Scienza, che spettacolo!

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POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – 70% NE/PD € 21,00 - copia singola € 8,50 Autorizzazione del Tribunale di Padova numero 4093 del 21 novembre 2013 ISSN 2284-0761 - ISBN 978 88 5495 422 9 - Numero 25 - Quadrimestrale febbraio 2022 / maggio 2022

NUMERO

www.planck-magazine.it

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SCIENZA, CHE SPETTACOLO!

ORIA UNA STETTI! A FUM MAX: E MARIE ALTO UN S RO INDIET EMA N NEL... CI

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QUANDO LA SCIENZA DIVENTA SPETTACOLO Scienza e spettacolo possono sembrare due concetti distantissimi. La scienza è fatta di duro lavoro, studio, intuizioni, esperimenti, prove e spesso fallimenti. Lo spettacolo invece è il prodotto di duro lavoro, studio, intuizioni, esperimenti, prove e spesso fallimenti… Hmm… ci deve essere un errore! Sappiamo tutti che scienza e spettacolo sono due cose diverse! Ma è veramente così? In apparenza la scienza ha poco a che fare con lo spettacolo, nel senso che chi fa scienza tende a lavorare su idee e concetti a volte terribilmente freddi e astratti, e non sulle emozioni. Mentre per lo spettacolo è fondamentale generare emozioni, farci piangere, farci ridere e qualche volta riflettere sul senso della vita. Si dice che lo spettacolo colpisca la pancia, mentre la scienza arrivi alla testa. Eppure gli scienziati spesso si emozionano davanti ad una idea innovativa, ad una scoperta sorprendente, o anche ad una equazione particolarmente elegante. Quindi, almeno per loro, la scienza è spettacolo. Allora, perché la grande maggioranza della gente non pensa alla scienza come spettacolo? Perché non ne conoscono il linguaggio e – spesso – la sua storia. Per apprezzare una cosa bisogna capirla e per capirla bisogna averne familiarità e parlare la sua lingua. Uno spettacolo è comprensibile perché ci parla di emozioni universali: amore, gelosia, paura, brama di potere, desiderio di ricchezza… sentimenti che tutti

comprendiamo perché la vita ce li ha insegnati! Ma una scoperta scientifica in che modo ci può emozionare? Prendiamo per esempio quella recente delle onde gravitazionali: certo, se sapessimo che Einstein un secolo fa circa aveva previsto le onde gravitazionali ma aveva anche affermato che non saremmo mai riusciti a rivelarle perché troppo minuscole (e non si mette in discussione uno come Einstein!) allora potremmo anche emozionarci per lo sforzo, la passione e forse la pazzia dei ricercatori! E che dire del fatto che le onde captate hanno ampiezza veramente piccola, inferiore al diametro del nucleo di un atomo, e che questa minuscola oscillazione ci ha comunque permesso di rivelare la fusione di due buchi neri avvenuta più di un miliardo di anni fa! Capiamo quindi l’emozione dei ricercatori e di tutto il mondo scientifico che ha assistito ad un vero e proprio spettacolo di scienza (con tanto di premio Nobel, meritatissimo!). Quindi scienza e spettacolo condividono un’anima in comune, quella delle emozioni, solo che per la scienza è più difficile riconoscerla, ma quando lo facciamo ecco che ci troviamo di fronte ad un’esperienza meravigliosa, mai banale, che ci ripaga di tutti i sacrifici fatti per imparare una lingua difficile ma infinitamente ricca, quella della scienza che diventa spettacolo. Andrea Brunello

Andrea Brunello opera ai confini tra il teatro e la scienza. Dottore di ricerca in fisica è anche attore, regista e drammaturgo professionista alla continua ricerca di come unire il mondo della scienza con quello del teatro e della narrazione. È direttore artistico di Arditodesìo - impresa culturale (arditodesio.org) e del festival di teatroscienza Teatro della Meraviglia (teatrodellameraviglia.it). Dal 2012, cura e dirige inoltre il progetto Jet Propulsion Theatre (jetpropulsiontheatre.org) in coordinamento con il Laboratorio di Comunicazione delle Scienze Fisiche dell’Università degli Studi di Trento. Brunello insegna corsi di “comunicazione della scienza attraverso il teatro e lo storytelling” presso le Università di Trento e di Bologna. Il suo sito è www.andreabrunello.eu PLaNCK! è un progetto editoriale nato nel 2013 da un’idea dell’associazione Accatagliato che si occupa di divulgazione scientifica per ragazzi e ragazze, scuole e famiglie in tutt’Italia (www.accatagliato.com). La redazione di PLaNCK! è composta da soci di Accatagliato che si occupano di ideare e realizzare i contenuti della rivista, e a cui si aggiungono collaboratori esterni esperti. Da sempre PLaNCK! ha un comitato scientifico composto da docenti e ricercatori dell’Università di Padova, a cui si aggiunge la consulenza di esperti a livello italiano e internazionale su temi specifici. Fin dall’inizio del progetto, PLaNCK! ha ricevuto un contributo da parte dei dipartimenti di Scienze chimiche e di Fisica e astronomia dell’Università di Padova, da donazioni o sponsor pubblici o privati. L’attività ha il patrocinio dell’Università degli Studi di Padova.

Ideazione e progettazione editoriale:

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Contributo:

Dipartimento di Scienze Chimiche


In questo numero

04 La nostra squadra 10 Tra scienza e divertimento 12 Al luna park!

23 Dossier: Immagini che fanno spettacolo 24 CIAK, si gira! La scienza del cinema 28 Disegni in movimento 30 Robot in azione 34 La fotografia 16 Perché ci divertiamo? 44 La radio 46 Quando la scienza aiuta il suono 50 Scienza e giocoleria 52 Il fisico giocoliere 56 Un’esplosione di colori

Rubriche 18 Che illusione! 22 Scienza da leggere 60 Piccoli collaboratori 62 Lo chiediamo a voi! 63 Parole di scienza

In più... 38 PLaNCK!: un progetto speciale 40 Il calendario del 2022 da staccare

Fumetto 05 Le avventure di Marie e Max: Un salto indietro nel... cinema

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PLaNCK! è un progetto dell’associazione Accatagliato via S. Sofia 5 - 35121 Padova www.accatagliato.com accatagliato.info@gmail.com

Stampatore ed editore

CLEUP sc “Coop. Libraria Editrice Università di Padova” via Belzoni 118/3 - 35121 Padova tel. 049 8753496 www.cleup.it - www.facebook.com/cleup ISSN 2284-0761 ISBN 978 88 5495 337 6 ©2021 Accatagliato Tutti i diritti riservati www.planck-magazine.it redazione@planck-magazine.it

Tocca a te! 32 Il taumatropio 54 Una chitarra fai-da-te

PASSIONI CHE SI INCONTRANO Il primo gennaio 2019 la sonda New Horizons della NASA raggiungeva Ultima Thule, un piccolo asteroide in orbita attorno a Plutone. Al momento dell’arrivo, il centro di controllo della missione è stato invaso dalle note a tutto volume di una canzone, scritta per quel momento straordinario da Brian May. Chi è Brian May? Un chitarrista rock inglese molto famoso, co-fondatore della band The Queen (perché non chiedete ai vostri genitori di farvi ascoltare qualcuna delle loro canzoni? Sono bellissime!). Oltre a suonare, Brian May studiava fisica. Dopo la laurea, decise di iniziare un dottorato in astronomia, ma la band ebbe così tanto successo che decise di dedicarsi completamente alla musica. Alcuni anni fa, però, ha completato gli studi, realizzando il suo sogno di diventare astronomo. Cosa voglio dirvi con questa storia? Che non c’è niente di più bello quando passioni diverse si incontrano, come nel caso di Brian May. In questo numero di PLaNCK! troverete molti esempi di come la scienza e lo spettacolo (musica, cinema, teatro…) sono interconnesse. Quindi, buona lettura, e come cantavano i Queen… The show must go on (lo spettacolo deve continuare)! Buona lettura! Andrea Frison

Storia della scienza 48 Misure e divertimento in volo 49 Spettacoli elettrici Comitato Scientifico (Università degli Studi di Padova) Coordinatrice: dott.ssa Marta Carli

Dipartimento di Fisica e Astronomia prof. Alberto Carnera, prof.ssa Ornella Pantano, prof. Giulio Peruzzi, prof.ssa Cinzia Sada, prof. Antonino Milone Dipartimento di Scienze Chimiche dott. Massimo Bellanda, dott.ssa Laura Orian, dott. Giacomo Saielli, dott.ssa Elisabetta Schievano

Redazione

Coordinatrice editoriale: Agnese Sonato Direttore Responsabile: Andrea Frison Redazione: Agnese Sonato, Marta Carli, Sarah Libanore, Martina Tardivo, Marco Barbujani, Francesco Zani, Bianca Maria Scotton, Serena Maule, Laura Paneghetti, Andrea Frison Versione inglese: Laura Paneghetti

Fumetto Disegnatrice e colorist: Bianca Maria Scotton Assistente colorist: Gioia Beghin Sceneggiatrici: Bianca Maria Scotton e Agnese Sonato Illustrazione di copertina Sofia Poiana Layout Progetto grafico e impaginazione: Francesco Zani Testata: Stefano Pozza Segreteria di redazione e pubbliche relazioni: Serena Maule, Martina Tardivo, Sarah Libanore

In questo numero...

Autori e autrici dei testi per questo numero: Agnese Sonato, Sarah Libanore, Martina Tardivo, Matteo Serra, Ilaria Ampollini, Sofia Zanonato, Davide Quagliotto, Francesco Coghi, Marco Olivieri, Francesco Zani.

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Marie e Max:

UN SALTO INDIETRO NEL... CINEMA

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AL LUNA PARK! di Matteo Serra (divulgatore scientifico, Fondazione Bruno Kessler - FBK)

Andare al luna park è divertentissimo! Tra giostre, ruote panoramiche e montagne russe non c’è sicuramente il rischio di annoiarsi… Ma come funzionano le varie attrazioni? È tutta questione di fisica!

VAGONI AD ALTA VELOCITÀ Cominciamo dalle montagne russe: molti magari non lo immaginano, ma i vagoni che sfrecciano su e giù ad alta velocità, tra “giri della morte” e serpentine, non sono spinti da un motore! E allora come fanno a muoversi? Per capirlo, pensiamo al percorso tipico di un vagone lungo le montagne russe. Quando il vagone viene fatto partire, di solito si trova in alto, all’inizio di una discesa. Grazie alla forza di gravità, scende e accelera sempre di più, fino ad arrivare nel punto più basso, dove la sua velocità è massima. A quel punto, se la strada inizia a salire, il vagone rallenta fino a fermarsi in cima alla salita, per poi riprendere ad accelerare se il percorso torna a scendere, e così via.

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Questo continuo saliscendi è reso possibile da uno scambio di energia. Quando il vagone si trova a una certa altezza, anche se è fermo, possiede una quantità di energia chiamata “energia potenziale”. Muovendosi verso il basso, l’energia potenziale del vagone diminuisce sempre di più, mentre allo stesso tempo aumenta la sua energia cinetica, un tipo di energia legato al movimento. Quando invece il vagone sale accade il contrario, cioè perde energia cinetica e acquista energia potenziale. In tutti i momenti del suo viaggio, insomma, il vagone delle montagne russe ha sempre un po’ di energia che gli permette di muoversi, fino ad arrivare alla fine del percorso.


Le montagne russe possono raggiungere velocità davvero elevate: le più veloci si trovano negli Emirati Arabi e possono raggiungere i duecento e quaranta chilometri all’ora in soli cinque secondi! Tutto sommato, però, queste velocità si raggiungono tranquillamente anche in un normale treno ad alta velocità. Che cos’è, allora, che ci fa gridare così tanto quando siamo sulle montagne russe? La “colpa” è ancora una volta delle leggi della fisica, che sulle montagne russe ci fanno provare forze e accelerazioni molto intense. Per capire meglio di che cosa si tratta, pensa a quando ti trovi a bordo di un’automobile che affronta una curva: avrai sicuramente provato quella strana sensazione per cui, quando l’auto gira a destra, “senti” una forza che ti spinge verso sinistra e viceversa.

Questa forza misteriosa si chiama “forza centrifuga” ed è presente ogni volta che un oggetto si muove lungo una traiettoria curva: la forza centrifuga “vorrebbe” farci proseguire in linea retta, ma non ci riesce perché le si oppone un’altra forza, chiamata “centripeta”. La forza centripeta è diretta verso il centro della curva ed è lei che permette al veicolo o all’oggetto di girare. Nelle montagne russe succede la stessa cosa, ma le curve sono molto più strette e le velocità più alte rispetto a quelle delle automobili; di conseguenza, il nostro corpo “sente” continuamente forze centrifughe davvero notevoli, tanto da farci urlare!

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DOSSIER

IMMAGINI CHE FANNO SPETTACOLO

Quante volte il divertim ento è dato dalle… immagini? Davvero tante! Cinema e fot ografia, ad esempio, sono un mezzo co n cui da un lato raccontiamo storie e diffondiamo informazioni, dall’altro… ci divertiamo! Ecco, nelle prossime pagin e troverai approfondimenti propr io sulla scienza che si nasconde nelle imma gini usate al cinema e nella fotografia.

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IRA! CIAK... SlIciG nema La scienza de

di Sarah Libanore (redazione)

Era il 28 dicembre 1895: a Parigi, i fratelli Auguste e Louis Lumière avevano appena fatto accomodare gli ospiti che avevano pagato il biglietto per assistere al loro spettacolo. Ad un tratto spensero le luci e mostrarono alcuni filmati di pochi secondi: operai che uscivano da una fabbrica, un treno che arrivava in stazione. In quel momento nacque il cinema.

Il primo “film” quindi non raccontava una storia: era fatto solo di brevi riprese, senza suoni, colori o effetti speciali, semplicemente delle immagini in bianco e nero in movimento. Proprio questa era la grande novità: fino a quel momento, non si erano mai viste delle immagini “reali” in grado di muoversi e il pubblico andava al cinema per rimanere stupito dalla nuova invenzione. Sembrava uno spettacolo di magia! Col passare degli anni, le cose sono cambiate: il cinema è diventato un mezzo per raccontare storie e condividere messaggi, coinvolgendo tante persone. Ed è proprio così che noi lo viviamo oggi: andiamo al cinema per provare emozioni guardando un bel film, per riflettere o imparare qualcosa di nuovo. Ma soprattutto, andiamo al cinema per stare in compagnia con i nostri amici e la nostra famiglia!

I fratelli Lumière: a sinistra Auguste e a destra Louis

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DOSSIER

E PRIMA? Due sono gli ingredienti principali del cinema: bisogna registrare delle immagini in movimento e proiettarle per mostrarle al pubblico. Prima di riuscirci è servito molto tempo e le invenzioni di tantissime persone: il nome che si usa per indicare questo lungo percorso è “pre cinema”. • Per registrare le immagini bisogna avere uno strumento che permetta di “stampare” ciò che si osserva su un materiale chiamato “pellicola”: questo è ciò che succede nella fotografia, inventata all’inizio del 1800. Il passaggio successivo è stato capire come registrare il movimento: per farlo, la pellicola deve essere fatta scorrere, in modo da “stampare” le diverse immagini una di seguito all’altra. • Proiettare un’immagine significa mostrarla in una posizione diversa da quella in cui si trova, utilizzando la luce. Il primo strumento in grado di farlo è stata la camera oscura, una scatola con un piccolo foro da cui può entrare la luce.

Immagini che fanno spettacolo

Ecco il disegno di una camera oscura! Se il foro è rivolto verso una candela, sulla parete opposta della scatola si vede la candela stessa, capovolta.

I fratelli Lumière inventarono uno strumento, chiamato “cinematografo”, in grado sia di registrare le immagini, sia di proiettarle, ingrandendole. Ebbero poi un’altra idea: organizzare degli eventi a pagamento in cui mostrare al pubblico le loro proiezioni. È per questo che sono considerati i padri del cinema: oltre a inventare lo strumento giusto, lo hanno anche utilizzato per coinvolgere tante persone e per dare il via ad una vera e propria industria dell’intrattenimento.

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Il manifesto del cinema Lumière del 1895. “Cinématographe” è una parola fracese che significa “cinematografo”.

Puoi scoprire di più sulla fotografia a pagina 36. 25


ROBOT IN AZIONE Effetti speciali di ogni tipo, scenografie sempre più spettacolari e realistiche: negli anni, le tecnologie utilizzate per realizzare i film hanno fatto grandi passi in avanti. Un grosso contributo lo stanno dando i robot, impiegati in modi diversi, alcuni dei quali inimmaginabili!

ROBOT CHE MUOVONO TELECAMERE, OGGETTI E ATTORI Nel film Gravity, i protagonisti fluttuano nello spazio investiti da detriti che si muovono ad alta velocità. Come è stato possibile realizzare queste scene in modo così realistico? Ecco l’idea: si fanno muovere telecamere, luci e attori utilizzando dei bracci robotici, per ottenere una precisione e velocità dei movimenti impensabile per un essere umano. Ma c’è un aspetto che non va trascurato: la sicurezza! Questi bracci robotici, utilizzati di solito nelle fabbriche, non sono pensati per lavorare assieme agli esseri umani. Per questo motivo è stato necessario pensare a dei sistemi di sicurezza aggiuntivi per evitare incidenti.

di Martina Tardivo (redazione)

ROBOT CHE SCOLPISCONO SCENOGRAFIE Molti degli oggetti che servono per le scenografie di un film devono essere realizzati replicando quanto più possibile quelli esistenti oppure l’idea dell’autore. Per ridurre i tempi e i costi di realizzazione anche in questo caso si utilizzano i robot. Un caso molto interessante è quello degli oggetti realizzati dell’azienda inglese Robocarv. Seguendo le indicazioni fornite dal computer, un braccio meccanico scolpisce un blocco di polistirolo. Una volta terminato l’oggetto, per renderlo resistente durante le riprese, lo si ricopre con una resina speciale. C’è un altro aspetto interessante: il riciclo del materiale. Terminate le riprese, una volta eliminato lo strato protettivo di resina, il polistirolo viene pressato. In questo modo si realizzano dei nuovi blocchi, pronti per essere utilizzati per creare l’oggetto successivo. L’oggetto più grande creato dalla Robocarv è un leone alto 15 metri, per la versione cinematografica del musical Cats.

Un esempio di bracci robotici che muovono le telecamere per le riprese durante un film

Un braccio robotico simile a quello che si usa per le sculture

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DOSSIER Immagini che fanno spettacolo

ROBOT ACROBATICI, LE CONTROFIGURE DEL FUTURO Si chiamano “stuntronic”, un’invenzione della Walt Disney Imagineering, e non sono dei semplici robot, bensì robot acrobatici! Questi robot controllano molto bene i percorsi e i movimenti che fanno e così riescono a compiere qualsiasi tipo di acrobazia in aria, atterrando in modo molto preciso nel punto previsto. Il primo stuntronic è stato utilizzato nell’estate del 2021 per uno spettacolo acrobatico all’interno del parco Disney California Adventure, ma la tecnologia è così interessante che presto potrebbe trovare applicazione anche nel cinema. Questi robot potrebbero infatti sostituire le controfigure nelle riprese più pericolose. Per scoprire di che cosa si tratta puoi guardare il video a questo link: https://la.disneyresearch.com/stuntronics/

Sullo sfondo: per fare riprese particolari dall’alto, da punti che non si possono raggiungere facilmente, adesso vengono molto usarti anche i droni, apparecchi volanti che vengono comandati da computer o con telecomandi da terra e che possono trasportare oggetti come anche macchine da presa.

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ESPERIMENTO

Difficoltà:

IL TAUMATROPIO Ecco un piccolo esperimento per“ingannare”il tuo cervello!

di Sarah Libanore (redazione)

COSA SERVE: • • • • • • •

Due fogli bianchi Colori Matita e gomma Una tazza o un bicchiere Un bastoncino o uno stuzzicadenti lungo Nastro adesivo Colla

COME SI FA

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Aiutandoti con la tazza, disegna due cerchi, uno su ogni foglio. Pensa a un disegno fatto di due parti che si completano: ad esempio, un razzo e il fumo che produce al momento della partenza. In uno dei cerchi, disegna la prima parte del disegno, ad esempio il razzo. Ripassa bene i bordi, in modo che siano scuri e si vedano bene.

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Appoggia il foglio sul vetro di una finestra e mettici sopra l’altro foglio, sovrapponendo i due cerchi. In questo modo vedrai in controluce il disegno che hai fatto prima. Ricalcalo, lasciando il tratto della matita molto leggero: ti servirà come traccia per fare il secondo disegno nella posizione corretta.

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4.

Nel secondo cerchio, realizza l’altra parte del disegno, ad esempio il fumo. Cancella da questo cerchio la traccia del primo disegno (nel nostro caso il razzo) e poi colora i disegni nei due cerchi.

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Ritaglia i due cerchi e con il nastro adesivo attacca il bastoncino su uno dei cerchi. Con la colla, attacca poi i due cerchi tra loro. Prendi il bastoncino tra le mani e fallo girare velocemente. Guarda cosa succede ai due cerchi: sembra che i disegni si vedano insieme! Nel nostro caso, quando guardiamo un cerchio da solo, il razzo è fermo. Ma se muoviamo il bastoncino… sembra decollare!

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Quello che hai realizzato è uno strumento che si chiama “taumatropio”. È un gioco inventato nel 1800, prima che nascesse il cinema, in quel periodo chiamato “pre-cinema”. Ecco qualche idea per altri disegni che puoi realizzare per il tuo taumatropio: • Un mazzo di fiori e un vaso • La rete di un campo da calcio e il portiere che para un gol • Il cielo e i fuochi artificiali • …dai spazio alla tua fantasia!

COS’È SUCCESSO?

Al nostro cervello piace “riempire gli spazi vuoti”. Questa illusione ottica si chiama “persistenza Quando guardiamo due immagini che cambiano dell’immagine” e su di essa si basano anche i film e i velocemente una dopo l’altra, invece di farcele vedere cartoni animati, come puoi leggere nel nostro dossier. singolarmente il nostro cervello le unisce, così a noi sembrano un’unica immagine: invece di vedere il razzo fermo e il fumo da solo, vediamo il razzo che produce fumo alla partenza!

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LA FOTOGRAFIA

di Agnese Sonato (redazione)

C’è qualcosa che da sempre, da quando è nata, viene usata per fissare quello che si vede o che succede grazie a delle immagini: è la fotografia. La fotografia, però, è anche stata usata per divertire e per fare qualcosa di… bello, che ci piace. Ed è così ancora oggi. Ecco qui alcune curiosità del passato e del presente che ci mostrano proprio questo.

DUE PROTAGONISTE: LA LUCE E LA CHIMICA La parola “fotografia” deriva dalla lingua greca e significa “scrivere con la luce”. Possiamo infatti scattare le fotografie grazie alla luce che viene riflessa dagli oggetti e si va poi a fissare su un supporto. Il tipo di supporto è cambiato molto nel corso della storia. Fino alla fine del 1900, l’immagine fotografata veniva fissata sui rullini fotografici, cioè su delle pellicole fatte di materiali particolari che cambiavano le loro proprietà quando venivano colpiti dalla luce. Questi materiali si chiamano “materiali fotosensibili” e sono stati la svolta nella nascita della fotografia. I materiali fotosensibili sono basati sull’argento e questo era stato scoperto già all’inizio del 1800. Ma è stato il fotografo e ricercatore francese Joseph-Nicéphore Niepce a scoprire che una lastra di rame argentato con sopra uno strato di bitume (il bitume di Giudea) poteva essere usata per fissare la luce proveniente dagli oggetti. Ma per vedere il risultato finale, la lastra andava immersa in un liquido che conteneva essenza di lavanda: così era possibile ottenere l’immagine desiderata. Serviva però tantissimo tempo per ottenere quest’immagine: circa otto ore (un po’ troppo).

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La prima fotografia della storia realizzata da Niepce nel 1826: il palazzo che lui stesso vedeva di fronte al suo studio


Louis Daguerre, che lavorava con Niepce, cercò di perfezionare il processo che Niepce aveva inventato e trovò una soluzione più rapida ed efficace: usare come materiale fotosensibile una lastra di bronzo ricoperta di argento che, dopo essere stata esposta alla luce, subiva un altro processo chiamato “sviluppo”, in cui veniva esposta a vapori di mercurio e alla fine emergeva l’immagine voluta. Il processo di Daguerre ebbe grande successo ed è stato utilizzato per moltissimi anni, migliorando sempre di più dettagli e passaggi.

DOSSIER Immagini che fanno spettacolo

Joseph-Nicéphore Niepce

Louis Daguerre

FOTOGRAFIE IN BIANCO E... BLU Ma se invece dell’argento viene usato… il ferro? Qualcuno nella storia ci ha provato ottenendo risultati davvero sorprendenti! L’astronomo inglese John Herschel, nel 1842, inventò un processo che utilizzava materiali fotosensibili a base di ferro: i materiali si modificavano quando esposti alla luce solare ed erano in grado, quindi, di fissare l’immagine degli oggetti da fotografare. Il risultato però era ben diverso da quello delle fotografie su lastre a base di argento: lo sfondo era tutto blu e l’immagine dell’oggetto era bianca. Il nome del processo di Herschel è “cianotipia”, che contiene una parola che significa “blu”. Questo processo fu usato dalla botanica e fotografa inglese Anna Atkins per realizzare le immagini di alghe marine.

Ecco alcuni esempi di cianotipi di Anna Atkins

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QUANDO LA SCIENZA AIUTA IL SUONO Di Marco Olivieri (ingegnere acustico) e Sarah Libanore (redazione)

Ti è mai capitato di “sentire male” durante uno spettacolo di teatro? Probabilmente era colpa della stanza in cui ti trovavi. Il suono infatti “rimbalza” su pareti e oggetti, creando un effetto chiamato “riverbero”. Questo impedisce di distinguere chiaramente la fine di un suono dall’inizio del successivo e modifica l’acustica, cioè il modo in cui sentiamo. Il riverbero dipende dalla forma e dalla dimensione della stanza: in quelle più grandi ce n’è di più. I materiali sulle pareti e l’arredamento, invece, possono diminuire il riverbero perché assorbono i suoni.

Ecco alcuni ambienti in cui la quantità di riverbero crea un’acustica diversa! LA CHIESA È un ambiente grande, con un soffitto molto alto, dove il suono rimbalza in tutte le direzioni. Il riverbero è quindi tantissimo e spesso, soprattutto nelle chiese più antiche, non si riesce a capire bene quello che viene detto. Le chiese sono state costruite così per creare un effetto di mistero e suggestione. L’interno della Basilica di San Pietro di Città del Vaticano, a Roma

IL TEATRO

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Qui il riverbero serve, ma deve essere controllato! Nel caso di un concerto di musica classica, ad esempio, avvolge il pubblico in modo suggestivo. Durante una recita, invece, è importante distinguere bene le parole, quindi il riverbero deve essere poco. Ci sono tantissimi trucchi per diminuirlo, ad esempio usando le tende, i tappeti e i rivestimenti delle sedie. Al contrario, le persone e il loro abbigliamento possono cambiare il riverbero in modo incontrollato: per questo, nei teatri viene spesso chiesto di lasciare i giubbotti all’esterno.

Il teatro La Scala di Milano


L’AULA In questo ambiente tutte le parole si devono sentire in modo chiaro ed è importante che la voce dell’insegnante vada nella direzione degli alunni. La parete alle sue spalle, quindi, deve far rimbalzare il suono, mentre la parete dietro agli alunni lo deve assorbire. Il soffitto può farlo rimbalzare in modo indesiderato. Per migliorare l’acustica dell’aula, quindi, si possono mettere i giubbotti sul fondo della classe o appendere delle decorazioni al soffitto.

LA CAMERA ANECOICA È possibile avere una stanza senza riverbero? Sì. Queste stanze si chiamano “camere anecoiche” e le loro pareti sono rivestite di spugne dalla forma triangolare che assorbono i suoni. Sono così silenziose che si può sentire il rumore del sangue che scorre nelle proprie vene. Nelle camere anecoiche si riescono a fare delle misurazioni molto precise. Chi le utilizza, però, può starci solo per brevi periodi: dopo quindici minuti, infatti, si inizia a perdere l’equilibrio!

Ecco un esempio delle spugne usate per le pareti della camera anecoica viste da vicino.

L’INGEGNERE ACUSTICO

Per progettare l’acustica di una stanza, la persona giusta da chiamare è l’ingegnere acustico. Si tratta di un esperto del suono che sa analizzare come questo inte ragisce con l’ambiente. Spesso collabora con gli architetti per progettare teatri, cinema e uffi ci, oppure con gli ingegneri informatici e ele ttronici per progettare microfoni e dispositivi sonori.

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INTERVISTA a Federico Benuzzi

IL FISICO GIOCOLIERE

di Agnese Sonato (redazione)

Si può dedicare la vita alla fisica e anche alla giocoleria? La risposta è... sì! E infatti è proprio quello che fa Federico Benuzzi, insegnante di fisica e giocoliere che gira l’Italia con le sue conferenze e spettacoli dove racconta la fisica attraverso l’arte della giocoleria. L’abbiamo intervistato per scoprire qualcosa in più sul suo lavoro e su quello che con il suo lavoro vuole raccontare. Federico, tu sei un fisico e anche un giocoliere. Da dove nascono queste tue passioni?

Posso dire che sono un fisico da quando sono bambino. Sono sempre stato molto curioso, mi sono sempre fatto tantissime domande, mi chiedevo sempre il perché delle cose. E poi nel corso degli anni ho capito che la fisica poteva aiutarmi a trovare le risposte a molte delle domande che mi facevo. Invece la passione per la giocoleria è arrivata molto dopo, mentre stavo studiando fisica all’università. È nata un po’ per caso e a dirla tutta è nata da una sfida tra me e mio fratello: ci sfidavamo per vedere chi dei due fosse più abile in alcuni esercizi di giocoleria. E così tutto è iniziato. Da lì mi sono appassionato alla giocoleria e allenandomi molto sono diventato giocoliere. E poi, quando stavo studiando per diventare insegnante di fisica, ho scoperto quanto quelle mie due passioni, la fisica e la giocoleria, fossero legate tra loro e quanto servissero l’una all’altra.

Ecco, ma secondo te che cosa dà la fisica alla giocoleria?

La fisica dà consapevolezza, cioè aiuta a capire come mai alcuni esercizi di giocoleria funzionano o meno in un certo modo. Si può essere giocolieri anche senza essere fisici, ma conoscendo come funziona la rotazione degli oggetti, come si controlla l’equilibrio e molto altro, si riesce a capire il “trucco”, il perché un certo esercizio di giocoleria riesca e, conoscendo a fondo quello che si sta facendo, si riesce anche a cambiarlo . Ad esempio per andare sul monociclo bisogna riuscire a stare in quello che chiamiamo “equilibrio instabile”: quando ci si sposta un po’ dal punto di partenza bisogna essere in grado di tornarci, perché solo così si riuscirà a stare in equilibrio.

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Federico Benuzzi


Ecco, studiando fisica si capisce subito una cosa: per partire non bisogna appoggiare il piede sul pedale più alto come si farebbe per darsi lo slancio nella partenza in bicicletta. Il piede va messo sul pedale più basso. Questo lo si capisce provando e riprovando, allenandosi tanto, ma è anche un problema che si impara a risolvere studiando fisica. In ogni caso non serve studiare fisica per fare i giocolieri, ma di sicuro, conoscendo la fisica, si ha più consapevolezza di quello che poi si fa nella giocoleria.

Abbiamo capito perché la fisica è importante nella giocoleria, ma... perché la giocoleria è importante nella fisica? C’è anche quest’aspetto?

Certo! Di sicuro la giocoleria mostra tantissimi strumenti che possono essere usati per spiegare alcuni argomenti di fisica. E poi la giocoleria regala divertimento e fa capire quanto è importante essere costanti e allenarsi, sbagliando e riprovando. Studiare e provare è qualcosa di fondamentale che si fa con la giocoleria e anche con la scienza.

Un’ultima domanda: qual è il tuo “trucco da giocoliere” preferito e perché?

Lanciare cinque palline in aria e contemporaneamente fare una piroetta. Si chiama “5up-pirouette”, è difficilissimo e per riuscire a farlo serve molta abilità ma possono aiutare anche la fisica e la matematica, per calcolare, ad esempio, il tempo che una pallina passa in aria o che impiega a tornare giù.

Per conoscere meglio Federico, ecco il suo sito: www.federicobenuzzi.com. È da poco uscito anche un suo nuovo libro: Lo spettacolo della fisica (Edizioni Dedalo, 2021).

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Nel prossimo numero...

LA SCIENZA DELLA MISURA Giugno-Settembre 2022 - n. 26

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