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CAMPIONI DI VITA

EDITORIALE - DI ALICE PEDRAZZI

Lo sport, si sa, ci mette ogni giorno davanti all’avversario, ma soprattutto a noi stessi, perché scontrarsi coi propri limiti, guardarli in faccia e provare a superarli è la vera vittoria. Nello sport non c’è trucco, non c’è inganno, la strada è una sola: quella della fatica, non solo da accettare, ma da amare. L’unica che ti porta al sorriso del successo.

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Ecco perché lo sport è la più grande ed efficace metafora della vita, ma la sua potenza si compie davvero quando insegna ad essere campioni fuori dal campo. Campioni nella vita. O meglio: campioni di vita. Che significa giocare, lottare, per i propri ideali. Yelena Leuchanka, di responsabilità, all’ombra dei canestri, se ne è prese a bizzeffe. Nella sua eterna carriera di pivot talentuosa e grintosa, tra l’Eurolega e la Wnba, si è caricata più volte sulle spalle peso e orgoglio di rappresentare la propria nazionale, quella Bielorussa, nelle competizioni di vertice: vincendo il bronzo europeo nel 2007, volando alle Olimpiadi di Pechino (2008) e bissando a Rio (2016).

Agli Europei di Riga, dalla postazione di commento di RaiSport dove sedevo accanto a Massimiliano Mascolo, le ho visto illuminarsi e bagnarsi d’emozione gli occhi ogni volta che si stringeva alle compagne per ascoltare My, belarusy, l’inno nazionale del suo Paese e poi trasformare quell’emozione in determinazione. Perché un’atleta sa che per rendere onore alla propria Patria ha un solo modo: diventare campione.

Così come sa che campioni non lo si può essere solo in campo, ma lo si è nel dare l’esempio, anche quando è rischioso. Soprattutto quando è difficile. E scomodo. Yelena Leuchanka, il 30 settembre, per mantenere fede ai propri ideali e non smettere di lottare per la propria Patria, è stata arrestata. Rinchiusa in una prigione di Minsk, per aver protestato contro la rielezione del presidente Lukashenko - che da 26 anni governa il Paese ed è definito da molti “l’ultimo dittatore d’Europa” - avvenuta dopo elezioni ritenute, anche a livello internazionale, poco trasparenti, al punto tale che l’Unione Europea non ne ha ancora riconosciuto i risultati ufficiali. Leuchanka, con altri 900 atleti, ha firmato una lettera con la quale vengono chieste nuove elezioni, libere e democratiche.

Ha protestato, in piazza, beccandosi manganellate su quella schiena che più volte abbiamo visto farsi largo nel cuore delle aree di tutta Europa. Non ha scelto la strada più comoda, quella di andarsene in un esilio dorato in America, ma è rimasta a casa, abituata com’è a non abbandonare i colori della sua nazione nei momenti difficili delle partite che più contano.

Perché – come lei stessa ha dichiarato in una bellissima intervista con “Athleta Magazine” – la speranza non può essere imprigionata. Lungi da noi esprimere un giudizio su situazioni di geopolitica così lontane dal nostro piccolo universo cestistico, ma al di là di ogni ragione o torto oggettivo, sappiamo che chi lotta con sincerità per i propri ideali, merita rispetto e solidarietà. E Leuchanka ci ha insegnato che con i campioni non si scherza, né dentro né fuori dal campo.

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