Paesaggi Interrotti. Territorio e Pianificazione nel Mezzogiorno, a cura di A. Clementi, 2013

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PAESAGGI INTERROTTI Territorio e pianificazione nel Mezzogiorno

a cura di Alberto Clementi

Saggi di: Rosaria Amantea, Massimo Angrilli, Alberto Clementi, Matteo Di Venosa, Carlo Donolo, Mariavaleria Mininni, Pino Scaglione

DONZELLI EDITORE


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Il volume è stato realizzato con il contributo dell’Università degli Studi «G. D’Annunzio» Chieti-Pescara, Dipartimento di Architettura.

Coordinamento editoriale di Ester Zazzero.

© 2012 Donzelli editore, Roma Via Mentana 2b INTERNET www.donzelli.it E-MAIL editore@donzelli.it ISBN 978-88-6036-844-7


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PAESAGGI INTERROTTI

Indice

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Apprendere dall’esperienza Prefazione di Alberto Clementi

Parte prima. Posizioni I.

Pianificare oggi nel Mezzogiorno di Alberto Clementi

3 5 8 11 15 19 23

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. II.

Premessa Regole e culture di piano Urbanistica e Nuova programmazione Un bilancio controverso Programmi complessi Modelli alla prova Lo spazio del possibile

Coesione e Mezzogiorno: ma dove? Ma come? di Carlo Donolo

37 40 42 46 55 56 58 59 61

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. III.

Di cosa stiamo parlando La coesione in agenda Il quindicennio della Nuova programmazione La natura del problema Tipi di soluzione Territori e società locali diversi e divergenti Questione istituzionale e politiche di coesione Territori capaci La coesione tra policies e politics

Paesaggio, territorio, sviluppo. Il caso della Puglia di Mariavaleria Mininni

65 71 72 78 79 84 89

1. Il governo del territorio nella recente stagione politica pugliese 2. La prossimità come dispositivo interscalare dell’azione paesaggista in Puglia 3. L’azione paesaggista nel piano è sensibile e adattiva 4. Politiche e progetti del periurbano nelle tattiche della prossimità 5. La prossimità geografica: i conflitti di interesse tra le comunità, i piani e i progetti 6. Per finire, qualche riflessione di natura strategica… 7. …e qualche suggerimento di natura tecnica

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Clementi, Paesaggi interrotti

Parte seconda. Il caso Calabria IV.

Qtrp Calabria. Tra intenzioni ed esiti di Alberto Clementi 1. 2. 3. 4.

98 101 102 115 V.

Pratiche correnti Criticità Innovazioni alla prova Un bilancio retrospettivo

La vicenda del piano di Rosaria Amantea 1. 2. 3. 4. 5. 6.

119 121 122 125 126 127 VI.

La costruzione del Qtrp. «Un quadro» per «un territorio» Una rapida cronologia Innovazioni Il valore del paesaggio La costruzione del team di piano Riflessioni conclusive

Calabria: pre-figurazioni progettuali di Pino Scaglione 1. Territori in transizione, tra crisi temporanea e crisi permanente 2. Territorio e città. Osservare-rigenerare-progettare 3. Laboratori di progetto: infrastrutture, progetti urbani, spazio pubblico, come manifesto di urbanità

133 135 136 VII.

Catanzaro-Lamezia Terme. La città dei due mari di Matteo Di Venosa 1. 2. 3. 4.

139 141 143 146 VIII.

Interpretare i processi in atto Identificare i contesti Una Visione guida per lo sviluppo sostenibile della valle Promuovere i progetti strategici

Tutele di paesaggio di Massimo Angrilli

151 155 157

1. Innovazioni di metodo per la revisione dei vincoli nella Regione Calabria 2. L’Atlante dei vincoli paesaggistici della regione 3. Analisi del livello di permanenza dei caratteri paesaggistici originari

165 Bibliografia 173 Elenco delle tavole fuori testo 175 Gli autori

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Paesaggi interrotti


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PAESAGGI INTERROTTI

Apprendere dall’esperienza Prefazione di Alberto Clementi

Da tempo il Mezzogiorno rappresenta una spina nel fianco delle teorie dello sviluppo e delle scienze della pianificazione. La sequenza di insuccessi registrati nelle varie esperienze che hanno fatto seguito alla crisi del modello d’intervento straordinario del dopoguerra, il mancato sviluppo e la divaricazione crescente rispetto al resto del paese, il progressivo sfaldamento del tessuto civile e il degrado ambientale conosciuti negli ultimi trent’anni: sono tutte ragioni che mettono duramente alla prova i convincimenti positivi che animano abitualmente le politiche pubbliche e i saperi esperti da cui traggono alimento. Il Mezzogiorno appare intrattabile con gli schemi interpretativi e le strategie che tendono ad assoggettarlo a qualcosa che è altro da sé. Schemi che privilegiano le razionalità canoniche di tipo strategico e di scopo, anteponendo la produzione di strumentazioni normative alla conoscenza delle complesse e in gran parte inesplorate dinamiche sociali che ne sostanziano la storia recente. Soprattutto schemi che non sembrano rivolgersi a tutta la popolazione, ma soltanto a «dodicimila santi ogni anno», come il Grande Inquisitore rimprovera a Gesù Cristo nella famosa Leggenda descritta da Dostoevskij nei Fratelli Karamazov. E che sottovalutano la «straordinaria vitalità del male, la sua fecondità e capacità d’espandersi», come ci ricorda Franco Cassano, il quale invece esorta spregiudicatamente a misurarci con umiltà con le negatività e le debolezze da prendere in carico, piuttosto che a «presidiare cattedre morali sempre più inascoltate» (Cassano 2011). Tutto ciò riguarda da vicino anche l’urbanistica e la pianificazione dello spazio. Ci rendiamo sempre più conto della loro sostanziale ineffettualità, come metodo di governo delle trasformazioni che avvengono nelle città del Mezzogiorno. E tuttavia sembriamo incapaci di metterne pubblicamente in discussione l’efficacia e la stessa utilità, troppo preoccupati di non incrinare l’ortodossia di leggi che devono necessaIX


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Alberto Clementi

riamente valere in tutto il territorio nazionale, a meno di non provocare la crisi dei principi su cui si incardinano uso dello spazio e diritti di cittadinanza nel nostro paese. Così, possiamo fare a meno di interrogarci come mai le città e il paesaggio si degradino giorno dopo giorno e diventino sempre meno abitabili, intanto che i beni pubblici sono continuamente depredati, in nome di una malintesa accondiscendenza alle attese delle società locali, ovvero alla forza delle reti familistiche e di clan che s’impongono al diritto comune, se necessario con la violenza, o con altre forme di criminalità più sottili. E possiamo altrettanto trascurare di domandarci perché il Mezzogiorno, al di là di alcune pregevoli eccezioni, non sia mai riuscito a entrare pienamente nella modernità, o meglio nella contemporaneità. Perché le regole coniate nelle società più avanzate, per tutelare gli interessi pubblici nella costruzione della città e del territorio, non riescano a far presa su una società che, nella sregolazione dei suoi rapporti sociali e istituzionali, come afferma Donolo, «sembra essersi persa per strada e non sa più come riprendere un cammino orientato a una meta» (Donolo 2011). Di fronte alla disillusione nei confronti degli aiuti statali per il Mezzogiorno, e alla consapevolezza dei loro effetti perversi – per aver propiziato la formazione di una società votata all’assistenzialismo, e per aver privilegiato i poteri più oscuri, a loro agio nel manovrare gli investimenti pubblici –, negli ultimi tempi si è andata diffondendo nell’ambiente imprenditoriale meridionale la propensione a rinunciare coraggiosamente alle provvidenze pubbliche, temendo i loro effetti drogati per l’economia e per i mercati. Non vorremmo che anche nei confronti dell’urbanistica si levasse l’insofferenza di chi la percepisce soprattutto come un filtro perverso tra la cittadinanza e le istituzioni del governo locale, e ne denuncia i fallimenti rispetto alla sua missione storica di contribuire a conferire condizioni di qualità all’ambiente insediativo e al paesaggio. Per non correre il rischio di venire delegittimata, in quanto pratica coercitiva che antepone al bene della cittadinanza il blocco d’interessi coalizzato intorno alle amministrazioni e alle loro burocrazie, l’urbanistica del Mezzogiorno ha bisogno di essere ripensata a fondo, emancipandola dai lacci del conformismo e della presunzione di quell’«aristocratismo etico» che ne rivela l’impotenza nell’imporre la visione del bene comune. È un’urbanistica che deve ritrovare la propria carica d’idealità e di progettualità al servizio di quelle forze che «vorrebbero e sono capaci d’innovare, contrastare il degrado, ricostruire un ordine sociale condiX


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Apprendere dall’esperienza

viso e aperto al futuro», come si augura Donolo (Donolo 2011). È un’urbanistica che deve fare appello alle proprie risorse di riflessività critica, per apprendere dai propri insuccessi e rilanciare un programma più credibile di cura dell’esistente e di rigenerazione urbana, in grado di produrre effetti tangibili di miglioramento delle condizioni abitative e della qualità di vita nelle città. Questo libro intende contribuire alla riflessione sui temi sopra evocati, muovendo da alcune prove d’innovazione realizzate di recente nell’ambito della pianificazione regionale del territorio e del paesaggio, e sollevando alcune questioni di fondo circa l’effettiva praticabilità delle politiche di coesione nelle città del Mezzogiorno. Ci si interroga in particolare sulla reale utilità delle politiche di pianificazione dello spazio e della coesione sociale, in un contesto che sembra sempre meno propenso al rispetto delle regole canoniche sancite dalla legislazione del nostro paese, sulla base di rapporti tra istituzioni, società e beni comuni ispirati alla modernità e all’affermazione dei diritti pubblici nella gestione delle trasformazioni dello spazio. Emerge un quadro fortemente problematico, che non concede facili speranze sul possibile miglioramento dello stato delle cose. Tuttavia s’intravedono alcune potenziali direzioni di lavoro per il prossimo futuro, mettendo a frutto l’esperienza accumulata negli anni della Nuova programmazione, quella dei Programmi complessi, e soprattutto la tensione verso l’affrancamento delle energie intellettuali e imprenditoriali che sembra possibile nell’attuale congiuntura. In fondo, è proprio nei momenti in cui la crisi si fa più acuta che nascono i fermenti di quelle innovazioni che potranno modificare il corso delle cose. Roma, settembre 2012

A. C.

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