9 minute read
I TRASLOCHI DI EMILIA
from PINK BASKET N.37
by Pink Basket
PRIMO PIANO di Francesco Velluzzi
EMILIA BOVE È UNA VETERANA CON UNA LUNGA CARRIERA TRA A1 E A2 ALLE SPALLE. PARTITA DA ARIENZO (CASERTA), NON HA MAI AVUTO PAURA DI CAMBIARE CLUB E CITTÀ PER INSEGUIRE I SUOI SOGNI. QUEST’ANNO HA TRASLOCATO A SAN GIOVANNI VALDARNO. OBIETTIVO: LA PROMOZIONE!
Advertisement
La sua casa è ad Arienzo nel casertano dove ha gli affetti più cari. La seconda casa è la sua Hyundai X 35. Ed Emilia Bove, quasi ogni anno, la sua macchina, spaziosa e confortevole, la riempie tutta, volentieri, di scatole, scatoloni, pacchi e pacchetti. Perché trasloca con i ricordi, con tutto quel che resta, anche materialmente, di un’intera e intensa stagione sportiva. Senza problemi, viaggia da sola, on the road, da una parte all’altra dell’Italia tenendo come base fissa sempre la sua Arienzo. “Dove un giorno, quando smetterò di giocare a pallacanestro, forse imposterò il mio futuro”. Emilia, nata sotto il segno dei pesci il 17 marzo 1988, a 34 anni ha già, con intelligenza, programmato anche qualcosa per il post basket: “Ho preso una laurea in Scienze Motorie. Università Telematica Pegaso e mi piacerebbe tanto interessarmi alla parte fisica e atletica. Fare la preparatrice, anche in una squadra di basket, mi alletta. Un po’ quello che ha cominciato a fare e poi costruito Francesca Zara”.
SOGNO Ma per il momento Emilia Bove, che gioca da 4, e all’occorrenza pure da 5, è concentrata su unico obiettivo: la promozione in A1 con il suo club, Bruschi Galli San Giovanni Valdarno. L’ultimo scelto dopo un’esperienza lunga e particolarmente appassionante: tre anni alla Molisana Campobasso. Altri tre anni Emilia li aveva fatti soltanto a Orvieto, dove ha lasciato un pezzo di cuore. Una vita in altalena tra A1 e A2, sempre inseguendo progetti concreti e piazze in cui si sente particolarmente amata. Valdarno è stata l’ultima tentazione. E d’accordo col suo agente Marco Florio, ha deciso di scendere un’altra volta al gradino di sotto. Ma in Toscana l’hanno fatta anche capitana ed è lei la guida del gruppo diretto dal coach Alberto Matassini che dalla buona esperienza di Udine è riuscito a portarsi la forza e il sapere cestistico di Antonia Peresson e Tina Cvijanovic, slovena. Una coppia di fatto fortissima che rende ancora più competitiva una squadra in cui brillano anche il fosforo di Sofia Vespignani, il talento di Elena Ramò, la concretezza della pivot Angelica Tibè e la vena offensiva di Alice Milani. La giovane Olajide, classe 2000, 183 centimetri, è un prospetto che fa gola a tanti. E, sinceramente, con un organico di questo tipo, la promozione non dovrebbe sfuggire alla truppa di Matassini. Anche se alle finali di Coppa Italia a Udine le ragazze di Toscana hanno buttato via la partita contro Brescia perdendo la possibilità di sfidare la corazzata Crema che, dopo anni di tentativi, la promozione non può proprio fallirla. “
Anche qui a San Giovanni Valdarno l’obiettivo è dichiarato. Vogliamo e vogliono la promozione. Le ambizioni sono serie, come la Società”, spiega Bove. “La squadra è buona e per questo motivo l’ho scelta, tralasciando le possibilità che avevo in A1 la scorsa estate. Ci alleniamo bene e tanto, con l’allenatore la chimica è ottima. Antonia Peresson è una fuoriclasse, si vede che le esperienze fatte all’estero le sono servite. Crema è fortissima, direi illegale, ma noi ci siamo. Udine è stato un grosso dispiacere. Ma non stavamo bene, infatti ci siamo beccate quasi tutte il Covid. C’era qualcosa che non andava, anche se abbiamo sprecato l’occasione con Brescia buttando una partita già vinta. Ci rifaremo. Siamo cariche per i playoff che partono in un modo strano perché non tutto è stato chiaro nella composizione della griglia con squadre che avevano ancora partite da recuperare. Io voglio soltanto guadagnarmi questa promozione. Ho tanti stimoli e un obiettivo fisso in testa. Non mi pesa giocare in A2. Nel campionato superiore i ruoli che occupo io vengono quasi sempre destinati alle straniere. Così, il minutaggio non può essere particolarmente elevato. Così se fai la scelta di andare a giocare al piano inferiore, ma in un Club ben strutturato che ha forti ambizioni, sei felice ugualmente e vivi una bella esperienza. Noi stiamo bene, viviamo quasi tutte in un agriturismo, praticamente tutto per noi. L’unico vero problema è la connessione, la linea telefonica. Solo Antonia e Tina vivono dentro il paese. Abbiamo creato una bella situazione, ci vediamo tutti i giorni e alla fine non ne potremo più... ma stiamo molto bene tra noi”, ride Emilia che fuori di casa ci è andata molto giovane.
RIMPIANTI E POCHI SOLDI “Ho cominciato da bambina perché ero alta. Alle Pantere di Caserta, una società che non aveva niente a che fare con la mitica Juve maschile. Noi non giocavamo al Palamaggiò, ma nell’impianto dello stadio di calcio. Al Pinto. È stato Mauro Cavaliere a farmi appassionare al basket. E da Caserta ho scelto di fare il passo verso Napoli. Sono rimasta fino alla A2. Poi sono andata a Orvieto. La gestione di Gabriele D’Annunzio non è stata esemplare, e così ho fatto il primo vero trasferimento. Bello. Città storica, piena di cose da vedere, cucina ottima. Orvieto è stata un’esperienza triennale bellissima. Ho giocato in A1. Poi a un certo punto sono finiti i soldi e ho dovuto cambiare”. Emilia non è andata lontanissima, ha scelto l’Umbria, Umbertide dove il dottor Betti era riuscito a portare la sua creatura ai massimi livelli. “Ho avuto un allenatore come Lollo Serventi che pretende tanto, ma ti dà tanto. Sono migliorata, facevo gli allenamenti individuali e lì ho dato una svolta. L’unica mazzata è stata l’infortunio al tendine d’Achille che mi ha tenuta fuori a lungo. Quella economica c’è stata anche a Umbertide. Perché pure lì sono finiti i soldi e si è dovuto ridimensionare il progetto (ora la squadra veleggia con un nucleo giovane in A2, ma resiste). Così ho ripreso la macchina e ho traslocato nuovamente. In direzione Vigarano”. Anche in Emilia, Emilia... ha fatto l’A1. “Con Luca Andreoli, l’attuale tecnico di Lucca. È stata una buona annata”. Poi, però, a fine stagione, l’auto era già accesa con gli scatoloni dentro...
CAMPOBASSO “Dopo Vigarano, ho deciso di accettare il progetto di Campobasso, targato Molisana. Scendevo nuovamente di categoria, ma l’esperienza mi incuriosiva. Andai a vedere una loro partita a Bologna con la mia amica Erika Reggiani. Poi capii che loro mi volevano. Era anche un’occasione per avvicinarsi un pochino verso casa. Volevano fare un campionato competitivo e svegliare l’interesse per il basket femminile con una Società mandata avanti da donne manager in carriera. Rossella Ferro e le sue dirigenti ci sono riuscite in pieno. Il primo anno a Campobasso resta per me indimenticabile. Eravamo diventate più famose dei calciatori. Ci fermavano per strada e tanti avevano mille attenzioni per noi. I tifosi al palazzetto ci tiravano le forme di caciocavallo in campo. È stata fatta una grande promozione, una bella campagna che ha premiato. Indimenticabile il terzo tempo dopo le partite. Ci si trovava in un locale anche con le avversarie e il capo tifoso Mauro Moffa cucinava divinamente per tutti. Naturalmente la Pasta Molisana non poteva mai mancare. Neppure a casa nostra. Dividevo l’appartamento con Roberta Di Gregorio, tuttora mia cara amica, e Giulia Ciavarella. La stagione cestistica ha vissuto un po’ di alti e bassi anche per l’infortunio della straniera. Ma Campobasso è stata una vera famiglia per me. Poi siamo arrivate a giocare la A1 sempre con Mimmo Sabatelli come allenatore. Il progetto è andato avanti forte, la Società ha dato una svolta a tutto il movimento. Perché uno sponsor così è importante. E tante sono state e sono tuttora le iniziative per creare sempre più appeal attorno alla squadra”. Poi il Club ha fatto un’altra scelta ed Emilia ha dovuto nuovamente riempire la macchina di scatoloni. “Hanno voluto dare un taglio a tutto e hanno deciso di cambiare, facendo praticamente piazza pulita. Cambiando quasi tutte le giocatrici. Mi è dispiaciuto perché ero stata bene e a pensarci ancora adesso mi vengono i brividi per quel che è stata quell’esperienza di tre stagioni in un posto piccolo come il Molise, che il basket femminile ha fatto diventare grande in tante occasioni. Devo ammettere che è stata una città dalla quale sono andata via davvero a malincuore”. È tornata nel casertano e si è poi diretta verso la Toscana.
Con una carriera così lunga, viene da capire quanti ricordi ha lasciato. “Tanti, troppi”. Quali cibi restano indimenticabili. “Il caciocavallo me lo sogno, ma la pizza di mio cugino dalle mie parti e la parmigiana di melanzane per me restano sempre il top. Mi è difficile mangiare una pizza in altre parti d’Italia, vista quella che ho a casa mia. Mio cugino ha proprio un locale. Vi porterò...Insieme alla mia cara amica Madalene Ntumba e suo figlio Noah, di cui ormai sono zia”. Tanti cambi e tanti traslochi non hanno permesso a Emilia di farsi ancora una vita sentimentale, di pensare a una famiglia. “Non è semplice. Vivi così, allenandoti tutti i giorni, non hai un weekend libero. Non siamo persone normali, è tutto al contrario rispetto alla quotidianità di molti altri e di un uomo che, magari, vorrebbe godersi certi spazi con te. Ci ho pensato spesso a questo perchè mi rendo conto che è difficile. Ma a 34 anni ogni tanto dico che forse la stagione che faccio è l’ultima, ma poi prevale la passione. E ricomincio. Giocare a pallacanestro mi piace ancora tantissimo. Ora sono concentrata solamente sulla promozione da centrare qui a Valdarno. Con le Società faccio sempre e solo contratti annuali. Ma una nuova avventura in A1 non mi dispiacerebbe affatto. Anzi...”