SCULTURA
LUCA BOSSAGLIA
Introduzione al lavoro di Luca Bossaglia Operare una scelta di artisti italiani attivi al momento presente non è stata impresa facile, essendo ricco e in molti casi pieno di vitalità l’orizzonte della produzione creativa nel nostro paese. Peraltro va da sé che, trattandosi di una scelta limitata nel numero, non ho preteso costituisse una selezione sistematica. Spiegherò dunque quali sono stati i miei criteri. Artisti che conosco, intanto, di cui ho seguito e in vari casi commentato l’attività; che appartengono, più o meno, a una generazione di mezzo: non tanto in senso anagrafico, ma nel senso che si trovano in questo momento ad aver raggiunto una maturità espressiva e aver fissato dunque la propria immagine, anche se a evidenza sono in uno stato di continua, e stimolante, evoluzione. Artisti non in prima fila, sino ad ora nella notorietà: la mia scelta intende essere anche propositiva, trattandosi di personalità nelle quali credo e che mi fa dunque piacere esibire. Ma ho voluto, nello stesso tempo, indicare linee differenziate della ricerca attuale, specie in area italiana; ciascuno degli artisti qui raccolti si esprime secondo una formula diversa: non solo nel senso che ciascuno ha la propria personalità - ogni artista che si rispetti è un “unicum” -, ma nel senso che rappresenta una corrente o una tendenza distinta una dall’altra. E’ ovvio che non ho preteso di riassumere tutte le linee espressive dell’arte italiana ai nostri giorni, ma certo di fornire una campionatura di orientamenti. Dunque: arte astratta o arte figurativa, nel senso di mimesi del vero? Nessuno dei gruppi di opere raccolti qui presenta tratti naturalistici nel significato più stretto della parola, cioè‚ in senso descrittivo e narrativo; tuttavia Marisa Mezzadra ci racconta emozioni dirette nel confronto con la natura, mostrando anche una perizia sottile nel raffigurarci come la natura sotto gli occhi dell’artista si faccia sogno, trascolori o, al contrario, si porti in primo piano sfiorando i limiti del fantastico. Anche Bertoglio ha come base del suo immaginario visioni di matrice naturale - nel suo caso si direbbero pietre e deserti -; e tutta l’impostazione formale delle sue composizioni ha un’asciuttezza schematica, dove si avverte la remota suggestione dell’astrattismo geometrico. Astrazioni geometriche si individuano anche nel linguaggio vibrante di - che nel suo caso è appena una base remota, un respiro - si configura in immagini di corpi elementari scattanti nell’aria, quando di non aquiloni. E qui la matrice storica, ossia la base culturale del linguaggio, può essere indicata nelle Amalasunte di Licini; ma portate verso una ritmica musicale asciuttezza. Nelle sculture di Bossaglia il tema più facilmente riconoscibile è quello dell’albero; ma anche dell’animale o, per contro, di elementi stellari. Se il ritmo delle composizioni schematizza e trasfigura tutti i dati naturalistici, questa volta non è corretto parlare di astrazione, bensì meglio di una tensione simbolica. E’ ben vero che l’arte è sempre simbolo, nel suo fissare qualsiasi riflessione o emozione personale in un linguaggio che va oltre l’individuo e si offre all’interpretazione di chi la recepisce. Ma ci sono casi in cui le simbologie si offrono come tali, sono l’intenzione dell’artista; e in un panorama fantastico raccolgono tematiche filosofiche. Per De Curtis, il discorso è ancora un poco diverso: temperamento ironico e dissacratore, egli parte da iconografie classiche per lo più rappresentate come tracce di mosaici, per offrircene insieme il ricordo e la distruzione, il valore mitico corroso dal tempo e dalla natura. Qui una distinzione tra figurativo e astratto ha sempre meno senso; siamo in un ambito di tipo concettuale: ma non si tratta di un concettualismo freddo, negatore del mestiere; anzi, il dettato è prezioso ed elegante, consapevolmente estetico.
In questa sintetica rassegna degli artisti presenti ho lasciato deliberatamente per ultimo Alessandro Contini: che si pone qui in qualche modo fuori campo, essendo personalità nota in vari paesi e avendo una sua dimora a Tel Aviv. Possiamo dire che Contini è il corifeo del gruppo. Ma, appunto pur rappresentando una formula espressiva altamente originale, anch’egli sembra interpretare con creativa libertà il rapporto tra figurativo e astratto: le sue composizioni, che al primo acchito paiono fluide scacchiere, si animano nel profondo di fisica vitalità, si fanno immagini di corpi umani. Proprio perché‚ ho inteso accostare personalità così diverse l’una dall’altra, rappresentative non solo di varie atmosfere ma di differenti - anche se non contraddittorie - concezioni dell’arte, ho chiesto loro di esprimere in poche righe un loro pensiero sull’attività che hanno intrapreso; un loro perché. Qualcuno di loro ha inteso disegnare l’origine e la logica delle proprie scelte; altri hanno preferito fermarsi su considerazioni generali, che decisamente sono la radice della loro operazione espressiva ma si intendono come base, non come risultato. Il critico, e lo stesso fruitore occasionale, leggono molto spesso le immagini realizzate dagli artisti in maniera e direzione diverse rispetto alle intenzioni di chi le ha prodotte. Ma questo è il compito comunicativo dell’opera d’arte: è interessante, sotto il profilo storico e culturale, indagare quando e come e in quale contesto essa è nata e ha assunto una specifica forma; però il messaggio può essere liberamente percepito; più l’opera è intensa, più la si può leggere secondo il proprio cuore. Rossana Bossaglia
Su Luca Bossaglia Luca Bossaglia, un artista. Un artista particolare, “quelli di una volta”, un po’ artigiano, un po’ genio, forse un po’ stregone: in una parola un uomo che ascolta con attenzione le infinite vibrazioni e l’arcano fluire della vita. Le sue opere parlano in prima persona per lui, forse troppo schivo nel raccontarsi, per lasciar trapelare lo sua anima di artista alla ricerca di se stesso e di quella scheggia di infinito che è dentro a ognuno di noi. La scelta del materiale-base con cui egli realizza le sue opere è già indicativa perché si capisca il ricco humus culturale da cui trae origine il suo mondo artistico. Il rame: materiale antico, splendido, direi arcano; capace di evocare con prepotenza l’immagine fumosa di un’antica fucina, della bottega-laboratorio di un alchimista rinascimentale. Ed in effetti lo studio-laboratorio di Luca, benché modernissimo e “tecnico”, riesce a comunicare lo stesso senso di mistero e di sospensione magica, di creatività palpabile. Assieme al rame, il vetro, altro materiale prediletto da Luca Bossaglia, forse “il prediletto”, nelle sue infinite gradazioni di iridescenze, trasparenze. Sempre un materiale da plasmare e domare con il fuoco. L’immagine realizzata è quasi sempre rotonda, o una variante raggiata del disco, come il sole: il cerchio, forma perfetta e conclusa in se stessa; l’inizio e lo fine. Le lastre di rame sono scaldate, tagliate, bucate per meglio adattarsi ad essere supporto delle sfere, bacchette di vetro e murrine che compongono l’opera, assieme a sfere in acciaio inossidabile, pezzi di legno ricavati da travi antiche, arelle di cotto del Settecento o anche rocce del cratere immerso di Pollara nell’isola di Salina. Ed infine alcune sfere di vetro contengono sabbia lavica nera di Stromboli, clessidra perpetua del tempo che scorre. La valenza simbolica di questi materiali è potente, e riesce ad evocare un senso profondo di favola arcana. Luca Bossaglia usa il vetro e le murrine con sapienza, da profondo conoscitore del vetro veneziano e delle sue tecniche. Sempre con il vetro, ma in questo caso tessere di mosaico in pasta vitrea, compone lo scacchiera: altro leitmotiv ricorrente in modo ossessivo nella sua opera. Forse un “memento mori”, giacché lo vita è una continua partita a scacchi, un gioco continuo che solo lo morte interrompe. La necessità di esprimere il proprio paesaggio interiore porta l’artista a render visibile lo propria anima in un intrico di fili di rame che si aggrovigliano in percorsi tortuosi per poi convergere sempre verso il centro del cerchio, punto focale e risolutore. Anche lo spirale, in rame sapientemente sagomato, è figura amata dall’artista. Compare costantemente nelle sue opere: forse a simboleggiare lo tensione verso l’infinito di ognuno di noi. Simbolico è pure il suo bestiario, direttamente ispirato al Medioevo. L’arte di Luca Bossaglia vuole comunicare un forte messaggio: lo ricerca di noi stessi, delle radici autentiche dell’essere umano, per meglio comprendere e sapere affrontare il ritmo incalzante e anche impietoso della vita. Paola Casati Migliorini
Su Luca Bossaglia Nascosto tra le mura rosseggianti della vecchia Pavia, Luca Bossaglia va edificando da anni con tenacia e istinto vagamente stregonesco, un suo tutto personalissimo Merzbau. Bossaglia ha l’istinto del faber, e l’ansia vorace di toccare e mescolare materiali solo all’apparenza eterogenei: siano rame o vetro, acciaio o murrine, terracotta o legno. Ne fa uso per dar corso, opera dopo opera, in una concatenazione serrata che si è impadronita come per forza naturale degli spazi, delle luci, delle atmosfere della casa della vita, a un suo immaginario fervido e lussureggiante, eclettico, debordante, che irradia i propri tentacoli di senso in mille direzioni. Valgono, le opere di Bossaglia, ciascuna per sé, e tutte insieme come stanze di un poema, di una chanson affabulante seguendo i cui svolgimenti, le evoluzioni e le ellissi ci si addentra in un mondo altro, autenticamente altro: e se ne può, come l’autore, restare catturati. Ogni opera vale come panoplia simbolica, fervida di segni serrati sino a collidere; e il percorso tutto, del quale l’esposizione in galleria riesce a echeggiare comunque talune suggestioni, è a sua volta una wunderkammer ove le meraviglie, anziché depositarvisi dal mondo, si generano. Bossaglia ricorre a un repertorio iconografico i cui orizzonti sono quelli di una cultura che non sopporta sanzioni catalogatorie: tra segni micenei e greci, tra umori esoterici e allegorici medievali, tra un horror vacui orientale e un gusto maghrebino per i bagliori visivi, tra icone esplicite - la civetta, il serpente, l’uovo, lo scacchiera - e saporosamente ambigue, come l’occhieggiare fitto delle murrine e le partiture di ideoglifi... Il suo viaggio - ché di un lungo viaggio, senza bussola, sapienziale, si tratta - è come quello di un barbaro felice e arguto, che cattura i segni delle culture e se ne impossessa ora propriamente, ora reinventandone il valore entro una tessitura significativa che si organizza facendosi, sempre nuova. Normalmente, la cultura contemporanea ci ha abituato a una misura dell’esotico e dell’antropologico, divaricata fra gli estremismi del gusto estetizzante e di un primitivismo riletto sulle frequenze del less is more. Nel caso di Bossaglia, esotico e sorgivo è il processo di generazione dell’immagine, precedente e indipendente da un gusto di riferimento; e teso alla plenitudine, a una ricchezza necessaria e non esibita: che è, in sé, progetto di totalità, tensione a racchiudere entro gli spessori dell’immagine ciò che si può dire all’altro, ciò che da queste nominazioni procede per catena suggestiva, per amplificazione, sino a toccare ogni volta i confini di un ignoto. Come certe immagini antiche, antichissime, intrise di sacer, che ne portano il carico di conoscenza e di trascorrimento irrazionale, di fascinazione e di inquietante timore. I cui nessi sintattici non procedono da una logica compositiva, e neppure significativa, ma per una sorta di autonoma, e autofondata, paratassi, introversa sino all’enigmatico, coesa per attrazione energetica delle forze di senso che ciascun elemento induce all’insieme. Nulla a che fare, è ormai evidente, con il medievalismo e l’esoterismo salottiero e da masscult oggi corrente, E neppur con gli atteggiamenti da mago merlino di chi voglia contrabbandarsi per nuovo mentore di irrazionalismi d’accatto. Bossaglia è prima di tutto, avrebbe detto lo scrittore antico, unus ex curiosis. Percorre il mondo, della natura e della cultura, e se ne lascia traversare dai mille segni, che intessono lo sua memoria e lo sua fantasia di umori e rimuginii diversissimi: da queste chimiche impreventive nascono le immagini con le quali l’autore tenta non di descrivere, non di raccontare, non di spiegare, ma di capire, del mondo, il segreto: esplorandolo con lo fatica primigenio delle sue mani serrandolo in questi formidabili amuleti della mente. Flaminio Gualdoni
Sculture. Luca Bossaglia Prima la musica, poi la fotografia, ora le arti visive. Ma si direbbe che non si tratta, per Luca Bossaglia (Milano, 1951), di attività alternative. Questo inoltrarsi del giovane artista in terreni tecnicamente diversi, a giudicare dalle sculture esposte, non risponde a una generica versatilità. Il rischio dell’eclettismo si annida di solito altrove, non nella curiosità intellettuale e creativa, ma nella sua risoluzione insostenibile o incerta. Quando insomma si avverta nell’opera l’assenza di una sua «necessità». E appunto non è il caso di Bossaglia, i cui oggetti affascinanti e misteriosi rispondono (secondo quanto ne scrive in catalogo Flaminio Gualdoni) a un «progetto di totalità». Anzi, ha un’idea di continuità che si risolve visivamente in un gioco di analogie sostenuto dai materiali usati: rame, murrine e canne di vetro, acciaio inossidabile, oro zecchino, pietre, bitume, turchese, ottone, terracotta, frammenti di legno, e perfino componenti elettrici per illuminazione. I risultati, nelle opere più convincenti, quelle cioè che sfuggono a un pericolo di ridondanza decorativa, mostrano un curioso incrocio di raffinate tentazioni orientaleggianti e di simbolismo magico. Quando l’accumulo non è eccessivo, la perizia tecnica di cui ha parlato Paola Casati Migliorini evoca una sorta di civiltà perduta dedita a rituali alchemici, solari. I segni dominanti sono il cerchio, la spirale, il labirinto. Ptolemaios e I luoghi della memoria, con i loro rimandi a scritture enigmatiche e miti notturni di generazione, sono fra le opere più riuscite, e richiederebbero un’analisi più dettagliata per metterne in evidenza il carattere esoterico. Roberto Sanesi
Luca Bossaglia Luca Bossaglia è nato a Milano il 28 maggio 1951, ma da sempre abita a Pavia. Il suo debutto artistico è con la musica: ha suonato la chitarra, la chitarra basso, il flauto traverso e le tastiere con importanti cantanti, musicisti e jazzisti italiani, ha composto musiche da scena, e colonne sonore per documentari della Rai. La seconda tappa è la fotografia, e in particolare la fotografia creativa, mezzo attraverso il quale egli affina lo spirito d’osservazione e la sensibilità nel cogliere particolari e momenti magici delle cose. Professionalmente si specializza nella riproduzione dell’oggetto d’arte (pittura, scultura, architettura) collaborando con importanti case editrici alla realizzazione di quaranta pubblicazioni. Ha partecipato a numerose mostre fotografiche personali in Italia e all’estero. Fra le pubblicazioni relative alla sua attività di fotografo vanno ricordate La via del pane (Pavia, 1984), Notturni a Pavia e Immagini di Pavia (Pavia, 1985). Le fotografie pubblicitarie commissionate da Venini, dal 1984 al 1987, sono l’avvio del suo profondo amore per il vetro di Murano, che lo porta ad approfondirne caratteristiche e tecniche artistiche. Ha illustrato numerosi libri sui vetri, tra i quali Murano ’900 (Bocca, Milano, 1996). Il 1990 è l’anno di nascita della sua prima opera in rame. Da allora ha tenuto una trentina di mostre tra personali e collettive, in Italia e all’estero. Come musicista, fotografo e scultore è stato pubblicato da: Arte (Giorgio Mondadori), AD (Giorgio Mondadori), Casa Vogue, Atlante (DeAgostini), Gulliver (RCS), Rock Around Pavia (Emi Editrice), Artigianato (Amilcare Pizzi Editore), Archeo (DeAgostini), Progresso Fotografico, Corriere della Sera, la Repubblica, la Provincia Pavese, e altre testate. Recensioni delle mostre e articoli scritti da: Licia Spagnesi, Paola Casati, Rossana Bossaglia, Jaqueline Ceresoli, Flaminio Gualdoni, Paola Casati Migliorini, Roberto Sanesi, Michela Delfino, Giuseppe Turroni, Furio Sollazzi, e altri.
Editoria per l’arte
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