOTTA DI CLASSE UNIVERSITA UNIONE INQUILINI VALLE GIULIA VIVA IL COMUNISMO (la) VOCE OPERAIA VIA FERRO VENTO DELL'EST VOGLIAMO TUTTO Á VOLONTA


Gli autori GIUSEPPE ACOCELLA

FERDINANDO ARGENTINO

ANTONIO CAIELLA

GIUSEPPE CANTILLO

BIAGIO DE GIOVANNI

LUCIA DI GIOVANNI

ordinario di Etica sociale, Presidente del Corso di laurea in Scienze del servizio sociale dell'universitaÁ ``Federico II'' di Napoli, componente del Comitato scienti®co del Centro studi vichiani del CNR, membro del Consiglio scienti®co dell'Istituto ``V. Bachelet'', eÁ Vice-Presidente del CNEL. EÁ autore di monogra®e e saggi sui problemi dello Stato contemporaneo e sulla crisi del diritto, sulla storia delle idee e del pensiero etico-politico, sulla storia dei movimenti sociali, sulla bioetica e sull'etica applicata. eÁ stato Segretario generale della CGIL di Salerno e, prima, segretario regionale Filtea Cgil Campania. EÁ attualmente Presidente della societaÁ Salerno Energia. operaio ceramista e delegato sindacale, poi segretario provinciale della Filcea Cgil, eÁ attualmente pensionato. ordinario di Filoso®a Morale nella facoltaÁ di Lettere e Filoso®a dell'universitaÁ ``Federico II'' di Napoli, giaÁ Presidente del Polo delle Scienze Umane e Sociali e della Fondazione ``Filiberto Menna'', eÁ direttore del Centro di Ateneo per la Scuola di Alta Formazione. Membro di accademie e delle direzioni di riviste nazionali ed internazionali, ha pubblicato studi sulla Goethezeit, su Hegel, sull'Historismus, sul nesso etica-storia, su Jaspers, sulla ®loso®a italiana. ordinario di Dottrine Politiche presso ``L'Orientale'' di Napoli (di cui eÁ stato rettore), eÁ titolare della cattedra Jean Monnet di Storia e politica dell'integrazione europea. GiaÁ parlamentare europeo, esponente di spicco del PCI, del PDS e dei DS, eÁ stato presidente della Commissione per gli affari istituzionali. EÁ autore di libri sull'Europa moderna e contemporanea, sul Comunismo, sul PCI, su Marx, Hegel, sull'esperienza come oggettivazione, sulle origini del problema moderno della scienza. giornalista professionista per quotidiani a diffusione

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GLI AUTORI

MICHELE FORTUNATO

SALVATORE GALIZIA

GIANNI IULIANO

MASSIMO LA VIA

PASQUALE LENZA

PIERO LUCIA

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nazionale e addetto stampa per enti e Istituzioni, si interessa di cinema e teatro; ha pubblicato La voce mancante. Dialogo con Carmelo Bene, Plectica, Salerno 2007. ex-operaio tessile delle MCM, oggi in pensione, eÁ stato delegato sindacale della Filtea Cgil e componente la Segreteria Provinciale SPI di Salerno. nativo di Cassano Ionio, si eÁ laureato in Storia a Salerno con Luigi Cortesi. Ha organizzato il Movimento dei disoccupati del settore edile, nel quale ha lavorato per anni. Ha insegnato, successivamente, a Milano (®no al 1990), a Rossano Calabro, ad Amal®, a Nocera Inferiore, e dal 1998 all'ITC ``Genovesi''. Si interessa ed approfondisce temi di storia economica contemporanea, collaborando con la CGIL-Scuola. Attualmente Vice-Presidente dell'Amministrazione Provinciale di Salerno, giaÁ Senatore della Repubblica (XIII Legislatura) e Presidente della ComunitaÁ Montana della Valle dell'Irno, eÁ professore di Oculistica alla facoltaÁ di Medicina della SUN. esperto di informatica e di gra®ca editoriale, vive e lavora a Salerno, eÁ responsabile del Laboratorio di Informatica dell'ISIS ``Giovanni XXII'', eÁ stato segretario organizzativo della UIL di Salerno. Sviluppa il planning delle iniziative per ``Pensiero eÁ LibertaÁ'', di cui eÁ vice-presidente. professore di Galenica e Cosmetologia alla facoltaÁ di Farmacia dell'universitaÁ di Salerno, si interessa di storia della farmacia e della farmacopea. EÁ presidente di ``Pensiero eÁ LibertaÁ''. EÁ stato dirigente della Federazione comunista di Salerno e della Scuola Meridionale del PCI di Contursi Terme. GiaÁ Segretario provinciale della Filtea e della Funzione Pubblica CGIL, della Segreteria Regionale Campana della Federazione Formazione e Ricerca, eÁ autore di numerosi saggi e relazioni (in specie sui movimenti culturali e sul movimento operaio e sindacale del '900); ha, di recente, pubblicato Intellet-


Gli autori

PAOLO PETRACCARO

tuali italiani del Secondo Dopoguerra: impegno, crisi, speranza, Guida Napoli 2003; Salerno, Firenze, frammenti sparsi di storia e di cultura democratica, Arti Gra®che Boccia, Salerno 2004; Nel Labirinto della Storia perduta, Guida, Napoli 2006. dirigente scolastico, collabora alle attivitaÁ della cattedra di Teoria e Tecniche delle comunicazioni di massa della facoltaÁ di Scienze delle Comunicazioni (UniversitaÁ di Salerno). EÁ responsabile di corsi di formazione per docenti e dirigenti.

LUIGI PIZZA

Medico chirurgo, specialista in Psichiatria, responsabile UOSM di Sapri, eÁ autore di saggi e ricerche sulla psichiatria pubblicati sulle maggiori riviste nazionali del settore.

ERNESTO SCELZA

docente di Filoso®a negli licei, ex-consigliere provinciale del PDS a Salerno, eÁ Presidente della Consulta provinciale immigrati e portavoce nazionale AssoPace.

FRANCESCO SOFIA

vive e lavora a Salerno. Si interessa e scrive di demogra®a, storia sociale, didattica della Storia. Ha in corso una ricerca sugli andamenti climatici e l'economia marittima del Principato Citra in etaÁ moderna. EÁ condirettore scienti®co della rivista «Annali Storici di Principato Citra».

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Indice FRANCESCO SOFIA Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5 19 GIANNI IULIANO Quarant'anni dopo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 23 PASQUALE LENZA «Pensiero eÁ libertaÁ» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » PIERO LUCIA Il 1968 e gli anni '70 a Salerno: origini e storia 29 di una mutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » GIUSEPPE ACOCELLA Un '68 «cattolico»? . . . . . . . . . . . . . . . . . » 105 ERNESTO SCELZA Il '68 a Salerno: in forma di ballata . . . . . » 111 FERDINANDO ARGENTINO Il '68 a Salerno: giovani, politica, ragioni della militanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 121 LUIGI PIZZA Negli anni Sessanta: le radici di un'altra rivoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 131 GIUSEPPE CANTILLO Salerno, il '68, la profezia di una societaÁ estetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 147 BIAGIO DE GIOVANNI Ricordi salernitani . . . . . . . . . . . . . . . . . » 153 Interviste (a cura di PIERO LUCIA e FRANCESCO SOFIA) ANTONIO CAIELLA Duisburg-Salerno solo andata: 192 lire all'ora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LUCIA DI GIOVANNI Nessuno piuÁ mi ha tenuta . . . . . . . . . . . . MICHELE FORTUNATO Ho trovato una vaccarella con le zizze piene di latte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . SALVATORE GALIZIA Afferra il libro: eÁ un'arma . . . . . . . . . . . PAOLO PETRACCARO Noi matricole, dalla goliardia alla coscienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . MASSIMO LA VIA Per una bibliogra®a del Sessantotto . . . . .

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Gli autori Indice

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FINITO DI STAMPARE NEL NOVEMBRE 2008 CON I TIPI CECOM SNC BRACIGLIANO (SA)


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