Qui è ora.

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QUI È ORA SPAZIO E TEMPO PUBBLICI COME LEVE DELLA QUALITÀ DELLA VITA E DELLA CITTADINANZA ATTIVA ATTI DEL CONVEGNO TORINO FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO, 14-15 MARZO 2011

a cura di Andrea Bocco

QUODLIBET


CITTÀ E PAESAGGIO QUI È ORA prima edizione maggio 2012 ISBN 978-88-7462-439-3 © 2012 Quodlibet s.r.l. via Santa Maria della Porta, 43 Macerata www.quodlibet.it

Si ringraziano: la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, per aver ospitato il convegno, e Alessandro Zanzo, per le fotografie.

traduzioni Andrea Bocco coordinamento editoriale Elisabetta Rosa progetto grafico Franco Nicole Scitte impaginazione Emilio Antinori stampa Biemmegraf


INDICE

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Introduzione Coltivare il tempo e lo spazio. Per una riappropriazione responsabile della qualità della vita urbana Andrea Bocco

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PARTE SECONDA. Spazio e tempo pubblici come leve della qualità della vita e della cittadinanza attiva

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Uno spazio per la diversità nella vita urbana

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Il possibile, il diverso e l’inatteso nello spazio pubblico urbano Karen A. Franck

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PARTE PRIMA + spazio + tempo

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+spazio+tempo. Le premesse, il contesto, il modello

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Un progetto per la qualità della vita. Dal piano territoriale degli orari a +spazio+tempo Marta Levi

La Cascina Roccafranca Renato Bergamin

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I Bagni pubblici di via Agliè Erika Mattarella

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La Casa del Quartiere di San Salvario Roberto Arnaudo

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Via Cecchi Davide Paglia

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La Fondazione Mirafiori Silvia Cordero

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Le politiche di rigenerazione e il ruolo dello spazio pubblico Ilda Curti

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Il ruolo delle fondazioni Antonella Ricci

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I fondamenti teorici e il modello Marisa Cortese

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Portfolio I. I divieti nell’uso dello spazio pubblico

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+spazio+tempo. Il progetto

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Gli ambiti operativi Vittorio Sopetto

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Le attività svolte in San Donato Guido Maria Alunno

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Portfolio III. Progetti dello spazio pubblico

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Il progetto democratico dello spazio pubblico

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Concetti di indeterminatezza. Esempi dal Regno Unito Tatjana Schneider con Melanie Bax, Sarah Considine e Adam Towle

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La funzione dell’assistenza tecnica Raffaella Fusaro

Low cost design. La creatività spontanea come materiale di sviluppo urbano Daniele Pario Perra

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La comunicazione Roberto Maria Clemente

L’orticoltura urbana e l’orticoltura collettiva a Torino Vittorio Bianco

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Le città educative. Il coinvolgimento dei bambini nella progettazione e nell’uso dello spazio pubblico Umberto Magnoni

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Portfolio IV. Tempo/tempi

Portfolio II. Le azioni di +spazio+tempo


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Uso del tempo e qualità della vita

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Perché abbiamo bisogno di una settimana lavorativa più corta Anna Coote

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La rete “Tempo Territorial” Chantal Trouwborst

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La legge 8 marzo 2000, n° 53 Elena Cordoni

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Spazio e tempo pubblici nei nuovi strumenti urbanistici della Città di Massa Gabriella Gabrielli

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L’ufficio Spazi e tempi urbani e il Piano territoriale degli orari della Città di Bergamo Marina Zambianchi

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Il Piano territoriale degli orari della Regione Lombardia. Difficoltà e prospettive Marilena La Fratta

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Le politiche piemontesi sul tempo e il monitoraggio dei dati Ketty Costanzo

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Portfolio V. tYps - tell Your public space

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PROFILI DEI RELATORI

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CREDITI FOTOGRAFICI



INTRODUZIONE COLTIVARE IL TEMPO E LO SPAZIO. PER UNA RIAPPROPRIAZIONE RESPONSABILE DELLA QUALITÀ DELLA VITA URBANA Andrea Bocco Questo libro costituisce la raccolta degli argomenti presentati al convegno “qui è ora”, svoltosi a Torino il 14-15 marzo 2011. Il convegno è stato voluto dalla Città di Torino per attivare uno scambio di informazioni e punti di vista sullo spazio e sul tempo come beni pubblici, qualche mese prima della conclusione di un progetto sperimentale, denominato +spazio+tempo, centrato proprio su tali questioni. La presentazione e la riflessione su +s+t sono state oggetto della prima parte del convegno, e sono servite anche come termine di paragone, concreto e presente, rispetto alle politiche e alle esperienze presentate nel resto delle due giornate. Si è voluto che il quadro fornito dai relatori ospiti fosse tanto variegato quanto i temi affrontati da +s+t. Pertanto abbiamo scelto persone che potessero offrire i punti di vista di differenti discipline, e che provenissero da contesti geografici e di politiche urbane diversi. I relatori principali sono stati proposti dal direttore scientifico e la responsabilità della loro scelta, compatibilmente con le loro disponibilità, è stata condivisa con l’amministrazione comunale, che ha per parte sua indicato ulteriori soggetti. In totale ci sono state 26 relazioni: in ogni gruppo una o due hanno avuto un tempo maggiore, mentre altre si sono svolte nella forma della tavola rotonda. Il testo è pertanto strutturato come segue. La prima parte restituisce gli interventi su +s+t, ed è composta di due capitoli, il primo piú istituzionale comprendente tra l’altro i principi generali che hanno governato il progetto, mentre il secondo, piú operativo, raccoglie testimonianze di diversi soggetti coinvolti nella sua attuazione. La seconda parte del libro contiene invece i contributi di ospiti locali, nazionali e internazionali, che sono stati chiamati a raccontare la loro esperienza diretta o a fornire elementi di riflessione. In particolare, il terzo capitolo è aperto dalla fenomenologia sistematica dello spazio pubblico, proposta da Karen Franck, cui fa seguito un panorama delle esperienze torinesi di spazi socioculturali di quartiere; il quarto capitolo è costituito da quattro contributi sul progetto democratico dello spazio pubblico – dal concetto di “spatial agency” proposto da Tatjana Schneider e altri autori per riformare l’ap-

proccio alle pratiche di trasformazione dello spazio al “low cost design” prodotto spontaneamente da progettisti anonimi e riconosciuto da Daniele Pario Perra; dall’orticoltura urbana al coinvolgimento dei bambini nella progettazione dello spazio pubblico; il quinto capitolo è dedicato invece all’uso del tempo, con i contributi di Anna Coote che descrive la proposta della New Economics Foundation per un radicale ripensamento dell’equilibrio tra tempo retribuito e no, e di Chantal Trouwborst che racconta come un approccio temporale possa innestarsi, migliorandole, nelle pratiche di pianificazione e gestione urbanistica. Quest’ultimo capitolo contiene poi una panoramica degli uffici municipali e regionali dei tempi e degli orari, variamente denominati, a oltre dieci anni dall’entrata in vigore della legge 53/2000. Oltre alle presentazioni dei relatori del convegno, il libro contiene cinque portfolio tematici che lo arricchiscono ulteriormente con argomenti che in quell’occasione non era stato possibile approfondire. Tra questi, una serie di schede sulle azioni del progetto +s+t e un’altra su interventi di varia natura per rivitalizzare creativamente lo spazio pubblico, attuati in giro per l’Europa; ma anche un’opprimente sequenza di divieti, vigenti sullo spazio pubblico in varie città italiane, e la restituzione dei modi in cui alcuni abitanti di un quartiere torinese qualificano il tempo della vita quotidiana. Nel rivedere i testi, talvolta forniti per iscritto, talaltra trascritti dalla registrazione, si è tentato di mantenere la freschezza e la vivacità del parlato, ma anche di fluidificare qualche passaggio per facilitare la comprensione del lettore. I contributi delle relatrici straniere, che sono stati pronunciati e forniti in lingua originale, sono stati tradotti dal curatore. A distanza di qualche mese, l’intendimento nel dare alle stampe il volume è di lasciare una traccia non effimera delle attività svolte, e di estendere la diffusione della loro conoscenza, a beneficio di quanti si occupino di progettazione e gestione – dal basso e dall’alto, come cittadini, attivisti, pianificatori, funzionari, politici – di interventi sullo spazio e sul tempo pubblici quali elementi essenziali della qualità della vita urbana e dello sviluppo di una cittadinanza attiva. Uno degli spunti iniziali di questi due giorni di confronto e di riflessione è stato il riconoscere (infra pp. 21-23) che nello spazio pubblico – inteso nel senso non metaforico di parti della città che hanno un uso e in genere sono di proprietà collettiva – ci

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INTRODUZIONE. COLTIVARE IL TEMPO E LO SPAZIO 10

sono troppe regole, e che quindi occorre che il settore pubblico le riduca e le semplifichi, in modo che queste non ostacolino la qualità della vita quotidiana e magari addirittura la migliorino. “Ordinare” uno spazio è un compito davvero difficile, se si conviene con Bauman1 che uno spazio ordinato è uno spazio governato da regole, e che una regola è tale in quanto vieta ed esclude. Oggi troppe cose sono regolate, troppe progettate: con l’esito di non poter applicare in modo efficace le decisioni prese, di non poterne controllare il rispetto, e soprattutto di non poter garantire, nella loro moltiplicazione, che continuino a esistere non per il bene comune, ma per autogenerazione tecnocratica. (L’esito sorprendente della rimozione dei segnali stradali è un aumento della sicurezza della circolazione: vedi portfolio III, p. 109). Alcuni, tra cui La Cecla2, hanno raccontato la storia della condanna positivista della vita all’aperto, mirata a portare all’interno le vite dei poveri e a nascondere, se non a sopprimere, molte attività quotidiane. La segregazione in casa della vita, processo che si è accelerato da fine Ottocento, ha avuto per effetto una maggiore ineguaglianza, e un impoverimento relazionale per tutti. Oggi la casualità dei contatti tra le persone, una delle caratteristiche precipue dello spazio urbano, da oggetto di esecrazione di alcuni fanatici è divenuta motivo di repulsione quasi generalizzata. Per effetto della nostra alienazione da esso, lo spazio all’aperto è spesso percepito con disagio, se non con paura. La pianificazione “razionale” e la programmazione dei comportamenti hanno avuto come scopo l’eliminazione di tutto ciò che di imprevedibile e multifunzionale accade in una città: che è precisamente ciò che la qualifica come tale. Questa strategia per fortuna non è riuscita e non riesce mai completamente, come ha descritto Karen Franck (infra pp. 71-85); però i risultati sono molto pesanti, non solo in termini di banalizzazione dello spazio fisico, ma anche in termini di cambiamento delle mentalità. Sennett3 ha spiegato come spazi monotoni creino individui passivi, e come individui passivi creino spazi monotoni, in un tipico esempio di causazione circolare cumulativa. In una delle sue opere piú importanti, Lefebvre4 ha dimostrato che lo spazio sociale e il tempo sociale sono dei prodotti: la loro organizzazione è esito ed è funzionale ai poteri dominanti (oggi soprattutto quello economico), ed è contraria all’individuo, la cui attenzione e i cui interessi sono sviati. Questa organizzazione ha preso a modello la struttura gerarchica del-

l’impresa neoliberista e della famiglia tradizionale, esaltando il processo di privatizzazione dello spazio. Oltre che per la vitalità sociale, la libertà e la partecipazione attiva alla vita democratica, inoltre, diventa sempre piú evidente che l’eccessivo controllo sugli spazi pubblici è dannoso per la sostenibilità. Oggi la grande maggioranza del tempo viene trascorso al chiuso, all’interno di un edificio o di un veicolo. Spazi da costruire, difendere, riscaldare, attrezzare. L’urbanistica “razionalista” ha inteso che per funzionare efficientemente lo spazio dovesse essere unifunzionale: e questo ha prodotto una grande quantità di spazi inappropriati, inabitabili, inumani, ingestibili. L’allontanamento di quanti non dovessero necessariamente essere presenti ha prodotto non solo luoghi privi del carattere di scena, dove nessuno assiste allo spettacolo della socialità urbana, o dove il gioco del reciproco agire e vedere gli altri avviene solo tra simili; ma anche luoghi insicuri, utilizzati solo in alcuni orari o per specifiche attività. Le politiche spaziali hanno creato costruzioni mentali che associano strettamente un impiego frammentato e organizzato del tempo con i luoghi deputati a tale impiego (residenziale, produttivo, ricreativo...), mantenendo peraltro la tendenza a separarli, generando di conseguenza la necessità degli spostamenti. Non si tratta di considerazioni nuove: la critica della separazione delle funzioni è stata lucidamente avviata cinquant’anni fa da Jacobs5; ma molte questioni da lei sollevate restano purtroppo irrisolte, cosí come la sua affermazione del valore della difesa della città “naturale”, dove né la disgiunzione “razionalista” né il controllo delle politiche spaziali hanno potuto compiersi. Non a caso la Città di Torino ha scelto proprio due quartieri “naturali” per la sperimentazione del progetto +s+t. Pianificatori e progettisti tendono quasi sempre a incorrere nell’errore di badare troppo alla parte fisica e “minerale” della città, e a trascurarne (perché difficilmente controllabile o difficilmente descrivibile con la strumentazione, concettuale e linguistica, di cui dispongono) la parte immateriale e “biologica”, fino al punto di impedirla perché “disordinata” o “irrazionale”. Il concetto di spazio di cui abbiamo voluto occuparci in questo convegno non coincide con gli attributi formali o fisici di un luogo, ma comprende soprattutto la complessità sociale. Till6 è tra i pochi che dall’interno della professione abbiano rivolto un chiaro invito a urbanisti e architetti a non costruire fondali visivi ma luoghi per lo svolgimento delle dinamiche sociali, e a


riconoscere le pratiche spaziali già presenti; il suo lavoro è proseguito con la definizione teorica di “spatial agency”, di cui ha parlato qui Tatjana Schneider (infra pp. 117-125). Talvolta, poi, gli spazi appaiono inutilizzati solo per incapacità di riconoscere quanto vi accada: fenomeni sociali magari informali o semplicemente troppo “ordinari” per essere notati7, o delicati processi ecologici. Anna Lambertini invita a riconoscere che certi luoghi non sono “vuoti urbani” ma “pieni biologici”, utili a preservare la rete della vita. Anche per ragioni ecologiche, è quindi opportuno passare dalle “monoculture” alla diversità dei paesaggi urbani. Un lavoro attento di esplorazione degli interstizi urbani può consentire sorprendenti scoperte [vedi Portfolio III, p.102, p. 113]. Ovviamente, lo spazio pubblico può essere inteso in senso ancora piú ampio, come fa Innerarity8 quando ne parla in termini di agorà politica, di cui va difesa la costruzione laboriosa e quotidiana dagli spazi globali, destrutturanti e astratti. Il suo invito è a contrastare la depoliticizzazione e l’impoverimento dei vecchi ideali di democrazia partecipativa, attraverso una prassi capace di costruire ciò che è comune a partire dalle differenze: il potere politico deve essere capace di articolare “spazi comuni”, e questo mi pare sia stato uno dei tentativi del progetto +s+t, ancorché in un orizzonte temporale troppo breve per poter compiere cambiamenti significativi. Il vivere è necessariamente confuso, cioè mescolato. Sennett9 ha ricordato che uno spazio significativo e attraente è costituito principalmente dalla compresenza di esseri umani e che nella città, come luogo che favorisce la concentrazione delle differenze, occorre saper tenere insieme la diversità sociale, e progettare per favorire la mescolanza e la scoperta. Con sfumature diverse, lui ed altri, tra cui Till10, invitano a istituire zone non progettate per lasciare emergere l’autonoma sperimentazione degli usi da parte dei cittadini, sottolineano che gli spazi comuni non dovrebbero essere eccessivamente regolati od ordinati, ma fornire una “cornice” o una “ossatura”, nella convinzione che l’incertezza possegga un potenziale di trasformazione di appropriazione, e consenta comportamenti liberi, non predeterminati. Uno spazio pubblico non può essere significativo se ha un senso completo fin dall’inizio: il tempo conferisce una personalità ai luoghi proprio quando essi non sono usati nel modo per cui erano stati concepiti. Daniele Pario Perra (infra pp. 126-130) fornisce esempi straordinari di creatività popolare nel reinventare funzioni per og-

1 Zygmunt Bauman, Vite di scarto, Laterza, Roma 2005. 2 Franco La Cecla, Mente Locale. Per un’antropologia dell’abitare, Elèuthera, Milano 1993. 3 Richard Sennett, La coscienza dell’occhio. Progetto e vita sociale nelle città, Feltrinelli, Milano 1992. 4 Henri Lefebvre, La produzione dello spazio, Moizzi editore, Milano 1976. 5 Jane Jacobs, Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane, Einaudi, Torino 1969. 6 Jeremy Till, Architecture Depends, The MIT Press, Cambridge, Mass. 2009. 7 Georges Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989. 8 Daniel Innerarity, Il nuovo spazio pubblico, Meltemi, Roma 2008. 9 Richard Sennett, La coscienza dell’occhio..., cit. 10 Jeremy Till, Architecture Depends..., cit.

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INTRODUZIONE. COLTIVARE IL TEMPO E LO SPAZIO 12

getti e spazi nati per altri scopi; altri casi sono stati citati da Karen Franck e da Vittorio Bianco (infa pp. 131-133) per quanto riguarda l’orticoltura urbana; altri casi ancora sono costituiti, ad esempio, dagli incontri autoorganizzati ed effimeri in spazi pubblici ben pavimentati per ballare una “mazurka clandestina”, dalle iniziative di inverdimento (guerrilla gardening) di ritagli di spazio urbano, o ancora dai partecipanti al concorso tYps [vedi Portfolio V]. Anche nella rassegna di spazi socioculturali di quartiere torinesi vi sono luoghi che definiscono il loro modo d’uso man mano che vengono fatti propri dai cittadini per i quali essi erano stati creati (infra pp. 86-101). Mi pare che questo sia uno dei punti nodali dell’intera questione: la possibilità che lo spazio sia concreto, usato: che vi prevalga il valore d’uso sull’altro valore economico, quello di scambio, ormai considerato pressoché unanimemente l’unico. Ma talvolta anche le certezze piú salde vacillano, le battaglie si vincono contro pronostici avversi: basti pensare all’esito insperato del recente referendum a favore dell’acqua come bene pubblico, che non dovrebbe essere né alienabile né commercializzabile. Analogamente, lo spazio pubblico non può essere inteso come ciò che infrastruttura e dà valore immobiliare alla proprietà privata. La qualità della vita, specie urbana, dipende largamente dalla restituzione al tempo e allo spazio del loro valore d’uso. Uno degli ostacoli maggiori contro un’evoluzione in tale direzione è costituito dall’automobile, che ha distrutto i diritti alla strada e alla città stessa: la gran parte dello spazio pubblico è oggi impiegato solo per spostarsi in auto e per parcheggiarla. Il consumo di spazio perpetrato dalle automobili è enorme: quando si spostano, sono occupate quasi tutte da una sola persona; e per giunta sono ferme per la maggior parte del tempo. È un bene che qualche progetto urbanistico, anche nell’Europa latina, cominci ad accordare una preferenza alla deambulazione – come ha raccontato Chantal Trouwborst, (infra pp. 145-150) – anziché concepire il pedone come impedimento al libero fluire del traffico a motore. Non è solo una questione ecologica – se fosse cosí nel nostro Paese si potrebbero aspettare decenni prima di produrre i frutti che già si iniziano a vedere altrove –: l’uso della bicicletta e l’agricoltura urbana sono questioni sanitarie11. Influenzano direttamente la salute delle persone e dell’economia: provocano infatti una riduzione dei gas inquinanti e ad effetto ser-

ra, del numero e della gravità degli incidenti, del costo del trasporto delle persone e delle merci, dell’uso di prodotti chimici fertilizzanti, diserbanti e antiparassitari. Ancora piú coraggioso da parte di un progetto promosso da un’amministrazione pubblica è l’avere come oggetto il tempo. È ben vero che, come è stato illustrato dagli interventi delle rappresentanti di diversi uffici pubblici (infra pp. 151-159), la materia è oggetto di riflessione e di intervento in diverse città italiane, e che intorno ad essa si sono aggregate diverse città francesi (infra pp. 145-150). Tuttavia, le politiche dei tempi sono piuttosto nuove e rischiano di essere percepite come di secondaria importanza o non indispensabili in un periodo in cui le amministrazioni pubbliche hanno difficoltà a garantire persino alcuni servizi essenziali. E soprattutto, a mio modo di vedere, affrontare il tempo come bene pubblico costringerebbe a fare i conti con quanto sia inefficiente l’uso che se ne fa, e richiederebbe – a livello tanto collettivo quanto individuale – una conoscenza e un’organizzazione meno irrazionale del tempo dedicato all’attesa, agli spostamenti, nella vita quotidiana. Per esempio, la gente ha in genere un’idea poco realistica dei tempi impiegati per coprire una certa distanza, e tende a sovrastimare quelli impiegati col trasporto pubblico, e a sottostimare quelli impiegati col mezzo privato12. Per un’amministrazione pubblica, l’educazione dello spirito critico dei cittadini può apparire un obiettivo paternalistico e richiederebbe anni per dare frutti, poiché metterebbe in questione abitudini tanto radicate da essere considerate l’unico stile di vita possibile. Credo che avrebbe un effetto stupefacente promuovere, per esempio, la consapevolezza del tempo di lavoro necessario per guadagnare quanto occorre per acquistare e pagare tutte le spese relative a un’automobile; analizzare in modo rigoroso e obiettivo il modo in cui si impiega il proprio tempo quotidiano, o le proprie risorse economiche; rendersi conto di quanto spazio è occupato nelle case di ciascuno da oggetti inutili e costosi, che spesso consumano molta energia, sottraendo spazio alla vita... In questo ambito, come in molti altri, risultati efficaci possono spesso essere meglio conseguiti a partire da cose piccole e concrete, come ha tentato di fare l’amministrazione comunale torinese con +s+t. Anche l’azione “dal basso” di gruppi di cittadini, riuniti intorno a un tema di utilità pubblica, può rivelarsi molto appropriata. Sono ormai molto diffuse informazioni autoprodotte da chi ne ha bisogno e non solo messe a disposizione di tutti, ma arric-


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11 Lawrence D. Brown, “The political face of public health”, Public Health Reviews, 32, 2010, p. 155-173. 12 Lynn Sloman, Car Sick. Solutions for our Car-addicted Culture, Green Books, Totnes 2006.

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1 Uno degli spazi pubblici piú riusciti dell’intera Europa è il cortile del Museumquartier a Vienna, vitale in tutte le stagioni 2-3 Basta guardare una città dall’acqua per scoprire luoghi e possibilità inauditi: la Dora Riparia a Torino 4 Mazurka Clandestina nella galleria San Federico, Torino, 2010 5 Intervento di guerrilla gardening dei Badili Badola, Torino, 2011 6 Con la sua "walkmobile", Hermann Knoflacher mostra la differenza di spazio occupato da una persona e da un'automobile

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chibili dagli utenti-autori grazie al loro carattere open source, cosa che ne consente la rapida crescita in dimensioni e precisione, nonché l’aggiornamento. Per esempio, mappe della ciclabilità reale (indipendentemente dalla eventuale presenza di “piste ciclabili” ufficiali) e della percorribilità delle strade per portatori di handicap visivi e motori, anche munite di guide sonore attive via GPS in modo da fornire le informazioni pertinenti al punto stesso in cui l’utente si trova. Una soluzione meno dipendente da congegni sofisticati è la segnaletica autoprodotta, integrativa di quella ufficiale, installata da cittadini singoli o aggregati. Il tempo potrebbe essere oggetto di una critica ben piú radicale di quanto non propongano queste pur utilissime migliorie. Le proposte di Anna Coote (infra pp. 141-144) nascono precisamente da una considerazione molto piú ampia sulla struttura e sul funzionamento del nostro sistema economico, in cui si è giunti a una forte pressione psicologica e sociale, caratterizzata dall’obbligo di produrre, anzi dall’obbligo di aumentare sempre piú la produzione. La considerazione non è nuova: già Anders, Baier e Illich13 avevano analizzato la sensazione di saturazione e di assedio delle vite, l’impressione di assenza di margini di possibilità, per effetto di tale pressione sociale e della riduzione del tempo a una suddivisione in unità produttive misurabili, governate dalle leggi della redditività e controllate da piccole macchine onnipresenti (gli orologi). Gli effetti sono psicologicamente ben piú devastanti di quanto non si sia pronti ad ammettere. Viviamo a cavallo tra due sistemi temporali confliggenti: quello naturale, sentito dal corpo, contro quello artificiale, creato dall’uomo e dalle sue istituzioni. Viene fatta violenza a percezioni e ritmi naturali perché le nostre azioni quotidiane siano governate dai sistemi temporali di scuole, uffici, mezzi di trasporto. I sistemi che abbiamo a disposizione fanno di tutto per togliere significato al tempo, per eliminare le differenze temporali: tra giorno e notte, tra le stagioni, nel coprire le distanze tra un luogo e l’altro. Anche il concetto moderno di puntualità non è privo di gravi conseguenze psicologiche e spirituali. La fretta e la cancellazione della distanza nuocciono al pensiero, e piú in generale alla salute e all’equilibrio complessivo della società, anche in senso economico. Quindi c’è davvero un gran bisogno di maggiore consapevolezza e di un uso critico del tempo, anche riconoscendo che molte cose che ci tengono sotto pressione sono inutili – o che lo sono molte cose per

comprare e mantenere le quali ci mettiamo sotto pressione. Esistono gli strumenti per un ridimensionamento “morbido” dei consumi, che potrebbe non causare traumi esistenziali o socioeconomici a dispetto della contrazione degli scambi monetari o del tempo di lavoro retribuito. Illich14 ha osservato che l’aumento della velocità ha per effetto non solo l’aumento del consumo di energia (e quindi della insostenibilità), ma anche della disuguaglianza, e ha fornito robuste argomentazioni a favore dello spostamento in bicicletta. Questo mezzo di trasporto, in effetti, sta vivendo un periodo di notevole recupero in ambito urbano, e le politiche pubbliche cominciano ad assecondarlo. Lo stesso progetto +s+t, per quanto attiene alla mobilità, si è concentrato su di esso. La sostenibilità ha molto a che fare con una centratura sulla dimensione locale, che comprende tra l’altro aspetti quali una partecipazione a processi decisionali, una produzione il piú possibile vicina al consumo, una riduzione della necessità di muoversi, indubbiamente facilitata dai mezzi di comunicazione e informazione telematici. Mi permetto di concludere queste note con qualche ulteriore considerazione. Lo spazio e il tempo non sono temi vaghi o pleonastici. Le politiche pubbliche, molte fra quelle essenziali, ne sono investite pienamente. L’obiettivo di +s+t di aumentare qualità e quantità di tempo e di spazio a disposizione dei cittadini può consentire un’utile e auspicabile via d’uscita davanti a politiche di benessere pubblico troppo sclerotizzate, ripetitive, e probabilmente insostenibili. In questi ambiti c’è molto da inventare. Thackara15 ha affermato che “la sfida progettuale piú interessante è ripensare a come utilizziamo il tempo e lo spazio”. Si aprono qui – per tutti gli attori delle trasformazioni: la responsabilità e l’onere non spettano certo solo alle amministrazioni pubbliche – grandi, nuove opportunità per il progetto: se si ha il coraggio di accettare di fare cose non visibili o quanto meno poco spettacolari, che non gratificano l’ego di progettisti e decisori. Spesso si scopre che nei posti dove si vive bene la qualità dell’esistenza è costituita da una sommatoria di condizioni favorevoli, che si sorreggono in un ecosistema dove è sterile ricercare quale sia da ascrivere a chi, o quale sia piú determinante di un’altra. Il che non significa che alcuni interventi responsabili e lungimiranti non riescano ad avviare processi di trasformazione


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13 Günther Anders, L’uomo è antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Lothar Baier, Non c’è tempo! Diciotto tesi sull’accelerazione, Bollati Boringhieri, Torino 2004; Ivan Illich, Per una storia dei bisogni, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1981. 14 Ivan Illich, Per una storia ..., cit. 15 John Thackara, In the Bubble. Design per un futuro sostenibile, Allemandi, Torino 2008.

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7-10 Scritte autoprodotte per ciclisti urbani, Torino


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ben piú ampi: interpreto in questo modo, per esempio, l’azione “Zona Franca” di +s+t (infra p. 67), o azioni intraprese da diverse amministrazioni comunali europee. L’introduzione di questi nuovi punti di vista potrebbe comportare cambiamenti notevoli, come è avvenuto pochi anni fa quando si è cominciato a progettare edifici tenendo conto dei consumi energetici. Nell’uno e nell’altro caso risultati validi si ottengono solo se il nuovo criterio introdotto non viene assunto in termini burocratici e quantitativi, ma riesce a modificare il modo di fare le cose, e poi di valutarle, in termini qualitativi: pensare le politiche pubbliche in termini di tempo non può ridursi a produrre dichiarazioni di impegni o angoscianti statistiche sui tempi di erogazione di determinati servizi. Semmai, pensare le politiche pubbliche in termini di tempo dovrebbe significare porsi ogni volta la domanda: quanta prospettiva di futuro contiene questa iniziativa? Oggi c’è un gran bisogno di progetto per costruire un futuro. Progetto a vari livelli: europeo cosí come urbano, di quartiere, comunitario, individuale. Azioni intelligenti, sia quelle realizzabili da e per il singolo che quelle di utilità collettiva organizzabili su scala piú o meno ampia, sono praticate in molti luoghi, e non mancano raccolte ed elaborazioni cui ispirarsi16. Senza perseguire necessariamente l’originalità o la raffinatezza intellettuale: come dimostra la sequenza – che sarebbe ridicola se non fosse vera – di divieti vigenti nello spazio pubblico in qualche Comune italiano scelto a caso [vedi Portfolio I], c’è bisogno di partire dai fondamenti, da pochi principi essenziali. Bisognerà avere piú coraggio, e credere che tutti quanti possiamo diventare piú civili. Lo spazio e il tempo autenticamente pubblici sono robusti antidoti contro la paura, costruiscono solidarietà o almeno tolleranza. Obbligati dalla crisi economica o per scelta ecologica, è probabile che nel futuro ci siano meno cose (merci), e che si torni a porre l’attenzione sulle persone. (Questa speranza emerge a ogni crisi, puntualmente soffocata a ogni ripresa della capacità di spesa. Già un secolo fa la premio Nobel Jane Addams invitava ad affermare le attrattive dell’esistenza contro i prodotti.) Tuttavia, per povertà o per strategia, le politiche pubbliche in futuro potrebbero scegliere di concentrarsi sui servizi, non sulle cose, come per esempio nelle azioni “ciclofficina”, “babyparking”, “bibliomigra” di +s+t (infra pp. 64-67). Ci tengo a sottolineare che quando parlo di politiche pubbliche non mi riferisco esclusivamente a quelle di iniziativa del “pri-

mo settore”, ma piú complessivamente a tutte quelle che hanno effetti sulla vita dei cittadini. L’intero convegno ha mostrato che, al di là dell’impostazione ideologica – quella di alcuni piú propensa a conferire l’iniziativa allo Stato, quella di altri ad attribuirla invece ai cittadini –, si riescono a ottenere miglioramenti reali nella qualità del tempo e dello spazio pubblici solo con la collaborazione tra tutte le parti in causa: riconoscendo il ruolo di ciascun soggetto e l’iniziativa autonoma del terzo settore e dei singoli, che devono assumere la responsabilità di essere agenti di cambiamento nei comportamenti quotidiani e locali, in vista del bene comune.


16 Ezio Manzini, François Jégou, Quotidiano sostenibile. Scenari di vita urbana, Edizioni Ambiente, Milano 2003; Mirko Zardini, Giovanna Borasi, Actions: what you can do with the city, Canadian Centre for Architecture, Montréal 2009.

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11-12 Il piazzale antistante la stazione St-Sauveur a Lille


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+SPAZIO+TEMPO. IL PROGETTO

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Ciò ha permesso di avanzare una valutazione positiva sul progetto, in termini di possibilità di applicazione, estensione e adattamento ad altri territori.

SPAZIO PUBBLICO E TEMPO SOCIALE Lo spazio pubblico è uno degli elementi fondamentali della qualità della vita urbana. Tuttavia il suo uso è oggi limitato, a Torino come altrove, da molte – troppe – norme, con la conseguenza che lo spazio pubblico non è ciò che le persone vorrebbero. Alla base di +s+t vi è stata la convinzione che, attraverso una deregolamentazione, lo spazio pubblico possa diventare piú facilmente fruibile. La Pubblica Amministrazione dovrebbe rendere possibile l’accadere delle cose, accrescere l’accessibilità ai diversi luoghi della città, rendere la loro fruizione piú congeniale alle persone, favorire usi spontanei, informali, sperimentali, de-strutturati, e la riappropriazione degli spazi. In +s+t lo spazio pubblico è stato concepito in modo ampio: i luoghi fisici ma anche l’interazione delle persone e l’integrazione delle funzioni. Il progetto ha inteso promuovere un uso piú democratico dello spazio pubblico e, attraverso questo, la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica della città. I risultati ottenuti mostrano che questa è una strada percorribile e promettente, pur con diverse difficoltà che riguardano, per esempio, i conflitti che si creano tra generazioni, gruppi o singole persone. Tra gli obiettivi di +s+t vi è stato anche quello di ridurre tali conflitti, nella consapevolezza che per fare ciò occorre che lo spazio pubblico sia sentito come maggiormente “agibile” da tutti, che venga riconosciuto sia come spazio proprio sia come spazio degli altri. Un uso piú ampio, informale e spontaneo dello spazio pubblico può favorire l’inclusione sociale, il senso di appartenenza e di comunità e contribuire, con questo, a ridurre la percezione di insicurezza (fisica, sociale, etc.). Per quanto riguarda il tema del tempo e del suo uso sociale, l’obiettivo di +s+t è stato il miglioramento della conciliazione dei ritmi di vita delle persone (lavoro, cura, svago, etc.), in particolare nella direzione di una riduzione del tempo che oggi si spende per la burocrazia, per accedere ai pubblici servizi, etc. Occorre tuttavia riconoscere che vi è stato un certo disequilibrio tra le azioni relative allo spazio pubblico e quelle relative


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16 +s+t a borgo San Paolo 17 San Paolo e Cenisia, un quartiere “normale” 18 +s+t a San Donato 19 Gioco dell’oca in via di Nanni pedonale 20 Parcour ai giardini Braccini 21 Percorsi in bici per i più piccoli 22 Amache e relax ai giardini Braccini


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MOBILITÀ Tante rastrelliere per parcheggiare in quartiere Il numero dei parcheggi per le biciclette in quartiere è stato aumentato, nuovi portabici sono stati collocati vicino ai luoghi di maggior interesse pubblico e nei giardini, per promuovere una mobilità più leggera e sostenibile. Se usi la bicicletta ti sposti in fretta, non spendi, non inquini, e ora trovi anche un parcheggio sicuro! (Fig. 95)

+SPAZIO+TEMPO. IL PROGETTO

La Ciclofficina È un posto dove imparare a ripararsi la bicicletta con attrezzi e meccanici a disposizione, e dove si svolgono eventi di promozione della mobilità ciclistica, corsi di ciclomeccanica, restauro di biciclette d’epoca, aperitivi del ciclista, noleggio biciclette, trasporto di merci e documenti con mezzi a pedali, e molto altro ancora (fig. 96).

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Vado a piedi, torno in bici Alla scuola elementare Alfieri si va a piedi e si riparte in bici. Nel cortile della scuola ci sono 10 biciclette contrassegnate da un numero e fornite di lucchetto. Per usarle è sufficiente chiedere una tessera e recarsi in guardiola, dove si trova il registro per la prenotazione. I genitori possono così utilizzare la bicicletta per recarsi al lavoro, andare a fare la spesa con un mezzo comodo, veloce, economico ed ecologico. È gratuito (fig. 97).

SPAZIO PUBBLICO Community Garden Bambini e genitori della scuola Alfieri hanno progettato e realizzato uno spazio fiorito nell’area verde davanti al tribunale, e continuano a prendersene cura. Altri due Community Garden sono stati avviati, uno nelle case di edilizia pubblica di corso Racconigi, l’altro nei giardini di via Malta. In collaborazione con il Laboratorio Città Sostenibile (fig. 98).

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ANIMAZIONE Estate alle OGR Alle Officine Grandi Riparazioni il cartellone di eventi estivo comprende numerose serate di cinema all’aperto, un appuntamento settimanale per il ballo al palchetto, il venerdí di tango, e concerti di musica jazz, pop, flamenca, italiana, cubana (fig. 99).

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È tornata Bibliomigra! È una biblioteca itinerante multietnica dove si possono prendere in prestito gratuitamente libri e riviste in lingua originale (italiano, inglese, francese, spagnolo, ma anche arabo, rumeno, albanese…) e consultare giornali internazionali. Si trova tutti i lunedí e venerdí mattina al mercato di corso Racconigi (fig. 100). 101

Zona Franca Per due settimane usare lo spazio pubblico è piú semplice. Per feste di compleanno, picnic, spettacoli, musica, letture, bricolage, incontri, tornei. In via di Nanni pedonale, ai giardini San Paolo, in corso Racconigi. Non si devono chiedere permessi, basta comunicare cosa si vuole fare alla mail di +s+t (fig. 101). Un sabato ogni mese via San Donato è chiusa al traffico A partire dal 7 maggio, ogni primo sabato del mese per tutto il 2011, via San Donato sperimenta un nuovo modo di vivere lo spazio della strada: niente auto e autobus, negozi aperti dalle 10 alle 20, spazi accoglienti per fare una pausa, giocare, andare in bicicletta, passeggiare, incontrarsi, fare la spesa con calma (fig. 102). 102

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PORTFOLIO III

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UNO SPAZIO PER LA DIVERSITÀ NELLA VITA URBANA

PROGETTI DELLO SPAZIO PUBBLICO a cura di Elisabetta Rosa

GEOGRAFIE DELL’OLTRECITTÀ. PRIMAVERAROMANA. IN CAMMINO PER UN’INVERSIONE DI MARCIA PrimaveraRomana è un progetto condiviso di cittadinanza attivato da Stalker, un soggetto collettivo che compie ricerche e azioni sul territorio, con particolare attenzione alle aree di margine e ai vuoti urbani, spazi abbandonati o in via di trasformazione. Tali indagini si sviluppano su diversi piani, attorno alla praticabilità, alla rappresentazione e al progetto di questi spazi, che Stalker chiama i “Territori Attuali”, di cui propone e realizza attraversamenti, azioni di “transurbanza”, passeggiate “oltrecittà”. PrimaveraRomana è un progetto di camminate esplorative e di incontri attorno alla città di Roma (nel 2010 gli osservatori hanno percorso piú di 220 km a piedi), lungo il Grande Raccordo Anulare, attraverso i territori della trasformazione sociale e ambientale, tra città e campagna. L’iniziativa è stata condivisa con associazioni, comitati, coordinamenti presenti sul territorio, e con artisti, studenti, urbanisti, fotografi, registi, musicisti, scrittori e cittadini. Da questa esperienza sono emersi frammenti incolti di agro, luoghi notevoli, luoghi del possibile, sfruttati e abbandonati, da difendere, riscoprire, abitare, coltivare; luoghi da immaginare, dove sperimentare usi comuni e civici di un tempo a venire e di uno spazio non piú campagna né città.

102 162 Grande Racconto dell’Andare. Mappa dell’esperienza del primo anno di camminate pubbliche attorno al Grande Raccordo Anulare, 2009 163 Roma. Commons&Enclaves. Mappa, emersa dalle camminate pubbliche attorno al Grande Raccordo Anulare, delle aree agricole dismesse come potenziali beni comuni dell’Oltrecittà. Roma, 2009 164 Città fuori Porta. Mappa co-evolutiva: googlemap condivisa con i percorsi fatti e le realtà incontrate, 2010 165-167 Primavera Romana, passeggiate Oltrecittà


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UNO SPAZIO PER LA DIVERSITÀ NELLA VITA URBANA

REROUTE. LA CITTÀ DEGLI IMMIGRATI RACCONTATA DA LORO STESSI Come si sovrappongono le reti di competenza spaziale e le mappe mentali delle diverse persone e dei differenti gruppi culturali? Nell’ambito della Biennale Internazionale Giovani 2002, gli artisti Dominic Hislop e Miklós Erhardt hanno coinvolto una trentina di stranieri in un’opera collettiva di percezioni e di rappresentazioni degli spazi di Torino. Un’opera che richiama un po’ Lynch, ma centrata sull’interesse per le emozioni, per le storie personali, e un po’ le dérives, le viste frammentate prodotte dai situazionisti astraendo dalla conoscenza della storia del luogo (lavori, quindi, in qualche modo simili alla conoscenza che un immigrato ha di una nuova città). A ciascuno degli interpellati è stato chiesto di disegnare una mappa, come se dovesse essere utilizzata da chi non conosce la città. Gli veniva chiesto di indicare l’abitazione, i luoghi dove mangiava, dove si rivolgeva per le cure, i luoghi della routine quotidiana, dello svago festivo, i posti che amava o non amava, quelli che gli ricordavano il proprio Paese. Gli veniva chiesto inoltre di indicare gli spostamenti distinguendo gli itinerari a piedi, i mezzi di trasporto pubblico, gli elementi del paesaggio urbano capaci di fungere da punti riferimento e gli spazi di relazione con eventuali gruppi di amici.

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ULTIMA SPIAGGIA Iniziato nel 2009, Ultima spiaggia è un lavoro in progress e documenta alcune aree fluviali italiane diventate meta di bagnanti, spesso extracomunitari. Le immagini del fiume Stura, alla periferia nord di Torino, sono raccolte nel libro Il futuro del mondo passa da qui. City Veins: un progetto editoriale nato dopo la realizzazione dell’omonimo film documentario di Andrea Deaglio, per cogliere ancora piú da vicino l’essenza di questo luogo di confine metropolitano. Un’indagine che vuole far riflettere, senza mai giudicare, sui retrobottega delle città, su quello che, anche se non si vuole vedere, c’è. Un coro di voci diverse che delineano i contorni e le presenze di una no man’s land sulle rive del fiume Stura.

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200 Merjan 201 Mohamed 202 Akinyi 203 Yasine 204 Prince Wall 205-209 Fare il bagno nella Stura


IL PROGETTO DEMOCRATICO DELLO SPAZIO PUBBLICO 118

sti di lavoro, ma da allora Canklow – come molte altre comunità in tutta l’Inghilterra – è rimasta vulnerabile, e ha patito forte disoccupazione, abbandono di aree, demolizioni. Nei primi anni Duemila, l’area era in grave declino e l’ente locale non reagiva a quello che stava capitando. Fu a quel punto – nel 2004 – che gli abitanti di Canklow presero in mano la situazione e avviarono un processo di pianificazione diretto dalla comunità stessa che durò per 4 anni con finanziamenti provenienti da tre fonti principali: il Distretto Metropolitano di Rotherham, l’Academy for Community Leadership e il Transform South Yorkshire. A loro volta queste tre fonti erano finanziate o dal governo del Regno Unito o dall’Unione Europea. L’Alleanza della Comunità di Canklow, formata da rappresentanti politici tutti residenti a Canklow, portò avanti tale impegno e avviò la formazione di una squadra di progettazione che condividesse l’interesse per un reale coinvolgimento della comunità, con lo scopo di non essere solo spettatori passivi di esercitazioni urbanistiche calate dall’alto, ma di impegnarsi attivamente per il futuro del proprio ambiente costruito. Tutti i partecipanti iniziali desideravano fortemente essere “ascoltati” e “dire la propria”, anziché essere solo “consultati”. Per questa ragione, grazie ai soldi delle istituzioni e dei programmi suddetti, l’Alleanza della Comunità di Canklow decise di mettere insieme un gruppo di progettazione o elaborazione di una visione comunitaria, comprendente l’Ufficio Progettazione e Ricerca (bdr) dell’Università di Sheffield, che aveva lavorato per anni in forme creative di partecipazione.4 Il bdr cominciò a collazionare le rappresentazioni di ciò che l’Alleanza della Comunità di Canklow riteneva fosse realmente necessario, in opposizione ai bisogni e ai relativi modi di soddisfarli attribuitile dall’esterno. La forma specifica di impegno del bdr in questo processo esemplifica il concetto di “agenzia spaziale”: i membri del bdr non si consideravano “esperti”, ma contributori (talvolta pagati tanto quanto altri dipendenti) che collaboravano con gli altri in termini paritetici – ancorché utilizzassero la loro specifica competenza progettuale. Cosí, il bdr giocò un ruolo di primo piano nell’attribuzione di potere a questa comunità, e consentì agli abitanti di occuparsi del loro territorio in modi prima sconosciuti o per loro non disponibili, aprendo pertanto nuove potenzialità. L’approccio multidisciplinare del bdr ebbe come esito l’uso di un gran numero di tecniche di partecipazione (su molti livelli differenti, dal concettuale e a scala territoriale allo specifico e a sca-

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212-213 Canklow. Consultazione 214 Urbed. Glass-House


la di dettaglio), tra le quali: esercizi di mappatura durante passeggiate, feste popolari all’aperto, laboratori di costruzione di modelli, fotomontaggi, sopralluoghi a progetti esemplari, nonché il coinvolgimento di studenti dell’Università di Sheffield. Tutti questi differenti esercizi impegnarono la gente del posto in vari modi e ottennero di mettere in gioco contenuti inusuali – quindi unendo differenti punti di vista –, con lo scopo ultimo di raggiungere una nuova visione per Canklow, frutto dell’elaborazione collettiva. Questo approccio è differente da molte altre forme di coinvolgimento, poiché impegnò gli abitanti durante l’intero processo. Oltre a questa forma di partecipazione – piuttosto che una mera consultazione –, alcuni abitanti furono impegnati in un corso informale di 8 settimane e furono attribuiti loro ruoli chiave nel processo, per lo svolgimento dei quali furono pagati: cosa che aiutò molto a dimostrare la sincerità, e che servì a riconoscere che la conoscenza della gente del posto era tanto importante quanto quella di tutti gli altri membri del gruppo di lavoro. Oltre a discutere il piú vasto piano urbanistico per Canklow, gli abitanti si concentrarono anche su una serie di altri possibili progetti che avrebbero potuto fomentare un processo di positiva rigenerazione dell’area. Fecero indagini su giardini comunitari, orti urbani, aree a destinazione mista, e anche nuove residenze. Benché, eccetto una lottizzazione residenziale, tali progetti non siano mai stati realizzati, in quanto esercizi di progettazione essi offrirono al bdr l’opportunità di integrare pienamente gli abitanti piú eminenti in un processo progettuale e anche di evidenziare le priorità all’amministrazione locale, che sostenne il progetto, ma non giocò un ruolo ufficiale nel processo. Essendo consapevole che la fiducia per esprimere e sviluppare idee doveva essere costruita, il bdr impegnò i residenti in modo che potessero imparare ad articolare le loro preoccupazioni, idee e aspirazioni. Le sessioni collettive di costruzione del mandato e i laboratori di progettazione aiutarono anche a sviluppare un linguaggio condiviso tra i residenti e i professionisti del progetto. Data la natura relativamente disorganica del finanziamento di questo tipo di progetto, ma anche la natura popolare del piano di rigenerazione, è importante che la conoscenza locale ma anche i desideri e le esigenze sviluppati in questo processo relativamente prolungato siano divulgate in modo appropriato. A Canklow, ciò fu favorito da una serie di documenti prodotti dagli abitanti con il bdr, che successivamente servirono a informare il piano di rigenerazione.

1 NdT: letteralmente: “agenzia spaziale”. L’espressione è tanto inusuale in lingua inglese quanto nella traduzione italiana. Gli autori l’hanno scelta per sottolineare, come successivamente spiegato nel testo, la volontà di riconoscere il ruolo attivamente giocato da una moltitudine di attori (“agenti”, da intendersi nel senso di Anthony Giddens) nella “produzione dello spazio” (da intendersi secondo la teoria di Henri Lefebvre). 2 Per una discussione teorica completa del termine “agenzia spaziale”, vedi: Nishat Awan; Tatjana Schneider; Jeremy Till, Spatial Agency. Other Ways of Doing Architecture, Routledge, London: 2011. Il sito web [http://www.spatialagency.net] è complementare rispetto al libro e presenta ulteriori esempi. 3 Gli esempi qui discussi sono stati sviluppati in dettaglio all’interno di un Progetto di Trasferimento di Conoscenza finanziato dall’HEIF 4 e dall’Università di Sheffield. Adam Towle, Melanie Bax e Sarah Considine hanno lavorato a tale progetto in qualità di ricercatori. 4 Il bdr lavorò in associazione con Sarah Smith, Direttore di U-Scape Regeneration, nel ruolo di facilitatore.

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IL PROGETTO DEMOCRATICO DELLO SPAZIO PUBBLICO

LOW COST DESIGN. LA CREATIVITÀ SPONTANEA COME MATERIALE DI SVILUPPO URBANO* Daniele Pario Perra

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Low Cost Design è una ricerca sull’essenza della creatività spontanea. Nasce da una considerazione molto semplice: siamo circondati da migliaia di oggetti e strutture che non seguono le regole della progettazione convenzionale. Questi non sono solamente prodotti dell’ingegno, ma indicatori culturali della progettualità collettiva. Low Cost Design è un database delle “arti applicate”; copre uno spettro di analisi che va dalla progettazione alla sociologia del territorio e di conseguenza affronta anche la storia. Una banca dati costituita prevalentemente da immagini senza alcuna descrizione testuale, come in un grande dizionario visuale della creatività: immagini relative al cambio d’uso degli oggetti e del territorio attraverso l’azione dei suoi abitanti. La sezione degli oggetti è divisa in 5 livelli, o gradi di trasformazione: intendendo il livello massimo come la piú ampia capacità intuitiva nel coniugare funzioni risolutive e alti criteri di utilità, semplicità d’uso e replicabilità. Un’altra sezione è dedicata alle azioni sul territorio, divisa a sua volta in 7 categorie, o analisi comportamentali: pianificazione territoriale privata, commercio creativo, interazioni tra pianificazione pubblica e progettazione privata, soluzioni personalizzate alla carenza di servizi pubblici, comunicazione sociale e commerciale, sicurezza personale e controllo del territorio. Il progetto è nato nel 2001 iniziando, quasi inconsapevolmente, a fotografare oggetti e azioni con l’obiettivo di indagare la creatività spontanea e le sue applicazioni. Oggi è un archivio di piú di 7000 fotografie, scattate muovendomi tra Europa e Mediterraneo, quasi senza sosta. Nella scelta delle immagini ho prediletto quelle piú ricche di connessioni in senso sia verticale sia orizzontale: per verticale intendo una scelta di oggetti e azioni di cui fosse visibile la storia evolutiva, e per orizzontale la scelta di oggetti e azioni simili sviluppatisi in aree geografiche differenti nel medesimo arco temporale, per favorirne la comparazione. La dimostrazione tangibile di come questi usi siano generati da relazioni sociali precise, è il ritrovare oggetti e usi simili in

luoghi distanti ma comparabili in termini di condizioni socioambientali, accomunate dalle stesse necessità. Questi esempi sono ampiamente documentati in questa ricerca: cerchioni di auto usati per avvolgere il tubo di gomma da irrigazione, pezzetti di pane in cima ai bastoncini per cibare i piccoli volatili urbani e non gabbiani e piccioni, palloni da calcio usati come galleggianti dai pescatori di mari lontanissimi tra loro. Troviamo decine di esempi di oggetti e comportamenti quasi identici tra loro, ma in luoghi a volte distantissimi. Il primo tra questi è il caffè preparato sul ferro da stiro fotografato nel sud dell’Italia e nel sud della Grecia. Entrambe le soluzioni usano la stessa fonte di calore in mancanza del gas, ma si differenziano culturalmente: in Italia l’uso della moca si distingue dall’uso dell’ibrik per il caffè turco. Una differenza che arricchisce la connotazione geografico-culturale, senza mettere in discussione l’uso della stessa pratica a centinaia di chilometri di distanza. Si riscontrano le stesse similarità in termini di usi creativi degli spazi: quanto piú un uso semplice risolve necessità complesse, tanto piú sarà diffuso a macchia d’olio per soddisfare simili esigenze. È convinzione comune che i paesi dell’Europa meridionale siano terreno piú fertile per la creatività spontanea, stimolata per esempio da una interpretazione libera delle leggi. In realtà, dalla ricerca sul campo emerge una certa omogeneità di soluzioni creative tra paesi del sud e del nord Europa: semplicemente cambiano gli usi e le priorità. A sud la creatività spontanea è piú visibile perché prevalentemente diretta a colmare le lacune delle amministrazioni locali. Nel nord dell’Italia e della Francia, in Svizzera, in Germania e in Olanda, la ragione primaria degli inventori spontanei non è solitamente risolvere le urgenze quotidiane; la possiamo definire piuttosto una creatività del tempo libero. I giardini delle casette nelle aree suburbane nord europee sono un accumularsi di piccole invenzioni, fatte quasi per divertimento. Interi parchi giochi costruiti da privati su suolo pubblico con materiali riciclati, centinaia d’invenzioni per l’orto e il giardino, attrezzature sportive di ogni genere perfettamente re-inventate. Questi fatti mettono in discussione il principio, probabilmente influenzato da una visione romantica, secondo cui solo la necessità primaria favorisce la creatività. Non esistono invece differenze tra nord e sud del mondo nel senso del trasferimento tecnologico per queste pratiche.


L’oggetto, in questi casi, diventa “altro”, acquisisce una sua memoria fatta di segni e sensi grazie ai quali riesce a tramandarci la sua storia. Basta prenderlo in mano per comprendere che assieme alla sua meccanica ci sono stati trasferiti anche gli strumenti per smontarlo, ricostruirlo e arricchirlo. La storia del manufatto ci rende consapevoli, a nostra volta, sia del codice tecnologico sia degli strumenti che ci consentono di procedere nella ricerca, in termini sociologici, ambientali, culturali. Contrariamente a quanto si possa pensare, questi oggetti e azioni non sono frutto di gesti casuali, ma del susseguirsi di processi creativi, stimolati innanzi tutto dalla necessità, ma anche dalle capacità artigianali e dalle consuetudini: in poche parole dal proprio patrimonio culturale. L’insieme di questi valori genera una straordinaria capacità pratica di adattamento, in grado di risolvere le necessità del quotidiano, con l’abilità paragonabile a quella di un bambino e la progettualità di un ingegnere. Sono gesti carichi di una grande abilità visionaria applicata alla sperimentazione pratica. Se associamo queste osservazioni alla storia e alla vita degli abitanti di un territorio, possiamo sviluppare un’infinità di connessioni, a partire dalla sociologia fino al design, dall’arte all’architettura, dall’urbanistica fino all’etnografia contemporanea. Spesso quando camminiamo guardiamo la strada frontalmente, perseguendo in direzione retta. Ma attorno a noi, ai margini del nostro spettro visivo, esiste un mondo parallelo: il luogo della socialità, di un’economia e una legislazione alternative. Guardando in altre direzioni che non siano a noi frontali, troviamo sempre gesti nascosti, laterali, per loro stessa natura meno visibili e pertanto meno rimovibili. Mi piace definire questo approccio “visione laterale”. Basta fare una prova camminando sul marciapiede di casa e guardare ovunque con la coda dell’occhio per scoprire un universo parallelo e inaspettato. Nell’antichità i Greci definivano la creatività come una “capacità poetica”, mentre oggi la consideriamo come un aspetto pratico: il punto di unione tra idee e conoscenze tecnologiche, oppure come una forma pedagogica. La relazione tra “capacità poetica” e “capacità tecnologica” può guidarci verso metodi di ricerca piú aperti e farci cogliere un’idea di sviluppo come concetto ampio, senza una ristretta definizione di limiti. Oggi siamo costretti a ridurre lo sfruttamento delle risorse. L’uso eccessivo di petrolio e cemento che si è fatto nell’ultimo

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218 Fornello con moca per caffè italiano (ferro da stiro) 219 Fornello con ibrik per caffè turco (ferro da stiro)

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PORTFOLIO V

USO DEL TEMPO E QUALITÀ DELLA VITA

TYPS* − TELL YOUR PUBLIC SPACE

tYps è un concorso svoltosi nel 2010 il cui obiettivo era rivelare usi inediti e originali degli spazi pubblici di Torino attraverso foto, video e racconti brevi. Lo spazio pubblico è la trama di cui si intesse la città, un filo rosso che connette persone, luoghi e percorsi; spazi diversi l’uno dall’altro, ma con qualcosa in comune: sono ovunque e sono di tutti. Perché “pubblico” indica soprattutto l’uso che se ne fa: c’è chi si ferma, chi li attraversa, chi li trasforma. A Torino non mancano idee e spunti per vivere il territorio con originalità: usi extra-ordinari, informali e spontanei, che spesso portano a fare fuori casa quello che in casa non ci sta. Aperitivi e picnic notturni nei parchi cittadini, pattinaggio nelle piazze del centro, bike polo nei parcheggi in periferia, mazurke clandestine sotto i ponti della ferrovia. Queste e altre pratiche esprimono bisogni materiali (riposo, gioco, sport, svago) e immateriali (incontro, scambio, conoscenza), che tYps ha contribuito a far conoscere: per rivelare un volto inedito di Torino che stimoli un uso piú creativo dei suoi spazi, per rendere la città piú vissuta, piú viva e piú percepita come sicura.

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* tYps è un progetto dell’associazione Via Libera, realizzato nell’ambito del bando Gioventù Esplosiva, con il contributo di Governo italiano, Regione Piemonte, Città di Torino, Torino Giovani.


Urban Dictionary (primo premio) “Il monumento al Duca d’Aosta è la palestra sulla quale si è formato il rinnovamento del linguaggio scultoreo italiano degli anni trenta” (http://rete.comuni-italiani.it) e oggi è la palestra sulla quale si formano le giovani leve dello skateboarding urbano di Torino, che lo usano come piattaforma per le loro evoluzioni nel fine settimana, rendendo un monumento piuttosto lugubre un luogo estremamente vitale e dinamico.

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