Gianluca Rona @ Spazio Biraghi Milano

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UPSIDEDOWNtOWN Gianluca Rona metropoli ed il loro doppio

via Pasquale Sottocorno, 5 - Milano

INAUGURAZIONE 30 novembre 2017

racconto fotografico Lorenzo Sacchi_planoÂŽ design progetto allestimento plano design con sistema photoSHOWall ÂŽ


visita virtuale _ stanza 1 visita virtuale _ stanza 2 visita virtuale _ stanza 3





Quello di Gianluca Rona è un vero e proprio viaggio dentro la realtà che però non si risolve nella sua pura, sia pur suggestiva, indagine ma si amplia in una dimensione inaspettata, spiazzante e non di rado addirittura visionaria.

Di fronte all’immagine sottilmente ambigua di una porta accompagnata da un cartello luminoso con al scritta “Exit” verrebbe da dire, parafrasando Marcel Duchamp, che questa non è un’uscita.

Nel porsi di fronte a un paesaggio urbano chiunque deve, dunque, scegliere se subirlo facendosene suggestionare o affrontarlo in una sfida che è insieme visiva e concettuale. Gianluca Rona sceglie questa seconda strada e lo fa usando metaforicamente il suo obiettivo come un punto di vista ardito e personalissimo perché nelle sue fotografie un ponte è qualcosa di più di un elemento di collegamento ma svetta come se avanzasse a lunghe falcate, uno skyline non è solo l’immagine della città che si staglia sull’orizzonte, le facciate dei grattacieli diventano superfici che si aprono su mille anfratti.

Talvolta il fotografo raddoppia l’immagine così ai nostri occhi il cielo si ritrova nel mare (o viceversa, ovviamente) ma questo è solo uno dei tanti modi del suo saper vedere oltre: i corridoi si inseguono in percorsi dove non è così importante distinguere inizio e fine, porte e finestre si aprono e si chiudono sul nulla, il colore e le forme convergono in un’unica visione, le luci splendono di bagliori improvvisi oppure emergono in un giallo vivace che si staglia sul blu che invade la notte delle città contemporanee e si posa sulle forme dei grattacieli. Roberto Mutti






UNA METROPOLI E IL SUO DOPPIO New York, come è ovvio che sia, è una delle metropoli più fotografate al mondo: città più importante degli USA, ovvero della Federazione di Stati più potente del mondo, nonché avamposto di un certo tipo di sviluppo urbanistico verticale, estremamente rappresentativo del capitalismo avanzato, ha costituito sempre un terreno fertilissimo per la fotografia, dalla foto-ricordo a quella amatoriale di ricerca, alle indagini più complesse dei fotografi professionisti e dei maestri della fotografia. Questo dato, di essere appunto paesaggio ambìto dagli obiettivi dei fotografi, comporta anche il rischio di una assuefazione alle vedute fotografiche di questa città che ormai, per utilizzare un’espressione consumata ma efficace, fanno parte dell’immaginario collettivo mondiale: persino nella fotografia di certe scene cinematografiche indimenticabili ‒ basti pensare, per restare ai decenni più recenti, ai film di Woody Allen o a quelli di Martin Scorsese, di Francis F. Coppola e tanti altri ‒ lo skyline di Manhattan e certi suoi luoghi d’elezione, risultano familiari. Così, per chi specificamente si occupa di fotografia, è noto che già dagli anni venti tanti maestri dell’obiettivo, come Walker Evans, Margaret Bourke-White e i fotografi di quell’eccezionale periodo storico per la fotografia, hanno documentato le repentine trasformazioni architettonicourbanistiche che hanno da sempre caratterizzato la metropoli americana. Ma, accanto a queste letture più legate a una pura fotografia di documentazione, molto asciutta e reportagistica, New York è stata protagonista anche di interpretazioni fotografiche meno realistiche, dove la ricerca della forma, della composizione, di un certo senso estetico, si dovevano applicare a paesaggi così decisamente caratterizzati. In questo secondo filone si inscrive il lavoro del giovane fotografo Gianluca Rona (Pavia, 1983) che si è servito di paesaggi e dettagli di New York per trasfigurarli attraverso elaborazioni dal sapore fortemente grafico. Il modulo stilistico che attraversa gran parte delle immagini è quello del rispecchiamento: la fotografia iniziale viene replicata su uno dei lati, orizzontale o verticale, ma non

secondo le regole ottiche che duplicano l’immagine nello stesso senso, ma in modo arbitrario, invertendo i lati delle stesse. Si tratta dunque di un finto rispecchiamento che, alterando l’“effetto specchio”, destabilizza la visione dello spettatore. Le vedute metropolitane, siano esse panoramiche o dettagli di paesaggio o di manufatti architettonicamente importanti, sono inoltre il risultato di esposizioni multiple che trasformano il realismo della ripresa fotografica ‒ almeno nel senso di lettura fotografica più aderente alla realtà visibile ‒ in visioni graficogeometriche o surreali o vicine quasi a una rappresentazione astratta, dove forme e colori sono trasformati in campi tonali senza sfumature. Una fotografia dunque che trasforma molti noti paesaggi ed elementi architettonici della metropoli americana in una nuova lettura segnata soprattutto dalla composizione grafico-pittorica in cui i colori sono spesso quasi monocromi, alternando le luminose luci del giorno a quelle più crepuscolari o notturne. Questo per quanto riguarda l’aspetto compositivo di base, cui c’è da aggiungere, come scrivevo prima, l’altro aspetto fondamentale: il rispecchiamento come forma di perturbanza. A questo proposito la domanda, osservando con più attenzione le fotografie di Rona, sorge spontanea: perché l’autore si è servito di questo “rispecchiamento invertito”? Non credo soltanto per una necessità compositiva, pure importante, ma forse perché la doppia inversione dell’immagine duplicata allontana l’impressione che il rispecchiamento sia una mera duplicazione e voglia essere invece una reinvenzione della panoramica sovrastante, con un effetto appunto di spiazzamento visivo dello spettatore che ambisce anche ad essere spiazzamento concettuale. E dunque questo aspetto, oltre a essere un aspetto di fruizione visiva, diventa un aspetto rivelatore della personalità dell’autore che si pone dialetticamente, come dovrebbe essere per le ricerche artistiche, nei confronti della lettura fotografica del mondo visibile. Pio Tarantini





Viaggiatore appassionato e curioso, cittadino di metropoli internazionali – da Madrid, dove si è approcciato alla fotografia, a New York, dove ha maturato un’intensa esperienza professionale, a Hong Kong, dove sta mandando a segno nuovi progetti – Gianluca Rona ci restituisce, attraverso i suoi scatti meditati e la sua più che meditata tecnica, immagini di metropoli sia nel complesso della loro articolata disposizione urbana, sia nel dettaglio di particolari architettonici e costruttivi. Sono immagini che appartengono ormai all’universo visivo di ciascuno di noi, usurate da una comunicazione massificata che le ha deprivate di tanti possibili significati; eppure, attraverso l’occhio di Gianluca, è possibile non solo rivederle ma guardarle con attenzione, rileggerle alla ricerca di inedite sensazioni, alla scoperta di contenuti reconditi. Oltre tutto, le visioni sono molto spesso duplicate, attraverso un gioco di specchi che riflette l’insieme o il particolare sollecitando – doppiamente la nostra mente a interrogarsi sul rapporto tra realtà e apparenza, o anche su possibili modelli di città ideali in cui spendere nuove vite. Talora sono avveniristici e splendenti grattacieli dell’alta finanza che dominano gli skylines statunitensi o asiatici,

talaltra sono dettagli di edifici insignificanti e anonimi, che non avremmo degnato di uno sguardo, fintanto che qualcuno non ce li avesse additati. Per lo più, l’immagine che ci viene mostrata si caratterizza per un’esigenza di ordine, di geometria, di pulizia formale: che si tratti dei parallelepipedi allineati lungo le strade di Manhattan o allungati sulla penisola di Kowloon, o dei finestrati rettangolari di edifici industriali, le scale antincendio zigzaganti, le aste dei lampioni, i piloni, i cavi metallici e le ringhiere dei ponti; ma talvolta un fascio di luci, una parabola colorata, l’incresparsi delle acque, un tramonto suggestivo, uno squarcio di cielo, le impronte sulla spiaggia intervengono ad animare la visione e spezzare la staticità e l’equilibrio della rappresentazione. Quelle scaturite dalle fotografie di Gianluca Rona sono, dunque, sensazioni che ci colpiscono e ci emozionano tutti: ma risultano amplificate per quanti vi riconoscono rimandi, suggestioni, citazioni più o meno esplicite e consapevoli della pittura delle avanguardie - dal Neoplasticismo di Mondrian al Neocostruttivismo russo - fino alle distorsioni geometriche e vorticismo delle architetture impossibili di Escher. Susanna Zatti







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il circuito photoSHOWall DAL MUSEO ALLA CITTÀ

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PhotoSHOWall è statto sviluppato da plano design nell’ambito del progetto SHOWall Il progetto SHOWall è realizzato con il sostegno di Comunità Europea, Ministero dei beni culturali e Regione Lombardia



GIANLUCA RONA

Gianluca Rona, è nato a Pavia nel settembre del 1983, il suo interesse per la fotografia si manifesta fin da bambino quando riceve in regalo la sua prima macchina fotografica all’etá di 8 anni. All’inizio, come è normale che sia, il mezzo fotografico è un gioco, anche se pian piano si fa strada l’aspetto che più lo lega alla fotografia, ovvero quella strana sensazione che gli fa credere di riuscire a fermare il tempo, quel tempo che gli sembra scorrere in maniera forsennata. Arrivato all’adolescenza nel tentativo costante di esplorare il mondo attraverso un proprio percorso artistico lascia da parte, momentaneamente, la fotografia per avvicinarsi alla musica attraverso il suono di un clarinetto. La passione per la fotografia riesplode dentro di lui all’inizio della carriera universitaria presso la facoltá di ingegneria elettronica dell’Università di Pavia, sta per cominciare la grande rivoluzione del digitale e da quel momento la fotografia forma parte integrante della sua vita. Dopo una piccola personale dal titolo “The Butterfly Effect”, panoramica della vita di una farfalla, nel 2008 si trasferisce a Madrid dove rimane per un paio di anni ed insieme ad altri giovani amanti dell’arte

fotografica dà vita ad un laboratorio analogico/ digitale chiamato “Ojos de Pez” all’interno del più importante centro sociale della capitale spagnola, che oltre alle uscite sul “campo”, ha come obiettivo un dialogo costante tra i vari membri del collettivo riguardo il mondo che ci circonda e il modo più efficace di raccontarlo attraverso delle immagini. Ritornato in Italia nel 2010 inizia a collaborare con l’agenzia “Italy Photo Press” con sede a Milano, occupandosi prevalentemente di fotografia sportiva e di spettacolo ricoprendo eventi di grande importanza. Pubblica le sue immagini su quotidiani e riviste di tutto il mondo. Nell’ottobre del 2015 si trasferisce per alcuni mesi a New York City come corrispondente di stampa estera. Influenzato dall’atmosfera della cittá si riavvicina al mondo della fotografia artistica, la serie fotografica “UpsidedownTown” realizzata nella grande mela, sfocerà nella pubblicazione del suo primo libro dall’omonimo titolo. Negli ultimi 2 anni alterna il suo lavoro tra l’Italia e NYC. A fine 2016 soggiorna per un breve periodo ad Hong Kong dove continua con il suo progetto fotografico adattandolo al contesto della capitale asiatica.


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