Piero Lucia SUL FILO
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Copertina e disegni di Ludovico Carrino 2
A NinĂŹ Di Marino, maestro e amico caro
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La trama del racconto è nata così, come per caso, all’improvviso. Discutevo con un amico della provvisoria caducità delle umane cose e di come, in un qualsiasi momento della vita, un’esistenza può essere stravolta e devastata dal sopraggiungere di una notizia negativa e inaspettata. Qualcosa che scompone ogni tua certezza, rendendo vani in un istante i tuoi progetti. E’ assai complesso, dopo lo sbandamento e lo stupore, ritrovare dentro di sé ogni residua traccia di energia, ridare un senso e una ragione al tempo che ti resta. Non c’è persona, né nucleo familiare che non abbia dovuto affrontare, nel corso della sua esperienza, una prova così dura e dolorosa. E’ allora decisivo scavare dentro di sé la forza estrema, tentare di vivere e resistere, rifiutare la resa, scavando con le unghia l’ultima trincea. Il racconto ricorre di frequente alle metafore e mischia di continuo realtà e fantasia. La trama si snoda, nella sua essenzialità, fino al colpo di scena conclusivo, all’imprevisto epilogo. Ciò può accadere nella libertà creativa della letteratura, meno nella realtà. 4
Mi corre l’obbligo di ringraziare il mio amico Michele, detto Mix, per avermi aperto il cuore ad una confidenza personale riservata in un passaggio complesso della sua esistenza.
L’autore P.L.
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Il Viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada, è la propria anima che sta cercando Andrej Tarkovskij
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L’ARTE MISTERIOSA DI FISSARE PER SEMPRE LE PAROLE
In ogni attimo di vita sulla terra, fino al limite estremo più remoto del pianeta azzurro, esseri umani, dentro i loro pensieri, dialogano con gli altri o con sé stessi, in preda a contrastanti sentimenti di gioia o di dolore. Pensieri sparsi, convulsioni, in continuo ed incessante movimento, dentro l’inarrestabile fluire, l’umanità si muove nella plurale varietà di umori e sensazioni, di amore e di speranza, acredine o rancore, dentro l’amarezza ed il mistero di una nostalgia sublime ereditata. Nell’armonia di stelle e di pulviscoli concentrici, nel girovagare forsennato circolare che è sempre stato da quando c’è la terra e che sempre sarà. Dopo il tempo oscuro dei dogmi religiosi che, nel lungo sonno, hanno incatenato ad una dura 7
roccia le coscienze, ritrovato il fragile sentiero di una presuntiva, parziale libertà, mai prima conosciuta, inizia quel viaggio, alla ricerca di una nuova meta. E’ sempre stato così, fin dai primordi, e continuerà dopo di noi, fin quando resisterà il tempo che ci è dato, all’ultimo, definitivo istante, a un passo dalla fine. Da quando davanti a lui si era dischiuso quel bianco bagliore luminoso, fitto di un chiarore che abbagliava, aveva ripensato il suo destino. Sentiva dentro di sé un fervore, intenso e divorante, brace di fuoco in un angusto anfratto senza luce. Famelico divorava, in un baleno, qualsiasi cosa scritta gli capitasse per caso tra le dita. Scritture di coriandoli dorati in movimento alla ricerca di una nuova via, dì una coscienza nuova, di un altro senso, un ordine celeste dotato di armonia, nell’infinito punteggiato d’inaccessibili stelle luminose. Suoni e parole si mischiavano, in una sublime e originale sinfonia, con l’andamento virtuoso di delicate note lontane di un concerto.
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Un universo, di note e di parole, perfettamente tra loro combinate, che affinava la primitiva e originale essenza. Vacui miraggi astrusi, nell’illusione vana di espungere da sé, per sempre, l’eterno timore della fine. Nessuno, passato il nostro tempo, ricorderà nulla di noi se non la parzialità di un’ombra, sempre più pallida e sbiadita, consegnata all’assoluta e finale consunzione. La vita procederà di nuovo e sempre, verso cose insieme antiche e pur completamente nuove, e gli antenati saranno riposti nel silenzio e nell’oblio. Falsa l’idea illusoria dell’immortalità, tutto è caduco, ed ogni cosa poi ritorna inerte, niente è per sempre, nulla è per nessuno. Eppure come si vorrebbe invece avere la certezza che tutto ciò è solo il frutto di un’astratta, superba ed arbitraria congettura! In un istante, tutto gli si era all’improvviso complicato. La diagnosi, dopo un normale controllo di routine, era stata infausta e gli restava da vivere per troppo poco tempo ancora!
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L’istintivo impatto con l’orrore mischiava la sua anima all’assoluto vuoto, il solo suo implacabile destino. Aveva a quel punto iniziato a far tesoro di ogni istante, di luce e di ragione. Considerando quanto gli restava, rivalutava con stupore intorno a sé qualunque cosa, da una bella giornata luminosa, ad una camminata, ad una conversazione con un amico. Una mistura, insieme di malinconia e gioia, della semplicità parsa smarrita in un istante solo. Un grumo di emozioni che più volte in passato aveva dato troppo facilmente per scontate. Sensazioni, più profonde e intense, che mai in quel preciso modo aveva in precedenza conosciuto. Riposto come corpo relegato, quasi del tutto privo di coscienza, sul ciglio di un burrone, sentiva solo il nulla, gli atti incompiuti, le tante cose che non avrebbe mai finito. Ed al destino non poteva reagire in alcun modo. E quanto gli risultava straziante e fittamente doloroso pensare di procurare involontariamente a chi gli voleva bene quel dolore! Di certo sarebbe stato meglio togliere il disturbo e da questa terra per sempre andare via. 10
L’uomo può sopravvivere al suo tempo solo trasmigrando nella memoria dei posteri attraverso i segni e la scrittura, nel nuovo spazio inesplorato, nell’infinito labirinto, di simboli, orali oppure scritti, raccolti nelle sterminate biblioteche del sapere. Le immagini e lo scritto, lasciati in testamento, l’unica traccia che, indelebile, pur ci sopravvive. Aveva lentamente poi imparato l’importanza senza prezzo del silenzio, di quella dimensione solitaria che, nel suo volo, intercetta perfino la più tenue e sottile smagliatura. La mente si caricava di pensieri e di parole che, copiose, gli iniziavano a sgorgare dall’anima in tumulto, prima spesso distratta da indistinti stridii di suoni sovrapposti. Vedeva un altro mondo intorno a sé, di cui ora coglieva anche la più sottile sfumatura e intercettava, come non gli era mai accaduto, l’immensa voce melodiosa, del vento e delle stelle, che circondava la sua temporale identità. Un chiarore dell’anima, ed una sinfonia di note, che non aveva in passato mai avvertito. Coglieva, dopo essere rimasto a lungo quasi cieco e inebetito, con nostalgia, le sfumature di colore, di acqua, terra e cielo insieme. Le 11
gradazioni, di grigio, giallo, verde, rosso, blu e viola, con quei trapassi sconcertanti e misteriosi dentro l’avorio e nell’argento vivo. Abbaglianti strisce chiarissime di luce tagliavano l’acqua con la spada e l’oro bruno. E s’immergeva, coi suoi bizzarri vortici, fin nelle pieghe dei più profondi abissi ed interstizi del pensiero. Niente di ciò che senza ritorno per il suo tempo residuo gli veniva ancora dato andava perso! Il suono delle parole lo teneva desto, sentiva dentro di sé la spinta a sistemare, con fine arte virtuosa, le voci ed i concetti che fluivano di getto dentro sé come zampilli di acqua di cristallo. Andava con affanno alla ricerca del filo d’Arianna di una nuova trama. Miliardi e miliardi di parole, leggere come piume, nell’angolo eterno di cristallo bianco frantumato.
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ALL’OMBRA DI RASKOLNICOV
Del tempo andato adesso chiaramente ricordava il senso di quella gioia particolare che riuscivano a scambiarsi tra di loro, pieni di polvere e neri di fuliggine, come in balia di una sensazione di perenne ed inebriante libertà, senza confini e senza condizioni. In lontananza, le note di un grammofono tingevano l’aria tutto intorno di un’armonia di suoni, leggeri e melodiosi, che sembrava attraversare senza fatica le montagne, seguendo un flusso di pensieri lucenti e indefiniti che, come un ruscello, conduceva al mare. Sulle ali lontane delle note, la mente varcava confini sconosciuti aprendo poi le braccia al grande oceano ignoto che si versava dentro l’infinito. In quella dimensione, un battito di ciglia senza tempo, varcava ogni frontiera col
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pensiero, ormai proteso ben oltre tutto ciò che aveva fino ad allora segnato il proprio io. La notte e il giorno, nell’incessante dinamismo senza fine, si rincorrevano quali fanciulli festosi in un baleno, consumando ogni istante di quel tempo che si perdeva con la propria ombra. Nel ripostiglio dell’abitazione un giorno per caso aveva individuato uno scaffale, su cui erano riposti alla rinfusa pacchi di libri, ricoperti di polvere e ingialliti, tanti anni prima già appartenuti al nonno, il vecchio dai capelli bianchi come neve. Aveva iniziato a rovistare tra le tante parole astruse sconosciute, attratto sempre più da varie figure stilizzate, viatico sicuro di nuovi squarci di luce al suo pensiero. Con la meraviglia pura di un bambino, aveva visto snodarsi innanzi a sé storie di scuri marinai, la pelle nera, arsa di sale e sole, di maghi e di magie, racconti sorprendenti venuti da un’altra dimensione sconosciuta. Era un testamento per gli eredi, un piccolo tesoro, d’inestimabile valore, di cui nessuno aveva mai intuito a pieno l’importanza. Lo sguardo gli si posò su un grosso volume di colore scuro, in quarta di copertina scritte 15
brevemente riassuntive di una trama. Un libro straniero, in cui si raccontava di un delitto consumato in una lontana città della nazione russa, distesa di territorio immenso e sterminato, di un giovane studente che era diventato un assassino, del suo tormento per quanto aveva fatto. Che strana storia, che storia misteriosa, che nome inconsueto aveva il protagonista, come era oscura quella trama di chi aveva voluto essere Dio che giudica i suoi simili dispensando, a discrezione, i torti e le ragioni. Un’immensa solitudine interiore, ed il rimorso, che lo fagocitava dentro le sue spire. E poi il suo nome che aveva, dentro sé, qualcosa di particolarmente tenebroso, quel nome condensato di mistero, il nome di Raskolnicov. La notte era stata cruda ed ostile e non gli aveva consentito alcuna tregua. Ghermito nelle sue oscure trame, uno dopo l’altro, aveva lacerato e resi vani i suoi luminosi ricordi di bambino. Rimasto imprigionato nella rete di un inesorabile destino cupo e sconosciuto, era restato inerte, come perso. Smarrito il riso dell’infanzia, sfumato e reso incerto nella mente ogni ricordo del gioco dei 16
colori, un tempo limpidi e sicuri, quella dimora di agrumeti dove era vissuta la sua lunga stagione di fanciullo in un battito di ciglia si era all’istante consumata. Perduta per sempre la stagione di antica giovinezza spensierata. Un battito d’ala di gabbiano, il sogno estinto, il tempo lontano dei nitidi ricordi d’incanto era finito. La grande distesa d’acqua azzurra e quieta lo rassicurava, scambiava sguardi complici con lei, fissava un punto fisso lontano all’orizzonte e lentamente finiva per confondersi con esso. L’uomo ed il mare, d’incanto, divenivano come una cosa sola. Aveva iniziato questo strano rito un tempo ormai lontano, di tanti, tanti anni fa, non ricordava più nemmeno quando. Se accadeva che i tumulti dell’anima si accavallavano tra loro al punto da contorcergli i nervi con le membra e si smarriva tra il tempo e i fatti in cui si dibatteva, quando non riusciva più a contenere un’emozione e un giorno di luce diventava notte e il cuore lentamente gli diveniva nero, cercava un modo che gli restituisse l’agognata pace, perduta negli oscuri anfratti della mente. 17
Volgeva il proprio sguardo lontano, all’orizzonte, ove il mare turchino finiva per confondersi in una immaginaria linea bianca, solenne ed infinita, e si mischiava in una sola cosa coi confini dilatati dell’immenso cielo azzurro sovrastante. Allora ogni accentuazione d’asprezza e di tensione volava via come d’incanto e riusciva a dare un nuovo senso ad ogni cosa. Dopo quel dialogo fitto col suo io, composto dall’assenza di parole, mentre la mente si elevava lieve e quasi non avvertiva più il peso del suo corpo, mutato in altro tornava lentamente sui suoi passi ed i pensieri, risistemati al meglio nella mente, non gli procuravano più alcuna angoscia o emozione. Sentiva come sgorgare dal suo sangue il rito delle antiche religioni, avvertiva di essere come qualcosa che, nell’infinita limitatezza e fragilità del tempo umano, serbava al proprio interno, in tutta la sostanza, nell’energia scintillante del suo vivere, intatti i segni dell’anima del mondo. In questa dimensione niente più finiva, tutto continuava a fluire e si mischiava, e poi 18
sfociava nell’infinito, assurdo e strabiliante gioco, di luci e di colori. L’uomo vive quando è in un’onda assidua e ininterrotta di pensieri e sentimenti. Come il sublime delle tenebre è nella luce che muore, così il culmine della disperazione è nella morte della speranza. In quella metamorfosi agghiacciante non ritrovava più il suo sentiero. Da fanciullo si era confuso con la terra, di cui riconosceva le impercettibili scaglie dell’odore. Amava il rapporto col terreno ed il suo borgo di periferia ove si era concentrata, nel correre del tempo, l’antica memoria dei suoi avi. Dentro di sé, ovunque procedesse seguendo gli imperscrutabili percorsi della vita, lo inseguiva l’ ancestrale ricordo di odori aspri e di colori, la nitidezza pura di quel cielo che non aveva eguali. Chiudendo gli occhi, rivedeva l’eterno volo di quel falco nel cielo limpido celeste, stracolmo di suggestioni e di armonie.
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E TUTTO INTORNO UN ODORE DI ARANCI E DI LIMONI
Quando tornava indietro nel passato con la mente, d’incanto ritrovava intatti il volto di strade e di rioni impolverati. Riascoltava in modo nitido le voci, fresche e cristalline, che incessanti s’inseguivano tra loro nel vorticoso giro di parole emerse dall’anima del mare come melodia delle sirene. Voci, di frotte di fanciulli, mischiate alla rinfusa nel vortice dell’aria luminosa. Un tempo, scandito da lentezza, che dava l’illusione di non dover mai finire. Macchie di corpi indistinti, la polvere ricopriva i loro volti e li rendeva eguali al grigio, denso impasto della terra. Il cielo azzurro e i prati, nell’infinita varietà di verde, al tempo stesso denso e chiaro. Suoni dallo schietto chiarore del cristallo, lo
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smog non invadeva l’aria tutto intorno, l’opaco quasi del tutto sconosciuto. Il mare, il cielo, la terra combinati in un unico, armonico assemblaggio, tutto intorno un melodico ritmo di note, lente e cadenzate. L’aria, impregnata d’odore di salsedine marina, trainata dolcemente sulle ali dal vento amico, ma soprattutto l’odore, aspro e leggiadro, di aranci e di limoni. L’odore degli agrumi confuso, col meglio della gioventù, nell’esclusività del solo istante. Poi, poco per volta, un giorno dopo l’altro, era morta l’infanzia e l’immaginazione, l’intelligenza, l’estro, il gioco, la tenerezza si erano incrinati e quasi estinti, diventando ombre, lente e trasparenti. Un cielo tenebroso, plumbeo e soffocante sopra il capo, gettava lampi di tenebre su tutte le restanti occasioni della sua esistenza. Quale ragione per continuare a vivere, se si era completamente smarrito il senso e la luce della speranza nella vita! L’afa appariva un concentrato estremo di umidità che intorpidiva inesorabilmente i sensi. 22
I concetti emersi, apparsi in superficie e poi riposti negli angusti meandri della psiche, restavano sospesi, per proprio conto, quasi appollaiati sulla superficie di infuocato magma del vulcano e poi si disperdevano, privati di fissione. Ogni pensiero apparso all’improvviso ora si posava inerte, soltanto sul moto inquieto ed indistinto delle onde, prima di sparire per sempre dentro le spire dell’immenso oceano che, nel suo incessante, ondivago procedere tutto nel suo ventre disperdeva. Quale sorpresa dolorosa nel registrare l’interruzione di una vitalità creativa, dell’energia vitale con cui a lungo aveva convissuto e che non gli aveva mai dato in passato tregua alcuna. Le parole correvano alla rinfusa sui muri della mente, mosse da forza propria d’anarchia, sfiorando in superficie le gialle pareti d’ocra del pensiero. Ora non era più possibile rincorrere il ritmo incalzante delle ore, seguire l’istinto animalesco che proponeva di getto emozioni forti, inconsuete e sempre nuove. Naufrago, relegato in una bottiglia di colore verde cupo in 23
fondo al mare, voleva a tutti i costi finalmente approdare ad una riva. Come gli accadeva nei suoi momenti di endemica incertezza, si mosse quasi spinto dall’inerzia e si diresse deciso verso il mare, nel concentrato bianco, azzurro e verde di colori. Stordito dalla pressione del sole caldo e dal calore intenso che non consentiva di ritrovare alcun sollievo, eppur deciso a ritessere la trama che temeva di aver smarrito per sempre per la via. Rimase ore ed ore sulla riva, guardando verso il nulla all’orizzonte, senza pensare a niente di preciso. Solo un indistinto nebuloso che mescolava, insieme, alla rinfusa, immagini e fatti diversi e sovrapposti, già appartenuti a un altro tempo andato. Poi dentro di lui di nuovo emerse un nuovo istinto e finalmente rintracciò la strada.
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NELL’ACQUA FREDDA E CHIARA, DENTRO QUEL SENSO DI INFINITA LIBERTA’
L’acqua salata, fredda e cristallina, gli aveva impregnato di salsedine la pelle. Immerso nelle onde, d’incanto sembravano scomparse le scorie che avevano invaso, insieme all’uragano, la sua mente. Nel gioco astratto e dilatato disponeva, con assoluta progressione aritmetica, l’infinita fila dei numeri tra loro e i suoi pensieri ricomposti in una rigorosa ricostruzione temporale, cedendo il posto ad un’appagata sensazione d’equilibrio, ormai da troppo tempo non vissuta. Tagliava con decisione estrema il mare e le sue onde, col mulinare ritmico di braccia, inseguendo sé stesso in un punto indefinito che si spostava sempre più lontano all’orizzonte. 25
In quel suo procedere deciso, vedeva nitidamente scandagliarsi dentro di sé l’intero film di ciò che nel passato era già stato. Ed inseguiva sicuro quel nitido percorso di memoria, con i dolori e insieme con le gioie e le emozioni in esso concentrati. Procedeva in avanti, sicuro, nel continuo ed incalzante divenire. Vedeva più a fondo e ben più in chiaro, dentro l’essenza vera e primordiale dei fatti e di sé stesso. Nell’armonioso e ritmico procedere sull’onda, le sue passioni, i sentimenti estremi d’amore e di passioni che si portava dentro finalmente sembravano quietarsi all’improvviso. Un’altra dimensione, come astrale, meno contaminata dalle contingenze, in una nuova forma d’equilibrio, insieme più pacata e più serena. Ora, guardando indietro a ritroso dentro al tempo, prossimo alla fine, quasi sorrideva del modo smisuratamente ingenuo e dilatato con cui aveva attraversato gli avvenimenti prima.
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Aveva sempre vissuto qualunque cosa in modo estremo. Adesso comprendeva finalmente il vero senso di quanto aveva detto quel poeta per cui il trionfo e la rovina erano entrambi null’altro che impostori. Entrava a piedi uniti negli accadimenti e di quella totalità esagerata adesso sorrideva. Capiva in pieno come qualunque cosa invece è relativa, è sempre solo frutto del suo tempo, che è di necessità parziale e contingente, per tale semplice ragione mai vera per sempre e in assoluto. Nella serenità profonda di quel mare, in quel rumore d’onda d’ovatta di silenzio, nel mare azzurro e vivo, privo di limite o confine, adesso intendeva finalmente e per davvero la varietà plurale di ogni cosa, l’ambivalenza di ogni sua esperienza ed il senso ininterrotto del moto fluente e misterioso della vita. E percepiva con chiarezza che, in quel continuo flusso perenne, mai niente per sempre si perdeva. Rivedeva in filigrana, di ritmica scansione, l’intero film della sua vita in bianco e nero. Qualsiasi cosa ritrovava, in quel suo nuovo spazio, la più sicura collocazione naturale. 27
Ed il percorso di quella fitta trama perveniva alla sua inattesa, appagante sistemazione conclusiva. Procedeva cosÏ, nel gioco incalzante del pensiero, ed i ricordi seguivano ai ricordi, nel labirinto di passioni e sentimenti in altro tempo ritenuti eterni. In quel girovagare convulso della mente, rivolta ormai senza rimpianti a stadi pregressi consumati, ad ogni strato riemerso dal mondo sotterraneo della sua coscienza, veniva in suo soccorso una sensazione nuova e piena di profonda, inesplicabile condizione di pace e di dolcezza. In quegli interminabili secondi, ere glaciali interminabili, in pochi istanti riviveva il concentrato dei fatti piÚ veri ed intensi della vita. Affetti, gioie, amori, limpide immagini di persone care ormai scomparse gli erano in poche frazioni di secondo d’istinto nitidamente rimbalzate di nuovo nella mente. E aveva attraversato, nel corpo e nel pensiero, le sconfinate, verdi praterie del tempo andato ed ogni frammento di spazio sconosciuto. Voleva somigliare al libero aquilone, librato dentro 28
l’aria, portato su dal vento fin dentro il cielo blu. Meteore lontane, di un’epoca perduta, rimaste conficcate fin dentro i più nascosti sentieri della psiche. Naufragio irreparabile dell’anima che celava ogni residua traccia lontana del ricordo. Strade sepolte da quella prorompente “civiltà” che, strato per strato, aveva sommerso le antiche consuetudini col mare di cemento, irregolare e anonimo, per sempre seppellendo, con i ricordi, le civiltà e le specie un tempo copiose, cariche di luce. Forme di vita primigenie, uomini, piante ed animali, sentieri e strade scomparsi nell’oblio definitivo, insieme all’antico, originario spirito del Mondo. La dolorosa nostalgia che gli aveva da troppo tempo pervaso e catturato l’anima consegnandola inerme al suo destino doveva tuttavia ad ogni costo, in altro modo, riproporsi e diventare dolce. Scrisse le sue speranze sulla sabbia, con un inchiostro intriso della sua umanità. 29
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RAZZI CINESI E FUOCHI D’ARTIFICIO
Il cervello divenne, in un istante solo, dimora celata di fuochi di bengala. Gli occhi invasi dalle fiamme e intorno ogni cosa che si animava e diveniva di colore d’oro. Suoni lontani, di persone vaghe, si aggiravano dietro una porta vuota. L’io affondava, gracile vascello invaso da tempesta. L’anima veniva strappata al proprio corpo e un freddo glaciale gli penetrava all’improvviso dentro. Credeva di morire, mentre il dolore interiore gli cresceva a dismisura. Di fronte gli si aprivano, con le allucinazioni, abissi marini di orrore inenarrabile, del tutto sconosciuti agli uomini normali. Iniziò il gioco di contrasto, mortale ed infinito, con la demenza che lo invadeva, attrasse sempre più dentro di sé l’immenso concentrato di deliri
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così da poterli possedere e dominare, traendo da quella mutazione un timido piacere. La malattia sembrava procurargli acute, insopportabili fitte nel cervello, ed una sensazione di profondo vuoto, un’apatia senz’anima e priva di passioni pareva penetrargli nei più diversi pori della pelle. Sovraeccitabile, come corda tesa di violino, i nervi trasalivano ad ogni repentina scossa del suo io. E allora le sue membra insieme si mettevano a vibrare. Bastava il più piccolo e impercettibile rumore perché fosse ghermito dal terrore, da quelle nere immagini macchiate che avevano iniziato ad apparire sopra il muro. Avevano intenzione di rapirlo, portandolo con loro in altri spazi, nelle costellazioni di ogni dimensione popolate dai mostri dilatati dell’immaginazione. La sua paura spesso si trasformava in un improvviso grido di terrore, l’urlo di Munch che riviveva, un colpo di pugnale medioevale assai affilato intersecava l’anima. S’irritava per il più impercettibile fruscio gli rodesse nella testa. Dentro al suo cranio si era creato un lago, una grande distesa d’acqua piatta e immobile, nel suo cervello ogni cosa si 32
rifrangeva e rimbombava di continuo, in modo forsennato. L’assurdo rumore perversamente si espandeva, scintillando a dismisura, ben oltre ogni impercettibile confine. Tumultuava e ribolliva col suo sangue, continuo, asfissiante, senza posa, come milioni e milioni di cascate in corsa verso il mare. Il senso dell’inesorabile tempo che scorreva, l’esatta percezione della caducità d’ogni perduta cosa, edulcorata e avvolta senza ritegno nell’assoluto inganno, sembrava dirigere d’inerzia ogni suo atto. Contratti in via definitiva dentro di sé i desideri, in quel confine ambiguo dei ricordi, come in un film mai fino al conclusivo atto completato, vedeva scorrere veloci le immagini di quanto fino ad allora era accaduto. La trama riproponeva luoghi e città lontane, vaghe e misteriose, immagini austere di antiche, potenti cattedrali edificate dall’agire umano, inaccessibili simboli di pietra rivolti orgogliosi verso il cielo a cui si protendevano le mani. Civiltà antiche, in larga parte sconosciute alla contemporaneità, appena ricoperte da patina d’oro di polvere sbiadita, sotto il suo sguardo 33
perduto nelle nebbie, sembravano all’improvviso rianimarsi legando finalmente in una sola cosa il tempo che era stato a quello attuale. La nostalgia adesso non si tramutava in sentimento oscuro e nero d’amarezza, ma lo accoglieva amica, in quella dimensione calda, di torpore, in cui era vietato ad altri d’insinuarsi. Il filo d’oro dei pensieri ora rendeva finalmente il suo cammino più lieve e più leggero, quasi che il corpo non dovesse più sopportare alcun volume, nel mentre la sua anima si librava in alto, nell’immaginario volo del falcone. Voleva conservare dentro di sé finanche la più sottile sensazione, senza concessione alcuna al vento misterioso del deserto intento a ricoprire ogni più piccola trama di una storia. Il sovrapporsi, costante e incontrollato delle cose, nel loro convulso accavallarsi, tendevano una leggera coltre su ogni segmento di ciò che era già stato. A volte gli sembrava di esser rimasto fermo lì da anni, immobile, in una condizione di staticità perenne, sempre allo stesso modo eguale, imprigionato nell’assoluta, ibernata dimensione del presente. Non 34
ricordava quasi più il suo tempo antico, felice, di bambino, rivolto al grande mondo sconfinato in cui doveva iniziare ad orientarsi. Le strade del quartiere polveroso, come stuprate dall’invasione di violenti giganti di cemento, ridisegnate da una crudele mano umana e disarmata di pietà, sembravano legarlo nell’inganno che scoloriva ogni ricordo di luce luminosa. Sentimenti ed emozioni sommersi e frantumati dentro di sé, le strade punteggiate di giovani fiori pronti ad aprirsi a nuova vita a primavera. Ed il vociare gioioso, le urla ingenue e sovrastanti ogni altra cosa del nugolo indistinto di fanciulli nella perenne festa alla rincorsa dell’abbagliante luce del mattino. Più il tempo incalzava volendo liquidare per sempre la sua genuinità più, di converso, si ostinava a non volere concedere l’ingresso nella mente al Leviatano, terribile e crudele che, con la sua forza immane d’uragano, voleva cancellare per sempre la sua semplicità coi suoi valori. Figure pregresse, d’un altro tempo andato, finivano per animarsi nella mente, sottratte con le unghia al nero oblio. In quel suo procedere 35
ramingo, entravano nella sua stanza i personaggi, la trama sconfinata di storie e avvenimenti lontani che si erano succeduti in rapida progressione sulla terra. Il suo microcosmo generoso dava uno spazio a tutti, ai semplici e ai potenti che avevano lasciato una qualsiasi traccia su ogni terra emersa del Pianeta. Vascelli abbandonati e galeoni, foreste selvagge e sconosciute, aspri e incomprensibili linguaggi di civiltà ormai sepolte, eserciti potenti scomparsi nelle sabbie del deserto, soldati di terracotta dell’Oriente, veloci destrieri senza nome coperti dalle nevi siberiane prendevano d’incanto nuova linfa, riemersi a scatto dalla più fitta nebbia del passato. Nell’incessante, tumultuoso succedersi dei fatti, sembrava ridisegnarsi quella trama, di nuova compatta geografia. Un più compiuto e armonico mosaico, ancora più vivo e attuale. Una miniera, d’incalcolabile valore, ora iniziava a dare a quanto si muoveva un nuovo senso. Nell’angusta sua stanza silenziosa, ogni volta iniziava una storia nuova e capovolta. Reminiscenze, di un altro tempo andato, per sempre fissate nel fondo di sé stesso, e poi
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riemerse intatte, dentro il ricordo della sua mente colorata. L’anima, gli trasmetteva un nuovo, originale spartito di note delicate. Eppure nel suo dolore disperato regrediva!
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NEL VUOTO LABIRINTO MENTE PERDUTA
DELLA
In lontananza bianchi gabbiani, nel loro alzarsi in volo e poi planare, formavano cerchi concentrici tra loro, nel gioco inesauribile della libertà. Eppure, un giorno dopo l’altro, il suo corpo diveniva più esile e sottile e gli abiti gli cadevano di dosso, ombra sbiadita di ciò che in altri tempi lui era già stato. Quella raccapricciante situazione finiva per torturarlo e annichilirlo, e si sentiva inesorabilmente solo e più umiliato, esile foglia spinta dall’uragano nel movimento vorticoso del tifone. Di giorno in giorno più smagrito e smunto, si trascinava a fatica tra le mura bianche dell’abitazione, esile ed invisibile, sempre più simile ad un sottile spettro e quasi senza volto. 39
Da tempo immemorabile la notte non riusciva a prendere sonno, sembrava logorato nel fisico e nell’anima da un concentrato acuto di dolori, che dalla testa scendeva fino all’estremità dei piedi e che pareva ricoprirlo ovunque di piaghe dolorose, nel corpo, nell’anima, nel cuore. Ormai la memoria aveva iniziato a fare scherzi, ed anzi paurosamente vacillava, smarriva di continuo ogni riferimento contingente delle cose che, all’improvviso, come i vestiti, gli cadevano di dosso, finendo per perdersi nelle malinconiche paludi da nebbie popolate. Per strada confondeva ed alterava, all’improvviso, il nome delle persone e delle cose. Dentro gli albergava una malinconia profonda, e rassegnato era ormai pronto a rinunciare, per sempre, alle passioni che avevano in passato riempito pienamente la sua vita. Prossimo alla pressoché assoluta cecità, non riusciva quasi più a distinguere gli oggetti e le persone e si orientava seguendo, per approssimazione, il filo sottile di reminiscenze flebili, il ricordo, tenue e sempre più sbiadito, quasi impercettibile, di spazi e voci prima conosciuti. 40
Nel cuore della notte poi aveva l’impressione del sopraggiungere di improvvisi dolori atroci lancinanti dentro il ventre che gli toglievano il sonno ed il respiro. In quei frangenti lasciava con dolore il proprio letto e furtivamente iniziava ad aggirarsi nel centro silenzioso della casa, nel mentre tutto intorno venivano a tenergli compagnia immagini fugaci e sovrapposte di episodi antichi, non ricordava più se vissuti o solo letti, reminiscenze, vacue e tortuose, di fatti e di persone di un altro tempo andato. Gioco perverso dell’immaginazione, allora interrompeva il suo girovagare senza meta, e nella mente si rimetteva in moto il travaglio del tempo già passato. Girava la manovella della radiolina riposta in un angolo lontano della casa e, in una condizione mista, di sonno e dormiveglia, inerte, lasciatosi cadere sopra la poltrona, ad occhi chiusi, seguiva rassegnato fino all’alba il ritmico andamento delle note. Solo all’apparire della primissima luce del mattino un pizzico di pace sembrava finalmente liberarlo, seppur per poco tempo, dall’indescrivibile angoscia di quella che era 41
diventata la sua cella di perenne, inestricabile tortura. Allora riusciva almeno un poco a riposare. E nel silenzio assordante che in quei momenti dominava incontrastato, tornavano alla mente i versi immortali del poeta che aveva in altro tempo disquisito d’inferno, purgatorio e paradiso. Il volto riprendeva così, almeno in parte, il proprio originale aspetto, ed appariva disteso, più liscio e luminoso, senza increspature. Era un sollievo che durava poco, poi purtroppo di nuovo il respiro riprendeva a diventare più affannoso e quasi si sentiva soffocare. Rivedeva sé stesso in gioventù, il vestito grigio di antracite, il fiore rosso fiero sul taschino, con tante altre persone nel centro antico della sua città. Prima aveva avuto addosso un altro grigio, di una divisa di guerra consunta e lacerata, in fuga dalle linee, insieme agli sbandati, alla ricerca della strada che doveva riportarlo col cuore che gli balzava in gola verso casa, cercando di sottrarsi all’incessante fuoco dei bombardamenti vomitato dal cielo sulla terra dai grandi uccelli d’acciaio e vuoti di pietà. 42
Vedeva come allora, nitidamente, la sua città in più punti diversi devastata, ridotta ad un ammasso confuso di macerie fumanti frantumate. Ovunque si girasse detriti e distruzioni, e il grido stridulo e scomposto delle donne nere, rivolto nella preghiera a Dio, e come annientate nell’anima da quelle rovine. E il gelido fischio acuto delle sirene senza nome! E poi la spinta alla ricostruzione, la rimozione di bombe e di rovine e la città che a poco a poco come per incanto rifioriva. La sua città, così tanto amata, posata in mezzo al mare e al cielo, che lentamente riassumeva il proprio volto, denso di dolcezza e di allegria particolare. Allora il viso, fino ad un attimo prima tirato di dolore, di nuovo appariva ricomposto in un’espressione di serenità pacata. E ritornava il nitido ricordo dei gabbiani, in volo a filo d’acqua, armonia perenne di simboli sublimi, pronti a virare in volo e a ripartire tra il ritmico, incessante incresparsi delle onde.
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Il volo, in quello spicchio di mare, dilatato e immenso, di un particolare e ineguagliato intenso blu, nel grande fiume della libertà . Il corpo però non rispondeva in alcun modo ai suoi comandi, nemmeno quando divenivano imperiosi, ed anzi restava immobile, fisso, come un secolare pioppo piantato per sempre, inesorabilmente, con le radici eterne nel terreno. Soltanto il suo pensiero estremo poteva ormai seguire le orme affascinanti disegnate da quell’aerea parabola leggera, appagante, silenziosa. Il proprio tronco, invece, gli procurava solamente affanno, tristezza, insistente dolore inesauribile. Era diventato un’inutile zavorra, di cui doversi quanto prima liberare. Regrediva, ancora regrediva!
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NELL’IMMENSA CITTA’ SOMMERSA DALLA NEVE
Ormai non ricordava proprio più da quanto tempo gli venivano stravolti e poi strappati il sonno ed il pensiero. Sotto l’effetto dei farmaci riuscì, seppure solo per alcune ore, a riposare. Gli venne in soccorso un demone benigno che, impietosito, per quella sola notte, decise di rapirlo da quel suo duro letto di dolore. Dormì di un sonno quieto, pieno e profondo, la mente e il corpo finalmente cedettero al suo immane desiderio di riposo. E sognò la grande città, dal multiforme aspetto, coperta dalla neve, che si avvolgeva nel suo manto bianco. La grande città, troppo grande e solenne, piena di fiumi e laghi, copiosa d’acqua chiara che, dentro il suo seno, gelosa custodiva i tanti tesori antichi e della modernità. 46
Una realtà, a tal punto particolare e sorprendente, da non poter venire descritta solo con poche frasi. Un sogno diverso, originale, privo di alterazioni di realtà, di fatti ed episodi della vita, che riproponeva l’identica esperienza in un altro tempo lontano già vissuta. Aveva a lungo creduto che si potesse realizzare in terra l’utopia e aveva rincorso quel miraggio fin dentro il centro più antico del cuore dell’Europa. Pensava che in quell’austero posto del mondo si stava costruendo l’uomo nuovo! Inseguendo il fitto filo dell’immaginazione, pieno d’ inesauribile speranza nel futuro, si era messo in cammino in gioventù. Aveva lasciato dietro di sé le sue paure e si era incamminato per le irte strade di un mondo ancora in larga parte inesplorato. Forte il richiamo, sulla sua coscienza, di quei tumulti dell’anima che, reclamando una nuova, ingenua, sconosciuta libertà, sembravano travolgere ogni antica, appagante, eppure vacua, provvisoria, instabile certezza. L’aria a quel tempo ribolliva di desiderio di nuove ribellioni. Un immenso magnete che, con forza di attrazione inesauribile, richiamava 47
passioni dai punti più lontani del vecchio continente in un unico ed esclusivo centro. Succede a volte che, quasi seguendo come per inerzia il filo di quella indefinita sensazione che ormai ti ha contagiato, si assuma la decisione di fermarsi in un qualsiasi luogo, all’improvviso, ponendosi alle spalle ogni fastidioso e stridulo rumore di parole. Poi, di converso, invece repentinamente si decida di riprendere il cammino verso diverse, nuove, ignote direzioni. Si va alla ricerca di qualcosa di ancora sconosciuto e nebuloso, cercando un sicuro rifugio, un solido ancoraggio e una conferma nell’infinito oceano di segni e storie pregresse da altri lasciati in futura memoria sulla carta. C’è come l’illusione di rendere reali le utopie, fissando inesorabilmente per sempre gli ideali dentro la realtà. Innumerevoli tracce, graffiti disegnati con maestria sulle pareti sgombre di granito, le più ambiziose idee, i più diversi tra i pensieri sciolti che qualcuno, a proprio rischio, ha fatto in modo di non sacrificare, abbandonati per sempre nell’oblio. Tracce, lasciate nello spazio ed attraverso il tempo ovunque, trasferite da una generazione a 48
un’altra che gli sopravviene, aspirazioni abbozzate con speranza in una lingua antica, aspra e oscura o più recente e viva. Fugaci impronte di chi ancora ci cammina al fianco o riesumate andando indietro a ritroso incontro al tempo, ormai consunto, innumerevoli simboli di quei linguaggi che, nelle vicende dei contrasti umani, ci hanno preceduti. Seguendo in tal modo la scia di quel pensiero che divora l’una dietro l’altra senza posa l’infinita ed eterna messe di parole, a volte accade che da soli ci si cali nel ventre dell’altissima torre senza uscite, dentro quell’illusione, restando inermi a lungo lì dentro prigionieri. Poi il senso di realtà, e di rigetto, di tutte quelle cose che non vanno, di quell’acuto contrasto tra il reale e gli ideali infranti, che ora senti con rimpianto consumati. E sogni e aspirazioni finiscono per essere stracciati in un freddo Novembre dai rudi cigolii dei carri armati che stringono in una morsa e infine schiacciano la bella città dei grandi ponti bagnata dal Danubio. Il Mito è in un istante sgretolato! 49
Un’altra condizione, astratta eppur vitale, si crea in quel preciso istante nella mente. Inizi a liberarti dai lacci di quella rigida catena, dal dogma indiscutibile che ti ha tenuto a lungo prigioniero. Comprendi che è giunto finalmente il tempo di staccare, recidendo di netto, senza rimpianti, quella tela.
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IL FIUME IMMOBILE E GELATO NELL’ATTESA DELLA NUOVA PRIMAVERA
Uno squarcio di luce, all’improvviso, si aprì dentro di lui quando intravide quel fiume sterminato e che tuttavia rimaneva fisso, immobile, senza che alcuna onda si fosse messa in moto dal suo ventre. Lastre di ghiaccio, spezzate eppure strettamente collegate tra di loro, di dimensioni gigantesche e ferme, oltre lo sguardo dispiegato all’orizzonte. Il senso di profondo e austero gelo, e quello della neve, su cui in quella sera si muoveva, spinto da una impercettibile magia, il lungo riflesso d’ombra di antiche costruzioni medioevali, romaniche, gotiche e barocche, mischiate a tendenze d’arte ben più recenti e attuali, col luccichio d’indifferenti grattacieli 51
protesi con veemenza in alto, col loro ineguagliabile splendore fin dentro il cielo grigio. Nel sogno adesso finalmente, per cruda inerzia, iniziava a risvegliarsi, di nuovo, insieme alla coscienza, la sua mente, ed avvertiva come reali le gelide volate di vento sulla faccia. E percepiva ancora l’intensa sensazione che iniziava a riportarlo per quella sola notte in salvo, nel regno della semplicità, di quella libertà sempre voluta. Come la primavera risveglia con le foglie e i fiori la natura, nel mentre gli animali iniziano a fuoriuscire dal torpore in cui li ha intrattenuti il più possente inverno e poi di giorno di nuovo la terra si rianima e inizia a colorarsi senza posa, sentiva nel suo corpo l’avvio di un nuovo inizio, con quella percezione di esistenza e di giustizia che non si era piegata. Immerso nel suo sogno, sentì il bisogno di intercettare in quell’istante il tempo e il desiderio che quel momento non avesse fine. Dentro di sé avvertiva un limpido risveglio, la luce folgorante che sconfiggeva per sempre il
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sonno comatoso con le tenebre in cui da troppo tempo era stato risucchiato. Incredulità e stupore, con gioia in forma acuta, di nuovo l’intenso condensato d’armonia che nel sogno poi si confondeva con quanto era già stato e ciò che era. Un desiderio di tregua, di pace e di bellezza, che in un istante solo gli invase e ricoprì finanche il più lontano e ascoso lembo della pelle. Avvertì, in un improvviso sussulto del pensiero, l’acutezza di una sensazione primigenia, l’idea irreale ed estrema di una felicità assoluta soltanto a sprazzi già intravista nel corso dei suoi ingenui sogni giovanili. Un piacere, così leggero e pieno, sempre agognato ma mai in quel preciso modo conosciuto. Parve a quel punto che iniziassero a cadergli di dosso, e senza alcuno sforzo, le scorie negative strati sopra strati accumulate con le ombre, ed ebbe l’impressione di tornare indietro, a ritroso dentro quel tempo andato scintillante, che aveva temuto per sempre consumato con le sue illusioni. Tortuose, impervie strade, nere di fuliggine, prive di verità. Il tempo del viaggio, 53
del mito e del ritorno, che rende vana e incrina ogni certezza antica! SentÏ dentro di sÊ il risveglio che dava nuova forma e rianimava la fitta trama di personaggi e cose che in passato aveva conosciuto sugli antichi volumi polverosi riposti a lungo inerti nelle radici nascoste della psiche. Personaggi e cose, fagocitati e poi inesorabilmente riposti nel giaciglio del silenzio, che ora all’improvviso si animavano, prendendo una diversa forma ed una piÚ fitta luce. Emersi di scatto a nuova vita dal grembo magico e fatato di quel fiume, solenne, gigantesco e silenzioso, completamente carico di gelo. Il fiume stesso sembrava essersi svegliato, uscendo dal suo sonno, da quel fastidioso senso di torpore e dalla sua stanca e indifferente indolenza contagiosa. Ed ora, austero e con orgoglio, lo fissava intensamente in fondo agli occhi. Stili i piÚ diversi e tuttavia senza alcun contrasto, tra loro armoniosamente combinati, distinte architetture stileggiate sembravano 54
tenersi in splendido equilibrio, prive di qualsivoglia contraddizione o smagliatura. E intorno, lungo gli interminabili viali, guizzi vivaci, distinti e combinati, di luci, di ristoranti e bar illuminati dai piÚ diversi giochi di colori, con le pareti interne ben adornate con un legno scuro, che trasmetteva un odore intenso, pieno di calore e di allegria. Frotte continue, ricambi di persone, con sciarpe e cappelli di lana per affrontare il freddo, indosso cappotti e giubboni imbottiti di pelo bianco d’oca che ora si alternavano, varcando i confini delle entrate, in uno stesso rito, composto e replicato, nel fiotto di quel perenne ricambio di figure che ininterrottamente si assemblavano per poi andare via. In alto e ai lati, volte e pareti illuminate di una luce calda, su ogni tavolo stava accesa una candela, riposta in lampade di vetro colorato di diversa forma, in genere in lumi di stile ottocentesco. Poi ancora di nuovo tra i viali, dentro il manto compatto della neve che si estendeva infinita e dilatata e si espandeva allo sguardo in ogni direzione, e ancora la luce diffusa dai lampioni, distribuiti con singolare diligenza agli angoli di 55
strada ad indicare l’ulteriore direzione, di piazze e strade ancora da esplorare. Ovunque viali e piazze immense, che si alternavano l’una dopo l’altra, delimitate ad angolo da file possenti di antiche e nuove costruzioni, vestigia intatte della grandezza guerriera dei secoli passati. Sembrava di essere calati indietro, nel tempo e nella storia, in quella dimensione senza tempo che ti avvolgeva nelle proprie spire. Ed oltre le centinaia di edifici, seminati mirabilmente sul terreno, all’improvviso statue, di tanti, diversi personaggi, noti per l’arte e la cultura, a cui era dovuta in larga parte l’eterna grandezza di tutto lo spazio che ti circondava. E l’emozione saliva dagli occhi nel petto e nella gola, dal pozzo sepolto dei ricordi e dalle rimembranze scavate tra quelle disseminate effigi di ciò che era stato un grande impero. E riemergeva, un pezzo dopo l’altro, l’antica storia disegnata col ferro e il sangue delle generazioni del tempo già passato e delle più recenti. Non c’era più distanza tra il sogno e la realtà! 56
C’era chi procedeva veloce sopra i marciapiedi, chi passeggiava, con indolenza lenta, sui sentieri ed avvertiva di nuovo circolare intatta, nel corpo e nelle vene, l’antica forza della sua progenie. Poi, tutto d’un tratto, mutava lo scenario e si proponeva un’altra prospettiva, nel cuore della modernità del tempo attuale, al centro delle nuove costruzioni, di vetro celeste e verde, di cemento e acciaio poste proprio in quel punto ad indicare il senso e l’indirizzo creativo della vita che non si ferma mai. Il senso di pulsione ininterrotto che è sempre pronto a riportare in emersione, dal ventre della terra, la schiera infinita di nuove e più possenti cattedrali. Pareva di trovarsi dentro il vento, sospinti docilmente come piume nell’infinito bianco siderale frammisto con gli incalcolabili pulviscoli di neve bianca e sottile che, all’improvviso, aveva iniziato di nuovo a mulinare. Soffice e incantato, magico e morbido, caldo e accogliente presepe di esseri viventi in movimento, bianchi e sempre nuovi, diversi e rinnovati geroglifici, diffusi di continuo e senza 57
posa, pronti a riporsi in una condizione di riposo planando sul selciato, ed assolutamente privi di rumore. Pura invenzione, del caso e dell’ingegno, perenne e inesauribile, oltre ogni limite che si possa immaginare. E poi l’aria fu invasa da musiche di un flauto, venuto da lontano, che traversava indenne la tormenta, ed anzi con essa mirabilmente dialogava, finendo per trovare sua dimora negli angoli più angusti e più riposti dell’anima rimasta da troppo tempo inquieta. E allora, in quel preciso istante, avveniva la trasmutazione interiore e misteriosa. Qualunque intensità emozionale, qualsiasi indistinta angoscia esistenziale, ogni inquieta, non voluta compagnia, sussulto o sentimento cupo perdeva ogni capacità di presa o di tenuta e abbandonava la provvisoria dimora del suo corpo per riposare di nuovo, per sempre, nella neve. Pallide ombre sbiadite su un sottile velo di carta trasparente in filigrana. Aveva ritrovato nel suo sogno, in quel nuovo equilibrio, una ragione.
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Reminiscenza notturne, identiche al reale di un altro tempo andato, eguali e sovrapposte, dentro un sentiero per tanti aspetti nuovo. Nulla è per sempre, niente c’è di eterno. Ogni vicenda è di per sé caduca, gioia e dolore fusi per sempre tra di loro nel filo inestricabile dell’essere. Non esiste virtù senza mediocrità e bassezza, rovina e gloria sono due impostori, comunque di entrambi è giusto diffidare. La verità sta nell’esatto mezzo, tra il freddo gelato e la nuova primavera, entro gli opposti confliggenti che nell’eterno, mortale tenzone, si sfidano tra loro. Sotto l’enorme, sconfinata distesa della neve, che col suo morbido manto d’ovatta nel silenzio tutto d’intorno ricopriva, la primavera attendeva con pazienza, pronta a sbocciare, di nuovo, all’improvviso, in tutto il suo splendore.
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GLI ULTIMI SQUARCI SETTEMBRE LONTANO
DI
QUEL
Quel mese di settembre volgeva ormai alla fine, l’aria di una limpidezza inusuale, priva di pulviscoli e d’ogni impurità. Le case bianche, di assoluto candore, poste con maestria sopra la roccia, cadenti a picco su un pezzo di scogliera, portavano alla mente un altro bianco, di isole greche riposte in mezzo al mare, nel verde cristallo perenne dell’Egeo. Tenuta in equilibrio dalla magica mano lontana di un artista virtuoso del rinascimento fiorentino, la luce limpida del giorno metteva in evidenza all’occhio umano perfino il dettaglio più piccolo e minuto. Quella visione, incantevole splendore, unica nella sua particolare architettura, trasferiva 61
all’istante una condizione di meraviglia, di autentico stupore.
assoluta
Pensò che i colori appartenevano, insieme, al mare, ai prati, al fuoco, ai sentimenti, alle parole, alle più diverse situazioni, all’infinito e magico alfabeto della vita, da ere conficcato dentro al mondo. Pensò che ogni parola ed ogni idea ha sempre il suo specifico colore. Il gioco perverso della mente ancora lo inseguiva, col suo sobbalzo d’innumerevoli blocchi di pensieri, densi d’inappagata asprezza, d’acuta amarezza antica e di dolore. Incantevole, magico spicchio di minuscole case di colore bianco, fitta punteggiatura sopra un foglio, poste a strapiombo sulle rocce, a precipizio sopra l’azzurro mare silenzioso. Spettacolo mirabile, d’arte e di natura, tra loro combinate con maestria. Eppure riemergeva aspro il contrasto, per interiore assenza di armonia. Il cerchio ostile della sua contraddittoria, provvisoria situazione iniziava di nuovo, poco per volta, a prevalere. La nostalgia, con la malinconia per tutto ciò che in un solo istante aveva perso, riemerse 62
come rivelazione, ed era abbagliante nella sua scura solarità assoluta. Tra le mani adesso pulviscoli di polvere, cenere grigia di desideri persi, ambizioni e speranze andate in fumo. Sempre più estranee gli erano le strade, che non riconosceva, le stesse montagne, attraversate da molteplici sentieri di ruscelli luminosi, di acque bianche che più volte in passato gli placavano l’arsura, sembravano far parte dell’inquietante inganno. Polvere e poi cenere, ancora cenere e polvere, nel nulla interiore da cui era sommerso e in cui senza colpa adesso rischiava per sempre di annegare. Gli sembrava che ogni energia vitale lo avesse definitivamente abbandonato e si sentiva inerte, quasi asciugato di forza e volontà. Voleva scacciare per sempre via da sé qualsiasi devastante pensiero di sciagura, eppure ogni cosa ritornava all’iniziale, ossessivo punto di partenza. Regrediva! Ancora regrediva! Naufrago assoluto di sé stesso, relitto di nave abbandonata tra i flutti tempestosi, vicina a schiantarsi in mille pezzi sugli scogli. Faceva fatica a esistere e quasi non si riconosceva più. Era ridotto in uno stato di profonda, assoluta 63
frustrazione. E risucchiato nei gorghi limacciosi di quel suo malessere totale, insetto attratto nella tela d’acciaio pazientemente tessuta da un kafkiano ragno gigantesco, sentiva venire meno, a poco a poco, perfino la più flebile energia. Lo sguardo perduto non si sa in che cosa, fragile e indifeso di fronte al fato oscuro ed al crudele volere degli Dei. Immerso tra i flutti di quel mare, gonfio di rabbia di tempesta, di nera bile velenosa da non potere riversare su nessuno. Il magma melmoso del male inesorabile nella palude lo teneva prigioniero. Aveva deciso di lasciarsi andare rassegnato a quella condizione, ed ecco all’improvviso si risvegliò dal suo funesto sonno. La stanza, compressa su sé stessa, del tutto irrespirabile di fumo, faceva girovagare nella nebbia più fitta i suoi pensieri, che ora gli risultavano più opachi, meno sicuri di quanto era stato prima. Le pareti, di giallo ocra, tutto intorno occupate da fitte fila di libri ed impregnate di polvere compressa, sembravano tuttavia di vita concentrata nello scritto stampato palpitare, 64
purissime sorgenti di sapere, mirabilmente scomposte e ricomposte da nuove ispirazioni. Libri, i più antichi e i più moderni insieme, di economia, letteratura, di storia, filosofia, architettura e medicina. Le copertine più nuove, moderne o più consunte dal tempo più remoto. Il tavolo, zeppo dei più diversi oggetti, accatastati sopra la scrivania alla rinfusa, nell’inestricabile disordine in cui riusciva ad orientarsi soltanto chi li aveva messi lì proprio in quel modo. L’ordine, vero e autentico, di chi così vive e lavora, facendo e disfacendo di continuo la realtà. In quel particolare spazio si aggirava, alla continua ricerca di qualcosa che mantenesse in permanenza in vita la sua inappagata voglia di sapere. Quello era ormai il suo ultimo recinto, il riparo agognato, intangibile, almeno in apparenza, ad ogni più perversa forma di sventura, ai colpi ingrati e mortali della sorte nera. L’ultima frontiera dell’esistere!
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In quello spazio, come da amorevoli fili di seta recintato, in quei meandri compressi e silenziosi, pieno della vita di milioni e milioni di parole, tra quegli spiriti inquieti di cui in ogni istante avvertiva la presenza, ora, finalmente, per davvero si sentiva più a suo agio e più sicuro. Metafora improvvisa di sé, di quanto era già stato, l’esatta percezione del perenne scorrimento delle cose, l’eterno percorso destinato a non potere mai avere per davvero fine. La notte era stata interminabile, di nuovo infestata da mille e mille demoni che si erano insinuati nell’anima fragile ed in balia del vento. Mai aveva sofferto tanto in una notte nera di sventura. L’alba lo vide, stremato sopra il letto, le membra ricoperte di gelido sudore. Stanco, sfinito, aveva l’impressione di aver attraversato in quella notte, a piedi, l’infinita pianura di un deserto sterminato. Si sentiva, contemporaneamente, sé stesso, ma anche tante altre cose diverse concentrate insieme e non riusciva ancora a decifrare 66
chiaramente quale congiura ordita ai propri danni lo avesse ridotto in quella miseranda condizione. Dentro l’assedio dell’allucinazione, sotto il ferreo dominio d’insetti alieni e di ragni ripugnanti, facendo su di sé uno sforzo estremo, ordinò alle membra di abbandonare il ghetto della sua prigione. La tiepida aurora sembrava essere venuta in suo soccorso. Lasciò il suo giaciglio di dolore e, quasi condotto da altri per inerzia, iniziò a spingersi in avanti senza meta. L’istinto lo muoveva, e procedette in tal modo come automa finchè si accorse che le mortali scorie negative di quella notte insonne iniziavano finalmente a lasciare la sua pelle. Come inseguendo la flebile brezza mattutina, seguì mansueto il proprio istinto e procedette, un passo dopo l’altro più sicuro. All’improvviso si aprì davanti a lui lo sterminato spettacolo del mare. E vide lo straordinario crogiuolo di colori, posati lievemente sulle onde. In precedenza mai aveva notato che il mare aveva nel suo seno concentrati quella varietà 67
d’interminabili colori. Colori lievi ed aspri, che poi si combinavano tra loro, tenuti mirabilmente insieme da un’interiore armonia miracolosa. Le onde correvano incontro all’orizzonte, creando e disfacendo, di continuo, disegni d’arte pura. Nell’andamento altalenante del pensiero, in cui si combinavano diversi e contrapposti stati di emozione, riaprendo ancora per un istante gli occhi, scrutò più a fondo e più lontano, fin dentro le fauci dell’immenso mare smeraldo e di colore blu. L’onda benigna lo richiamava a sé, ancoraggio amico, e si affidò al richiamo senza più opporre alcuna resistenza. S’incamminò verso quel porto estremo e misterioso e vi si immerse dentro. Si lasciò andare, col volto dentro il mare, e si sentì accolto e cullato con amore nell’abbraccio. Era tornato indietro dentro al tempo, di nuovo salvo, nel ventre protettivo della madre. Benessere e gioia sconfinati e senza condizione….! In quella dimensione senza tempo, mansueto si lasciò guidare, simile a un uomo disperato che indenne esce fuori dal naufragio. Un senso antico, di calma e di pace smisurata, gli offrì la 68
sponda che cercava. Ora finalmente era al sicuro.
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NEL GIORNO LUCENTE, CRISTALLINO…
CHIARO,
La ridente cittadina di un qualsiasi luogo del mondo collocato fin dentro il dolce odore del mar mediterraneo era assai simile ad una gemma preziosa incastonata tra gli interstizi scoscesi delle rocce. La sua bellezza, tuttavia, ancora nelle onde orgogliosamente si specchiava, con ritmo ondulante e cadenzato, nel mentre si susseguivano l’un l’altra le innumerevoli stagioni tra di loro. Il rito ripetuto dell’andare avanti e indietro senza meta, d’estate in prevalenza costeggiando il mare, d’inverno consumando i propri passi lungo il corso di quel fiume bianco, composto di cristallo e di ghiaccio silenzioso. Leggeri i passi, come i suoi pensieri, a loro volta futili o complessi, nell’andare perenne, 71
eterno, circolare. In quel girovagare ininterrotto sembrava che le frasi, coi concetti, ossessivi, tornassero a ritroso, continuamente sempre e comunque allo stesso punto di partenza. La vita altrui scorreva, inesorabile, lenta ed eguale, dentro i confini dello spazio recintato di quel piccolo centro di periferia. L’estate, rapida e repentina come un soffio, finiva per esaurire in un solo istante il proprio tempo, coi desideri compressi e con le frustrazioni, coi suoi rituali perennemente ripetuti, con l’inossidabile energia e con l’illusione di avere con sé, sempre alleate, la fortuna e la buona sorte. Il caso aveva fatto in modo che l’esistenza si svolgesse proprio lì e non altrove, in uno degli angoli più belli e suggestivi di cui quasi non c’era eguale traccia in altro posto al mondo. Esile il confine tra la vita e il nulla! Una dimensione, di pura verità, che contiene al proprio interno sempre il concetto fecondo e il suo contrasto. Poi, del tutto inatteso e all’improvviso, il bene riprendeva il sopravvento. Una folgorazione! Era guarito, anzi non era stato mai malato! 72
Era un miracolato! Si era trattato di un errore! Le sue radiografie le avevano scambiate! Ora si era ripreso e si sentiva bene, ed iniziò a ridare più valore ad ogni cosa, anche la più minuta. Vedeva gli avvenimenti, i fatti e le persone in altro modo, avvertiva in ogni sfumatura l’intensità dell’affetto di cui era circondato. Aveva riacquistato per intero, intatta, la sua vitalità. La fulminea metamorfosi del suo stato e della sua appena antecedente condizione non gli concesse neppure un solo attimo di tempo per pensare che, nel mentre lui emergeva di nuovo dagli abissi, contemporaneamente l’essere osceno, da un lugubre manto nero ricoperto, l’essere senza tempo, privo di ogni inizio e d’ogni fine, in quello stesso istante si muoveva per attirare a sé, coi propri artigli, un altro individuo ancora ignaro, di certo, come lui, in nessun modo pronto a quel trapasso. Valeva ora soltanto quel sentimento estremo, di gioia e contentezza smisurata, in precedenza in quello stesso modo mai avvertito…! Un soffio benigno di vento sopra il cielo e le nubi nere del suo mondo recente, annuncio di sciagura, in un istante, erano volate via! Ed il 73
suo essere, fino ad un attimo prima tutto compresso nell’attesa rassegnata dei rantoli finali ora, come per magico mistero, con un’improvvisa contorsione lievitava. Si sentiva ad un tratto più libero e leggero, privo di ogni peso, involucro e catena, in un modo in cui non era mai stato prima, impossibile da descrivere solo con le parole. E respirava, a polmoni pieni, l’ebbrezza della vita nella sua ineguagliabile, unica, irripetibile pienezza. Invaso da una gioia pura, assoluta, dilatata, gli sembrava di poter toccare il cielo con un dito! Voleva gridare al mondo intero, con tutto il suo vigore, quella sua contentezza incontenibile, senza confini, smisurata ma poi, come per pudore, si fermò. Era troppo bello ciò che gli succedeva e così rimase muto, senza riuscire a pronunciare neppure una parola. Solo un sorriso pieno e in un istante scomparvero le rughe dal suo viso. Il sole aveva asciugato dal suo volto i solchi scavati da tutto quel dolore accumulato! Un lugubre sogno, era stato solo un orrendo sogno bagnato con perfidia nell’inganno! Ora la passione e la ragione potevano finalmente ritrovare il 74
proprio corso. La sua semplicità , le sue ambizioni, i suoi progetti, pieni di attesa e di speranza nel futuro, ridiventavano forza vitale portentosa. Veniva restituito di nuovo, intatto e puro, a ciò che conosceva e a tutto quanto amava. All’aria, al cielo, al blu, alle emozioni, a tutte le cose per cui era vissuto. Ora soltanto immagini lineari, nuovi pensieri chiari e puri, intinti finalmente nella gioia. Molta la strada che doveva fare, e tante ancora le persone da incontrare, innumerevoli i fatti, i luoghi, le cose, le avventure da vivere e scoprire! L’Airone bianco con le sue grandi ali volava ancora dentro al cielo!
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Copia numerata 76
Un giorno, all’improvviso, l’esistenza di un uomo, è sconvolta da una terribile notizia. Gli è diagnosticato un male incurabile, gli restano solo pochi mesi di vita. Dopo l’iniziale stordimento, cerca di reagire e di combattere contro la mala sorte. Non vuole arrendersi ma il conflitto è troppo aspro e diseguale. Il corpo e l’anima iniziano a deperire e perdersi, un giorno dopo l’altro sempre più. Decade, di notte gli incubi e l’insonnia lo assediano e non riesce a fuoriuscire dal tunnel in cui si è avventurato. In ogni istante, inesorabilmente, il dolore lo possiede e lo divora. Inerte, smarrito e rassegnato, si prepara ad attendere la fine. Il destino tuttavia gli prepara una sorpresa… Piero Lucia è autore di articoli e saggi sulla storia del movimento operaio e sindacale italiano dell’Ottocento e del Novecento. Ha tra l’altro pubblicato “Intellettuali italiani del Secondo Dopoguerra”,Guida e “Salerno, Firenze, frammenti sparsi di storia e di cultura democratica”, Boccia. In occasione del Centenario della Cgil, “Nel labirinto della Storia Perduta”, Guida. E’ coautore e curatore, con Francesco Sofia, di “1968 a Salerno, Miti, Utopie e Speranze di una generazione”, CECOM. Collabora con “Rassegna Storica salernitana”, “Rivista storica del Sannio”, “Annali Storici di Principato Citra”. 77