La città asiatica: letture Giulia Fini e Cecilia Maria Saibene
✗ “Distruggere / Costruire: Shanghai e Kunming”, Reportage fotografico di Piero Vio in (ibidem) le letture di Planum n. 4, 2015, allegato a Planum. The Journal of Urbanism disponibile gratuitamente su www.planum.net
✗ Shanghai, 2015. Foto di Piero Vio
“Distruggere/Costruire: Shanghai e Kunming” Reportage fotografico di Piero Vio in (ibidem) le letture di Planum, supplemento a Planum. The Journal of Urbanism, www,planum.net
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Chai è il carattere cinese che sta per distruzione. È ovunque, fatto con il pennello, lo spray, lo stencil. Poco dopo la sua comparsa sul muro di una casa arrivano a demolire. Sono frequenti le proteste, spesso per ottenere una migliore rilocazione. Se qualcuno sceglie di rimanere distruggono tutto intorno alla casa. Spesso la bandiera cinese sventola in cima a questi edifici solitari: li chiamano dingzihu, case chiodo. Molti, moltissimi espropri sono illegali. Si distrugge tutto, in centro e in periferia; le compagnie di costruzione sono potenti. Oltre alle manifestazioni, le proteste avvengono sotto forma di striscioni o lenzuoli che appaiono nei quartieri destinati a sparire
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✗ Shanghai, Putuo District, 2015. Foto di Piero Vio
✗ Kunming, Panlong district, 2013. Foto di Piero Vio
✗ Kunming, dingzihu (casa chiodo), 2013. Foto di Piero Vio
✗ Shanghai, Putuo District, 2014. Foto di Piero Vio
✗ Kunming, Distretto nord, 2013. Foto di Piero Vio “Restituiscimi la terra – Voglio passare il capodanno (cinese)”
✗ Kunming, Distretto nord, 2013. Foto di Piero Vio “Restituiscimi la terra – Voglio passare il capodanno (cinese) – Non ho soldi – Dormo in strada – Chiedo al governo giustizia”
✗ Kunming, Distretto nord, 2013. Foto di Piero Vio. Sopra: “Siamo pronti alla morte per difendere la casa.” A sinistra: “I contadini con enormi sacrifici sisono costruiti una casa per vivere!” A destra: “Il governo in mille modi distrugge le case per poi rilocarci dove”
✗ Kunming, periferia nord, 2013. Foto di Piero Vio
✗ Kunming, Panlong District, 2012. Foto di Piero Vio
✗ Kunming storica e grattacieli, 2011. Foto di Piero Vio
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Shanghai centro, Jing’an District, 2014. Foto di Piero Vio.
✗ Shanghai, cartelli pubblicitari immobiliari, 2015. Foto di Piero Vio
✗ Kunming, cartelli pubblicitari immobiliari, 2012. Foto di Piero Vio
✗ Kunming, cartelli pubblicitari immobiliari, 2012. Foto di Piero Vio
✗ Kunming, campi e nuove case, 2011. Foto di Piero Vio
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Shanghai. Sopra: campi e nuovi grattacieli, 2014
✗ Putuo District, 2015. Foto di Piero Vio
“Distruggere/Costruire: Shanghai e Kunming” Reportage fotografico di Piero Vio in (ibidem) le letture di Planum, supplemento a Planum. The Journal of Urbanism, www,planum.net
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E poi è tutto un fiorire di case di lusso o simil-lusso, spesso di dubbia qualità, con fontane, mulini, torri, castelli, ricalcando lo stile di palazzi veneziani e fiorentini, di Londra, Roma, Parigi, fino a spingersi a esserne vere e proprie copie. Si vendono case-simbolo di uno stile di vita europeo-occidentale. I cartelloni pubblicitari immobiliari raccontano di un ‘sogno cinese’ a un passo dalla realizzazione, palpabile, fatto di benessere, eccellenza, esclusività. Le foto che percorrono questo numero di Ibidem sono state scattate tra Shanghai e Kunming, capoluogo della provincia dello Yunnan, nella Cina meridionale
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✗ Michele Bonino, Filippo De Pieri, (eds. 2015), “Domesticating East Asian Cities”, Territorio no. 74.
M. Bonino, F. De Pieri, “Domesticating East Asian Cities. Introduzione”, in Territorio, n.74, 2016, pag. 18.
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L’impetuoso sviluppo urbano dell’Asia orientale è spesso descritto, per velocità e dimensione delle trasformazioni, attraverso la retorica dei superlativi o dei grandi numeri. Ma non tutto è gigantesco a Tokyo, Singapore, Pechino, Seul, Guangzhou o Hong Kong. Sebbene sia importante osservare queste città da più vaste prospettive geografiche, economiche e politiche, gli stessi luoghi possono essere studiati con efficacia anche da vicino: analizzando micro forme di abitare, riconoscendo esperienze urbane specifiche, seguendo il consolidarsi o il dissolversi delle comunità
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M. Glionna, M. Minnici, “Hong Kong: abitare microspazi” in M. Bonino, F. De Pieri (a cura di), “Domesticating East Asian Cities”, Territorio, n.74, 2016, pag. 30-31. Hong Kong è una delle città più densamente popolate al mondo. I vincoli morfologici, la frammentazione del territorio, l’impossibilità di estensione dei suoi confini naturali e l’alta densità abitativa ne fanno una città straordinariamente densa e compatta. La costante prossimità fisica e simbolica tra persone, costumi, usi, realtà differenti, e l’assoluta contiguità tra la sfera dell’abitare privato e quella della vita pubblica sono tra le caratteristiche più affascinanti di questa città, cresciuta secondo logiche di intensificazione più che d’espansione. «[Hong Kong] rivela, nei suoi spazi XS e nelle sue invenzioni popolari, quei segreti che la rendono una città fantastica [...]. Chiaramente, non è solo la forma ufficiale dei suoi grattacieli a rendere unico lo skyline di Hong Kong. In effetti, è principalmente nella parte più bassa, a livello della strada, che si sviluppano soluzioni architettoniche e urbane di incredibile energia e innovazione, soluzioni che si confrontano con le emergenze del quotidiano
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M. Glionna, M. Minnici, “Hong Kong: abitare microspazi” in M. Bonino, F. De Pieri (a cura di), “Domesticating East Asian Cities”, Territorio, n.74, 2016, pag. 30-31. Il tracciato delle strade e la loro organizzazione sul territorio plasma lo spazio urbano generando nuovi luoghi (Jackson, 1984): non più lo spazio statico della piazza ma quello, in movimento, dei flussi di circolazione (Dehaene et al., 2008). Nuovi punti di vista e di osservazione, a diverse altezze e con prospettive differenti, permettono di sperimentare nuovi modi di abitare. La città diventa un sistema dinamico generato dallo spazio interstiziale nel mezzo. Questi luoghi nascono indipendentemente dall’estetica e in risposta a necessità funzionali e pratiche, come nel caso del Central MidLevel Escalator, il sistema di scale mobili urbano all’aperto più lungo del mondo. Qui, tramite lo spostamento, si conosce lo spazio circostante, combinando un’esperienza di movimento sia temporale che spaziale. L’Escalator è l’esempio migliore di come il trasporto tecnologico di massa abbia incrementalmente ridefinito la città, con la sua brutale espansione
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M. Bonino, P.A. Croset, F. De Pieri, “Pechino come arcipelago: la trasformazione delle danwei industriali”, in M. Bonino, F. De Pieri (a cura di), “Domesticating East Asian Cities”, in Territorio, n.74, 2016, pag. 56-63.
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L’Asia, guardata da Occidente, è apparsa spesso come un luogo parallelo a quello reale, descritto attraverso immagini e linguaggi nati per rispondere a interrogativi che si ponevano dalla nostra parte del mondo. Ciò vale anche per Pechino. I racconti di questa città, così come riportati in Occidente, appaiono a volte deformati. Si tende a descriverla come una città di contrasti inconciliabili: tra il vecchio della tradizione, visto come familiare e ‘alla scala umana’, e il nuovo omologato a modelli estranei e fuori scala. Oppure la si racconta come una città che si trasforma solo attraverso cambiamenti radicali, dove la demolizione diventa la principale azione dell’urbanista. É questo il senso di molte interpretazioni, ed è inevitabile che ciò condizioni l’aspettativa dello studioso europeo che vi giunga per la prima volta. Presto si osservano, però, molte sfumature
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M. Bonino, P.A. Croset, F. De Pieri, “Pechino come arcipelago: la trasformazione delle danwei industriali”, in M. Bonino, F. De Pieri (a cura di), “Domesticating East Asian Cities”, in Territorio, n.74, 2016, pag. 56-63. L’eredità urbana delle danwei È noto agli studiosi dell’urbanizzazione cinese come i cambiamenti legati alla forte industrializzazione degli anni ’50-’70 abbiano assunto una forma urbana specifica, legata alla struttura sociale, politica e amministrativa dell’’unità di lavoro’. La danwei, negli anni successivi alla nascita della Repubblica Popolare, divenne l’elemento principale di una riorganizzazione sociale e spaziale della città cinese. Il periodo maoista coincise infatti con il periodo in cui si rafforzò la struttura produttiva di Pechino, attraverso la pianificazione e la costruzione di numerose danwei dalle più varie dimensioni. L’organizzazione socialista prevedeva che ogni lavoratore, insieme alla sua famiglia, si legasse a una specifica unità di lavoro. Quest’ultima era caratterizzata da un’associazione stretta tra luoghi del lavoro, spazi per la residenza e altre strutture per la vita sociale e associativa quali mense, scuole, attività ricreative, assistenza Le danwei potevano essere legate a diversi tipi di attività lavorative: amministrative, produttive, commerciali, di servizio, ecc.
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M. Bonino, P.A. Croset, F. De Pieri, “Pechino come arcipelago: la trasformazione delle danwei industriali”, in M. Bonino, F. De Pieri (a cura di), “Domesticating East Asian Cities”, in Territorio, n.74, 2016, pag. 56-63. Se fino a pochi anni fa l’attitudine corrente nei confronti delle danwei industriali era riconducibile alla tabula rasa, oggi sembra avere più spazio un interesse per la conservazione di alcuni di questi luoghi, potenziali matrici per la costruzione di un diverso tipo di città contemporanea. Si può ricondurre questo mutamento di attitudine a un’evoluzione che riguarda le culture e le pratiche della conservazione. In Cina, infatti, è oggi più forte che in passato l’interesse per politiche di conservazione estese a intere parti di città, secondo approcci che possono ricordare alcune delle esperienze maturate in ambito europeo tra gli anni ’60 e ’80. Al tempo stesso, risulta in crescita un interesse per la conservazione delle tracce della cultura materiale legata all’industria, nonché per la loro valorizzazione in senso economico e turistico nella città contemporanea
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✗ Bologna A., Bonino M. Bruno M., (a cura di, 2011), Seoul Steel Life. Case a catalogo e stanze a noleggio. Houses by the book and rooms by the hour, Quodlibet Studio, Macerata.
Michele Bonino, “Case a catalogo e stanze a noleggio”, in Alberto Bologna, Michele Bonino, Marco Bruno (2010, a cura di), Seoul Steel Life. Case a catalogo e stanze a noleggio / Houses by the Book and Rooms by the Hour, Quodlibet, Macerata, pp.16-27.
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Per mancanza di conoscenza, abbiamo della Corea un'immagine esotica e variegata: eppure è una delle società più omogenee al mondo. Metà dei coreani condividono tre cognomi (Kim, Park, Lee) e le automobili sono vendute solo in grigio, bianco o nero. Ci sono fenomeni che, per la loro reiterata ordinarietà, appaiono sorprendenti: due di questi, di natura architettonica e urbana (gli apart e i bang), riguardano la grande maggioranza dei sud-coreani e sono il punto di partenza della riflessione documentata in questo libro. Il primo è un fenomeno residenziale. Come hanno mostrato alcune ricerche svolte dalla Konkuk University all'inizio di questo scambio internazionale, caratteristica del mercato immobiliare coreano è la presenza di pochi brand sostanzialmente riconducibili ai sei gruppi che controllano l’80% del mercato nazionale insistentemente pubblicizzati sulle riviste divulgative, al cinema e in televisione
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Michele Bonino, “Case a catalogo e stanze a noleggio”, in Alberto Bologna, Michele Bonino, Marco Bruno (2010, a cura di), Seoul Steel Life. Case a catalogo e stanze a noleggio / Houses by the Book and Rooms by the Hour, Quodlibet, Macerata, pp.16-27.
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Quelle occasioni sociali che noi siamo soliti organizzare in casa sono demandate ad alti luoghi. Quali? Una moltitudine di stanze a noleggio (bang, appunto, in coreano) possono essere occupate "a ore" per guardare una partita con gli amici, cucinare invitando a cena qualcuno, fare i compiti con i propri compagni.., ma anche per cantare, bere o addirittura pescare e giocare a baseball. Sono attività prevalentemente gestite da piccoli imprenditori e trovano posto in edifici di ogni genere, ai diversi piani di complessi residenziali, commerciali, uffici. Questa disseminazione è sicuramente interessante dal punto di vista urbano, ma reclude gli spazi dei bang e accentua la non comunicabilità tra i piccoli gruppi dei loro frequentatori
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✗ Meyer U., (2012), Architectural Guide Taiwan, DOM Publishers, Berlin. ✗ Meyer U., (2013), Architectural Guide Hong Kong, DOM Publishers, Berlin.
✗ Dubrau C. (2010), Contemporary architecture in China. ✗ Buildings and Projects 2000-2020, DOM Publisher, Berlin.
✗ Voigt S., (2009), Contemporary Architecture in Eurasia. Buildings and Projects in Russia and Kazakhsta, DOM Publishers, Berlin.
✗ Jodidio P., (2007), CN Architecture in China, Taschen.
✗ den Hartog H. (eds. 2010), Shanghai New Towns. Searching for community and identity in a sprawling metropolis , 010 Publishers, Rotterdam.
✗ Keeton R. (eds. 2011), Rising in the east. Contemporary new towns in Asia, Sun Publishers, The Netherlands.
✗ Liauw L. (eds. 2008), New Urban China, Architectural Design, vol. 78, issue 5, John Wiley & Sons Ltd, Hoboken.
✗ Hassenpflug D., (2011), The Urban Code of China, Birkhäuser Verlag, Basel.
✗ Edelmann F. Balló J. et al, (2009), In the Chinese city: perspectives on the transmutations of an empire, Actar, Barcelona.
✗ Sung Hong Kim, Peter Schmal, (eds. 2008), Contemporary Korean Architecture. Megacity Network., Jovis, Berlin.
✗ Jinhee Park and John Hong., (2012), Convergent Flux. Contemporary architecture and urbanism in Korea, Birkhäuser and Harvard Graduate School of Design.
✗ Lee C. C. M., (eds. 2013), Common Frameworks: Rethinking the Developmental City in China, Part 1. Xiamen. The Megaplot, Harvard GSD AECOM Project of China. ✗ Lee C. C. M., (eds. 2013), Common Frameworks: Rethinking the Developmental City in China, Part 2. Macau. Cross-Border City, Harvard GSD AECOM Project of China. ✗ Lee C. C. M., (eds. 2014), Common Frameworks: Rethinking the Developmental City in China, Part 3. Taiqian. The Countryside as a City, Harvard GSD AECOM Project of China.