Plane
il limone di rocca imperiale
Realizzato con il contributo della Regione Calabria Misura 4.8 - P.O.R. CALABRIA 2000/2006
UNIONE EUROPEA
ISBN 978-88-88637-55-6
REGIONE CALABRIA Assessorato all’Agricoltura
il limone di
COMUNE DI ROCCA IMPERIALE
copia omaggio
rocca imperiale Patrimonio dell’agrumicoltura calabrese
Il Limone di Rocca Imperiale Patrimonio dell’agrumicoltura calabrese
Realizzato con il contributo della Regione Calabria Misura 4.8 - P.O.R. CALABRIA 2000/2006
UNIONE EUROPEA
REGIONE CALABRIA Assessorato all’Agricoltura
COMUNE DI ROCCA IMPERIALE
© 2008 Ed. Librare Via Gran Sasso, 74 - 87055 San Giovanni in Fiore (cs) e-mail: info@librare.it ISBN 978-88-88637-55-6 Consorzio di Tutela e Valorizzazione del Limone di Rocca Imperiale Via Castello Aragona - 87074 Rocca Imperiale (cs) Tel. e Fax 0981 936405 - Cell. 329 4268041 e-mail: consorziolimone@libero.it - www.lorodifederico.it Direttore tecnico: Luigi Oliverio - Plane Coordinamento editoriale: Luigi Cipparrone Simona Pescatore - Plane Copertina: Gabriele Morelli - Plane Progetto grafico e impaginazione: Massimo Barberio - Plane Fotografie pp. 6, 8, 10, 26, 30, 32 (figg. 4-5), 36, 38, 40, 41, 42, 43, 46, 47, 48, 50, 52, 53, 54, 57, 59, 61, 63, 65, 67, 69, 71, 73, 75, 77, 79, 81, 83: Emilio Arnone e Domenico Olivito - Plane Composizione piatti: Emilio Vaccai - Delegato Nazionale Federazione Italiana Cuochi Si ringrazia il Prof. Louis Godart, Consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico della Presidenza della Repubblica Italiana, per la gentile collaborazione. Le peculiarità del “limone di Rocca Imperiale” di Vittorio Pignataro è depositato sotto licenza Creative Commons BY-NC-SA 3.0 Unported
Per i contenuti pubblicati, l’editore declina ogni responsabilità che è solo dei singoli autori.
“Co’ fiori eterni eterno il frutto dura, e mentre spunta l’un, l’altro matura.”
Torquato Tasso
Sommario Presentazione | di On. Prof. Mario Pirillo Assessore all’Agricoltura Regione Calabria
7
Prefazione | di Dr. Gaetano Di Leo Presidente del Consorzio
9
Dall’Oriente al Mediterraneo: La “Via del limone” | di Luciana De Rose
11
Introduzione
11
Il giardino d’inverno cinese
13
I giardini pensili di Babilonia
14
Il giardino delle Esperidi
18
Conclusioni
25
Notizie storiche relative al “limone di Rocca Imperiale” | di Vincenzo Manfredi
27
Riferimenti storici
27
Le peculiarità del “limone di Rocca Imperiale” | di Vittorio Pignataro
31
Introduzione
31
L’ambiente e le cultivar
31
I caratteri morfologici dei frutti
32
Le componenti chimiche
34
Conclusioni
35
Il limone e i suoi derivati industriali | di Gabriella Lo Feudo
39
Introduzione
39
Cenni di botanica
39
Il succo: composizione e sue caratteristiche
42
L’olio essenziale del limone
44
Cenni sui canditi
45
Le qualità salutari del limone | a cura del Consorzio di Tutela e Valorizzazione del Limone di Rocca Imperiale
47
Generalità
47
Proprietà curative e principi attivi
48
Impieghi fitoterapici
50
Cure per il corpo
51
Usi domestici
52
In cucina
53
Ricette al “limone di Rocca Imperiale”
55
Cestini di gamberetti
56
Rotolini di prosciutto
58
Spaghetti al limone
60
Risotto al limone
62
Spigola su letto di limoni
64
Bocconcini di merluzzo
66
Sorbetto al limone
68
Caramelle di filetto di manzo
70
Carpaccio di manzo
72
Cannoli di ricotta e limone
74
Margherita di frutta in gelatina di limone
76
Torta al limone
78
Ciambella al limone Banane al limone
| di Maria Sturino
| di Giulia Alfano
Attorno ai limoni nell’arte italiana e alcune osservazioni sulla simbologia | di Giorgio Leone Bibliografia
80 82 85 106
Presentazione È con grande soddisfazione di tutto l’assessorato regionale all’agricoltura e mio personale che siamo giunti alla fine di un percorso iniziato qualche anno fa insieme al Consorzio di Tutela e Valorizzazione del Limone di Rocca Imperiale, per far conoscere e tutelare il “limone di Rocca Imperiale”, prodotto tipico della nostra regione. Un triennio pieno di ostacoli e difficoltà che non ci hanno scoraggiato. Anzi, hanno rafforzato in noi il convincimento che solo attraverso lo stare insieme tutte le istituzioni che governano il nostro territorio, Consorzio di produttori, Comune di Rocca Imperiale, Regione Calabria, si poteva ottenere questo risultato che vede ancora una volta l’arco jonico cosentino protagonista per le eccellenze regionali in materia di produzioni di qualità. Dopo le clemetine, ormai da tempo certificate IGP, anche il limone di Rocca Imperiale si appresta ad essere annoverato tra i prodotti IGP della nostra regione. Accanto alla tutela di un prodotto di altissima qualità come il limone, vi è poi anche l’attività di valorizzazione, non
solo in chiave commerciale, ma anche culturale. Leggendo questo testo è facile capire come, attorno alla valorizzazione di un prodotto agricolo, ruota un intero mondo: dalla cultura alla gastronomia, alla medicina, all’arte, sino ad arrivare alla identificazione di un popolo che affonda le sue radici nella cultura contadina, che oggi ottiene un meritato riscatto. Sempre più gente va alla ricerca di posti, luoghi e prodotti che possono raccontare, attraverso la loro storia, quella di una regione come la Calabria che ormai si proietta in un contesto nuovo. Agricoltura di qualità e prodotti di eccellenza sono il biglietto da visita della nostra regione nel mondo. Sono certo che questo nuovo modo di fare, iniziato a Rocca Imperiale, attorno al Consorzio di Tutela e Valorizzazione del Limone, diventerà il modus operandi da seguire per ogni altro contesto in cui insistono altre eccellenze da valorizzare e che, come il limone di Rocca Imperiale, potranno contribuire allo sviluppo della nostra regione.
On. Mario Pirillo Assessore all’Agricoltura Regione Calabria
Prefazione Rocca Imperiale, oltre alla singolarità dell’abitato interamente digradante ai piedi dell’imponente Castello Federiciano che la rende unica nel panorama dell’Alto Jonio Calabrese, presenta altre particolarità. La protezione delle colline a nord-ovest e l’azione mitigatrice del mare a sud-est favoriscono un particolare microclima difficilmente riproducibile in altre zone e particolarmente adatto alla coltivazione di primizie in ambito ortofrutticolo. Non è un caso che l’agricoltura rappresenti tuttora la forma di economia più avanzata del paese e che i prodotti di Rocca Imperiale siano noti e richiesti in tutto il territorio nazionale ed anche all’estero; basti ricordare l’uva da tavola, o le albicocche, o le fragole o – per venire all’oggetto di questa pubblicazione – il limone. La coltivazione del limone è stata una costante per il nostro paese, e non solo non ha conosciuto periodi di declino (come è avvenuto per altri tipi di agrumi), ma al contrario si è affermata come la vera produzione di eccellenza del nostro territorio. All’interno di questo volume si potranno acquisire informazioni sulle caratteristiche morfologiche, chimiche e organolettiche che differenziano il nostro limone da quello – pur ottimo – prodotto altrove, per l’intensità del profumo e la ricchezza di sostanze essenziali quali il limonene ed altre. Ma qui interessa solo sottolineare come il riuscire a produrre un frutto di tale eccellenza ha indotto i coltivatori a cercare le forme migliori e più efficaci per valorizzare il loro prodotto: innanzitutto riunendosi in un Consorzio il cui scopo era e rimane quello di tutelare, in forma associata, il “limone di Rocca Imperiale” con l’imposizione di un marchio e di un disciplinare di produzione; avviando l’iter previsto per il riconoscimento dell’IGP con l’intento di favorirne la commercializzazione. Così il limone di Rocca Imperiale, già inserito nell’elenco
delle produzioni tipiche della Regione Calabria, si appresta ad essere annoverato fra i prodotti ad Indicazione Geografica Protetta riconosciuti dall’Unione Europea. La nascita del Consorzio, avvenuta nel 2001, è andata peraltro ben oltre la pur indispensabile necessità di tutelare e valorizzare un prodotto eccellente, e ha voluto rispondere ad un bisogno – quello dell’aggregazione fra produttori – forse ancora non avvertito con piena coscienza da tutti, ma certamente intuito da alcuni come indispensabile modo di essere e di competere in un mondo globalizzato che si fa sempre più piccolo ed esigente. Una specie di scommessa verso il futuro, o - per dirla in altro modo - una piccola rivoluzione culturale in un mondo agricolo come il nostro ancora troppe volte chiuso in individualismi ormai decisamente antistorici. L’essere riusciti ad andare avanti ottenendo riconoscimenti tanto in ambito regionale che nazionale ci sprona a pensare che forse questa scommessa la stiamo vincendo. E di questo siamo davvero fieri. Certo, non siamo stati lasciati soli. L’aiuto fondamentale offertoci dall’Amministrazione Comunale, dalla Regione Calabria con i suoi Funzionari, il costante impegno personale dell’Assessore all’Agricoltura On. Mario Pirillo, la fattiva collaborazione dei tecnici dell’ARSSA, gli studi scientifici messici a disposizione dall’Università della Calabria: l’insieme di queste sinergie ci ha permesso di presentare questo volume, oltre a uno studio sulle proprietà organolettiche del nostro limone, ricerche ed analisi di mercato, il già citato disciplinare di produzione e la realizzazione del marchio consortile. Tutto ciò ci fa sentire alle soglie del traguardo che ci eravamo prefissati. Un grazie a tutti. Dr. Gaetano Di Leo Presidente del Consorzio
Dall’Oriente al Mediterraneo: La “Via del limone” |
di Luciana De Rose
Introduzione Ripercorrere a ritroso il cammino di una pianta non è compito facile, soprattutto per chi si occupa di storia, piuttosto che di botanica. Gli stessi botanici, a volte, giungono a incerta conclusione nello stabilire con esattezza il territorio di origine, in quanto gli agenti responsabili del trasporto e della diffusione dei semi sono numerosi e presentano alcuni problemi. L’intero processo di impollinazione sappiamo avvenire in diverse modalità e con l’aiuto di fattori esterni, animali, soprattutto insetti e uccelli, elementi naturali quali l’acqua o il vento; è evidente che le condizioni climatiche siano anche imprescindibili per l’attecchimento e la resistenza di una data pianta. Il trasferimento di un seme, facilmente trasportabile, ha fatto sì che un ulteriore elemento entrasse in gioco per la distribuzione degli agrumi, in tutte le regioni temperate della terra: l’uomo, nella sua veste di marinaio, mercante o soldato. I semi degli agrumi, in particolare, in varie zone dell’Oriente (Indocina e Malaysia) o dell’America Latina (Uruguay e Paraguay) sono stati trasportati dai pappagalli e altre specie ornitologiche, che li hanno sparsi su ampie aree; in Africa meridionale, gli alberi di limone devono la loro esistenza ai babbuini che hanno funto da vettore; mentre in Florida e Uruguay, intere foreste di aranci sono nate grazie ai frutti trascinati dalle acque dei fiumi. Attualmente il Mediterraneo è la patria degli agrumi, il giardino inimmaginabile privo dell’oro e dell’arancio di mandarini, limoni, cedri, arance. Eppure, in passato, il panorama agrario era molto diverso da quello odierno. Il cambiamento, la rottura più incisiva si ebbe con la scoperta dell’America nel 1492, evento destinato a mutare il paesaggio naturale del bacino Mediterraneo. A questo proposito, una bellissima pagina di Lucien Febre, citata da Fernand Braudel, offre una esemplare sintesi: «Il Mediterraneo è un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia: bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere. E anche le piante. Le credete mediterranee. Ebbene, a eccezione dell’ulivo, della vite e del grano – autoctoni di precocissimo insediamento – sono quasi tutte nate lontano dal mare. Se Erodoto, il padre della storia, vissuto nel V secolo a.C., tornasse e si me-
11
1 Da F. BRAUDEL, Il Mediterraneo, Bompiani, Milano 1998, pp. 8-9.
scolasse ai turisti di oggi, andrebbe incontro a una sorpresa dopo l’altra. “Lo immagino”, ha scritto Lucien Febre, “rifare oggi il suo periplo del Mediterraneo orientale. Quanti motivi di stupore! Quei frutti d’oro tra le foglie verde scuro di certi arbusti – arance, limoni, mandarini – non ricorda di averli mai visti nella sua vita. Sfido! Vengono dall’Estremo Oriente, sono stati introdotti dagli arabi. Quelle piante bizzarre dalla sagoma insolita, pungenti, dallo stelo fiorito, dai nomi astrusi – agavi, aloe, fichi d’India –, anche queste in vita sua non le ha mai viste. Sfido! Vengono dall’America. Quei grandi alberi dal pallido fogliame che portano un nome greco, eucalipto: giammai gli è capitato di vederne di simili. Sfido! Vengono dall’Australia. E i cipressi, a loro volta, sono persiani. Questo per quanto concerne lo scenario. Ma quante sorprese, ancora, al momento del pasto: il pomodoro, peruviano; la melanzana, indiana; il peperoncino, originario della Guyana; il mais, messicano; il riso, dono degli arabi; per non parlare del fagiolo, della patata, del pesco, montanaro cinese divenuto iraniano, o del tabacco” (Lucien Febre, in “Annales”, XII, 29)»1. Riguardo al limone l’affermazione di Lucien Febre non è del tutto esatta. Molto probabilmente la pianta era nota prima dell’introduzione araba. Gli Arabi sicuramente aprirono le porte a una coltivazione estensiva degli agrumi, infatti solo a quell’epoca si assisté al mutamento di scenario nel mare nostrum, però sussistono testimonianze della presenza di limoni e di alberi di limoni antecedenti a quella data.
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Il giardino d’inverno cinese Il lungo percorso del limone è iniziato in una zona, molto estesa, compresa fra l’area montana della Cina meridionale e il Pakistan. Uno dei primi passi verso occidente fu il passaggio verso la Mesopotamia, avvenuto per il tramite della valle dell’Indo. Dalla Mesopotamia l’albero si mosse verso la Media e la Palestina, e da queste giunse in Egitto. Dalla terra del Nilo al Mediterraneo il tragitto è molto breve, e presto il limone fu conosciuto anche in Grecia e a Roma. Questo itinerario è stato rintracciato sulla base di diverse componenti, combinate tra loro: in prima istanza, le condizioni climatiche, indispensabili per lo sviluppo degli agrumi, hanno concentrato le aree relative alla fascia temperata del mondo; in secondo luogo, hanno costituito un indizio prezioso la presenza di varietà selvatiche e di parassiti tipici degli agrumi. Procedendo con la comparazione di questi fattori e in virtù dalle più antiche testimonianze scritte è stato possibile rintracciare nella zona montana della Cina del sud e nelle vallate del nord-est dell’India i primi frutteti in cui fiorirono i limoni. Non a caso è la letteratura cinese che, per prima, ha menzionato gli agrumi. La prima volta che appaiono citati gli agrumi (arance e pompelmo) avviene nell’annalistica cinese, nella raccolta di testi considerati più antichi, quelli dello Shih Ching, ovvero il Libro dei Documenti o Libro della Storia, a volte chiamato anche Shang shu. In realtà i reperti archeologici forniscono seri dubbi sulla effettiva attendibilità storica dello Shih Ching, che peraltro offre, di contro, l’unico ritratto della storia della Cina antica e arcaica. Gli scritti servono soprattutto a capire quali fossero le concezioni etiche, sociali e religiose del tempo, nascoste dietro il velo delle vicende allegoriche. Come spesso avviene nelle antiche civiltà, ogni processo di trasformazione o innovazione è mascherato da un alone leggendario. Un altro problema in cui si incorre, nell’affrontare le prime opere di lingua cinese, è quello dovuto all’interpretazione, in quanto i primi sinologi commisero degli errori di traduzione. Uhlig, insigne studioso tedesco, ad esempio, ha rilevato l’errata traslazione del segno ti, che traduce come “sommo dio”, al posto di “imperatore”. Questa inesattezza implicò che alcune divinità furono considerate come primi cinque imperatori, e gli avvenimenti relativi, seppur circondati dall’aura mitologica, vennero accreditati come veritieri nella storiografia cinese2. Nello Shih Ching sono elencate vere liste di piante, le quali assumono attendibilità storica, sia perché non trattandosi di notizie storiche si può ritenere non sia stato necessario ricorrere a mitologia o leggende, sia per il conforto delle testimonianze archeologiche. Un ciondolo in steatite bruciata, risalente al 2500 a.C., raffigurante una foglia di limone, emerso dal sito archeologico di Harappa, in Pakistan, è un’attestazione indiscutibile della presenza di questa pianta nella regione, già nel III millennio a.C.
Cfr. H. UHLIG, La via della seta, Garzanti, Milano 1991, p. 13.
2
13
I giardini pensili di Babilonia 3 Cfr. J. INNES MILLER, The spice trade of the Roman Empire, 29 B.C. to A.D. 641, Oxford Clarendon Pr., Oxford 1969, Roma e la via delle spezie, dal 29 a.C. al 641 d.C., trad. it. Einaudi, Torino 1974, p. 120; M. G. ANGELI BERTINELLI, Roma e l’Oriente. Strategia, economia, società e cultura nelle relazioni politiche fra Roma, la Giudea e l’Iran, Probl. e Ric. di St. Ant. VII, L’Erma di Bretschneider, Roma 1979, p. 83. 4
H. UHLIG, La via della seta, cit., pp. 8-9.
Cfr. la sintesi del percorso meridionale fatta da J. O. THOMSON, The silk routes and ancient geography, Lecture given at the gen. meet. of the Class. Assoc. 1933, in “Proceedings of the classical Association”, XXX, May 1933 (London Murray), pp. 28-30.
5
6 Cfr. R. GROUSSET, La vieille route de l’Inde, in “Journal of the Savants”, 1950, p. 98. 7 Cfr. C. M. SCHWITTER, Bactrian nickel and Chinese bamboo, in “AJA”, LXVI, 1962, pp. 87-92; J. INNES MILLER, Roma e la via…, cit., pp. 125-126.
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Il mondo antico era collegato da strade che percorrevano il continente eurasiatico dall’oceano Atlantico sino alla Cina. Su queste vie si svolgeva il commercio a lunga distanza, svolto soprattutto per via indiretta. I prodotti che viaggiavano lungo le carovaniere erano svariati, e tra questi ebbe grande fortuna la seta, proveniente dalla Cina, al punto che le direttrici di collegamento tra l’impero Romano e l’estremo Oriente furono romanticamente chiamate “Via della Seta” 3. L’espressione “Via della Seta” risale al XIX secolo, quando il geologo e geografo tedesco Ferdinand von Richtofen, la utilizzò nell’introduzione della sua ciclopica opera sulla Cina. Da allora è stata ampiamente utilizzata da tutti gli studiosi che si sono occupati dei collegamenti tra la Cina e il mondo occidentale4. In realtà sarebbe più corretto parlare di “Vie della Seta”, in quanto l’impianto delle carovaniere comprendeva un complesso sistema di rete viaria, sui cui margini furono organizzati caravanserragli, empori e città, che nel passato ebbero grande importanza, testimoniata da vestigia che si possono ammirare ancora ai nostri giorni, soprattutto nei percorsi meridionali5. Esistevano tre grandi fasci di collegamento, dei quali il più antico puntava direttamente a sud, e univa la Cina all’India e all’Asia meridionale, sino a giungere in Egitto, dal quale era facile giungere nel Mediterraneo mediante il mare. Di certo la strada che dalla Cina raggiungeva l’India era nota. Il percorso dalla Cina sino all’India e al golfo del Bengala era una dura via terrestre, con due probabili diramazioni. La pista che univa le due nazioni era molto antica, di certo antecedente alla “Via della Seta” che univa la Cina sino alla Battriana, aperta solo nel I secolo della nostra era6. La via terrestre tra Cina e India era, come detto, familiare da lungo tempo. Gli itinerari battuti dovevano essere essenzialmente due. Il primo partiva da Lanchow e attraversava il Sikkim, oppure partiva dallo Szechwan e passava per l’Assam, il Sikkim, Palimbothra (Patna) e presso le tribù di Basati e Cirradi, come si può desumere dalla avventura di Chang Ch’ien, il quale nel 128 a.C. trovò a Bactra “bambù e stoffa di Szechwan”7. In effetti il periplo percorso dall’esploratore cinese fornisce la più puntuale e completa descrizione della via: la strada doveva correre in direzione sud-ovest partendo appunto dallo Szechwan, utilizzando gli alti e medi tratti del fiume Yangtze Kiang (Fiume Azzurro). A questo punto si incontra l’ostacolo della regione montuosa del Sikang, anch’essa traversabile grazie a depressioni fluviali, quindi
si poteva giungere ai confini settentrionali della Birmania o dell’Assam. Ancora una volta un bacino fluviale consentiva il passaggio, la vallata del Brahmaputra, ma nuovamente si incontrava una barriera montuosa: l’Himalaya8. Superato questo scoglio si terminava il viaggio nel Bengala. Oppure poteva anche darsi che, come aveva detto Tolomeo, questa via continuasse lungo le pendici dell’Himalaya fino al Sikkim per poi proseguire a sud fino al mare, passando per il popoloso mercato di Palimbothra (Patna) lungo la vallata del Gange9. Essa avrebbe anche potuto aprire al commercio il cinnamomo della Cina meridionale e centrale. Proprio attraverso questa via, nel IV sec. d.C., quando andò perduto il controllo della via della Seta, i prodotti occidentali continuarono a giungere a Chang’an (Sian) la più grande città della Serica chiamata da Tolemeo Sera metropolis, e considerata dal geografo come capitale della regione. La capitale dell’epoca, durante la prima dinastia Han, era sorta sul fiume Wei, affluente del Hwang-ho (Fiume Giallo)10. Questa doveva essere la famosa “strada della Birmania”, che presentava difficoltà veramente enormi, in quanto valicava le montagne più alte, guadava fiumi, percorreva terre inospitali, popolate da tribù guerriere e bestie feroci11. La seconda via partiva dallo Yunnan, raggiungeva l’attuale Birmania ed il mare presso Rangoon, in quanto dallo Yunnan era possibile raggiungere solo la Birmania. Questa doveva essere la strada utilizzata dai pellegrini buddisti, che viaggiavano tra la Mongolia e Lhasa, non ancora capitale del Tibet (lo diventerà solo nel VII secolo d.C.). a quell’epoca infatti doveva essere un piccolo emporio commerciale12..
Cfr. J.-M. POINSOTTE, Les Romains et la Chine. Réalités at mytes, in “Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité”, XCI, 1979, pp. 448-449.
8
9 Cfr. M. P. CHARLESWORTH, Trade-routes and commerce in the roman empire, Cambridge University Press, Cambridge 1924, pp. 98, 104-107; trad. it. M. P. CHARLESWORTH, Le vie commerciali dell’Impero Romano, trad. it., Bompiani, Milano 1940, p. 126. 10 Cfr. L. DE ROSE, Il mistero della seta, in Fra Oriente Occidente: fenomeni di immigrazione, interazioni politiche, economiche, culturali in Calabria dall’età antica a quella contemporanea, “Dall’antico al moderno, primo incontro di studio organizzato dal Laboratorio multimediale per le fonti storiche”, in corso di stampa.
Cfr. L. BOULNOIS, La via della seta, trad. it. di F. LITTARDI, Rusconi, Milano 19933, p. 55.
11
12 Non è da escludere che una delle città menzionate da Tolemeo nella Serica, presumibilmente Ottorokorrha, potesse essere sorta sul sito di Lhasa, assurta a capitale del Tibet nel VII sec. d.C., forse proprio perché tappa importante durante l’antichità nel percorso dell’altopiano del Tibet. Per quanto riguarda il percorso dell’altopiano tibetano, passante proprio per Lhasa, agevole grazie all’utilizzo delle arterie fluviali, cfr. L. DE ROSE, Il mistero della seta, cit.; E. H. WARMINGTON, The commerce between the Roman Empire and India, Cambridge University Press, London-New York 19762, p. 189; J. INNES MILLER, Roma e la via…, cit., p. 125. 13
Infine c’era un itinerario aggiunto più di recente, forse soltanto a partire dal I secolo in poi. A differenza delle altre, la via di terra e quella attraverso guadi fluviali, questa era la rotta marina che iniziava dalle coste meridionali della Cina, nella regione della baia di Kwang Chow. Una volta eseguito il periplo della penisola indocinese, traghettando per lo stretto di Malacca, si poteva risalire verso l’interno dalla foce del Gange. Alle “porte del Gange” la merce terminava il viaggio in acqua e proseguiva via terra sino ai noti scali della costa indiana occidentale13. I tratti navigabili dei fiumi erano spesso utilizzati come rapidi vettori di percorso: fiumi come il Kashgar ed il Murghab (affluente dell’Oxus/Āmū-daryā) conducevano oltre il Pamir in direzioni opposte, passando per la stazione di Torre di Pietra; il fiume Azzurro (Yangtze Kiang) forniva una rotta che, provenendo dalla Cina,
L. BOULNOIS, La via della seta, cit., p. 55.
15
14 STRABONE, XI, 2, 17; M. G. ANGELI BERTINELLI, Roma e l’Oriente…, cit., p. 84. Che tra il mar Caspio e il mar Nero si svolgesse una corrente di traffico è un dato assodato. W. W. TARN, The Greeks in Bactria and India, Cambridge University Press, Cambridge 1951, rist. Ares Publishers Inc., Chicago 19853, pp. 488-490, concluse che da lì non passasse la canonica via della seta (dello stesso parere F. GROSSO, Aspetti della politica orientale di Domiziano, I: Albania, Iberia Caucasica e Armenia, in “Epigraphica”, XVII, 1955 [1957], pp. 117-179), ipotesi addotta da M. P. CHARLESWORTH, Le vie commerciali…, cit., pp. 120-122; E. H. WARMINGTON, The commerce between…, cit., pp. 26-30. 15 STRABONE, XVI, 1, 9; J. TOUTAIN, L’economia antica, tr. it. Biblioteca storica dell’antichità VI, Mondadori, Milano 1968, p. 163. 16 Cfr. J. INNES MILLER, Roma e la via…, cit., p. 122.
Cfr. S. TOLKOWSKY, Hesperides: a history of the culture and use of citru fruits, Staples and Staples, Westminster, 1937, e ID., Citrus Fruit, their Origin and History throughout the World, Jérusalem 1966; A. C. ANDREWS, Acclimatization of Citrus Fruit in the Mediterranean Region, in Agricultural History, 35, 1/1961, pp. 35-56, ove si rinvia per la bibliografia.
17
18 Sul ruolo di Ebla cfr. G. PETTINATO, La città sepolta. I misteri di Ebla, Mondadori, Milano 1999; nonché l’opera omnia di P. MATTHIAE, su Ebla: da ultimo Ebla. La città rivelata, Electa-Gallimard, Torino 1989, cui si rinvia per bibliografia precedente dell’Autore. 19 In generale sul Vicino Oriente antico cfr. M. LIVERANI, Antico Oriente, storia, civiltà, economia, Laterza, Roma-Bari 1999.
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continuava utilizzando i canali dell’Assam col Brahmaputra o il Gange fino al Golfo del Bengala, superando in tal modo una serie di regioni ricche di catene montuose, come ad esempio l’Himalaya; l’Indo attraversava il Karakorum, e consentiva l’accesso a Taxila (presso l’odierna Islamabad in Afghanistan) e ai porti dell’India nord-occidentale; il passaggio da Bactra a Gandhara e a Peshawar era facilitato dal Kabul e dall’Hindu Kush14; il Tigri e l’Eufrate, permettendo di navigare presso Babilonia, conducevano verso sud al Golfo Persico e a Nord verso l’Assiria e la Mesopotamia settentrionale, sino ai confini della Siria e della Palestina15; infine l’arteria del Nilo, dall’Africa centrale affluiva sino al Mediterraneo16. È palese come attraverso questi itinerari sia avvenuto il convogliamento e lo spostamento di prodotti, mercanzie, uomini, idee, religioni. È così di volta in volta la via potrebbe essere definita “Via delle spezie”, “Via della Cassia”; “Via dell’induismo” e, perché no, “Via del limone”. È certo che mediante questi vettori i semi degli agrumi, tra cui il limone, guadagnarono la strada verso il Mediterraneo17: da un lato la via di terra, dall’altro la rotta marittima, mediante la quale la prima tappa fu senza dubbio la penisola araba, raggiungibile dall’India. Scavi archeologici, nell’attuale Pakistan, hanno portato alla luce i resti di civiltà preistoriche sorprendentemente avanzate, risalenti a 5000 anni fa, che testimoniano strette relazioni commerciali tra le regioni dell’Indo e quelle della Mesopotamia meridionale, attuale Iraq, a partire dalla fine del IV millennio a.C. Seguendo le rotte sopra citate, il limone è stato scoperto e apprezzato in terra straniera. Gli scambi commerciali prevedevano una raccolta di agrumi quando questi erano ancora acerbi, quindi venduti in Arabia in perfetto stato di maturazione. Durante la tappa in Arabia, la penisola conobbe le virtù del limone, e grazie ai semi, l’agrume fu coltivato in una vasta regione compresa tra il Golfo Persico e i deserti dell’Arabia e della Siria. Parte della “fertile mezzaluna”, la Siria visse la doppia rivoluzione agricola e urbana già nel 9000 a.C. Nel III millennio a.C. era una cellula vitale: numerose tribù, Amorrei, Canaanei, Aramei gravitavano nell’orbe siriana conducendo vita da semi-nomade a sedentaria. Con lo sviluppo delle città stato i traffici e i rapporti commerciali diventarono intensi: Mari, sull’Eufrate fu punto di tramite verso Ur di Sumer; Ebla nella Siria settentrionale, attuale Tell Mardikh, città a vocazione commerciale ebbe contatti con la Cappadocia e la Cilicia18; Ugarit e Gubla (poi nota come Byblos) sulla costa, fungevano da vettore verso le coste del mediterraneo e l’Egitto19.
La società era già cosmopolita, con la propensione al bilinguismo, presente dal III sino al I millennio, che configurerà l’alfabeto fonetico, esportato dalle coste di Canaan nel bacino Mediterraneo. Le città stato della Siria dunque, sin dal 3000 a.C., avevano intensi rapporti commerciali con i popoli della Mesopotamia, con gli Assiri e i Babilonesi, dai quali avevano importato, oltre al resto, anche nozioni mediche e farmaceutiche. Babilonesi e Assiri si distinsero in differenti campi del sapere, noti per le loro conoscenze astronomiche, matematiche, botaniche, magiche, fin dal 2000 a.C. erano anche raffinati medici e farmacisti. Grazie alla traduzione delle tavolette in cuneiforme sono emerse la pratica medica sistematica, le conoscenze di malattie e le proprietà terapeutiche di alcune piante. Tra le piante officinali menzionate in una raccolta di testi medici assiri, incisi su tavolette d’argilla, sovente appare una medicina nominata iltakku, un lemma che potrebbe riferirsi al limone o al cedro. Di questo medicinale si faceva uso sia del succo, da porre sulla lingua, sia dell’olio essenziale estratto dalla buccia, per i piedi. La testimonianza è suffragata dalle fonti paleo-botaniche, infatti semi di agrumi sono stati ritrovati durante gli scavi archeologici nell’antica città babilonese di Nippur. Dopo lunghe indagini, codesti semi dalla forma allungata sono stati identificati come appartenenti al genere citrus, altamente probabile che si trattasse di semi di limone. Non bisogna dimenticare che i Babilonesi furono agricoltori di grande talento, in grado di costruire sofisticati sistemi di canalizzazione delle acque fluviali per irrigare i loro giardini sorti, a terrazze, sulle ziqqurat. Celebri, e annoverati tra le sette meraviglie del mondo antico, erano i giardini pensili di Babilonia, creati nel VI secolo a.C., sotto il re Nabucodonosor. Furono importate piante da tutta l’ecumene, piantate e curate nei giardini a gradoni del palazzo reale.
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Il giardino delle Esperidi 20
APOLLODORO, I miti greci, II, 5.2, 113:
ESIODO, Teogonia, 215-216: 'Εσπερ′ίδας θ’, αἷς μῆλα πέρην κλυτοῦ Ὠκεανοῖο / χρύσεα καλὰ μέλουσι φέροντά τε δένδρεα καρπόν”.
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APOLLODORO, I miti greci, II, 5.2, 113.
23 EURIPIDE, Ippolito, 742 e ss.; Ercole furente, 394 e ss.
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Le maggiori condizioni eco-ambientali per la coltura degli agrumi erano concentrate in Persia, in Media (più o meno l’odierno Iran), in Assiria, nelle regioni meridionali lungo il Golfo Persico, in quelle umide che costeggiano il Mar Caspio. In queste regioni l’albero del limone attecchì. Grazie ai contatti del mondo occidentale con l’Assiria, la Persia e la Media, i popoli del Mediterraneo giunsero, prima dell’espansione araba, alla conoscenza del limone. Due forze contrastanti, con fortune alterne, si sono scontrate a lungo: da un lato l’Oriente e l’impero Persiano, spingeva verso l’Ovest, in lotta per la supremazia sul Mediterraneo orientale. Dall’altro, prima la forza d’urto macedone, e la sua irruenza conquistatrice, che vide il suo acme nel 343 a.C. con le campagne di Alessandro, che travolsero nell’impeto delle conquiste l’impero Persiano. Alla morte di Alessandro Magno, unico ostacolo possibile alla prosecuzione dei trionfi, i suoi eredi proseguirono l’opera con il conseguente processo di ellenizzazione dell’Asia occidentale. Fu, ovviamente, uno “scontro/incontro”, caratterizzato dal vicendevole scambio di tradizioni, usi, cultura, religione. Poi ci fu la potenza romana, la nuova componente dominatrice del Mediterraneo, con ambizioni ecumeniche. Una costante nel periodo dell’Impero Romano furono le campagne intraprese dagli Imperatori contro i Parti, subentrati ai Persiani. I reciproci contatti portarono all’introduzione del limone in ambiente occidentale. La mitologia greca rappresenta una fonte inesauribile di informazioni. Secondo una tradizione molto nota, le Esperidi erano preposte a custodire i preziosi “pomi d’oro”, nel loro giardino. Questi pomi erano frutto di alberi rigogliosi, dono di nozze simbolo di amore e di fecondità, da parte di Gea (la dea terra) in occasione dell’unione tra Era e Zeus. La garanzia di codesti doni andava preservata a qualunque costo e Zeus, temendo un eventuale furto, li pose in un giardino meraviglioso, situato nella terra degli Iperborei, presso Atlante, protetto da un drago dalle cento teste, l’immortale Ladone, figlio di Tifone ed Echidna, e sorvegliato dalle Esperidi20. La mitologia arcaica faceva delle ninfe Esperidi le figlie della Notte, chiamate ninfe del Tramonto, custodi, al di là dell’Oceano, dei frutti d’oro21. Ma le versioni mitologiche sono molte e di volta in volta le ninfe erano figlie di Zeus e Temi, Teti e Oceano, Forco e Ceto, Atlante ed Esperide. Nella versione di Apollodoro le Esperidi erano in quattro: Egle, Eurizia, Esperia e Aretusa22, ma gli autori non sono d’accordo riguardo il numero, il più delle volte sono tre, come le Grazie, Egle, Erizia ed Esperaretusa23, ma talvolta il nome di
quest’ultima è suddiviso e sdoppiato in due Esperidi distinte: Esperia e Aretusa. Il giardino era ubicato o presso gli Iperborei, o nei pressi dell’isola dei Beati, ai confini orientali del mondo, ai piedi del cielo sorretto dal padre Atlante, o ai piedi del monte Atlante, in quel giardino costruito da Zeus, dove cresceva l’albero dai “pomi aurei” ed era custodito il vello d’oro24. Riguardo i pomi molte sono i miti che vi si intrecciano. Un pomo sarebbe stato lanciato da Eris, dea della discordia, il giorno del matrimonio di Zeus, per non essere stata invitata. Questo pomo, giunto nelle mani di Paride, figlio del re troiano Priamo, sarebbe stato donato alla dea più bella. La contesa, che vide in campo Era/Giunone, Atena/Minerva e Afrodite/Venere, fu vinta da quest’ultima e il pomo d’oro nelle sue mani costò la vita ai più valorosi eroi greci e troiani, immortalati nell’Iliade25. Eracle, l’Ercole dei Romani, per volere di Euristeo, nella sua XI fatica ebbe come compito quello di impossessarsi dei preziosi pomi. Il mito, nella versione di Apollodoro, racconta che Eracle, su suggerimento di Ares, giocò un tranello al padre delle Esperidi, offrendosi al suo posto a reggere il cielo e invitando Atlante a rubare i pomi. Una volta compiuto il furto, Eracle, lo convinse a sostenere, temporaneamente, la volta celeste. Atlante ingenuamente credé alla volontà di Eracle di procurarsi un sostegno per la testa e acconsentì: poggiò i pomi per terra e riprese il carico. L’eroe afferrò i pomi e li consegnò ad Euristeo, il quale li rese ad Atena che si premurò di restituirli alle Esperidi26. Un’altra versione del mito vuole a custode dei frutti dorati, per volere di Era, un serpente a cento teste, figlio di Forcide e Ceta. Il mito narra che, per cogliere i frutti, Eracle uccise il serpente, provocando la disperazione di Era. I pomi vennero infine restituiti da Euristeo alla moglie di Zeus e le Esperidi, afflitte per aver perduto i frutti di cui erano custodi, si trasformarono ciascuna in un albero, comunemente noto come emblema di tristezza: pioppo nero, salice e olmo27. La descrizione di un frutto raro e prezioso, splendente come l’oro, richiama con prepotenza il limone. La prima volta che l’agrume appare in una fonte classica è nella commedia Il Beota di Antifane. Il poeta comico greco vissuto nel IV secolo a.C. nella sua opera ha citato i pomi della Media. Il termine greco melon medicon o persicon, tradotto dai latini in malus medica è stato il primo lemma, sia pur confuso e indistinto da altri agrumi, con il quale il mondo classico ha conosciuto i limoni28. Sin dalla sua apparizione, il limone, come del resto il cedro, ebbe connotazione medica e farmacologica. Le competenze scientifiche assire e babilonesi, annotate dal corteggio di scienziati, geografi, storici, al seguito di Alessandro,
24 Cfr. FERECIDE, fr. 33, ap. Scol ad APOLLONIO RODIO, Argonautiche, 1396; 1399. 25
APOLLODORO, Epitome, III, 1-3 (XI):
26
APOLLODORO, I miti greci, II, 5.2, 120-121:
Cfr. IGINO, De Astronomia, 2, 3 (“III. SERPENS. Hic vasto corpore ostenditur inter duas Arctos collocatus. Qui dicitur aurea mala Hesperidum custodisse et ab Hercule interfectus, ab Iunone inter sidera collocatus, quod illius opera Hercules ad eum est profectus. Qui hortum Iunonis tueri solitus existimatur. Ait enim Pherecydes, Iunonem cum duceret Iuppiter uxorem, Terram venisse ferentem aurea mala cum ramis. Quae Iunonem admiratam, petisse a Terra, ut in suis hortis sereret, qui erant usque ad Atlantem montem. Cuius filiae cum saepius de arboribus mala decerperent, Iuno dicitur hunc ibi custodem posuisse; hoc etiam signi erit, quod in sideribus supra eum draconem Herculis simulacrum ostenditur, ut Eratosthenes demonstrat; quare quosvis licet intellegere hinc maxime draconem dici. Nonnulli etiam dixerunt hunc draconem a gigantibus Minervae obiectum esse, cum eos oppugnaret; Minervam autem arreptum draconem contortum ad sidera iecisse, et ad ipsum axem caeli fixisse. Itaque adhuc eum implicato corpore videri, ut nuper ad sidera perlatum”; ESCHILO, Prometeo liberato, fr. 193; PAUSANIA, V, 18, 4; DIODORO SICULO, IV, 26 e ss. 27
28 Sui lemmi malum/malus cfr. J. ANDRÉ, Les noms de plantes dans la Rome antique, Les Belles Lettres, Paris 1985, pp. 152-153; sui lemmi citrea/citreum,/citrium/citrus, cfr. ivi, p. 68.
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29 Andracne telephioides, pianta euforbiacea detta porcellana greca. 30
TEOFRASTO, IV, 2-3.
VIRGILIO, Georgica, II, 126-35: “Media fert tristis sucos tardumque saporem / felicis mali, quo non praesentius ullum, / pocula si quando saeuae infecere nouercae, / [miscueruntque herbas et non innoxia uerba,] /auxilium uenit ac membris agit atra uenena. / ipsa ingens arbos faciemque simillima lauro, / et, si non alium late iactaret odorem, / laurus erat: folia haud ullis labentia uentis, /flos ad prima tenax; animas et olentia Medi / ora fouent illo et senibus medicantur anhelis.” 31
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rimasero, alla morte del condottiero, per lungo tempo ignorate, sino a quando, Teofrasto, filosofo e scienziato greco, il più importante botanico dell’epoca, attinse al lavoro di indagine rimasto a Babilonia e ne divulgò i contenuti nella monumentale opera La storia delle piante nel 310 a.C. Nel suo libro, Teofrasto descrive il melon medicon o della Persia ( ), oltre a descriverne le fattezze – le foglie dell’albero sono simili, quasi identiche, a quelle dell’andracne29 e le spine quasi come quelle del pero o del biancospino, molto lisce, aguzze e forti – specifica che i frutti non sono commestibili, ma molto odorosi, così come le foglie dell’albero. Da un punto di vista prettamente botanico l’allievo di Aristotele ne vanta la fruttificazione in tutte le stagioni e la convivenza sull’albero di frutti maturi, acerbi e gemme. Forse sono queste proprietà che hanno fatto dei limoni il simbolo di eterna primavera. Ciò che meraviglia di più sono però le svariate proprietà del frutto, da un uso prettamente domestico: posti frutti tra gli indumenti ne preservano la integrità, impedendo alle terme di proliferare, si passa a qualità più propriamente farmacologiche, la spremuta, mescolata al vino costituisce un potente antidoto contro i veleni, mentre una dose più leggera inalata dona freschezza d’alito30. Per circa quattro secoli le fonti classiche non hanno menzionato gli agrumi, soprattutto il limone, fino a quando le conoscenze di Teofrasto confluirono nelle opere degli autori di epoca romana. Il discorso si interseca con la storia di Roma, divenuta prima domina della penisola italica, poi del Mediterraneo. Le conseguenze furono d’importanza capitale per la crescita economica e culturale, di pari passo ai successi seguivano un miglioramento delle condizioni di vita e maggiore disponibilità di risorse. I contatti con popolazioni molto diverse, con stili di vita e costumi che influenzarono inevitabilmente le abitudini parche, sobrie e marziali, fino ad allora praticate dai Romani. Ebbero funzione determinante i rapporti con la Grecia in primis e con l’Egitto e con l’Oriente immediatamente dopo. L’influsso della cultura greca e asiatica si concretizzò con una crescente domanda di prodotti provenienti dall’Oriente Vicino e Lontano. Si montiplicarano così i mutui commerci con queste ricche regioni e fu intensificata l’importazione a Roma di prodotti esotici: vini, essenze e oli profumati, spezie e frutta, tra cui si possono annoverare i primi limoni. A Virgilio, tra il I secolo a.C. e il I d.C., si devono le prime citazioni relative al limone. L’autore dell’epos in onore di Roma e di Augusto, nelle Georgiche, riprendendo Teofrasto, ha ricordato il succo di limone per profumare l’alito, ha quindi trasformato la proprietà di antidoto ai veleni in come rimedio contro la rabbia e infine ha aggiunto che il succo poteva costituire un ricostituente per
l’affanno degli anziani31. In sintesi più che un frutto commestibile un rimedio essenzialmente curativo. Le conoscenze di Teofrasto sono state convogliate nella Naturalis Historia. Ancora si osservano, nel 70 d.C., conoscenze analoghe a quelle del IV sec. a.C. Plinio, nella sostanza, rammenta quanto già in precedenza si trovava nella Storia delle piante: Il melo d’Assiria, detto altrimenti il melo di Media32, ha l’effetto di antidoto contro i veleni. Le sue foglie sono quelle del corbezzolo e ad esse si interpongono delle spine. Il suo frutto non si mangia, ma questa specie si distingue anche per l’odore delle foglie: se si ripongono insieme ai vestiti, l’odore si trasmette a questi e li preserva dai danni degli insetti. L’albero da parte sua produce frutti in tutte le stagioni: quando gli uni cadono, ve ne sono altri in via di maturazione e altri ancora che cominciano a formarsi33. Plinio, Naturalis Historia, XII, 15
E l’enciclopedista ribadisce informazioni riferibili alle zone di origine, la Persia e la Media (anzi, definisce l’agrume l’unico albero che cresce in Media degno di essere citato), e ne conosce la fioritura solo per quelle aree e per tutto l’anno34; infatti, proprio per questo il frutto è stato nominato dai Greci “Pomo assiro o della Persia o della Media”35, tra l’altro l’unico “pomo” meritevole dell’attenzione da parte di Virgilio:
32 Già trattato in TEOFRASTO, IV 4.2 ss. Altre descrizioni assai simili, probabilmente dipendenti da Teofrasto, in VIRGILIO, Georgica, II, 126-35; DIOSCORIDE, I, 160, ATENEO, III 83d-f. 33 “Malus Assyria, quam alii Medicam vocant, venenis medetur. Folium eius est unedonis intercurrentibus spinis. Pomum ipsum alias non manditur, odore praecellit foliorum quoque, qui transit in vestes una conditus arcetque animalium noxia. Arbor ipsa omnibus horis pomifera est, aliis cadentibus, aliis maturescentibus, aliis vero subnascentibus”. 34
Naturalis Historia, XVI, 107.
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Naturalis Historia, XII, 16.
36 Beatum felicemque gratiae quindicim omnino generibus uvarum nominatis, tribus oleae, totidem pirorum, malo vero tantum Assyrio, ceteris omnibus neglectis. 37 “Temptavere gentes transferre ad sese propter remedii praestantiam fictilibus in vasis, dato per cavernas radicibus stiramento, qualiter omnia transitura longius seri altissime transferrique meminisse convenient, ut semel quaeque dicantur. Sed nisi apud Medos et in Perside nasci noluit. Haec est cuius grana Parthorum proceres incoquere diximus esculentis commendandi habitus gratia. Nec alia arbor laudatur in Medis”.
… egli [Virgilio] che fu famoso e celebrato pur avendo citato in tutto solo quindici varietà di viti, tre di olivi, altrettante di peri, tra i pomi invece il solo assiro…36. Plinio, Naturalis Historia, XIV, 7
E, sebbene l’albero attecchisca solo in quelle zone, Plinio ne rammenta il succo come rimedio contro l’alito cattivo, imparato dai Parti, nonché il metodo di trapianto, aggiungendo nuove nozioni rispetto al sapere di Teofrasto: Alcuni popoli tentarono di trapiantarlo nel proprio territorio per le sue proprietà medicinali, trasportandolo in vasi di terracotta nei quali avevano praticato dei buchi per far respirare le radici (un procedimento questo che sarà opportuno ricordare – ne parlo ora una volta per tutte – quale il più adatto per i trasferimenti e i trapianti di qualsiasi specie vegetale a grande distanza). Ma si è riprodotto solo in Media e in Persia. È questo l’albero i cui semi, come abbiamo detto, i nobili Parti facevano cuocere insieme ai cibi per profumarsi l’alito. Nessun altro albero degno di menzione cresce in Media37. Plinio, Naturalis Historia, XII, 16
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PLINIO, Naturalis Historia, XVII, 97 (21): “Le tecniche di propagginazione sono due: da un albero si tira giù un ramo, piegandolo, lo si pianta in una buca che misura quattro piedi in tutte le direzioni, dopo due anni si taglia il ramo nel punto della piegatura e dopo tre si trapianta la barbatella; se si vuole trasportarle a una certa distanza, un sistema molto comodo è quello di piantare fin dall’inizio le barbatelle in cesti o vasi di terracotta, per poi trasportarle dentro questi. (98): L’altro procedimento è più sofisticato, e consiste nel fare spuntare delle radici sull’albero stesso, facendo passare i rami attraverso vasi di terracotta o cesti, e stipandovi la terra tutt’intorno; con questa sorta di allettamento si ottengono delle radici proprio tra i frutti e le cime dei rami: a tale sollecitazione, infatti, sono sottoposte le parti terminali dei rami, con un ardito espediente che consente di ottenere un altro albero lontano dal suolo. Dopo due anni (lo stesso intervallo indicato sopra) si taglia la barbatella e la si pianta con i cestini”. “Propaginum duo genera: ramo ab arbore depresso in scrobem IIII pedum quoquo et post biennium amputato flexu plantaque traslata post trimatum, quas si longius ferre libeat, in qualis statim aut vasis fictilibus defodere propagines aptissimum, ut in his (98) transferrantur. Alterum genus luxuriosis, in ipsa arbore radices sollicitando traiectis per vasa fictilia vel qualos ramis terraque circumfartis, atque hoc blandimento inpetratis radicibus inter poma ipsa et cacumina – in summa etenim cacumina hoc modo petuntur audaci ingenio arborem aliam longe a tellure faciendi – eodem quo supra biennii spatio abscisa propagine et cum quasillis sata.
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“Citrea grano et propagine…, se dilla in calidis”.
40 “Fastidit balsamum alibi nasci, nata Assuria malus alibi ferre”. 41 “Nec est quod putes illum quicquam emere. Omnia domi nascuntur: lana, credrae, piper; lacte gallinaceum si quaesieris, invenies”.
La competenza tecnica riproduttiva della pianta non si limitava al trapianto mediante trasporto bensì:
Il “citrus” si riproduce dal seme o per propagginazione38, il sorbo dal seme, da un germoglio che spunta dalla radice o da un pollone strappato; il cedro, però, nei luoghi caldi, il sorbo in quelli freddi e umidi39.
Plinio, Naturalis Historia, XVII, 64
Ma nonostante tutti gli sforzi, il lavoro risulterebbe inane in quanto: Il balsamo non tollera di nascere in una terra che non sia quella d’origine, il citrus, qualora vi nasca, non produce frutti40. Plinio, Naturalis Historia, XVI, 135
Eppure la situazione non era come Plinio l’aveva dipinta. La Roma ai tempi di Plinio era un centro vivace e cosmopolita. In Italia aveva trovato dimora un gran numero di artisti, mercanti, artigiani, giardinieri. I contatti con l’Egitto e le province orientali avevano mutato i sobri gusti e il limone era una pianta decorativa molto ricercata. Se i Romani, durante il I secolo a.C., avevano imparato a coltivare gli agrumi ma non a farli fruttificare, da qui le conoscenze di Plinio, esistono testimonianze proprio nel I secolo che affermano altrimenti, pertanto è probabile che maestranze provenienti dall’Oriente siano riuscite a far allignare la pianta. Certamente, il limone era ancora un albero non di uso comune, bensì il simbolo di ricchezza, che sovente si identificava nel “possedere” i prodotti provenienti dall’Oriente, spezie, vetri, seta, damaschi, porpora etc. Il riferimento di Petronio, nel suo celebre Satyricon, rappresenta una testimonianza preziosa. Egli, nell’ironizzare, e deplorare, i costumi ormai corrotti della Roma Imperiale e gli eccessi raggiunti, narra del sontuoso banchetto tenuto nella casa del facoltoso Trimalcione: “Devi pensare”, continuò “che non c’è nulla che compri. Tutto gli nasce in casa: la lana, i limoni, il pepe. Se tu volessi del latte di gallina ci troveresti anche quello41.
Petronio, Satyricon, XXXVIII
Il breve accenno è confortato da una testimonianza dal valore indiscutibile. Nel 1951 a Pompei fu riportata alla luce la cosiddetta “Casa del frutteto”, dove appare un affresco che riproduce senza ombra di dubbio un albero di limone, cari-
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co di frutti. È probabile, pertanto, che dopo il 79 d.C., anno della distruzione di Pompei, l’agrume possa avere avuto una coltivazione più estesa, divenendo una pianta meno rara. Come conseguenza della sua maggiore diffusione, il frutto, apprezzato sino a quel momento soltanto per le sue virtù curative, non considerato commestibile, cominciò ad apparire sulle tavole di personaggi raffinati. E del cambiamento di gusto offre testimonianza Plutarco, che, verso la fine del I secolo d.C., scrive delle nuove abitudini dei Romani:...molti alimenti che nel passato la gente non avrebbe neppure assaggiato sono considerati oggi prelibatezze... basti citare il cetriolo, il pepe e il limone... Dal I secolo in poi in Italia mangiare la parte bianca della buccia del limone, la cosiddetta albedo, divenne piuttosto comune, soprattutto se condita con l’aceto o con il garum, la celebre salsa salata prodotta dalle interiora di pesce di largo uso presso i Romani. Apicio, celebre gastronomo del II secolo d.C., nella sua raccolta di ricette, De re coquinaria, ha trovato spazio per suggerire l’albedo del limone misto a silfio, acqua di menta, aceto e il solito garum42 oppure pesce tritato con erbe aromatiche, aceto, olio, spezie e l’albedo tritato grossolanamente. L’utilizzo dei limoni non era però limitato alla buccia, Apicio, suggerendo, un metodo per realizzare il vino rosato senza utilizzare le rose, ha menzionato l’uso delle foglie del limone:
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III, 5.
“Folia citri viridia in sportella palmea in dolium musti mittes antequam ferveat, et post quadraginta dies exime. Cum necesse fuerit, mel addes et pro rosto utere”. 43
Se vuoi fare il rosato vino senza le rose procedi così. Metti in un piccolo contenitore di foglie di palma delle foglie verdi di limone che porrai prima in un barilotto di mosto prima che fermenti e toglilo dopo 40 giorni, se sarà necessario aggiungici del miele e usa quel vino come rosato43. Apicio, De re coquinaria, I, 3
Nei primi secoli della nostra era le virtù terapeutiche del limone perseveravano. Per combattere la gotta Scribonio Largo, medico personale dell’imperatore Claudio, raccomandava, nel 40 d.C. impacchi di limoni cucinati nell’aceto, poi amalgamati e mescolati al solfato di alluminio e succo di mirra. Galeno (130210 d.C.) utilizzava la buccia del limone, somministrata in piccole dosi, come cura per lo stomaco. Evidentemente noto nei primi due secoli della nostra era il limone restava comunque una pianta esotica, non coltivata su vasta scala, un lusso, un medicinale da somministrare in quantità mitridatiche. Al principio del IV secolo A.D. l’Edictum de maximi pretiis, il calmiere varato dall’Imperatore Diocleziano nel 301, il prezzo fissato per i limoni era esorbitante, soprattutto se comparato a quello di altre
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44 Cfr. Edictum Diocletiani et Collegarum de pretiis rerum venalium, a cura di Marta Giacchero, Istituto di Storia Antica e Scienze ausiliarie, Genova 1974, VI, 75-76: “citrium maximum жv[i]ginti quattuor; citrium sequens ж sedecim”. 45 Edictum de pretiis, VI, 30-32: “melopepones maiores n. duo ж quattuor; <melopepones> sequentes n.quattuor ж quattuor; pepones n. quattuor ж quattuor”. 46 Edictum de pretiis, VI, 61-62: “Persica maxima n. decem ж quattuo[r]; “<Persica> sequentia n. viginti ж quattuo[r]”. 47 Edictum de pretiis, VI, 71-72: “mala granata maxima no. decem ж octo”; “mala granata sequentia no. viginti ж octo”.
La “Via del limone”.
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derrate alimentari. Tra la frutta, il prezzo massimo del limone oscillava tra i sedici e i ventiquattro denari, se di seconda scelta o di misura massima44, una cifra notevole se paragonata al prezzo massimo stabilito per due meloni che variava da due e quattro denari45; il quadruplo rispetto al costo di dieci pesche grandi, o venti di seconda qualità, acquistabili con quattro denari46; il doppio e più se confrontato al prezzo delle melagrane, con otto denari si potevano comprare da dieci a venti frutti47.
Conclusioni La “Via del limone” è un percorso, noto già a Plinio il Vecchio, che parte dalla Cina, passa attraverso la catena montuosa dell’Himalaya, giunge sino alla valle dell’Indo, per estendersi, via mare attraverso la penisola arabica. Da qui i frutti e i semi del limone sono passati in Mesopotamia e, attraverso Babilonia, l’agrume raggiunge l’Assiria, quindi Siria, con i suoi porti Tiro e Sidone, in pratica le porte del Mediterraneo sono aperte. Via terra, dall’India i limoni, mediante quelle terre battute dalla carovane che attraversavano regioni attualmente “calde” come l’Iran e l’Afghanistan, attecchirono in Persia, in Media, aree conquistate ed ellenizzate dai Greci, con Alessandro Magno, in seguito confini, più spesso spine nel fianco, di Roma (fig. 1). Le conoscenze del frutto restano però purtroppo ambigue. Il termine malus è utilizzato per molti frutti diversi, e solo l’aggettivazione del luogo di origine ci fa capire che si tratta di un agrume. Il lemma citrus indica indifferentemente il cedro, noto in ambiente mediterraneo, e il limone. A volte la distinzione non è possibile, il citrus è un frutto dalla buccia spessa, con una porzione bianca e il succo agre, non commestibile. Il discorso può valere per entrambi gli agrumi. Nella pratica medica poche gocce o buccia grattugiata potevano indistintamente appartenere sia al cedro che al limone. Solo i costi più alti, la rarità, la difficoltà di adattamento farebbero ritenere, in determinati contesti, che si trattasse piuttosto del limone. Un elemento che mi fa ritenere il frutto il limone in alcuni autori, come per esempio in Virgilio, Plinio e Petronio, è il contesto nel quale è inserito, ossia la menzione dell’India e dei Seres, i popoli abitanti la Cina antica, pochi versi prima o dopo. Poiché era nota la provenienza, il limone è, in questi casi, ambientato con la sua terra d’origine, la Cina o l’India: la vicinanza di questi luoghi potrebbe pertanto rappresentare un indizio, poichè è noto che il cedro è originario dell’area persiana48. A questo punto l’affresco pompeiano ricopre una posizione di ago della bilancia, fotografando una realtà oggettiva. Il limone era sicuramente ambientato, già prima dell’eruzione del Vesuvio, nella costa campana.
Il cedro è un’Angiosperma (Citrus medica) della famiglia delle Rutacee e dell’ordine delle Terebintali, di origine persiana, da non confondere con le omonime Gimnosperme (cedro del Libano, cedro dell’Atlante). Il limone (Citrus × limon (Linnaeus) Burm.f. ) è un albero da frutto appartenente al genere Citrus e alla famiglia delle Rutaceae. Il nome comune limone si può riferire tanto alla pianta quanto al suo frutto. È un antico ibrido, forse tra il pomelo ed il cedro, ma da secoli costituisce specie autonoma che si propaga per talea e per innesto. 48
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Notizie storiche relative al “limone di Rocca Imperiale” |
di Vincenzo Manfredi
Riferimenti storici La più antica fonte storica finora rinvenuta sulla presenza del limone a Rocca Imperiale risale al secolo XVII. E’ da supporre però che questo agrume venisse coltivato ancor prima del 1644. Ma sono del periodo compreso tra il 1865 e il 1870 le prime operazioni registrate relative alle esportazioni del prodotto, in occasione delle fiere che si svolgevano a Napoli, e alle quali parteciparono i primi commercianti. La carenza delle informazioni sulla coltivazione del limone trova spiegazione nella ragione che nei piccoli centri agricoli come Rocca Imperiale le vendite del prodotto non venivano registrate dai venditori, né dai compratori, a causa del diffusissimo analfabetismo esistente nella popolazione, quasi totalmente dedita all’agricoltura. I contadini per memorizzare le quantità vendute ricorrevano ad un elementare sistema empirico, detto della “‘n tak”. Essi facevano un piccolo segno ad intaglio su un asse di legno ogni qual volta si concludeva l’operazione di compravendita. E’ da aggiungere altresì che non sono stati ritrovati documenti nell’archivio parrocchiale antecedente al 1644, anno in cui i Turchi appiccarono il fuoco alla chiesa matrice del paese, provocando la distruzione di quasi tutti i “bilanci”, che i sacerdoti-procuratori compilavano ogni anno e che custodivano nella chiesa. Tuttavia, dai pochi documenti che si sono salvati negli incendi di quel terribile anno, è stato possibile ricavare che:
Archivio parrocchiale, doc. n. 17 del 1642-43, allegato n. 1
si esitano, cioè spesi, “carlini sette compra di pesci e citrangoli mandati a Monsignore illustrissimo”, ossia al vescovo di Anglona e Tursi, della cui diocesi Rocca Imperiale faceva parte (doc. n. 17 del 1642-43: allegato n.1); si esitano “grana 25 per citri lamoncelli e citrangoli” (doc. n. 19 del 164344); si esitano “carlini diece per... fave novelle e citrangoli” sempre per il monsignore (bilancio 1648-49). Si fa notare che nel passato non erano stati ancora impiantati vivai di alcun genere e che erano i cetrangoli, che venivano innestati a limoni e ad altri agrumi in genere.
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Allegato n. 4
1 Giustiniani, Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli, tomo VIII,1797, Napoli, ristampa anast., Forni Editore.
V. Padula, Calabria prima e dopo l’Unità, a cura di Attilio Marinari, Editori Laterza, 1977, tomo primo, pp. 118-120.
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24 carlini sono poco meno di ducati 2 e mezzo.
Nei due ultimi documenti citati si registra la voce agrumi, senza distinzione delle varie specie; però, non si può ragionevolmente pensare che si tratti solo di arance o di soli limoni o di altro. Comunque, i limoni certamente facevano parte di quei quantitativi, e se il Padula nel documento allegato n. 4 parla di 1000 portogal1i e 1000 limoni, c’è da credere per lo meno che le due produzioni (arance e limoni) fossero di quantità più o meno uguale.
4
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È certo, dunque, che a Rocca Imperiale la coltivazione degli agrumi era conosciuta e praticata almeno sin dalla seconda metà del secolo XVII, come scrive il Marafioti: “… nella Calabria i giardini irrigati producono abbondanza di frutti pregevoli...”, precisando che: ‘’nell’affacciata della marina orientale del Pollino [quindi nelle nostre zone] si producevano moltissimi frutti..., tra cui il ‘limonio’.” Tra i rocchesi si è sempre manifestata la vocazione per la coltivazione dei “Jardini” (giardini), attestata da numerosi documenti, consuetudine trasmessa probabilmente dalla comunità ebraica insediatasi nel territorio di Rocca Imperiale nel XVI secolo. Anche il Giustiniani, alla fine del 1700, scriveva che: “Le produzioni di Rocca Imperiale consistono in grano, granone, ottimo olio, agrumi e bambagia, di cui se ne fa molta industria”1. In epoca più recente si hanno prove della tradizione della coltivazione degli agrumi, e quindi anche dei limoni nell’opera del Padula2; infatti negli anni 60-70 del secolo XIX, l’attento studioso scriveva che: a Rocca gli agrumi sono ”copiosi e d’ogni specie”; “1000 limoni” valgono “da 24 carlini a 12 ducati”3 “1000 portogalli” valgono “da 20 a 30 carlini” (allegato n. 4 ). Viene riscontrata nel luglio del 1873 un’ esportazione di limoni di 10.000 quintali. Quattro anni dopo, cioè nel 1877, nella provincia di Cosenza, Rocca Imperiale è superata per numero di piante di limoni coltivati, solo da Trebisacce, Corigliano e Rossano, comuni molto più grandi di Rocca Imperiale. Fino a quasi tutto l’ 800 il trasporto delle merci avveniva via mare “per cabotaggio”, e alla Marina di Rocca Imperiale la Dogana registrava le merci esportate. Nel 1866 dalla Marina di Rocca Imperiale furono esportati quintali 603,31 di agrumi, e nell’anno successivo q.li 50.386,32 su un totale di ben q.li 113.761 dell’ intera provincia di Cosenza. Dopo Rocca Imperiale ad esportare i prelibati agrumi sono Torre Cerchiara (44.857,26 q.li), Trebisacce (10.061,80 q.li), Corigliano (4.099,80 q.li) e Rossano (3.555,72 q,li)4. Dalla fine dell’Ottocento il trasporto delle merci avviene non più per cabotaggio, ma per ferrovia, e successivamente, lungo la strada statale n. 106 a mezzo camions e autocarri. Per la vendita delle merci i produttori si servivano dei molti ”mediatori”, i quali non avevano la corretta abitudine di registrare le quantità dei prodotti, le vendite e i prezzi. Grazie al “Fondo Camerino”, si ha conferma che negli ultimi due secoli non vi è
stata interruzione nella coltivazione del pregiato limone: Dal “Mastro”5 relativo agli anni 1924-1936 si ha notizia della coltivazione dei limoni nella masseria Corvisiero e Pozzo Nuovo. Il 12 agosto 1934 furono conteggiate e pagate n. 42 e mezza giornate di contadine per la raccolta dei limoni, venduti, fino al febbraio 1935, al prezzo di lire 32 e 25 al quintale. Dal “Registro dare e avere 1940-41” risultano venduti q.li 32,35 di limoni a lire 60 il quintale. Nella raccolta dei documenti della famiglia “Cascardi”, mezzadro dell’Avv. Eugenio Camerino è stato rinvenuto un mandato di vendita, del 1975, nel quale viene riportata la seguente frase: […] ti prego vivamente di provvedere alla vendita della nostra partita di limone di Rocca Imperiale alla Contrada Corvisiero al prezzo che riterrai più conveniente per noi […]6. In un contratto di vendita del 1978, tra il sig. Di Leo Gaetano e il Sig. Colucci Bartolomeo si evince la vendita di una partita di limone di Rocca Imperiale alla Cda Colfari ad un prezzo di 500 £. Al Kg (allegato n. 12). Quest’ ultimi documenti ritrovati dimostrano la reputazione che il limone di Rocca Imperiale ha assunto da tempo nella zona di produzione. Ma il nome del limone di Rocca Imperiale trova diffusione anche al di fuori della zona di produzione come succede nei mercati ortofrutticoli rionali della vicina Taranto, dove i venditori, per richiamare l’attenzione delle massaie sulla bontà del limone di Rocca Imperiale ancora oggi annunciano ad alta voce: da Rocca sond (=sono) i limoni!, da Rocca sond i limoni! Infine, per quanto riguarda la bontà del nostro frutto molti esperti sostengono che il limone di Rocca Imperiale ha delle proprietà tali da distinguerlo da quello prodotto in altre zone.
Si tratta di libro contabile che il giudice Giuseppe Camerino, nel gestire la sua azienda agricola di Rocca Imperiale, compilava diligentemente e con estrema chiarezza e precisione.
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Estratto dai documenti famiglia “Cascardi” – Rocca Imperiale 1 marzo 1975
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Allegato n. 12
N. B.: Le ricerche di cui all’allegato n. 4 sono state effettuate presso la Fondazione Vincenzo Padula in Acri (CS) a cura della Dott.ssa Antonia Vitale; le ricerche di cui agli allegati n. 7 e n. 8 sono state effettuate presso l’archivio notarile di Cosenza e la Camera di Commercio di Cosenza a cura della Dott.ssa Maria Antonella Siepe.
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Le peculiarità del “limone di Rocca Imperiale” |
di Vittorio Pignataro
Introduzione Il territorio di Rocca Imperiale gode di un microclima ideale alla coltivazione di piante da frutto e in particolare del limone, con inverni miti e temperature mai inferiori a 0°C (Figura 1). Vanta, perciò, la produzione limonicola più importante di tutta la provincia di Cosenza. Ciò è favorito, oltre che dalle condizioni pedoclimatiche ideali, anche dalla scarsa presenza del fungo Deuteromicete Phoma tracheiphila agente del malsecco, che ha condizionato, in maniera negativa, quasi tutte le aree della vecchia limonicoltura italiana, in particolare la Sicilia1. Per confermare il primato del limone di Rocca Imperiale, soprattutto in termini di qualità, è opportuno metterlo a confronto con frutti provenienti dalle zone storicamente vocate alla limonicoltura e affermate da tempo a livello internazionale, come il limone siciliano e quello di Sorrento. A tal fine è stato condotto dall’Università della Calabria uno studio che ha preso in esame il limone di Rocca Imperiale (cultivar di “femminello comune”), paragonandolo a quelle rappresentative delle altre regioni e soffermandosi, in prima analisi, sugli aspetti morfologici, quantitativi e qualitativi dei frutti. In secondo luogo, l’attenzione è stata rivolta all’Epicarpo, che rappresenta il tessuto più importante nel limone, per i suoi svariati utilizzi in farmacologia e cosmesi. Tali indagini sono state effettuate tramite le metodologie più affermate in campo biomolecolare, per individuare i costituenti caratterizzanti il distretto tissutale analizzato. L’approccio biochimico, eseguito attraverso gascromatografia e spettrometria di massa, è servito a misurare le quantità percentuali dei principali terpeni, tra cui il limonene, il β-pinene e il γ-terpinene, presenti nell’epicarpo dei frutti.
L’ambiente e le cultivar In collaborazione con il “Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione del limone di Rocca Imperiale, sono state individuate, nel territorio comunale, cinque diverse aree di coltivazione, dove vi sono condizioni ideali per la produzione del limone: Corvisiero, Cesine, Colfari, Difesa e San Giovanni, tutte aventi caratteristiche differenti, anche se minime, ma significative, forse, per la caratterizzazione del prodotto. La località Corvisiero (Figura 2) occupa una piccola collina che permette
Figura 1. Rocca Imperiale. Nevicata del 15 dicembre 2007. L’ultima consistente risale al 1956.
Figura 2. I limoni in località Corvisiero, dopo la nevicata del 2007.
1 Cfr. F. Perri, La coltura del limone, Scheda tecnica presentata al Convegno dal titolo: Il Piano Integrato di Filiera “ortofrutta bio e qualità controllata” nel territorio dell’Alto Jonio cosentino: ricadute e prospettive, Rocca Imperiale, 30 maggio 2007. Misure 4.7 e 4.8 del P.O.R. Calabria 2000/2006.
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2 Cfr. F. Perri, La coltura del limone, Scheda tecnica... cit.
Figura 3. I limoni in località Colfari, dopo la nevicata del 15 dicembre 2007.
alle piante di godere di una buona esposizione solare lungo tutto l’arco dell’anno e del giorno, così come la località Cesine. La località Colfari (Figura 3), invece, si estende lungo il corso del fiume Canna. Le località Difesa e San Giovanni sono pianeggianti e la vicinanza delle colline presenti ad ovest le protegge dai venti occidentali. Le pratiche colturali si differenziano in queste zone a seconda dell’azienda che le conduce. Sono presenti aziende che praticano coltivazione biologica certificata (loc. Corvisiero e loc. S. Giovanni), altre a conduzione convenzionale (loc. Colfari e loc. Difesa) e aziende che seguono pratiche colturali miste (loc. Cesine). Altre cultivar presenti sul territorio sono: il “Siracusano”, il “Siracusano 2KR”, l’“Adamo V.C.R”, il “Lauretta”, la “Zagara” e il “Lunario”. Sta prendendo piede anche una nuova cultivar: l’ibrido triploide “Lemox”, costituito e brevettato dall’ I.S.A. (Istituto Sperimentale di Agrumicoltura) di Acireale, presente nel territorio solo in via sperimentale, ma di ampio interesse per il futuro, perché molto precoce e altamente tollerante al malsecco2.
I caratteri morfologici dei frutti
Figura 4. Limone di Rocca Imperiale.
Figura 5. Limone di Rocca Imperiale (sezione trasversale).
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Si è voluta trovare una corrispondenza tra le caratteristiche pedoclimatiche, le tecniche di coltivazione e i caratteri morfologici e qualitativi dei frutti. Le misure dei frutti interi e sezionati (Figure 4 e 5), fissati su immagine digitale, sono state eseguite al computer con il software open source “ImageJ”. Ciò ha permesso di confrontare grandezze come la lunghezza, la circonferenza, il diametro, la circolarità, l’area della polpa, lo spessore dell’albedo e del flavedo e di contare il numero dei sincizi ghiandolari che formano l’epicarpo. I risultati ottenuti dalle indagini morfometriche eseguite sui frutti del limone di Rocca Imperiale si riferiscono alla prima fioritura o “primofiore” e sono messi a confronto con quelli dei frutti dello stesso periodo appartenenti ad altre cultivar extraregionali. Dai primi dati relativi al peso e al succo si è potuta calcolare la resa in succo che, nel limone di Rocca Imperiale ha raggiunto il valore più alto misurando 0,410 ml/g, rispetto alle cultivar Zagara Bianca e Scandurra, provenienti da Acireale e quella proveniente da Sorrento, le cui rese in succo sono rispettivamente pari a 0,280 ml/g, 0,353 ml/g e 0,279 ml/g. Questi risultati sono avvalorati dalle misure della superficie della polpa che è maggiore nei frutti del limone di Rocca Imperiale. Ciò spiega anche perché, il succo totale derivante dalla spremitura di
20 “limoni raccolti a Rocca Imperiale” equivale a un volume di 1,500 litri, che rappresenta il valore più alto se confrontato con il volume di succo totale di 20 limoni delle altre cultivar italiane, raccolti nello stesso periodo: Zagara Bianca (1,104 litri), Scandurra (1,102 litri) e limone di Sorrento (1,060 litri). I dati sono relativi al gennaio 2008. Per quanto riguarda le frazioni di buccia occupate dall’albedo e dal flavedo, le cultivar limone di Sorrento e Zagara Bianca, presentano albedo di spessore doppio rispetto al flavedo (Figure 6 e 7). Lo spessore del flavedo nei limoni di Rocca Imperiale è superiore rispetto a quello delle altre varietà prese in esame; inoltre, le porzioni di albedo e flavedo, costituenti il pericarpo, nei limoni di Rocca sono quasi uguali. Questo carattere sta a indicare una equilibrata distribuzione dei tessuti della buccia (Figura 8) e può essere utilizzato come indice di qualità del limone di Rocca Imperiale, insieme alle altre caratteristiche prima elencate, di succo totale, resa in succo e superficie della polpa. Il parametro più importante, però, è determinato dal numero di sincizi ghiandolari presenti nel flavedo e dalla loro grandezza. Da quanto si evince dalle analisi d’immagine condotte sulle sezioni trasversali, i frutti del limone di Rocca Imperiale mostrano i migliori risultati per questi valori. É stato riscontrato, infatti, un numero pari a 8 sincizi ghiandolari per centimetro di circonferenza, rispetto ai limoni siciliani e campani, Scandurra, Zagara Bianca e limone di Sorrento che presentano in media tra i 5 e i 6 sincizi per centimetro. Il limone di Rocca Imperiale si conferma essere il migliore tra quelli analizzati in questo lavoro di ricerca. Merita, perciò, un’attenzione particolare per ulteriori approfondimenti scientifici. È evidente una netta superiorità di tutti i caratteri, fisici morfologici, quantitativi e qualitativi dei frutti del limone di Rocca Imperiale rispetto a quelli extraregionali. Le stesse analisi sono state condotte sui frutti delle cinque aree produttive, individuate nel comune di Rocca Imperiale, partendo dal calcolarne la percentuale di resa in succo nei tre periodi significativi per la loro maturazione: novembre, dicembre e gennaio.
Figura 6. Limone di Sorrento.
Figura 7. Zagara Bianca, Acireale.
Figura 8. Limone di Rocca Imperiale.
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Resa in succo Corvisiero Colfari
Difesa
Cesine
S.Giovanni
Novembre
34 %
29 %
29 %
28 %
32 %
Dicembre
36 %
32 %
33 %
32 %
37 %
Gennaio
38 %
37 %
36 %
33 %
41 %
Tabella 1. Percentuali di resa in succo nei Limoni di Rocca Imperiale in diversi periodi di campionamento
Figura 9. I limoni in località Cesine, dopo la nevicata del 15 dicembre 2007.
Da come si può osservare nella tabella, le percentuali della resa in succo del limone di Rocca Imperiale sono sempre maggiori del 25%, in particolare nei frutti provenienti da agricolture biologiche, come mostrano i valori che si riferiscono alle località Corvisiero e S. Giovanni (Tabella 1). Per quanto riguarda la superficie occupata dalla polpa il risultato migliore è dato dai limoni di Corvisiero, mentre la superficie totale è di gran lunga maggiore nei frutti di Cesine (Figura 9), ai quali va anche il primato della grandezza totale e del peso dei frutti. Anche la quantità di albedo è maggiore nei limoni della località Cesine, la cui buccia, dopo la spremitura del succo e l’estrazione degli oli essenziali, potrebbe essere adoperata per la produzione di pectine o di pastazzo. Lo spessore dell’albedo, invece, è minore nei frutti delle località S. Giovanni e Corvisiero, entrambe coltivazioni biologiche; il rapporto tra albedo e flavedo nei frutti di queste due zone è di circa 1:1, indice di una buccia più sottile. Si può ipotizzare che l’ambiente ed in particolare il metodo di coltivazione influisca sul fenotipo, caratterizzandolo. Ciò è confermato anche dalla quantità di sincizi ghiandolari presenti nei frutti di località Corvisiero, che raggiungono il numero massimo per centimetro. Quest’ultimo risultato è interessante in quanto i sincizi ghiandolari sono formati dalle cellule che secernono l’olio essenziale, accumulato e conservato nel lume (Figura 10) fino alla deliquescenza dei tessuti, processo molto lento nel limone.
Le componenti chimiche
Figura 10. Sezione trasversale del lume di un sincizio ghiandolare fotografato al microscopio (5x).
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I dati morfologici sono stati messi in relazione con quelli delle analisi biochimiche, volte a misurare la quantità percentuale di limonene, costituente fondamentale dell’olio essenziale.
L’estrazione dei componenti volatili presenti nel campione di limone è stata effettuata utilizzando la tecnica dello “spazio di testa dinamico”. I composti volatili adsorbiti, sono stati separati, identificati e quantificati. La separazione e l’identificazione sono state realizzate mediante le tecniche di “gascromatografia” e “spettrometria di massa”. Le indagini hanno riguardato i tre componenti volatili più rappresentativi del flavedo di Citrus limon: limonene β-pinene γ-terpinene I risultati delle analisi chimiche hanno evidenziato una persistente superiorità di contenuto in limonene nei “limoni di Rocca Imperiale”, rispetto ai campioni provenienti sia dalla Campania che dalla Sicilia. I valori percentuali, riportati in letteratura per questo componente, sono intorno al 70%, valore che viene superato dal limone di Rocca Imperiale nei periodi di dicembre (71,29) e gennaio (72,56). Ancora più interessante è il risultato di novembre, quando il limonene presente nei campioni di limoni di Rocca Imperiale ha raggiunto il picco del 73,28%. Queste indagini scientifiche possono suggerire ai produttori i periodi migliori per la raccolta e l’utilizzo del frutto, in base alle sue qualità organolettiche. Conoscere, quindi, le caratteristiche qualitative corrispondenti alle fasi della maturazione è funzionale per orientare il prodotto verso una precisa nicchia di mercato, offrendo la migliore qualità e la massima resa possibili in quel dato periodo.
Conclusioni Sia le analisi morfologiche e fenologiche, sia quelle biochimiche, dunque, evidenziano caratteri di peculiarità nel limone di Rocca Imperiale rispetto alle cultivar provenienti da altre località italiane. Ciò a conferma della speciale qualità della cultivar di Rocca Imperiale, suggerendo la presenza di tratti genetici e genomici fortemente caratterizzanti. Non ultima l’ipotesi di selezione degli Ecotipi perfettamente adattati alle condizioni pedoclimatiche del territorio di Rocca Imperiale. Dal punto di vista della ricerca di base, rappresenta un elemento di assoluta novità la caratterizzazione delle proteine del flavedo, tessuto responsabile della
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produzione degli oli essenziali. Le vie biosintetiche di tali sostanze richiedono l’azione di specifici enzimi, le cui espressioni e attività sono ragionevolmente influenzate dalle condizioni genetiche e ambientali. Approfondimenti in questo senso sono chiaramente suggeriti, sia dai risultati finora ottenuti, sia dall’interesse mostrato dal Consorzio, al fine di completare il lavoro avviato per la caratterizzazione e la valorizzazione del limone di Rocca Imperiale. Tali ricerche sono di rilevante importanza, perché riguardano l’individuazione, a livello molecolare, dei caratteri dei frutti freschi e dei prodotti da essi derivati, destinati alle industrie di trasformazione, che sempre più puntano sulla ricerca mirata ad ottenere una migliore qualità, così come per il consumatore che presta sempre più attenzione alla provenienza e alla genuinità.
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Il limone e i suoi derivati industriali |
di Gabriella Lo Feudo
Introduzione La Calabria comprende circa il 25% di superficie agrumaria nazionale ed il limone rappresenta il 5/6% di tale superficie. Il primato nella produzione di tali agrumi spetta alla Sicilia con circa l’87% seguita dalla Campania con l’8 il 9% e, quindi, dalla Calabria con il 6%. Quel 25% della produzione agrumaria calabrese rende il paesaggio incantevole e unico, tant’è che Goethe nel suo Viaggio in Calabria dichiarava: “Conosci tu la terra dove fioriscono i limoni, ove scintillano sopra bruno fogliame arance d’oro?”. Descrivendo in questo modo la variegata presenza di agrumi in questa regione, forse l’unica, in cui coesistono arance, clementine, limoni, cedro e bergamotto.
Cenni di botanica Il limone, specie Citrus limon, tipica pianta dei paesi con clima subtropicale e temperato, originario dell’India e dell’Indocina, appartiene alla famiglia delle Rutacee sottogruppo delle Aurantiacee. Botanicamente il frutto è un esperidio, cioè una bacca con polpa succosa divisa in spicchi contenenti vescicole e semi. È costituito dal pericarpo che comprende la parte esterna e colorata della buccia, detta flavedo che ospita una notevole quantità di ghiandole oleifere olegene da cui si estraggono le essenze, e quella interna e bianca detta albedo; la parte interna del frutto, l’endocarpo, è costituita dalla polpa e dai semi. È una pianta sempreverde con frutti di forma allungata e di colore giallo rivestiti da una buccia porosa e molto aromatica, il cui spessore oscilla tra 0,5 cm e 1 cm. Sotto il profilo colturale la pianta di limone è molto più esigente dell’arancio e del mandarino e per questo motivo è meno diffusa e più rara, ma proprio per questo è anche molto pregiata. È sensibile al gelo e alle basse temperature, scarsamente resistente alla siccità e molto sensibile al vento. Predilige terreni di medio impasto, ricchi di sostanza organica, ma con una di-
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screta percentuale di sabbia e argilla per permettere una buona ossigenazione, una facile penetrazione delle radici e dei nutrienti, una buona circolazione idrica e di conseguenza un buon drenaggio perché il limone, non gradisce neanche l’eccessiva umidità. La pianta ha la capacità di dare fiori e frutti più volte in un anno che vengono catalogati in funzione del momento di raccolta in “primofiore” o “invernali” (raccolti da fine ottobre ad aprile), “bianchetti” (da maggio a giugno) e “verdelli” (da agosto a ottobre). Questa caratteristica, che rende il limone rifiorente, è importante da un punto di vista commerciale, in quanto serve ad equilibrare la produzione nelle varie stagioni.
Figura 1. Limoni di Rocca Imperiale.
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Il succo: composizione e sue caratteristiche
Figura 2. Limoni di Rocca Imperiale (raccolta: febbraio 2008).
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La polpa è la parte interna commestibile da cui si estrae il succo. I limoni fanno parte della frutta cosiddetta “acidula”; e sono poco calorici: circa 100 grammi di limoni forniscono 11 calorie. Il frutto però non è tanto consumato come tale, ma molto diffuso è il suo succo, considerato dissetante; ma anche ottimo aromatizzante usato in pasticceria,è ricco di acido citrico che è un normale componente degli organismi viventi e partecipa ai processi metabolici cellulari ed è fondamentale per il ricambio energetico delle stesse. In un succo di limone riscontriamo circa il 5-6% di acido citrico. Questo acido è utilizzato nell’industria alimentare come acidificante e conservante. La sua presenza può essere individuata facilmente in etichetta in quanto la sua sigla è E330. L’acido citrico è stato isolato dal succo di limone verso la fine del 1700, ma solo un secolo dopo (quindi a fine 1800) è stata chiarita la sua costituzione. In Sicilia si produceva l’agrocotto, liquido scuro ottenuto per concentrazione del succo di limone contenente circa il 40% di acido citrico. All’inizio del XX secolo l’Italia, e soprattutto la Sicilia, era il più grande produttore di citrato di calcio (base per la produzione di acido citrico). L’acido citrico trova impiego nelle bevande alcoliche e in svariati prodotti alimentari, nell’industria farmaceutica, in tintoria, ecc. Il processo per ottenerlo è il cosiddetto processo Scheele, dal nome del chimico che per la prima volta, nel 1784, lo ha applicato. Le proprietà del succo sono note a tutti; ha caratteristiche astringenti, abbassa la pressione arteriosa, riduce il tasso di zuccheri nel sangue soprattutto negli iperglicemici ed ha un effetto alcalinizzante nonché depurativo su tutto l’organismo; impedisce la formazione di acido urico; ha azione tonificante per il suo contenuto in vitamine e sali minerali; i citrati di sodio e di potassio con la loro azione fluidificante, favoriscono la circolazione del sangue apportando così alle cellule più sostanze nutritive; riduce i livelli del colesterolo e grazie alle sue proprietà antisettiche cura il mal di gola e il raffreddore anche per la presenza della vitamina C. Contiene anche un discreto quantitativo di vitamine del gruppo B e di vitamine PP. Oltre un secolo fa, le ricerche sullo scorbuto dimostrarono che un apporto regolare di succo di limone alleviava e curava la malattia. Fu scoperto più tardi che il fattore terapeutico del succo era la vitamina C. Ma quando fu possibile produrla sinteticamente ci si rese conto che da sola non eliminava tutti i sintomi della malattia e, in particolare, la fragilità capillare. Infatti, intorno agli anni trenta si scoprì un altro importante gruppo di molecole aventi un ruolo altrettan-
to determinante, i flavonoidi. Queste molecole appartengono ad un importante gruppo di pigmenti vegetali e presentano struttura chimica simile alle antocianine. Tali molecole hanno anche proprietà antinfiammatorie e combattono la presenza dei radicali liberi; sono contenuti prevalentemente nelle scorze. In definitiva appare chiara che, a rendere tali prodotti così efficaci, non è la semplice presenza di tali sostanze, ma il loro equilibrio e la loro armonia che attiva un’interazione e quindi un’efficacia. L’industria agrumaria fino a tempi relativamente recenti era esclusivamente orientata nella produzione dell’acido citrico e solo ultimamente si è verificato uno sviluppo dell’industria dei succhi, anche grazie alla consapevolezza acquisita riguardo alle loro proprietà da un punto di vista alimentare e vitaminico e anche per la capacità dell’industria di preparare prodotti ad alto livello qualitativo che soddisfano il gusto e rispettano le caratteristiche organolettiche della materia prima. Schematicamente il succo si ottiene dalla rottura delle cellule in cui è contenuto facendo passare i frutti tagliati a metà attraverso apposite macchine del tipo birillatrici. In Calabria il frutto del limone viene commercializzato, prevalentemente, tal quale e quindi si applicano i regolamenti atti a definire le caratteristiche qualitative minime che gli agrumi in generale devono presentare, dopo il condizionamento e l’imballaggio, e cioè il grado di maturazione, la giusta colorazione e la qualità del succo. In base a tali regolamenti vengono classificati secondo l’aspetto e il calibro che deve essere il più possibile omogeneo. Esiste però anche un’attività di tipo industriale, che per la verità potrebbe essere ben potenziata, che produce dei semilavorati, utilizzati in un secondo momento, da aziende per la produzione delle bibite. Il succo di prima spremitura viene quasi sempre preriscaldato a 60°C per favorire il processo di depolpazione quindi, raffinato e infine pastorizzato a 85-90°C per pochissimi secondi. La pastorizzazione è importante in quanto serve, oltre ad evitare eventuali fenomeni fermentativi, anche ad inibire gli enzimi termolabili, come la pectinesterasi, che in caso contrario renderebbero, per la loro attività, troppo limpido il succo. Una volta pastorizzato il succo viene stoccato in silos a 20°C e poi concentrato. La tecnica della concentrazione favorisce molto l’industria alimentare in quanto diminuisce notevolmente il volume del prodotto con conseguenti minori spese da parte dell’azienda consentendo loro di lavorare dei semiprodotti che possono essere successivamente ricostituiti. Le concentrazioni tipiche oscillano, per le arance e i mandarini, intorno al 60-63% e non superano mai il 65%, per evitare l’imbrunimento del succo. Il succo di limone viene concentrato al massimo fino al 40%, limite oltre il quale si presenterebbe troppo nero. La materia prima deve essere
Figura 3. Limoni di Rocca Imperiale (raccolta: febbraio 2008).
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idonea alla lavorazione, quindi è necessario che i frutti abbiano raggiunto un sufficiente grado di maturazione, siano integri e adatti a subire la trasformazione. Un frutto si ritiene che abbia raggiunto la giusta maturazione quando il suo contenuto in zuccheri, sostanze aromatiche e acidi è tale da renderlo accettabile al gusto. Normalmente vi è un rapporto tra grado di maturazione e massimo contenuto nel succo di zuccheri e sostanze aromatiche, mentre è proporzionalmente inferiore il contenuto in acidi. Per le arance e i mandarini, il grado di maturazione viene riferito al rapporto solidi solubili/acidità; per i limoni questa formula non va bene dato l’elevato contenuto di acido citrico rispetto agli zuccheri. Inoltre si presume che tale rapporto non vari con la maturazione, ma, anzi, è probabile che aumenti, per quanto i dati su questo punto siano scarsi e non del tutto convincenti. Sono ancora in corso studi per valutare una correlazione tra la maturità del frutto e l’analisi accurata dei vari composti aromatici volatili presenti.
L’olio essenziale del limone Importante derivato agrumario è l’essenza o l’olio essenziale che viene estratto dalle bucce degli agrumi. L’olio essenziale del limone è molto pregiato perché più deteriorabile degli altri con una stabilità che non supera i 7/8 mesi. Ha l’aspetto di un liquido mobile di colore giallo oro, alcune volte tendente al verdastro, soprattutto se di recente produzione. Possiede un caratteristico profumo fresco e gradevole e un sapore piacevolmente aromatico con un retrogusto tendente all’amarognolo. Alla luce e all’aria si altera con molta facilità intorbidandosi con la formazione di residui resinosi insolubili che ne alterano la qualità. Per 1 kg. di essenza occorrono circa 2000 frutti, che corrispondono più o meno a 2 quintali. L’olio essenziale del limone, composto prevalentemente da d-limonene, viene usato sia per l’industria alimentare che per l’industria farmaceutica e cosmetica. Un olio essenziale di ulteriore pregio, con una resa aromatica ben 15 volte superiore al “normale” è l’olio deterpenato, cioè privato degli idrocarburi terpenici, da non confondere con l’olio desesquiterpenato, cioè senza idrocarburi aromatici. I terpeni e i sesquiterpeni sono dei composti idrocarburici responsabili del profumo delle essenze che vengono eliminati nel processo di estrazione in maniera differente. L’essenza del limone immagazzinata deve essere conservata in locali oscurati e freschi (10-12°C) e se la conservazione dovesse protrarsi, proprio per la facilità a perdere stabilità, sarà necessaria una chiusura perfetta del recipiente meglio ancora se sotto vuoto.
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Cenni sui canditi Altri derivati dell’industria agrumaria sono i canditi. La canditura per definizione è un lento assorbimento di zucchero da parte dei frutti in modo che la saturazione ne impedisca l’alterazione biologica. Tale metodica di conservazione era nota sin dai tempi dei Romani, tant’è che si legge di fichi e pesche immersi nel miele e nel vino in modo da poterli conservare e consumare nel tempo. Tale processo ha avuto ovviamente un’accelerazione in seguito alla scoperta del glucosio, tant’è che ora si parla di una vera e propria attività industriale. Le bucce dei limoni e degli agrumi in genere sotto forma di tondini o di cubetti sottoposti a canditura devono apparire di giusta consistenza e con la superficie compatta e non screpolata; devono essere esenti da impurità e non presentare odori sgradevoli né sapori forti. La canditura si effettua sia su frutta fresca che su frutta conservata in salamoia. Si preferisce sempre la frutta fresca per garantire il profumo del frutto originario. Fresca o conservata in ogni caso la frutta deve essere sottoposta ad un’accurata cernita per eliminare frutti acerbi o troppo maturi, o con difetti tali da alterare il prodotto finito. Inoltre devono essere osservateattentamente le pezzature in modo da riunire nella stessa partita i frutti della stessa dimensione e caratteristica. Le bucce attraverso una serie di processi termici subiscono un’immersione in una soluzione zuccherina, (nel caso dovessero derivare da frutta in salamoia devono essere sottoposte ad una notevole quantità di lavaggi in acqua corrente e quindi ad una serie di sbollentature che variano a seconda del grado di amaro presente nelle bucce) per un periodo più o meno prolungato e quindi dopo un’ulteriore bollitura scolate ed essiccate in appositi graticci in corrente d’aria calda. I contenitori devono essere a chiusura ermetica per evitare, in questa fase determinante, la presenza di umidità e per ottenere un prodotto di ottima qualità.
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del Consorzio di Tutela e Valorizzazione Le qualità salutari del limone | adelcuraLimone di Rocca Imperiale
(Citrus limon – L. Burm.F.)
Generalità Albedo
Il limone, della famiglia delle Rutacee, è una pianta arborea orientale, sempreverde, con rami spinosi e foglie ampie. I frutti presentano diverse forme ed manano un odore intensamente aromatico. Vive in zone temperato-calde, non sopporta gli sbalzi di temperatura e le gelate. Gli antichi autori romani lo ricordano come prezioso alimento e medicamento per le sue notevoli qualità; i marinai lo apprezzavano per le proprietà antiscorbutiche e lo utilizzavano in grandi quantità a bordo delle navi. Tramite i viaggi per mare il frutto fu introdotto nei paesi dell’Europa, scambiandolo con merci pregiate e addirittura con oro. Oggi è ampiamente impiegato in campo alimentare, cosmetico, farmaceutico e come aromatizzante. La scorza, aromatica e antisettica, contiene un olio essenziale ad alta percentuale di limonene, presente nelle ghiandole oleifere dell’epicarpo (flavedo) di colore giallo; la parte bianca interna (albedo) è costituita per lo più da sostanze cellulosiche e pectiche; la polpa, da cui si estrae il succo, ha un’alta concentrazione in vitamine: C, B (B1-B2-B3) e PP. Il flavedo è costituito principalmente da materiale cellulosico e contiene altri componenti quali: A. oli essenziali terpeni, sesquiterpeni alifatici e derivati ossigenati terpeni e sesquiterpeni biciclici composti alifatici non terpenici idrocarburi aromatici esteri contenenti azoto B. costituenti del residuo non volatile dell’olio essenziale cere paraffiniche steroidi e triterpenoidi acidi grassi cumarine, psoraleni e flavoni C. componenti accessori pigmenti (carotenoidi, clorofille, flavonoidi) principi amari (limonina) enzimi (ossido riduttori, proteolitici, acetil-esterasi, fosfatasi, enzimi pectici)
Flavedo
Pericarpo
Endocarpo
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L’albedo risulta anch’esso costituito principalmente da materiale cellulosico oltre che da: A. sostanze pectiche pectina protopectina acido pectico acidi pectinici B. componenti accessori principi amari (limonina) enzimi (ossido riduttori, proteolitici, acetil-esterasi, fosfatasi, enzimi pectici) La struttura della polpa risulta costituita da materiale cellulosico, mentre il succo contiene: carboidrati (mono e disaccaridi) acidi organici (acido citrico e malico) costituenti azotati (proteine, peptidi, amminoacidi) costituenti inorganici (ceneri) vitamine (vitamina C) aromi volatili (alcol etilico, acetone, acetaldeide, acido formico, etc..) pigmenti (carotenoidi, clorofille, flavonoidi) I semi sono costituiti da materiale cellulosico con presenza di: proteine grezze oli
Proprietà curative e principi attivi Il frutto di limone è utilizzato in ogni sua parte, in svariati modi e con diverse finalità. Gli antichi dotti in medicina proponevano la “cura di limoni” per combattere reumatismi e artrite e consigliavano il limone per guarire ferite, influenze e tutte le infezioni, per contrastare la gastrite, prevenire l’ulcera e aiutare la digestione. Efficace nelle bronchiti acute e croniche e in varie affezioni dell’apparato urogenitale e della cavità orale, nonché della pelle, in particolare nelle efelidi, macchie bruno scure e negli eritemi solari. In forti quantità è utile per la gotta e il reumatismo. È un ottimo schiarente, astringente, detergente e purificante dell’organismo. Il succo del limone, inoltre, è ricco di acido citrico. È un efficace digestivo, soprattutto se diluito in acqua calda o un disinfettante, in quanto aiuta
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a prevenire il formarsi di batteri. È indicato per abbassare la pressione arteriosa; è un calmante e tonificante del sistema nervoso. Questi ultimi effetti sono dati in particolar modo dalle foglie, calmanti e antispasmodiche, consigliate a chi soffre di insonnia, nervosismo, palpitazioni, mal di testa o asma. Sono inoltre sudorifere, indicate perciò in caso di febbre, e vermifughe cioè in grado di espellere i vermi parassiti dell’intestino. Anche la corteccia, come le foglie è sudorifera e vermifuga. Il flavedo esercita un’azione tonificante sull’apparato digerente e si raccomanda a chi soffre di inappetenza e di difficoltà digestive. Il succo di limone contiene vitamine B1, B2 e C (50 mg ogni 100g di succo), sali minerali (specialmente di potassio), oligoelementi, zuccheri, mucillagini, acidi organici (citrico, malico, acetico e formico) e flavonoidi (esperidina). Le proprietà che gli si attribuiscono sono molte, ma ne ricorderemo solo alcune: Antiscorbutica: è la proprietà più importante del limone ed è dovuta alla vitamina C. L’effetto antiscorbutico del limone è molto marcato, grazie all’equilibrata composizione di sali minerali e di acidi organici. Tonificante: per il suo contenuto in vitamine, sali minerali e acidi, il limone stimola l’attività degli organi digerenti e rivitalizza tutto l’organismo. Alcalinizzante e depurativo: il limone ha un effetto alcalinizzante su tutto l’organismo e fa bene soprattutto a chi segue una dieta ricca di carne e di proteine che producono residui acidi in eccesso, come l’acido urico. Solvente di calcoli renali: i citrati (sali di acido citrico) contenuti nel succo di limone e specialmente il citrato di potassio, impediscono la formazione dei calcoli renali e ne facilitano lo scioglimento. Capillaroprotettrice e venotica: il limone, grazie al suo alto contenuto di glucosidi come l’esperidina e la diosmina e di flavonoidi, rafforza i vasi capillari e migliora la circolazione venosa. Particolarmente consigliato agli ipertesi. Antisettica: la proprietà battericida del limone è stata dimostrata in numerosi casi, talvolta eclatanti, come quello dell’epidemia di colera che colpì il Venezuela nel 1855 e che venne poi domata proprio grazie ad un massiccio consumo di limoni da parte della popolazione. In applicazioni locali il succo di limone è molto efficace contro le tonsilliti e le faringiti; è anche un potente antisettico per ogni tipo di ferite e di ulcere cutanee. Cosmetica: il succo di limone ammorbidisce e idrata la pelle, rafforza le unghie che tendono a sfaldarsi, rende lucidi i capelli e fa diminuire la forfora.
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Impieghi fitoterapici Il limone con i suoi profumi mediterranei e solari è sempre stato di casa nella medicina indiana ayurvedica dai cui testi sono tratte le seguenti applicazioni mediche: Per l’acidità di stomaco: dopo le attività di sintonizzazione del mattino, bere il succo di un limone in un bicchiere di acqua tiepida, aggiungendo eventualmente un pizzico di sale nero. Per disturbi di digestione: bere il succo di un limone in un bicchiere di acqua tiepida con un pizzico di sale nero o di pepe nero appena macinato Per ogni tipo di nausea: tagliare un limone a metà e scaldare le due metà con la superficie aperta sulla padella rovente finché il succo all’interno del frutto inizia a bollire. Aggiungere una spruzzata di sale su una metà e di zucchero sull’altra e succhiarle entrambe. Per la diarrea: scaldare il succo di un limone fino a farlo diventare tiepido. Aggiungere il succo di un altro limone appena spremuto e un pizzico di pepe nero. Bere immediatamente. Per gravi condizioni di gastrite: riempire una brocca di vetro o di terracotta con limoni freschi interi, in precedenza lavati con acqua calda e asciugati con un telo pulito. Coprire completamente i limoni con sale cristallino salgemma, chiudere bene e mettere alla luce diretta del sole per quaranta giorni, mescolando ogni giorno con un cucchiaio di legno pulito a perfettamente asciutto. Trascorsi i quaranta giorni si possono togliere i limoni dalla brocca e dopo lavati, porli in un vaso pulito pieno di miele, fino a coprirli. Consumare un quarto di limone quattro volte al giorno fino al miglioramento. Rimedio contro la febbre: prendere due limoni di buona qualità (noi consigliamo quelli di Rocca Imperiale), lavarli, pulirli, tagliarli a pezzettini senza sbucciarli e frullarli con un po’ d’acqua; quando saranno ben frullati, aggiungere quattro cucchiai di miele e altra acqua fino a raggiungere i due litri; colare e bere a piacere durante l’arco della giornata. Per gotta, reumatismo, artrite e per carenza di vitamina C: spremere uno o due limoni e diluirli con molta acqua, bere a tratti durante la giornata, per quattro settimane. Come antisettico della pelle e della cavità orale: succo puro di un limone o diluito con poca acqua, fare sciacqui, lavaggi e gargarismi. Lentiggini: al mattino e alla sera frizionare con rondelle di limone. Lasciare 30 minuti. Lavare.
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Vene varicose: applicare succo puro di limone sulle vene varicose, al mattino e alla sera. Herpes simplex: applicare ripetutamente durante la giornata succo puro di limone. Bevanda calmante: bollire la buccia di un limone in un po’ d’acqua e aggiungere del miele. Contro la dissenteria: aggiungere qualche goccia di limone nel caffè. Contro l’influenza: lasciare in infusione per un quarto d’ora circa 10 gr di scorza di limone seccata al forno e polverizzata con l’aggiunta di 100 gr di acqua. Contro la cefalea: 9 gocce di limone nel caffè calmano la cefalea all’esordio, mentre un cucchiaino di suco di limone può essere incluso nelle terapie di fondo della cefalea stessa. Masticare i semi: gli acidi grassi polinsaturi vi aiutano a mantenervi giovani.
Cure per il corpo In cosmetica, il succo del limone è spesso usato nella preparazione di pomate e creme, in particolare per le mani e le macchie solari. Capelli, dopo lo shampoo: il succo di un limone nell’acqua dell’ultimo risciacquo rende i capelli luci e soffici. Efelidi: succo di limone puro (pelle grassa), oppure il 50% di succo di limone e acqua (pelle secca). Agitare. Fare impacchi con pezzuole di lino. Tempo: 25 minuti. Lavare con abbondante acqua tiepida. Viso: una crema efficace per il viso e la pelle in genere; si ottiene miscelando in parti uguali succo di limone e glicerina. È un buon ammorbidente. Dona alla pelle un effetto delicato e fresco. Contorno occhi: fare spugnature di alcune gocce di limone disciolte in acqua tiepida, ripetutamente per qualche minuto. Contro la forfora: dopo avere accuratamente lavato i capelli, risciacquare con acqua tiepida nella quale sia stato versato il succo di due limoni. Comedoni: posare sui comedoni delle rondelle succose di limone per dieci minuti. Maschera di bellezza: - (per pelle grassa e acneica – pori dilatati): mescolare bene la polpa di un limone e di una arancia. Spalmare. Lasciarla sulla pelle per circa un’ora. Lavare con acqua tiepida.
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(per la bellezza delle mani): dopo avere terminato i lavori domestici, in poco miele di acacia aggiungere gocce di limone. Mescolare. Spalmare. Tempo: un’ora o più. Lavare. Detergente di pulizia (pelle grassa): a giorni alterni, detergere con succo di limone in poca acqua. Lasciare per tutta notte. Al mattino lavare con acqua più che tiepida. Sapone al limone: - ingredienti: il succo di un limone, grammi 30 di glicerina, 340 g. di sapone di base finemente grattugiato, scorza grattugiata di un limone, alcune gocce di essenza di limone. - metodo di preparazione: spremere un limone molto succoso, filtrare. Pesare il succo. Aggiungere acqua fino a raggiungere il peso di 255 g. Sul fornellino, a fuoco lento, sciogliere il liquido insieme al sapone di base. Aggiungere la glicerina, la scorza del limone e l’essenza, mescolando con cura. Versare nello stampo desiderato. Lasciare raffreddare. Acqua di colonia: in 125 ml di acqua aggiungere 50 ml di alcool etilico a 95°. Agitare. Aggiungervi alcune gocce di olio essenziale di limone e una di lavanda. Tappare ermeticamente. Per il bagno: sotto la doccia o prima di immergersi nella vasca da bagno, fare energiche spugnature con acqua e succo di limone per tutto il corpo. Dà un senso di freschezza, tono e vitalità, ristabilendo il giusto pH. Bagno rigenerante – 10 gocce di olio essenziale di limone e 10 di olio di lavanda, da versare nella vasca da bagno piena d’acqua e immergersi. Cura depurante – Bere il succo di mezzo limone per 2 giorni, poi aumentare di un limone al giorno, fino a raggiungere i sei limoni, poi decrescere fino ad uno. Contro i foruncoli: spremere il suco di un limone e passarlo sulla pelle. Massaggiare.
Usi domestici Una buona igiene personale permette di evitare eventuali piccole infezioni o infiammazioni, ma la pulizia dell’ambiente in cui viviamo e agiamo, può fare anche di più. I metodi naturali tramandatici dalle nostre nonne hanno nella loro ricetta quasi sempre il limone come ingrediente base o addirittura unico. Sapone per piatti: 200 gr sale, 100 gr aceto bianco, 3 limoni, 400 gr di
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acqua. Frullare sale e limoni, aggiungere acqua e aceto, far bollire x 15 minuti; per ottenere consistenza cremosa dare una passata a fine cottura con frullatore ad immersione. Pulizia del bagno: strofinare i sanitari con del succo di limone per smacchiarli. Per le macchie più ostinate, usare un impasto di succo di limone e acido borico. Il limone è un buon tarmicida naturale: basta appendere negli armadi qualche sacchetto di tela contenente scorze secche di limone per tenere lontani questi insetti. Per rimettere a nuovo una spugna: per salvare una spugna, imbevetela con del succo di limone, poi risciacquate a fondo. Tasti del pianoforte: strofinare i tasti del pianoforte con una pasta formata da due parti di sale e una di limone. Togliere l’impasto con un panno umido e asciugare. Deodorante per la cucina: per eliminare l’odore del pesce dopo averlo cucinato mettere un limone aperto nel forno a 250°C per 15 minuti, lasciando lo sportello leggermente aperto.
In cucina Per conservare le mele: per evitare che le mele tagliate a fette diventino scure per l’ossidazione, cospargerle con del succo di limone. Questo vale anche per carciofi e altri ortaggi che inscuriscono al contatto con l’aria quando sono tagliati a metà. Per ravvivare e pulire le foglie di lattuga: se l’insalata ha l’aria sofferente e un po’ appassita, immergerla in acqua con un po’ di succo di limone, poi metterla in frigorifero per un’ora. Come dissetante e aromatizzante: aggiungere una rondella succosa e profumata di limone di Rocca Imperiale su tè e tisane. La limonata: non è soltanto una bevanda dissetante, ma anche corroborante (aiuta a rinvigorire e tonificare il fisico in salute e in malattia). Generalmente si ricorre alla limonata in caso di vomito, avitaminosi, perdita o dispersione di liquidi vitali. La limonata introduce nel nostro organismo acido citrico, sostanze azotate, zuccheri e sali minerali (magnesio, potassio, sodio, cloro, zolfo, calcio, fosforo e ferro), olio essenziale aromatizzante e vitamina C.
Limoneti di Rocca Imperiale.
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Ricette al “limone di Rocca Imperiale” Il frutto del limone è da sempre utilizzato in cucina per il suo caratteristico aroma, che trasferisce ai piatti un tocco di freschezza e solarità. Il succo rappresenta un elemento fondamentale per la preparazione di ricette tradizionali del Sud d’Italia, mentre la scorza grattugiata viene utilizzata nella realizzazione dei dolci. Anche nella cucina moderna gli chef non possono fare a meno di adoperare le numerose qualità del limone. D’estate diviene la base per le più semplici o raffinate bevande dissetanti come le mediterranee granite o i cocktail più esotici. In questa sezione sono raccolte, a partire dalla tradizione, le migliori ricette che vedono protagonista il limone di Rocca Imperiale, utilizzando ciò che di più buono il territorio ci offre: dagli antipasti e i primi, ai secondi di carne e pesce, senza dimenticare i dessert e la frutta. I diversi ingredienti scelti, ad arte, sono stati armoniosamente combinati dalle mani dello chef. Sono veramente pochi, nella cucina italiana, i piatti in cui il limone non viene utilizzato ed è particolarmente consigliato per neutralizzare sali e grassi. Comune è l’uso del succo di limone su carni e pesce. I due alimenti, non facili da accostare, possono essere presenti in uno stesso menù se come intermezzo viene utilizzato il sorbetto al limone. Infine, notevole è la produzione di dolci che nella loro preparazione prevedono una scorza di limone grattugiata, dal sapore intenso e durevole.
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Ricetta al “limone di Rocca Imperiale”
Cestini di gamberetti Ingredienti
Preparazione
400 gr di gamberetti sgusciati 4 limoni biologici di Rocca Imperiale Un cucchiaino di prezzemolo tritato Un cucchiaio di Worcester Olio extravergine d’oliva, sale e pepe nero
In un tegame lessate appena i gamberetti. In una ciotola mescolate l’olio, il succo di un limone, il prezzemolo, il Worcester, il sale ed il pepe nero. Quindi amalgamate bene il tutto ed unite i gamberetti. Lavate i limoni e formate con ognuno dei piccoli cestini avendo cura di levare la polpa interna con uno scavino. Riempite i cestini con i gamberetti e versatevi sopra uno o due cucchiai di condimento. Tenete in frigorifero fino al momento di servire.
Per 4 persone
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Ricetta al “limone di Rocca Imperiale”
Rotolini di prosciutto Ingredienti
Preparazione
2 fettine di prosciutto crudo dolce 2 fette di pancarré 80 gr di Philadelphia Un limone biologico di Rocca Imperiale Prezzemolo e peperoncino
Lavorate bene la Philadelphia, il pancarré privato della crosta ed il prezzemolo, fino ad ottenere un composto cremoso ed omogeneo. Spalmate il composto ottenuto sulle fette di prosciutto. Arrotolatele e con un coltello liscio e sottile tagliate dei rotolini. Disponeteli su di un piatto da portata e guarniteli con la scorza del limone, il peperoncino tagliato a rondelline e con dei cubetti di polpa di limone.
Per 4 persone
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Ricetta al â&#x20AC;&#x153;limone di Rocca Imperialeâ&#x20AC;?
Spaghetti al limone Ingredienti
Preparazione
350 gr di spaghetti 1 limone biologico di Rocca Imperiale Una noce di burro Uno scalogno Una tazza di brodo vegetale Un cucchiaino di maizena Olio extravergine dâ&#x20AC;&#x2122;oliva, sale e pepe
In una casseruola spennellata di olio fate imbiondire lo scalogno tagliato a fettine sottili nel burro, aggiungete il brodo vegetale e dopo qualche minuto il succo del limone, oltre alla scorza grattugiata dello stesso. Unite la maizena e fatelo restringere a fuoco lento. Lessate gli spaghetti in abbondante acqua salata, scolateli al dente e conditeli con la salsa. Serviteli caldi, guarnendo i piatti con delle striscioline di scorza di limone.
Per 4 persone
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Ricetta al “limone di Rocca Imperiale”
Risotto al limone Ingredienti
Preparazione
400 gr di riso 1 limone 100 gr di panna liquida 1 tuorlo Vino bianco secco Brodo Olio extravergine d’oliva, sale e pepe
Tostate il riso in un paio di cucchiai di olio, poi aggiungete una spruzzatina di vino bianco e, non appena questo sarà evaporato, un mestolo di brodo. Continuate a mescolare e, non appena il primo mestolo sarà stato assorbito, unite un altro mestolo di brodo, proseguendo così finché il riso non avrà raggiunto la giusta cottura. Preparate una salsina emulsionando il tuorlo con la panna e insaporendo con sale, una macinata di pepe fresco e la scorza di mezzo limone grattugiata (solo la parte gialla). Dopo circa 15 minuti di cottura del riso unite il succo e le scorza grattugiata dell’altro mezzo limone. Spegnete con il riso ancora al dente e non troppo asciutto, amalgamate la salsina di panna e fate mantecare per qualche minuto prima di servire cospargendo di prezzemolo grattugiato.
Per 4 persone
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Ricetta al “limone di Rocca Imperiale”
Spigola su letto di limoni Ingredienti
Preparazione
4 spigole di mare 4 limoni biologici di Rocca Imperiale 12 pomodorini ciliegina Vino bianco secco Aglio, prezzemolo, rosmarino Olio extravergine d’oliva, sale e pepe nero
Praticate un taglio sul dorso delle spigole precedentemente eviscerate e lavate. Introducete l’aglio, il prezzemolo, e tre pomodorini per ogni spigola. Farcitele nel ventre con un rametto di rosmarino. Adagiatele su di una teglia da forno, irroratele con l’olio e aggiungete il vino bianco e qualche fetta di limone. Cuocetele a forno preriscaldato per 25 minuti a 200°C. Servitele su di un letto di fettine di limoni.
Per 4 persone
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Ricetta al “limone di Rocca Imperiale”
Bocconcini di merluzzo Ingredienti
Preparazione
800 gr di merluzzo Un limone biologico di Rocca Imperiale Prezzemolo Olio extravergine d’oliva, sale e peperoncino
Immergete il merluzzo intero o a trance in acqua fredda salata e lessatelo per 15 minuti. Sgocciolatelo, spinatelo e ricavate dei bocconcini. Preparate la salsa emulsionando l’olio, il succo del limone il prezzemolo il sale ed il peperoncino. Unitevi i bocconcini di pesce e lasciate riposare per circa mezz’ora. Disponete i bocconcini su di un piatto da portata decorandoli con della scorza di limone grattugiata.
Per 4 persone
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Ricetta al “limone di Rocca Imperiale”
Sorbetto al limone Ingredienti
Preparazione
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3 limoni molto succosi 100 gr di zucchero
Spremete il succo dai limoni e unitelo in una terrina allo zucchero, mescolando con cura. Versate il composto in una vaschetta per il ghiaccio precedentemente raffreddata e ponetela in freezer. Dopo circa un’ora togliete il composto dalla vaschetta e passatelo al frullatore finché non diventa spumoso. Lasciatelo in freezer per circa due ore prima di servire.
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Ricetta al â&#x20AC;&#x153;limone di Rocca Imperialeâ&#x20AC;?
Caramelle di filetto di manzo Ingredienti
Preparazione
8 fettine di filetto di manzo tagliate sottili 4 ciliegine di mozzarella 40 gr di gorgonzola Un limone biologico di Rocca Imperiale Una tazzina di vino bianco secco Prezzemolo Olio extravergine dâ&#x20AC;&#x2122;oliva, farina, sale e pepe
Disponete le fettine di carne su di un piano da lavoro. Infarinatele solo da un lato e conditele dallâ&#x20AC;&#x2122;altro con la mozzarella, il gorgonzola, il sale ed il pepe. Richiudetele formando delle caramelle avendo cura di legarle con dei filetti di scorza di limone. Spennellate di olio un tegame, unitevi il vino bianco ed il succo di limone. Cuocetevi le caramelle a fuoco vivo per 10 minuti. Servitele calde, condendole con la salsa di cottura.
Per 4 persone
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Ricetta al “limone di Rocca Imperiale”
Carpaccio di manzo Ingredienti
Preparazione
350 gr di controfiletto di manzo Un limone biologico di Rocca Imperiale Un cucchiaio di Worcester Olio extravergine d’oliva, sale e pepe
Disponete la carne ben stesa su di un piatto da portata. Unite il succo di limone, l’olio, la salsa Worcester, il sale ed il pepe e lasciatela riposare per almeno un’ora. Tagliate a quadretti la carne, e formate delle piccole torri alternando i quadretti di carne con delle sottilissime fettine di limone
Per 4 persone
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Ricetta al â&#x20AC;&#x153;limone di Rocca Imperialeâ&#x20AC;?
Cannoli di ricotta e limone Ingredienti
Preparazione
4 cialde di cannoli 100 gr di ricotta pecorina 50 gr di zucchero Un cucchiaio di scorza di limone biologico di Rocca Imperiale 30 gr di gocce di cioccolato extra fondente
Amalgamate bene la ricotta con lo zucchero fino ad ottenere un composto soffice ed omogeneo. Unite le gocce di cioccolato e la scorza di limone tagliata a quadretti. Riempite le cialde al momento di servirle e spolverizzatele con dello zucchero a velo.
Per 4 persone
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Ricetta al “limone di Rocca Imperiale”
Margherita di frutta in gelatina di limone Ingredienti
Preparazione
1 arancia 2 kiwi 4 chicchi di uva sultanina 2 limoni biologici di Rocca Imperiale 200 gr di zucchero
Pelate a vivo l’arancia e tagliate quattro fette dallo spessore di circa ½ cm. Eliminate alcuni spicchi così avrete delle margherite. Al centro di ognuna adagiatevi un chicco di uva passa. Posizionatele su dei piatti quadri con un piccolo bordo rialzato. Costruite lo stelo e le foglie con la parte esterna del kiwi dopo averlo pelato. Infine disponete alcune fettine della parte interna del kiwi per riprodurre il terreno. Decorate con mezza fettina di limone alla base. Preparate la gelatina: fate sciogliere lo zucchero in una casseruola unite il succo dei limoni e portate ad ebollizione mescolando a fuoco basso. A questo punto chiudete la fiamma e lasciate raffreddare. Versate la gelatina tiepida sulle margherite di frutta. Riponetele in frigo per almeno due ore prima di servirle.
Per 4 persone
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Ricetta al â&#x20AC;&#x153;limone di Rocca Imperialeâ&#x20AC;?
Torta al limone Ingredienti
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50 gr di zucchero di canna 125 gr di latte condensato 200 gr di panna montata 25 gr di buccia di limone 25 gr di succo di limone 300 gr di biscotti integrali 100 gr di burro
Base
Sbriciolate finalmente i biscotti. In un tegame sciogliete il burro e aggiungete i biscotti e lo zucchero di canna mescolando accuratamente. Versate il biscotto in una tortiera per crostata facendolo aderire al fondo e ai bordi laterali. Infornate per circa cinque minuti a 180°: sfornate e lasciate raffreddare.
Crema
Grattugiate i limoni biologici di Rocca Imperiale e spremete il succo. Montata la panna, aggiungete il latte condensato, la buccia e il succo di limone, mescolando accuratamente; infine versate sulla base del biscotto. Conservate in frigo per almeno due ore prima di servire.
Ricetta al “limone di Rocca Imperiale”
Ciambella al limone | di Maria Sturino Ingredienti
Ingredienti
Preparazione
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4 uova 2 bicchieri di zucchero 1 bicchiere di latte 1 bicchiere di olio 3 bicchieri di farina 1 bicchiere di frumina Scorza grattugiata di un limone Succo di un limone 1 bustina di lievito
Per la glassa al limone 300 gr di zucchero a velo Succo di limone o limoncello
Sbattete le uova con il frullatore e aggiungete tutti gli ingredienti in ordine come elencati sopra fino ad ottenere un impasto omogeneo. Mettete in forno preriscaldato a 180° per circa un’ora. Per la glassa: sbattete lo zucchero a velo con il succo di limone.
Ricetta al “limone di Rocca Imperiale”
Banane al limone | Ingredienti
Preparazione
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di Giulia Alfano
Banane Limoncello di Rocca Imperiale Zucchero di canna Cacao Limoni di Rocca Imperiale
Dividete in due parti le banane (possibilmente piccole), versate sopra un po’ di limoncello di Rocca Imperiale, un po’ di zucchero di canna, una spolveratina di cacao ed infine buccia grattugiata di limone; naturalmente di Rocca Imperiale.
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Attorno ai limoni nell’arte italiana e alcune osservazioni sulla simbologia |
di Giorgio Leone
“… amore amore di tante stagioni fatto di miele e limoni…” (Renzo Zenobi, Vecchia canzone, 1993)
Cercare tra dipinti e sculture, siano esse statue o rilievi scolpiti o modellati, la raffigurazione del limone, nelle varietà che nel tempo ne hanno caratterizzato la specie ovvero tra gli agrumi della stessa famiglia compresi nel generico lemma latino di citrus, sembra quasi raccogliere i pezzi di un rompicapo. Infatti, se ne scovano moltissime; tuttavia, appunto come nei puzzle, riesce alquanto difficile trovare subito la giusta combinazione degli incastri utile alla definizione della composizione totale, la quale riuscirà finalmente non solo a manifestare l’immagine intera, rilevata e celata nello stesso tempo dai frammenti, fatti di linee spezzate e colori cangianti, ma finanche a rilevare il significato di ognuno degli intarsi. In essi, sin dal principio, si intravede la contiguità delle linee e delle sfumature e quindi, seguendo tali intuìti accostamenti, si creeranno piccoli mucchi di riserva pronti a spandersi nel totale quando i tasselli riescono a incunearsi in modo giusto uno all’altro. Oppure ad ammassarsi di nuovo, se nel corso del gioco un ulteriore pezzo sopraggiunge a completare il disegno con più attinenza di linee e colori e dunque appare più consono a chiudere le lacune, restituendo l’intero e il particolare con più efficacia di immagine e contenuti. La storia del limone è antica, come lo sono le sue prime immagini: sporadiche e non sempre ben riconoscibili perché confondibili con altri simili frutti, per colore e forma. L’agrume, come oramai assodato, arriva in Europa dall’Estremo Oriente, dove cresce spontaneamente. I greci certamente lo conoscevano, essendo il limone probabilmente celato nel mito dei pomi d’oro delle Esperidi, e così anche i romani, nel cui ambito le raffigurazioni del limone più sicure dovrebbero comparire nel primo secolo a.C.: nella Città eterna, precisamente negli affreschi della Villa di Livia a Primaporta, e a Pompei, in alcuni pressoché coevi mosaici e nelle pitture della Casa del frutteto. Il nome col quale oggi l’agrume in argomento è conosciuto, però, compare molto più tardi. Secondo il dizionario etimologico di Ottorino Pianigiani deriva dal-
Pietro Paolo Cennini Decorazione; Secolo XVIII (terzo decennio) Roma, Quirinale (Loggia di Clemente IX)
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Marco Zoppo Madonna col Bambino; 1454-1455 Parigi, Louvre
Giorgio Schiavone Madonna col Bambino; 1455 Torino, Pinacoteca Sabauda
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l’arabo , laimûn, con ulteriore discendenza dal sanscrito e a tal proposito non è affatto inutile indicare la straordinaria ed eloquente somiglianza della parola col cinese , lime. Per molto tempo, questa ricostruita vicenda dell’etimo ha fatto supporre un’introduzione del limone in Occidente per merito degli arabi, attraverso la Sicilia, nel Medioevo. Con l’approfondimento della ricerca, invece, si è giunti a recuperare la storia più antica del frutto e quindi il richiamato apporto islamico, sicuramente tangibile e importante, può essere considerato come una successiva introduzione della coltivazione, comunque nuova, che, intensificando le possibili sopravvivenze, ha dato impulso a una diffusione certamente più estesa e posto le basi dell’intensivo sfruttamento posteriore. Le appena sintetizzate precisazioni storiche sono state permesse dai ritrovamenti archeologici e dalle ricerche letterarie e queste ultime hanno liberato il giusto riferimento al limone, in quanto tale e come oggi conosciuto, dalle comuni e generiche citazioni del citrus tramandate dagli autori classici. Del resto, finanche nella Bibbia, così come tramandata dalla Vulgata, il suo nome attuale non compare mai nonostante vi risulta più volte testimoniato quello del cedro, che, come si sa, è tutt’altra cosa dal limone e nel caso anche dallo stesso frutto del cedro come oggi designato e conosciuto. Infatti, il cedro biblico, il cui legname appare ricordato per ben settantuno volte nell’Antico Testamento, ad altro non rimanda se non al cedro del Libano: pianta senza frutto, perciò ritenuta incontaminata e immarcescibile, dalle supreme simbologie religiose perlopiù legate al Tempio di Salomone e alle virtù della Sposa del Cantico dei Cantici. Nemmeno si conoscono riferimenti diretti del limone nelle lingue europee delle origini, magari una specifica citazione del suo nome in un documento volgare potrebbe aiutare almeno a dirimere la questione di quando esso comincia a distinguersi dal generico e letterario agrumeto dei citri, per iniziare una storia tutta sua, fatta di usi per medicamenti e per ornamenti fino a giungere nelle spezierie alimentari e dolciarie mediterranee. Anche Dante Alighieri non nomina il limone, ma al versetto 117 del diciassettesimo canto del Paradiso lo evoca efficacemente con una bellissima metonimìa che, in base al principio di relazione cui soggiace questa figura retorica, lo richiama attraverso il « sapor di forte agrume » (Paradiso XVII,117). Tale dettaglio, infatti, informa sull’effetto giacché mangiando gli agrumi solo il limone causa forte asprezza al palato. Non solo, la metafora scelta dal Poeta si accorda sagacemente al popolare motto,oggi diffuso soprattutto nel Meridione e col quale si invita a mangiare il limone, per sottolineare sconfitta e invidia, comunque
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Andrea Mantegna Madonna col Bambino e Santi; 1457-1459 scomparto centrale Verona, Chiesa di San Zeno
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Andrea Mantegna Madonna col Bambino e Santi; 1457-1459 Verona, Chiesa di San Zeno
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malanimo, e, per questo, nei versi, maggiormente risalta potente nell’insieme dei contrapposti usati nella coppia di terzine che essa chiude (Paradiso XVII,112117), in quanto il gusto acre del limone è antitetico alla dolcezza degli occhi di Beatrice e alla soavità dei cieli del Paradiso da lui rimirati dopo l’inferno e il purgatorio. Nel gioco degli incastri finora tentati, dove il ricercato agrume compare e scompare, tra mille sfumature di lettura e di tempi, senza mai presentarsi in modo chiaro, ora finalmente si insinua un’immagine: i tre limoni poggiati su un piatto ben in vista tra le vivande del tavolo istoriato nella scena del Banchetto di Erode dei mosaici del Battistero di San Marco a Venezia. Appartiene a un esteso ciclo datato tra il 1343 e il 1354, commissionato da Andrea Dandolo, il colto umanista amico di Petrarca, prima Procuratore di San Marco e poi Doge, e realizzato da un maestro locale attivo su modelli bizantini oramai commisti alla pittura veneziana coeva. Molti brani dell’intera decorazione, però, sono stati rifatti nell’Ottocento e quindi pure stavolta si rimane un po’ interdetti sulla giusta collocazione della recuperata testimonianza. Infatti, anche se il particolare in argomento dovesse attenere a questi restauri è difficile affermare se esso è pura invenzione moderna ovvero se il rifacimento ricalca un’immagine precedente. In ogni modo, nell’attesa di delucidazioni e ritenendo al momento possibile l’ipotesi dell’originalità almeno della presenza, una così apparecchiata ostensione dei limoni spinge alla ricerca di un possibile significato. Benché ci si affanni, però, nulla risulta se non l’ombra di un possibile collegamento con la mensa del re, cioè il limone è ancora un frutto raro e prezioso di cui solo il re può fare uso. Al contrario, è lampante - scintillante come il riverbero del giallo del frutto attorniato dalle foglie verdi sul bianco della tovaglia e i riflessi dell’oro del fondo - il senso dell’apparizione proprio sulla Laguna, la quale appunto all’epoca per l’Italia e l’Europa rappresentava la principale porta verso l’Oriente. Non è un caso, quindi, che una delle prime rappresentazioni del limone nel mondo cristiano si riscontri proprio a Venezia. Nella città e nel territorio a essa nel tempo diversamente appartenente o comunque legato per vicende storiche e influenza culturale, inoltre, per quanto si possa guardare intorno, nella storia dell’arte italiana, le immagini del limone compaiono con una certa frequenza, soprattutto preponderanti tra la seconda metà del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento. Tra questi dipinti, però, sempre in uno sguardo d’insieme, si pone, anche con un leggero anticipo rispetto alle testimonianze più moderne, la bella Annunciazione del Beato Angelico (Guido di Pietro Trosini / Vicchio, 1395 - Roma, 1455), dipinta tra il 1432 e il 1434 e oggi custodita al Prado.
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Domenico Ghirlandaio Ultima cena; 1486 ca. Firenze, Convento di San Marco
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Andrea Mantegna Madonna col Bambino e Santi; 1497 Milano, Museo del Castello Sforzesco
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Il pittore, sullo sfondo della scena principale, ambientata sotto un portico rinascimentale, illustra l’episodio della cacciata dei progenitori dal paradiso terrestre (Gen 3,23-24), realizzando un efficace rimando al cosiddetto “Protovangelo” della Genesi (Gen 3,15), nel quale Dio annuncia il suo piano di Salvezza promettendo la nascita di Cristo da Maria Vergine. Ciò è sintetizzato visivamente dal raggio di luce che collega le due scene, partendo dalla mano divina, dipinta nell’alone in alto a sinistra, e giungendo alla Madonna, accompagnando la Colomba allusiva dello Spirito Santo, l’Autore del purissimo concepimento. Nell’Eden perduto il Beato Angelico, con perizia calligrafica e grande abilità descrittiva, descrive un lussureggiante giardino con alberi in fiore e pieni di frutti e pone tra le piante più in vista proprio un limone. La scelta, sebbene la varietà di frutti e fiori sia una caratteristica iconografica del paradiso terrestre, potrebbe avere altri significati più specifici e compiuti in sé. Infatti, il limone - pianta e frutto -, nel corso del tempo è stato caricato di molti simboli: è allegoria della salvezza, perché ritenuto antivenefico, della fedeltà amorosa, per la caratteristica di fiorire e fruttificare lungo tutto il corso dell’anno, e, specificatamente per l’iconografia religiosa, è un tropo mariano poiché il frutto è gradevole nell’aspetto, dolce nel profumo e ricco di proprietà curative. Tutti questi significati ben si colgono nella tavola dell’Angelico, in quanto il limone, nell’insieme delle piante illustrate, potrebbe alludere alla Redenzione annunciata dall’Eterno, all’Amore di Dio verso l’uomo, di cui l’Incarnazione è la Pro-
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Andrea Mantegna Madonna col Bambino e Santi; 1496 Parigi, Louvre
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messa mantenuta, e, in ultimo, alla Madonna: l’eccelsa creatura - vaso ricolmo di tutti i profumi - attraverso cui il Progetto di Dio si attua e il Paradiso perduto viene riconquistato. Non appare, dunque, nemmeno un caso che la pianta di limone fruttificata sia stata posta vicino al portico, dove tale salvifica promessa si attua attraverso il saluto angelico, anzi si riveste di un alto e mistico simbolismo. Ritornando a Venezia e alla sua area, dove si è detto nel Quattrocento compare il più cospicuo gruppo di raffigurazioni del limone, questo è possibile riconoscerlo, come pianta carica di frutti, al di là delle architetture della Visitazione della Cappella Mascoli nella basilica patriarcale di San Marco a Venezia, realizzata in mosaico da Michele Giambono (Michele Giovanni Bono / Venezia, 1420ca. - 1462) con la collaborazione di Jacopo Bellini (Venezia, 1396 - 1470) negli anni Quaranta del Quattrocento. Tenendo sempre conto delle alterazioni ricevute dai parati musivi marciani nel corso dei secoli, anche qui è possibile cogliere le allusioni alla Salvezza e alla Promessa mantenuta con un esplicito riferimento mariano. La relazione della simbologia del limone con la Beata Vergine diviene più esplicita in altri dipinti veneti in cui il frutto è direttamente associato a lei quasi come un’attribuzione specifica e pertanto, nell’insieme delle allegorie finora dedicatele, offre la possibilità di decifrare un’ulteriore diversa allusione alla sua verginità. Se il limone è simbolo della fedeltà amorosa, in ambito cristiano - e non solo in esso - questa realizza un esplicito rimando alla castità, in quanto manifesta l’unicità dell’affetto verso l’amato. Non solo. La castità, intesa come scelta di concedersi solo all’amato, respinge le insidie degli altri amanti e quindi una delle sue espressioni è la ritrosia verso ogni approccio impuro e disonesto. L’annessione allegorica di tale dote al limone è limpida, perché sebbene il profumo sia allettante il suo sapore acre al contrario respinge il palato, diversamente dal cedro e dall’arancia, dal gusto gradevole, che, viceversa, sono simbolo di prosperità e fecondità. L’accezione potrebbe spiegare meglio la presenza del limone negli encarpi vegetali messi attorno alle immagini della Madonna col Bambino tra Quattrocento e Cinquecento, recuperati alla pittura dall’epocale cultura classica o antiquaria, comunque anche dalla tradizione cortese dove la prerogativa “ritrosia-castitàverginità”, prima rintracciata ed espressa, ben s’attaglia. Uno dei primi dipinti veneziani da ricordare in merito sarebbe la tavola centrale del trittico della sacrestia della chiesa di San Francesco della Vigna a Venezia, realizzata verso il 1455 da Antonio da Negroponte (Venezia, attivo nella secon-
da metà del secolo XV). Il trono della Madonna è un ibrido di riferimenti tardogotici e antiquari, così come il giardino fiorito e popolato di animali amplifica i ricordi internazionali e cortesi del pittore. L’encarpo ad arco posto a corona del trono è ricco di fiori e di frutti, dei quali almeno il colore permette di riconoscere mele, pere, arance e limoni. Risulta chiara, nell’insieme della combinazione, l’allusione alla Salvezza operata attraverso il Sacrificio di Cristo, espresso pure dalle melagrane del giardino retrostante, così come la singola specificità allegorica di ogni frutto. Considerando, però, che ogni simbolo è in sé poliedrico, ognuno di questi frutti, e quindi non solo il limone, potrebbe rimandare contemporaneamente sia alla Madonna sia a Gesù e in definitiva, nell’unione, costruire tropi cristologici e mariologici, giacché della Passione del Figlio la Vergine è compartecipe, come del resto sottintenderebbe l’iconografia del gruppo, col Bambino disteso sulle ginocchia della Madre, ispirata a quella del Vesperbield tedesco molto diffusa nel gotico cortese e a Venezia. Un simile assortimento di frutti contraddistingue anche la tavola della Madonna col Bambino custodita al Louvre, realizzata anch’essa attorno al 1454-1455 da Marco Zoppo (Cento, 1433 - Venezia, 1478), pittore formatosi presso Cosmé Tura e poi legato alla bottega di Francesco Squarcione a Padova, dove acquisì la cultura antiquaria del maestro addolcendola nel tempo verso il colore veneziano. Anche qui il riferimento allegorico è al Sacrificio redentivo di Cristo, viepiù ribadito dalla presenza di un frutto - una pera? - sui libri posti sul davanzale tra angeli musicanti, che è un perspicuo richiamo alle Scritture adempite per opera dello Spirito Santo. Il limone è ancora ravvisabile nella ghirlanda dell’edicola della Madonna col Bambino custodita nella Pinacoteca Sabauda di Torino, opera del 1460 di Giorgio Schiavone (Juraj Culinovic / Scardona, 1433 - Sebenico, 1504), in cui la cultura padovana è più evidente e il simbolismo dei frutti è più esplicito nella doppia presentazione sul vassoio posto sul parapetto. Mele, pere, limoni, ciliegie e fors’anche delle pesche possono esprimere nella totalità la pienezza dei tempi e il Sacrificio salvifico di Cristo ribadito dalla presenza di grappoli d’uva, nonché singolarmente riferirsi rispettivamente alla Redenzione, allo Spirito Santo, alla Vergine e al Paradiso. La varietà dei frutti notata in questi dipinti si ritrova su molte opere di Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 - Mantova, 1506), anch’egli formatosi nella bottega padovana dello Squarcione maturandovi il gusto per la citazione archeologica e antiquaria di cui appunto gli encarpi vegetali ne sono uno dei tratti più appariscenti e contraddistintivi. Nella cosiddetta “Pala di San Zeno”,
Giovan Francesco Caroto Madonna col Bambino e San Giovannino; 1510-1520 Parigi, Louvre
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Raffaello Isaia; 1511 Roma, Chiesa di Sant’Agostino
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capolavoro indiscusso della sua prima attività, realizzata tra il 1457 e il 1459 per committenza di Gregorio Correr, abate della chiesa di Verona, il festone che unisce in alto i tre scomparti, contribuendo a dare l’illusione prospettica della continuità dello spazio e dell’illuminazione reale in quelle dipinte, espone nello scomparto centrale un encarpo con dei limoni. Nella Madonna della Vittoria di Mantova, ora al Louvre, dipinta nel 1496 su committenza di Francesco II Gonzaga come ex-voto della battaglia di Fornovo dell’anno precedente, organizza il Sacro raduno di Santi attorno alla Vergine col Bambino in trono in una grande e monumentale esedra vegetale all’aperto, dove gli encarpi sono colmi di frutti e fiori, abitati da volatili e con un bellissimo ramo di corallo messo al centro appeso a un filo di perle quasi a sintetizzare il vuoto concavo dello spazio. Nella Pala Trivulzio, datata 1497 e ideata per l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria in Organo a Verona, oggi custodita nel Civico Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco di Milano, invece, l’accolita dei Santi e degli angeli attorno alla Vergine col Figlio è ambientata all’aperto e le fronde degli alberi, contornanti la mandorla divina e poste a sfondo dei due gruppi in cui sono sistemati i quattro Santi, recano agrumi di diversa specie, tra cui i limoni. Allo sviluppo della composizione, nel quale si notano le progressive acquisizioni da Donatello, Piero della Francesca e Giambellino, di conseguenza l’apertura verso il modello veneziano della Sacra conversazione, si contrappone la persistenza della simbologia di gusto ancora sincretico-umanista. Sulla varietà degli oggetti - dalle perle alle conchiglie e alle sfere di cristallo -, della vegetazione e dei frutti - dal garofano alle zagare, dall’alloro alle arance, dalle ghiande alle fragole, dai cedri ai limoni -, e dei volatili che, sia singolarmente sia complessivamente, costituiscono efficaci rimandi al Paradiso e al Sacrificio di Cristo - cui è esplicita allusione il corallo - risalta l’allegorismo mariano palesato in special modo dagli agrumi, evocativi specificatamente della Madonna perché portano nel medesimo momento il fiore e il frutto come ella è nello stesso tempo vergine e madre. Oltre che nella produzione del Mantegna, il quale dipinge il limone in tante altre ghirlande e in tanti altri quadri - come per esempio nell’Orazione nell’orto di Tours simboleggiando in modo univoco il Sacrificio redentivo di Cristo e si ricordi pure che il dipinto è parte dlla predella della “Pala di San Zeno”, ovvero nel bellissimo monocromo a tempera su tela con il Sacrificio di Isacco di Vienna di simile significato e prefigurazione, nonché nella celeberrima Camera degli Sposi dove l’agrume tra gli altri elementi simbolici è la metafora della fedeltà amorosa e coniugale -, la frequenza dell’immagine di questo frutto in area veneta è documentata anche nell’arte di Gentile Bellini (Venezia, 1429 ca. -1507 ca.),
precisamente sulle portelle dell’organo di San Marco a Venezia del 1464 circa; di Lazzaro Bastiani (Padova, 1449-1512), nella lunetta votiva di Giovanni degli Angeli nella chiesa di San Donato a Murano; di Francesco Morone (Verona, 1471 ca. - 1529), nell’Annunciazione della Galleria di Palazzo Pitti a Firenze databile agli inizi del Cinquecento; di Gerolamo Dai Libri (Verona, 1474 ca. 1555), nella bellissima tela del 1518 custodita nella National Gallery di Londra, dove l’iconografia della Sant’Anna Metterza si arricchisce di una fiorente pianta di limone, allargata a ventaglio sul retro delle figure con sentori leonardeschi e giorgioneschi ben riconoscibili, a volte scambiati con cedri ma meglio interpretabili con il frutto di cui qui si discute per il simbolismo legato alla fedeltà amorosa, alla purezza e alla verginità espresso dal Sacro terzetto generazionale. Allo stesso modo può essere interpretata la pianta di frutto che circonda la Madonna col Bambino del Louvre attribuita a Giovan Francesco Caroto (Verona, 1480 ca. - 1555 ca.), databile al secondo decennio del Cinquecento. Più complessa la simbologia di un altro dipinto di area veneta custodito nella National Gallery: la tela raffigurante la Madonna col Bambino e San Giovannino realizzata tra il 1514 e il 1518 da Paolo Morando (Verona, 1486 ca. - 1522) detto il Cavazzola. Infatti, l’adolescente Battista in modo alquanto inedito offre a Gesù un limone. Ciò è stato interpretato come simbolo della fedeltà amorosa, comunque del sentimento devoto, ovvero come svezzamento del Bambino. La pluralità dei significati finora intravisti nelle raffigurazioni del limone, invece, permette di aggiungere il rimando al Sacrificio Salvifico di Cristo, trovando quindi una vicinanza alla croce offerta dal piccolo Battista, e alla “castità-verginità”. Non tanto riferita al grembo virginale in cui Gesù fu concepito, quanto piuttosto al Vergine dei Vergini, cioè a lui stesso, e ai moniti sulla vita casta predicati da San Giovanni nel deserto e davanti a Erode. Contemporaneamente le raffigurazioni del limone si intensificano anche nella pittura fiorentina, dove sin dai tempi del Beato Angelico molti sono i frutti gialli che compaiono su dipinti e potrebbero essere interpretati come tali. È ben identificabile, però, nell’Ultima cena dipinta attorno al 1486 da Domenico Ghirlandaio (Firenze, 1449-1494) nel convento di San Marco a Firenze, richiamando simbolicamente il Sacrificio di Gesù, così come il pavone riferendosi all’immortalità la sua Resurrezione. A una più generica ma comunque simile accezione, decifrabile come sacrificio del martire cristiano e come partecipazione all’unico Sacrificio di Cristo, potrebbero rimandare i bellissimi encarpi di limone modellati in terracotta invetriata da Giovanni della Robbia (Firenze, 1469-1529), figlio di Andrea e pronipote di
Gerolamo Dai Libri Madonna col Bambino e Sant’Anna; 1518 Londra, The National Gallery
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Raffaello Decorazione; 1518 ca. Roma, Farnesina (Loggia di Psiche)
Luca, per il San Sebastiano del Louvre e per la Sant’Orsola del Bargello a Firenze. In quest’ultimo, poi, la detta compartecipazione parrebbe rimarcata in senso eucaristico, per la presenza di grappoli d’uva e fiori, sottolineandone i nessi con la resurrezione, per l’intromissione di un ramarro, e la presenza del limone si tinge ancora dell’allusione alla verginità della Santa martire. È sicuramente molto ampio il repertorio delle immagini dei limoni nell’arte italiana del periodo, collazionando i soggetti, i temi e le tipologie ornamentali finora indicate. È proprio in un festone, comunque, che è possibile ritrovare il limone a Roma, in pieno Classicismo. Si tratta della ghirlanda dell’affresco raffigurante Isaia dipinto nel 1511 da Raffaello (Urbino, 1483 - Roma, 1520) sul terzo pilastro della chiesa di Sant’Agostino. Anche qui, la presenza potrebbe rivestirsi di un simbolismo religioso eloquente, giacché nell’esegesi cristiana il Profeta è ritenuto esemplare delle prefigurazioni veterotestamentarie del Sacrificio di Cristo e della Vergine, perciò nell’insieme dei frutti esposti dal festone l’agrume conferma le interpretazioni finora acquisite, senza perciò dimenticare l’importante riferimento stilistico e culturale epocale della decorazione. Proprio nella produzione di Raffaello, comunque, è stata criticamente rintracciata e definita l’evoluzione artistica di un interesse verso tali forme esornative preludente al futuro superamento del semplice ruolo di contorno e cornice della pittura
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figurativa cui erano fino ad allora relegate, diventando preponderante nell’attività di molti dei suoi allievi. Soprattutto di Giovanni da Udine (Giovanni Nanni o Giovanni de’ Ricamatori / Udine, 1487 - Roma, 1564), del quale è assodato l’importante ruolo assunto nella decorazione della Loggia di Psiche alla Farnesina. Qui, tra i numerosi frutti dipinti sarà possibile riconoscere un po’ di limoni, così come sarà facile riconoscerlo in tutte le simili ornamentazioni cinquecentesche: dalle bordure degli arazzi, specialmente su quelle eseguite su cartoni di artisti italiani che presso i fiamminghi la rappresentazione del frutto in argomento è ancora piuttosto rara - per la preziosità dovuta al suo alto costo -, alle pitture di soffitti di intere stanze, come quella realizzata da Cristofano Gherardi (Borgo Sansepolcro, 1508-1556), detto il Doceno, nel Palazzo Vitelli a Sant’Egidio di Città di Castello, dove grossi limoni appaiono vicino a pesci nei festoni stracolmi di ogni frutto e verdura e abitati da molti uccelli. In questo sviluppo risulta interessante il percorso di Giuseppe Arcimboldo (Milano, 1527-1593) con le sue originali “teste composte”, cioè delle vere e proprie grottesche di frutta, verdura e oggetti collegati per metafora al soggetto rappresentato, creando un ritratto a volte visibile per anamorfòsi. Il limone, assieme all’arancia, è utilizzato dal pittore per l’allegoria dell’Inverno della serie delle Quattro stagioni realizzata dal pittore nel 1573 e oggi custodita al Louvre, della quale si coglie l’inedita associazione con le due specie di agrumi forse dovuta alla fioritura e maturazione in più periodi dell’anno e quindi freschi anche nei mesi più rigidi. La piccola e ancora in parte misteriosa Allegoria con Pan del Getty Museum di Los Angeles, dipinta tra il 1529 e il 1532 da Dosso Dossi (Giovanni Luteri / Ferrara, 1487 ca. - 1542), in cui il limone fruttifica su un albero posto proprio in mezzo al gruppo dei protagonisti, separando Pan dalle tre donne. La pianta è stata interpretata come possibile simbolo della fertilità e della fedeltà del sentimento amoroso, ma la prima allusione è senz’altro più pertinente all’arancio e ai suoi fiori e frutti, non a caso utilizzati per le spose, perciò forse sarebbe più ammissibile un significato attinente alla sola fedeltà e alle altre simili allegorie finora rilevate, come quella della castità. L’arcano potrà sciogliersi soltanto quando si giungerà alla corretta interpretazione del soggetto, sebbene se ne possa subito rilevare il riferimento a un contesto oramai profano e letterario. In ogni modo, l’opera, tra tutte le altre cinquecentesche similmente interpretabili e quelle appena prima ricordate afferenti alla decorazione in genere, apre strade nuove per l’utilizzo del limone e della sua simbologia nella pittura italiana. In questa, però, essendo ora giunto il momento di riflettere un po’ sul puzzle che si
Dosso Dossi Allegoria con Pan; 1529-1532 Los Angeles, The J. Paul Getty Museum
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sta componendo, per evitarne almeno lo sfaldamento incastrando altri tasselli, si dovrà annotare da un lato la comparsa del limone nella trattatistica tecnica cinquecentesca, precisamente nel Trattato di Benvenuto Cellini e relativamente ai capitoli dedicati alle oreficerie, precisamente alla pulitura dei suoi prodotti (Cellini 1568, XXXIV, p. 747), e in quella teorica controriformistica, apparendo nel Dialogo degli errori de’ pittori circa l’istorie di Giovanni Andrea Gilio, dove si discute dell’abitudine di alcuni che nell’illustrare paesi come « […] la Moscovia, la Sarmazia, la Gottia, la Grutlandia et altri paesi settentrionali freddissimi, […li dipingono…] pieni di aranci, di cedri, di limoni […] », vale a dire di cose « […] contrarie a la qualità del luogo » (Gilio 1564, pp. 19-20). Dall’altro lato, invece, si deve registrare la mancanza di testimonianze proprio da quelle aree geografiche in cui maggiormente è documentata la coltivazione del limone, vale a dire dal Mezzogiorno continentale e insulare. Ciò risalta ancor di più se, dando uno sguardo alle ricostruite coordinate storiche del paesaggio agrario italiano, i luoghi finora analizzati sono quelli dove la sua diffusione è in ogni modo attestata nei periodi indagati e anche prima, fino addirittura a comprendere l’Alto Garda, dove nel chiostro del convento di San Francesco d’Assisi a Gargnano alcuni capitelli, decorati con forme simili ad agrumi, vengono interpretati come cedri e limoni in ricordo della tradizione locale secondo la quale furono i francescani a introdurre la coltura sul Garda. In Sicilia, poi, nonostante la supposta antica presenza della raffigurazione di agrumi sul mosaico della Sala regia del Palazzo dei Normanni, opera d’età guglielmina con possibili aggiustamenti federiciani, niente sopraggiunge a tal riguardo per i periodi considerati in questa sede, forse perché non inseguito o perché poco noto. Pur considerando le varie illustrazioni di frutta in dipinti cinquecenteschi e secenteschi, perlopiù di destinazione ecclesiastica, una delle prime immagini del limone nell’Isola utile a ripercorrere la conquista locale della ricercata rappresentazione in ambito laico, per quanto conosciuto, risale agli anni Trenta del Seicento, sull’onda della diffusione della pittura di derivazione caravaggesca in cui è stato inserito l’ancora anonimo maestro, suggestivamente denominato “Maestro del fico d’India”, appunto per un suo dipinto con tale frutto, e, in particolare, anche il soggetto del dipinto, pervenuto come sopraporta, che rappresenta due contadini con cesti di ortaggi e pollame. Analogamente a Napoli, dove l’agrume alligna da secoli sulla costiera, generando la tipica varietà dello sfusato, le rappresentazioni più diffuse del limone sono legate alla diffusione della natura morta secentesca. Esso, infatti, oltre a presentarsi sporadicamente su dipinti dell’ultimo Cinquecento
Bernardo Strozzi Vaso di rose e ortensie con tre limoni e ciliege; 1625 ca. Campione d’Italia, Collezione Lodi
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Cristofano Gherardi Decorazione Città di Castello, Palazzo Vitelli a Sant’Egidio
- sostituito a volte al cedro nei simboli litanici della Madonna -, appare con nettezza su molte tele di Luca Forte (Napoli, 1605 ca. - 1670 ante), Giovan Battista (Napoli, 1615-1660) e Giuseppe (Napoli, 1634 - Alicante, 1695) Recco, Giovan Battista Ruoppolo (Napoli, 1629 ca. - 1693) e Tommaso Realfonso (Napoli, 1677-1743). Il particolare soggetto della natura morta, nell’immaginario collettivo divenuto elettivo della cultura napoletana, in realtà, come tutti sanno, è diffuso in tutta Italia e in Europa ancor prima dell’età del Caravaggio, al quale va ascritta se non l’invenzione del ‘genere’, come un tempo si sosteneva, almeno il suo innalzamento a rappresentazione pittorica autonoma. Anche in questo caso gli esempi sono numerosissimi e soltanto a mo’ di esempio, ricalcando la sua estesa propagazione, si possono ricordare la Natura morta di Jacopo da Empoli (Firenze, 1551-1640) della Collezione Molinari Prandelli a Marano di Castenaso; l’altra di Giovan Battista Crescenzi (Roma, 1577 - Madrid, 1635) del North Carolina Museum of Art; la veramente bella Natura morta del lombardo Francesco Codino (noto dal 1621 al 1624) dell’Accademia Carrara a Bergamo, dove l’agrume vi appare in parte diviso a fette; la Natura morta del 1646 di Andrea Benedetti (Parma, 1615 ca. - attivo fino al 1649), della Galleria di Cesare Lampronti a Roma, in cui il limone è mezzo tagliato e sbucciato con il ricciolo della scorza
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ancora attaccato; la Natura morta con anguria, limone e altri frutti di Giovani Paolo Castelli (Roma, 1659-1730 ca.), detto lo Spadino, del Museo Civico di Monfortino. Sull’allegorismo della natura morta si è discusso parecchio e ancora se ne parla, andando spesso alla ricerca dei possibili significati celati dal singolo elemento e dalla particolare unione ad altri, correndo a volte il rischio di una decodificazione dei quadri che pare di segnaletica stradale. Certamente non si può nascondere il simbolismo promanato da alcuni di essi, spesso anche di riferimento mistico ai Padri della Chiesa, ma non è questa la sede per soffermarvisi, anche solo per elencare i vari significati assunti dal limone ora caricati di altre valenze acquisite nel tempo, meno simboliche e legate alla quotidianità: dall’uso culinario alla profilassi e finanche contro il rischio di gravidanze non volute. In uno sguardo rapido, però, quando tali ‘nature in esposizione’ vistosamente sono afferenti a una sfera allegorica, l’agrume sembra nella maggior parte dei casi custodire tutte le sue accezioni declinate singolarmente e a volte sfumandole verso l’ambito dell’affetto profano e dell’amore sensuale. Viceversa, esso compare soprattutto associato al pesce e alla frutta di stagione, costituendo così una sorta di completamento dei cibi rappresentati, sotto l’influsso delle cosiddette “colazioni” fiamminghe e olandesi, dove adesso il limone appare abbastanza frequentemente grazie ai mutati canali della diffusione e del mercato e sempre considerato merce preziosa. Allora si citeranno tutte quelle “dispense” che, da Jacopo da Empoli e Giovan Battista Crescenzi giungono al romano Agostino Verrocchi (attivo nella seconda metà del secolo XVII) fin poi a Luca Forte, Giovan Battista e Giuseppe (Napoli, † 1710) Ruoppolo e a Giovan Paolo Castelli, nelle quali risalta evidente l’aspetto quotidiano della rappresentazione e la diversa combinazione del frutto in base alle stagioni, a volte ribadite dai paesaggi in cui sono liberamente ambientate, e alle diverse rispondenze stilistiche. Annoverando, inoltre, nel contesto, anche quella tarda e comunque assai interessante Natura morta di Nicola Levoli (Rimini, 1728-1801) che, della lunga tradizione del soggetto, offre una visione quasi disincantata, priva di eccessivi simbolismi e ricercatezze stilistiche in accordo con il primitivismo della pittura del primo Ottocento. Ancora si ricorderà la Natura morta di Francesco Codino, dove la presentazione a fette del limone sicuramente nasconde qualche significato che, per essere unita a pesche, uva, mandorle e garofani quasi si tinge di un rimando all’iconografia sacra della Passione di Cristo, così come alla Compagnia del Gesù rimanda un’altra simile composizione custodita a Campione d’Italia e assegnata a un
Argentiere palermitano Frasca d’altare; sec. XVII (fine) – sec. XVIII (inizi) Roma, Museo di Palazzo Venezia
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Pietro Paolo Cennini Decorazione; secolo XVIII (terzo decennio) / particolare Roma, Quirinale (Loggia di Clemente IX)
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pittore lombardo ancora senza nome. Infine, non si possono non ricordate le bellissime nature morte o ‘colazioni’ di Giuseppe Recco, spesso avvinte da simbologie amorose, nelle quali risalta il riferimento naturalistico e caravaggesco della sua formazione come le ombre gettate da coltelli e cesti fuoriuscenti dai piani di posa, e quelle di Andrea Benedetti che, nelle sue bucce di limone arrotolate e attaccate al frutto o staccate, sembra lanciare un monito sul destino, sul corso della vita, assecondando una simbologia molto usata negli analoghi dipinti olandesi. Il limone compare pure nei dipinti di fiori e si vuole assolutamente richiamare quello straordinario Vaso di rose e ortensie con tre limoni e ciliege realizzato attorno al 1625 da Bernardo Strozzi (Genova, 1581 - Venezia, 1644), oggi nella Collezione Lodi a Campione d’Italia. In esso, infatti, il simbolismo, trasfigurato da una tecnica e da un arte molto raffinata, giunge a vette altissime, unendo le possibili allusioni nuziali a quelle della transitorietà della vita quasi fossero, pur nel contrasto di odori e sapori, un invito a gustare i suoi piaceri prima dell’ineluttabile fine. Un simile riecheggiamento è forse celato dalla Ghirlanda di fiori e frutta di Luca Forte, benché ancora vi compaia il riferimento alla fedeltà amorosa.
La presenza del limone nella pittura di natura morta è così ampia da complicare ancora una volta il rompicapo che si tenta di chiudere, addirittura mettendo a repentaglio tutto quanto si è finora incastrato. Infatti, nello “agrumeto in vaso” dipinto 1715 da Bartolomeo Bimbi (Settignano, 1648 - Firenze, 1730) per Cosimo III, granduca di Toscana, i frutti affini al limone, per colore e forma, sono così tanti da rendere veramente difficile la decifrazione della giusta specie, di nuovo scambiabile con altre - e non solo con i cedri ma ora finanche con lime e lumie -, sebbene al contrario di quando lo si ricercava nella mischia letteraria dei citri dell’età greca e romana. Nonostante ciò, con la consapevolezza di tale varietà, è possibile continuare a rintracciare il limone, e a incastrare e disincastrare tasselli in molte decorazioni secentesche più apertamente barocche. Come esemplarmente in quella allestita, tra il 1656 e il 1657, da Pietro da Cortona (Pietro Berrettini / Cortona, 1596 - Roma, 1669) e collaboratori nella Galleria di Alessandro VII al Quirinale dove alcuni limoni occhieggiano tra la verzura immaginata oltre le colonne, forse svelando il valore di una recuperata metafora religiosa mariana. L’utilizzo decorativo del limone nella pittura parietale perdurerà per tutto il corso del secolo, trovando un ulteriore bell’esempio nei festoni della chiesa di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi a Firenze realizzati da Agnolo Gori (Firenze, † 1678), e giungerà al Settecento con nuova vitalità, ricomparendo sempre al Quirinale nella Sale Rosse e nella rispettiva loggia, dove si ritiene, sebbene non del tutto concordemente o linearmente, lavorasse Pietro Paolo Cennini (Roma, 16611739), poco dopo il 1722, dipingendo le volte. Sul soffitto della Seconda Sala Rossa, in grandi vasi angolari, sono presentate delle piante di agrumi, tra cui spicca il limone, alternati a trionfi floreali posti sui lati e tra i volatili che popolano lo spazio a cielo aperto dipinto ci sono dei pavoni poggiati sulla cornice, dei quali uno ha la coda ruotata: è difficile affermare se il pittore ne fosse cosciente o se è solo un ricordo erudito attuale, ma l’unione del limone al pavone richiama alla mente, ancora una volta, il mito del Giardino delle Esperidi, giacché come è noto il pavone ebbe gli occhi della sua bella coda, tra l’altro simbolo d’immortalità e della visione perenne di Dio, dalla pietà di Giunone verso il suo fedele Argo dalle cento teste, il serpente figlio di Orco e Ceta da lei messo a custodia dei pomi d’oro e ucciso da Ercole. Nella loggia, invece, alcuni limoni, assieme ad altri frutti e fiori, con bell’effetto trompe-l’œil, pendono da un pergolato fatto di canne intrecciate e abitato da uccelli e scoiattoli, ricomponendo una bella atmosfera d’Arcadia ben adatta all’architettura dell’ambiente aperto sul giardino e alle due stanze prospicienti, come se lo spazio esterno penetrasse all’interno.
Giovanni Crespi Piedistallo; 1774 Roma, Quirinale (Sala della Virtù)
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Sempre allo stesso pittore sono state assegnate le due credenze dipinte sull’angolo della stretta loggia e sul piano di posa una di esse ci sono dei grossi agrumi con la buccia spessa e rugosa: arance e cedri, solo a prima vista però perchè di certo non mancano in natura limoni grossi e grinzosi che potrebbero confondersi con i cedri in pittura e scultura, pur se indicativo a volte appare il bitorzolo inferiore. Questi agrumi stanno poggiati proprio sulla scarabattola che all’interno accoglie oggetti di vetro preziosi e rari, compresa anche una coppia di Nautili, con i profili finemente decorati, come una domestica Wunderkammer. Un’altra bella testimonianza della presenza del limone nella decorazione del Settecento si può indicare nel chiostro di Santa Chiara a Napoli, realizzato nel 1742 da Donato e Giuseppe Massa su disegno di Domenico Antonio Vaccaro (Napoli, 1768-1745), dove compare in alcune delle ghirlande maiolicate, in ispecie quelle attorcigliate ai pilastri. Agrumi, con il limone ben riconoscibile, poi, si ritroveranno in molti stucchi e di arredi lignei, conquistando esiti notevoli anche in questi campi, e, tra gli ultimi citati, piace indicare le cornucopie di quei bei piedistalli a foggia di balaustro realizzati per il Quirinale dall’intagliatore Giovanni Crespi (documentato nella seconda metà del secolo XVIII) nel 1774 per Clemente XIV e forse su disegno di Giovanni Sterni. L’uso ornamentale, però, pur sopravanzandolo, non esclude del tutto quello antico legato alla simbologia religiosa che è dato ancora ritrovare nella coppia di bellissime frasche reliquiario, d’argento e rame dorato, realizzate agli inizi del Settecento, forse anche prima, da un argentiere palermitano e oggi custodite nel Museo del Palazzo di Venezia a Roma, dove il limone si collega alle reliquie in memoria della partecipazione dei santi al Sacrificio di Cristo, e, come contenitore prezioso, tinto dei colori del sole, rimanda al Paradiso. Poi, un altro esempio sopraggiunge dalla ridondante ornamentazione del paliotto dedicato all’Immacolata della chiesa dei Cappuccini di Corigliano Calabro, eseguito in scagliola colorata nell’ottavo decennio del Settecento, in cui gli agrumi, tra essi il limone, certo sono anche il ricordo delle specifiche coltivazioni della bella cittadina jonica. Questi sono soltanto alcuni esempi scelti tra le molte testimonianze a disposizione, corrispondenti a una forte intensificazione della raffigurazione ricercata, la quale, ovviamente, rende ancor più minute le tessere del puzzle interpretativo del limone nell’arte italiana qui tentato, ma ancor del tutto in fieri. Tasselli mistilinei, fatti di linee spezzate e colori cangianti, da unire e staccare, ammucchiare e ricomporre, fino alla ricostruzione dell’immagine interra … mai veramente compiuta però, dato che ogni nuovo recupero potrebbe minarne l’in-
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terezza, rischiando di sfaldarsi nel variegato mosaico dell’arte contemporanea. Dove, rimanendo e rimbalzando da un campo all’altro, nell’universo dei simboli e dei segni - collegabili ora pure alla psicoanalisi -, l’agrume ricercato e in parte definito nella sua lunga storia sopraggiungerà a una diversa caratterizzazione di macchia e di timbro coloristico, in nuce già da molti secoli, certamente consona all’epocale ricerca di una nuova definizione teorica e sensibilità artistica, dell’eterno presente. Inedite espressioni ora anche variabili negli accordi con la poesia: dagli Ossi di seppia di Eugenio Montale (Genova, 1896 - Milano, 1981) ai più recenti testi dei cantautori, in cui il limone è caricato di un forte simbolismo - spesso intensificando i rimandi allegorici del passato -, sospeso nella sua semplicità, volto a scandagliare una realtà cruda, aspra e nuda, dai toni tuttavia vivaci e colorati e pure l’amore, aperto a questa verità, se ne tinge in maniera fortemente contrapposta.
Nicola Levoli Natura morta di pesci; secolo XIX (inizi) Collezione privata
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Bibliografia (compendiarla delle problematiche storico artistiche e simboliche accennate nel testo, nonché di riferimento per le referenze fotografiche): Giovanni Andrea Gilio, Dialogo nel quale si ragiona degli errori e degli abusi de’ pittori circa l’istorie. Con molte annotazioni fatte sopra il Giudizio di Michelagnolo et altre figure, tanto de la nova, quanto de la vecchia Capella del Papa. Con la dechiarazione come vogliono essere dipinte le Sacre Imagini, [1564], in Trattati d’arte del Cinquecento. Fra Manierismo e Controriforma, a cura di Paola Barocchi, II, Bari, Laterza, 1961; L’opera completa del Mantegna, (“Classici dell’arte)”; 8), [con apparati critici e filologici di Niny Garavaglia], Milano, Rizzoli, 1967; Benvenuto Cellini, Trattati, [1568], in Opere di Benvenuto Cellini, a cura di Giuseppe Guido Ferrero, Torino, Unione Tipografico Editrice Torinese, 1971; Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, (“Universale Laterza); 225), Bari - Roma, Laterza, 1979; Luigi Salerno, La natura morta in Italia 1560-1805, [con traduzioni di Robert Erich Wolf], I-II, Roma, Bozzi, 1984; Dizionario dei simboli miti sogni costumi gesti forme figure colori numeri, I-II, a cura di Jean Chevalier - Alain Gheerbrant, (“Biblioteca Universale Rizzoli”), [I ed.: Milano, Rizzoli, 1986], Milano, Rizzoli, 19884 [traduzione dal francese di Maria Grazia Margheri Pieroni - Laura Mori - Roberto Vigevani: Dictionnaire dee symboles, a cura di Jean Chevalier - Alain Gheerbrant, Paris; Laffont, 1969]; La natura morta in Italia, I-II, Milano, Electa, 1989; Ettore Vio, Appunti sul mosaici e sull’architettura del Battistero di San Marco in Venezia, in Mosaici a S. Vitale e altri restauri, [Atti del convegno nazionale (Ravenna: 1990)], a cura di Anna Maria Iannucci, Ravenna, Longo, 1992, pp. 133-146; Il patrimonio artistico del Quirinale, a cura di Laura Laureati e Ludovica Trezzani, I-II, Roma, Editoriale Lavoro, 1993; Francesca Flores d’Arcais, La pittura, in Storia di Venezia. Temi, I, a cura di Rodolfo Pallucchini, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1994, pp. 237-303; Mauro Lucco, Venezia 1500-1540, in La pittura nel Veneto. Il Cinque-
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Bartolomeo Bimbi Arance, lime, limoni e lumie; 1715 Poggio a Caiano, Villa medicea
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Plane
il limone di rocca imperiale
Realizzato con il contributo della Regione Calabria Misura 4.8 - P.O.R. CALABRIA 2000/2006
UNIONE EUROPEA
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il limone di
COMUNE DI ROCCA IMPERIALE
copia omaggio
rocca imperiale Patrimonio dell’agrumicoltura calabrese