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PEPO LA MARCHIGIANA
from PINK BASKET N.35
by Pink Basket
PRIMO PIANO di Laura Fois
DÉBORA “PEPO” GONZÁLEZ HA RITROVATO L’AMORE PER IL BASKET NELLE MARCHE, CON LA THUNDER MATELICA, CHE LA SCORSA STAGIONE HA TRASCINATO IN A2. LA NOSTRA INTERVISTA ESCLUSIVA PER CONOSCERE MEGLIO L’ESPLOSIVA PLAY ITALO-ARGENTINA E RIPERCORRERE LA SUA CARRIERA RICCA DI SUCCESSI
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Sta viaggiando a 16 punti di media nel campionato di serie A2 e oltre a essere la miglior realizzatrice della Thunder Matelica è soprattutto la sua leader e guida spirituale. L’italo-argentina Débora “Pepo” González, classe 1990, è una miniera di racconti ed esperienze. In questa intervista abbiamo ripercorso la sua carriera cestistica, andando anche oltre la sfera della pallacanestro.
Débora González, innanzitutto come nasce il tuo soprannome “Pepo”?
Tutta colpa di mia sorella Carolina! Tutti in famiglia mi hanno sempre chiamata “Debo”, ma lei non riusciva a dirlo, perciò mi chiamava “Pepo”. Da quel momento è diventato il mio nomignolo e a me non dispiace!
Hai scritto sul tuo account Instagram che la Thunder Matelica ti ha fatto ritrovare la voglia di giocare. Come mai? Per quanto la passione e l’amore per il basket sia enorme, avresti mai pensato che potessi perdere entusiasmo e motivazione?
Sì, è successo proprio questo. Ho attraversato un brutto momento della mia carriera qualche anno fa quando sono rimasta delusa da due società. Mi riferisco alla Dike Napoli e all’Athena Roma. È stato un colpo dietro l’altro, mi sono sentita presa in giro, non solo come giocatrice ma anche come persona. Dopo essere andata via da Roma ho anche pensato di smettere, fino a quando non ho incrociato la mia strada con quella della Thunder. Mi hanno trattato fin da subito come un membro della loro famiglia, e da lì in poi abbiamo iniziato a sognare insieme.
Quando sei approdata al Matelica-Fabriano?
Sono arrivata a Matelica nel 2019, allora una piccola società che disputava da due anni la serie B, e che conosceva molto poco della pallacanestro femminile! Appena arrivata abbiamo vinto fuori casa con la squadra che non aveva mai perso una partita in tutto il campionato, e penso che quello sia stato il momento decisivo per la Società e la squadra. Per la prima volta abbiamo iniziato a pensare che se si allestiva un buon roster, si sarebbe anche potuto pensare alla promozione in A2.
Nel mezzo però è arrivata la pandemia…
Esatto, portando tanti dubbi e problemi economici, ma questo un po’ dappertutto. Eppure la Thunder continuava a sognare in grande, anzi proprio durante il periodo Covid la squadra si è rinforzata e si allenava il doppio. La grande soddisfazione è stata sicuramente la promozione in serie A2 l’anno scorso.
Qual è il tuo ruolo in squadra e quali gli obiettivi stagionali?
Sono la senior della squadra, devo dire che le mie compagne mi ascoltano tanto, nonostante a volte sia consapevole di essere pesante, ma lo faccio solo perché so qual è il potenziale di ognuna di noi! L’obiettivo è la salvezza.
Il basket, alla fine, è come una relazione d’amore matura, un innamoramento perenne o un colpo di fulmine?
La mia storia d’amore con la pallacanestro è bellissima, perché siamo cresciute insieme, nella buona e nella cattiva sorte. Anche se a volte ci hanno voluto far allontanare, non mi sono mai chiesta in nessun momento cosa potessi fare senza il basket. Ho dato sempre il cento per cento, anche perché ho ricevuto il cento per cento dalla pallacanestro. Mi ha insegnato tantissimo, sono cresciuta come giocatrice, come persona e come donna. Sono fortunata di nutrire ogni giorno questo amore nella mia vita. E poi grazie al basket ho conosciuto mio marito Javier.
Ripercorriamo la tua esperienza con la maglia dell’Argentina?
Certo, anche questo è stato un amore duraturo. Nonostante non faccia più parte della Nazionale, ricordo anche la prima volta che ho indossato la maglia della mia nazione: una sensazione indescrivibile. Nella mia testa in quel momento sono passati anni di sacrifici e duro lavoro. Ho avuto la pelle d’oca al sentire l’inno e confesso di aver sempre avvertito questa sensazione, dal primo all’ultimo torneo.
Quali sono gli altri momenti che ti porti dentro?
Sicuramente avere avuto in molte occasioni tutta la mia famiglia in tribuna a tifare per me e sostenermi, con la responsabilità aggiuntiva di essere la capitana della squadra. Un’altra nota positiva del giocare per l’Argentina è stata l’opportunità di visitare tanti paesi e di giocare quattro mondiali, di cui due under e due con la Nazionale maggiore. Poi, senz’altro aver giocato contro le migliori giocatrici al mondo. Sto parlando di atlete del calibro di Diana Taurasi, Kelsey Plum, Skylar Diggins, e tante altre che sono passate per il campionato italiano. Come compagne di squadra voglio menzionare Rebekkah Brunson, Camille Little, Tamecka Dixon, Adia Barnes, Gabby Williams, Isabelle Harrison. Mentre in Italia ho avuto la fortuna di giocare con Chicca Macchi, Kathrin Ress, Chiara Consolini e Chiara Pastore, con le quali condivido tantissimi ricordi!
Per quanto riguarda il palmares in maglia bianco-celeste?
Nel 2009 abbiamo vinto la medaglia di bronzo al mondiale under 19 in Thailandia e nel 2018 abbiamo vinto la medaglia d’oro del Sudamericano, dopo 70 anni. In entrambe le occasioni sono stata la capitana, e penso proprio di aver portato fortuna!
Perché indossi il numero 13?
Il numero 13 è stato scelto nel 2011 quando sono arrivata a Chieti. I numeri disponibili erano il 13, il 16 e il 18. A me i numeri pari non piacciono per niente, ma tutti mi dicevano che il 13 portava sfortuna. Invece siamo salite in A1 e sono stata premiata come migliore giocatrice della A2. Per cui, numero che vince non si cambia!
La tua carriera cestistica si è snodata tra l’A1 e l’A2, cosa ti ha lasciato ognuna delle squadre in cui hai giocato?
Ogni squadra lascia esperienza, cose buone e cose non tanto buone. Per me quella più importante va oltre la pallacanestro. Ogni Società mi ha regalato amicizie e rapporti bellissimi. Sono cresciuta grazie a queste relazioni, ho potuto ricambiare l’affetto ricevuto e questo per me significa aver fatto del bene o lasciato qualcosa di bello alle persone.
Come mai sei sempre rimasta in Italia?
Nello stivale ho voluto iniziare la gavetta cestistica. Dopo Pozzuoli ho avuto la possibilità di muovere i primi passi in A1. Il 2011 è sicuramente un anno cruciale: ho conosciuto mio marito (giocatore di pallamano, ndr), abbiamo deciso di restare in Italia e muoverci insieme in base alle offerte ricevute dai club. In Italia ci siamo trovati come a casa, e qui vorremmo rimanere. Amiamo vivere qui.
In campo quali sono le cose che ti piace fare di più e quali sono i tuoi riti pre-allenamento e pre-partita?
Al 100% mi piace sfruttare la mia velocità, effettuare cambi di senso, fare arresto e tiro e giocare tanto il pick and roll. Prima degli allenamenti metto sempre deodorante, profumo e crema corpo, perché se inizio a sentire odori brutti mi viene da vomitare…! Per quanto riguarda i riti pre-gara, inizio col mettere la cumbia (musica) argentina, mi vesto, mi occupo delle fasciature, mi pettino con il gel e mi trucco. Mi dedico al pre-workout e aspetto dentro lo spogliatoio fino a che non entra il coach. In campo invece entro sempre per ultima.
I tuoi sogni di quando eri bambina si sono realizzati?
I miei sogni si sono realizzati, e posso dire che sono andata pure oltre. Ci ho lavorato tanto per arrivarci. E continuo a sognare e lavorare per far sì che se ne avverino altri.
A cosa hai rinunciato per la pallacanestro e in cambio cosa ti ha dato la pallacanestro?
Credo che “rinunciare” non sia la parola giusta, perché sento di aver fatto delle scelte che mi hanno fatto felice. Certo, le decisioni prese mi hanno fatto stare lontano da casa, dalla mia famiglia e dai nipoti, ma grazie alla tecnologia posso parlarci tutti i giorni e anche da lontano faccio parte della loro vita. D’altra parte, penso che tutte le persone che lavorano non stiano sempre con la loro famiglia 24 ore su 24. Ci sono stati compromessi da affrontare, ma li ho fatti col sorriso.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
I miei progetti futuri sono legati alla pallacanestro, sperando di poter lavorare in un’agenzia che aiuti le giocatrici a poter vivere di questo sport e godere anche di un’avventura che a me ha fatto tanto felice.
Svelaci il tuo piatto argentino preferito e la ricetta!
Posso dire che mi piace tantissimo cucinare, quando sono stressata cucino ugualmente! In particolare adoro i piatti argentini salati: in primis l’empanada (dischi di pasta sfoglia ripieni di carne, cipolla, peperoni) e poi la carne mechada che secondo la ricetta di nonna Clara consiste in una carne ripiena da cuocere per tre ore nel sugo in modo che poi, quando la si taglia, si sfilacci tutta. Provare per credere!