LONGOPAVIA
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SOMMARIO 1-I Longobardi in Italia: la storia 2-Le fonti 3- Celebri sovrani Longobardi 4- Lasciti Longobardi: la lingua 5- Pavia nell'oralitĂ longobarda 6-L'arte Longobarda 7- Impronte Longobarde a Pavia
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1- I Longobardi in Italia:la storia I Longobardi erano una popolazione di origine germanica, che nel 568, sotto la guida del loro re Alboino, si spostò dai territori della Pannonia in Italia, dopo aver stipulato degli accordi con il popolo degli Àvari, al fine di proteggersi le spalle. La discesa dei Longobardi in Italia fu più un’occupazione militare, che non una conquista: essi dilagarono facilmente nell'Italia del Nord e, dopo un lungo assedio, si impadronirono di Pavia( che all'epoca si chiamava Ticinum), la quale divenne la loro capitale. Di lì iniziarono a a insediarsi anche in alcuni territori del Sud Italia, come Spoleto e Benevento, che divennero dei ducati longobardi autonomi. Gli unici territori che non conquistarono furono Ravenna, in cui risiedeva il governatore bizantino, Roma, dove aveva sede il papato, la costa veneta, Napoli, il Sud Italia, come la Calabria, la Puglia e le isole, e la “Pentapoli”, posta sulla costa adriatica. Con l'arrivo dei Longobardi, per la prima volta dopo secoli, avvenne la rottura dell'unità politica della penisola, che si era formata secolo dopo secolo grazie all’ opera di conquista romana. Tale unità si ristabilì soltanto quando, conclusosi il Risorgimento, fu proclamato il Regno d'Itali. I Longobardi spezzarono, dunque, via l'antica aristocrazia di origine romana, sottomisero le popolazioni che abitavano i territori italici e se li spartirono secondo il diritto di guerra. Inizialmente vi fuorono evidenti differenze tra le popolazioni italiche vinte e i Longobardi vincitori, poiché le prime erano cattoliche mentre i secondi erano prevalentemente ariani, oltre che le numerose differenze sul piano culturale e degli usi e dei costumi.
I
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Nei secoli successivi si succedettero vari sovrani, come Agilulfo, Rotari e Liutprando (le cui vite verranno analizzate nel capitolo 3), fino a che, nel 756, divenne re dei Longobardi Desiderio, sotto il cui regno si assiste alla caduta del regno Longobardo. L’ambiente in cui si ritrovò a governare Desiderio vedeva come potenze massime in Italia, oltre che i Longobardi, i Bizantini e la Chiesa, che seppur nominalmente sottoposta al potere dell’impero Bizantino, temendo di non riuscire a resistere ad un attacco da parte dei Longobardi, decise di rinnovare l’alleanza con l’impero Franco, poiché era interesse comune sbarazzarsi sia dei Bizantini che dei Longobardi in Italia. Desiderio decise allora di intraprendere una politica cauta, dando in sposa ai due figli di Pipino il Breve, Carlo e Carlomanno, le sue due figlie. Alla morte di Pipino il Breve il potere era stato diviso tra i suoi due figli, ma, con la morte di Carlomanno, Carlo riunì tutto il potere nelle sue mani. A questo punto il nuovo re franco ripudiò la moglie, spezzando così il legame che lo legava con il popolo longobardo. Nel contempo diventava papà Adriano I, di natura anti longobarda. Desiderio, perciò, reagì prendendo d'assalto il ducato di Roma. Il Papa, allora, invocò l'aiuto del re franco, che scese in Italia nel 773, sconfisse i Longobardi e prese d’assedio la capitale del regno, Pavia. La città tentò a lungo di resistere, ma nel 774 dovette soccombere. Si era concluso, perciò, il regno longobardo.
II Proof Copy: Not optimized for high quality printing or digital distribution
2- Le fonti I Longobardi sono da sempre un popolo affascinante e mistorioso al tempo stesso, le cui gesta di eroi e di sovrani si intrecciano con il mito e la leggenda. Questa fiera popolazione germanica non si prodigò mai di lasciare testimonianze scritte in eredità ai posteri. Eppure vi fu qualcuno che si prese l'incarico di redarre un'opera con cui descrivere la storia dei Longobardi. Questo qualcuno fu Paolo Diacono, pseudonimo di Paul Warnefreid. Egli nacque a Cividale del Friuli nel 720 e morì a Montecassino nel 699. In giovane età si recò a Pavia, all’epoca capitale longobarda, per poter seguire gli studi e conseguire la carica di docente. Egli si formò alla corte del re Rachis e presso la scuola del Monastero di San Pietro in Ciel d’oro, dove riuscì nel suo obiettivo. Dal 782 al 787, periodo successivo alla caduta dell’impero longobardo, fu attivo presso la corte Di Carlo Magno, poiché voleva chiedergli la liberazione dei suoi famigliari. Nel 787 ritornò a Montecassino, dove scrisse la sua opera più celebre, la Historia Langobardorum, in cui vengono narrate le vicende del suo popolo, soffermandosi in particolare sul periodo compreso tra la loro migrazione in Italia e il regno di Liutprando. È probabile che Paolo Diacono abbia deciso di interrompere qua la narrazione per evitare di raccontare la sconfitta dei Longobardi. A Paolo Diacono si fa risalire anche un importante contributo per la musica, poiché è proprio da un suo inno a San Giovanni Battista che Guido d’Arezzo nel XI secolo ricavò le note musica: UT queant laxis REsonare fibris MIra gestorum FAmuli tuorum, SOLve polluti LAbii reatum, Sancte Iohannes. Proprio da questa strofa derivano i nomi delle note dell’esacordo.
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2- Celebri sovrani Longobardi Alboino fu re dei Longobardi dal 560 circa e re d'Italia dal 568 al 572, anno in cui, a seguito di una congiura ordita dalla moglie Rosmunda, fu assasinato. Nel 568 guidò il suo popolo dalle terre della Pannonia alla conquista dell'Italia. Le cause di tale migrazione si fanno risalire ad un tentativo del sovrano di liberarsi dalla stretta dei popoli alleati e tributari, i quali erano diventati sempre più desiderosi di nuove vittorie e di bottini. l'Italia, all’epoca, apparteneva ai Bizantini ed uscita in ginocchio dalla Guerra Greco-Gotica. Prima di partire, Alboino strinse un accordo con gli Avari per guardarsi le spalle. Sotto la sua guida, circa cento-centocinquantamila persone dilagarono nel nord Italia, riuscendo ad impradonirsi delle città di Cividale del Friuli, di Mantova e di Aquileia, che non opposero resistenza. Soltanto la città di Pavia osò opporsi, ma dopo un assedio durato tre anni, dovette cedere.
Agilulfo fu sovrano longobardo dal 591 al 616. Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum descrive in forma romanzesca l'investitura di Agilulfo. Si racconta, infatti, che, quando alla regina Teodolinda fu data la possibilità di scegliere il nuovo re, Agilulfo, che allora era duca di Torino, le baciò la mano, in segno di rispetto e per renderle omaggio. Ella, allora, gli chiese perché le baciasse la mano, quando poteva baciarle la bocca. Agilulfo, perciò, venne investito della carica di re e di sposo legittimo. I due si sposarono nel Novembre del 590. Con Agilulfo si assiste all’inizio della conversione al cattolicesimo dei Longobardi, avvenuta grazie all’influenza della regina Teodolinda. Sotto il regno di Agilulfo vengono conquistate le città di Parma e Piacenza e nel 593 arriva perfino a minacciare Roma. Tale minaccia viene, tuttavia, sventata da Papa Gregorio Magno I, il quale versò al sovrano 500 libbre d’oro, pur di evitare il saccheggio.
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Rotari fu re dei Longobardi e d'Italia dal 636 al 652. Secondo la tradizione, alla morte di Arioaldo, predecessore di Rotari, la classe aristocratica dei duchi incaricò la regina Gundeperga di scegliere il nuovo re, proprio come accadde con la regina Teodolinda. Ella scelse dunque Rotari. Egli perpetrò una politica espansionistica che portò alla annessione al regno Longobardo della Liguria. Nel 643 emanò un editto che raccoglieva il corpo di leggi valide per tutti gli appartenenti al regno. L'editto è scritto in un rozzo latino e si fonda su princìpi estranei al diritto romano, inoltre al suo interno si può assistere alla sostituzione della faida (vendetta privata) con il guidrigildo (risarcimento in denaro). Venne sepolto a Pavia, nella Basilica di San Giovanni Battista. Liutprando fu un re longobardo e re d'Italia dal 712 al 744. Sotto il suo regno Pavia viene abbellita con monumenti ed edifici come la basilica di San Pietro in Ciel d'oro, divenendo anche capitale architettonica del regno. Oltre che sul piano bellico, Liutprando si adoperò anche su quello religioso, essendo un fervido sovrano cattolico.Nel 728, infatti, cedette alla Chiesa alcune terre conquistate, in particolare la rocca di Sutri, garantendo al Papa il dominio sul primo nucleo del potere territoriale della Chiesa (il cosidetto Patrimonium Petri). Su ordine di Liutprando il feretro di Sant'Agostino viene trasportato dalla città di Cagliari a Pavia, garantendo alla città il prestigio di meta religiosa.
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Desiderio, noto anche come Desiderius, in latino, fu re dei Longobardi e re d'Italia dal 756 al 774. Di origine Bresciana, divenne, per volere di Astolfo, duca di Tuscia. Alla morte di Astolfo, poiché aspirava a diventare re dei Longobardi, si contrappose al fratello del defunto, Rachis, ottenendo l’appoggio di papa Stefano II e del re dei Franchi Pipino il Breve. Insieme alla moglie Ansberga fondò a Monza il monastero di San Salvatore, dove pose come badessa una delle sue figlie, Anselperga. Fu un abile politico, inoltre riuscì ad intrecciare una rete di alleanze con i Franchi, dando in moglie ai figli del re Pipino il Breve, Carlo (passato alla storia come “Magno”) e Carlomanno. Questa rete, tuttavia, ben presto si sfaldò non appena Carlo ebbe ripudiato la moglie (ripudio che verrà narrato nell’ Adelchi del Manzoni) ed ebbe riunito il regno nelle sue mani alla morte di Carlomanno e non appena divenne papa l’anti-longobardo Adriano I. Desiderio, adiratosi, mosse il suo esercito contro la città di Roma e l’Esarcato. Il papa, per far fronte all’attacco, invocò, allora, l’aiuto dei Franchi del re Carlo. Desiderio, vendendo che il suo piano era stato sventato, si rifugiò presso la città di Pavia, la quale venne presa d’assedio fino al 774, quando capitolò. Desiderio Desiderio fu mandato insieem alla moglie Ansa in Francia, e furono imprigionati in un monastero, a Liegi o forse a Corbie; Adelchi si riparò a Bisanzio, mentre Carlo Magno si proclamò rex Francorum et Langobardorum.
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In questo panorama di barbuti sovrani vorrei parlare anche di una delle figure femminili più affascinanti che hanno segnato le pagine della storia: la regina Teodolinda. Teodolinda fu regina consorte del popolo longobardo dal 589 al 616. Ella era una principessa bavara di stirpe regale. Per sugellare l’alleanza tra Longobardi e Bavari viene concessa in sposa ad Autari, con cui regno tra il 584 e il 590. Alla morte del marito, a Teodolinda fu data la possibilità di scegliere il suo sposo, nonché nuovo re dei Longobardi. Ella scelse Agilulfo, all’epoca duca di Torino, col quale ebbe un figlio Adaloaldo, il primo ad essere battezzato nella fede cattolica. Il matrimonio venne celebrato a Verona il 15 maggio 589. Teodolinda, infatti, professava il cattolicesimo, nonostante fosse aderente allo scisma dei Tre Capitoli, e rappresentò uno stabile collegamento tra i Longobardi ariani e la Chiesa romana grazie ai suoi rapporti con papa Gregorio Magno. Fu una regina molto amata dal popolo e ciò le garantì anni prosperi e fruttuosi. La regina Teodolinda fu, anche, una grande mecenate, fornendo la città di Monza di una ricca basilica dedicata a San Giovanni Battista. Alla morte di Agilulfo, avvenuta nel 616, fu reggente per il figlio Adaloaldo, ma quando questi fu assassinato da una congiura di corte, Teodolinda si ritirò a vita privata.
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3- Lasciti Longobardi: la lingua Prima della loro venuta in Italia i Longobardi avevano come lingua un'idioma germanico, denominato Longobardo. Al giorno d'oggi non sono pervenute numerose testimonianze scritte del Longobardo, se non alcune sporadiche parole, tratte da testi giuridici, come l'editto di Rotari, o storici, come la "Historia Langobardorum, dello scrittore longobardo Paolo diacono. Questa assenza di prove scritte deriva dalla natura nomade del popolo Longobardo, che era solito tramandare oralmente storie, miti o leggende. Secondo il linguista tedesco Piergiuseppe Scardigli il longobardo può essere definito come «un pianeta che si è staccato dal magma germanico, ha avuto un periodo di avvicinamento all'orbita gotica e poi è stato attratto definitivamente nell'orbita del tedesco» Dopo che si furono stanziati in Italia, tuttavia, nel VI si registrò un rapido declino dell'uso della lingua Longobarda, che venne soppiantata dal latino. Basti pensare che uno dei massimi autori longobardi, Paolo Diacono, nonostante le sue origini germaniche, era di espressione latina. La lingua Longobarda, tuttavia, non si dissolse completamente, poichè contribui in maniera decisiva, soprattutto per quanto riguarda il lessico, al passaggio dal latino volgare ai diversi volgari italiani, che si sarebbero poi trasformati gradualmente nei dialetti e nella medesima lingua italiana. L'italiano, infatti, nonostante derivi in larga misura dal latino, presenta numerosi "prestiti" provenienti dal longobardo. Vorrei presentare ora alcune parole comuni e di uso quotidiano, ma che derivano dal longobardo.
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In una celebre scena del cartone animato “Alla ricerca di Nemo”, il giovane pesce compagno di scuola di Nemo, sostiene di vedere sulla superficie dell’acqua un “Motoschifo”. Per quanto possa sembrare strano, in realtà, vi è una stretta relazione tra le barche e la parola “SCHIFO”. Questo termine, infatti, deriva dal Longobardo “SKIF” e condivide l’etimologia con il lemma inglese “SHIP”, “NAVE”. Cos’è, dunque, che lega questi due termini? Anticamente anche gli uomini Longobardi, quando dovevano andare per mare e dovevano imbarcarsi, certe volte, col mare in burrasca, provavano forti sensazioni di nausea. La sensazione di nausea ha portato poi alla nascita di questo termine. Ciò che sorprende molto è che i Longobardi, indomiti signori della guerra, abbiano contribuito molto alla nascita di alcune parole relative non solo al mondo delle armi o della guerra, ma anche al mondo della tecnica. Per esempio, la parola “TAPPO” deriva dal termine longobardo “ZAFFO”. Questo lemma, tuttavia, è sopravvissuto anche ai giorni nostri nella parola “ZAFFATA”. Se qualcuno non lo sapesse, per “ZAFFATA” s’intende una forte ondata di profumo o di tanfo che si spande rapidamente nell’aria. Questi due vocaboli sono fortemente connessi tra di loro: immaginate di prendere una bottiglia di vino, chiusa con un tappo di sughero e la stappate. Se siete abbastanza vicini con il viso, potrete subito sentire un forte odore di vino, vi sarà arrivata infatti una “zaffata” di vino. Inoltre “SLITTA” condivide l’etimologia con il verbo inglese “TO SLIDE”, “SCIVOLARE”, oppure la parola “STERZO”, che anticamente indicava il manico dell’aratro con cui si cambiava la sua direzione, oggi indica l’insieme dei meccanismi che permettono ad una macchina di cambiare direzione.
IX
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Vorrei proporvi ora un elenco di parole italiane, ma di origine longobarda. -Le parole "GRAFFA", "GRAFFIARE", "GRINFIA" e "GRAFFIO" derivano dal longobardo "krapfo", "uncino" -"Nocca", ovvero la parte del dito corrispondente a un’articolazione, deriva dal "knohha", "giuntura" e condivide l'etimologia col verbo inglese "To knock", "bussare", -"Schermire" inteso come Coprire con un riparo, difendere" deriva dal longobardo "skirmjan", "proteggere" -"Scherzare" deriva dal longobardo "skerzĹ?n", "burla", -"Trappola", ovvero il dispositivo per la cattura degli animali, proviene dal longobardo "trappa","laccio", -"Anca"ovvero la regione anatomica che comprende la radice della coscia e parte della base del tronco, proviene dal longobardo "hanka", "anca", -"Bara", il telaio di legno cutilizzato per portare a spalla i morti, deriva dalla parola longobarda "bĂ ra", "lettiga", -"Bisticciare",ovvero litigare animatamente e stizzosamente, anche se in modo non grave, potrebbe derivare dal longobardo "biskizzan", "ingannare", -"Zaino", ovvero il sacco di tela robusta, rinforzato e munito di cinghie per essere portato a spalla, proviene dal longobardo "zainja", "cesto", -"Zanna", intesa come ciascuno dei due denti canini lunghi e curvi che sporgono fuori della bocca di alcuni animali, come mezzi di offesa e di difesa, derivano dalla parola longobarda "zan", "dente", -"Zazzera", capigliatura, soprattutto maschile, portata lunga fino a ricadere sul collo, deriva dal longobardo "zazza", "ciocca di capelli", -"Zuffa", cioè uno scontro, una baruffa, proviene dal longobardo "zupfa","ciuffo".
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4- Pavia nel'oralità Longobarda I Longobardi non avevano un sistema di scrittura e per questo motivo erano soliti tramandare oralmente storie ed eventi sotto forma di miti o leggende. In particolare, vi sono due leggende che legano la città di Pavia a due dei più grandi personaggi della storia longobarda: il re Alboino e la regina Teodolinda. La prima vede per protagonista il re Alboino. Costui, dopo aver preso d’assedio la città di Pavia per ben tre anni, nel 564, vi entra finalmente vincitore. Si racconta che, mentre si apprestava ad entrare, il suo cavallo stramazzò misteriosamente a terra. Il re, allora, fu preso dall’ira e un fornaio, per placare la rabbia del sovrano, gli offrì in dono una colomba, simbolo di pace, con la quale sperava di convincere il re a non distruggere la città. Non appena Alboino ebbe preso in mano questo dolce, il cavallo si rialzò e fu in grado di ricominciare il cammino. Il giorno seguente Alboino ricevette il tributo che la città gli doveva versare: oro, pietre preziose, monili e 12 ragazze. Tra queste si trovava anche la figlia del fornaio, la più giovane. La fanciulla si chiamava Colomba e, non appena fu al cospetto del re Alboino, ella si dimostrò pronta a tutto pur di evitare la distruzione della città di Pavia. Il re, comunque, ricordandosi quanto successo il giorno prima, decise di liberare la ragazza e garantì la grazia alla città.
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La seconda leggenda, invece, vede per protagonista la regina Teodolinda. Si narra che, attorno al 612, giunse a Pavia il santo abate irlandese San Colombano. La regina Teodolinda, non appena venne a conoscenza di ciò, decise di invitare il religioso al palazzo reale e, in suo onore, fu imbandito un sontuoso banchetto. Il santo decise di accettare l’invito e, dopo che si fu seduto a banchetto, gli furono servite le più svariate prelibatezze, la maggior parte a base di carne e di selvaggina. Il religioso, tuttavia, nonostante non fosse venerdì, si vide costretto a rifiutare tali pietanze, poichè gli venivano offerte in un periodo di precetto, ovvero quello quaresimale. La regina Teodolinda, che non aveva capito le cause di quel rifiuto, si offese molto. Il religioso, allora, servendosi delle sua abilità diplomatiche, riuscì a spiegare alla regina per quale motivo non aveva accettato di assaggiare quelle prelibatezze e affermò che sia lui e sia I suoi confratelli non avrebbero comunque mangiato quelle pietanze prima di averle benedette. San Colombano, dunque, alzò la mano destra per fare il segno della croce, ma, ad un tratto, le pietanze si trasformarono in candide colombe fatte di pane bianco.
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3- Arte Longobarda Dal punto di vista artistico, i Longobardi , essendo un popolo nomade abituato a continui spostamenti, non avevano particolari conoscenze di natura scultorea o pittorica, al contrario eccellevano nella lavorazione dei metalli e, di conseguenza, nell'arte orafa, per la quale avevano sviluppato tecniche di lavorazione raffinate e molto eleganti. Basti pensare ai numerosi reperti longobardi presenti ed esposti nei Musei Civici di Pavia, come monili, spille o punte di spade. Le fibbie (fibulae), in particolare, erano decorate con motivi a intreccio o raffiguravano forme di animali stilizzati, come le aquile, o figure geometriche. Spesso venivano lavorate con la tecninca del cloisonnè, che consisteva nel riempire di pasta vitrea piccole cavità delimitate da listelli o fili metallici, disposte a comporre figure o motivi decorativi. Da questi reperti si è potuto osservare che, almeno fino al VII secolo, l'arte veniva impiegata come uno strumento essenzialmente decorativo, aniconico, cioè senza raffigurazioni umane, , e astratta. La scultura in questo periodo ricevette una forte influeza dalla metallurgia: spesso le opere di scultura venivano modellate o decorate impiegando le stesse tecniche di lavorazione o di decorazione degli oggetti in metallo. Con l'avvento dei Longobardi si interrompe la continuità della tradizione scultorea romana, a tal punto che scomparvero quasi completamente il
ritratto e le raffigurazioni scultoree a tutto tondo. Del periodo longobardo si sono conservati, tuttavia, numerosi rilievi marmorei per l'arredo delle chiese, come l'altare in pietra destinato al Battistero di Cividale del Friuli, noto come Altare di Ratchis, che si compone di quattro rilievi, rappresentanti, come in un fermo-immagine, scene tipiche della religione cattolica, come l'Adorazione dei Magi. E' possibilie notare che tutti i rilievi sono contornati da una cornice con motivi stilizzati simili a quelli presenti sui monili o sulle spade.
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7- Impronte longobarde a Pavia Pavia, sotto il regno dei Longobardi, fu eletta capitale del Regno. Sono numerosi i resti e gli edifici di natura longobarda che meritano di essere salvaguardati e le cui storie meritano di essere ascoltate, ma che rimangono, tuttavia, ignoti o sconosciuti. CRIPTA DI SANT'EUSEBIO La chiesa di Sant'Eusebio era una chiesa di Pavia, della quale oggi rimane soltanto la cripta. Essa nacque come cattedrale ariana e fu fatta erigere dal re Rotari (636-652). Ebbe particolare importanza, poiché divenne il fulcro della conversione dall’arianesimo al cattolicesimo del popolo dei Longobardi, iniziata da Teodolinda e dai monaci di San Colombano dell’Abbazia di San Colombano. Nonostante fosse stata rimaneggiata in epoca romana, sono presenti alcuni capitelli, che rappresentano un’importante testimonianza delle abilità scultoree dei Longobardi. Tali capitelli mostrano un allontanamento dall’arte classica e un’ispirazione all’arte orafa. Si pensa che in origine fossero ricoperti da paste vitree o grosse pietre colorate incastonate, che impreziosivano e rendevano ancor più maestose le colonne. Due capitelli, inoltre, sono ancor più particolari, poiché uno e diviso in campi chiusi triangolari, che ricorda le coeve fibule alveolate, mentre un secondo presenta ovali longitudinali, assimilati a grandi foglie d'acqua, che sembrano derivare dalle fibule "a cicala" usate in tutta l'oreficeria barbarica su ispirazione da modelli orientali
XIV
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BASILICA DI SAN PIETRO IN CIEL D'ORO La basilica di San Pietro in Ciel d’Oro (in coelo aureo) sorse all’inizio del VII secolo, in pieno periodo Longobardo, e fu fatta erigere dal re Liutprando (712-744) per ospitare le spoglie del Sant’Agostino. Fino al 722 le reliquie del santo erano state custodite a Cagliari nella omonima cripta, dopo che queste erano state fatte pervenire nel 504 dalla città africana di Ippona, nell’attuale Algeria. Il re Liutprando temeva, infatti, che i saraceni potessero trafugare le spoglie durante le loro numerose incursioni. Così facendo, Liutprando, oltre che garantendo prestigio alla città di Pavia, la trasformò nella meta di numerosi pellegrinaggi religiosi. La basilica, quindi, originariamente era in stile longobardo, ma nel XII secolo venne ricostruita in stile romanico. Essa trae il nome dalla caratteristica di avere soffitti decorati a foglia d’oro, che ricordano, infatti, un cielo d’oro. Sorge sul luogo dove era sepolto Severino Boezio, filosofo romano ucciso dal re degli Ostrogti Teodorico il Grande nel 525, la cui sepoltura viene citata da Dante Alighieri nel canto x del Paradiso della Divina Commedia, e ha la dignità di basilica minore. Tradizione vuole che vi abbia studiato Paolo Diacono, storico longobardo di espressione latina, nonché massima fonte della cultura longobarda. Durante l’Ottocento visse un periodo di declino, poiché le truppe Napoleoniche nel 1796, dopo che furono entrate in città, spogliarono la chiesa, causandone la sconsacrazione. All’interno dell’edificio si trova l’Arca di Sant’Agostino, capolavoro marmoreo commissionato dai maestri commacini e decorato con numerose statue e con numerose formelle che rappresentano la vita del santo
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CHIESA DI SAN GIOVANNI DOMNARUM La chiesa in origine fu intitolata a San Giovanni Battista e, secondo gli storici, fu fondata all’incirca attorno all’anno 654. Secondo la tradizione la chiesa fu eretta per volere di Gundeperga, figlia della regina Teodolinda, affinché, il giorno della sua morte, accogliesse la sua sepoltura o per essere sede del fonte battesimale delle donne, da cui deriva il titolo “domnarum” (delle donne). Si crede possa essere il primo eretto dai sovrani longobardi a Pavia adibito al culto cattolico. E' situata nel pieno del centro storico, a pochi passi dalla chiesa del Carmine. La facciata è inglobata in un complesso abitativo e l'ingresso all'interno di un cortile. E' presente una cripta che è stata riscoperta dopo secoli il 18 aprile 1914 grazie all'iniziativa di monsignor Faustino Gianani che, seguendo le indicazioni di molte fonti storiche, fece scavare un cunicolo dal cortile retrostante. All'interno della cripta sono presenti affreschi raffiguranti santi del posto e episodi della vita di San Giovanni Battista
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AUTORE DI QUEST'OPERA Autore dell'opera è Drammis Antonio, studente sedicenne del Liceo Classico Ugo Foscolo di Pavia. L'idea di scrivere un libricino, in cui riportare la storia dei Longobardi e quella dei monumenti della Pavia Longobarda, nasce a seguito della partecipazione alla realizzazione della sezione longobarda del sito NarrarePavia. Questo sito comprende, infatti, due sezioni, una romana, all'interno della quale i compagni di scuola piÚ grandi hanno raccolto informazioni circa la Pavia Romana con interviste e altro materiale, e una sezione longabrda, realizzata, durante l'a.s 2016/2017, da alcuni di noi studenti del Liceo Foscolo, dai docenti e da alcuni esperti. Per visitare il sito basta accedere a: www.narrarepavia.it e prepararsi ad un viaggio spettacolare in due epoche diverse, ma nella stessa città : la nostra Pavia!
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