Resistenza La mia bisnonna è un’eroina di provincia p. 10 Propaganda Intervista alla Vamp Marlene Dietrich p. 19 SS L’inquietante storia di Ilse Koch, sfruttata dal Cinema p. 37
L’espressione Settimanale di critica cinematografica - www.espressione.altervista.org N. 1 anno I 27 Gennaio 2007
Tutte le immagini delle Reclame e l’impaginazione sono a cura di Luca Mario. Il sito è elaborato da Belletti Giulio e Luca Mario. Per la stampa, si ringraziano Vinzio Lara e la Kubical, di Borgosesia.
Speciale Cinema
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MADRE GUERRA La figura femminile negli anni più tormentati dell’Europa. Come il cinema e tutte le arti cercano di aiutarci ed emozionarci. Ma anche di imbrogliarci.
Reclame
Hedi Lamarr. Attrice. (1913-2000)
LUCA MARIO L’ANALISTA
LA GUERRA DEMOCRATICA P rima di poter fare qualsiasi riflessione sulla seconda guerra mondiale, bisogna analizzare questa frase, pronunciata da Albert Camus. “Da tanto tempo ho vergogna, vergogna da morirne, di essere stato, sebbene da lontano, sebbene in buona fede, anch'io un assassino. Per questo ho deciso di rifiutare tutto quello che, da vicino o da lontano, per buone e cattive ragioni, faccia morire o giustifichi chi faccia morire.” Perché Albert Camus, si sentiva un assassino? Egli fu uno dei partigiani francesi, legati al “Combat”, fu un antinazista convinto ed assai impegnato sul piano civile; quindi, perché si sentiva carnefice della seconda guerra mondiale? Perché essa fu la prima guerra totale. Non solo perché colpì tutti, ma perché rese tutti soldati. Rendendo assassini non solo i militi, i gerarchi, gli statisti. Ma anche i semplici spettatori. La gente comune, lontana dai mitra e dalle bombe, viveva al ritmo dei motivetti di propaganda come “Me ne frego”, reso popolare dal Vate D’Annunzio. Fu fatta persino una canzonetta allegra il cui testo fa così: “Me ne frego, non so se ben mi spiego. Me ne frego, fo quel che piace a me”. Ecco, la gente dell’epoca era imbevuta di queste musichette. Perciò, quando gli spensierati canti furono soppiantati dalla straziante documentazione storiografica, tutti si sentirono colpevoli. Di omissione di soccorso, o tacita collaborazione. Ma sono colpevoli coloro che non
hanno impedito, alla stregua di coloro che hanno eseguito? Questo è uno dei dilemmi irrisolti della Seconda Guerra Mondiale. Io non voglio giustificare chi sapeva, ma restava inerme; però devo dire di no. Le masse erano incapaci di intendere e di volere. Erano impazzite, impregnate di ideali esaltanti e sotto il giogo della paura. Non erano libere di scegliere secondo intelletto. Come sotto ipnosi. Hanno mietuto tante vittime i volantini, quanto i fucili. La guerra rende assassini anche le virtuose ragazzine, insegna “Kapò” di Pontecorvo (vedi articolo a pagina 8). Credo che il dopoguerra sia stato un’epoca assai difficile, per i pensatori. Per questo motivo, per cancellare dalla mente l’opprimente mole della riflessione, è nata la spensierata società del consumo. Una cultura dell’effimero, segnata da Elvis Ma sono colpevoli colo- e Fred Buscaglione. Proprio quest’ultimo, con le sue canzoro che non hanno impe- ni goliardiche, compose veri e dito, alla stregua di co- propri inni alla superficialità ed alla spensieratezza quali loro che hanno esegui- “Eri piccola così” e “Whiskey facile”. Questo rispecchia una to? voglia della gente di andare oltre, di non pensare. Non c’è da stupirsi, quindi, se la più
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Il grande romanziere e drammaturgo francese Albert Camus nel ‘53 impegnativa composizione “Il sopravvissuto di Varsavia” di Arnold Schönberg sia stato meno apprezzato dalle masse. Perché faceva riflettere, cosa che la demolita gente del dopoguerra non voleva fare. Perché era così spaesato, il mondo, dopo la guerra? Perché stavano venendo meno i grandi ideali su cui poggiava. Soprattutto in Italia. Le bombe che rasero al suolo Dresda, per citare Brecht, non distrussero solo le mura; ma anche le basi del passato. Un’immagine che rende l’idea di questo scombussolamento è quella fornita da Camus ne “La peste”. Romanzo, poi trasposto 3
in film nel ’92 da Luis Puenzo. La massa stava reagendo alla guerra come ad un’epidemia. Nel caos che s’impadronisce della mente umana, dopo un Male così intenso e travolgente. La Peste del 1348, dicono sia stata una delle possibili premesse del Rinascimento. È, quindi, possibile trovare qualcosa di positivo nella seconda guerra mondiale? No. Ma nei suoi effetti, forse. Fu una guerra totale. E questo non è, di per sé, positivo. Ma fu totale in
Una foto della città di Dresda, rasa al suolo dalle bombe della RAF e della Army Air Force americana. 4
quanto colpì tutti, indistintamente. Perciò abbatté, seppur in maniera ignobile, molte delle barriere costruite. Lasciando spazio ad un nuovo Rinascimento mondiale. Nella ricostruzione, infatti, vennero meno i privilegi acquisiti nei secoli precedenti. Perciò, si fecero spazio nuove categorie sociali. Da questo punto di vista, forse un po’ radicale, la seconda guerra mondiale fu democratica. Perché permise un pieno sviluppo di un futuro democratico ed europeo. Se non ci fossero
stati gli influssi della “politica internazionale”, degli USA e dell’URSS, sarebbe stata un’ottima occasione per un’unificazione europea. Immediata perché tutti coloro che erano illusi dagli ideali di guerra, avrebbero potuto capire di essere nella stessa situazione di coloro che si trovavano oltre il confine. Certo, l’odio nei confronti della Germania, per i paesi dell’Alleanza, sarebbe stato difficile da oltrepassare. Ma, con una buona guida, sarebbe stato accantonabile. Un’altra rivoluzione avvenne, tra il gas asfissiante ed i proiettili: la nascita della donna d’oggi. La figura femminile ebbe un ruolo attivo nel conflitto. Vittima, prostituta, strumento di propaganda, operaia, carnefice, spalla, spia, combattente, staffetta, emblema della resistenza, eroina. Quest’evoluzione è assai complicata, soprattutto per chi è nato mezzo secolo dopo l’inizio della guerra. I manuali di storia non sanno dare molto, oltre a date e parole sbiadite. Per aiutarci a comprendere, quindi, subentra l’Arte. Essa sa comunicare (non sempre) direttamente alle viscere, alla parte più passionale dell’uomo, la drammaticità della guerra. Soprattutto il Cinema, che unisce all’immediatezza delle immagini la suggestività della musica e la capacità di emozionare delle parole. Questo è lo scopo. Trasmettere l’orrore della guerra, per apprendere la pace. Per non divenire assassini, come Camus. 27 Gennaio 2008 L’espressione
Reclame
Talullah Bankhead. Attrice. (1902-1968)
RISERVATO Anche perché non vedo motivo per cui i fascisti debbano sparare ad un prete. Mica si spara agli alleati.
Satira preventiva
FFSSCCBBGG DI FERRO LIA E LUCA MARIO È orora uscito l’ultimo film, in collaborazione tra Müller (quello dello yogurt), Thurgau ed i fratelli Rossetti (quelli delle scarpe): “FFSSCCBBGG Ma lo sai che a Roma (città di certo non chiusa) un tempo c’erano i fascisti e le donne piangevano perché non c’era abbastanza cibo da mangiare e si moriva di fame mica roba da poco. Si moriva di fame. Ma perché se non m’ami?”. Appena giunto in circolazione, tutta l’intellighenzia l’ha commentato con ardore. La Repubblica: Film di notevolissimo impatto emotivo, descrive efficacemente, senza fronzoli, la Roma affamata, distrutta, sottomessa dall’occupazione nazista e la disperazione dei suoi abitanti, braccati come volpi, senza speranza di salvezza. Estremamente commovente e toccante la scena della morte di don Morosini, fucilato appena dopo essere stato salutato dai bambini della sua parrocchia. Voto: quattro stellette. Ed una Palma d’oro. L’avvenire: Pur encomiabile nel suo intento di rappresentare fedelmente la realtà storica, la pellicola manca tuttavia di rispetto a quelle che sono le idee fondanti della religione cattolica. Stando al messaggio che il film vuole veicolare, nella Roma occupata dai nazisti non c’è spazio per la speranza, per la fede e la fiducia nella presenza di Dio Nostro Redentore: la voce del Padre in terra, don Morosini, viene brutalmente zittita a suon di fucilate; il regista commette così un difficilmente tollerabile peccato di hybris, affermando la parità della razza umana e del Santissimo Creatore. Imperdonabile inoltre la scena che vede una donna incinta morire crivellata di colpi: l’innocenza di un bambino non ancora nato, dunque purissimo e come tale protetto da ICTPTS (Iddio Che Tutto Protegge e Tutto Sa), profanata dai colpi impuri 27 Gennaio 2008 L’espressione
Un’urlante Anna Magnani. Ed una corrucciata Magnani Anna. di sudici uomini. Osceno. Anche perché non vedo motivo per cui i fascisti debbano sparare ad un prete. Mica si spara agli alleati. Voto: una stelletta e mezza. E qualche pater noster Libero: Tutti babbei e villani coloro che appoggiano la linea di questa pellicola. Starete dicendo: le solite esagerazioni del nostro giornale. Palle. Perché è obiettivamente abietto questo film. Perciò sono inutili i blablablà sul parroco fucilato o su quell’attricetta della Magnani che urla come un’ossessa. L’apparato a tutela della cultura del Cavaliere ha già promosso la censura di questa spazzatura. Il governo l’appoggia. Richiediamo le dimissioni di quest’ultimo, perché chi appoggia questi sovvertivi non può avere una cadrega. Voto: mezza stelletta. E dello sterco. L’Unità: Finalmente una pellicola che sa valorizzare la figura del sottoproletario urbano. Schietta, sbatte in faccia una Roma senza frizzi né interlizzi. Non esiste questa parola. Lo so. Ma rende l’idea. Perché tutti voi critici esigete l’utilizzo di parole prefabbricate? Non esistono lettere sufficientemente asciutte e d’encomio per ringraziare il regista di questo schiaffo all’ipocrisia fintoborghese che santifica la guerra come mezzo d’epurazione. Il pianto della Magnani trafigge il cuore. Voto: quattro stellette e sette undicesimi esatti, una pacca sulla spalla, e un litro di Rhum Panamense.
DONNE DUDUDÙ
La rinascita di Venere Tutto lo speciale che state per leggere è dedicato alla Donna. La relazione tra il sesso che, forse, fu debole ed il conflitto mondiale è strettissima. Fu proprio la Guerra a mettere al centro dell’attenzione globale, forse per una delle prime volte, la donna. In tutte le sue sfaccettature. Quindi, non solo come colei che sta a fianco dell’uomo, ma anche come parte integrante della società. I film che analizzeremo sono stati scelti per la loro efficacia; di modo da evidenziare buona parte dei ruoli femminili. Buona lettura. M.L.
OPERAIA ADOPERATA Un forse troppo breve cenno deve andare all’icona statunitense di Rose the Riveter. Un intero movimento di donne che ha lavorato per produrre munizioni e rifornimenti durante la WWII. Quasi sei milioni furono le donne che lavorarono nell’industria bellica. La figura della Riveter è stata strumentalizzata per incitare le connazionali a produrre armi, con le quali i loro uomini si sono ammazzati. 6
Reclame
Yvonne De Carlo. Attrice. (1922-2007)
Tutte le immagini delle Reclame, e l’impaginazione sono a cura di Luca Mario. Il sito è elaborato da Belletti Giulio e Luca Mario. Per la stampa, si ringraziano Vinzio Lara e la Kubi-
NON RESISTE LA MEMORIA
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Storie dimenticate della resistenza italiana. Tutti i lati nascosti delle donne con i mitra. Tra Partigiani e Brigatisti. Anche la mia bisnonna è un eroina
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Di Luca Mario
MD: La Vamp 19 Intervista all più grande Diva di tutti i tempi: Marlene Dietrich. Una tedesca traditrice od una spia al servizio del Fuhrer? di Luca Mario. Saffica. Stuprata. 22 Approfondimento su un tema dimenticato: il lesbismo nella Germania nazista. E la situazione delle donne comfort. di Luca Mario.
37 Primo Piano L’Agnese è morta 13 Dimenticando le Storie delle eroine partigiane le si uccide di nuovo. di Boggiani Ludovica Dizionarietto film 16 Breve introduzione al mondo del cinema. Analisi del mezzo filmico. di Belletti Giulio
Storia Blokova 33 Irma Grese e le folli di Bergen Belsen. Storie di follia omicida a confronto con la Kapò di Pontecorvo. di Ferro Lia
Ilse Koch: vergogna anche per il cinema 37 Una pazza sadica ed un film allucinante. Come, a partire da una storia inquietante, si guadagnano quattrini. Vittima? 23 La ciociara è una vittima? Del- di Luca Mario la società, del Denaro, della Cultura Guerra? O solo di sé. Confronto con Brecht e Madre Corag- L’arte della Guerra 39 gio. Come è stata rappresentata la di Airoldi Alberto. guerra in termini artistici generali. In un viaggio tra musiVittima! 29 Le vere vittime della seconda ca, pittura ed indescrivibile. Arte. guerra mondiale. Viaggio di Luca Mario nell’allucinante mondo dei campi di concentramento. di Luca Mario. In copertina: Irma Grese
Opinioni L’analista di Luca Mario Satira preventiva di Ferro Lia e Luca Mario Prossimamente in edicola di Belletti Giulio Lettera ad Apollo di Luca Mario Bibliografia completa della Redazione
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L’espressione In edicola la prossima settimana
KAPÒ
Pro e Contro Fate alzare l’audience perché: Sapiente regia, seppure con qualche evidente cattiva scelta Dramma umano molto intenso e coinvolgente. Cambiate canale perché: Qualche errore nella regia farebbe storcere il naso ad un purista. Dramma umano trasformato in commediola sentimentale.
Per la serie “Donne controverse” Kapò (1960), con regia di Gillo Pontecorvo. DI BELLETTI GIULIO
I
l film è una produzione Italo/Franco/Jugoslava che mostra il terrore e la sofferenza in un “campo di lavoro” nazista. Trama La narrazione inizia a Parigi, dove si trova Edith, una giovane ebrea francese, che tornando a casa dalla sua lezione di piano viene catturata e deportata in un campo di sterminio. Separata dai genitori, apprende di essere destinata a morire nella camera a gas, ma riesce a fuggire sfruttando un attimo di disattenzione delle guardie. Sola ed impaurita, viene aiutata da un medico e da Sofia, magistralmente interpretata da Didi Perego, che vinse un Nastro d'Argento per il ruolo. Edith inizia dunque la sua nuova vita sotto il nome di Nicole, una ladra. Viene spostata in un campo di lavoro, e in quel luogo perde completamente la coscienza di sé: La locandina originale del capolavoro di Pontecorvo
27 Gennaio 2008 L’espressione
inizia a rubare, a mentire, a cercare di imbrogliare le sue compagne, ed arriva persino a vendere se stessa in cambio di cibo. Si può certamente dire che con il suo nuovo nome, Edith/Nicole trova una nuova se stessa, meno sensibile, senza nemmeno un bagliore di umanità: il macabro fine dei suoi carcerieri giunge quindi a compimento, come già profetizzato dalla sua amica e compagna di sventura Terese. Questo tipo di degenerazione era frequente nei campi di sterminio, ed anzi era voluto dai nazisti, per poter trasformare le loro vittime in oggetti da manipolare. Se si volessero portare esempi di questa degenerazione si potrebbe citare l'episodio del furto, in cui Edith ruba una patata all'amica Terèse, e la scena in cui gioisce per essere riuscita a fregare le sue compagne. Durante la sua discesa agli inferi, Edith diventa addirittura kapò, termine che indica un prigioniero a cui vengono affidate funzioni di comando all'interno del Lager. Una volta assunto questo ruolo, la giovane perde ogni brandello di umanità che le era rimasta e inizia a vessare le compagne, che cominciano ad odiarla. Solo l'arrivo nel campo di lavoro di un soldato russo, Sasha, di cui si innamora, le fa capire i suoi errori. Alla fine sarà proprio Sasha a convincerla a sacrificarsi per liberare i prigionieri. Critica Gillo Pontecorvo in questo film utilizza un contrasto esasperato all'inverosimile, che a tratti rende addirittura fastidiosa la visione, quasi a voler accentuare il dolore ed il disagio che si prova vedendo delle immagini così dure. Altre volte invece il contrasto viene utilizzato per smussare e rendere più digeribili delle immagini fin troppo
crude: un esempio è lo spezzone in cui Edith entra nell'infermeria e getta un'occhiata ai malati di fronte a lei: ciò che vede è solo una serie indistinguibile di contorni umani, ammassati su letti a castello. In questo caso, per l'appunto, si edulcora la visione, ma al contempo la luminosità eccessiva la rende più drammatica. Un altro punto degno di nota è la colonna sonora: difatti, paradossalmente, i momenti più drammatici sono sottolineati da una musica allegra. Il primo esempio è l'ingresso dei prigionieri nel Lager, dove ad accoglierli trovano una piccola orchestra che suona una allegra composizione. Altri esempi si trovano durante tutto il film, anche se non sempre vengono giustificati diegeticamente dalla presenza dell'orchestra. La colonna sonora tuttavia non tarda ad essere a tratti drammatica, o intensa, quando serve: durante la scena in cui Terèse (Emmanuelle Riva) si suicida gettandosi sul filo spinato la musica di sottofondo si fa cupa ed energica. Questo film però non ha solo caratteristiche positive: difatti nel finale Pontecorvo non riflette sulla tragedia umana di una giovane distrutta dal nazismo, poiché trasforma il film in una smielata e romantica storia d'amore, che pare voler trovare una soluzione sensata per una situazione che di senso non dovrebbe averne. Nemmeno la regia è così impeccabile: salta agli occhi la carrellata in avanti utilizzata da Pontecorvo per inquadrare il cadavere di Terèse (carrellata che è stata criticata apertamente). Se con questa discutibile scelta il regista voleva evidenziare la sofferenza che una simile scena conferisce, ci è riuscito in pieno. 9
NON RESISTE PRIMO PIANO
Tradita anche la Memoria. Unica cosa che non ha avuto resistenza nella Resistenza Partigiana: il ricordo delle donne che hanno salvato l’Italia.
S
erravalle Sesia. Trotta la schiera degli uomini nella via principale. Trottano, come muli, sotto gli sguardi vigili dei nazisti. Mia nonna è sul balcone, ha pochi anni. Trotta. La mia bisnonna, invece, è appena tornata dal mercato nero; 50 km a piedi. È stanca. Vede la processione, non dissimile da quelle dei santi nelle feste popolari. Quelle lunghe schiere di penitenti, che invadono le vie siciliane nelle feste patronali ricorda molto questo avanzare lento. Verso Borgosesia. Dove la spia fascista dirà chi è partigiano e chi no. Chi morrà e chi no. Trottano. E le mie due parenti li fissano dall’alto. Quando scorgono il mio bisnonno Marino, nel manipolo dei condannati. Tutta la famiglia è partigiana, lo si sa. Così, tutti sanno la condanna che gli spetta. Trottano. Avanzano. Verso. La morte. Verso. Chissà. Dove. Sotto. L’occhio vigile. Dei fascisti e delle donne appollaiate sui balconi. Procedono. Chi cerca di fuggire. Viene fucilato. Marino ha la sua bici al fianco. Trotta. Rischia. Si avvicina. Nel
DI LUCA MARIO
silenzio. Afono. Del rischio. Una voce pura, mia nonna, urla uno spaventato Papà!. Silenzio. Sudore gelido percorre a tutta velocità il corpo del bisnonno. S’alzano le urla dei sorveglianti. Cosa. Cerchi. Di. Fare?. Dita sui grilletti. Tic. Tac. Tic. Tac. Il tempo scorre al rallentatore, con la parata fredda e ferma. Tic. Tac. Mia nonna trema. Così sua mamma. Così tutti. Una scusa. Dovevo lasciare la bici. Tic. Tac. Gli avranno creduto? Tic. Tac. Il tempo sembra freddato nell’attesa di una sentenza capitale. Ci credono. Sollievo. La mandria torna a muggire e procedere. Trotta. La mia bisnonna scende. Al piano terra. Silenzio. Un passo falso, e si perdono tutte le speranze. Apre lentamente il portone. Questione di sincronismo. Rischiano due pallottole secche nel cervello, di quelle che fanno strabuzzare a terra, di quelle che spargono il tuo sangue su tutti i muri della cittadina. Marino, però, non può
defilarsi. Continua a trottare. Fino a Borgosesia. Dove. Si salva. Mentre le sue donne. Lo danno per. Morto. È puro eroismo la forza della mia bisnonna. L’animo di saper resistere, psicologicamente, al terrore. Forse è più difficile essere a casa, non poter far nulla per il proprio desino, che trottare verso la lotta. Questa è una storia che sempre mi emoziona. Perché io ho conosciuto tutti i protagonisti. Quando si vede una pellicola, si rimane sempre un po’ distaccati. Ma quando si hanno i testimoni di fronte, diventa molto più coinvolgente. Perciò, ve l’ho voluta narrare. Una piccola storia di provincia, di cui non avreste mai potuto leggere su un libro. Ma io voglio che sia scritta, in onore dei miei nonni. Sarà per doveri di spazio, o per menefreghismo, ma i manuali non hanno mai parlato della mia bisnonna. Che si faceva centinaia di chilometri a piedi, per comprare lo zucchero. Certo, se tutti dovessero parlare di tutte le bisnonne, otterremmo dei volumoni illeggibili. Eppure, ognuna di me-
Dati Partigiane: 35.000 - Patriote: 20.000 - Gruppi di difesa: 70.000 iscritte - Arrestate, torturate: 4.653 - Deportate: 2.750 - Commissarie di guerra: 512 - Medaglie d'oro: 16 - Medaglie d'argento: 17 - Fucilate o cadute in combattimento: 2.900
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Tramonto sui monti valsesiani. Dove si svolge la storia del mio bisnonno. 27 Gennaio 2008 L’espressione
LA MEMORIA
PRIMO PIANO
rita di essere segnata. Perché non svanisca nel tempo. Devo segnalare, e consigliare, un libro di uno storico valse siano, Sagliaschi Claudio: “Il cerchio di ferro e di fuoco” in cui potrete trovare molte storie come quella di sopra. Ora, una volta reso quel minimo di vano onore ai miei avi, voglio dezoomare e considerare la donna nella resistenza più in generale. Innanzitutto, invito a cestinare il luogo comune che vede le donne come “spalle” degli uomini. La donna che prepara la minestrina per il marito partigiano è un’offesa alle 2.900 donne fucilate dai nazifascisti. Anche l’immagine di donna che porta i messaggi, per quanto importante è riduttiva. Il ruolo della staffetta, infatti, è stato fondamentale. Molto più di una postina. Senza i messaggi e le munizioni portate dalle persone come Lia (in “La bicicletta di Lia”, messa in scena dal Teatro della Cooperativa di Milano.), i partigiani non avrebbero potuto estirpare la piaga del nazismo. Inoltre, le staffette erano assai più in rischio dei combattenti. Questi avevano le armi con cui difendersi, loro no. Ma non sono mancate figure di donne armate, pronte alla battaglia. Per esempio Iris Versari (che, per Sopra, due foto di Iris Versari. Quando era viva certi aspetti, mi ricorda una marghee sorridente. Ed impiccata.
27 Gennaio 2008 L’espressione
rita Cagol degli anni ‘40; non in quanto terrorista, ma in quanto eroina). Membro della “banda Corbari”, così era chiamato il gruppo di resistenza che rotava attorno al partigiano Silvio Corbari, fu uno dei personaggi più importanti nella resistenza romagnola. Come tra la Cagol e Curcio, anche tra Iris e Silvio si sviluppa un rapporto profondissimo. Certo, può sembrare inopportuno e quasi sacrilego paragonare un’eroina dell’anti-fascismo ai brigatisti. Ma le analogie tra le due sono forti e, poi, se si trascende dagli ideali, se non ci si chiede “sono giusti o sbagliati?”, ma le si analizza come persone diventa impossibile non riconoscere in entrambe una certa dose di eroismo. Perché, per me, eroe è chi combatte per un ideale. Quindi, non scandalizzatevi se cito le BR, non voglio parlare delle loro idee; voglio evidenziare il coraggio di entrambe le donne. Infatti, tornando ad Iris, bisogna ricordare che fu una feroce lottatrice. Nel ’44 partecipò all’occupazione di Modigliana, grazie ad una propaganda che ha indotto i fascisti a lasciare il paese. Il 23 maggio dello stesso anno, inoltre, assieme a Silvio si finse pentita dei fatti svolti e fissò un incontro con il console della milizia Marabini. Per poi ammazzarlo. Non si sa bene se sia stata lei o Corbari, ma è sicuro che uno dei due sparò un colpo di pistola nel cranio del console. Un’efferatezza che un po’ ricorda il rapimento di Vittorio Villarino Gancia, nel ’75. Anche nella morte, ci sono molte similitudini. Silvio e Iris partirono con dieci compagni verso Forlì, per tentare l’assalto al carcere e liberare Tonino Spazzoli, sotto suggerimento di Franco Rossi, ex membro della banda (Non ricorda forse 11
PRIMO PIANO
Mi sembra, infatti, che spesso si riduca la donna partigiana a semplice collaboratrice. Come ad assegnarle un posto meno importante.
L’incursione nel carcere di Casale settembre ’75?). Ma lo stesso Rossi ruba le armi, chiedendo di andarle a prendere il 18 agosto nel paesino di Cornio. Così lei, Silvio ed altri due partigiani si trovano nel paese. All’alba, un contadino li avvisa. Passiamo al presente storico, più efficace. Sono circondati dalla polizia. Un milite entra nella stanza di Iris. Lei lo ammazza col suo sten. I militi iniziano a sparare e a bombardare la casa a colpi di mortaio. Gli assediati si difendono con raffiche di mitra e lancio di bombe a mano, incuranti della superiorità numerica. Per avere una speranza di salvezza bisogna lasciare subito la casa e tentare la fuga. Corbari è esitante, non vuole lasciare Iris in mano ai fascisti. Per dissipare l’indecisione di Silvio e fare in modo che si salvi, Iris si uccide. Gli altri della banda cercano di fuggire. Ma vengono trucidati. I loro cadaveri tragici vengono esposti, impiccati, in piazza a Forlì. Una fine che ricorda quella di Mara. 5 giugno ’75. Accerchiata dai carabinieri, ingaggia un conflitto a fuoco durante il quale rimane uccisa. Questo parallelo tra le due donne mi serve soprattutto ad evidenziare un aspetto della vita di Iris: l’aggressività. Lei ha combattuto la resistenza, perciò la cito come esempio delle don12
ne forti che hanno rivoluzionato l’Italia. Mi sembra, infatti, che spesso si riduca la donna partigiana a semplice collaboratrice. Come ad assegnarle un posto meno importante. Come una che aiuta gli uomini, ma quasi passivamente; prepara loro il pranzo e dà loro ospitalità, ma non imbraccia le armi. Invece, è giusto ricordare le donne, né più nobili né più infami delle staffette, che hanno sparato per donarci la libertà. Suona banale, lo so, ma è così. Ci hanno donato la libertà, cosa che oggi noi quasi disprezziamo. Cosa che non onoriamo a sufficienza. Perché non dobbiamo dimenticare che la resistenza fu fatta anche di sangue e pallottole. Citerei, ora, un passo tratto da “Pane nero” di
Miriam Mafai. "C'è, nei confronti delle donne che hanno partecipato alla Resistenza, un misto di curiosità e di sospetto […] E' comprensibile […] che una donna abbia offerto assistenza a un prigioniero, a un disperso, a uno sbandato, tanto più se costui è un fidanzato, un padre, un fratello […] L'ammirazione e la comprensione diminuiscono, quando l'attività della donna sia stata più impegnativa e determinata da un a scelta individuale, non giustificata da affetti e solidarietà familiari. Per ogni passaggio trasgressivo, la solidarietà diminuisce, fino a giungere all'aperto sospetto e al dileggio." (Miriam Mafai, Pane Nero, Mondadori, 1995).
A sinistra, Renato Curcio; sopra Vittorio Gancia; Sopra due foto di Margherita Cagol. A cui viene paragonata l’eroina partigiana Iris Versari. In alto, il logo del sito sulle BR.
27 Gennaio 2008 L’espressione
PRIMO PIANO L’Agnese è morta. Ecco, invito a riflettere sulle parole “sceta individuale”. Esse riflettono un aspetto fondamentale, L’Agnese va a morire è un film. Come tale, è finzione. Perché l’Agnese è già morta. che rende eroi persone come Iris. E mostrerò perché. Ma partiamo dall’ABC. Il film è tratto dall’omonimo libro, che è una delle opere letterarie più limpide e In un’epoca di propaganda di convincenti che siano uscite dall'esperienza storica della Resistenza. Tutto è sormassa, e di tirannia che prevede retto e animato da un'unica volontà, da un'unica presenza, da un unico personagomologazione della massa ha gio. Si ha la sensazione che le Valli di Comacchio, la Romagna, la guerra lontana a saputo fare una scelta fortissima poco a poco si riempiano della presenza grande, titanica di questa donna. Come individuale. Perciò è stata insignise tedeschi e alleati fossero presenze sfocate di un dramma fuori dal tempo e tutto ta della medaglia d’oro al valore. si compisse all'interno di Agnese. Questa, quindi, è la più grande critica che si può Perciò la sua storia merita di esmuovere al personaggio di Agnese: il lasciarsi condurre dall’emotività, farsi guidasere ricordata. Non come quella re dallo spirito di vendetta. Entrambe le parti in lotta, infatti, ripropongono fondi una sovversiva, ma di una valodamentalmente il “mito tutto maschile” della mater dolorosa, racchiuso nei confirosa combattente. ni di quel dolore passivo e contemplativo. Ancora oggi, a distanza di 60 anni, stuPer evidenziare il ruolo della diare e interpretare queste donne significa fare i conti con una memoria pubblica donna nella resistenza, la redache, stratificata per decenni, ha rappresentato le donne della resistenza su due zione cinematografica de “capisaldi”: le madri (o figlie o vedove o sorelle) dei martiri e le mogli degli eroi “L’espressione” ha scelto un film ancora in vita. di Montaldo. Con Ingrid Thulin, Un modello che coinvolse le donne non meno degli uomini, inducendone molte “L’Agnese va a morire” rappresenad inserire nel codice materno l’ “imbarazzante trasgressione” operata con la scelta la testimonianza più forte di ta di entrare nella resistenza: secondo questa visione si è trattato di madri, mogli, questo fenomeno, quello della sorelle, figlie che combattevano per aiutare e proteggere la vita dei propri uomini. lotta amata. Anche se la protagoCome se per la donna fosse estraneo l’amore per la giustizia e per l’umanità in nista è lontana dalle armi, ha lo quanto portata per sua natura all’amore per i singoli uomini e donne. stesso coraggio eroico di Iris. CioQuesto, se ha fornito una legittimazione e un valore alla loro azione altrimenti nonostante non mancano nella trasgressiva, la ha sminuita rispetto all’analogo comportamento maschile, sua vita i delitti; difatti, ha ucciso “evidentemente” più valido perché motivato da criteri impersonali di giustizia. un tedesco con il calcio del fucile. In questo svilimento della figura femminile, relegata alla passionale e non all’idealista è stata uccisa Agnese. E, come lei, anche gran parte delle donne che Il suo ruolo nell’organizzazione hanno fatto la guerra. della liberazione, però, è meno Perciò, invito a riflettere sulle pulzelle che si sono prese colpi di mitra nel torace. sanguinolento. Seppur illetterata, Non vi sembra di infatti, diventa una figura materucciderle ulteriorna abbastanza saggia per i giovamente consideni. Secondo un critico: “è pressorandole solo seché una novità apprezzabile nella condarie? Ne lunga e logora antologia filmica dimenticate i nosulla Resistenza. Tuttavia, valido mi e le gesta. Ma, come simbolo della donna in un così facendo, ditormentato periodo storico, manmenticate anche ca nella fattispecie di sufficiente una delle parti più spessore e contiene dell'ambiguità nobili della volgamorale: se le sue doti materne nei re storia d’Italia. confronti di giovani allo sbaraglio e alle prese con momenti psicologicamente assai difficili sono positive, la sua scelta 'politica' non A Fianco, La bellissima attrice Ingrid Thulin. scaturisce da effettiva coscienza Sotto, una staffetta partigiana. ideologica, bensì da un'emotiva e inflessibile volontà di vendetta." ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 82, 1977). Ecco, in questo si distingue molto dalla Versari. Una è spinta dalla vendetta (Agnese), l’altra da una scelta ideologica forte. Questo, però, non priva Agnese del suo grande valore sociale. Pur spinta da motivazioni meno nobili, ha collaborato per un fine giusto DI LUDOVICA BOGGIANI
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PRIMO PIANO Sotto, ancora la bellissima attrice Ingrid Thulin. Nell’angolo in basso una foto che parla da sé. E, in questa foto, dopo questa guerra, è nata anche la Donna moderna.
con ardore e temerarietà. Per farvi comprender meglio i sentimenti di Agnese citerò il libro omonimo, da cui è ispirato il film, di Renata Viganò. “Nasceva invece in lei un odio adulto, composto ma spietato, verso i tedeschi che facevano da padroni, verso i fascisti servi, nemici essi stessi fra loro, e nemici uniti contro povere vite come la sua, di fatica, inermi, indifese.” Perciò, dobbiamo scremare questo personaggio da ogni sorta di idealismo e prenderlo per ciò che è: una reale interpretazione dell’italiano nella resistenza. Quindi, senza gli aulici ideali che caratterizzano i trattati di filosofia e storia; ma piena di sentimenti viscerali e puri, come un odio profondo e passionale. Nella figura materna di Agnese, vediamo anche l’espressione di un 14
L'altra direzione dell'impegno femminile è stata quella politica. Numerosissime donne, di ogni estrazione sociale, operaie, studentesse, casalinghe, insegnanti, in città, così come in campagna, organizzarono veri e propri corsi di preparazione politica e tecnica, di specializzazione per l'assistenza sanitaria, per la stampa dei giornali e dei fogli del Comitato di Liberazione Nazionale e per la divulgazione di stampa e volantini di propaganda, a favore della lotta partigiana.
dell’impotenza di chi lotta contro gli invasori, perché questo sono i germanici. Segnando fine ad un’appassionante pellicola. Ed ad una delle tante storie che sarebbero finite dimenticate, senza l’aiuto dell’Arte letteraria e cinematografica. Un nuovo merito di quest’ultima è proprio il riesumare storie e portarle all’attenzione del grande pubblico; scavare nei meandri del dimenticato e ridare onore a personaggi ingiustamente scordati. Concludo, citando la frase finale del romanzo della Viganò: “L’ AQueste storie cadute gnese restò sola, stranamente picnell’oblio. Piccole cola, un mucchio di stracci sulla Questa è un po’ ciò che rieroine di periferia, neve.” mane di queste storie cadute morte e piccole. nell’oblio. Piccole eroine di periStracci in balia della feria, morte e piccole. Stracci in balia della fredda neve. fredda neve. La memoria è importante per creare una coscienza civile, ma anche per togliere dalla neve questi cadaveri. Perché possano insegnarci qualcosa. Ed il film non rancore comune a molti italiani. Un può far altro che aiutarci. rancore che taccia i tedeschi come usurpatori e razziatori. Un sentimento ampiamente giustificato dalle gesta disgustose e dai crimini commessi, che si tramuta in un’azione esplicita e forte come la resistenza armata. Non si creda, infatti, che quella delle staffette non fosse resistenza armata. Pur senza armi, infatti, esse hanno saputo segnare la storia. Così quando, tra le splendide musiche di Ennio Morricone, Agnese viene brutalmente uccisa ci si rende conto 27 Gennaio 2008 L’espressione
Reclame
Jessie Matthews. Attrice. (1907-1981)
PRIMO PIANO
DIZIONARIETTO FILM Una breve introduzione al mondo dei film per babbani della materia. Perché ci vuole anche una parte più tecnica in questa rivista di opinioni e commenti.
L’
elemento caratterizzante del cinema, sin dalle prime proiezioni dei fratelli Lumière, è stato il realismo, e sin da allora ne è il punto di forza. Addirittura questo realismo può risultare sconvolgente: è famoso l'aneddoto della proiezione del film “L'arrivo di un treno alla stazione”. Si narra difatti che gli spettatori, esterrefatti e terrorizzati dalla visione di un treno che si dirigesse a tutta velocità verso di loro, si gettavano in salvo per paura che questo potesse spuntare fuori dal muro e fare una carneficina. Al giorno d'oggi si sorride, di fronte a una simile ingenuità, ma il realismo cinematografico, seppur in altri metodi, continua a sconvolgere. Un esempio evidente di un realismo sconvolgente è appunto la violenza: numerosi film sono stati prima apertamente attaccati, poi censurati o addirittura boicottati perché ritenuti violenti, espliciti o immorali. Potremmo citare alcuni esempi, ma
DI BELLETTI GIULIO la lista completa sarebbe lunga: “Le Iene”, “Arancia Meccanica”, “Full Metal Jacket” sono solo alcuni dei film bollati come eccessivamente violenti. Nonostante quindi il realismo ancora sconvolga il pubblico (ma forse tra mezzo secolo rideranno di noi), esso rimane l'elemento distintivo del mezzo cinematografico, il che rende quest'ultimo particolarmente adatto a trattare di alcuni temi, come quello della guerra. Difatti, mentre un libro per descrivere la guerra dovrà lasciare la maggior parte del lavoro al lettore, che presumibilmente non può sapere come sia veramente una situazione di guerra, un film getta lo spettatore nel mezzo del campo di battaglia, tra rumori, colori ed immagini. Nondimeno, un libro o una rappresentazione teatrale difficilmente potrebbero essere definiti “violenti”, o “scioccanti”, per quanto espliciti e dettagliati, il che rende questi due mezzi inferiori al cinema, nella narrazione bellica. Ma passiamo alla analisi di ogni singolo aspetto del mezzo cinematogra-
Sopra, i fratelli Lumiere: quelli da cui partì tutto. Sotto, un manifesto per le prime proiezioni. In basso a destra, scena tratta da Arancia Meccanica di Kubrick.
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fico, osservando come ciascuno di essi può caratterizzare un film di guerra. La Sceneggiatura Essa è la parte caratterizzante non solo di un film di guerra, ma di un qualunque film. Con la sceneggiatura viene stabilito il soggetto, l'ambientazione, i personaggi, e questi elementi concorrono tutti a delineare la trama (o, per meglio dire, la sinossi). È quindi inutile dire che ciò che caratterizza maggiormente un film, rendendolo un film drammatico, comico o, per l'appunto, di guerra, è la sceneggiatura. La sceneggiatura tuttavia può avere delle diverse caratteri-
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PRIMO PIANO tiche: per esempio, può essere ori- La scena è questa: due soldati stanno due, e vedrà il terrore negli occhi ginale o essere una trasposizione di parlando tra loro, quando improvvi- dell'uomo di fronte a lui, per poi un testo teatrale o letterario. Nel samente vengono attaccati da una seguire lo sguardo del soldato, primo caso il soggetto è creato ap- persona misteriosa, che sbuca da una che si gira fino ad inquadrare positamente per il film che si vuole siepe. l'assalitore. andare a girare, invece nel caso di Questa scena può essere inquadrata La posizione numero due invece è un soggetto non oririassimilabile al narratore onnisciente ginale esso viene dei romanzi. In queriadattato per il sto caso lo spettatore mezzo cinematograsa bene che c'è qualfico (tenendo quindi cosa che incombe sui conto dei punti già due sventurati, i quacitati e che analizzeli sono del tutto all'oremo in seguito), e il scuro. Tuttavia lo grado di fedeltà di spettatore non conoquesta sceneggiatusce la natura del perira può variare di colo, il che conferisce molto: si può andare alla scena una tensioda una semplice trane maggiore rispetto scrittura di un dramalla prima, in cui avma ad una più comviene un colpo di plessa rielaborazioscena improvviso. ne di un tema, magaIl punto tre invece ri rivisitandolo in può essere collocato, chiave moderna. come significato, a Ovviamente un film metà strada tra il di guerra sarà caratprimo e il secondo: terizzato da un soginfatti lo spettatore getto incentrato sulnon è conscio dall'ila guerra, e quindi su nizio della minaccia, battaglie (siano esse ma lo scopre comunnavali, aeree o di que prima dei due fanteria), oppure, soldati. più raramente, sui Nello specifico della prigionieri di una narrazione bellica un guerra (vi sono nutipo di inquadratura merosi film che tratmolto usata è quella tano dei campi di della steadicam: il prigionia nazisti). punto di vista è quelLa Fotografia lo di un personaggio, La fotografia è un altro aspetto fondain soggettiva, e la telecamera si muove mentale del mezzo assieme al personagfilmico. Il compito gio, coinvolgendo lo del responsabile alla spettatore che si rifotografia è quello di Il premio Oscar Ennio Morricone. Senza le sue musiche alcuni dei più grandi film di trova, in prima persostabilire la distanza e sempre non avrebbero avuto lo stesso spessore. l'angolazione da cui na, al centro dell'azione, che, parlando di film di guervengono le riprese le immagini. da tre diversi punti di vista: Inoltre, dovrà decidere i movimenti 1. Dal punto di vista di uno dei due ra, sarà il campo di battaglia. Proprio quest'incredibile coinvolgidi camera e la cornice in cui limita- soldati re l'inquadratura. Ciascuno di que- 2. Dal punto di vista dell'aggressore mento porta il pubblico a vivere sti elementi potrebbe sembrare 3. Dal punto di vista di un osservamaggiormente gli orrori che scorrono sullo schermo. superfluo, una eccessiva finezza per tore esterno. gli appassionati, ma di fatto ogni La posizione numero uno posiziona la singola inquadratura contribuisce visuale dello spettatore in uno dei Il Montaggio sensibilmente a definire una scena. due soldati: in questo caso è all'oscu- Il montaggio è un'altro elemento Facciamo un esempio concreto, per ro della minaccia che incombe sui fondamentale del modo in cui capire meglio. L’espressione
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PRIMO PIANO Il contrasto in fotografia e in cinematografia è il rapporto tra il punto più chiaro e il punto più scuro. In un film in bianco e nero come Kapò, si ottiene un contrasto elevato eliminando i toni un film si sviluppa. Sul piano pratico esso è semplicemente il modo in cui i vari piani di ripresa vengono collegati tra di loro, ma considerato su un livello più ampio esso assume un importanza molto alta. Per spiegare cosa si intende in questo caso si potrebbe usare un classico esperimento, condotto dal regista Lev Kulešov. Kulešov prese lo stesso primo piano e lo fece seguire a immagini di volta in volta diverse. Il risultato fu che lo spettatore percepisse l'espressione nel primo piano come affamata, se per esempio questa seguiva un piatto di cibo, oppure triste, se essa seguiva un cadavere. Questo particolare risultato viene definito Effetto Kulešov. Nel particolare della guerra, comunque, il montaggio può sensibilmente contribuire alla creazione di una situazione drammatica, per esempio sfruttando un solo piano sequenza piuttosto che diverse inquadrature da montare insieme per descrivere una scena.
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In basso, ancora il maestro Morricone; qui sotto un fumetto ispirato a Kill Bill di Tarantino. Un film apprezzatissimo per la sua fotografia curata e la colonna sonora ricercatissima
A tutto questo va aggiunto il fatto che il montaggio scandisce il ritmo del film, quindi un montaggio molto frazionato potrà generare un risultato molto veloce e scorrevole, mentre una scena strutturata su un'unica inquadratura risulterà più lenta e pacata. Il Sonoro Il termine sonoro nel linguaggio cinematografico va a com- re di scena, le parole e le voci, e la prendere diverse parti del film. Della colonna sonora. categoria sonoro fanno parte il rumo- Il ruolo che questi punti giocano all'interno di un film sono indubbi, ma in particolare il rumore di scena trova un ampio spazio all'interno del film di guerra. Un film di guerra (inteso nel suo senso più classico, cioè la rappresentazione di una guerra), infatti, deve essere caotico, poiché si suppone sia così anche il campo di battaglia, e si può dire con certezza che un ottimo modo per rendere il caos è il rumore. Nello specifico, potremmo immaginarci un personaggio che si trova nel mezzo del fuoco incrociato, e intorno a lui si possono sentire fischi di proiettili ed esplosioni di granate. Lo spettatore risulta certamente frastornato da tutta quest'accozzaglia indistinta di suoni, che contribuiscono a farlo calare maggiormente all'interno del contesto cui si trova di fronte.
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Tutte le illustrazioni di queste pagine sono foto di Marlene Dietrich, rielaborate da Luca Mario.
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PRIMO PIANO
MD: LA VAMP
Intervista alla più celebre diva degli anni ‘30. Gli amori. Le relazioni. Gli ideali. Storia di una traditrice, di un’eroina, di una spia, di una Vamp o di un mito? DI LUCA MARIO
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al documentario di History Channel, per la serie: “Donne di Hitler”, emerge una dettagliata analisi della vita di Marlene Dietrich. Viene mostrata tutta la sua carriera, con documenti, ricostruzioni ed immagini d’epoca. La vita della Vamp è molto controversa. Nata in Germania, da un generale prussiano, è diventata una star di Hollywood. Ed è andata in prima linea, in nord-africa Italia e Francia, per sollevare il morale delle truppe americane. Ma rimangono molti punti misteriosi. Signora Dietrich, partirò con una domanda scomoda: cos’è il MUSAC? (sogghigna) Scomoda perché? Non ci vedo niente di male. Il MUSAC è un progetto dei servizi segreti americani a cui ho collaborato. Prevedeva che cantassi alcune canzoni in tedesco, dal testo molto malinconico, al fine di indebolire il morale delle truppe naziste. Lei è, quindi, uno strumento di propaganda. Assolutamente no. Io sono stata doppiamente patriota. Hitler andava contro l’interesse della mia patria natia, la Germania; ed ho aiutato la mia patria “adottiva”, l’America. Ma, vede, io non sono stata oggetto di propaganda. Al massimo soggetto, ossia, non sono stata sfruttata ma ho collaborato di mia volontà. Capisco. Ma, se così fosse, perché
dopo la caduta di Hitler è tornata in Germania solo una volta per poi rifugiarsi in Francia? C’era la convinzione che fossi una traditrice. Molti non mi hanno accolto bene, perciò sono andata a Parigi. Anche perché, oramai, non volevo più comparire pubblicamente. Insomma, vecchia, non volevo rovinare l’immagine di me che avevo creato. Capisco. Qual è, invece, il suo rapporto con il cinema tedesco? Lo trovavo molto interessante, prima dell’ascesa di Hitler. Insomma, con “L’angelo azzurro” ed il ruolo di “Lola” io ho iniziato la mia carriera. “Ich bin von kopf bis fuss auf liebe eingestellt” è un brano con cui mi sono sempre emozionata. E con il cinema americano? Un mondo diametralmente opposto. Negli USA si lavorava in studios giganteschi, nelle proprietà della Paramount. Pensi che per il film “The garden of Allah” (1936, nda) abbiamo costruito una tendopoli nel deserto. Qualcosa di gigantesco. Perché pensa di
aver avuto così tanto successo? Perché ero intrigante. Lo sono ancora, a dire il vero, solo che non vi interesso molto. Credo piacessi per la mia ambiguità, il mio fare così raffinato ma Vamp. Facevo impazzire tutti, uomini e donne. E poi, anche perché gli anni ’30 e ’40 furono floridi per il cinema. Con la tristezza della vita, il cinema sembrava essere l’unica via di fuga. Parliamo d’amore, visto che mi porta su questo binario…
PRIMO PIANO (fa una risata) Ci avrei scommesso! Si vocifera che lei sia stata amante di Greta Garbo. Sono menzogne? Non nego, né confermo. Non sarà di certo lei colui che avrà la mia risposta! Le dico solo che sono stata per lungo periodo amante della sua amante, Mercedes de Acosta. Con Edith Piaf? Con lei, ho avuto un ottimo rapporto. Un affetto unico ci univa. Ma tutto dovette essere fatto di nascosto, la “caccia alle streghe” di McCarthy, ci costrinse a matrimoni di copertura. E… con Hitler? (risata sarcastica) era prevedibile questa domanda. Goebbels, ministro del cinema e della propaganda, cercò di farmi tornare in Germania più volte. Sono certa mi apprezzasse molto. Circa la avances che si dice mi fece… questo mistero resterà con me. Vi posso solo dire che, se
avessi potuto tornare indietro, sarei andata con lui. Avrei potuto dissuaderlo. E cosa mi dice del suo piano di ucciderlo? Voci. Avrei voluto, è Senza dubbio. vero. Ma non ammetterò mai che ci fu (Che donna!) un piano per eliminarlo definitivamente. Alcuni sostengono che lei sia stata una spia per conto della History Channel ha dedicato alle donne di Hitler Germania. numerosi approfondimenti. Leni Riefenstahl, Wini- Un documento degli fred Wagner, Eva Braun, Marlene Dietrich. Cosa anni ‘80, mi sembra, rende particolare questo mezzo espressivo? I docu- mette agli atti dei mentari americani sono caratterizzati da un grande servizi segreti ameriutilizzo di filmati d’epoca e ricostruzioni. La voce cani il fatto che io ho del documentarista è accompagnata a foto di reper- sempre odiato Hitler. torio, e a musiche stile “colonna sonora”. Questo mi La finta collaboraziosembra un po’ pacchiano, perché si cerca di ne con Goebbels era “cinematografizzare” il documentario: creando su- dovuta al fatto che i spence e mistero. Ciò non si addice molto al genere miei genitori erano dell’informazione. Anche l’utilizzo di ricostruzioni rimasti in Germania mi sembra grottesco. Attori poco competenti, si e temevo ripercusvestono anni venti, e credono di poter recitare come Mussolini o Hitler. Abbastanza squallido. Un po’ sioni su di loro. un’americanata, ossia, un tentativo di rendere più Una vita incredibiimmediato ed accessibile al pubblico abituato ai film le, la sua. Lei avrebdi Hollywood. Il lato positivo di queste produzioni è be incitato i soldati la grande accuratezza. Spesso vengono citate fonti americani, demoligovernative, quali documenti dei segreti non più to il morale a quelli tenuti nascosti. Anche le interviste a parenti ed amici tedeschi. Persino, del protagonista del documentario rendono il tutto dice, avrebbe potupiù interessante e veritiero. La grande differenza tra to cambiare la stofilm storico e documentario sta proprio in questo. ria e dissuadere Mentre il primo è una ricostruzione più o meno Hitler. accurata, il secondo dà spazio a coloro che hanno Davvero si ritiene vissuto o studiato il soggetto in prima persona. così potente?
LA SPECIFICITÀ DEL DOCUMENTARIO
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Marlene Dietrich. Attrice. (1901-1992)
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SAFFICA. STUPRATA. S
DI LUCA MARIO
i sa quasi tutto di tutti i prigionieri nei Lager. Triangolo rosso, prigionieri politici. Triangolo verde, criminali. Stella a sei punte, ebrei. Nero, asociali. Ma chi sono i triangoli rosa? Non se ne parla quasi mai. Sarà per la mancanza di materiale, o per il grande tabù che ancora rappresenta l’omosessualità, ma non vengono mai citati. Ops, ho già dato la risposta alla domanda. Gioco a carte scoperte, allora, e scrivo del lesbismo nella società nazista. In Germania, prima dell’arrivo di Hitler, il saffismo era abbastanza tollerato. Personaggi come Marlene Dietrich, palesemente bisessuale, sono tollerati. Purché non facciano clamore. Ne “L’angelo azzurro”, la Dietrich assume un portamento molto maschile, un comportamento ambiguo che l’ha resa famosa in tutto il mondo. Perciò, anche in questo caso, il film rappresenta un estratto della società. Un’omeomeria, che contiene tutto dei costumi dell’epoca. Difatti il lesbismo non viene perseguito
nemmeno dai nazisti, nei primi anni di governo, perché, al contrario della pederastia, dice nel 1934 la Commissione per il codice penale “le leggi contro l’omosessualità servono a preservare la fertilità e quindi non toccano le donne che sono sempre in grado di procreare.” Eppure, con l’ascesa di Himmler, anche le donne vengono punite. Sono molti, infatti, i casi di lesbiche deportate e finite nei campi di concentramento. Così, mentre la Dietrich ammiccava in “Morocco” ed amoreggiava con Anna May Wong, le omosessuali tedesche finirono nei campi di concentramento. E, per crudele contrappasso, in molti casi venivano relegate nei bordelli. Ecco un altro aspetto di cui molti non parlano: la donna prostituta. Anzi, violentata. Perché una meretrice decide più o meno liberamente il proprio mestiere, mentre queste donne erano costrette s dare via il corpo. Turni di sei mesi, prestazioni sessuali coatte. Fanno un breve accenno a questo lato, se possibile, ancor più deplorevole dei Lager Nuit et Brouillard, di Resnais ed un documentario di History Channel dedicato al campo di
Il bacio saffico in “Morocco”, 1930., visto su youtube.
Auschwitz. Le “case di piacere” (o di tortura, dipende dal punto di vista) avevano un triplice fine: stimolo per i detenuti più meritevoli che, come premio per il lavoro, potevano accedere al bordello. Combattere l’omosessualità maschile, considerata inaccettabile dai nazisti. Dare soddisfazione sessuale ai comandanti tedeschi. Ora, proporrò una domanda la cui risposta è difficile da trovare: “chi stava peggio, la puttana sfamata o l’ebrea morente?”. Mi si scusi la volgarità, ma voglio essere esplicito. Le donne comfort godevano di un trattamento di favore; mangiavano abbastanza bene ed erano curate (sennò, come avrebbero potuto svolgere il loro mestiere?). Avevano lampade abbronzanti e cure fisiche. È una questione morale difficile: svendere il corpo per salvare il corpo stesso, o salvaguardare l’anime per lasciare morire il corpo? Non saprei come rispondere. Credo sia impossibile. Una violenza incredibile ed allucinante. E poi, è sterile chiedersi cosa sia meglio, nell’orrore del peggio. Ma tutti invito a farsi questa domanda, ed a darsi una risposta. O, perlomeno, a riflettere su queste angoscianti storie. Vorrei concludere facendo un’ultima osservazione, che mette in relazione lesbismo e stupro. È una violenza doppia costringere al sesso una omosessuale. Perché ne viola il corpo, ma anche l’essenza stessa. In un misto tra ribrezzo, intolleranza e patetica ignoranza.
Chi stava peggio, la puttana sfamata o l’ebrea morente? Mi si scusi la volgarità, ma voglio essere esplicito.
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VITTIMA? L’immaginario comune. La storia. La violenza. Il vittimismo. Storia di due donne da tragedia, trasformate in idoli. Mentre invece erano meschine. DI LUCA MARIO ed AIROLDI ALBERTO
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La bella Sophia nazionale. Un romanzo vivido. Uno degli ultimi registi italiani degni di essere chiamati “artisti”. Siamo sul set de “La ciociara”. Capolavoro, momento più splendente per il cinema italiano prima de “La dolce vita”. Una figura, quella di Cesira alias Sophia Loren, che merita di essere analizzata. Devo ammettere che, prima di approfondire, avevo abbozzato questo articolo come confronto tra versio-
Locandine del film “La ciociara” di V. de Sica.
ne cinematografica e letteraria della storia ciociara. Eppure, grande pregio del neorealismo di De Sica e Moravia, l’una sembra il dovuto completamento dell’altra. Si potrebbero sovrapporre, e si vedrebbe un risultato armonico ed interessante. Perciò, ho deciso di spostarmi su un altro fronte, un’altra riflessione. Prima della quale, però, devo riassumere il contenuto del romanzo e della pellicola. Cesira appartiene a quella vasta categoria sociale che oggi viene definita “uomo comune”. È una popolana che vive a Roma negli anni della seconda guerra mondiale, e racconta la sua tragica storia. Dopo essersi trasferita dalla Ciociaria a Roma, a causa del matrimonio con un pizzicagnolo molto più anziano di lei, Cesira è costretta dalla vedovanza ad allevare fino all’età adolescenziale, praticamente sola, la figlia Rosetta e a gestire il negozio di alimentari lasciatole dal marito. Scoppia la guerra. Una gran fortuna ed un buon affare per la commerciante, che col mercato nero specula a dismisura. Ma l’incalzare della guerra, i bombardamenti delle truppe alleate e l’occupazione tedesca nel ’43 la fanno sprofondare in una condizione paradossale. Ha
venduto tutto, al punto da patire la fame in città. E poi, Roma non è sicura, con i disordini politici che la attraversano. Sì, nessuno attaccherà mai la città del Papa, si pensava; ma non si era molto certi. Così, la ciociara è costretta alla fuga nelle campagne. Prendendo con sé la figlia e due valige di fibra, Cesira cerca rifugio a Fondi, nella casa paterna, ma a causa dei binari interrotti e dei continui raid aerei, le due donne si vedono costrette a vivere per circa mese ospiti di una famiglia di contadini. Una coppia di opportunisti al punto da offrire la bella Rosetta ai fascisti, pur di salvare la vita al proprio figlio. Così, fuggono ancora e rimangono per quasi un anno a Sant’Eufemia, nella valle di Fondi. Il tempo passa aspettando gli inglesi che, in quel momento, avrebbero garantito la salvezza ma che, a causa delle pessime con-
PRIMO PIANO che si oppone dizioni climatiche, erano bloccati racchiude in sé tutti gli abusi del con- studente all’occupazione tedesca e che alla presso il fiume mentre i tedeschi flitto, che violenta anche il sacro. razziavano le terre circostanti. Cesi- Oltre alla tranquillità di una vita sere- fine del romanzo sarà stato fucira e Rosetta prendono coscienza di na e stabile, Cesira si vede privata, a lato. un mondo in cui non esistono più causa della guerra, del suo bene più La pellicola, bisogna ammetterlo, ha il grande giusto e sbapregio di rengliato, in cui le dere più immevirtù umane diata la comusprofondano e nicazione di sembrano inemozioni, rivece emergere spetto allo dall’uomo solo scritto. Anche i vizi e i difetti perché la riflespeggiori. La sione che può guerra distrugpartire da “La ge non solo il ciociara” non è territorio, i così semplice. paesaggi e tutSe ponessi queto ciò che sta domanda l’uomo ha creCesira-è-unaato, ma divittima-dellastrugge l’uomo guerra?, molti stesso. di coloro che «La guerra leggono risconvolge tutto sponderebbero e, insieme con velocemente le cose che si “Certamente!”. vedono, ne diMi permetto di strugge tante dissentire. altre che non si La guerra è vedono eppure vittima di Cesici sono». ra. Come dimo«Uno dei pegstra una delle giori effetti esortazioni delle guerre è della ciociara di rendere inalla figlia: sensibili, di “Prega Iddio indurire il cuoche la guerra re, di ammazduri ancora un zare la pietà». par d’anni… tu Queste sono allora non solsolo due delle Sophia Loren, Cesira nella pellicola analizzata in questo articolo. tanto ti fai la molte considedote e il correrazioni che Cesira fa a proposito della guerra. grande, la figlia Rosetta o, per meglio do ma diventi ricca”. Basta una Sarà pure un’umile campagnola, ma dire la purezza, la castità e l’ingenuità breve frase per passare dalla rale sue idee sono ferme e convincen- di quest’ ultima. Si rende conto che la gione al torto. figlia sta cambiando radicalmente, Chi specula a danno di qualcuno ti. Gli alleati arrivano, la liberazione è prima chiudendosi in una sorta di spesso rimane schiacciato dai giunta. Ma non sono assolte dal mutismo, successivamente conceden- propri giochi sporchi. Certo, una terrore. Proprio ora, alle soglie del- dosi spesso agli uomini, come se cer- delle caratteristiche dei conflitti è la sicurezza, accade, infatti, il fatto casse nel sesso un modo per sfuggire la disumanizzazione del’uomo; più sconvolgente e significativo agli orrori di una vita rovinata. Ma ma io non vedo nella Loren di dell’intera vicenda. In una chiesa anche il modo per supplire al deficit inizio film gli occhi spenti che abbandonata, davanti all’altare, d’affetto che crea un trauma come lo hanno le vittime di soprusi. Vedo, sotto un’immagine capovolta della stupro. Difatti, esso rende incapaci di invece, un’egoista voglia di profitmadonna, un gruppo di soldati ma- sviluppare sentimenti e spesso porta to, ed un menefreghismo squisirocchini violenta le due donne. ad un’ossessiva ricerca di fisicità. Nel tamente italiano assai deprecabiUn’immagine fortissima, soprattut- frattempo intervengono vari perso- le. In fondo, a lei non interessa to per l’epoca. Un’immagine che naggi nella storia, come Michele, uno essere a fianco dei fascisti o dei 24
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L’opinione
conferenza all’istituto Faraggiana di Novara nel dicembre di quest’anno), la moneta è “[…] Quanto a La ciociara confesso che non ho l’automa che comanda il nessuna propensione per questo genere di verimondo moderno. Mentre pri- smo in ritardo, anche se porta una firma letterama si pensava che Dio fosse riamente valida come quella di Moravia, questa colui che, dotato di movimen- storia della mamma popolana che, avendo in to automatico, ha formato a grazia ai quattrini fatti con la drogheria e la sua immagine l’umanità; oggi, borsanera passato il peggio della guerra la società sembra più creata nell’eremitaggio del paesello natale [...] Ridotto ad immagine e somiglianza all’essenziale nello sconcio violento imposto dal del denaro. Perciò, l’egoismo tempo dello schermo, questo non sarebbe se non di Cesira sembrerebbe quasi un drammone di guerra in più, in cui il titillio obbligato dalla società e dal della lagrima si sposa al pimento del sesso, se dio Denaro. Ma questo è folle. non ci fosse quella che direi la luce di De Sica, Io sono pienamente convinto quell’effusa simpatia, e vitalità sorridente, e sofche ognuno sia fautore del ferta amarezza che è il senso, anche qui, di certe proprio destino, quindi la sorprendenti pagine: l’assurdo mitragliamento Loren non è nemmeno vitti- dell’aeroplano sulla lunga deserta povera strada ma della società. Perché la di campagna, mille colpi per stendere a terra società è, esin bicicletta che portava una lattina, Insomma, non voleva farne senzialmente, l’omarello o la lenta discesa tra i monti della Ciociaria dei ad immagine razzi illuminanti, i “lucernoni”, che i ragazzi un'eroina. Ma dopo la pridi chi vi vive; a vedere gridando, o, per saltare al gran ma rappresentazione si ac- perciò questi corrono pezzo, la ormai famosa scena della violenza nelcorge che tutto ciò si è pun- sono gli unici a la chiesina in rovina. […] Mai credo, da quando poterla modifi- esiste cinema, un episodio più osceno e più atrotualmente verificato care ed in- ce fu raccontato con più lapidario ribrezzo, con fluenzare. più cristiano pudore. Soprattutto dopo. GuardaEmblema della te com’è osservato il passo della bambina quanpurezza, inve- do esce fuori sulla strada in controluce, stanco, ce, schiacciata vacillante, un po’ trascinato, proprio il passo dall’atrocità dell’agnellino piagato […]” Così viene recensito della guerra è il film “La ciociara” da Filippo Sacchi, sul corrieRosetta. A lei è re della sera del 2 gennaio ‘61 stata negata la vita, è stata plagiata e Che cerca ossessivamente un contrasformata dalla vio- tatto fisico con l’atro sesso crelenza. È figlia del so- dendo la possa aiutare a complepruso. Cambiata radi- tare in un certo qual modo la sua calmente e trasformata vita; facendole superare quei terin una persona com- ribili momenti vissuti dinanzi alla pletamente nuova, si- statua della Madonna. Non dico curamente deforma- “dimenticare”, perché è impossizione della precedente, bile dimenticare la violenza. dallo stupro diafano e Alla fine del romanzo le due protorbido. Il suo perso- tagoniste accentuano le loro canaggio, così innocente, ratteristiche. L’avida Cesira, non viene usato da Moravia esita in guerra a gettarsi nel merper mettere in risalto cato nero, e diventa estremamenCesira, nel suo contro- te attaccata ai beni materiali, alla “sua roba”. La profanata Rosetta, verso opportunismo. Quella ragazzina già violenta la propria coscienza certimida e introversa è cando di cancellare l’abuso sessustata trasformata (e ale. Due vittime. Forse, solo una sottolineerei il verbo della guerra. Trasformare) in una Uso un vago “forse”, perché odio giovane, donna, cre- essere lapidario. Ma ribadisco il sciuta troppo in fretta. mio giudizio sul personaggio di Madre Coraggio, nella rappresentazione al “Piccolo” Leninisti. Basta aver da mangiare. Questa è una delle piaghe che ammorbano la società italiana, anche oggi. Se, per abitudine, volessimo associare a Cesira un significato allegorico, direi che rappresenta l’opportunismo perseguitato da sé stesso. Difatti, la cultura italiana si basa su due fattori: comodità e rapidità. L’ottenere il più possibile, nel minor tempo e col minore sforzo. Così, al massimo, Cesira potrebbe essere considerata vittima della società. Fuori da ogni dubbio, infatti, la società influisce sul comportamento di un individuo. La società di Cesira, non dissimile dalla nostra, è basata sul denaro. Come sostiene Carlo Sini (che ho avuto l’onore di incontrare in una
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Reclame
Joan Crawford. Attrice. (1904-1977)
PRIMO PIANO In basso, una meravigliosa Sophia Loren; a fianco, Maddalena Crippa e Stefania Gulliotis che rappresentano la tragedia di Brecht al teatro Piccolo
Madre Coraggio non ha niente di coraggioso; è una sopravvissuta.
Sophia Loren; chiarendo che, nel tacciarla di eccessivo egoismo, non voglio dare un’opinione negativa. Difatti, la ritengo un personaggio interessante e controverso, fermo e
I due autori Brecht è il principale drammaturgo tedesco del Novecento. Nato nel 1898 ad Augsburg (Augusta - Baviera) scoprì presto il suo amore per il teatro. Il suo esordio in teatro era fortemente influenzato dall'Espressionismo, ma presto aderì allo schieramento marxista e sviluppò la teoria del "teatro epico" secondo cui lo spettatore non doveva immedesimarsi, ma era invitato a tenere una distanza critica per riflettere su quello che si vedeva in scena. Canzoni, elementi parodistici e una sceneggiatura molto ben studiata dovevano creare un effetto di straniamento, un distacco critico. Lo spettatore doveva imparare qualcosa. Il teatro di Brecht offre una 27 Gennaio 2008 L’espressione
deciso, degno di lode e un po’ di biasimo. Ben lungi dall’usare quella parola, spesso abusata, che inizia con “vit”. Ben consapevole dal fatto che questo è uno speciale sul cinema, non posso grande varietà di storie e casi umani, oppure rivisitazioni di drammi storici che ancora oggi sanno incantare il pubblico per la loro arguzia, modernità e impostazione scenica. Nel 1933 dovette emigrare in America, raggiunta via Danimarca e Mosca (dove si guardò bene a restare). Quando tornò in Germania, nel 1949, fondò a Berlino Est un proprio teatro, il "Berliner Ensemble", dove cercò di realizzare le sue idee, facendo diventare questo teatro uno dei più affermati in Germania. Nonostante le sue convinzioni marxiste era spesso in contrasto con le autorità della Germania dell'est. Morì nel 1956 a Berlino. Alberto Moravia, vero cognome Pincherle (Roma, 28 novembre 1907 - 26 settembre 1990) è stato un importante scrittore
fare a meno di fare un parallelo con un grande spettacolo teatrale. “Madre coraggio e i suoi figli” (spesso tradotto “Madre Courage e i suoi figli”) di Brecht. Spettacolo che ha calcato il palco dell’illustre Piccolo Teatro di Milano, nell’inverno 2006. Un nostro collega de “Il giornale”, Igor Principe ha intervistato Robert Carsen, il regista della pièce. Ne riporto un estratto. “Madre Coraggio non ha niente di coraggioso. È una sopravvissuta, e non si chiede mai se sia sensato sopravvivere in un mondo di guerra, com'è quello in cui vive. Agisce in un modo che sottolinea il conflitto come frutto di relazioni ecoitaliano. Collaboratore dal 1927 alla rivista 900, esordì a ventidue anni con il romanzo Gli indifferenti (1929), che descrive la crisi di valori del mondo borghese. La censura fascista, che sospettava una satira del regime bloccò i due successivi romanzi, Le ambizioni sbagliate (1935) e La mascherata (1941). Dopo aver trascorso alcuni anni all'estero, nel dopoguerra Moravia riprese l'attività narrativa e si dedicò anche al giornalismo, alla critica cinematografica, alla drammaturgia (Beatrice Cenci, 1958; Il dio Kurt, 1968; La vita è gioco, 1969) e alla saggistica (L'uomo come fine e altri saggi, 1963; Impegno controvoglia, 1980). 27
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Statua in onore di Bertold Brecht, Berlino. nomiche, poiché lei medesima è mossa dalle stesse ragioni. È una nichilista ossessionata dalla necessità di sopravvivere”. Eppure, il personaggio che trapela dalle parole brechtiane è vivido esempio del vitalismo popolare. Una povera donna costretta a vagare per le città assediate e i campi di battaglia su un carretto, a vendere cibo e generi di prima necessità, in compagnia dei suoi tre figliuoli. L’unica cosa che ci guadagna sarà la perdita del suo bene più prezioso, i suoi pargoli. Da ogni pagina della tragedia da cui è tratto lo spettacolo traspare il profondo amore che questa madre disgraziata prova per i suoi figli. Esempio ne sono le difese che prende nei loro confronti, addirittura davanti a ufficiali dell’esercito. Affetto che sembra adombrato dalle necessità di andare avanti, in un’Europa straziata dalla seconda guerra mondiale. E qui, il paradosso, l’assurdo: questa donna si trova a dover continuare a sperare che la guerra, quella stessa guerra che l’ha privata di
tutti gli affetti, continui, per garantirle di continuare i suoi traffici e guadagnare il minimo che le consente di andare avanti. Questa situazione di sofferenza è ciò che, probabilmente, fa più appassionare il pubblico nei suoi confronti. Come si può non piangere, non provare simpatia e nel contempo rabbi per questa disgraziata ed oppressa Maddalena Crippa, dura ed appassionatissima? Una Madre Courage che recita in maniera volutamente aspra per evidenziare la lotta interiore. Eppure, continua Carsen nella sua intervista: “Lui (Brecht, nda) non voleva né commuovere né stimolare un'identificazione tra il pubblico e la protagonista. Insomma, non voleva farne un'eroina. Ma dopo la prima rappresentazione si accorge che tutto ciò si è puntualmente verificato. Allora ha riscritto il testo cercando di annullare ogni possibile stimolo per emozioni. Ma non ci è riuscito. Madre Coraggio esprime un istinto di sopravvivenza così forte da vincere il suo stesso autore. Non riesci a non esserne coinvolto”. C’è una certa somiglianza tra Cesira e
Sono emblemi di un folle male, quali la guerra e l’economia belligerante
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Madre Coraggio? Secondo me, sono state entrambe a loro modo fraintese dal grande pubblico. Vengono considerate vittime della seconda guerra mondiale, troppo semplicisticamente. Non dovrebbero strapparci un malinconico “Poverine!”, ma scatenare in noi un’approfondita riflessione sul rapporto tra economia e guerra. Già da Cesare, la guerra era vista come modo per allargare i mercati (De bello gallico, libro I; in cui si allude al fatto che in Gallia i mercanti non avevano ancora potuto espandere i propri traffici). Non è, del resto, un segreto il fatto che molti stati abbiano preso parte a conflitti solo per meri motivi economici. Come gli USA che parteciparono alla Prima Guerra Mondiale anche per difendere i paesi debitori di grandi somme in denaro. Perciò, La Loren e la Crippa impersonano gli emblemi di un folle male, deleterio, la guerra e l’economia belligerante. Che, però, non sono padroni della persona e non forviano il libero arbitrio; non sono una scusa od un’attenuante. Sono due entità che, se manipolate male, si dimostrano devastatrici. Così è, e mi pare. (Per eccedere in sentenziosità).
Il neorealismo È necessario, a questo punto, un breve ex-cursus sulla corrente del neorealismo. Secondo molti critici nato con Rossellini (Roma città aperta, 1945), si basa sul relaismo delle immagini, la freschezza dei dialoghi e l’assenza di retorica. Il essico utilizzato dai personaggi dei film neorealisti è molto dialettale ed asciutto, spesso sgrammaticato. Cesira de “La ciociara”, così come la Magnani del capolavoro rosselliniano, rifletto un’Italia umile e schietta. Popolana e popolare. Dal punto di vista storico, possono essere considerati quasi come documenti. Per la semicontemporaneità con gli eventi narrati e la fedeltà alla realtà. Colpiscono, infatti, le immagini di macerie in Paisà e Germania anno zero. Trovo interessante un confronto con la concezione di Arte precedente. Durante il periodo del ventennio, imperava la concezione futurista ed astratta dell’Arte. Questo ricorrere al realismo potrebbero essere anche un segno della voglia di differenziarsi dal fascismo. Il cinema sperimentale degli anni ‘30, difatti, rappresenta dei primi tentativi di utilizzare il mezzo filmico come modo per produrre arte progressista. Ma irreale.
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PRIMO PIANO
La ciociara non è una vittima. Nemmeno Madre Coraggio. Un inquietante immersione negli abissi dell’Olocausto. Tra cadaveri tritati e le vere vittime della follia nazista. Shoah. E. Donna. DI LUCA MARIO
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olvere che si libbra leggera sulla città. E descrive disarmoniche circonferenze, cadendo euritmica. Fumo grigiastro macchia le nuvole, distaccate ed apatiche, e si lascia cadere impietoso. Coprendo lo sterile terreno circostante. E si alza e sprofonda, in una danza dettata dal vento; finissima polvere. Quasi neve. Sbuffa, la ciminiera, cercando di espellere Cadaveri. Ciò che resta dell’Olocausto. Ad Auschwitz.
quanto più vapore possibile. Dolci, volano i resti dei corpi bruciati ad Auschwitz. Agghiaccianti. Perciò, ti schiacciano. Ti soffocano. Perché sai che il cielo è grigio per il fumo delle ciminiere dei forni crematori. Perché sai che quella polvere bianca che cade dal cielo non è neve, sono ceneri. E non sono ancora le tue per una semplice questione di ordine di tempo. Un’immagine agghiacciante, che ci è suggerita da “Auschwitz”, di Pascal Croci. E da Schindler’s list, di Spielberg. E da Nuit et Bouillard, di Resnais. E le migliaia di testimonianze,
romanzi, pellicole, circa i campi di concentramento. È un argomento trattato in moltissimi modi, perciò è difficile esprimere lo sdegno in maniera nuova. Eppure, questo argomento deve essere trattato. Anche a fronte di articoli disgustosi come quello di Udo Walendy, pubblicato sul sito http://ita.vho.org/ valendy/ugo.htm, di cui riassumo il contenuto. “[…]Le fotografie hanno giocato un ruolo centrale nell'armamentario col quale la propaganda di guerra Alleata ha calunniato il nemico già nella Prima Guerra Mondiale, come F. Avenarius ha dimostrato con numerosi esempi. Le tecniche di ritocco erano tuttavia molto grezze in quei tempi, e le falsificazioni erano molto facili da scoprire per un occhio allenato. Comunque, anime così critiche erano poche e, cosa più importante, non del tutto benvenute nell'atmosfera agitata della Prima Guerra
Perché sai che il cielo è grigio per il fumo delle ciminiere dei forni crematori. Perché sai che quella polvere bianca che cade dal cielo non è neve, sono ceneri. E non sono ancora le tue per una semplice questione di ordine di tempo. 27 Gennaio 2008 L’espressione
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PRIMO PIANO Altri Cadaveri. Segno di una memoria indelebile. O di foto ritoccate, secondo alcuni
Mondiale. Oggi alcuni esperti scuotono la testa dallo stupore per il fatto che persino disegni e caricature di contemporanei, disegnate rozzamente e facilmente riconoscibili come tali, fossero accettate come verità genuina. Ma siamo sicuri di poter riscontrare tale atteggiamento nella maggioranza delle persone? Vedremo che la risposta più appropriata è no. […] La propaganda Alleata ha fatto ampio uso di fotografie manipolate, in parte o del tutto, anche dopo la Seconda Guerra Mondiale. Va da sé che, per ragioni di spazio, potremo offrire solo qualche esempio di dette manipolazioni. Prima di passare agli esempi è, in ogni caso, necessario fare qualche premessa: in generale è possibile distinguere fra tre generi di falsificazione: 1. Le fotografie sono genuine e non ritoccate, ma vengono apposti commenti falsi. […] 2. Le fotografie genuine sono state alterate nei loro dettagli. […] 3. Falsificazione completa. Se una supposta 30
"prova fotografica" consiste in un disegno fotografato, e\o assemblato con parti di altre fotografie, questo rappresenta una falsificazione completa. La linea che divide le fotografie alterate e le falsificazioni complete è per sua natura molto fluida. Come le fotografie ritoccate, tali falsificazioni possono essere scoperte attraverso il riscontro di discordanze nel tipo di ombre, nella prospettiva, nelle forme, nei colori e nella direzione delle linee. Inoltre, falsificazioni possono essere scoperte grazie a prove dell'impossibilità di certe combinazioni di persone, oggetti e ubicazioni mostrate. […]In questa era di periodici illustrati e televisione, le "prove fotografiche" hanno una potente influenza pedagogica (se non di vero e proprio plagio) sulle persone, e, perciò, le fotografie alterate conservano un notevole effetto propagandistico che non può essere sottovalutato. Questo è particolarmente vero nel contesto della persecuzione nazionalsocialista degli ebrei, un tema per il quale la maggioranza delle persone ora ha acquisito una specie di "risposta pavloviana", ovvero un atteggiamento di costernazione rituale che rende quasi impossibile qualsiasi accertamento critico della prova presentata. […]” L’articolo, troppo lungo per essere pubblicato interamente, continua tentando di dimostrare che tutti i documenti storici circa i campi di
La libertà di internet non può tutelare dalla diffusione di certa spazzatura storica
sterminio sono falsi. Lasciando intendere che quest’ultimi sono frutto dell’immaginazione e della propaganda ebrea. Ecco, di fronte a pensieri del genere, come si fa a non sdegnarsi? Anche perché, navigando sulla rete, si possono trovare molti siti di negazionisti. La libertà di internet non può tutelare dalla diffusione di certa spazzatura storica, quali le tesi simili a quella di sopra. Il revisionismo è un male deleterio ed allucinante, vergognoso. Perché dovrebbe provocare vergogna nei confronti di chi è passato dai campi di sterminio. Perciò è assolutamente necessario scrivere dei Lager. E vorrei farlo citando un film decisamente meraviglioso; anche se potrà sembrare una scelta scontata, mi sembra che esso abbia avuto un’importanza notevole nella narrazione della vita nei Lager. La vita è bella, Benigni, ha il grande merito di comunicare efficacemente, forse in maniera un po’ edulcorata, l’orrore dei campi di concentramento. Ha saputo portare alle grandi masse, con un tono tragicomico ma non indegno dell’argomento, ed emozionare molti. Questo è un grande merito, perché la forza di una pellicola sta nella sua capacità di raggiungere tutti. Come ricorda Mezzanotte d’amore, Michel Tournier (Garzanti, Milano, 2003): “La creazione non può fare a meno della diffusione […] la comunicazione conferisce alla creazione vita infinita ed imprevedibile, senza la quale essa non è altro che un oggetto inerme”. Quindi, ecco il valore aggiunto dell’opera di Benigni. L’aver 27 Gennaio 2008 L’espressione
PRIMO PIANO A fianco, vittime. Sotto, carnefici.
pettegolezzo od al talk-show, la Shoah. Eppure, a mio parere, rispetto alla storia di Guido (Benigni) che cerca di non far capire al figlioletto (Giorgio Cantarini) la drammaticità del Lager, è più efficace un’altra storia taciuta. Quella di Nicoletta Braschi, Dora nel film, moglie di Guido. Perché è una storia sussurrata, lasciata intendere, secondaria forse nel tempo dedicatole ma fondamentale del pathos che emana. Anzitutto, bisogna ricordare che Dora non è ebrea, perciò segue i due uomini solo per non abbandonarli; consegnandosi alla sofferenza dei campi volontariamente. Una volte nel Lager, ben poco ci è raccontato della sua permanenza. Ma anche solo una scena, sa pugnalare al cuore di chi guarda e stimolare in lui riflessione. Quando essa viene strappata violentemente dalla sua famiglia, ed indirizzata alla parte del campo dedicata alle donne. Questa scena mi sembra struggente. E poi, Dora svanisce nei meandri della sofferenza. Sola. Non ne sappiamo più praticamente niente, compare pochissimo in tutta la pellicola. Ma torna alla fine. A riabbracciare il figlio, una volta av-
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venuta la liberazione. E nel suo viso si può scorgere tutto il dolore di chi ha perso l’esistenza. Ma ha ritrovato, nel figlio, la speranza. Lo trovo un messaggio molto caldo. La donna, qui, è una figura misteriosa; la cui storia viene solo pizzicata di tanto in tanto. Nascosta. Cionondimeno è una donna coraggiosa e senza dubbio vittima. Ora, e non nell’articolo su “La ciociara” (Vedi pagina 23) posso usare questa parola. Perché Nicoletta Braschi e, come lei, la schiera di donne che hanno vissuto i Lager sono eroi di un romanzo scritto solo a tratti. A singhiozzi spasmodici. Una tragedia fatta di annullamento, in cui i caratteri svaniscono in flebili pianti. Su di un filo teso e fragile, come quello della memoria, procedono le vite delle reduci dimenticate. Testimonianze di donne colpevoli di un peccato non espiabile. “Il Lager è una colpa che non si può cancellare”. Così scrive Lidia Beccaria Rolfi nel suo “L’esile filo della memoria” (Einaudi, Torino, 1995). Vittima, macchiata di una colpa indelebile, quale essere del partito sbagliato o della religione sbagliata o con l’orientamento sessuale sbagliato. E le storie di queste donne, soprattutto di quelle deportate per motivi ideologici, sono smarrite sotto la coltre di polvere che agita il Tempo. Così com’è la vita di Dora, offuscata dall’eroico marito, ma incredibilmente toccante. Ed efficace. Perché rispetto ad un asettico Nuit et Brouillard, che mostra apaticamente immagini agghiaccianti di corpi
squartati, “La vita è bella” sa essere meno esplicito ma più coinvolgente. L’esposizione ad immagini forti, quali le riprese fatte dai liberatori, e le foto figuranti pile di cadaveri sconvolge in un primo momento ma, è brutto dirlo, assuefa. Anche se le montagne di capelli rasati alle prigioniere, o i monti fatti di teschi sono pugni allo stomaco, diventano inespressivi. Il documentario di Rasnais, infatti, continua a mostrare immagini sempre più terribili, finendo per far perdere loro ogni significato. Viviamo in un’epoca di sangue e carne, di tiggì che mostrano all’ora di cena la faccia dilaniata di qualche soldato in qualche guerra. Cosicché tu possa magiare il consommé vedendo un granché senza chiederti il perché. Sono talmente tante queste immagini, che non si presta nemmeno attenzione al nome del soldato, al luogo della guerra. Una depersonalizzazione e banalizzazione della violenza che rende questa meno scandalosa. A ben pensarci, anche la morte stessa è stata normalizzata. A forza di sentire storie criminose, di bombe e mitra, non fa più alcun effetto. Ce ne ricordiamo solo per qualche sbiadito minuto di silenzio, o per la festa dei morti, con i suoi crisantemi sfioriti. Perciò, le scioccanti immagini crude hanno poco effetto, oramai. È brutto ammetterlo, ma è così. Nel vedere il documentario di Rasnais, qualcuno è anche riuscito a fare battute e a sorridere. Essendo questa, quindi, un’epoca di corpi e non d’emozione, una trama non truculenta ma di spessore può veicolare il messaggio in maniera più diretta. Il film può istruire, così facendo. Ma anche essere lesivo (vedi articolo a pagina 37). La pellicola è funzionale alla storia, talvolta. 31
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Cyd Charisse. Attrice. (1921...)
BLOKOVA
STORIA
Le inquietanti storie di donne Blokove. Una porzione si Storia spesso omessa, che non rende onore alla Donna. Ma DEVE essere ricordata. DI LIA FERRO
La figura femminile all’interno del campo di sterminio è quella di una donna spietata, feroce e glaciale, indurita dagli orrori, dalle efferatezze dei lager, resa indifferente dal continuo camminare fianco a fianco con la morte. La donna si sostiSopra, Herta Bothe; a destra, Irma Grese. Le tuisce all’uomo due assassine di Bergen-Belsen nel ruolo di carnefice e lo uando si parla della esaspera, ne porta ai massimi livelli la seconda guerra mon- violenza, la barbarie, il potere distrutdiale, di olocausto, di tivo: nella sua testimonianza Liliana sterminio, di campi di Segre (deportata all’età di tredici anni) racconta come nel campo di Birconcentramento, è tendenza comune kenau, interamente femminile, le priassociare alla donna il ruolo di vitti- gioniere, indebolite sino allo sfinima, deportata, o al limite di staffet- mento dalle precarie condizioni igieta partigiana. Erroneamente si ten- niche e dalla malnutrizione, dovessede a glissare, per scarsa documen- ro sottostare a punizioni terribili, tazione o forse eccessivo buonismo, come ad esempio tenere sollevato un sulla figura delle kapò o delle don- masso per ore ai lati della strada ne SS che, pur essendo numerica- principale e sopportare l’aggressività mente inferiori agli uomini, hanno immotivata e i maltrattamenti delle avuto un ruolo determinante nello sorveglianti, che spesso e volentieri scenario del campo di concentra- picchiavano le deportate senza un mento, un ruolo di importanza cer- motivo evidente. tamente non inferiore a quello avu- Parlando di queste donne risulta impossibile non collegarsi ai processi di to dalle controparti maschili. Norimberga e a tutte le blokove ed SS condannate, donne che formavano sinonimo di terrore, ivi una moltitudine eterogenea per età, panico, violenza, ma accomunate dallo stesso terribile passato, dalla stessa impronta tracatroce dolore.
Q
27 Gennaio 2008 L’espressione
ciata dalla barbarie e resa indelebile, crimine dopo crimine, nelle loro coscienze. Juana Bormann, Hertha Bothe, Ilse Koch, Maria Mandel, Herta Oberheuser, Irma Grese: sono solo alcuni dei nomi che per i deportati erano sinonimo di terrore, panico, violenza, atroce dolore. Vorrei in particolare soffermarmi per una breve analisi su quella che ritengo la più rappresentativa, nonché la più giovane e forse più nota delle condannate, ovvero Irma Grese. Mandata a lavorare a Ravensbrück invece che in un ospedale, come lei avrebbe desiderato, la diciottenne Irma, impressionata dai discorsi di Hitler, non faticò molto a fare proprie le idee del partito nazionalsocialista ed a metterle in pratica con tale convinzione da guadagnarsi la nomina di “Oberaufseherin”, uno 33
STORIA
Sopra, Blokove di Bergen-Belsen; a sinistra, una scena tratta da Kapò di Pontecorvo
dei massimi gradi mai raggiunti da una donna all’interno della gerarchia delle SS, nel campo di BelsenBergen. Forse perché troppo giovane ed immatura, Irma cominciò presto ad abusare del suo potere, maltrattando i prigionieri anche più duramente di quanto previsto “ufficialmente” dal regolamento del campo: coloro che testimoniarono contro di lei a Norimberga parlarono di colpi sparati arbitrariamente ai deportati, di frustate, di come lasciasse liberi contro di loro i suoi cani addestrati ed appositamente affamati, della sua mancanza di qualsiasi rimorso nel picchiare e nel torturare i detenuti sia fisicame nt e c he mo ra l me nt e. Irma non diede mai segni di penti34
mento, di cedimento. Nessuna emozione sul suo volto durante il processo, nessuna Emozione all’emissione del verdetto; impassibile, persino sorridente davanti ai suoi futuri carnefici ed al cappio che l’avrebbe uccisa. Integerrima dall’inizio alla fine, quasi come se si sentisse una martire. Molto diversa, direi quasi agli antipodi, è invece la figura della blokova veicolata dal mezzo cinematografico, in particolare se prendiamo come esempio il film Kapò di Gillo Pontecorvo. Nella pellicola, infatti, la protagonista Edith, ebrea deportata che si guadagna la nomina di sorvegliante vendendo il suo corpo ai nazisti, è descritta in una chiave assai romanzata e molto poco verosimile. La ragazza, infatti, dopo essersi trasformata in “belva” per sopravvivere alle circostanze snaturate e sfavorevoli del campo, incontra un prigioniero russo, Sascia, di cui s’innamora. Questo amore innesca a un processo di “umanizzazione” all’interno di Edith che assume i connotati tipici del mi-
racolo: ella riscopre prodigiosamente quel lato di sé che si considerava ormai perduto; si affeziona a tal punto a quest’uomo da arrivare a sacrificare la propria salvezza per permettere a lui e ad altri prigionieri di fuggire. Avrebbe potuto davvero accadere una cosa simile ad una Irma Grese, a una Herta Oberheuser o ad una Ilse Koch? Mi permetto di esprimere il mio scetticismo al riguardo. Il dolore e l’orrore erano troppo forti, in uno scenario snaturato come quello dei campi di concentramento, per lasciare spazio ad altri sentimenti, meno che mai all’amore. Sadismo, perversione e malvagità si sostituivano all’affetto, divenendo così gli unici possibili compagni ed amanti di queste donne (basti pensare alla Grese, che, stando alle testimonianze, provava piacere sessuale nel commettere atti di estrema violenza). Tuttavia, esistono anche film che dipingono la figura della donna nel campo di sterminio sotto una luce differente, mettendone in risalto molto efficacemente il profilo psichico. È il caso de La passeggera, opera incompiuta 27 Gennaio 2008 L’espressione
STORIA A sinistra, Aleksandra Slaska, protagonista de “La passeggera” ; sotto il regista Munk. In basso, foto di gruppo delle donne del terrore a Bergen-Belsen e lapide commemorativa del campo.
del regista polacco Andrzej Munk, incentrato sul “duello” tra due donne, Liza e Marta, una sorvegliante e una deportata. Esse non si fronteggiano mai ricorrendo alla violenza fisica, ma tentano di prevalere l’una sull’altra in un modo più sottile. Liza, spinta da una sorta di torbida attrazione nei confronti di Marta, tenta di piegarla provando ad accostarsi a lei come amica, ma tenendola poi appesa a un fragilissimo filo: ella sa di poter decidere sulla vita e sulla morte della giovane deportata e, forte di questa consapevolezza, elargi-
27 Gennaio 2008 L’espressione
Munk con Andrzej Wajda e Jerzy Kawalerowicz è stato il fondatore della cosidetta “generazione del disgelo” che rinnovò profondamene il cinema polacco guardando con spregiudicatezza, fuori da ogni agiografia, la storia recente del grande paese baltico. Esordì nel 1955 con un film-documento sulla Resistenza sui monti Tatra, Gli uomini della Croce azzurra. Ma è con Un uomo sui binari (1956) che si impose all’attenzione generale. Il film narra la storia di un macchinista che, emarginato perché non sa adattarsi ai cambiamenti, muore eroicamente nel tentativo di scongiurare un disastro ferroviario. Il film divenne il simbolo dei rinnovatori in una Polonia solcata da inquietudini sociali e politiche. Tornò al cortometraggio in Passeggiata nella vecchia città (1959), vincendo il gran premio alla Mostra di Venezia. Ma il suo capolavoro, incompiuto per la precoce morte in un incidente automobilistico e terminato dagli allievi, fu La passeggera (1961-63). Dal dizionario del cinema Farinotti 2007. sce in modo assolutamente arbitrario ed imprevedibile piccoli aiuti, terribili umiliazioni e privazioni d’ogni sorta, credendo così di gettare la ragazza in balia del suo volere. Marta, spinta invece a lottare dall’orgoglio e allo stesso tempo dalla necessità di sopravvivere, reagisce negando alla blokova qualsiasi fiducia e mostrandosi indifferente sia agli aiuti concessi da quest’ultima ed alle proposte di alleanza che alle umiliazioni. La figura della kapò tratteggiata in questo caso, non è dunque fuorviante o edulcorata, ma analizzata intimisticamente mettendo in primo piano la sua psiche contrastata, le sue manie, le sue preoccupazioni e rimorsi, lasciando come sfondo l’orrore dello sterminio nei lager. Concludendo, posso affermare che il
cinema non è sempre una fonte affidabile dal punto di vista prettamente storico, poiché spesso introduce elementi romanzeschi per addolcire e rendere meno spietata quella realtà che, altrimenti, avrebbe forse un impatto troppo violento sugli spettatori. Tale manipolazione della realtà storica è, a mio parere, assolutamente da evitare, soprattutto quando si tratta di argomenti poco conosciuti dal grande pubblico (come nel caso della donna kapò): essa infatti contribuisce alla creazione di un immaginario collettivo sbagliato, o comunque inesatto o trasfigurato da queste alterazioni cinematografiche, seppure effettuate “in buona fede”.
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Reclame
Gloria Swanson. Attrice. (1898-1983)
STORIA
ILSE KOCH. STORIA AGGHIACCIANTE E VERGOGNA PER IL CINEMA Il cinema sa essere distruttivo. Sa mandare in fuoco, in pochi momenti, la Storia ed anche la dignità. Ma soprattutto sa offendere
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lse Koch. Scuoiava umani, tra urla strazianti, per collezionare tatuaggi graziosi. Sadica, ornava lampade da mercato con pelle ebrea. E faceva suppellettili e strappava la carne, per soddisfare un gusto estetico macabro. Terrorizzava Buchenwald, con il suo passo lento e l’ossessionata voce. Una volta scelta e squartata la vittima, prendeva i brandelli di pelle più belli e li conservava in un museo degli orrori. Folle. Forse, è solo un mito raccapriccian-
DI LUCA MARIO
te, quello della strega di Buchenwald. Forse, non sono mai esistete le tanto discusse lampade. Forse. Forse. Forse è un’esagerazione. Forse… Chissà. I tribunali di guerra han detto che è successo. Ma sembrano essere pervenute prove a scagionare Ilse da questo crimine. Ma i pezzi di carne tatuata trovati alla Koch, quelli sono una prova inconfutabile. Al National Museum of Health and Medicine (District of Columbia, USA) sono esposti. Quindi, non si possono non attribuire questi scempi alla Koch, moglie di Karl Otto Koch, comandante del campo di concentramento. In ogni caso, è impossibile non denotare una vena sadica ed inquietante nella figura di Ilse Koch. Se ne accorsero anche durante il processo. Lei tentò di smentire, ma i periti accertarono che la carne trovata nei suoi appartamenti fosse umana. Le diedero un ergastolo. Commutato in quattro anni di reclusione. Una volta rilasciata nel ’51, fu arrestata di nuovo processata. Ergastolo. Si suicidò, all’età di sessant’anni. Una storia incredibile. Fatta di trucuSopra, Ilse Koch; qui, un manifesto pubblicitario per il film di Edmonds. lenta violenza. E
27 Gennaio 2008 L’espressione
dominata da un senso di superiorità razziale, spesso sfociato in torture e sadismo. Ottimo materiale per un film. Avrà pensato ciò Don Edmonds, nel ’74, quando dedicò ad Ilse il primo di una lunga serie di successi cinematografici. Sotto malate luci rosse. Ecco una storia che dovrebbe stimolare raccapriccio, diventare oggetto di erotismo. Io lo trovo disgustoso. Come tutta la pellicola che alterna scene di sesso a pura violenza. Delirante e depravata strumentalizzazione di una vita agghiacciante, come quella della Koch, a fini di lucro. Con una sfilza di attraenti comandanti delle SS in bikini, fare le peggio cose con prigionieri e prigioniere. Così, si vede una biondina slavata castrare un giovane americano; oppure un’ebrea violentata dinanzi ad una giuria di nazisti. O anche una donna completamente nuda, con un cappio di ferro al collo, appoggiata con le punte dei piedi su un blocco di ghiaccio. Su di una tavolata festosa. Con tutti i commensali che ridono della donna che cerca di non finire impiccata. Donne a cui viene marchiata a fuoco la faccia. A cui vengono fatti mangiare vermi. 37
STORIA
Il film è istruttivo”. Non è vero. Non sempre. Può sputare negli occhi delle vittime.
Nella foto grande, locandina del film “Ilsa she wolf of SS”; nell’altra, i reperti trovati alla vera Ilse Koch: teste umane e pelli tatuate. Ma si possono anche vedere i sadici esperimenti (che sempre finiscono in un rapporto sessuale) per dimostrare che le donne tollerano meglio il dolore degli uomini. Così, con elettrodi e pinze si testa la resistenza di prigionieri che sembrano fotomodelli. Frustate e scuoiate, violentate in ogni modo possibile. Scene talmente esasperate da essere grottesche. E l’orrore continua in una pellicola decisamente oscena e poco realistica. Anche perché risulta ovvio che il fatto storico sia solo un pretesto, per legittimare un film così allucinante. 38
Perciò, potreste dire voi, non è così scandaloso. Insomma, è una pellicola di serie B che, sì, è amorale ma non è così scandalosa. Così hanno reagito alcuni miei colleghi de “L’espressione”. Ma io sono in disaccordo. Non si può perdonare una così grande offesa a chi ha vissuto in prima persona la follia di Ilse Koch. Anche perché il regista ha voluto iniziare con la scritta “basato su una storia vera. affinché non si ripeta”. Perciò il delitto commesso è intenzionale. Si spaccia per film storico, mentre vuole essere solo una trovata commerciale. Va bene, nell’era del
consumismo tutto è commercializzabile, dal Papa ai tovaglioli usati di Brad Pitt. Ma non si può rendere la Shoah uno dei tanti aspetti tristi della storia svenduti per il Dio Denaro. Perché i tovaglioli di Brad Pitt non hanno mai ucciso nessuno. La Shoah, milioni di persone. A maggior ragione, quindi, bisogna criticare il film di Edmonds. Non per il contenuto sessuale, perché se c’è gente disposta a pagare per vedere una donna castrare un baldo giovinotto non è causa del regista. Ma per aver osato dedicare la vicenda ad una piaga storica come il nazismo, spacciandosi per filo-ebreo. Questo è repellente. Ormai, anche i campi di concentramento fanno audience. Perciò, bisogna fare molta attenzione quando si fanno affermazioni come quella che apre la traccia di questo concorso: “Il film è istruttivo”. Non è vero. Non sempre. Anche un film che si spaccia per istruttivo, che viene dedicato alla Memoria, può sputare negli occhi delle vittime. Il film, ahimè. Sa anche essere distruttivo. 27 Gennaio 2008 L’espressione
CULTURA
L’ARTE DELLA GUERRA APPROFONDIMENTO CULTURALE
Dal Papa al Pop, tutti i volti della 2° guerra mondiale. Anche per l’arte non figurativa, alla ricerca di un messaggio che esprima l’essenza del conflitto. E della donna.
segni sono verticali ed aggressivi, come fossero gabbia di un invisibile zoo. Lo zoo in cui tutto il mondo è vissuto tra il ‘40 ed il ‘45. Una prigione da cui impossiINSOLITO VIAGGIO NEL PANORAMA ARTISTICO DEL DOPOGUERRA DI LUCA MARIO bile fuggire, sempre rischiando. i voglio scrivere Bacon. dell’arte sulla seconda “Screaming Pope” (1953) è uno studio Osservati dai grandi strateghi, guerra mondiale. E, sul dipinto di Velazquez raffigurante come bestie. Questa è una delle magari, farlo in manie- Papa Innocenzo X. La versione di grandi trasfigurazioni della sera poco convenzionale. Bacon è agghiacciante. Quella di Vela- conda guerra mondiale. Ogni uoPerché avrei voluto iniziare col ci- zquez, raffinata. Ma dov’è la guerra in mo (persino il Papa) è diventato tare lo strafamoso Guernica; ma mi questa immagine? Non ci sono bom- numero della complessa equaziosembrava un po’ banale. Certo, è be, macerie, cadaveri. Non c’è, come ne dei pianificatori bellici. Nonouno dei capolavori espressivi me- in Guernica, un’evidente rappresenta- stante si cercasse di urlare e scappare dall’orrore dei gas asfisglio riusciti; ma ci sono opere più zione della guerra. Eppure, io vedo in quei tratti impulsi- sianti, il piombo della gabbia, il efficaci, a mio parere. Partirei mostrandovi una tela del vi e tormentati tutto il dolore delle piombo delle armi, costringevano mio pittore preferito. Francis armi. La sofferenza è celata tra i tratti ad un abisso di tortura psicologispasmodi- ca tutti gli abitanti del mondo. ci che raf- Per ciò si parla di guerra totale, di annientamento totale della liberfigurano tà di fuga. La guerra insegue anl’urlante Papa co- che chi scappa, questo vedo nella me in un bocca spalancata di Innocenzo X. carcere. I Perciò il segno indelebile della Seconda Guerra Mondiale sta Sono intrise di nell’evoluzione dall’eleganza barocca di Velazquez corpi straziati, all’inquietante mancanza di carne squarta- grazia. Tutte le opere dell’enigmatico Bacon sono ta, sangue, car- segnate da questa macabra casse di anima- rappresentazione dell’essenza umana. Le sue li. Tremendatele sono intrise di corpi mente poetica la straziati, carne squartata, sangue, carcasse di animali. sofferenza che Tremendamente poetica la sofferenza che ne ne trapela. trapela. Di tutt’altro genere l’opera di Roy Lichtenstein che segue. “Crying girl”. Tratti netti e ben distinguibili, colori vivi e trame geometriche. Una donna che piange. Chissà perché. Anche con quest’opera voglio fare un confronto. E qui torna un altro capolavoro di Picasso:
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A fianco, il dipinto raffigurante Innocenzo X di Velazquez. Sopra, la versione agghiacciante dell’artista irlandese Francis Bacon
L’espressione
Reclame
Sylvia Sidney. Attrice. (1910-1999)
“Weeping woman” del 1937. ventisei anni prima di Lichtenstein. Questo capolavoro cubista è evidentemente riferito alla guerra. Insieme a Guernica, appartiene alla serie di tele relative agli sconvolgimenti politici che stavano attraversando l’Europa. Soprattutto alla guerra civile spagnola. La figura è stravolta, anche se le sue lacrime danno un immediato senso di realtà. La realtà quotidiana di chi vive un conflitto bellico. L’opera pop anni ’60, invece, rappresenta un superamento della guerra. Un ritorno alla spensieratezza che contraddistingue il movimento pop. Esso è l’inizio dell’epoca consumista, che idolatra l’effimero e il riproducibile. Ma in questa era, con i tentativi di dimenticare il passato angosciante, spunta la litografia di Lichtenstein. Una donna che piange. In stile modernissimo, pop, tornano le lacrime per un passato indelebile. Anche qui risiede la seconda guerra mondiale, nel vano tentativo di celare la sofferenza. Due donne, piangenti, emblema di un tradimento. Quello della vita. Gli ultimi due esempi per ciò che riguarda l’arte figurativa sono assai bizzarri. Perché non è certo che di arte si tratti. Io credo di sì. Un’arte a
sfondo politico, che letta oggi trascende dal significato del messaggio, per diventare oggetto di studio sulla comunicazione. I manifesti elettorali per il 18 aprile 1948, elezione del primo parlamento repubblicano. Andiamo oltre agli schieramenti, analizziamoli come opere d’arte. Per la loro capacità espressiva. Due donne, Democrazia e Patria. Sfruttano la potenza dell’immagine, della paura e dell’ignoranza per veicolare un messaggio politico. Fare leva sui sentimenti più basilari della natura umana, quale il timore, è una tattica molto efficace. Lasciatemi porre una domanda: perché la Democrazia e la Patria sono rappresentate come donne? Già Delacroix in “La liberté guidant le peuple” (1833), vede il simbolo della Libertà in una donna con la bandiera. Gli ideali sono femmine, perché puri ed aggraziati nell’ottica romantica. Così, anche i manifesti si adeguano a questa aulica concezione delle convinzioni umane. La donna diventa strumento di propaganda (come già nei manifesti fa-
In senso orario dall’alto a sinistra. “Crying girl”, Lichtenstein; “Die Kriegsfackel”, Kubin; I manifesti di DC e Blocco Nazionale per il 18 Aprile ‘48; “Weeping woman”, Picasso.
scisti od interventisti americani), ottimo modo per condizionare le scelte delle masse. La modernità del conflitto mondiale è anche questa: la propaganda ideologica. E la donna ne è abusato mezzo. Ma la donna non è solo negli ideali più alti. Si trova anche come emblema della guerra stessa. Alfred Kubin, nella sua torcia della guerra, “Die Kriegsfackel” (1914), mostra una donna scarna e cadaverica, che punta verso l’osservatore. È la guerra. Che minaccia e dà fuoco alle case sullo sfondo. Questa illustrazione, dalle linee frettolose e che creano geometrie affascinanti, è la migliore rappresentazione della guerra novecentesca. Che trasfigura l’uomo, rendendolo uno
CULTURA scheletro rachitico e violento. La donna, perciò, diventa madre guerra. Madre di coraggio e distruzione. Le tele, però, hanno un grande limite. Sono statiche. Per quanto i tratti possano essere tormentati, dinamici ed emozionanti; l’opera visuale rimarrà sempre immutabile. Perciò, bisogna cercare qualche esempio in un’altra arte meno immobile. La musica. Porterò due esempi di brani, diametralmente opposti, ma assai significativi. Il primo è incredibilmente suggestivo, un’opera dodecafonica di Schönberg: “Il sopravvissuto di Varsavia”. Ad essere precisi, è un “oratorio per voce recitante, coro maschile e orchestra”. Anzitutto bisogna chiarire un po’ la figura di Arnold Schönberg. La sua musica è riconducibile alle opere del pittore russo Kandiskij (ed amico): entrambe stravolgono la tradizionale concezione della propria arte. Schönberg utilizza la pantonalità ed all’uso di dodici suoni, non in relazione tra loro. Questo innovativo metodo trasale anche nel “sopravvissuto”. Per narrare l’orribile vicenda della deportazione dal ghetto ebreo di Varsavia, Schönberg utilizza una potente vo-
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A sinistra, volantino di “Lili Marlene” nel primo dopoguerra; Arnold Schoenberg. Sotto, Marlene Dietrich che canta ai soldati americani nel 1942. In basso a sinistra, il baritono Hermann Prey che interpreta il “Sopravvissuto di Varsavia”
ce recitante ed uno strid e n t e violino. La dramm a t ic i t à colpisce moltissimo. Le parole u s a t e sono come schiaffi. “How could you sleep?”, si chiede la voce narrante. Come si poteva dormire nel ghetto, senza sapere la fine che avrebbero fatto i propri cari. Altre due parole molto in risalto sono “Groaning” e “moaning”. Quasi sinonimi, gemere e lamentarsi. Sono pronunciate come urli soffocati. La frase più espressiva, dopo lo sveni-
mento “I must have been unconscious. The next thing I knew was a soldier saying: They are all dead”. Sono tutti morti tranne chi parla, il sopravvissuto, che in queste parole mette tutta la sua pena. L’opera si conclude con un agghiacciante “Shema Ysroël”, inno ebraico, cantato con rassegnata fierezza. Io lo trovo semplicemente emozionante, profondo. Meno aulica, invece, la seconda opera. Essa vede il ritorno di un aspetto della figura femminile nella seconda guerra mondiale: quello di oggetto per la propaganda. “Lili Marlene” è un brano considerabile l’inno ufficioso del secondo conflitto mondiale. Non solo per il fatto che ne esistono più di 48 versioni (tra cui anche latino e finlandese!). Ma per il messaggio che trasmette. Scritta da un soldato amburghese nel ’15, ha raggiunto il culmine della fama con Marlene Dietrich agli inizi della guerra. La grande Vamp la cantò sia in tedesco che in inglese, per creare stanchez27 Gennaio 2008 L’espressione
Siamo in guerra e l’importante è non mettersi contro il più forte
Nella foto grande, Sophia Loren. In altro a destra, la Loren ed Eleonora Brown in “La ciociara” di De Sica za da guerra nei primi e rincuorare i secondi. La frase più incisiva è a mio parere: “Bugler tonight, don't play the Call To Arms I want another evening with her charms”. Pronunciata dalla morbida e suadente voce della Dietrich, acquisisce un romanticismo sfrenato. La voglia di andare oltre la guerra, in nome dell’amore per una donna. Per la vita. Questo inno al pacifismo ha attraversato tutti gli schieramenti, diffuso dalla radio. Così, capitava che soldati americani e tedeschi al fronte cantassero la stessa canzone, invocando la pace, ma in lingue diverse. e che fossero, poi, costretti a spararsi il giorno dopo. Questa è l’assurdità della guerra. I soldati invocavano il ritorno a Lili Marlene, alla vita quotidiana, ma non potevano mettersi d’accordo per la pace. Il singificato di questa canzone, perciò, è molto più “vissuto” di ogni altra opera postuma. Perché in prima persona 27 Gennaio 2008 L’espressione
le parole di questa canzone hanno attraversato gli animi dei soldati. Ma qualcosa manca alla musica ed all’arte figurativa. Una trama. Sebbene Schönberg abbia messo un testo molto profondo, manca la capacità di descrivere oggettivamente la situazione di chi ha vissuto la guerra. Per ciò la letteratura non va dimenticata. Moravia. Ciociara. 1957. Un libro reso indimenticabile dal suo schietto realismo. E dal film di De Sica. La protagonista, Cesira, è molto fedelmente rappresentata da Sophia Loren. Ho letto il libro originale e visto il film, e devo ammettere che la trasposizione cinematografica è molto ben riuscita. Sebbene sia stato scremato di alcuni passi importanti, mantiene il vivido racconto della vita plebea. Esempio di questa mentalità contadina ed opportunista, squisitamente italiana, è la frase pronunciata da Concetta (che ha ospitato la protagonista e la sua figlia, nella loro fuga da Roma): “[…] siamo in guerra e l’importante è non mettersi
contro il più forte. Oggi sono i fascisti ad essere i più forti e bisogna stare con i fascisti. Domani saranno magari gli inglesi […]”. La letteratura sa raccontare i fatti, le emozioni in maniera molto più dettagliata della musica. Il lassismo dei protagonisti de “La ciociara” si mischia all’opportunismo più mero. Difatti Cesira, come la protagonista di “Madre Coraggio” di Brecht, specula sulla guerra. Con il mercato nero, guadagna molti soldi. Il romanzo è assai espressivo ed efficace, ed è un emblema del neorealismo italiano. (Per approfondire articolo a pag 23) Penultima evoluzione delle Arti è il teatro. Esso somma tutti gli effetti positivi del romanzo, la vivezza dell’arte figurativa e delle musiche. Fornendo qualcosa di impatto immediato. Porterei, come esempio, “Madre Coraggio” di Bertold Brecht. Non mi dilungo molto su questo, perché un mio collega sta facendo un articolo dedicato interamente all’opera teatrale (vedi pagina 36). L’ultima frontiera espressiva è il cinema. Esso ha il grande pregio della diffusione. Mentre le altre Arti sono più riservate ad un’élite, film di grande spessore possono portare nella casa di chiunque messaggi assai complessi. Tutta questa edizione speciale de “L’espressione” ha questo tema. Il cinema è, essenzialmente, l’arte della massa e dell’emozione più diretta.
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Reclame
Mae West. Attrice. (1893-1980)
LUCA MARIO LETTERA AD APOLLO
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AMANTE TRADITA
Ogni volta che sento parlare di Claretta Petacci non posso fare a meno di commuovermi. Una storia struggente. That’s Amore. Altroché i romanzi rosa, Claretta rappresenta un emblema del sentimento. Fino alla morte. Quindi, avevo molte aspettative per il film di Squitieri. Volevo un resoconto di questa storia torbida e purissima, della donna che ama l’idolo idealizzato del Dux. Perché, secondo il documentario di History Channel a lei dedicato “Le passioni virili del Duce”, amava Benito fin dalla giovane età. Ma facciamo qualche passo indietro. Parliamo di un fenomeno sociologico, quello del Duce come ideale erotico, non da sottovalutare. Nella divinizzazione di Mussolini, degna di Amon-Ra, c’è un’alta componente estetica. Un oggetto di propaganda quasi commerciale. Un prodotto, Benito, reso prototipo del “giusto”. Ciò che vuole Mea lux, sia. Perciò, anche dal punto di vista carnale egli è diventato simbolo del maschio italico; al punto che le giovinette si strappavano i capelli, quasi come per i Beatles, fomentate dall’euforia della reclame. Che immagine incredibile! Ma è intriso di questa divinizzazione del personaggio politico il ventennio fascista. Esso è diventato quasi dramatis persona, un simbolo e non più uomo. La sua dittatura liberticida era basata strettissimamente sull’immagine del Duce. Un Duce onnipresente, attivo, sportivo che viene reso come modello da seguire. Siamo in questo contesto culturale, una lavaggio del cervello che identifica in Mussolini tutto ciò che è positivo. Non meno di un faraone da idolatrare. Il maschio italico, virile, coincide con Benito. Tra questa schiera di stregate, la giovane sposa del tenente Federici: Claretta Petacci. Come migliaia di altre donzelle, anche lei scriveva lettere infuocate al Dux. La svolta fu nel ’32. Lei. Lui. Federici. L’autista.
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Un incontro sulla via per una gita. zia. Armiamoci e partite, ça va Due macchine, quella del tenente e sans dire! del Capo dello Stato che si incrociano. Meno efficace invece, a dire del Forse tamponano. Un incontro fatale, Morandini, “Mussolini ultimo atseguito da numerose convocazioni a to” di Carlo Lizzani (1974). Che Palazzo Venezia. Non ci son dubbi sul appiattisce a radiocronaca la defatto che Mussolini avesse molte a- scrizione degli istanti finali manti, ma neanche sul fatNella divinizzazione di to che la Petacci non sia stata una delle tante. Tutto Mussolini, degna di Amonl’entourage fascista ne era Ra, c’è un’alta componente a conoscenza, così come estetica. Un oggetto di proDonna Rachele. Si taceva tutto, paganda quasi commerciaper convenienle. Un prodotto, Benito, reza. Ma dal diario so prototipo del “giusto”. di Claretta, spesso citato nella biografia resa documentario, trapela il profondo legame tra i due. Una biografia pacata, apatica, ma ben fatta. Poetica l’immagine di lui, nudo ma con gli stivali, che suona il violino per lei a Palazzo Venezia. La faccia fascinosa del fascismo. Questo, mentre si cerca di convincere gli italiani che tutto va bene. Che l’autarchia funziona. Che i balilla sono il futuro. Che siamo al centro Clara Petacci, esposta come un quarto di bue in dell’Universo e piazzale Loreto, Milano, il 29 aprile ‘45 del tempo (come dice un filmato dell’istituto luce sulla presa di Addis dell’Amore tra la Petacci ed il Abeba). Invece, avevamo spedito tutti Dux. Soporifero a tratti, ha come i personaggi scomodi in confino. E la unico merito il portare gente moriva di fame, mentre la Pe- all’attenzione l’epilogo di questa tacci ascoltava Mozart. Ed il Combat- storia d’amore. Un epilogo poco tente Duce mandatoci dalla Divina poetico. Che tutti conoscono. Non Provvidenza pasceva a palazzo Vene- evidenzia bene, invece, tutte le 45
Il Duce, simbolo della dittatura che ha straziato l’Italia per più di vent’anni. Il Capo dell’organizzazione criminale che ha ucciso Matteotti e la libertà. Un uomo morto, appeso a testa in giù, con la faccia calpestata dall’ira popolare.
le trattative sulla sorte di Mussolini. Con il CLN che lo voleva morto, e gli alleati che… non si sa. Si dice lo volessero vivo. Ma probabilmente non avrebbero disdegnato la sua scomparsa. Molto più d’impatto, invece, è il film di Pasquale Squitieri. Claretta. Che ha suscitato gli “ooooh” ed i “puah” dell’intellighenzia italiana e non. Roba dell’altro mondo. La giuria di Venezia divisa, correva l’anno 1984; molti che gridavano al revisionismo. Al lupo al lupo! I critici urlano di fronte a nemici immaginari, quali una pellicola provocatoria, perdendo credibilità. C’è un grande problema in Italia, la paura cieca del fascismo. Ed è giusto temere il ritorno della dittatura; ma la fobia sfocia nella follia quando si mettono all’indice tutte le cose che non parlano male di Mussolini & co. Anche perché ciò che è apprezzabile di questa pellicola è la storia umana e non politica. Potrebbe sembrare un’affermazione esagerata la 46
mia, ma trovo ticare l’eccessivo tono da fotoromanzo, che appiattisce la vicenda; assolutamente sterile opporsi ma è inopportuno questo scandacompletamente lizzarsi ipocrita. e totalmente ai Non voglio essere revisionista, simboli del fasci- ma non posso negare la mia simsmo (mentre patia per Claretta. Una vittima, vengono tollera- forse, di pubblicità e divinizzaziote alcune delle ne. Ma anche una donna coragsue ideologie). giosa, forse (perché non è ben Al punto da de- chiaro se abbia seguito Mussolini monizzarne non per scelta o per obbligo nei suoi le ideologie, ma i ultimi passi). Una donna la cui personaggi. Non fine è stata funesta. Da romanzo o è così che si evi- tragedia greca. Violentata, seconta il ritorno di do il missino Pisanò. Appesa, emuna dittatura. blema di una Nazione tradita e Certo, è com- traditrice, in piazza Loreto. In prensibile che i quei volti squartati vedo l’altra reduci da un faccia del Potere e dell’Amore. regime libertici- Della Guerra (che è la sintesi dei da si siano acca- due enti di sopra). Cos’è la Guerniti sui simboli ra, se non gioco di Potere e di di questo, la cop- Amor di Patria? pia Petacci- Cos’è la guerra, se non un cadaveMussolini. E si re emaciato esposto al furore può anche accet- popolare? Il cadavere di una natare che i pensa- zione, di un ideale, di un sentimento torbido e purissimo. Nobitori le e volgare. dell’immediato dopoguerra ab- Per questo, voglio concludere lo biano continua- speciale sulla Seconda Guerra to a ricoprire di Mondiale con l’immagine della parole impietose Petacci squartata ed appesa come le loro figure. Ma un bove da macello. Così come la oggi, a tanti anni dall’avvenuto, do- coscienza di un’Europa, trafitta e vremmo avere una maggiore lucidità. stuprata, con le bombe e le cameNon vietare, quindi, di parlare di fa- re a gas. scismo se non da anti-fascista. Per- Ora, io e la redazione Salutiamo. E ché, senza essere filo-Mussoliniano, si pongo fine a questa Lettera ad può dire che questa storia d’amore è apollo insolitamente lunga. Con struggente. Perciò, trovo increscioso un’ennesima domanda: perché in l’atteggiamento di certi “esperti” che questo speciale sulla Guerra non abbiamo trovato nemmeno una hanno subito infierito su Squitieri. lieta? Nemmeno Un conto è deprecare la vita politica, storia molto diverso è parlare del personag- quest’Amore tra due potenti ha gio. Eppure il pubblico di piazzale avuto happy ending. Perché? Loreto è stato forgiato da Mussolini. Azzardo una risposta. La guerra Questo accanirsi contro il corpo, or- sporca tutto. E lo tinge di rosso. mai esanime, del dittatore riCos’è la guerra, se non specchia l’idea di uomo cinico e belligerante, fascistissimo nel un cadavere emaciato suo essere partigiano. Inoltre esposto al furore proprio il Duce aveva fatto sì che si identificasse la dittatura popolare? Il cadavere di nella sua persona, è perciò coe- una nazione, di un idearente che, sputando sul cadavere in putrefazione si sputas- le, di un sentimento torbido e purissimo. se al regime. La rabbia contro la coppia non era privata, ma pubblica. Forse, sarebbe stato lecito cri27 Gennaio 2008 L’espressione
Una donna senza nome. Che non è arrivata agli anni ‘50, a contrario delle belle attrici holliwoodiane sue contemporanee. Una donna che sta morendo di fame, reduce di Auschwitz. Una donna. Un cadavere che si regge su rachitiche ossa. Tutte le reclame delle pagine precedenti vogliono farvi pensare. Sono tutte donne, quelle di queste pagine. Tutte dello stesso periodo. Ecco come la Shoah ha trasfigurato la Donna.
Joan Crawford. Attrice. (1904-1977)