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TOCCA A LEI

EDITORIALE di Silvia Gottardi

Ormai lo sapete che non sono una grande fan degli allenatori provenienti dal maschile e messi a dirigere una squadra femminile senza alcuna conoscenza o esperienza del settore. Come se il solo fatto di provenire dal maschile fosse garanzia di successo, come se nel femminile non ci fossero allenatori e allenatrici in gamba, come se la conoscenza di un ambiente non fosse una competenza fondamentale.

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Esempi ce ne sono parecchi, e purtroppo in molti casi poi è andata a finire maluccio. L’ultimo eclatante esempio è quello di Lino Lardo. Pur non conoscendolo, dal punto di vista umano, mi è dispiaciuto per lui: non credo sia mai bello essere tagliati, men che meno in mezzo ad una semifinale playoff. Ancora meno se vieni già da un esonero la stagione precedente... (San Severo, A2 maschile). Tutto questo per dire che io quando la panchina è stata affidata ad Angela Gianolla me ne sono rallegrata. Quando poi ha ribaltato la serie conquistando la finale, ho esultato. E non è una questione personale di simpatie per un Club o l’altro: se mi fossi basata su questo avrei senza dubbio tifato Reyer, squadra in cui ho giocato (per altro proprio assieme ad Angela). Ho esultato perché questa è la prova che non solo nel nostro mondo ci sono coach competenti, ma che sempre più spesso si tratta di donne, di ex giocatrici. Non più solo Cinzia Zanotti, ma ora anche Simona Ballardini a Faenza, Angela Gianolla a Bologna, e poi in A2 Francesca Zara a Castelnuovo Scrivia (anche se lei purtroppo si è dimessa), Anna Zimerle a Ponzano, Mara Buzzanca a Patti...

L’obiezione più comune che mi sono sempre sentita dire quando azzardavo la domanda: “Perché in Italia non ci sono allenatrici?” è sempre stata che “Le donne non hanno voglia di mettersi in gioco, hanno altro da fare, è un ruolo difficile...”. Siamo sicuri? Io credo che le donne ci siano, che abbiano voglia di allenare e di mettersi in gioco. Hanno competenze e personalità. Dipende solo dal fatto che a nessuna, o a pochissime, è mai stata data questa opportunità. Perché siamo tutt* cresciut* con la convinzione totalmente sbagliata, patriarcale, che il coach – cioè la figura che incarna l’autorità massima, il potere, il carisma – non può che essere un uomo, perché solo un uomo può avere quelle caratteristiche. E invece no, anche le donne possono ricoprire ruoli di potere, essere leader. E in più le donne hanno empatia, capiscono le giocatrici, sanno cosa provano in spogliatoio o negli attimi più difficili di una partita, sanno comunicare con loro.

Questa convinzione è talmente radicata in tutti noi che addirittura la Virtus in un post scrive: “Dopo 22 anni e per la seconda volta nella storia del basket femminile una donna si giocherà una finale scudetto come capo allenatore.” Non riusciamo nemmeno a declinare il ruolo al femminile.

Attenzione, non sto dicendo che le donne allenino meglio degli uomini. La questione è di offrire pari opportunità agli uomini e alle donne. Siamo sempre lì. Diamo le stesse opportunità e poi lasciamo che sia il campo a parlare. E non importa se Angela, con la sua Virtus, vincerà o meno lo Scudetto. Importa che ci sia, che sia un esempio. Importa che finalmente quest’anno nessuno potrà dire, per l’ennesima volta: “In A1 c’è solo una allenatrice”. Importa che il prossimo anno venga confermata su quella panchina, e non rimpiazzata dall’ennesimo allenatore uomo che, sulla carta, dovrebbe essere meglio di lei!

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