Atelier 8.
Paesaggio come sfondo del progetto urbanistico contemporaneo Coordina: Michelangelo Russo Discussant: Carlo Gasparrini e J. Bellmunt
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Crediti
Comitato scientifico della XV Conferenza Nazionale SIU: Alessandro Balducci (Segretario SIU), Massimo Angrilli (Responsabile), Alberto Clementi, Roberto Bobbio, Daniela De Leo, Luca Gaeta (Tesoriere), Elena Marchigiani, Daniela Poli, Michelangelo Russo, Maurizio Tira Segreteria organizzativa della XV Conferenza Nazionale SIU: Massimo Angrilli (Coordinamento), Cesare Corfone, Antonella de Candia, Claudia Di Girolamo, Federico Di Lallo, Fabio Mancini, Mario Morrica, Patriza Toscano, Ester Zazzero (Mostra Piani di ricostruzione), Luciano Di Falco (Assistenza tecnica) La pubblicazione degli atti della XV Conferenza Nazionale SIU è il risultato di tutti i papers accettati alla conferenza. Solo gli autori regolarmente iscritti alla conferenza sono stati inseriti nella presente pubblicazione. La pubblicazione degli atti della XV Conferenza Nazionale SIU è stata curata dalla redazione di Planum. The Journal of Urbanism: Giulia Fini e Salvatore Caschetto con Marina Reissner Progetto grafico: Roberto Ricci Segreteria tecnica SIU: Giulia Amadasi, DiAP - Dipartimento di Architettura e Pianificazione, Politecnico di Milano L’immagine della copertina della pubblicazione e delle copertine dei singoli Atelier sono tratte da opere di Francesco Millo ©. Francesco Camillo Giorgino in arte Millo nasce a Mesagne (BR) nel 1979. Consegue la Laurea in Architettura e parallelamente porta avanti una personale ricerca estetica nel campo della pittura, spaziando dalla micro alla macroscala “rivelando la labilità dell’esistenza umana, sospesa a metà tra ciò che conosciamo e ciò che si nasconde dentro di noi” (Ziguline). Riceve diversi premi e riconoscimenti in ambito nazionale, fra cui il prestigioso “Premio Celeste” nel 2011.
Abstract Il paesaggio è una dimensione strutturale del pensiero progettuale in urbanistica: marca la natura di bene comune del territorio, con i suoi rischi e i suoi valori. È una nozione intersettoriale che apre all’interazione con un linguaggio aperto alle pratiche consensuali; mostra percorsi innovativi per il piano e per il progetto, contribuendo a rigenerare una nozione ormai usurata di sostenibilità. Consente di trattare il mutamento della città contemporanea, in rapporto al ruolo dello spazio pubblico aperto, delle infrastrutture come reti di continuità tra le componenti del territorio, alle relazioni tra natura e cultura nei fenomeni insediativi a scala metropolitana.
Indice
Atelier 8.
Paesaggio come sfondo del progetto urbanistico contemporaneo Coordina: Michelangelo Russo Discussant: Carlo Gasparrini e J. Bellmunt
Ecologia delle reti multiscalari. Relazioni intersettoriali tra i materiali del progetto di paesaggio Valorizzazione ecologica e paesaggistica nel piano locale. Una sperimentazione in Provincia di Torino Angioletta Voghera, Dafne Regis Il progetto del paesaggio marchigiano. Problemi e scenari per il nuovo piano paesaggistico regionale Francesco Alberti, Fabio Bronzini
I. Rural-scape. Reti di spazi aperti, territorio periurbano e dualismo città-campagna Nuovi paesaggi urbani e progetto dello spazio pubblico nella città liquida. Il paradigma della rete ecopolitana Raffaella Campanella Politiche di valorizzazione del periurbano in alcuni paesi della Unione Europea: confronto tra esperienze francesi, spagnole e italiane Juan Jose Galan Vivas, Francesco Marocco, Mariella Annese Riforma fondiaria e ricostruzione urbana. La vicenda materana riletta alla luce di una strategia agrourbana Cristina Dicillo, Mariavaleria Mininni Fondo paesaggio. Le aree agricole di versante della provincia di Trento Maddalena Ferretti, Mosè Ricci Le aree agricole nel progetto di territorio Paola Marotta, Simona Rubino Infrastrutture per la mobilità e costruzione del paesaggio: una questione irrisolta Renzo Riboldazzi II. Infra-scape Il progetto di paesaggio come costruzione di una nuova identità locale: le nuove aree produttive di Gaeta e Spigno Saturnia Pasquale Miano Territorio, geografia e sezione Noela Besenval Disegnare il paesaggio Camillo Orfeo III. Water-scape: paesaggi e città d’acqua Costruire la città-laguna: da Venezia alla laguna, dalla laguna a Venezia Daniele Cannatella, Sabrina Sposito Reversibilità dei processi di consumo di suolo in ambito costiero Federica Greco, Rosanna Rizzi, Martí Franch IV. Drosscape: paesaggi dello scarto e i rischi della settorialità Il riciclo, un paradigma possibile, anzi necessario. La seconda vita del SIN “Bussi sul Tirino”. Chiara Rizzi Potenzialità mortificate di un paesaggio-sfondo Valeria Scavone
Transizione Energetica. Integrare il paesaggio nelle politiche energetiche può essere utile per il progetto di territorio? Silvia Minichino
Paesaggi: interpretazioni e visioni I. Tra percezione e visione: leggere e interpretare il paesaggio come forma del territorio, per dare forma alle strategie Atelier Coloco e la quarta dimensione del progetto Danilo Capasso Piano e percezione territoriale: leggibilità e comunicabilità del Paesaggio Urbano Valerio Di Pinto Napoli new urban vision Anna Terracciano Serpentine luminose, filamenti insediativi, nebulose urbane Fabio Bronzini, Maria Angela Bedini Una nuova dimensione aumentata dei territori tra paesaggi sognati e paesaggi temuti Emanuela Nan Attualità del paesaggio nella pianificazione urbanistica locale Luigi La Riccia Una nuova idea di lavoro per il paesaggio e i contesti sensibili, il caso trentino Giuseppe Scaglione, Stefania Staniscia II. Il paesaggio come armatura del progetto urbanistico contemporaneo: interscalarità e costruzione di identità Progetti urbani e progetti urbanistici nel governo dei paesaggi post-urbani Pierluigi Properzi, Donato Di Ludovico Paesaggio e urbanistica per le aree industriali e artigianali del Trentino: nuovi archetipi dei paesaggi delle produzioni Vincenzo Cribari, Marco Malossini La forma della città tra progetto urbano e paesaggio Chiara Camaioni Sviluppo sostenibile lungo le aree costiere euro-mediterranee: una questione di paesaggio? Emma Salizzoni Strategie per la ricostruzione del territorio aquilano Raffaella Massacesi Regole per la gestione del paesaggio europeo: la costruzione di una metodologia comune attraverso la condivisione delle esperienze Elio Trusiani, Emanuela Biscotto, Silvia Brunella D’Astoli Paesaggio: dimensione dell’armonia Giovanna Paci, Grazia Sabbatini Strumenti di paesaggio per il progetto urbanistico Giulia Carlone Il progetto urbanistico per il paesaggio territoriale Paola Panuccio Back to the landscape Enrico Formato
Valorizzazione ecologica e paesaggistica nel piano locale. Una sperimentazione in Provincia di Torino
Valorizzazione ecologica e paesaggistica nel piano locale. Una sperimentazione in Provincia di Torino Angioletta Voghera Politecnico di Torino Dipartimento DIST Email: angioletta.voghera@polito.it Tel. 011.5647468-7477 / Fax 011.5647499 Dafne Regis Politecnico di Torino Dipartimento DIST Email: dafne.regis@polito.it
Abstract Il paper intende presentare il piano urbanistico locale di Bruino, città di media dimensione nell’area metropolitana torinese. Il piano costituisce una best practices locale - in sinergia con le politiche del Contratto di Fiume del Torrente Sangone (CdF) e del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP2, 2011) per il contenimento del consumo di suolo, per l’attenzione alla qualità del paesaggio e di vita e per la creazione di una rete di continuità ambientale, che integra città, campagna, agricoltura, natura e fiume. Le strategie proposte dal piano sono l’esito del processo di coinvolgimento delle comunità locali nella valorizzazione del territorio fluviale. L’attuazione delle strategie si avvale della perequazione urbanistica, di “progetti collettivi” per favorire l’adesione degli agricoltori alle misure previste dal Piano di Sviluppo Rurale (2009-2013) e di linee guida per il progetto degli spazi pubblici e privati, liberi e costruiti, in ambito urbano e rurale.
1. Le reti ecologiche e paesaggistiche: strategie di pianificazione Nella direzione di contrastare i processi di progressivo degrado del territorio e di crescente impoverimento della diversità biologica e paesistica in diversi contesti territoriali, la conservazione della biodiversità e la sua integrazione con lo sviluppo è tema prioritario delle strategie internazionali e comunitarie di sostenibilità. A partire dagli anni Novanta queste strategie indirizzano e promuovono politiche per la valorizzazione ecologica e paesaggistica del territorio anche attraverso il contenimento del consumo di suolo, l’uso eco-compatibile delle risorse ambientali, lo sviluppo delle reti ecologiche, l’attenzione per la qualità del progetto d’area vasta e locale. In questa direzione strategica è la rete ecologica e paesaggistica per promuovere il superamento della frammentazione e incrementare il valore ambientale complessivo attraverso la conservazione e la buona funzionalità degli ecosistemi, la relazione con i beni storico-culturali e percettivi e con le aree protette. Le reti, supportate da politiche internazionali (IUCN, 2008; UE, 1995; UNEP, 2010; UE, EEA-2010; Natura 2000 directives) 1 e nazionali (Ministero dell’Ambiente, Strategia Nazionale per la Biodiversità, 2010) 1
UE, 1995, Strategia Pan–Europea per la Diversità Biologica e Paesistica (PEBLDS). IUCN, 2008, Resolution n. 4.099 Recognition of the diversity of concepts and values of nature, The World Conservation Congress, Quarto congresso mondiale, 5–14 October, Barcellona. UNEP, 2010, Piano Strategico per la biodiversità per il periodo 2011-2020. Environmental EC, 2011, EU Biodiversity Strategy to 2020: towards implementation, to 2020 - Council conclusions, 19 December 2011. UE, EEA-2010, BISE-Biodiversity Information System for Europe; Biodiversity Baseline. Council Directive 92/43/EEC of 21 May 1992 on the conservation of natural habitats and of wild fauna and flora. Directive of 30 November 2009 on the conservation of wild birds (2009/147/EC).
Angioletta Voghera, Dafne Regis
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contribuiscono quindi a integrare le azioni ambientali e di conservazione della natura nel governo del territorio alle diverse scale, riconoscendo la centralità del paesaggio nel progetto, nella loro attuazione e gestione. Il ruolo del paesaggio risiede nel creare sinergie tra funzioni culturali ed ecologiche supportando la ri-produzione di risorse ambientali, simboliche, spirituali e sociali, e mettendo in stretta relazione azioni di scala vasta necessarie per rispondere alle esigenze del territorio e biologiche - con quelle di singoli nodi che assumono funzioni e valori specifici (Borrini-Feyerabend, Phillips, 2009). Il paesaggio infatti - in particolare quello naturale, seminaturale e rurale – contribuisce al ripristino di una connettività fra diversi sistemi territoriali (Davies et al., 2001), costituendo l’ossatura multifunzionale del progetto delle reti ecologiche e di fruizione e percezione diffusa per promuovere la qualità degli spazi e di vita, come ci richiede la Convenzione Europea del Paesaggio (2000). In questa direzione si segnalano alcuni esempi di Olanda, Danimarca, Germania, Repubblica Ceca che hanno sviluppato piani e programmi d’area vasta, talvolta nazionali, per intessere relazioni ecologiche e funzionali tra gli spazi e i paesaggi protetti, boschivi, costieri, d’acque, seminaturali, naturali e rurali. La pianificazione e il governo del territorio devono costituire infatti un quadro di programmazione, progetto e gestione comune (Peano, 2008) per interrelare politiche per la biodiversità con quelle per gli insediamenti, i trasporti, l’agricoltura, gli usi del suolo, il patrimonio paesaggistico e lo sviluppo locale (Antrop, 2003, Antrop et alt., 2004 e 2006). Nel nostro paese l’integrazione delle reti nella pianificazione è uno degli aspetti di maggior debolezza operativa. Infatti le numerose sperimentazioni di reti ecologiche e paesaggistiche restano un “disegno” inattuato di interconnettività previste dalla pianificazione territoriale a scala regionale e/o provinciale, limitatamente tradotto in progetti alla scala locale. Le ragioni risiedono nelle difficoltà operative legate alla debolezza delle indicazioni generali d’area vasta, all’assenza di processi di concertazione con gli attori locali e di risorse economiche. Diversa è la situazione degli altri paesi che, come l’Olanda, costruiscono il progetto della rete, negoziandolo con gli attori socio-economici locali e prevedendo finanziamenti pubblici e privati ad hoc (Voghera, 2006). Nel progetto di questo sistema le strategie di pianificazione assegnano soprattutto al paesaggio ordinario un ruolo strategico per concorrere a diffuse azioni e interventi, anche in ambito urbano, finalizzati alla valorizzazione complessiva del territorio con importanti ricadute sulla biodiversità, sulla fruizione e percezione. E’ questa una delle strade che è oggi in Italia 2 oggetto di rinnovata attenzione nelle recenti leggi regionali di governo del territorio 3, oltre che in iniziative a livello provinciale. La pianificazione provinciale è riconosciuta come strategica per l’attuazione e la gestione delle reti sul territorio, come quadro di sinergie e connettività anche locali (Tamburini, Romano, 2003).
2. Politiche per una rete ecologica e paesaggistica in Provincia di Torino Per la costruzione del sistema di connettività ecologica e paesaggistica in Piemonte 4 strategico è il nuovo piano provinciale (PTCP2, approvato luglio 2011), che ne aggiorna dopo 10 anni i contenuti, rilanciando il governo del territorio basato sulla co-pianificazione e sul principio di “etica del territorio” rispettosa dell’ambiente, orientata principalmente alla tutela, valorizzazione e razionale consumo delle risorse primarie, in particolar modo del suolo. Attraverso un sistema di indirizzi, criteri e regole si propone di promuovere la compatibilità tra l’ecosistema ambientale e naturale e il sistema antropico (demografico, sociale e produttivo). Individua in particolare il contenimento d’uso del suolo e la rete ecologica quali strumenti indispensabili dal punto di vista tecnico e politico per la qualità del territorio naturale e antropizzato. Il controllo dell’espansione insediativa, a partire della mosaicatura dei piani regolatori, si avvale, per contrastare l’erosione delle aree naturali/agricole e la loro insularizzazione, di un’analisi sperimentale - obbligatoria in fase di revisione del piano locale- che legge la densità dell’urbanizzato e classifica il territorio in aree dense, di transizione e libere. Le prime sono le aree in cui “il territorio è compromesso dall’evoluzione del tessuto edificato”, tessuti consolidati idonei a processi di trasformazione/completamento. Le seconde, aree ai margini
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La rete ecologica nazionale (REN) nasce con valenza prevalentemente ambientale e di idoneità faunistica come “rete di parchi nazionali e regionali ed altre aree protette”, progetto strategico per la valorizzazione delle risorse naturali (CIPE 1998, Programmazione fondi strutturali 2000-2006). Un contributo rilevante per la REN discende dalla Linee Guida per la gestione delle aree di collegamento ecologico-funzionale (INU-ANPA, 2001) caratterizzate da un attenzione alla pianificazione della rete a supporto dei processi di trasformazione territoriale. 3 Lombardia 2005, Umbria 2005, Campania 2004, Veneto 2004, Puglia 2004, Calabria 2002, Emilia Romagna 2000, Basilicata 1999 (Guccione e Schilleci, 2010). 4 Si veda lo sviluppo lo studio della rete di valorizzazione ambientale regionale multifunzionale (coord. IPLA), descritto in. Malcevschi S., Terzuolo P., Thomasset F., 2009, Reti e pianificazione, in Gambino R., Negrini G. (a cura di) Parchi e paesaggi d’Europa, in Urbanistica, Vol. 139, pp. 66-70, INU Edizioni, Roma. Angioletta Voghera, Dafne Regis
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dell’urbanizzato, sono zone di limitata estensione, in cui si possono prevedere azioni di completamento urbanistico e di progetto dei paesaggi di frangia. Le ultime sono le aree naturali, seminaturali o agricole da tutelare e mantenere libere dall’edificazione. In stretta interazione con la politica di contenimento del consumo di suolo, il PTCP2 definisce il sistema sovralocale della Rete Ecologica Provinciale (REP), integrata con il progetto regionale (PPR, 2009), di interconnessione di spazi naturali e verdi di diversa caratterizzazione. In proposito le principali strutture ecologico-paesaggistiche (nodi/core areas) sono le aree protette, i parchi e le riserve naturali - istituite a livello nazionale, regionale e provinciale - i siti Rete Natura 2000 (SIC, ZSC, ZPS e SIR), i beni e le aree di particolare pregio ambientale e paesaggistico (zone umide e aree boscate), interconnesse attraverso i corridoi fluviali (corridors) e le reti diffuse nel paesaggio rurale (fasce tampone/buffer). (Figura 1) Il sistema provinciale definisce una strategia di valorizzazione ecosistemica, di tutela della biodiversità e del paesaggio basata sul collegamento di aree di rilevante interesse ambientale-paesistico in una rete continua all’interno di una matrice territoriale antropizzata, riferendosi esplicitamente a strategie di tutela sistemica. Ripropone quindi un modello che è tradizionalmente, costituito da nodi (aree territoriali ancora in grado di garantire la vita di ecosistemica) e collegamenti (corridoi ecologici e aree di sosta e transito) che permettono la connessione dei diversi nodi, favorendo lo spostamento delle specie e garantendo la vitalità e la qualità del sistema. Promuove diverse tipologie di reti, che rispecchiano gli approcci consolidati (APAT, 2003): reti faunistiche specifiche, reti ecologiche gestionali delle aree protette, reti ecologiche strutturali, reti verdi paesaggistiche e reti ecologiche multifunzionali/polivalenti, che si integrano e compenetrano in modo sinergico e interscalare. Alla scala d’area vasta (provinciale), la rete è un’azione coordinata di gestione e fruizione con l’obiettivo di integrare sviluppo economico e sociale con la conservazione del paesaggio; alla scala locale, le reti diventano progetto, supportato da “strumenti strategici e operativi” anche dei piani urbanistici comunali (PSR, contratti di fiume, aree a verde pubblico nei piani attuativi, perequazione). Ai piani locali è infatti affidato l’obiettivo di costruire nel concreto la rete, regolamentando le trasformazioni del territorio attraverso interventi di valorizzazione ambientale, di compensazione e mitigazione (fasce boscate tampone, filari, siepi e sistemi lineari di vegetazione arborea ed arbustiva autoctona, tetti e facciate verdi, parcheggi inerbiti, ecc.). Il progetto locale della rete dovrà dunque diventare parte integrante del piano locale garantendo il mantenimento e/o il ripristino delle connessioni, l’identificazione dei varchi tra paesaggi aperti, agricoli e urbanizzati, preservando la continuità, la naturalità e la funzionalità dei corridoi, qualificando e tutelando il suolo periurbano e urbano.
Figura 1. Sistema del verde provinciale -dati 2009, Elaborazione Ufficio di Piano, Prov.To-.
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3. L’attuazione delle strategie provinciali Le strategie provinciali per lo sviluppo sostenibile si avvalgono di strumenti strategici e operativi diversi quali: i Contratti di Fiume (CdF) e di Lago e Corona Verde per il coordinamento delle politiche locali. In particolare il tema del contenimento del consumo di suolo e della valorizzazione ecologica e paesaggistica vede il Contratto di Fiume quale territorio strategico per l’attuazione dello scenario provinciale. Il CdF è strumento di governo del territorio innovativo utile a individuare strategie, azioni e regole condivise per la riqualificazione ambientale e paesaggistica, economica e sociale di un bacino fluviale (2° Forum Mondiale dell'acqua) e per valorizzare in un’ottica interdisciplinare il territorio e il paesaggio fluviale, definendo azioni condivise alla scala del bacino e puntuali di progetto (Voghera, 2009). E’ quindi sinergico rispetto agli obiettivi provinciali di: miglioramento della qualità delle acque e razionalizzazione dell'uso, valorizzazione dell'integrità ecologica delle fasce fluviali e ricostruzione dei paesaggi, attraverso una nuova governance dei territori fluviali. La governance si deve infatti fondare su una partecipazione delle comunità locali nei contratti di fiume e nei progetti strategici, come Corona Verde, per definire le scelte di gestione e di sviluppo territoriale, ricomponendo i conflitti e gli interessi, facendo dialogare i diversi strumenti di programmazione socio-economica con quelli di pianificazione territoriale e urbanistica. In questo modo il CdF del Torrente Sangone (Figura 2), prima esperienza in Piemonte (marzo 2009), riesce a integrare e a definire regole, indirizzi e interventi condivisi localmente per: realizzare -a partire dai fiumi e canali- la rete ecologica; ripristinare la naturalità dell'alveo e valorizzare le aree di maggior pregio ambientale; indirizzare i PRGC a più idonei usi del suolo integrando la gestione del territorio, delle acque e delle pratiche agricole; promuovere progetti d'area vasta per la valorizzazione del territorio e del paesaggio (Ingaramo, Voghera 2010). Si integra quindi anche con il progetto di realizzazione di “Corona Verde” nell’area metropolitana torinese (finanziato con il Docup 2000/2006 e POR FESR 2007/2013), che promuove l’interconnesione tra il sistema della “Corona di Delitiae” (relativa alle residenze sabaude intorno a Torino) con il verde periurbano e urbano e le aste fluviali. Corona Verde è uno strumento importante perché associa al progetto di masterplan specifici finanziamenti per contribuire a realizzare l’infrastruttura territoriale multifunzionale delle reti ecologiche e fruitive, costituendo il punto di partenza per permettere alla natura di permeare la città e all'uomo di fruire degli spazi naturali e culturali.
4. Il Piano locale e le reti nel Comune di Bruino Le strategie proposte dalla variante in corso del piano di Bruino sono state individuate dalla Provincia quale buona pratica di attuazione delle scelte del PTCP2. Il piano definisce politiche e progetti d'area vasta e locali per: realizzare la rete ecologica, ripristinare la naturalità dell'alveo fluviale, valorizzare le aree di maggior pregio ambientale e paesaggistico, contenere il consumo di suolo, definire usi del suolo compatibili, integrare la gestione del territorio, delle acque e delle pratiche agricole, promuovere progetti per la valorizzazione del paesaggio peri-fluviale e rurale. La variante del piano regolatore, opera infatti non solo nell’ottica di rispondere alle esigenze di reiterazione dei vincoli e di realizzazione dei servizi, ma di promuovere un paesaggio di qualità. A partire dalla classificazione del suolo secondo diversi gradienti di densità urbana (aree dense, di transizione e libere del PTCP2), il piano definisce il sistema delle connessioni ecologiche e paesaggistiche locali, integrando lo schema provinciale con reti multifunzionali e interventi per valorizzare la qualità paesaggistica. (Figura 2) Il piano pone priorità al potenziamento del corridoio ecologico provinciale lungo il Sangone e alla salvaguardia del suo collegamento con l’area protetta di Monte San Giorgio e con il Chisola. Questo sistema assume un valore multifunzionale, incrementando il valore ecologico e paesaggistico dell’ambito urbano e connettendo identità diffuse. Viene così completato il Parco Fluviale, in parte finanziato da Corona Verde, per la fruizione naturalistica delle aree comprese tra il Torrente Sangone e il canale del Sangonetto; si progetta un Parco Urbano, che contribuisce a innervare il centro storico con spazi verdi ad elevata potenzialità ecologica e fruitiva, e un Parco Agrario per tutelare le aree ancora libere intercluse tra l’edificato, connettendole anche con il paesaggio rurale periurbano. Quest’ultimo assume un ruolo primario per la connessione del sistema paesaggistico locale con l’esterno e per il mantenimento dei varchi esistenti tra Bruino e le aree a valore ambientale nei comuni limitrofi. Il sistema completa la rete ecologica locale intessendo relazioni fisiche e funzionali, attraverso i percorsi ciclopedonali (esistenti e in progetto) e il verde urbano pertinenziale privato, con i parchi pubblici esistenti, incrementando la biodiversità e la sostenibilità. Gli strumenti che supportano l’attuazione del piano sono: la perequazione urbanistica, le misure del Programma di Sviluppo Rurale (PSR) e le linee guida per la qualità paesaggistica degli insediamenti (a partire da quelle del Piano Paesaggistico Regionale, PPR). Il piano si avvale della perequazione urbanistica per l’acquisizione delle aree di proprietà privata vincolate all’uso di parco urbano, verde pubblico e parco fluviale –lungo fiumi e canali-, cedendo ai proprietari diritti edificatori da trasferire verso altre aree idonee all’espansione.
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Questa logica perequativa, strategica e compensativa 5 (cfr. Seminario Il trasferimento dei diritti edificatori Potenzialità, problemi, prospettive Politecnico di Milano - Facoltà di Architettura – 8 giugno 2011), si fonda: sull’individuazione di quattro grandi comparti, aree di trasformazione tra loro omogenee, comprendenti sia le zone utili all’infrastruttura ecologica locale sia quelle di completamento urbanistico; sull’assegnazione di un ridotto indice edificatorio unico in tutte i comparti (IT 0,05 mq/mq); sulla distinzione tra le aree a valenza ecologica-paesaggistica – aree di decollo dei crediti edilizi - e le aree a valenza edificatoria – aree di atterraggio dei crediti edilizi - di estensione adeguata per ricevere la totalità dei crediti edilizi “in volo” all’interno del comparto stesso (IF 0,30 mq/mq). Si genera così un mercato dei diritti edificatori che permette la realizzazione di quattro progetti di ridisegno urbano ed edilizio di iniziativa privata, contemporaneamente alla realizzazione della città pubblica (servizi, reti ecologiche, fruitive, aree a parco fluviale e verde attrezzato). Sul modello del PGT di Bergamo (2010), per facilitare la gestione del sistema e per incentivare l’interesse alla mobilitazione da parte dei proprietari verso la realizzazione degli interventi di trasformazione in tempi anche relativamente brevi, è stato previsto un coefficiente di riduzione dell’indice di perequazione da calcolare a partire dalla data di approvazione del piano 0% nei primi due anni, 5% dal terzo, 10% dal quarto e 15% dal quinto -. Per l’attuazione del Parco Agrario, demandato all’iniziativa privata, il piano prevede l’adozione di politiche locali per indirizzare gli agricoltori ad aderire alle misure del PSR, attraverso la partecipazione ai bandi della Regione Piemonte. La misura 214 del PSR consente infatti agli agricoltori di impegnarsi nell’adottare metodi produttivi compatibili con la salvaguardia e il miglioramento dell’ambiente a fronte di un risarcimento annuo di 450 euro/ha per la produttività persa o ridotta; la misura 216, invece consentirebbe di realizzare interventi utili alla salvaguardia del paesaggio agrario e dei suoi elementi tradizionali, contribuendo al progetto di rete ecologica, mediante il finanziamento fino al 100% per la realizzazione e manutenzione delle opere. Questa strategia può permettere di ricucire i territori di margine e di mettere in gioco anche un nuovo rapporto tra città, natura e agricoltura, ricostruendo legami che si erano spezzati e assegnando agli agricoltori un ruolo chiave nella gestione del paesaggio. Le politiche di valorizzazione si accompagnano infine a linee guida per il progetto degli spazi pubblici e privati, liberi e costruiti, in ambito urbano e rurale, nell’ottica di ricucire il tessuto urbano e peri-urbano, attraverso la qualità paesaggistica e la rete ecologica locale. Per il disegno dei nuovi insediamenti si pone dunque attenzione ad aspetti quali l’accessibilità, la distribuzione e l’orientamento del costruito all’interno dei lotti, l’importanza delle aree pertinenziali, la permeabilità ecologica e visuale, l’uso della vegetazione come elemento architettonico, l’omogeneità tra gli edifici, la loro sostenibilità e integrazione reticolare.
Figura 2. Abstract del piano locale di Bruino -Regis D., (2011). Tesi di laurea, Valorizzazione ecologica e del paesaggio urbano di Bruino in relazione alla variante al PRGC, Rel. Voghera A., Politecnico di Torino-. 5
Strategico, applicato solo alle aree strategiche per il piano e non a tutto il territorio comunale - Compensativo, perché permette la possibilità di trasferire diritti edificatori.
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Valorizzazione ecologica e paesaggistica nel piano locale. Una sperimentazione in Provincia di Torino
5. La partecipazione nel piano locale Il progetto e il metodo attuativo costituiscono un primo risultato operativo del PTCP2 e CdF del Sangone, potenzialmente esportabile. Le scelte adottate dal piano sono infatti esito del processo di partecipazione, legato al CdF, e si fondano su una visione condivisa del fiume e del territorio peri-fluviale, volta a valorizzare il territorio rurale e urbanizzato prossimo al fiume che intrattiene con il Sangone relazioni culturali, simboliche ed economiche. In un territorio già interessato da processi di partecipazione è stato possibile prevedere che, anche per l’attuazione del piano e dei progetti, vi fosse il diretto coinvolgimento di tutti gli attori locali pubblici e privati. Le politiche del piano basano infatti l’attuazione su strategie negoziate e condivise dagli attori sociali locali, a loro volta protagonisti del “mercato” legato alla perequazione urbanistica e all’acquisizione dei finanziamenti legati al PSR. In questo contesto, si stanno inoltre valutando alcune strade per accompagnare attraverso processi partecipati l’attuazione del piano. L’adozione di nuove iniziative di sensibilizzazione - sulla scia della metodologia di governance sperimentata sul territorio dal progetto IDRA, Immaginare, Decidere, Riqualificare, Agire- potrebbe contribuire a rendere comprensibili i meccanismi perequativi attraverso l’informazione e l’intermediazione, supportandoli con uno Sportello per l’attuazione. L’istituzione di un’attività di sensibilizzazione permanente (come lo Sportello qualità) potrebbe inoltre promuovere la qualità architettonica, anche per mezzo della promozione di concorsi di progettazione per le aree di nuova edificazione. Infine il processo attuativo potrebbe essere supportato dalla creazione di “progetti collettivi per la rete ecologica in ambito rurale”, previsti dal PSR (misura 214.7; PSR 2007-2013), costruiti nei tavoli di concertazione del CdF dalla Provincia con la comunità locale, favorendo l’adesione degli agricoltori alle misure previste; contribuendo quindi alla realizzazione degli obiettivi del piano, come il parco agrario e la diffusione, anche in aree private, del sistema di interconnessione ecologica e paesaggistica.
Bibliografia Libri Ingaramo R., Voghera A., (2012), Planning and Architecture. Searching for an Approach, Alinea International, Firenze. Regis D., (2011), Tesi di laurea. Valorizzazione ecologica e del paesaggio urbano di Bruino in relazione alla variante al PRGC, Rel. Voghera A., Politecnico di Torino. Steiner F., (1994), Costruire il paesaggio: un approccio ecologico alla pianificazione del territorio, McGrawHill, Milano. Voghera A., (2006), Culture europee di sostenibilità. Storie e innovazioni nella pianificazione, Gangemi Editore, Roma. APAT (a cura di, 2003), Gestione delle aree di collegamento ecologico funzionale. Indirizzi e modalità operative per l’adeguamento degli strumenti di pianificazione del territorio in funzione della costruzione di reti ecologiche a scala locale, INU, Roma. Guccione M., Schilleci F. (a cura di, 2010), Le reti ecologiche nella pianificazione territoriale ordinaria. Primo censimento nazionale degli strumenti a scala locale, Rapporti 116/2010, ISPRA, Roma. Ronzani G. (a cura di, 1998), La dimensione ambientale nella pianificazione urbanistica, Clueb, Bologna. Antrop M., (2003), “Expectations of scientists towards interdiscplinary and transdisciplinary research”, in Tress B., Tress G., van der Valk A., Fry G., (eds.), Interdisciplinary and Transdisciplinary Landscape Studies: Potential and Limitations, Delta Series 2, Wageningen, pp. 44-54. Antrop M., (2006), “From holistic landscape synthesis to transdisciplinary landscape management”, in Tress, B., Tres, G., Fry, G., Opdam, P. (eds.), From Landscape Research to Landscape Planning: Aspects of Integration, Education and Application, Springer, Wageningen UR Frontis Series, Wageningen, pp. 27-50. Davies K.F., Gascon C., Margules C.R., (2001), “Habitat fragmentation: consequences, management, and future research priorities”, in Soulé M.E., Orians G.H. (a cura di), Conservation biology. Research priorities for the next decade, Society for Conservation biology, Island Press, Washington D.C., pp. 81-97. Peano A., (2008), “Aree protette e governo del territorio”, in Gambino R., Talamo D., Thomasset F. (a cura di), Parchi d’Europa. Verso una politica europea per le aree protette, Edizioni ETS, Pisa, pp. 121-132. Tamburini G., Romano B., (2003), “La progressiva affermazione del modello di continuità ambientale”, in AA.VV., Pianificazione e reti ecologiche. PLANECO. Planning in ecological network, Gangemi Editore, Roma, pp. 25-34. Articoli Antrop M., (2004), “Landscape change and the urbanization process in Europe”, in Landscape and Urban Planning n.67, pp. 9–26. Angioletta Voghera, Dafne Regis
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Valorizzazione ecologica e paesaggistica nel piano locale. Una sperimentazione in Provincia di Torino
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Il progetto del paesaggio marchigiano.
Il progetto del paesaggio marchigiano Francesco Albertini - Fabio Bronzini Università Politecnica delle Marche Dipartimento Scienze e Ingegneria della Materia, dell'Ambiente e dell'Urbanistica (SIMAU) Facoltà di Ingegneria
Abstract Il nuovo piano paesaggistico marchigiano dovrà assumere - al termine della fase di concertazione istituzionale la nozione di transcalarità come chiave di volta sia dell’interpretazione del paesaggio sia delle strategie di intervento. La transcalarità è connaturata alle forme visibili e al senso stesso del paesaggio, le cui qualità derivano dall’intreccio tra piccola e grande scala, secondo totalità contestuali, combinando volta per volta in modo specifico le “parti territoriali”. Questa impostazione trova nella nozione di contesto un “ancoraggio” delle politiche di pianificazione e di gestione. Nelle Marche si sta sperimentando un metodo innovativo di costruzione del piano paesaggistico, che ruota attorno alla definizione dei contesti articolati a livello regionale di area vasta e locale. Assumendo il paesaggio come “opera collettiva”, in cui ciascuno porta le responsabilità del proprio divenire, ci si è preoccupati infatti di individuare alle diverse scale i macroambiti e gli ambiti di riferimento, i contesti rispetto a cui organizzare il “sistema delle conoscenze” e trovare le forme più adatte di cooperazione tra gli attori istituzionali, con la prospettiva di far convergere le rispettive strategie su obiettivi condivisi di qualità del paesaggio.
Il progetto del paesaggio marchigiano Problemi e scenari per il nuovo piano paesaggistico regionale Il nuovo piano paesaggistico marchigiano dovrà assumere - al termine della fase di concertazione istituzionale la nozione di transcalarità come chiave di volta sia dell’interpretazione del paesaggio sia delle strategie di intervento. La transcalarità è connaturata alle forme visibili e al senso stesso del paesaggio, le cui qualità derivano dall’intreccio tra piccola e grande scala, secondo totalità contestuali. La transcalarità del paesaggio dovrà trovare necessariamente riscontro in un modello di governo fondato sulla stretta interdipendenza tra i diversi livelli istituzionali, chiamata a condividere quadri cognitivi, giudizi di valore e responsabilità di tutela e gestione attiva delle trasformazioni. In alternativa dunque al tradizionale modello dirigistico a cascata, che trasmette dal livello centrale a quello locale il sistema di regole e discipline, si prevede di ricorrere a un modello di circolarità progressive, che dovrebbe far convergere su visioni comuni l’approccio statale, regionale, di area vasta e comunale, favorendo il concorso dei diversi poteri. In questa prospettiva non si tratta affatto di abdicare alle responsabilità statali e regionali nelle politiche di paesaggio, ma piuttosto di mirare al loro esplicito rafforzamento, in un sistema di governance multilivello, che ha per obiettivo di fondo la corresponsabilizzazione dei diversi attori istituzionali. L’esperienza insegna che soltanto il rigore dei comportamenti, associato a processi di mutuo apprendimento e di efficace concertazione interistituzionale, permette di affrontare con successo le difficoltà che penalizzano tuttora le politiche per il paesaggio. Si tratta, dunque, di organizzare appropriati contesti interattivi tra i soggetti di governo del territorio, per promuovere strategie condivise di sviluppo fondate su visioni d’insieme del paesaggio, dei suoi valori da tutelare e delle nuove qualità da perseguire. Ciò comporta una forte interdipendenza tra gli strumenti di governo regionale, di area vasta e comunale. Questa impostazione, che punta a ridurre le asimmetrie esistenti tra processi di interpretazione dei valori paesaggistici e attribuzione di responsabilità nel sistema istituzionale, trova nella nozione di contesto un ancoraggio delle politiche di pianificazione e di gestione. Nelle Marche si sta Francesco Alberti - Fabio Bronzini
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Il progetto del paesaggio marchigiano.
sperimentando un metodo innovativo di costruzione del Piano Paesaggistico Regionale (PPR), attraverso la verifica e l’aggiornamento del vigente Piano Paesistico Ambientale Regionale (PPAR) al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e alla Convenzione Europea per il paesaggio, introducendo - attraverso il documento preliminare approvato dalla Giunta Regionale nel febbraio 2010 - la lettura dei paesaggi e dei contesti territoriali. I paesaggi marchigiani dovranno essere organizzati in ambiti rispetto ai quali sarà possibile prevedere strategie e progetti territoriali di paesaggio. Gli ambiti, infatti, pur non potendo essere considerati omogenei al loro interno, comprendono territori connessi e resi simili da relazioni naturalistico-ambientali, storico-culturali, insediative. La loro estensione è tale da poter garantire un’efficiente gestione di progetti, elaborati sulla base delle caratteristiche paesaggistiche locali, che ruota attorno alla definizione dei contesti, articolati a livello regionale di area vasta e locale (Bronzini, Marinelli, 2010). Assumendo il paesaggio come opera collettiva, in cui ciascuno porta le responsabilità del proprio divenire, ci si è preoccupati infatti di individuare alle diverse scale i macroambiti e gli ambiti di riferimento, i contesti rispetto a cui organizzare il “sistema delle conoscenze” e trovare le forme più adatte di cooperazione tra gli attori istituzionali, con la prospettiva di far convergere le rispettive strategie su obiettivi condivisi di qualità del paesaggio.
Le Marche, un territorio snodo, nel contesto nazionale Le Marche si caratterizzano per una funzione di connessione tra aree produttive e culturali diverse, rappresentate a Nord dalle regioni attorno alla Pianura Padana e a sud dalle regioni protese nel Mediterraneo. Le Marche possono costituire, quindi, un territorio-snodo il cui significato va oltre lo sviluppo e il completamento dei sistemi infrastrutturali, che trova una sua motivazione in obiettivi di rafforzamento socioculturale, oltre che economico-infrastrutturale, delle relazioni tra diversi contesti. L‘assunzione consapevole di questo ruolo, in termini programmatici, dovrà tradursi anche nel rafforzamento delle qualità ambientali e paesaggistiche della Regione Marche e potrà trovare maggiori e più proficue possibilità di sviluppo sostenibile. Compito del territorio-snodo sarà dunque quello di mettere in comunicazione aree vitali del sistema-Paese, aprendosi verso l’esterno in connessione con le aree di maggiore dinamicità e garantendo al proprio interno il riequilibrio territoriale e la coesione. Andranno sviluppate azioni tendenti all‘innovazione ed alla qualificazione anche dei processi di management territoriale e di governance, che prosegua la tradizione di buon governo e di capacità istituzionale cui fanno riscontro elevati standard di qualità della vita. In conclusione, per concretizzare il ruolo del territorio-snodo é opportuno che al rafforzamento del tessuto infrastrutturale si accompagni uno sviluppo qualificato del sistema produttivo, con particolare riferimento al sistema della piccola e media impresa, del sistema insediativo, e una ulteriore valorizzazione del sistema paesistico-ambientale. La realizzazione della piattaforma umbro-marchigiana, ricompresa tra le piattaforme territoriali strategiche definite dal Ministero delle Infrastrutture, con il rafforzamento della logistica agganciata agli interporti di Orte e Jesi, costituisce un sistema di interconnessione tra i corridoi europei mediterranei corrispondenti alla direttrice tirrenica (snodo di Civitavecchia), adriatica (snodo di Ancona) ed all’asse centrale Orte-Ravenna, lungo la E45, riferita al Corridoio 1 “Berlino-Palermo”. Altrettanto determinante è il rafforzamento dello stesso Corridoio 1 “Berlino-Palermo”, attraverso il nuovo collegamento Civitavecchia-Mestre, la direttrice Fano-Grosseto, la direttrice Ancona-Perugia, la direttrice Civitanova-Foligno, e la direttrice Ascoli-Spoleto-Orbetello, che incrocia gli altri sistemi trasversali TirrenoAdriatico oltre a quello della Quadrilatero Umbria-Marche. Tale rafforzamento infrastrutturale dovrà accompagnarsi strettamente al parallelo sviluppo di grandi infrastrutturazioni di contesto aventi natura e valenza ambientale, quali quelle costituite dalla rete dei borghi rurali o della sentieristica tematica, nonché dalla aggregazione delle città marchigiane in reti, riorganizzate attorno a specifici temi o progetti. La valenza territoriale dei progetti di infrastrutturazione è destinata ad arricchirsi in prospettiva con la realizzazione del Progetto Quadrilatero che, oltre al potenziamento delle connessioni infrastrutturali trasversali Umbria-Marche, lungo la Perugia-Ancona (SS. 76 e SS. 312) e la Foligno-Civitavecchia (SS. 77), prevede lo sviluppo lungo i tracciati di aree produttive e logistiche in un legame stretto dal punto di vista economicofinanziario e da quello territoriale e di sviluppo.
La visione al futuro: gli scenari di prospettiva Una visione del futuro della Regione deve proporre il rafforzamento competitivo dei sistemi territoriali principali, accompagnato anche dalla intensificazione delle interdipendenze reciproche (coesione territoriale), sviluppando reti costruite a partire dalle opportunità e dalle specificità locali, ad evitare che alla lunga prevalgano i rischi di una crescente disarticolazione indotta dalle pressioni centrifughe di gravitazione verso gli attrattori esterni alla Regione, rispettivamente verso la Toscana, il Lazio, l’Umbria. Con questa finalità è necessario valorizzare i territori di confine nel loro ruolo di cerniera con le regioni confinanti, potenziandone le capacità attrattive in termini di servizi e di opportunità di lavoro.
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Ma un ruolo importante possono svolgerlo anche le reti ambientali e storico-culturali, che ad un diverso livello concorrono comunque a tenere insieme i diversi territori regionali, sottolineando ed esprimendo al meglio i cospicui valori identitari delle Marche (Clementi, 2008). Le trasformazioni in corso nel territorio marchigiano possono essere utilmente esplorate attraverso la costruzione di alcuni scenari di prospettiva tendenziale che aiutino a individuare opportunità e rischi connessi a ciascuna tendenza. Gli scenari di prospettiva vanno intesi come possibile evoluzione dei processi di trasformazione osservabili e come concretizzazione di strategie già oggi prefigurabili, ossia come riferimenti su cui impostare il confronto decisionale con i diversi soggetti coinvolti nel processo di costruzione del piano paesaggistico regionale. Il loro ruolo è di mettere in evidenza i rischi che corre il territorio marchigiano ma, nel contempo, le opportunità offerte dai nuovi contesti d’azione che si stanno delineando. I tre scenari individuati sono: disarticolazioni progressive, sviluppo autocentrato, policentrismo reticolare multilivello; tutti e tre riferiti a fenomeni rilevabili diffusamente alla scala del territorio regionale, che rinviano a quadri di prospettiva elaborati a livello nazionale ed europeo.
Scenario 1. Disarticolazioni progressive Questo scenario estremizza alcune significative tendenze rilevate da tempo, in particolare quelle di crescente integrazione transregionale del territorio pesarese con l’Emilia-Romagna lungo la direttrice Novafeltria-Rimini, dove si manifestano dinamiche di sviluppo insediativo particolarmente vivaci nell’ultimo decennio, e quelle di intensificazione dei processi di gravitazione della direttrice Ascoli-Val Vibrata nell’orbita dell’area metropolitana pescarese, sempre più estesa e capace di irradiare a distanza i propri effetti di polarizzazione. Già nel Piano di inquadramento Territoriale (PIT), approvato dalla Giunta Regionale nel 1999, il risultato negativo di un confronto e di una disarticolazione progressiva con l’Emilia Romagna e l’Abruzzo, sono stati messi in evidenza, come la crescita di relazioni umane (forza-lavoro) e di mercato sull‘asse Ancona/Perugia/Roma e su quello San Benedeto/Ascoli/Roma. La radicalizzazione di tale fenomeno porterebbe a rafforzare la pressione centrifuga verso polarità esterne alla Regione, innescando un processo di progressiva disarticolazione delle Marche, costretta a rincorrere una trasformazione sostanzialmente imposta dall’esterno in un quadro di crescente competitività tra sistemi territoriali.
Scenario 2. Sviluppo autocentrato Lo scenario dello sviluppo autocentrato evidenzia un quadro tendenziale opposto rispetto al primo scenario, quello del rafforzamento della coesione interna alla Regione, sostenendo esclusivamente i processi di sviluppo endogeno, con una visione che privilegia l’appartenenza al locale rispetto al confronto con le più ampie reti della società e dell‘economia. Le opportunità sono implicite nella volontà di coinvolgimento diretto delle società locali, chiamate ad assumersi la responsabilità di uno sviluppo strettamente legato alle proprie capacità d'iniziativa culturale ed economica. Il rafforzamento dell’identità locale consentirebbe di conservare un elevato livello di capitale fiduciario nel rapporto diretto tra società e istituzioni, fungendo indirettamente da importante leva dell‘economia. La scala di attenzione più ravvicinata potrebbe permettere un maggior controllo delle trasformazioni a garanzia di una maggiore sostenibilità ambientale e paesaggistica degli interventi.
Scenario 3. Policentrismo reticolare multilivello Questo scenario riconosce nelle reti infrastrutturali, fisiche ed immateriali, gli elementi-chiave della trasformazione del territorio per la sua competitività e coesione. Le possibilità di realizzazione di questo scenario dipendono dalla capacità da parte della Regione di promuovere politiche indirizzate alla costruzione di reti di città utili per un loro riposizionamento a livello interregionale, nazionale ed europeo. Le opportunità fanno emergere con evidenza tendenze centrifughe e tendenze centripete, che si bilanciano in una prospettiva di integrazione equilibrata dei territori regionali tra loro e con l’esterno, rafforzando il tradizionale policentrismo insediativo delle Marche ed ancorandolo alle principali direttrici di collegamento regionale con i corridoi europei e mediterranei. Inoltre, come del resto negli altri scenari, occorre evitare il rischio di una compromissione del patrimonio paesistico e ambientale, risorsa decisiva per un nuovo modello di sviluppo basato sulla qualità e sull'unicità dell'offerta regionale di beni non riproducibili.
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Figura 1. Fonte: Ministero delle Infrastrutture, Infrastrutture prioritarie, aggiornamento 11 aprile 2008
La visione strategica del territorio regionale Le Marche come laboratorio di sostenibilità paesaggistica In riferimento al ruolo delle Marche nel contesto nazionale, come territorio-snodo, l’idea guida assunta alla base del Piano Paesistico Regionale reinterpreta un’immagine consolidata, quella di paesaggio di eccellenza. Alla luce del quadro attuale e delle tendenziale di assetto, ossia degli scenari ipotizzabili di sviluppo del territorio regionale, e reinterpretando l’immagine consolidata nelle sue due componenti essenziali, è necessario chiedersi quali siano le condizioni perché le Marche continuino a potersi definire una Regione dalle fortissime connotazioni di qualità ambientale, anche grazie alle necessità di trasformazione già evidenti, da volgere in opportunità, e quali siano le scelte che consentano di mantenere la sua centralità nel panorama nazionale, intesa come capacità di costituire, sotto diversi profili, un modello di riferimento. Per questa ragione, in una accezione rinnovata e non semplicistica sia di qualità ambientale che di centralità, sembra ragionevole assumere i due termini secondo una concezione dinamica ed evolutiva. Un’idea guida secondo cui la qualità ambientale, in senso lato, si pone come misura e orizzonte primario di riferimento per l’impostazione di politiche territoriali e di sviluppo attente alle opportunità e alle risorse territoriali. Proprio per questo, la Regione Marche si propone come ambito privilegiato di sperimentazione, a diversi livelli, come contesto - territoriale, istituzionale, sociale, economico - in grado di offrire risposte alle necessità di fornire quadri di sviluppo innovativi e compatibili sotto il profilo ambientale.
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Figura 2. La struttura dell’esistente: il sistema paesistico ambientale delle Marche meridionali del Piceno.
La visione guida per la costruzione delle politiche territoriali Perché questa idea guida si possa assumere come base per la costruzione di politiche territoriali è evidentemente necessario tradurla - tanto più nell'ottica delle Marche come territorio-snodo - in una visione strategica del territorio regionale, secondo una declinazione che sia in grado di porsi come riferimento più direttamente connesso all’assetto del territorio, quindi come orizzonte per l’articolazione delle diverse politiche e azioni regionali. L‘idea guida, di conseguenza, per la sua assunzione alla base di una visione strategica del territorio regionale, è da rileggere anche alla luce della prefigurazione di possibili scenari di tendenza, riconoscibili dalla lettura delle dinamiche di trasformazione recente. Tra le diverse prospettive prima delineate, quella del policentrismo reticolare multilivello, oltre ad essere la più vicina alla situazione attuale, sembrerebbe anche la più auspicabile come riferimento generale di partenza. La visione strategica del territorio regionale, a partire da questo riferimento, si fonda innanzitutto su una rilettura delle principali dinamiche insediative, riconducendole a tre situazioni fondamentali all’interno del territorio regionale: le aree della concentrazione, le aree della diffusione policentrica, le aree della rarefazione. Queste aree non risultano definite da confini, ma, appunto, da tipi di "situazioni" e da problemi ricorrenti; la loro identificazione schematica è da intendersi come passo preliminare, di valore strumentale. A partire da questo riconoscimento, da considerare come interpretazione dello stato di fatto ma anche come orizzonte di riferimento programmatico, la nuova visione strategica del territorio regionale si può costruire attorno all‘idea guida di "laboratorio di sostenibilità paesaggistica", secondo la quale la valorizzazione del complesso di risorse territoriali, reciprocamente integrate, organizzata anche secondo un ripensamento delle reti esistenti tra centri urbani e del loro rapporto con lo spazio rurale, si accompagna alla nuova qualificazione del sistemi produttivi, secondo forme e modi in grado di affrontare, in chiave innovativa, i temi della sostenibilità ambientale ed energetica (Bronzini, 2010). In questo quadro, i territori, accentuando i loro caratteri di integrazione, evitano il rischio sia di una omogeneizzazione delle condizioni territoriali, sia della progressione verso le due condizioni estreme. Una visione territoriale secondo cui la sostenibilità è perseguita promuovendo la qualità delle diverse trasformazioni, il potenziamento del policentrismo, in un’ottica di coesione territoriale. Una visione territoriale diversa, quindi, sia rispetto alla contrapposizione frequenti tra aree della conservazione e aree dello sviluppo, sia rispetto ad una concezione del territorio regionale monotematizzata sui settori natura-turismo-tempo libero, ma che invece si basa su una nuova attenzione alla qualità dell'abitare e alla gestione consapevole delle risorse ambientali e culturali come cardine dello sviluppo territoriale e del ruolo delle Marche nel contesto nazionale. In sostanza è indispensabile, per la declinazione sul territorio dell’idea guida, ossia per la costruzione della visione strategica del territorio regionale, riferirsi al paesaggio come chiave di lettura essenziale delle dinamiche di trasformazione, in corso o da promuovere.
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Conclusioni Il ruolo del paesaggio marchigiano per le strategie di sviluppo In una prospettiva fondata sulla territorializzazione dello sviluppo, basato sulla valorizzazione delle risorse ambientali e sull’idea guida del laboratorio di sostenibilità, il paesaggio gioca un ruolo fondamentale, e rappresenta un elemento essenziale per la costruzione dell’immagine di futuro della Regione, di una visione strategica del territorio regionale. Il paesaggio diventa dunque, al tempo stesso, il punto di partenza e l’obiettivo del processo di sviluppo. La dimensione paesaggio pertanto, in una prospettiva strategica, non può solo essere tradotta in una serie di interventi e azioni sul contesto fisico-materiale, ma può diventare molto più significativa attraverso la riconsiderazione del complesso di parti, sistemi e relazioni, e l’attribuzione di nuovi significati e valori ai territori identitari (De Grassi, 2005). Se si assume questa prospettiva, ove i significati e i valori che concretamente si attribuiscono al paesaggio emergono da tutta una serie di trasformazioni che sul territorio si realizzano, allora è necessario verificare quale immagine di paesaggio ciascuna di queste trasformazioni porta con se. Obiettivo principale ed esplicito del PPR è dunque perseguire una visione dello sviluppo territoriale quanto più unitaria possibile, capace di assicurare la coerenza che deriva dalla convergenza della molteplicità di istanze. Quindi focus prioritario dello stesso PPR è perseguire una immagine di paesaggio, che sarà il frutto di un’interpretazione della realtà e di una volontà programmatica. Questo legame stretto tra paesaggio e sviluppo permetterà di ottenere un valore aggiunto in termini di sostenibilità, e di assumere la sostenibilità e la coesione come fondamento dello sviluppo regionale. La visione strategica del territorio regionale dovrà essere riferita ai diversi paesaggi, nelle loro articolazioni alle diverse scale: i paesaggi regionali, i paesaggi di scala vasta, i paesaggi locali. Per ciascuna scala, i paesaggi saranno definiti non solo in riferimento ai segni e ai modi d’uso, ma anche al rapporto tra segni, modalità di percezione e significati (Colarossi, Lange, in corso di stampa). La Regione Marche si occuperà dunque della valenza strategica della componente paesaggio, per orientare politiche e interventi di trasformazione territoriale, puntando su alcuni sistemi strutturanti, fondamentali sia per la lettura critica della struttura territoriale regionale che per l’impostazione delle strategie di sviluppo.
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Nuovi paesaggi urbani e progetto dello spazio pubblico nella città liquida. Il paradigma della rete ecopolitana
Nuovi paesaggi urbani e progetto dello spazio pubblico nella città liquida. Il paradigma della rete ecopolitana Raffaella Campanella Università Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico Facoltà di Architettura Email: rcampanella@unirc.it Tel. 096.5385247
Abstract La città contemporanea, frutto di una società liquida, è divenuta liquida anch’essa inglobando al suo interno ampie aree dal carattere incerto - o, per meglio dire, non più certo - caratterizzate in alcuni casi da un alto grado di atopicità (come nel caso delle aree dismesse di vario genere) mentre in altri dal possedere una topicità talmente forte da sembrare oramai fuori luogo (ad esempio aree o elementi connotati da valore storico-culturale o naturalistico). La sfida sta nel comprendere come queste aree (nelle quali il senso del paesaggio prevale sul racconto del territorio) possano divenire nuovi luoghi urbani - elementi nodali (oikos) di una infrastruttura ecologica pervasiva - e generare un differente sistema di spazi destinati alla fruizione sociale.
Nuovi paesaggi urbani e progetto dello spazio pubblico nella città liquida. Il paradigma della rete ecopolitana Parlare della città contemporanea significa, di fatto, parlare del lungo periodo di transizione che ha segnato la “fine della modernità” e la cui conclusione ci ha consegnato una città fatta, per alcuni versi accaduta nonostante le teorizzazioni che la riguardavano. (Campanella, 2002) Descrivere ai fini progettuali questa città accaduta è cosa assai difficile, infatti nonostante la vasta letteratura esistente in materia poche sono le descrizioni tecnicamente pertinenti, in quanto la città contemporanea sembra opporre una forte resistenza alla descrizione, specie se questa viene svolta nelle forme codificate dell’urbanistica moderna. (Secchi, 2000) Dall’inizio del suo rendersi manifesta gli urbanisti – a partire da Cerdà, passando per Geddes, Abercrombie, Astengo, Muratori, Lynch – (Lòpez Aberasturi, 1985; Geddes, 1949; Abercrombie, 1933; Astengo, 1952; Muratori, 1959; Lynch, 1964; Lynch, 1990) hanno cercato di costruire metodi analiticointerpretativi della città e del territorio che consentissero un’attendibile rappresentazione del contesto fisico e della domanda sociale, ma la progressiva frammentazione della società e della città contemporanea rende molto difficile questo compito e pone problemi più complessi relativi all’attribuzione generale di senso e alla ricostruzione dei rapporti interni al “mondo degli oggetti” e di quelli tra questo e il “mondo dei soggetti”. Il concetto stesso di forma urbana è, di fatto, mutato così come l’idea stessa di città, non più legata a una condizione protoindustriale o industriale, né riconducibile a tipi insediativi connessi a culture, epoche e localizzazioni geografiche, nei quali l’identità era alla base di comportamenti e pratiche. (Choay, 1988) Le strutture sociali ed economiche non corrispondono più con quella spaziale, così come evidente è il divario tra “tempi storici” e “tempi biologici”;(Tiezzi, 1984; Scandurra, 1995) laddove invece le più recenti tecnologie, la telematica, il sistema delle reti, riducono il significato e l’importanza della distanza fisica (Virilio, 1992; Virilio, 1998). La dimensione contemporanea, così come emerge dalla varie descrizioni, risulta più che mai eterogenea e frammentata: un insieme di pezzi diversi, montati fra di loro con una logica la cui narrazione fa comunque ricorso a immagini “altre”, quali lo sprawl, (Galanti, 2012) il collage, il puzzle, il domino, il patchwork, i layers, l’ipertesto, (Rowe & Koetter, 1978; Viganò, 1999; Corboz, 1998; Unghers & Vieths, 1997) pur con tutte le Raffaella Campanella
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Nuovi paesaggi urbani e progetto dello spazio pubblico nella città liquida. Il paradigma della rete ecopolitana
differenze di complementarità e coesistenza con l’impianto storico proprie della città Europea ( Choay, 1992). In essa il concetto di spazio è profondamente mutato e ai principi dell’universalità e della razionalità sono subentrate rappresentazioni mentali che fanno ricorso al contrasto e al conflitto, alla molteplicità e alla complessità (Corboz, 1998; Ilardi, 1990; Sernini, 1994; Maciocco, 1996; Scandurra, 1997). Ma la dispersione insediativa e la frammentarietà della città contemporanea, sottolineate dalle nuove e diffuse immaterialità della comunicazione, hanno riportato oramai da tempo l’interesse di chi si occupa del progetto della città verso la capacità di valutare gli assetti fisici e, attraverso una loro più attenta considerazione e rappresentazione, arrivare forse a comprenderne quei cambiamenti che si presentano tanto meno leggibili quanto più risulta estremamente mutato il concetto stesso di forma urbana. Questa necessità ripropone temi e interrogativi che da sempre hanno connotato le fasi iniziali di ogni epoca della città e spinge verso una nuova esplorazione di una forma della città che riesca a chiarire: i caratteri dei diversi materiali urbani; la struttura formale delle diverse parti; il loro grado di labilità e conseguente deformabilità; le loro possibilità compositive o ricompositive (Secchi, 2000). Soprattutto ricompositive, perché è il ricomporre, il ricostruire, il costruire nella città costruita, la modificazione della città esistente, che costituisce oramai da oltre un quarto di secolo il campo di lavoro di architetti e urbanisti europei (Gregotti, 2000). E in questo ricomporre un ruolo preminente viene assunto dallo spazio pubblico o di uso pubblico che diviene l’unico elemento in grado di ridefinire una dimensione relazionale tra le differenti parti urbane, assumendo il ruolo storicamente svolto nella città moderna dalla maglia stradale. (Secchi, 2000) Il mutare della forma (fisica e sociale) della città induce, infatti, ad un totale ripensamento (sia in termini morfologici che funzionali) degli spazi destinati alla fruizione sociale, nonché dei relativi approcci progettuali. Ma, così come la città nel suo complesso, anche lo spazio pubblico urbano non è più, oramai da tempo, descrivibile attraverso una forma definita. I connotati stessi della sua spazialità si sono radicalmente modificati, a partire dalla variazione del rapporto tra pieno e vuoto e dalla dilatazione delle relazioni di continuità fisica, che lo hanno storicamente caratterizzato, che si presentano oramai definitivamente alterate.(Corboz, 1998) E, in questa mutazione, ai termini chiari della narrazione degli spazi tradizionali, legati a ciò che è stabile, concreto e misurabile, si sono aggiunti i termini ibridi della visione dei nuovi spazi di relazione (Augè, 1993; Purini, 1993; Desideri, 1995; Koolhaas, 1997; Desideri & Ilardi, 1997). La città contemporanea, frutto di una società liquida, (Bauman, 2007) è divenuta liquida anch’essa inglobando al suo interno ampie aree dal carattere incerto - o, per meglio dire, non più certo - caratterizzate in alcuni casi da un alto grado di atopicità (come nel caso delle aree dismesse di vario genere) mentre in altri dal possedere una topicità talmente forte da sembrare oramai fuori luogo (ad esempio aree o elementi connotati da valore storicoculturale o naturalistico). “Spazi indecisi, privi di funzione sui quali è difficile posare un nome. Quest’insieme non appartiene né al territorio dell’ombra né a quello della luce (…) Tra questi frammenti di paesaggio, nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità. Ovunque, altrove, questa è scacciata.” (Clement, 2005). La sfida sta nel comprendere come queste “aree-rifugio” dalla “genericità” che pervade la città contemporanea (nelle quali il senso del paesaggio prevale sul racconto del territorio) possano divenire nuovi luoghi urbani elementi nodali (oikos) di una infrastruttura ecologica pervasiva - e generare un differente sistema di spazi destinati alla fruizione sociale. Ed è nell’intraprendere questa sfida che il “fondale” del Paesaggio diviene elemento indispensabile alla creazione di “nuovi” scenari urbani. Ma di cosa parliamo quando parliamo di Paesaggio? I tentativi di dare una definizione esaustiva del paesaggio sono numerosi quasi quanto i punti di vista degli studiosi che si sono approcciati ad esso. Per questa ragione, probabilmente, il concetto di paesaggio tende ad assumere una serie di significati che ne rendono la definizione sempre più vasta e al contempo imprecisa, fino a farlo divenire “l’onnipaesaggio” a cui si riferisce Michael Jacob, vale a dire paesaggio che ha subito la perdita dell’autenticità. “La nostra epoca è decisamente quella del paesaggio”, afferma Jacob, “almeno per quanto riguarda la sua riproduzione verbale e iconica. La parola e il fenomeno sono sotto gli occhi di tutti, nella stampa quotidiana e nelle pubblicazioni specializzate, sugli schermi e sui muri, nei prospetti e nelle coscienze. Oggi il paesaggio è ostentato e svelato, è discusso e adulato, conservato e protetto, ed è ugualmente venduto e rivenduto. Popolarizzato e democratizzato, appartiene ormai a tutti.” (Jakob, 2009). Il paesaggio è dunque tutto, ma se è tutto è anche niente. Appartiene a tutti e, dunque, a nessuno. È un senso di indefinito disagio quello che oramai si prova di fronte all’imperversare dell’espressione paesaggio nei più svariati campi: dai dibattiti disciplinari ai battage mediatici della cultura mainstream, (Martel, 2010) in
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quanto l’abuso del termine implica interpretazioni ambigue o travisamenti superficiali e strumentali. (Campanella, 2012) Di fatto però c’è da riconoscere che il paesaggio funziona come metafora in generale e, ancor più, come metafora progettuale. Prova ne sia che sempre più settori dell’architettura e dell’urbanistica, per compiere azioni che hanno a che fare con la conoscenza, trasformazione e gestione, di ciò che in termini più strettamente disciplinari definiremmo con le voci “ambiente”, “territorio” e persino “città”, utilizzano come fondamento la parola “paesaggio”. Una parola che serve a designare la cosa e allo stesso tempo l’immagine della cosa. Vale a dire: una parola che esprime insieme il significato e il significante, e in maniera tale da non poter distinguere l’uno dall’altro. (Campanella, 2012) Una parola che, per dirla con Barthes, (Barthes, 1974) contiene in se la “fisica dell’alibi”: la possibilità, cioè, di far passare come naturale ciò che in realtà è l’effetto volontario di un meccanismo ideologico e, conseguentemente, di far sì che un sistema di valori venga percepito come sistema di fatti. (Campanella, 2012) Quanto può essere rischioso allora utilizzare la metafora del paesaggio nell’ambito della progettazione urbanistica e del progetto urbano? In un numero di Lotus International di qualche anno fa, dedicato agli immaginari “verdi” e intitolato “The Green Metaphor”, Francesco Repishti ci ammonisce sul come “l’architettura e l’urbanistica, sostenute dal nuovo paradigma ecologico, sembrino aver sposato la causa del verde anche per una incapacità nell’affrontare e risolvere alcuni luoghi urbani, ricorrendo così al paesaggismo come agente di rigenerazione urbana” (Repishti, 2008) e, sempre sullo stesso numero della rivista, anche Pierluigi Nicolin esprime le sue perplessità riguardo ad alcuni modi correnti, sia in campo architettonico che urbanistico, di rapportarsi con una certa concezione di paesaggio che pare identificarsi unicamente con la “metafora verde” e consigliando di non “dimenticare che (…) il camouflage naturalistico, apparentemente verdolatrico, sovente occulta gli scempi di quella ‘cementificazione’ che si vuole combattere (…) e che è con il riprodursi dell’idillio verde alla scala urbana dell’enclave, dove l’elemento estraneo, la società esterna povera, ‘pericolosa’ e inquinata è tenuta fuori dal nuovo ambito bio-protetto, che si pone con più evidenza per l’architettura la questione biopolitica.” (Nicolin, 2008) Risulta quindi evidente come in questo “nuovo” processo di avvicinamento e ibridazione tra architettura, urbanistica e paesaggismo siano riscontrabili tanto ragioni di seduzione quanto di inquietudine; queste ultime alimentate anche dall’ambiguità di altre liaisons, quali quella tra paesaggio ed ecologia e quella tra paesaggio e verde. Emerge tuttavia chiaramente la necessità di individuare possibili e reali terreni di incontro interdisciplinare. C’è però da dire che architettura, urbanistica e architettura del paesaggio, come discipline separate, sono un prodotto abbastanza recente e che l’esasperazione di tale separazione è, per certi versi, tipica di una situazione italiana che riverbera la sempre più accentuata chiusura degli steccati costituiti dai settori accademici. Mentre è invece possibile operare una rilettura di come il rapporto tra città e paesaggio sia stato, pur se con differenti declinazioni, uno dei temi centrali del progetto urbanistico in Europa attraverso tutta l’epoca moderna (Benevolo, 1991) fino ai nostri giorni. Tale rapporto, e il suo conseguente riverberarsi sui modi di costruzione del progetto della città, muta in funzione dei differenti stadi di ibridazione tra la città e il suo territorio ed è possibile individuarne almeno quattro fasi diacroniche. (Palazzo, 2010) La prima – che a partire già dal ‘700 vede la progressiva apertura della città verso lo spazio aperto del territorio rurale – comprende esperienze che vanno dai grandi Piani ottocenteschi impostati sul concetto di verde, all’utopia borghese delle città giardino, fino alle teorizzazioni di Frederick Law Olmsted che vedranno la loro realizzazione nei Park System americani. (Dal Co, 1973) La seconda – caratterizzata dall’affermazione del “valore d’uso collettivo” degli spazi aperti nella progettazione e costruzione della città moderna – include i grandi riferimenti dell’urbanistica razionalista per la realizzazione della città funzionale. La terza – che introduce, in un certo senso, il concetto di “paesaggio urbano” portando lo stesso all’interno della città e superando la storica dicotomia città-campagna – annovera tutti quei progetti e realizzazioni che, partendo dalla critica all’urbanistica funzionalista, ritrovano quale fondamento il rapporto tra insediamento e paesaggio, tra oggetti architettonici e sito. La quarta – che è quella in essere e peculiarmente interessa la tematica da noi trattata – è quella che interpreta progettualmente lo spazio intercluso nell’urbano diffuso come nuovo potenziale elemento in grado di esplicare il ruolo di connettivo tra le differenti parti che compongono la città contemporanea. L’elemento di grande interesse riscontrabile in quest’ultima linea di tendenza risiede nell’individuazione della necessità di generare una articolazione dialettica tra due tematiche fondamentali per la costruzione di un progetto per la città contemporanea: quella relativa al paesaggio e quella relativa allo spazio di uso pubblico. Tale necessità ha generato, negli ultimi due decenni, diverse sperimentazioni e progetti che hanno saputo recuperare Raffaella Campanella
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assunti propri del Movimento Moderno, quale quello relativo al valore collettivo della fruibilità dello spazio aperto, ed al contempo rivalutare, reinterpretandola, la tradizione del Paesaggismo a partire dall’apporto teorico di Olmstead fino alle più recenti teorizzazioni sul Landscape Urbanism. (Waldheim, 2006) Su questa linea di ricerca chi scrive porta avanti da qualche anno un’ipotesi in via di sperimentazione – in particolare nell’ambito della didattica curricolare e delle tesi di laurea – che ha come fine la derivazione di una metodologia di lavoro che, pur nel dovuto adattamento alle differenti situazioni locali, sia il più possibile trasmissibile e replicabile nei differenti territori della dispersione urbana contemporanea. Tale ipotesi si basa sul paradigma della Rete Ecopolitana, intesa come sistema di luoghi-densi - appartenenti a quei paesaggi che condensano sia i caratteri propri dell’urbe, che quelli dell’agro che quelli della natura - che hanno o possono assumere il valore di oikos (nel senso più etimologicamente proprio di “case”) in cui il valore del paesaggio si interrela al valore d’uso collettivo delle aree. Tali spazi interconnessi (materialmente o immaterialmente), hanno il compito di creare una sorta di infrastruttura ambientale che, uscendo da sfere prettamente settoriali, diviene elemento portante per il progetto di riqualificazione del territorio urbano, rispetto al quale contribuisce alla creazione di inediti scenari e visioni, in particolare nelle zone ibride di commistione tra differenti paesaggi. Nelle differenti sperimentazioni fino ad ora condotte sono riconoscibili alcuni importanti fondamenti da porre alla base di un siffatto approccio progettuale: • il sostrato concettuale unitario che si pone alla base degli interventi di differente natura: urbanistici, paesaggistici, architettonici; • la messa a punto di un approfondito e mirato sistema di letture interpretative dei luoghi della modificazione; • l’interscalarità del progetto d’insieme (grande/piccolo; lontano/vicino) e l’utilizzo della scala intermedia (tipica del progetto urbano) per i singoli interventi; • la ricerca dei fondamenti morfologici e programmatici sia nel sistema reticolare che negli specifici siti di intervento; • il riconoscimento di un principio di sostenibilità che deve essere calibrato prevalentemente sulle risorse endogene. Nel concludere c’è da specificare, ove fosse necessario, che la Rete Ecopolitana non è da intendersi come una rete ecologica alla scala del territorio comunale, bensì come una sorta di exchange network, destinato alla fruizione sociale, nel quale si articolano una molteplicità di spazi pubblici che fungono da magneti per l’intero territorio e la cui individuazione è determinata, soprattutto, dal loro configurarsi quali punti di collisione tra i preesistenti valori paesaggistici - che però oramai presentano un’obsolescenza sia fisica che simbolica (Choay, 2009) - e una spiccata duttilità trasformativa. Quella della Rete Ecopolitana è, dunque, una sperimentazione progettuale sui territori urbani della contemporaneità che usa la metafora del paesaggio come grimaldello per accedere a una forma di progettazione urbana che, ai tentativi di ricondurre le forme fisiche a stereotipi discendenti dalle categorie stilistiche convenzionali, sostituisce un nuovo interesse per il ritrovamento di quegli intorni che non appaiono formalizzati secondo modelli a priori. Una forma di progettazione urbana che, pur registrando le strutture stabili e le parti omogenee presenti sul territorio, evidenzia in particolare le disposizioni mutevoli, le situazioni di frontiera, agendo prevalentemente sulle condizioni variabili dei bordi, dei margini, dei contorni, delle atopie e delle ipertopie. L’interpretazione del contesto in termini di “figure di paesaggio” e la definizione della rete quale sistema di “luoghi densi” si costruiscono, così, attraverso un’operazione di sondaggio progettuale che Giuseppe Samonà (Samonà, 1975) avrebbe, forse, chiamato della “disponibilità formale ai mutamenti” da parte di situazioni fisicospaziali, durante la quale “viene fatto convergere sulla configurazione fisica il rapporto fra ipotesi di intervento e territorio” in un processo che non si limita all’indagine degli aspetti della fisicità, ma che, attraverso questi, si estende ai soggetti sociali, alle loro forme di organizzazione ed interazione, introducendo ad un significato dell’identità e della figurabilità nel quale le entità che pervengono alla costruzione di una fisionomia sono rappresentate dalle possibili configurazioni che un territorio, un luogo, un insieme di soggetti possono assumere, in riferimento ad uno specifico scenario di modificazione. E ciò avviene non solo rispetto a quelle componenti dell’identità riconducibili al passato e ai caratteri attuali di una entità, ma anche, e soprattutto, rispetto a quelle appartenenti alla dimensione della possibilità, cioè al progetto di trasformazione che quell’entità consente.
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Politiche di valorizzazione del periurbano in alcuni paesi della Unione Europea: confronto tra esperienze francesi, spagnole e italiane
Politiche di valorizzazione del periurbano in alcuni paesi della Unione Europea: confronto tra esperienze francesi, spagnole e italiane Mariella Annese Università Roma Tre DIPSA -Dipartimento di Progettazione e Studio dell'Architettura Email: mariella.annese@fa-ctory.it Tel. 320.648664 / fax 06.96708563 Juan Jose Galan Vivas Universidad Politécnica de Valencia Departamento de Urbanismo Email: juagavi@urb.upv.es Tel. 0627.434.493 Francesco Marocco Università degli Studi della Basilicata Dottorato in Architettura e Fenomenologia Urbana Email: kekkomarollo@gmail.com Tel. 328.2861455
Abstract Il lavoro passa in rassegna politiche e progetti del periurbano in diverse zone dell’Unione Europea, cercando di rendere confrontabili i processi innescati, le forme di progettualità che ne derivano, le ricadute spaziali e gli eventuali problemi nel sistema di attivazione dei processi. La finalità è quella di rafforzare nel confronto europeo le specificità di un ordinamento spaziale ben preciso attribuibile al periurbano, e di rimarcare la centralità del progetto del periurbano come strumento privilegiato attraverso il quale l’urbanistica possa rapportarsi alla città e al territorio contemporanei. Si vogliono costituire le basi per un osservatorio angolato all’interno del quale rileggere, scomporre e confrontare i processi e le ricadute spaziali delle politiche di valorizzazione del periurbano, nelle esperienze italiane (Patto Città Campagna in Puglia), spagnole (Plan de Accion Territorial de Proteccion de la Huerta de Valencia) e francesi (l’attività del progetto Terre de liens), raffrontando le declinazioni proprie di ogni contesto, le dinamiche e gli esiti delle diverse strategie di messa in valore, in modo da mettere a fuoco costanti e variabili utili alla definizione di uno status spaziale della periurbanità.
Per il riconoscimento di uno status spaziale della periurbanità 1 L’osservazione dei fenomeni di alterazione degli assetti rurali attraverso una prospettiva non più urbanocentrica, ha contribuito a scardinare l’idea di limite fra urbano e rurale, portando al riconoscimento di una nuova spazialità.
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Per quanto il contributo rappresenti l’esito di una riflessione comune, tuttavia è da ascrivere a Mariella Annese la redazione dei primi tre paragrafi, e a Juan Jose Galan Vivas e Francesco Marocco la trattazione del caso della huerta valenciana.
M. Annese, J.J. Galan Vivas, F. Marocco,
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Politiche di valorizzazione del periurbano in alcuni paesi della Unione Europea: confronto tra esperienze francesi, spagnole e italiane
Il territorio periurbano, più che gradiente tra la dimensione urbana e quella rurale, è ormai assunto come un ambito autonomo, in cui elementi provenienienti da dinamiche a volte contrapposte, come l’urbanizzazione e la rurbanizzazione, convivono. In chiave paesaggista, l’apparente complessità del territorio “di mezzo” tra contesto urbano denso e campagna profonda, data la commistione di usi, morfologie insediative e naturalità del suolo, è assunta come specificità di un paesaggio, che nuove strategie di intervento e strumenti di gestione dello spazio cercano di interpretare per elaborare innovative modalità di azione. In tutta Europa, attraverso politiche, programmi, piani, progetti, pratiche spontanee degli abitanti, si rafforza uno status spaziale della periurbanità, sul quale si vuole indagare, portando a confronto alcuni processi innescati in ambiti diversi (per cultura, geografia, estensione, ecc.), ma accomunati tutti da un dato di partenza: la considerazione che le aree in cui le tassonomie della dispersione urbana vengono a contatto con le forme residuali e interstiziali dello spazio agricolo rappresentano la più dinamica tra le classi di trasformazione di uso del suolo e insieme sono il luogo privilegiato per un nuovo modo di pensare il paesaggio, attraverso il progetto del vuoto e della natura.
L’esperienza del Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia Il recente Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia è esemplificativo di una rigorosa definizione programmatica sul paesaggio periurbano, che trova fondamento nella costruzione di un’articolata tassonomia delle condizioni di prossimità tra contesto rurale e contesto urbano. Individuando i principi di composizione formale attraverso cui le due realtà si sono scontrate e ricomposte, il Piano guarda le spazialità contemporaneae e riscopre nello spazio negativo contro cui esse si stagliano il potenziale di trasformazione su cui ricalare gli obiettivi per una nuova qualità. Cogliendo le figure dell’accostamento, la strategia operativa pugliese del “Patto città-campagna” articola il progetto della periurbanità affidando allo spazio aperto rurale il carattere sistemico per ri-connettere elementi altrimenti compartimentati dalla tradizionale programmazione territoriale, in una dimensione multiscalare, dal parco agricolo di valenza ecologica che connette campagna profonda e città, sino al ristretto e minuto spazio di risulta della trasformazione edilizia. Attraverso il ricorso ai materiali naturali dell’agricoltura, si cerca non soltanto di ristabilire la qualità ambientale di spazi altrimenti compromessi, ma si vuole produrre un’innovativa idea di abitabilità dello spazio aperto da cui derivare principi di qualità per la vita degli abitanti, accogliendo così la domanda sociale di natura presente in questi contesti. Il caso della programmazione pugliese punta così a dimostrare che l’azione sul paesaggio non è un’operazione settoriale ma la traccia lungo la quale l’urbanistica può innovare gli strumenti della programmazione. Le strategie di paesaggio individuate propongono il cambiamento non soltanto delle regole attraverso cui gli interventi sono calati nei luoghi, ma dell’idea stessa del progetto della città. La diversa attenzione con cui è interpretato lo spazio aperto impedisce l’applicazione degli strumenti quantitativi dell’urbanistica, che devono quindi ibridarsi con visioni e programmazioni provenienti da altri settori 2; ciò conduce all’individuazione di regole pattizie che, da un lato, sperimentano nuove frontiere della pianificazione, dall’altro, aprono il campo anche a una diversa modalità di trasformazione dei luoghi, coinvolgendo direttamente tutti coloro che, in maniera diversa, hanno ambizioni sullo spazio del periurbano. La strategia delineata dal Piano propone in tal modo un’idea di gestione e sviluppo sostenibile che non nega la trasformabilità del territorio, ma semplicemente cambia le teorie della modificazione dello spazio proposte dal progetto architettonico ed urbanistico. La trasformazione infatti non è un’alterazione dello status quo all’interno di una nuova condizione definita dal sapere tecnico, ma è intesa come costruzione di un nuovo paesaggio che trova le proprie radici nella memoria storica e identitaria della dimensione agricola, poichè la campagna è intesa come componente essenziale che lega la produzione con l’abitare, contribuendo, al contempo, a ricreare un legame tra società e spazio attraverso le logiche di uno sviluppo autosostenibile a bassa intensità.
La rete associativa Terre de liens Sebbene esclusivamente orientata alla ricomposizione delle proprietà per scopi agricoli, l’attività della rete associativa Terre de liens ha un ruolo molto importante nel successo delle strategie rivolte alla protezione e tutela degli spazi aperti periurbani.
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Per rendere attuative le strategie agro-urbane del patto che attribuiscono alla campagna il valore di infrastruttura naturale di interesse pubblico, il PPTR Puglia integra le azioni previste dalla programmazione del PSR – Piano di Sviluppo Rurale della Regione Puglia 2007-2013.
M. Annese, J.J. Galan Vivas, F. Marocco,
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Terre de liens (Tdl) è una associazione nata nel 2003 dall’unione di agricoltori e della società civile, che si è costituita inizialmente come movimento cittadino, assumendosi il ruolo di mediazione finanziaria per facilitare il percorso di accesso alla terra dei contadini fornendo sostegno economico. Intervenendo in quelle aree in cui è maggiore la pressione urbana e l’attività agricola è messa in pericolo dalla speculazione fondiaria, Tdl si prefigge di acquisire dalla proprietà privata le aree libere o incolte, logisticamente strategiche in operazioni di riqualificazione territoriale, per cederle esclusivamente in locazione a soggetti terzi (consorzi tra i proprietari agricoli limitrofi, associazioni di proprietari), scelti con opportune procedure di evidenza pubblica, a fronte dell’impegno degli stessi di garantire funzioni e servizi pubblici o semipubblici. Attraverso lo strumento della locazione, i soggetti associati in Tdl da un lato ottengono una rendita economica mantendo la proprietà dei suoli, dall’altra possono condizionare la produzione a fini ambientali e naturalistici e l’uso dello spazio per finalità pubbliche e sociali, negoziando con gli agricoltori l’attuazione di progetti rurali e ambientali e stabilendo determinati requisiti di conduzione del fondo agricolo, tra cui anche la multifunzionalità dello spazio. Diversamente dalle politiche orientate meramente alla conservazione e tutela dello spazio agricolo, i progetti realizzati attraverso l’intervento di Tdl strutture mirano a rivitalizzare le aree in degrado, sviluppando economie di matrice agricola in grado di restituire qualità territoriale ma puntano anche a responsabilizzare gli stessi agricoltori, che, anche sulla base di accordi formali con le istituzioni, si fanno promotori e garanti del programma di azioni che consentono l’uso dello spazio non come bene pubblico, ma come bene comune agli altri abitanti. L’esperienza di Tdl contribuisce a definire strumenti innovativi per l’attuazione delle strategie agrourbane, poichè attraverso la risoluzione di questioni specifiche, come ad esempio la pressione fondiaria, dimostrano di avviare un ciclo virtuoso nella gestione dello spazio in grado rendere esecutiva la programmazione agrourbana. Il successo del progetto di riqualificazione del territorio periurbano è direttamente legato, infatti, agli aspetti economici che lo investono e non prescinde da un’azione di limitazione degli effetti speculativi. Il presupposto su cui si fondano questi strumenti è che lo spazio periurbano, non può sottrarsi alle logiche di mercato ma è necessario invece intervenire attraverso esso per riequilibrare le dinamiche di alterazione. Per perseguire questo specifico obiettivo Tdl, che si costituisce come soggetto terzo anche rispetto l’amministrazione pubblica, interviene in qualità di operatore economico con specifico mandato di calmierare il mercato delle aree agricole e al contempo trarre il profitto necessario sia per la copertura economica delle operazioni fondiarie quanto per ulteriori investimenti sulle strategie di riqualificazione. La locazione dello spazio agricolo consente, infatti, da un lato di mantenere la proprietà dello spazio e una rendita economica da esso, dall’altra di attivare politiche di gestione verso i soggetti locatari che, accettando di condividere il progetto agrourbano, accettano il condizionamento della produzione a fini ambientali dell’uso spazio per attività pubbliche. Si delinea così una forma di gestione sui generis dello spazio che invertendo la tendenza al consumo di suolo preserva l’uso agricolo ma garantisce anche la manutenzione e riqualificazione del territorio. Incentivando la produzione di beni ambientali attraverso incentivi di carattere economico si genera infatti una competizione positiva tra gli imprenditori che eleva gli standard di qualità; paradossalmente cioè limitando il profitto, si produce la convenienza economica della tutela del paesaggio che al contempo produce una risposta di mercato alla domanda di qualità presente nel periurbano. L’esperienza di Tdl e la proposta di gestione dello spazio periurbano che essa formula concorrono così ad attribuire valore patrimoniale al sistema di azioni per la difesa e la riqualificazione ambientale, spostando l’attenzione del mercato dagli interessi di tipo patrimoniale sul bene costruito all’interesse anche economico che produce il bene pubblico del paesaggio.
La huerta valenciana Un paesaggio periurbano di natura pattizia e consensuale Situata al centro di una pianura litorale generata dagli apporti fluviali del Turia, la città di Valencia è cresciuta per secoli a un ritmo lento, circondata da una vasta area coltivata e irrigata attraverso un sistema di canali (acequias) alimentati dal Turia. L’infrastruttura idraulica che innerva il paesaggio della piana valenciana risale all’epoca romana e assume la sua forma attuale già nel XII secolo, sotto il dominio andaluso. Il termine spagnolo che designa questo paesaggio, la huerta, allude a due caratterizzazioni. La prima è quella di una periurbanità intrinseca, per cui la huerta si differenzia dal campo, la campagna aperta e profonda, perché posta a ridosso del costruito, dal quale è indissociabile. Già dal XII secolo, le testimonianze di viaggiatori, storici, scrittori e pittori che attraversano la piana rafforzano l’immagine di una città impreziosita dal giardino irrigato della huerta, che dell’identità valenciana è parte fondante. La seconda caratteristica della parola huerta è che essa, rispetto al quasi analogo termine regadìo che pure designa spazi agricoli irrigati, presuppone la proprietà e la gestione collettiva dell’acqua di irrigazione. Già dalla sua fondazione in epoca musulmana, la huerta propone un modello sociale di origine pattizia e consensuale,
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regolato dalla figura del Tribunal de las Aguas, un’istituzione che dirime le controversie in materia d’irrigazione su tutta la huerta e che nel 2009 è stata dichiarata Patrimonio Culturale Immateriale dall’Unesco. L’equilibro tra città e campagna si mantiene inalterato nel corso del tempo, anche quando, sul finire del XVIII secolo, un aumento di popolazione investe la città del Turia. Valencia resta contenuta nel perimetro della muraglia, e la huerta assorbe la pressione demografica, configurandosi come una campagna abitata, la cui trama si infittisce a seguito della progressiva parcellizzazione dei campi in unità via via più piccole. Modeste barracas per il ricovero dei contadini sorgono accanto alle signorili alquerìas, complessi edilizi abitati sin dal medioevo da padroni e lavoratori dei campi. Lo storico equilibrio tra paesaggio urbano e paesaggio agrario si rompe soltanto a seguito del processo di industrializzazione che investe Valencia come le altre città europee, nella seconda metà del XIX secolo, aggravandosi significativamente un secolo dopo. Se nel 1950 l’espansione urbana di Valencia e dei 44 municipi che ne costituiscono l’attuale area metropolitana avviene a discapito del 10% della huerta storica, questa percentuale cresce fino a raggiungere il 30% nel 2006.
Un paesaggio minacciato Attualmente il rapporto tra Valencia e la sua huerta appare quindi minacciato da una serie di fenomeni in atto: (i) l’inefficienza del sistema di irrigazione e la contaminazione dell’acqua; (ii) la frammentazione del paesaggio successiva all’infrastrutturazione del territorio e alla crescita urbana; (iii) l’abbandono dell’attività agricola, dovuto a una serie di concause quali: la mancanza di strumenti di gestione e finanziamento, la decrescita demografica legata alla scarsa attrattività socio-culturale del lavoro agricolo e l’insostenibilità economica della produzione (a sua volta riconducibile alla dimensione ridotta delle unità produttive, alla concorrenza dei prezzi di mercato di un’economia agricola europeizzata e agli elevati costi di produzione); (iv) il deterioramento del patrimonio culturale, delle infrastrutture idrauliche, dell’habitat, della viabilità e dell’edificato rurale; (v) il deterioramento percettivo, causato dalla riduzione di suolo agricolo che annulla la profondità visiva caratteristica della huerta, dalla realizzazione di nuove infrastrutture e di interventi industriali e residenziali estranei al carattere dei luoghi, dai cartelli pubblicitari, dall’abbandono dei campi, e dal degrado dell’architettura rurale. Di fronte a tali fenomeni che minacciano la sopravvivenza di un paesaggio culturale millenario quale quello della huerta, la necessità di rimedi strutturali, che attivino politiche e figure di protezione, attraverso strumenti urbanistici dedicati, si pone con urgenza.
Il Plan de Acciòn Territorial de Protecciòn de la huerta Riprendendo i dettami della Strategia Territoriale Europea sulla conservazione e gestione dei mezzi naturali e del patrimonio culturale come strumento per uno sviluppo equilibrato e sostenibile, e in coerenza con la Politica Agraria Comunitaria che individua lo sviluppo rurale quale asse prioritario, la Legge Regionale della Comunità Valenciana 4/2004, di Pianificazione e Protezione del Paesaggio stabilisce la necessità di un Piano di Azione Territoriale di Protezione della Huerta, avviato dall’Amministrazione nell’anno 2007. Il PAT della huerta rappresenta una delle prime esperienze spagnole di pianificazione che applichi i dettami della Convenzione Europea del Paesaggio (ratificata in Spagna nel 2008), intendendo il paesaggio quale bene pubblico, meritevole di protezione, gestione, e pianificazione. L’obiettivo del piano è quello di rendere la protezione e la messa in valore della huerta compatibili con uno sviluppo urbano ed economico sostenibile attraverso: (i) il coordinamento della pianificazione urbanistica a una scala sovramunicipale in modo da proteggere gli spazi di maggior valore liberi da edificazione, e da integrare paesaggisticamente le infrastrutture necessarie alla mobilità dell’intera area metropolitana (ii) il disegno di un modello di sviluppo produttivo sostenibile, che migliori la qualità delle acque e l’efficienza dell’irrigazione e che incentivi le attività socioeconomiche sostenibili, (iii) la definizione di formule di gestione e finanziamento dell’attività agricola, (iv) la messa in valore del patrimonio materiale e immateriale della huerta, (v) la definizione di una infrastruttura verde come misura di adattamento al cambio climatico. Rinforzando l’eredità culturale millenaria della huerta come un valore aggiunto, il PAT sottolinea la necessità primaria di preservare il carattere produttivo della huerta, guardando alla stessa come a un paesaggio vivo, la cui sopravvivenza è vincolata alla competitività economica dell’attività agricola. A tali nuove strutture di paesaggio basate sulla produzione e rispettose della storia è demandato il compito di migliorare la qualità ambientale delle zone urbane, e di proporre un’offerta ricreativa e culturale basata sull’identità e singolarità del luogo. Dal punto di vista sociale ed economico, l’idea di fondo che sottende il piano è quella che la periurbanità millenaria che la huerta apporta all’immagine di Valencia è un beneficio condiviso da tutti gli abitanti dell’area metropolitana, il cui costo non può ricadere soltanto sugli agricoltori, ma va ripartito su tutti i cittadini, destinando al finanziamento dell’attività agricola, anche parte degli oneri di urbanizzazione delle lottizzazioni circostanti l’area di huerta.
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A livello metodologico, il PAT si pone come uno strumento di governo del territorio che ponga al centro della pianificazione gli spazi aperti e non quelli edificati o le infrastrutture, che si appoggi a un intenso processo di partecipazione pubblica rinsaldando l’immagine della huerta come di un paesaggio del consenso, che agisca in sinergia con altri programmi da realizzarsi simultaneamente, e che sia preludio immediato alla costruzione di altri due strumenti di protezione: la promulgazione di una Legge sulla Huerta che specifichi e renda esecutive strategie e misure del piano, e la creazione di un ente gestore dedicato, che veda coinvolti in prima persona tutti gli attori del paesaggio, specialmente gli agricoltori. La grande immagine che il piano vuole costruire è quella di un sistema di spazi aperti e naturali che raccordino e regolamentino l’edificato, nel quale il paesaggio irrigato della huerta funga da struttura di connessione con gli altri tre grandi paesaggi naturali dell’acqua che caratterizzano la piana valenciana e che già godono di strumenti e figure di protezione dedicate: il paesaggio dunale della costa a est, il paesaggio fluviale del Turia a ovest e quello lagunare dell’Albufera a sud. La struttura del piano è così articolata: 1) Caratterizzazione del paesaggio: Determinazione dell’ambito del Piano (22.800 ha) e identificazione delle Unità di Paesaggio di Huerta, secondo un procedimento che tenga in conto sia i sistemi territoriali e le risorse che configurano i paesaggi (viabilità, edificazione, reti di irrigazione, coltivazioni, ecc.) che il loro stato di conservazione e le dinamiche in atto. 2) Valutazione del Paesaggio: definizione dei valori e delle funzioni della Huerta (valenza ecologica, ruolo di controllo dei fenomeni di conurbazione, spazio potenziale per l’uso pubblico, paesaggio culturale e identitario), e degli specifici valori culturali, ambientali e percettivi di ogni Unità di Paesaggio 3) Definizione degli Obiettivi di qualità paesaggistica: Definizione di diversi livelli di protezione per le unità di paesaggio, in funzione del loro valore. 4) Definizione di Strategie e Programmi: Messa a punto di meccanismi e azioni per il raggiungimento degli obiettivi di qualità. Le strategie attivano una serie di azioni e programmi secondo quest’ordine: a. Creazione di un’infrastruttura verde b. Formule sostenibili di gestione e finanziamento dell’attività agricola c. Integrazione paesaggistica delle infrastrutture e bordi urbani d. Protezione del patrimonio culturale e percettivo e. Integrazione e potenziamento dell’uso pubblico.
Un piano in attesa Allo stato attuale, il PAT della Huerta ha superato il periodo di esposizione pubblica previsto dalla legge. Il documento definitivo che ha già accolto le osservazioni formulate durante questa fase, è in attesa di un’approvazione definitiva che tuttavia tarda ad arrivare, anche a seguito della crisi economica del settore edilizio che sta sconvolgendo e condizionando ogni tipo di previsione urbanistica. Alcuni fenomeni in atto, tuttavia, offrono già un primo riscontro sugli esiti della redazione del PAT, non tutti confortanti, prima ancora che esso diventi esecutivo: (i) Il nuovo Piano Generale della città di Valencia, anch’esso in fase di attraversamento dell’iter burocratico che porterà alla sua approvazione, non recepisce completamente, soprattutto in materia di zone edificabili, le indicazioni del PAT della Huerta, che pure sulla carta, resta uno strumento sovraordinato e quindi vincolante, non appena reso esecutivo. (ii) Solo alcuni comuni, tra i 44 municipi dell’Area Metropolitana, hanno accolto obiettivi, strategie, misure e perimetrazioni proposte dal PAT, tutelando gli spazi aperti la cui funzione viene riconosciuta come primaria nel PAT, per la sopravvivenza della huerta. (iii) Nessuna legge sulla huerta è stata redatta, né si sono attivate figure di protezione o enti gestori, che a scala internazionale, regionale o comunale possano tutelare il valore della huerta. (iv) Alcuni privati, collettivi indipendenti e altre forme di mobilitazione dal basso hanno attivato processi suggeriti dal PAT (iniziative di agriturismo, creazione di mercati locali, accorciamento della filiera di distribuzione) (v) La Comunità Valenciana sta mettendo a punto strumenti di incentivazione che premino la realizzazione di pratiche virtuose da parte di quanti mettano in atto azioni di protezione e riqualificazione del patrimonio della huerta (vi) Un primo accordo è stato ratificato tra AVINENÇA- Associació Valenciana de Custòdia del Territori i Gestió Responsable del Territori e il Governo Regionale, in materia di incentivi alla riqualificazione produttiva di terreni abbandonati. Tutti questi fenomeni rinsaldano l’idea che senza una ferma volontà politica che renda il piano effettivo, attraverso l’immediata adozione e la definizione di strumenti e processi complementari (la legge sulla Huerta, la
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creazione di un ente gestore dell’attività agricola), nessun vero cambiamento potrà invertire la tendenza di degrado che attualmente investe e minaccia il paesaggio millenario della huerta.
Conclusioni Per quanto collegati all’innesco di processi diversi, i tre fenomeni descritti nei paragrafi precedenti, permettono di tracciare dei punti in comune che costruiscano la base per un osservatorio angolato da cui mettere a fuoco azioni e ricadute spaziali, attive nel periurbano in Europa. Immediato è il riconoscimento, nei tre approcci descritti, della centralità della funzione produttiva degli spazi agricoli posti a ridosso dei tessuti urbani: il carattere fondativo dei paesaggi periurbani non risiede nel loro essere aree ‘in negativo’, da sottrarre all’edificazione attraverso un regime di tutela “museale”, ma proprio nell’essere spazi di produzione, paesaggi vivi, che devono confrontarsi con le leggi del mercato (immobiliare e agricolo) e ritrovare competitività economica nella qualità della produzione e nella valutazione del beneficio annesso che il progetto dello spazio aperto e della naturalità apportano alla città. I tre casi descritti sottolineano la primaria importanza del coinvolgimento degli agricoltori, e della premialità delle misure attraverso cui incentivare quegli interventi che associno una produzione agricola di qualità con la tutela e la riqualificazione degli spazi degradati. Gli esempi trattati, infine, dimostrano come lavorare sul periurbano non voglia dire soltanto guardare allo spazio agricolo, ma guardare anche alla città, abbandonando le logiche speculative del mercato edilizio e scegliendo come paradigma culturale quello del lavoro sullo spazio aperto, agricolo e naturale, come tessuto di connessione del costruito. Il periurbano è il luogo nel quale può trovare risposta, quella richiesta di un innalzamento della qualità della vita, che è domanda fondamentale di quanti abitano la città e il paesaggio contemporanei.
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Riforma fondiaria e ricostruzione urbana. La vicenda materana riletta alla luce di una strategia agrourbana
Riforma fondiaria e ricostruzione urbana. La vicenda materana riletta alla luce di una strategia agrourbana. Mariavaleria Mininni Università degli Studi della Basilicata Dipartimento DiCEM Email: mv.mininni@poliba.it Tel. 320.4343052 Cristina Dicillo Università degli Studi della Basilicata Email: dicillo.cristina@libero.it Tel. 339.6749843
Abstract L’interferenza e l’inevitabile contaminazione tra le forme della città contemporanea e lo spazio agricolo nei territori della bassa densità hanno prodotto realtà originali ed estremamente dinamiche che impongono di riconsiderare la dimensione del periurbano alla luce di un nuova fenomenologia territoriale che si esprime attraverso il concetto di “città- campagna”. La ricostruzione angolata delle vicende territoriali legate alla metamorfosi del paesaggio agrario italiano può oggi diventare una guida nel processo di rilettura di momenti della storia italiana a partire dalla ricostruzione delle sue città meridionali fuori dalla retorica dei dualismi nord sud e delle opposizioni storiografiche unitàdisunità. Il lavoro che si presenta intende avviare una riflessione su una stagione importante dell’urbanistica italiana che ha visto la città di Matera al centro di avvenimenti di grande rilievo. Attraverso le contrapposizioni urbanitàruralità si prova a rintracciare nella complessità della spazialità degli ultimi decenni, mandata in frantumi dalla contemporaneità, storie che parlano di forme solide e semplici in grado di restituire la ricchezza a volte straordinaria della territorialità di un passato remoto che può tornare utile per ricostruire una distanza critica disincantata tra tradizione e innovazione.
1. Urbanità e ruralità nella stagione della ricostruzione materana del Secondo Dopoguerra Matera viene alla ribalta nella Italia del primo Dopoguerra, ma con echi anche più lontani 1, uscendo dal tempo immobile di un arcaismo protratto più come dato antropologico che storico, grazie a due racconti di diversa natura ma, per qualche verso, accumulabili: la descrizione di Carlo Levi nel romanzo “Cristo si è fermato ad Eboli”, che parla di una popolazione contadina che viveva in questo strano habitat a metà strada tra caverne e case, avviando da un successo letterario un dibattito costruttivo e poetico e mai rivendicazionista sulla questione Meridionale. Descrizioni accorate e, allo stesso tempo, meravigliate di come si fosse potuta costrure in condizioni miserrime una struttura comunitaria con tanto di pratiche, usi e consuetudini nelle diverse maniere di vivere lo spazio, un caso culturale che nasce dalle rappresentazioni di fatti che esistono grazie alla forza del racconto.
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La presenza di un clima culturale dinamico e internazionale sarà da questo momento in poi una prerogativa della vita culturale di questa città protratta e perpetuata fino ai giorni nostri che le daranno sempre un carattere di grande laboratorio di idee per l’arte e l’architettura a vantaggio della qualità urbana.
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Subito dopo, quella che promuoverà Adriano Olivetti istituendo nel 1951 la “ Commissione per lo studio della città e dell’Agro di Matera”, un lavoro esemplare che introdurrà il confronto tra due principi che ispireranno la strada di un riformismo nell’urbanistica venato di comunitarismo e, successivamente insabbiato: le condizioni di vita della classe contadina che, nonostante la povertà estrema e la precarietà delle condizioni igieniche aveva rielaborato nel tempo una forma urbana, pregiata e storicamente determinata, proveniente dall’adattamento di pratiche in uno spazio particolarissimo qual’è quello della gravina; secondariamente, ma strettamente connesso al primo, lo studio sullo sfruttamento del lavoro bracciantile nel latifondo che richiamava una più ampia questione sugli assetti proprietari e sulla produzione del lavoro agricolo che spostava la questione dalla città al territorio, la pianificazione urbana a quella del suo contesto più allargato, in piena sintonia con gli studi sul regionalismo urbano di ispirazione mumfordiana che in quegli anni penetrava in Italia anche da altri versanti. Due racconti, uno letterario e poetico che parla in maniera esemplare di città e capace di metterne bene a fuoco energie e drammi, e l’altro, un’inchiesta organizzata seguendo un rigoroso metodo interdisciplinare che rinunciava al tecnicismo a favore di una più descrizione densa, attenta a dare corpo alle tante voci che parlano della città, un altro racconto ma urbanistico (Secchi B., 1987) per mettere in gioco spazi, società, economie ed ecologie che ri-guardano la città. Lo studio che si presenta dunque, vuole partire da un contesto storico e geografico di relazioni non scontate, a volte paradossali, tra spazialità urbana e rurale, tra forme di erogazione del lavoro e spazi dell’abitare così come si sono venute a costruire in questa particolare condizione materana e dei modi in cui un discorso urbanistico ha cercato di interpretarle e di porvi rimedio operando dentro alla grande stagione di ricostruzione della città italiana del Dopoguerra che, in senso più esteso, puntava alla ricostruzione politica morale e sociale di un intero paese, prendendo l’ osservatorio angolato di un contesto meridionale che sembra abbia ancora qualcosa da dirci. Matera si presenta oggi come uno straordinario laboratorio urbano dentro al quale si può provare a rileggere alcune questioni che riguardano il rapporto tra città contemporanea e territorio, tra periferia e periurbanità. La città si presta ad una riflessione a posteriori sugli eventi di una stagione intensissima in cui si sperimentava una proposta di crescita urbana in modalità discontinua a partire dalla distribuzione di materiali come il quartiere, il villaggio, territori abitabili a bassa densità che rielaboravano con straordinaria lucidità strategie dell’abitare in chiave agro-urbana in una società ancora prettamente rurale, collocandole dentro uno strumento come il piano regolatore, agli esordi di un cammino di speranza. Per anni la vita che si svolge nei Sassi ignora quella della città del pianoro, due comunità che si votano le spalle. E’ la prima che ha forti rapporti con il contado, pur se spazialmente disgiunta, un luogo ogni giorno raggiunto da migliaia di cittadini-contadini che escono da casa per ritornarci la sera. Nella inchiesta degli UNRRA Casas di cui si avvantaggerà anche la redazione del nuovo piano verranno attentamente esaminati i pendolarismi di ogni famiglia e i rapporti di distanza e tempo per il raggiungimento dei campi in modo da conservare consuetudini di vita e di lavoro nell’assegnazione di una nuova dimora. Si perseguiva in questo modo un progetto più ampio di ricostruzione dell’intero agro materano tanto è vero che le strategie del diradamento urbano adotatte da Piccinato del 1956 dovranno misurare le analisi urbane coordinandole con le finalità innovative della legge stralcio di Riforma Agraria del 1950 e delle opere di trasformazione agraria intraprese dalla Cassa del Mezzogiorno, rielaborate dentro al Piano Generale di Bonifica redatto dal Consorzio di Bonifica della media valle del Bradano. Nella relazione al piano, Piccinato esordirà proprio dicendo che il problema di Matera come quello di una qualunque città si identifica con il tema più vasto e profondo del territorio. E solo nella economia generale della regione si possono trarre le basi per la soluzione del tema urbano, ovvero affermando più nuove e vere fonti di economia agricola e di benessere sociale in grado di dare ad una popolazione quasi per la maggior parte contadina, pur vivendo nella strana forma di città-natura che sono i Sassi, una nuova ragione di vita.
2. Matera: le vicende della ricostruzione nel dopoguerra Nella vicenda materana il rapporto tra città e campagna, direttamente connesso al mutare delle modalità di urbanizzazione ed inevitabilmente alterato, nella sua fisicità quanto sotto l’aspetto socio-economico, dalla pervasività delle forme della bassa densità, ha sensibilmente orientato le trasformazioni insediative. Il fenomeno di una popolazione tutta accentrata in “città” e pure tutta gravante per le risorse di vita sull’agro circostante -per cui tra il nucleo urbano e la campagna deserta esiste un paradossale vincolo d’interdipendenza- trova in questa sede una delle sue espressioni più caratteristiche. La grave situazione edilizia e sociale della città di Matera viene sottoposta per la prima volta all’attenzione della comunità nazionale nell’immediato dopoguerra dalla denuncia contenuta nel Cristo si è fermato ad Eboli di C. Levi e dalla successiva mostra fotografica organizzata dagli Architetti Stella e Masciandaro, portando, nel 1949, all’elaborazione di un primo schema d’intervento che già prevedeva la costruzione di borghi residenziali come possibile soluzione della questione Sassi (relazione del Prof. Mazzocchi Alemanni per la missione ECA). Contestualmente, all’interno di un progetto di stanziamento di fondi ERP all’UNRRA Casas, veniva proposto un progetto per il risanamento dei Sassi mediante la creazione di un primo villaggio rurale nell’agro: tale proposta di studio, accolta positivamente dall’INU, diverrà poi operativa grazie all’impegno dell’UNRRA. Mariavaleria Mininni, Cristina Dicillo
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Emergono in questa fase due questioni fondamentali: da un lato l’ipotesi di sfollamento globale dei Sassi viene posta come inderogabile e si configura come una vera e propria eliminazione fisica (al nucleo storico dei Sassi non viene riconosciuto alcun carattere monumentale), sebbene la relazione Mazzocchi-Alemanni auspichi ad un restauro delle abitazioni idonee attraverso il ricorso all’iniziativa privata; dall’altro la proposta di ristrutturazione dell’agro materano acquista corpo in quanto strategia condivisa per un’operazione più ampia di riassetto del tessuto rurale regionale. La figura di Adriano Olivetti, in qualità di presidente dell’INU e vice-presidente dell’UNRRA Casas influisce in maniera decisiva sulla storia materana, sia attraverso la promozione di pratiche di comunità ispirate da intenti filantropici, sia per quanto riguarda l’isituzione nel ’51 della ‘Commissione di Studio della città e dell’agro di Matera’: si tratta di un progetto di collaborazione interdisciplinare teso all’approfondimento della questione materana al fine di orientare la programmazione verso strategie d’intervento più coerenti. E’ in questo contesto che prende corpo, attraverso l’impegno dell’UNRRA Casas che ne assume l’onere economico, il progetto del borgo La Martella, primo tassello di un più ampio programma sperimentale di urbanizzazione delle campagne. Malgrado la disponibilità di progettisti capaci ed ispirati (il gruppo è condotto da Gorio e Quaroni), la mancanza di integrazione tra le intenzioni dei tecnici dell’UNRRA e le istanze dell’Ente Riforma decreta il sostanziale fallimento dell’episodio della Martella -che rimarrà l’unica realizzazione concreta dell’esperienza olivettiana (Giura Longo T., 2003)- e innesca contestualmente fenomeni di speculazione edilizia all’interno dei Sassi. L’incongruenza tra le intenzioni della Commissione e quelle della burocrazia locale si riflettono analogamente sulla L.S. 619 del 1952 che, recependo i risultati dello studio della Commissione in maniera parziale, prescrive lo sfollamento dei Sassi procedendo per unità di vicinato ed auspica ad un recupero di tipo ‘estetico-ambientale’, limitato alla conservazione del valore panoramico del manufatto storico. Il piano di evacuazione prevede la sistemazione della maggior parte degli abitanti all’interno di nuovi quartieri previsti nel P.R. di Matera e, in piccola parte, nei borghi rurali di nuova fondazione. Questi interventi vanno letti alla luce di una complessa politica imprenditoriale che dirotta le energie pubbliche verso l’edificazione di nuovi quartieri per rilanciare il settore edilizio, contribuendo contemporaneamente ad alimentare, attraverso operazioni di pseudoghettizzazione, lo stato di arretratezza e sottosviluppo dei ceti contadini. Il Piano Piccinato del ‘56 traduce queste aspirazioni in un disegno sostanzialmente coerente, in cui la progettazione dei rioni -affidata alla pubblica iniziativa- attinge alle teorie del decentramento e l’organizzazione dei borghi intercetta il paradigma olivettiano delle comunità, modulando la ricostruzione sulla base dell’unità di vicinato. La creazione di quartieri a bassa densità (Spine Bianche, Serra Venerdì, La Nera) risulta prioritaria rispetto al restauro dei Sassi che, seppur previsto dal Piano, viene affidato ad apposito strumento particolareggiato. Nel 1958 la seconda Legge Speciale n.299 sui Sassi contribuisce al loro graduale svuotamento, perpetrando una logica di investimenti pubblici e trasferimenti che materialmente disgregano le strutture della società rurale e favoriscono fenomeni di inurbamento, innescando dunque un’inversione di tendenza del fenomeno migratorio. Le abitazioni evacuate vengono intanto acquisite dal Demanio. La questione ‘Sassi’ viene riportata all’attenzione dell’opinione pubblica a partire dalla metà degli anni ‘60 per merito della comunità scientifica lucana e degli intellettuali materani, secondo una nuova chiave di lettura: per la prima volta si applica la definizione di ‘bene culturale’, parlando di patrimonio architettonico-urbanistico spontaneo la cui salvaguardia appare legata all’avvio di processi di rifuzionalizzazione. La nuova L 126/1967, il cui testo viene più volte corretto e rielaborato in seguito alle perplessità manifestate dal Consiglio Comunale e dall’entourage culturale lucano, si muove nella direzione del risanamento conservativo con ripristino della vocazione residenziale. Bisognerà invece aspettare il 1971 per l’avvio, con la L. 1043, del Concorso Internazionale per i Sassi di Matera. Nel ’73 diventa operativo il secondo Piano Piccinato, a cui si deve sostanzialmente l’attuale orditura della città contemporanea che viene ad affiancarsi, attraverso una serie di espansioni, alla Matera moderna città-laboratorio urbanistico di matrice razionalista (Acito L., 2002); la Variante Generale del 1975 contribuisce ad incrementare ulteriormente il profilo della città mediante un procedimento di inspessimento edilizio volto ad incrementare la densità dei quartieri residenziali mediante operazioni immobiliari speculative non affiancate dal sostegno di uno strumento urbanistico coerente. Si susseguono da allora una serie di varianti parziali nell’attesa che la stesura definitiva del strumento generale, affidato già nel 1990 a Nigro e Restucci, venga portata a compimento.
3. I materiali e le chiavi di lettura: quartieri e villaggi e loro consistenze L’approfondimento genealogico del caso della città di Matera - in quanto sede, nel II Dopoguerra, di un inedito episodio di urbanizzazione sperimentale delle campagne- costituisce un espediente per indagare le criticità tra città moderna e forme urbane post-metropolitane: attraverso l’analisi del complesso di interventi di edilizia residenziale sociale che hanno contribuito in maniera sostanziale alla costruzione delle città italiane 2, è possibile 2
AA. VV., (2010), Città pubbliche. Linee guida per la riqualificazione urbana, Milano
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Riforma fondiaria e ricostruzione urbana. La vicenda materana riletta alla luce di una strategia agrourbana
reinterpretare criticamente i temi connessi alla dimensione della ‘città pubblica’ e recuperare contestualmente indirizzi utili alla costruzione di nuove forme territoriali di matrice agro-urbana. Lo studio dell’episodio materano rappresenta dunque un efficace strumento di comprensione del sistema complesso di relazioni tra contesti urbani ed agrari. All’interno del progetto di creazione dei borghi rurali è infatti possibile isolare una varietà di componenti diverse, da quelle di natura urbanistico-paesaggistica -che, sulla scia della tradizione delle greenbelts cities (Restucci A., 1991), rivendicano una sostanziale continuità tra edificato e paesaggio-, a quelle di matrice sociale e pedagogica -che uniscono il rifiuto dell’integrazione della realtà contadina3 a livello urbano al recupero di forme associative storicamente consolidate (il vicinato, rielaborato attraverso il modello olivettiano di comunità)- . In questo luogo il rapporto tra città e campagna produce paradossi e disseminazione di senso sui significati di urbanità e ruralità: contadini che vivevano in una città-natura (i Sassi) portati a divetare abitanti di periferie di edilizia sociale oppure assegnati ai nuovi villaggi della Riforma Agraria per continuare ad essere contadini, ma questa volta dislocati nella campagna. In un territorio, come quello lucano, caratterizzato in prevalenza -per ragioni dettate dalla sua consistenza geografica- da insediamenti isolati a bassa densità e collocati sui crinali collinari (Pontrandolfi A., 2003), l’estensione del territorio agricolo è stata storicamente dominata da pratiche latifondiste. L’istituzione dei Consorzi di Bonifica ha rappresentato un tentativo di irreggimentare il sistema fondiario con interventi di ristrutturazione territoriale basati sulla realizzazione di infrastrutture e reti; tentativo concretizzatosi poi definitivamente con la Riforma Agraria degli ‘anni 50 che ha di fatto modificato l’assetto fondiario a favore della piccola e media proprietà. Nell’ambito specifico del contesto materano il progetto di risanamento dei Sassi fornisce il pretesto per infrangere la dicotomica contrapposizione tra la consistenza finita e concentrata del nucleo urbano, e l’estensione quasi indifferenziata della campagna circostante. La costruzione di borghi, destinati a diventare nuovi contenitori sussidiari della realtà rurale portata dagli abitanti dei Sassi, si traduce in un momento di riorganizzazione territoriale oltre che sociale: il progetto di decentramento dei cinque villaggi (dei quali verranno costruiti solo La Martella e Venusio) non persegue un’ibridazione delle dimensioni rurale e urbana, ma piuttosto un accostamento dei rispettivi statuti laddove la relazione con il paesaggio è espressa attraverso la distanza dal centro storico e strettamente connessa al rapporto tra residenza e lavoro. Sebbene, come afferma Musatti 4 “è la città che finalmente intende muovere incontro alla campagna, per sanare una frattura secolare”, il rapporto tra i due ordinamenti spaziali non intende essere oppositivo bensì conserva la struttura propria della tradizione contadina meridionale attraverso l’applicazione di stilemi compositivi e sociali (si pensi alla ricostruzione dei tessuti basata sull’unità di vicinato). Diversamente dalla sorte dei quartieri -che si configurano come vere e proprie isole di qualità (Giura Longo T., 2003) articolate, secondo il disegno del Piano, alle propaggini della città consolidata, e che presentano caratteri costanti e condivisi che ne garantiscono l’assoluta riconoscibilità - l’esperienza dei borghi è destinata all’insuccesso. Le cause di tale fallimento sono da ricercarsi nel conflitto tra le due modalità interpretative portate avanti rispettivamente dal gruppo olivettiano e dall’Ente Riforma: l’intenzione di realizzare insediamenti decentrati dotati di una certa consistenza fisica si scontra con la volontà di perpetrare un progetto di ‘dispersione delle famiglie nelle campagne’ (Giura Longo T., 2003). Per quanto il progetto sperimentale di urbanizzazione delle campagne scaturisca, meccanicamente se vogliamo, dall’esigenza di risolvere un’urgenza di matrice “edilizia” (la vergogna nazionale), rivestono poi altrettanta importanza, nella valutazione dell’esito del progetto, le condizioni al contorno evidenziate dalla Relazione per la Ristrutturazione Agricola della Regione Materana 5: fenomeni di pendolarismo, irrazionale suddivisione delle proprietà, mancanza di coerenza nell’organizzazione delle colture. Nella costituzione dei borghi vengono infatti a confluire e finanche a scontrarsi, come già detto, da un lato i retaggi di una tendenza regionalista incentrata su programmi di decentramento 6, dall’altro gli assunti di un atteggiamento quasi pedagogico (Restucci A., 1991) teso all’affermazione dei valori di comunità e vicinato. La creazione dei questi villaggi, in quanto poli di attrazione territoriale, si configura dunque come esito complesso di intenzionalità diverse che, per quanto dimostratosi sostanzialmente fallimentare ed in parte corrotto da logiche paternalistiche, porta avanti un progetto di evoluzione della rozza contrapposizione ‘villaggiometropoli’ (De Montis A., Farina P., 2009) attraverso una lettura più razionale e critica del territorio.
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Musatti R. (1956), Saggi introduttivi. Motivi e vicende dello studio, in ‘Commissione per lo studio della città e dell’agro di Matera, UNRRA Casas, Roma 5 (1956) Unrra-Casas Prima Giunta, Piano Generale di Bonifica dell’Agro materano, Roma 6 (1961) La pianificazione territoriale, In ‘Urbanistica’ n. 33 Mariavaleria Mininni, Cristina Dicillo
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4. Periurbano v/s diffusione L’approfondimento del caso della città di Matera, riletto in chiave agrourbana, si inserisce nell’ambito di una riflessione critica tesa a fornire spunti ed indirizzi che possano contribuire ad orientare un progetto coerente per il territorio e la città contemporanea. Attraverso il riconoscimento dei caratteri genealogici di uno spazio periurbano concepito nella cultura della città moderna e di come alcuni problemi dell’abitare erano stati posti dopo la grande distruzione bellica e nella speranza di uno sviluppo culturale e infrastrutturale che impegnava l’intero paese e il Meridione in particolare, si ritiene di recuperare una lezione scarsamente approfondita del raggiungimento di questa modernità per meglio orientare il presente. Alcuni contesti come quello in esame hanno rifiutato da sempre pratiche di dispersione abitativa tenendo salda la tradizione di un vivere in modalità concentrata, ma non per questo rifiutando di esplorare strategie che andassero oltre l’inerzia della continuità e contiguità, per alcuni versi legandosi direttamente alle tradizioni anglosassoni e scandinave del design with circustance. La rilettura dei materiali dei quartieri costruiti dentro allo strumento del piano regolatore di Piccinato e posti a corona della città di Matera sopra i crinali che traguardano il paesaggio aperto, Lanera, Serra Venerdì, Spine Bianche, oppure quelli rielaborati dentro un progetto di riforma agrara come la Martella e Borgo Venusio meritano di essere riletti ad una scala spaziale e temporale più larga mettendo a confronto la stagione di costruzione della città europea e la individuazione del tema del paesaggio suburbano. I quartieri esplorati dentro una strategia del diradamento demografico non erano né città né periferia e la campagna a ridosso era un contesto vitale e drammatico privo dei filtri culturali del pittoresco e dell’agreste cui pensiamo oggi in chiave post rurale. Essi vanno ricollocati dentro il filone critico della storia della progettazione urbanistica ispirata alle poetiche del verde o alle questioni della concentrazione e dispersione urbana, riportandolo dentro un progetto di campagna urbana (Donadieu P., 2006), riprendendo un filo mai interrotto di riflessioni che ci portano, anche indirettamente, nella contemporaneità.
Bibliografia Libri AA.VV. (1956), Commissione per lo studio della città e dell’agro di Matera, UNRRA Casas, Roma Acito L. (2002), “Matera ‘900”, in Siti n. 01, Matera Bazzanella L., Giammarco C., Isola A. (1998), Abitare luoghi intermedi. La trasformazione del paesaggio tra Saluzzo, Manta e Terzuolo, CELID, Torino. Cattaneo C. (1858), La città considerata come principio ideale delle istorie italiane Clementi A., Dematteis G., Palermo P. C. (1996), Le forme del territorio italiano, Laterza, Bari. Donadieu P. (2006), Campagne urbane. Una nuova proposta di paesaggio della città, Donzelli, Roma Durbiano G., Robiglio M. (2003), Paesaggio e architettura nell’Italia Contemporanea, Donzelli Editore, Roma. Fabbri M. (1971), Matera dal sottosviluppo alla nuova città, Editrice Basilicata, Matera Fanfani D. (2006), Il governo del territorio e del paesaggio rurale nello spazio ‘terzo’ periurbano. Il parco agricolo come strumento di politiche e di progetto, University Press, Firenze. Magnaghi A. (2000), Il progetto Locale, Bollati Boringhieri, Torino. Restucci A. (1991), Matera. I Sassi, Einaudi Editore, Torino. Samonà G. (1962), “I centri storici delle città italiane: ricostruzioni, proposte e piani di risanamento conservativo”, in Urbanistica Secchi B., Olmo C., Boeri S., De Michelis M., Bohigas O., Gregotti V. (2001), La Città europea del ventunesimo secolo. Lezioni di storia urbana, Skira, Milano. Unrra-Casas Prima Giunta (1956), Piano Generale di Bonifica dell’Agro materano, Roma. Articoli Giura Longo T. (2003), “Matera: i Borghi e i Quartieri degli anni ’50”, in Siti, n.2, Matera “La pianificazione territoriale”, in Urbanistica, n. 33, 1961. Piccinato L. (1955). “Matera: i Sassi, i nuovi borghi e il piano regolatore”, in Urbanistica, pp. 15-16, Pontrandolfi A. (2003), “Città e campagna”, in Siti, n.2, Matera. Restucci A. (1977). “Città e mezzogiorno”, in Casabella n. 428, pp. 35-44, 1977.
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Riforma fondiaria e ricostruzione urbana. La vicenda materana riletta alla luce di una strategia agrourbana
Siti web Longhi A., http://www2.polito.it/ricerca/urbananalisys/conv/pdf/longhi.pdf Fanfani D., (2006). Il Governo del territorio e del paesaggio rurale nello spazio “terzo� periurbano. Il parco agricolo come strumento di politiche e di progetto. Disponibile su: http://www.unifi.it/ri-vista/06ri/pdf/06r_fanfani.pdf
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Fondo paesaggio. Le aree agricole di versante della provincia di trento. Valori, rischi e strategie di trasformazione.
Fondo paesaggio. Le aree agricole di versante della provincia di trento. Valori, rischi e strategie di trasformazione Maddalena Ferretti Università degli Studi Roma Tre, Email: maddalenaferretti@inwind.it, Tel. 06.6833477 Mosé Ricci Università degli Studi di Genova Email: ricci@arch.unige.it
Abstract “FONDO PAESAGGIO” è un gruppo di ricerche finanziato dalla Provincia Autonoma di Trento per indagare alcuni temi rilevanti riguardanti questo territorio e le sue possibili trasformazioni future. La ricerca sulle aree agricole di versante s’inserisce in questo ambito e ha l’obiettivo di capire quali possano essere le modalità di gestione della progressiva trasformazione di questi territori, causata dalla meccanizzazione dei sistemi di coltivazione. Come un bene culturale, anche il paesaggio è detentore di valori cruciali per la nostra società e allo stesso tempo è sottoposto a rischi, antropici, ambientali, strutturali. La metodologia applicata alla ricerca è volta a rilevare il sistema dei valori e dei rischi delle aree di versante, per stabilire priorità e strategie d’intervento.
Note introduttive Il paesaggio, inteso come un’entità mutevole e in divenire, in cui sono le infinite azioni individuali che definiscono e modificano i luoghi 1, è la lente attraverso la quale cogliere anche quegli aspetti d’indeterminatezza e instabilità propri di una fase di cambiamento come quella che stiamo vivendo. Come un bene culturale, anche il paesaggio è detentore di valori cruciali per la nostra società e allo stesso tempo è sottoposto a rischi, antropici, ambientali, strutturali. Il paesaggio rurale della provincia trentina, caratterizzato dalle aree di versante, è oggi a rischio di trasformazione, a causa della meccanizzazione dei sistemi di coltivazione. Per studiare questo fenomeno e capire quali possano essere le modalità di gestione della trasformazione, è in corso uno studio che si inserisce all’interno di “FONDO PAESAGGIO”, un gruppo di ricerche commissionato dal Servizio Urbanistica della Provincia Autonoma di Trento per indagare alcuni temi rilevanti riguardanti questo territorio e le sue possibili trasformazioni future.
Definizioni Le aree agricole di versante sono terreni agrari situati su pendii collinari e montani, trasformati dall’attività antropica attraverso sistemazioni idraulico-agrarie che consentono la coltivazione di colture solitamente con basse esigenze di fertilità e profondità del terreno. Il paesaggio derivante da queste sistemazioni è caratterizzato 1
Franco Zagari, Questo è paesaggio, Gruppo Mancosu Editore, Roma 2006.
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Fondo paesaggio. Le aree agricole di versante della provincia di trento. Valori, rischi e strategie di trasformazione.
da terrazzamenti coltivati a vigneto, frutteto, oliveto e da colture ortoflorofrutticole e pascoli. L’agricoltura in queste zone, oltre a svolgere un ruolo di primaria importanza per la tutela e la salvaguardia del territorio, ha segnato in modo peculiare il paesaggio, creando scenari tipici con forte identità geografica e storica. Essi sono il risultato di una lenta e faticosa integrazione tra l’uomo e la natura, che ha portato a un grado di convivenza quasi simbiotica. Si è sviluppata, infatti, in parallelo con la creazione di opere di sistemazione con le quali le superfici naturali sono state trasformate in terreni agrari. Nonostante la significativa impronta determinata nelle epoche passate dagli interventi sulla morfologia naturale, il paesaggio artificiale si è sempre inserito armoniosamente nell’ambiente naturale intervenendo con un approccio ecologico che ha reso possibile la perfetta integrazione tra i due sistemi. I terrazzamenti, i muri a secco, i ciglioni, i manufatti, le strade rurali e altri tipi di realizzazioni rivestono oggi un ruolo funzionale ed estetico molto efficace e rappresentano un patrimonio collettivo da difendere, mantenere e potenziare (figura 1).
Figura 1. Monti Lasino, Valle dei Laghi (TN)
Criticita’ I terrazzamenti, elemento caratteristico delle aree di versante, sono generalmente realizzati con muri a secco, ma anche con altri tipi di sistemazione a seconda delle caratteristiche geomorfologiche del territorio. L’elemento di criticità principale è infatti la pendenza del suolo. In terreni con pendenze fino al 20% non sono necessari particolari elementi di sistemazione, pendenze fino al 35- 40% consentono soluzioni sia trasversali al pendio (terrazzamenti più o meno grandi, gradoni, ciglioni ecc.) che lungo le linee di massima pendenza (ritocchino), in situazioni con pendenze comprese tra il 35- 40% ed il 70- 75% si richiedono invece sistemazioni che seguono le curve di livello (terrazzamenti o ciglioni raccordati). Con pendenze superiori al 70- 75% l’unica destinazione possibile è quella più naturale: il bosco o il pascolo permanente. Un altro elemento fortemente limitante per la tipologia di sistemazione agraria è la profondità del suolo che risulta decisiva sulla scelta della larghezza dei ripiani dei terrazzamenti e sulla tipologia di sistemazione da adottare: situazioni con elevate profondità dello strato di suolo coltivabile presente sopra la roccia madre consentono la trasformazione del pendio tramite ciglioni con rampe inerbite, al contrario uno strato superficiale molto sottile necessita di un intervento di terrazzamento con muri a secco. Infine le sistemazioni delle aree di versante, in una logica di tipo prettamente economico, presentano diverse problematiche legate a: Maddalena Ferretti, Mosé Ricci
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• basso numero di piante a ettaro; • accessibilità ridotta per le macchine operatrici e conseguente difficoltà nella meccanizzazione delle operazioni colturali; • aumento del numero di ore per unità di superficie coltivata; • aumento dei costi di produzione rispetto alle aree agricole di fondovalle; • elevato rischio di abbandono in seguito alla contrazione del valore delle diverse produzioni agricole; manutenzione delle sistemazioni del terreno (muretti a secco).
Caratteristiche agronomiche Dal punto di vista agronomico le aree agricole di versante sono caratterizzate da attitudini produttive diverse a seconda della posizione, dell’altitudine e delle caratteristiche pedologiche. La posizione oltre che definire l’area climatica di appartenenza (fattore limitante perlopiù per la coltivazione dell’olivo) è importante per l’esposizione, la giacitura e l’orientamento della coltura. L’altitudine consente di distinguere zone di pianura (100- 200 metri), di mezza collina (200- 300 metri), collina (200- 500 metri) e alta collina o mezza montagna (500- 900 metri). In virtù della relazione esistente tra quota e caratteristiche pedologiche il fattore terreno varia a seconda delle situazioni sopra elencate, passando dai terreni alluvionali, profondi e fertili del fondovalle, a zone di collina caratterizzate da terreni di trasporto giacenti sui fianchi delle valli meno fertili e asciutti, arrivando a terreni strappati al bosco, superficiali e poco fertili della mezza montagna. L’uso attuale delle aree agricole di versante trentine riguarda principalmente la viticoltura. Della superficie viticola totale, che si attesta intorno ai 10.000 ettari, circa un terzo è composto di vigneti collocati nelle aree di versante, in posizioni con difficoltà strutturali (forte pendenza, altitudine, terrazzamenti); i vigneti coltivati su terrazzamenti infatti rappresentano una realtà molto diffusa e interessano circa 2.500 ettari di superficie. L’area maggiormente significativa è rappresentata dalla Val di Cembra. L’olivicoltura specializzata, sebbene interessi solo l’area climatica sub-mediterranea della Valle del Sarca è attuata su aree di versante pedemontane interamente costituite da terrazzamenti o sistemazioni a ciglioni. I 400 ettari di olivaie presenti sul territorio dell’Altogarda, che si sviluppano a un'altitudine compresa tra i 100 e 300 metri, hanno un ruolo paesaggistico di grande efficacia estetica sia per le caratteristiche sistemazioni con muri a secco delle terrazze e delle lunette sia per l’aspetto monumentale delle piante stesse. Le tendenze in atto nelle aree di versante sono, in generale, diverse a seconda delle colture. Di recente la viticoltura ha subito un forte rallentamento a causa della crisi strutturale del mercato mentre l’olivicoltura è interessata da una piccola espansione nelle zone di versante più esposte e calde della Valle dei Laghi e nella Bassa Vallagarina.
Metodologia di ricerca La metodologia della ricerca prevede la costruzione di un apparato analitico, su base GIS, costituito dal rilievo a scala d’area vasta delle aree di versante della Provincia; l’elaborazione di una mappa del pregio paesaggistico, che individui aree di valore e aree a rischio, per stabilire una gerarchia di attribuzione di premi e incentivi per la trasformazione; la catalogazione di situazioni tipo attraverso l’elaborazione di disciplinari d’intervento; infine la proposta di una serie di progetti pilota che definiscano alcune tattiche di intervento utili in alcune condizioni tipo. L’analisi del rischio del patrimonio storico e paesaggistico rappresenta una competenza specifica della tradizione della ricerca italiana sui beni culturali. In Rischiopaesaggio 2 si sostiene infatti che, come un bene culturale, anche il paesaggio è soggetto a rischi ed è custode di valori. Il modello da elaborare nella ricerca ha permesso di esprimere il rischio come funzione delle componenti vulnerabilità relativa al bene e pericolosità relativa a ogni area territoriale nella quale il bene stesso si trova. Sovrapponendo le categorie di valore e il gradiente di rischio è possibile individuare le aree maggiormente sensibili e di conseguenza le tipologie d’intervento più appropriate ai diversi contesti: salvaguardia, riqualificazione/valorizzazione e nuovo intervento. Questa metodologia consente di superare un semplicistico approccio tassonomico al tema e di recuperare la dimensione complessa e sistemica di questi territori con un approccio integrato. Attraverso i disciplinari e i progetti pilota la ricerca intende individuare priorità, tattiche e strategie da mettere a punto per rileggere le tendenze in atto, indirizzarle verso uno sviluppo sostenibile e, se necessario, invertirle, fornendo indirizzi utili per i progetti futuri e in generale per una gestione più sostenibile del territorio agricolo trentino.
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Mosé Ricci (a cura di), Rischiopaesaggio, Meltemi, Collana Babele, Roma 2003.
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Fondo paesaggio. Le aree agricole di versante della provincia di trento. Valori, rischi e strategie di trasformazione.
Valori e rischi L’agricoltura ha sempre svolto un ruolo predominante nello sviluppo del territorio. Con l’affermarsi del principio di sostenibilità e in seguito alle riforme delle politiche agricole comunitarie, le è stato ufficialmente riconosciuto un ruolo polifunzionale. Sempre più importante sta diventando il ruolo sociale ed ambientale che le pratiche agricole indirettamente svolgono (conservazione del paesaggio e della biodiversità, presidio e manutenzione del territorio, mantenimento della cultura e delle tradizioni locali, ecc.), il quale necessita di essere riconosciuto e valorizzato anche mediante l’integrazione con gli altri settori economici (turismo, ecc.) e la tutela delle peculiarità locali (prodotti, servizi, tradizioni, ecc.). Con particolare riferimento alle aree montane, tali funzioni sono ancora più rilevanti. Gli effetti sul paesaggio e sull’ambiente dovuti all’abbandono delle pratiche agropastorali sono infatti leggibili nel territorio, estendendosi ben oltre la scala locale. Fatte queste premesse e attraverso una prima analisi a scala di area vasta, è stato possibile identificare tre principali macro-categorie di valori relativi a tali aree: • valore produttivo, ricavato dal Bollettino Ufficiale della Regione Autonoma Trentino Alto Adige e legato non solo a dinamiche di mercato su scala locale e globale, ma anche a caratteristiche climatiche, morfologiche e pedologiche (es. esposizione dei versanti, fertilità dei suoli, accessibilità, ecc.); • valore paesaggistico, ottenuto dalla sovrapposizione di tematismi del Piano Urbanistico Provinciale riguardanti la presenza di elementi di particolare pregio, di insediamenti storici, di sistemi turistici, di fronti panoramici, di particolare visibilità delle aree, in quanto sia la tipologia colturale che l’intervento umano leggibile nelle modifiche territoriali ad esse connesse (es. terrazzamenti, ecc.) creano paesaggi ed identità diverse; • valore ecologico, derivato dall’incrocio dei tematismi relativi alla rete ecologica provinciale ed alla distanza dalle aree protette, in quanto la presenza di elementi naturali e vegetazione residua (es. filari, macchie boscate, ecc.) all’interno delle aree agricole favorisce la conservazione della biodiversità e contribuisce alla rilevanza naturalistica dello spazio rurale.
Figura 2. La carta del valore è il risultato della combinazione dei tematismi di valore produttivo, paesaggistico, ecologico.
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Fondo paesaggio. Le aree agricole di versante della provincia di trento. Valori, rischi e strategie di trasformazione.
Allo stesso modo l’analisi del rischio ha reso possibile l’individuazione di tre principali categorie di rischio per le aree di versante: • rischio statico strutturale, inteso come tutti quei fenomeni fisici che possono provocare la cancellazione dei paesaggi esistenti e la loro sostanziale modifica e derivante dalla carta del rischio idrogeologico; • rischio ambientale, che riguarda sostanzialmente i fattori di pericolosità da inquinamento che, nel caso delle pratiche agricole con metodi tradizionali interessano soprattutto suolo e acqua e che è determinato dalla vicinanza a discariche, depuratori, insediamenti antropici e sistemi infrastrutturali; • rischio antropico, che è conseguenza diretta delle azioni umane le quali producono processi di mutamento che provocano progressive o improvvise modificazioni del paesaggio rappresentando rischi potenziali e fenomeni di pericolosità. In particolare si è rilevato che i principali rischi antropici sono quelli legati all’abbandono e alla pressione turistica, ma anche alla vicinanza delle aree agricole alle aree estrattive.
Figura 3. La carta del rischio è il risultato della combinazione dei tematismi di rischio statico-strutturale, ambientale, antropico. Sovrapponendo le categorie di valore e il gradiente di rischio che emergono dalle rispettive carte (figura 2 e figura 3) è stato possibile individuare le aree più sensibili sulle quali intervenire.
Aree campione Cinque aree maggiormente significative dal punto di vista dei valori e dei rischi in gioco vengono analizzate in dettaglio per stabilire in seguito, attraverso i disciplinari e i progetti pilota, possibili strategie di trasformazione. Le aree in questione sono: 1. VAL DI CEMBRA - località Ceola-Maso Spedenal, per la presenza di forti pendenze, scarsa accessibilità, difficoltà di meccanizzazione delle operazioni colturali, ma anche per la presenza di una viticoltura "eroica" e di un gran numero di terrazzamenti con muri a secco. 2. ALTO GARDA - Olivaia in località Arco-Romarzollo, per l’alto valore paesaggistico, la grande efficacia estetica delle sistemazioni con muri a secco e piante secolari, l’alta visibilità, ma anche per una serie di rischi connessi all’urbanizzazione, all’abbandono delle zone più in pendenza, al rischio di antropizzazione causato dal turismo da arrampicata e al problema della manutenzione dei muri a secco. Maddalena Ferretti, Mosé Ricci
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Fondo paesaggio. Le aree agricole di versante della provincia di trento. Valori, rischi e strategie di trasformazione.
3. ROTALIANA E KONIGSBERG - Conoide di Faedo, per l’alta visibilità dall’A22, dalla statale, dalla ferrovia, per il paesaggio agrario tipico della viticoltura di collina (caratterizzato dal sistema di allevamento prevalente a pergola semplice), ma anche per il rischio abbandono legato al problema della meccanizzazione delle operazioni colturali. 4. ALTA VALSUGANA - località Madrano - Canzolino - Vigalzano – Cirè, per i rischi legati alla scarsa accessibilità, all’elevata frammentazione delle aree, alle zone in abbandono o a rischio abbandono, per l’impatto ambientale delle serre destinate alla coltura dei piccoli frutti, ma anche per i valori legati all’alta visibilità dalle infrastrutture principali. 5. VAL DI NON - località Cagnò - Revò – Romallo, per l’alta visibilità, e allo stesso tempo i rischi legati alle forti pendenze, al problema della meccanizzazione, all’impatto delle reti antigrandine, alle bonifiche dei terreni, al rischio statico-strutturale di crolli dei muri a secco.
Disciplinari I disciplinari stabiliscono regole e strategie di intervento per le aree campione relativamente agli aspetti più rilevanti emersi nella fase di analisi. In particolare si occupano di: 1. Sistemi di produzione: strategie da adottare per migliorare le colture dal punto di vista della resa produttiva e dell’impatto sul paesaggio. 2. Manufatti ed elementi caratterizzanti: strategie di tutela e sistema di regole per le nuove costruzioni. 3. Accessibilità e connessioni: strategie per la conservazione e l’eventuale potenziamento 4. Attività da insediare: strategie per la creazione di un’offerta multifunzionale del paesaggio agrario trentino.
Strategie In linea generale e a seconda del livello e della tipologia di valore e rischio individuato nei diversi contesti, le strategie e le tattiche di intervento proposte sono: tutela/salvaguardia, riqualificazione/turismo, valorizzazione/sostenibilità. La prima strategia riguarda non solo la salvaguardia degli elementi artificiali (terrazzamenti, muri a secco, manufatti agricoli), ma anche il recupero delle colture tradizionali, l’incetivazione delle piantumazioni autoctone per contribuire a creare biodiversità, la creazione di percorsi didattici per una tutela attiva del territorio (figura 4).
Figura 4. Risarcimento dei muri a secco e creazione di percorsi didattici, sono due delle tattiche previste nella strategia di tutela delle aree di versante.
Maddalena Ferretti, Mosé Ricci
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Fondo paesaggio. Le aree agricole di versante della provincia di trento. Valori, rischi e strategie di trasformazione.
La seconda strategia punta alla multifunzionalità dell’agricoltura, integrando funzioni legate al turismo per aumentare l’attrattività e la competitività di questi territori. Il recupero e la valorizzazione degli agriturismi esistenti per creare un sistema di ospitalità diffuso, l’introduzione di mercati a Km 0 e in ultima istanza la possibilità di recuperare le aree abbandonate attraverso la concessione di incentivi volumetrici rappresentano concrete opportunità di riqualificazione da valutare (figura 5).
Figura 5. La strategia di valorizzazione del ruolo polifunzionale dell’agricoltura di versante prevede il potenziamento del turismo, con la possibile introduzione di nuove attrezzature ricettive a basso impatto ambientale. La terza strategia riguarda la valorizzazione sostenibile di questi territori 3. Il recupero degli scarti delle potature potrebbe ad es. essere utilizzato per la produzione di energia rinnovabile da biomasse. Un sistema a rete di centri di raccolta e micro-centrali energetiche (realizzati con materiali a basso impatto ambientale e con le stesse modalità insediative dei manufatti agricoli tradizionali) potrebbe garantire il funzionamento a scala locale di questo sistema. Infine i manufatti esistenti potrebbero integrare pannelli fotovoltaici in copertura, che contrasterebbero tra l’altro la costruzione di nuovi insediamenti produttivi estensivi (es. campi fotovoltaici). Le strategie individuate saranno verificate con i progetti pilota che concludono il lavoro di ricerca e che sono in fase di sviluppo.
Primi esiti I primi esiti della ricerca hanno evidenziato a scala provinciale la presenza di 214 aree agricole di versante in tutto il territorio provinciale con estensioni che variano da poche decine di ettari fino a centinaia. Si tratta di aree generalmente in uso, ma esiste una significativa quota parte di aree in trasformazione ( Valle dei Laghi e Val di Non) e alcune aree in abbandono (Valsugana e Val di Cembra). La coltura principale è la vite, ma anche l’olivo in Alto Garda e i frutteti in Val di Non. I terrazzamenti e i muri a secco rappresentano generalmente gli elementi di paesaggio più caratterizzanti.
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Questo vale sia in termini di riduzione dell’utilizzo di prodotti chimici di sintesi, sia per quanto riguarda il contenimento dei costi energetici in azienda e la produzione e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili.
Maddalena Ferretti, Mosé Ricci
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Fondo paesaggio. Le aree agricole di versante della provincia di trento. Valori, rischi e strategie di trasformazione.
Pur essendo portatori di valori e di identità, questi paesaggi sono territori fragili, sottoposti al rischio di abbandono perché meno produttivi delle aree agricole di fondovalle. Tramite l’analisi del rischio è stato possibile stabilire le aree più sensibili destinate ad un intervento prioritario.Le strategie, come obiettivi a lungo termine, e le tattiche, come risposte immediate alle questioni contingenti e alle peculiarità dei contesti, sono incentrate infatti su una logica basata sulla premialità e sull’incentivazione, determinate in relazione al grado di rischio o di valore dell’area o, ancor di più, ad una combinazione di questi due fattori. A prescindere dunque dalla futura scelta delle amministrazioni competenti in merito alle strategie da adottare per salvaguardare questi paesaggi, il contributo più significativo di questa ricerca è la metodologia di individuazione e di classificazione delle aree. Il risultato principale dello studio è infatti costituito dalle mappe dei valori e dei rischi, che determinano l’importanza delle aree e stabiliscono la scala di priorità, considerando il paesaggio alla stregua di un bene culturale da conservare e valorizzare.
Bibliografia Ricci M. (a cura di, 2003), Rischiopaesaggio, Collana Babele, Meltemi, Roma. Zagari F. (2006), Questo è paesaggio, Gruppo Mancosu Editore, Roma.
Riconoscimenti Le risultanze dello studio qui presentato, attualmente in fase conclusiva, sono il frutto del lavoro di ricerca di un gruppo multidisciplinare così composto: Arch. Filippo Spaini (coordinatore della ricerca); Prof. Arch. Mosé Ricci (consulente per la pianificazione urbanistica e paesaggistica); Arch. Maddalena Ferretti (esperto in progettazione); Arch. Chiara Rizzi (esperto in progettazione ambientale); Arch. Stefania Staniscia (esperto in progettazione paesaggistica); Arch. Francesco Pontalti (esperto dell’architettura e del territorio trentini); Arch. Matteo Bonvecchio (giovane professionista); Dott.ssa Chiara Bragagnolo (consulente in ingegneria ambientale, pianificazione del territorio e valutazione ambientale strategica); Dott. Cristiano Belloni (consulente geologo); Dott. Alberto Gelmetti (consulente agronomo). Gli autori ringraziano tutti i componenti del gruppo di ricerca i cui contributi sono parte integrante di questo testo.
Maddalena Ferretti, Mosé Ricci
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Le aree agricole nel progetto di territorio
Le aree agricole nel progetto di territorio Paola Marotta Email: pamarotta@libero.it Tel. 339.1883949 Simona Rubino Email: simonarubino@hotmail.it Tel. 339.8130540 Università di Palermo Dipartimento di Architettura
Abstract Il lavoro qui proposto pone al centro la questione del progetto del territorio nelle aree periurbane ed in particolare il ruolo strategico che possono svolgere le aree agricole in una chiave innovativa e sostenibile, considerando non solo elementi paesaggistico-ambientali ma anche, in maniera non secondaria, le implicazioni economiche e sociali che queste possono apportare all’interno della dimensione territoriale. Attraverso l’approfondimento del caso di studio, rappresentato da una porzione del territorio marsalese caratterizzata da un insieme diverso di elementi (fascia costiera; asta fluviale; aree agricole; edificato urbano diffuso; edificato in zona agricola; aree speciali; sistema infrastrutture), l’obiettivo principale che ci si pone è quello di individuare nuove possibili linee di azione per ricostruire, attraverso l’individuazione di valori patrimoniali e riferimenti cognitivi e valoriali presenti sul territorio, nuovi rapporti tra naturalità, ruralità e urbanità in chiave sostenibile per il territorio e nella tutela del bene comune.
1. Introduzione Con l’intento di guardare al territorio nella sua dimensione d’area vasta o, meglio, non limitandosi strettamente ed unicamente ad uno sguardo di tipo locale, le aree agricole assumono un ruolo strategico, un’opportunità, per la riqualificazione e la riconnessione (spaziale, ma non solo) di ampie porzioni di territorio urbanizzato che, nel loro insieme, danno luogo a quei fenomeni di sprawl urbano (Fregolent, 2006) che, nelle sue molteplici e diversificate sfaccettature, caratterizzano oggi la cosiddetta città diffusa così come comunemente definita (Bertuglia, Stanghellini, Staricco, 2003; Indovina, 1990). La molteplicità di domande richieste oggi dalle aree agricole – produzione alimentari e funzioni silvo-pastorali, produzione di energie rinnovabili, conservazione dell’ambiente e della biodiversità, mitigazione dei problemi ambientali, spazi per il tempo libero e altri servizi alle popolazioni urbane, la conservazione del patrimonio culturale – le rendono infatti luoghi strategici, territori cerniera tra aree urbanizzate, offrendo al territorio l’opportunità di creare spazi ad uso pubblico dotati di un elevato mix funzionale con un impatto ambientale minimo, riducendo quasi a zero il consumo di suolo. In questo senso, le aree agricole rappresentano porzioni di territorio non costruito più o meno grandi, spazi in between, nate da una cultura di stampo rurale ed oggi attraversate da numerose e nuove pratiche e attività economiche e sociali. In un paesaggio simile, quindi, le aree agricole, se accuratamente progettate e gestite, possono essere portatrici di una nuova sostenibilità per il territorio e la società, frutto di nuove forme spaziali e nuove pratiche che fanno riferimento sia al mondo rurale sia al mondo urbano (Donadieu, 2006). Aspirando ad una effettiva sinergia tra progetto e contesto, la cui forma, interpretando valori e bisogni degli abitanti, dovrebbe esprimere la cultura del luogo, il progetto del territorio come inteso in questo paper dovrebbe rappresentare l’esito di processi di identificazione culturale, nel quale una comunità si auto-rappresenta, non riducendosi a semplici preesistenze fisiche, ma diventando matrice di luoghi e trama di relazioni fra luoghi Paola Marotta, Simona Rubino
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Le aree agricole nel progetto di territorio
(Palermo, 2003). In una logica sostenibile di intervento, il progetto di territorio, ed in particolare delle aree agricole, assume in diverse sue interpretazioni l’aspetto tipico del progetto ambientale, rappresentato e considerato secondo tre categorie generali: quella dei fenomeni appartenenti al mondo della natura; quella dei fenomeni appartenenti al mondo costruito dall’uomo; quella dei fenomeni appartenenti ai sistemi culturali e civili (Besio, 2003). Un simile approccio risponde anche ad un’ottica territorialista (Magnaghi, 2000, 1994) in cui il progetto del territorio ha lo scopo, in una società fortemente deterritorializzante, di “produrre valore aggiunto, attraverso forme di governo sociale della produzione di territorio con la finalità di aumentare il benessere individuale e sociale di coloro che lo abitano, vi lavorano o lo percorrono” (Magnaghi, 2011, 3). Partendo da simili assunti, il paper pone in evidenza le tendenze (critiche) che la pianificazione e programmazione urbanistica ha assunto negli ultimi anni per le aree agricole e, in riferimento a ciò, con l’obiettivo di proporre un percorso alternativo e comunque di sviluppo, si prova ad indagare quali azioni poter intraprendere per un progetto sostenibile dei territori periurbani e, nello specifico, delle aree agricole. Simili questioni vengono inoltre calate nel territorio marsalese, caso esemplificativo che riassume in sé le principali opportunità e problematiche dei territori meridionali d’Italia, per un approfondimento di tipo empirico dal quale poter estrapolare riflessioni di tipo teorico-pratico.
2. Il territorio marsalese: un inquadramento di contesto Lo studio delle trasformazioni di un territorio, avvenute in un arco temporale significativo a partire dal secondo dopo guerra, evidenziano la mancanza di politiche di tutela delle aree agricole perché, come osserva Rossi Doria (2009), la legislazione urbanistica ordinaria e/o derogatoria è stata sempre predisposta a regolare l’edificazione. Il caso di Marsala costituisce un caso esemplificativo rispetto a come l’assenza di politiche di valorizzazione delle aree, e delle attività, agricole ha comportato uno stravolgimento del paesaggio con rilevanti conseguenze sulla qualità dell’abitare. Gli intensi fenomeni di urbanizzazione hanno infatti prodotto alterazioni irreversibili del paesaggio e la dinamica involutiva di sviluppo edilizio evidenzia un consumo di suolo, localizzato prevalentemente lungo la fascia costiera e lungo le principali arterie infrastrutturali, a scapito delle aree agricole. La costruzione di un quadro conoscitivo dell’insieme degli strumenti urbanistici e della programmazione complessa, unitamente alla lettura interrelata tra le trasformazioni territoriali e le possibili ipotesi di sviluppo, mostra un forte livello di complessità. Tale tipo di confronto consente di individuare una problematica comune ai territori costieri anche a livello nazionale per cui il predominio della dimensione economica nelle politiche territoriali degli anni recenti sembra essere al tempo stesso causa ed effetto dell’incremento e diversificazione degli strumenti di pianificazione, che ha dato origine ad una nutrita schiera di cosiddetti “strumenti complessi”, che si affiancano, sovrappongono e/o contraddicono la strumentazione ordinaria di natura regolativa (Lo Piccolo e Schilleci, 2005). In effetti, oltre alle problematiche connesse all’edilizia abusiva, a Marsala ci si confronta con un quadro urbanistico incoerente, formato dagli strumenti di pianificazione ordinaria (attualmente è ancora in vigore il PUC del 1977) e dalle nuove forme di programmazione che si pongono l’obiettivo di strutturare gli indirizzi di sviluppo (si veda a tal proposito il Piano Strategico Marsala Città Territorio 2020). La debole struttura del quadro normativo e l’assenza di regole innovative della disciplina urbanistica per le zone agricole si manifestano in particolari circostanze come la recente approvazione della realizzazione di un agglomerato industriale ASI nella contrada Paolini, nella zona Matarocco a circa sette chilometri dal centro di Marsala. A partire dal piano regolatore consortile vigente ASI, approvato con D.M. del 22/11/1967, e successivamente nella variante del 1999, il Consorzio ASI di Trapani aveva proposto la realizzazione di un agglomerato industriale a Marsala rispetto al quale vi fu un’opposizione da parte dall’assessorato regionale Territorio e Ambiente. Dopo numerose vicissitudini, nel 2011 la Regione Sicilia approvava la realizzazione di un nuovo distretto industriale di circa 200 ettari. È interessante osservare che il progetto viene giustificato dalla crescente richiesta degli imprenditori privati e che occuperà un’area agricola, caratterizzata dalla presenza di vigneti, oliveti, seminativi e pascoli, perché “non e possibile pervenire ad un’individuazione di un area per usi industriali che non interferisca con attività agricole atteso che l’utilizzo del suolo per uso agricolo interessa tutto il territorio comunale ad eccezione delle aree che non sono utilizzabili per fini edilizi” 1. È prevista la realizzazione di 115 lotti industriali, di cui 15 ad uso commerciale e 63 artigianali, nonché servizi e attrezzature varie. In particolare il progetto prevede la realizzazione di cinque aree distinte in: 1. Centro Servizi, Direzionale e Tecnologico, Congressi, Formativo e Informativo, mense e attività di ristorazione, reti sindacali e di associazioni, servizi finanziari, esposizione permanente, rappresentanze, servizi pubblicitari, attività commerciali all’ingrosso e al dettaglio. 2. Attrezzature pubbliche di interesse generale. 3. Attività ricreative, ricettive, di svago e di tempo libero, ristorazione e relativi servizi logistici. 4. Centro Servizi per l’autotrasporto merci, smistamento merci, officine meccaniche, e lavaggi, distributori carburanti, attrezzature di stoccaggio e movimentazione e relativi servizi logistici. 1
Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, Dipartimento Regionale Urbanistica D.D.G. n. 382/2011.
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Le aree agricole nel progetto di territorio
5. Centro Servizi Commerciali. Infine, tutta l’area circostante non interessata dalle edificazioni sarà utilizzata per il tempo libero, con la creazione di zone alberate percorsi pedonali, spazi a verde, attrezzature sportive e parcheggi. La descrizione dell’iter e dell’organizzazione degli spazi fornisce una serie di elementi per alcune valutazioni utili al nostro ragionamento; ancor di più, spinge alla riflessione una considerazione dei progettisti che affermano che il nuovo distretto industriale di 200 ettari “non interferisce con la programmazione urbanistica del Comune di Marsala, essendo il territorio totalmente agricolo” 2.
3. Aree agricole e paesaggio L’incoerenza di un quadro normativo volto alla tutela e valorizzazione delle aree agricole soffre di un ulteriore problema legato alla settorializzazione di alcune politiche, che invece sarebbero direttamente connesse al progetto urbanistico per il territorio. La questione riguarda le politiche comunitarie, e il recepimento delle stesse a scala nazionale e regionale, per il finanziamento di particolari pratiche distanti dalla tutela del paesaggio e separate dai processi di governo del territorio. Il riferimento è alle questioni degli incentivi alla realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici nonché agli incentivi alla viticoltura che si traducono nella pratica della “vendemmia verde”. Negli ultimi anni il crescente ricorso alle nuove tecnologie per la produzione di energia rinnovabile ha innescato una serie di cambiamenti territoriali estranei alle tradizionali logiche di pianificazione e con un forte carattere di settorializzazione e, di conseguenza, le principali trasformazioni del paesaggio sono avvenute proprio in relazione alla realizzazione di nuovi impianti di energie rinnovabili nelle aree agricole. Ma il paesaggio agrario rischia di subire ulteriori alterazioni anche in relazione alla mancanza di integrazione tra la pianificazione urbanistica e gli indirizzi, con i relativi incentivi, delle politiche agrarie a scala comunitaria. Le norme dell’Unione Europea prevedono un premio per la non-produzione viticola che si traduce in interventi di estirpazione dei vigneti e di vendemmia verde che consiste nella completa distruzione o eliminazione dei grappoli non ancora giunti a maturazione. Nel 2011 sono state accolte domande di estirpazioni per 9.300 ettari (prevalentemente da Sicilia, Puglia ed Emilia-Romagna) che, aggiunti ai 22.300 delle due campagne di finanziamento precedenti, raggiungono un totale di 31.600 ettari. Il recepimento degli indirizzi comunitari è a scala regionale, per cui regioni e provincie autonome sono chiamate a fissare la superficie minima e massima dell’intervento, a decidere se escludere o meno alcune aree o categorie di vigneti, a dichiarare le priorità per le eventuali graduatorie nonché a definire il metodo da attuare per l’eliminazione dei grappoli. Appare evidente che tali decisioni dovrebbero essere inglobate in un ragionamento più esteso alle ipotesi di sviluppo di un territorio.
Figura 1. Promiscuità del territorio di Marsala. Il progetto urbanistico contemporaneo per il paesaggio non può continuare a relegare a specifici ambiti la questione degli incentivi per le rinnovabili e per l’agricoltura, il superamento dell’approccio vincolistico, della visione settoriale di importanti questioni, in tal senso, ne costituiscono i passi fondamentali da implementare.
4. Scenari progettuali possibili per un utilizzo sostenibile delle aree agricole A partire dalla metà degli anni ’80 il susseguirsi di usi e pratiche che hanno interessato le aree agricole in Italia ha prodotto un ciclo di trasformazioni tali da portare sostanzialmente a cinque distinti “paesaggi agro-forestali” (Lanzani e Pasqui, 2011): 1. Ripresa delle aree boscate con abbandono pressoché totale dell’agricoltura di sussistenza nelle aree montuose e collinari. Si tratta in realtà di boscaglia senza nessun tipo di accompagnamento, dotata di una bassa biodiversità (e quindi bassa qualità ecologica), una bassa qualità economica e una dubbia tenuta idrogeologica. 2
Relazione al Piano Regolatore Generale dell’agglomerato industriale Marsala, Consorzio ASI Trapani.
Paola Marotta, Simona Rubino
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Le aree agricole nel progetto di territorio
2. Coltivazioni estensive forti ed industrializzate nelle aree di pianura, fondivalle e bassa collina, dove vi è stato rimosso ogni riferimento storico di filari ed alberate. 3. Agricoltura alberata iper-specializzata e intensiva, la cui semplificazione della biodiversità e dell’articolazione paesistica è molto simile a quella precedente, anche se meno appariscente. 4. Aree legate all’agriturismo, a storiche produzioni agricole di qualità, o a produzioni nuove qualificate e specializzate. Si tratta soprattutto di territori collinari e montani in cui prendono vita forme di agricoltura più soft, lontane da nuove forme di urbanizzazione ma che al contempo non comprendono un tipo di agricoltura industrializzata. 5. Campagne ai bordi o negli interstizi delle aree urbanizzate dove, con molta fatica, l’agricoltura cerca di orientare le sue produzioni alla commercializzazione diretta e/o all’offerta di attività di servizio ludicoculturali per la popolazione urbana. Alcune esperienze positive si riscontrano nel milanese (di particolare rilievo è l’esperienza del Parco Nord), nel romano e nel napoletano. È soprattutto negli ultimi due tipi descritti che si riscontrano le maggiori opportunità di sviluppo sostenibile per il paesaggio, all’interno di una nuova ottica di utilizzo multifunzionale delle aree agricole che si stacca dai paradigmi classici, che vede nella modernizzazione un uso fortemente industrializzato di tali aree, e si presenta maggiormente attenta ai legami di tipo storico-identitario, legandosi alle produzioni agricole tipiche regionali, o assolvendo a bisogni di natura e di spazi per il loisire e il tempo libero dei cittadini. Tuttavia, nel primo caso, ci si trova spesso di fronte a realtà isolate, rivolte esclusivamente ad una vocazione di tipo turistica che, non di rado, portano a dei processi di gentrification territoriale di tipo turistico-residenziale. Nel secondo caso, invece, la fatica che si riscontra nel far riemergere (o nell’attribuire) nuovi valori alle aree agricole periurbane, il più delle volte caratterizzate da un elevato stato di degrado, porta spesso ad un utilizzo legato soprattutto ad una rendita economicamente più alta (soprattutto in seguito alla loro disponibilità ad accogliere i cosiddetti nuovi paesaggi dell’energia) a discapito di un utilizzo maggiormente complesso e ricco in termini di sostenibilità non solo economica ma anche ambientale e sociale. In questo senso, il primo passo da effettuare per perseguire un vero e duraturo progetto di territorio per le aree agricole è quello di rafforzare e incentivare il suo valore di bene comune e, quindi, di bene pubblico. Pubblico non perché sancito dallo Stato (in quanto la maggior parte delle aree agricole si presentano di natura privata) bensì in quanto “esito dell’interazione di una società su un territorio” (Mininni, 2006, XL) e quindi diritto per i cittadini di una comunità di poterne fruire ed utilizzarlo liberamente. È a partire, quindi, dalla ricostruzione di una tradizione civica, di un maggiore senso di responsabilità, che è possibile proporre ed implementare progetti condivisi e duraturi. In molti casi bastano anche interventi di piccola entità (sia spaziale che economica) per mettere in moto processi di riqualificazione e sviluppo di ampie porzioni di territorio. Allo stesso tempo, però, anche il più piccolo intervento può rendersi possibile solo se inserito all’interno di politiche territoriali fortemente volute dalle amministrazioni e accompagnato da un processo partecipativo che coinvolga chi effettivamente in queste aree vi vive, vi lavora, vi dedica il suo tempo.
5. Prospettive e opportunità per le aree agricole di Marsala Dal punto di vista insediativo, la popolazione marsalese si distribuisce per circa il 50% nell’agglomerato urbano consolidato del centro storico e per il restante 50% nelle borgate storiche e nei recenti insediamenti sparsi che si estendono su un territorio piuttosto ampio. La logica insediativa delle borgate storiche, in particolare, va ricercata in un forte rapporto esistente e perdurante con l’entroterra rurale. Un simile tipo di insediamento sparso, strettamente relazionato alle aree e alle attività rurali, se da un lato favorisce una migliore qualità sociale dello sviluppo urbano grazie ai rapporti diretti e di prossimità con la natura, allo stesso tempo comporta un nuova e maggiore richiesta di servizi urbani qualificati che, distribuiti su un territorio molto vasto, pongono in essere nuove e rilevanti ricadute sul fronte del consumo di suolo e della generale sostenibilità territoriale. Il problema del continuo consumo di suolo è chiaramente visibile se si mettono a confronto le figure 1 e 2, la prima del 1941, la seconda contemporanea, riferite ad un pezzo del territorio marsalese a pochi chilometri dal centro principale. Qui, nello specifico, i recenti insediamenti rappresentano il frutto di uno sviluppo turistico balneare, che ha visto crescere la domanda di seconde case per la villeggiatura che sono andate ad occupare in larga misura i preesistenti territori agricoli. Nonostante l’aumento dell’edificato, il territorio continua ad essere caratterizzato da ampi appezzamenti di terreno costituiti da una discreta quantità e qualità di colture.
Paola Marotta, Simona Rubino
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Le aree agricole nel progetto di territorio
Figura 2. Foto aerea del 1941 – Area compresa tra Contrada Casabianca e Contrada Berbarello.
Figura 3. Foto aerea attuale – Tipologia delle aree agricole presenti e progetti in corso nell’area compresa tra Contrada Casabianca e Contrada Berbarello (Fonte: Piano Strategico Marsala 2020). Nonostante la presenza variegata di prodotti e attività agricole, i vigneti continuano però a rappresentare le coltivazioni maggiormente sviluppate e diffuse. Il sistema produttivo del vino, infatti, rappresenta un esempio tipico di distretto a forte radicamento territoriale, supportato da tradizioni e capacità distribuite su un tessuto di imprese particolarmente articolato, di un patrimonio culturale (non solo materiale) di grande rilevanza, di un forte senso identitario non solo per i cittadini ma anche per i diretti produttori. Simili attività, come già detto nei precedenti paragrafi, si sono sviluppate ed hanno resistito senza alcun tipo di guida e di politica per quanto riguarda il settore agricolo. Facendo riferimento al più recente strumento urbanistico che sta interessando il territorio, invece, nel Piano Strategico Marsala 2020 si è preso coscienza dell’enorme potenziale che le aree agricole portano in dote per lo sviluppo e la tutela del territorio anche se va sottolineato il ruolo principale che il nuovo piano strategico attribuisce alle aree vinicole. Senza in nessun modo trascurare la lunga tradizione che accompagna tale attività agricola, si vuole però mettere in guardia contro politiche agricole che possano favorire uno sviluppo industrializzato delle aree rurali a discapito della multifunzionalità che simili aree e attività possono apportare in termini di servizi e prodotti per i cittadini. Lo sforzo che, a ogni modo, il territorio sta mostrando per fare delle aree agricole il motore principale per il progetto di territorio è confermato dalla candidatura di Marsala al programma comunitario Urbact III attraverso lo sviluppo di un Piano di Azione Locale che persegue tre obiettivi principali: • la costruzione di una metodologia per identificare le aree potenziali per la creazione di spazi per l'agricoltura urbana all'interno esistenti aree verdi o aree dismesse; • verificare la questione del “vigneto urbano” all'interno dell'ambiente urbano, sfruttando il loro potenziale dal punto di vista ecologico, culturale, educativo e turistico; • fornire risultati in termini di partnership e di integrazione all'interno di un ambiente istituzionale con scarsa propensione verso la cooperazione pubblico-privato.
Paola Marotta, Simona Rubino
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Bibliografia Bertuglia C. S., Stanghellini A., Staricco L. (a cura di, 2003), La diffusione urbana: tendenze attuali, scenari futuri, FrancoAngeli, Milano. Besio M. (2003), Riflessioni sul “progetto” e sull’“ambiente” che convergono nel “progetto ambientale”, in Maciocco G., Pittaluga P. (a cura di), Territorio e progetto. Prospettive di ricerca orientate in senso ambientale, FrancoAngeli, pp. 66-89, Milano. Donadieu P., (1998), Campagnes urbaines, Arles, Actes Sud (edizione italiana a cura di Mariavaleria Mininni, 2006, Donzelli, Roma. Fregolent L. (2006), “Sconfinare”, in Indovina F. (a cura di). Nuovo lessico urbano, FrancoAngeli, pp. 107-113, Milano. Indovina F. (1990), La città di fine millennio, FrancoAngeli, Milano. Lanzani A., & Pasqui G. (2011), L’Italia al futuro. Città e paesaggi, economie e società, FrancoAngeli, Milano. Lo Piccolo F., & Schilleci F. (2005), “Local Development Partnership Programmes in Sicily: Planning Cities without Plans?”, Planning Practice & Research, 20(1), pp. 79-87. Magnaghi A. (2011), Bozza di manifesto per la società dei territorialisti/e [Online]. Disponibile su: http://www.societadeiterritorialisti.it/images/DOCUMENTI/manifesto/110221_manifesto.societ.territorialista.pd f/ Magnaghi A., (2000), Il progetto locale, Bollati Boringheri, Torino. Magnaghi A. (a cura di, 1994), Il territorio dell’abitare. Lo sviluppo locale come alternativa strategica, FrancoAngeli, Milano. Mininni M. (2006), “Abitare il territorio e costruire paesaggi”, in Donadieu P. (1998). Campagnes urbaines, Arles, Actes Sud (edizione italiana a cura di Mariavaleria Mininni, 2006, Roma, Donzelli), VII-XLVIII. Palermo P. C. (2003), “Interpretazioni dei progetti di territorio”, in Maciocco G., Pittaluga P. (a cura di). Territorio e progetto. Prospettive di ricerca orientate in senso ambientale, FrancoAngeli, pp. 51-65, Milano. Rossi Doria B., (2009), “La Conca d’Oro e Palermo”, in Leone M., Lo Piccolo F., Schilleci F. (a cura di). Il paesaggio agricolo nella Conca d’Oro di Palermo, Alinea, pp. 28-38, Firenze.
Copyright: Il presente contributo è responsabilità comune degli autori; tuttavia Paola Marotta ha curato i paragrafi 2 e 3 e Simona Rubino i paragrafi 1, 4 e 5.
Paola Marotta, Simona Rubino
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Infrastructure for mobility and landscape construction: an unresolved issue
Infrastructure for mobility and landscape construction: an unresolved issue Renzo Riboldazzi Politecnico di Milano Department of Architectural Projects Email: renzo.riboldazzi@polimi.it Tel/fax 02.2399.5828/5801
Abstract Among the factors that were most decisive in the transformation of the Italian landscape over the course of the twentieth century, we can certainly include the intense construction of infrastructure for urban and territorial mobility. This occurred in a climate of significant indifference to the context, unsettling both the delicate territorial equilibrium and the communal methods that had for years governed the transformation of urban and rural landscapes. Starting with reflections on the main phases of this process, the paper will investigate the reasons for the division between planning culture and the construction of landscapes of recognisable quality, from a historical perspective. This in the conviction that the desire for ‘landscape’ and for ‘beauty’ are alive and well, even in contemporary society and that it is necessary to implement planning practices that on the one hand avoid the destruction of our inherited past, and on the other permit, through infrastructure for urban and territorial mobility as well, the construction of contexts that communities can recognise themselves in.
For centuries in Europe transformations of the territory have been “seizures, puppet inventions and modifications of nature in order to transform it into a recognisable landscape” (Gregotti, 2011, p. 136). On the old continent urban and rural landscapes – of an exceptional quality that we still recognise today – were constructed on the basis of the changeable but shared ideas of beauty that nourished painting, literature and poetry simultaneously for hundreds of years (see, for instance: Agostini, 2009; Benevolo, 2011; de Seta, 1996; Meneghetti, 2000; Romano, 2005, 2010). However, from the nineteenth century onwards, but especially during the late twentieth century, this slow and unanimous action based on public sentiment began to deteriorate and “that extraordinary culture of the territory that had made the Italy of the past so beautiful and unique, seemed to dissolve with the arrival of modernity” (Turri, 1994, p. 24). In fact, albeit with varying intensity and speed, new forms, unusual materials and never before seen technologies began to create realities that were extraneous to their contexts, the social culture and local materials, making ever clearer that detachment between anthropic activity and territory that has characterised the contemporary age of our country. Numerous factors contributed to this situation. Among these a primary role was played by the infrastructure for local and territorial mobility. The building of roads, railways, canals, ports and airports, as well as all the complementary works required for them to function, had and still have today both a direct and indirect impact on the landscape. Direct in the sense that these are interventions that mark the image of the contexts due to their size and form. Indirect as they result in diverse uses for the territory; rather than altering its perception, they promote its transformation.
1. When infrastructure is integrated with the landscape From 1839 – when the railway section between Naples and Portici was opened – Italy underwent decades of railway construction: this happened in limited quantities in the pre-unification period (in 1861 just under 2200 km of railway were in use), and then in much larger but still overall contained quantities until the end of the Renzo Riboldazzi
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century (in 1900 there were almost 16,000 km of track, predominantly branching out over northern Italy). Although at the time of unification Italy was “one of the European nations with most cities” (Maniglio Calcagno, 1983, p. 247), during those years the Italian landscape was mostly agricultural, by which I mean “that form that man, over the course of and at the end of his productive agricultural activity, consciously and systematically imprints onto the natural landscape” (Sereni, 1961, p. 366) The direct impact of the railways on this type of landscape was relatively limited. The railway networks, like the extra urban tramways – which in contexts such as Lombardy provided an effective response to the demand for local transport (Longhi, 1984) -, were in fact established as “integral elements of the Italian landscape” (Sereni, 1961, p. 366). This was probably not a conscious choice. In fact even then, the underlying regulations for the definition of layout answered to a logic that was removed from any form of town planning composition, so much so that the routes were decided upon quite simply “on the basis of the lowest cost of equipment” (Maggi, 2009, p. 24). Nevertheless, this new infrastructure did not in general detract from the “traditional landscapes [where] manmade interventions, when present, were authentically blended into nature” (Picon, 2006, p. 134). To give one example of many, the case of the bold metal bridges that were used in the old continent to connect riverbanks or valley sides, such as the bridge in Paderno d’Adda that “was for its time one of the most important of its kind in Europe and the whole world” (De Miranda, 1984, p. 39). It was instead the indirect impact that was more evident. The railways – which opened Italy up to international exchange thanks to passes and tunnels and connections with the main ports – served in fact as the driving force behind the transformation of our country’s landscape. In the more economically dynamic regions, and where the landed estate system did not obstruct the process, the new markets of reference for agricultural production would determine changes in cultivation, exacerbate exploitation of the territory – especially wooded land – and encourage the establishment of forms of industrial production strictly connected to agriculture: spinning mills, factories, mills, sawmills and furnaces. But not even this activity – equally due to its limited quantities and dimensions and its architectural language which was often in harmony with the local aesthetic traditions – would cause that macroscopic discord that the Italian landscape would see over the twentieth century.
2. The season of indifference towards territorial contexts The development of the national railway network in the late nineteenth century occurred at the expense of the modernisation of the main road network which, especially in some southern regions, was in a particularly dire state. In the twentieth century however, the spread of alternative means of transport to the train and animaldrawn carriages rapidly changed the situation, so much so that “the history of the Italian railways [resembles] the story of the eradication of the street” (Maggi, 2009, p. 50). A first significant impulse toward the implementation of the Italian road network was provided between the two wars. This coincided with the increase of motor vehicles in circulation on national soil, which went from just over 2,000 at the beginning of the century to 270,000 on the eve of the Second World War. During the Twenties therefore, development got underway of these road infrastructures that – especially in the period after the Second World War – would mark the Italian landscape more than anything else: the Milano-Laghi motorway was finished in 1925, the Milano-Bergamo in 1927, the Roma-Ostia in 1928, the Napoli-Pompeii in 1929, the Bergamo-Brescia in 1931, the Milano-Torino in 1932, the Firenze-Mare and Padua-Mestre in 1933. Until the mid-Fifties however, despite its 190,000 km, the Italian motorway system lagged behind other western countries. This divide was rapidly covered however, so much so that towards the mid-Seventies “Italy had double the motorways [of] France and two and half times those of Great Britain” (Maggi, 2009, p. 117). Compared to the first railway infrastructure built on the territory, the impact on the landscape was entirely different. The car was the means of transport that would change society more than anything before it and the Italian landscapes in the period after the Second World War and the motorways were “one of the most conspicuous demonstrations […] of the process of cementification that, with its large artefacts (bridges, embankments, flyovers, overpasses, tunnels, etc. constructed to make the streets flow quickly), newly artificialized landscapes that were once marked only by the patient manual labour of farmers and bricklayers” (Turri, 1994, p. 40). The Autostrada del Sole, opened in 1965, was perhaps the symbol of that season of great territorial changes that occurred in a climate of significant indifference to the landscape. Its position spanning the peninsula from north to south not only sought no mediation or relationship with the surrounding landscape, but actually encouraged radical change. This and other coeval infrastructure for territorial mobility were crucial components in the economic growth of the country and, along with this, of that process of consistent and irrational anthropisation of the territory that has not ceased since. These were the years that saw the development of large industry, but also a proliferation of small businesses, vast growth of the urban suburbs and the depopulation of the countryside. It was essentially a phase of virulent disintegration of the agricultural landscape and general destruction of the most beautiful natural and historical landscapes in Italy (see, for instance: Cederna, 2006; Settis, 2010; Turri, 1990). With the oil crisis this critical season seemed to stall, at least until the early Eighties when another hundred odd kilometres of new motorways and a series of interventions to develop Renzo Riboldazzi
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the existing road structure were planned. These were generally planned and carried out according to the same logic that characterised the years of the ‘economic boom’, but from that moment onwards there was increasing awareness within civil society of the negative aspects that this use of the territory entailed. It especially became increasingly clear to public opinion that it was necessary not to further disfigure landscapes that were already significantly marked by infrastructure for mobility and often rough and vulgar construction.
3. Local mobility and urban landscapes Over the course of the nineteenth century and in the first decades of the twentieth century, the need to adapt urban structures to the demands of modernity became increasingly pressing, as was the case in the rest of Europe. The main centres were equipped with public parks and shared facilities, but above all with plans for expansion that developed new urban fabrics near the historical nuclei and in areas close to railway stations. While they never achieved the coherence and scale of previous examples from France and Germany, long straight avenues and wide tree-lined boulevards – often built along the lines of old demolished walls – were not only efficient infrastructure for local mobility but also became characterising elements of the urban landscape of Turin, Milan, Genoa, Florence, Rome, Naples and Palermo. Generally speaking, the tendency was to bring “monumental and architectural elements and natural space [back into an organic urban design] based on the concept of a panoramic route connected to movement in green spaces” (Maniglio Calcagno, 1983, p. 279). In parallel to the consolidation of the national railway system, which was entirely brought under state control in 1905, new infrastructure for local public transport became a part of the national urban scenery. While in London or New York, congestion had forced the construction of elevated or underground railways since the late nineteenth century, in Italy it was trams and trolley buses that dominated the first season of local public transport. For a few decades then, while Italy awaited the underground – which would only open in Rome in 1955 and in Milan almost 10 years later – tracks and overhead cables would mark the prettiest streets and piazzas of Italy and therefore the landscape of the largest cities. This lasted at least until the second post-war period, when the trams and trolley buses generally made way for motorised buses, more flexible and economical thanks to lower installation costs. The fact that they caused more pollution was not a problem at the time. However, what would alter the urban landscape even more so was the diffusion of private vehicles. This process happened later in Italy than the other western countries. Generally speaking, “until the early Sixties individual motorisation in Italy remained more or less ‘on two wheels’” (Maggi, 2009, p. 131). However, from that moment onward – at least until the late Seventies – the process of motorisation proceeded rapidly, so much so that the automotive industry became the driving force of the entire national economy. It was a phenomenon of such importance that it inspired a momentous revolution in the fruition of open urban spaces. Moreover, this new means of transport would completely alter the spatial and functional relationships between the different parts of the city and the territory. That is to say, it created the conditions that led – to a much greater extent than in the nineteenth century and between the two wars – to that crevasse that opened up between the consolidated methods for urban construction inherited from the past and those typical of twentieth-century modernity. The spread of the automobile also had a significant impact on the town planning culture and, especially, on the design of infrastructure for mobility. Already from the Thirties, a planning technique quickly took root from North America to Europe which considered the street to be merely at the service of vehicular traffic (Riboldazzi, 2010). Rather than a luxury, the variety of open spaces in the historic city – traditionally theatre of the social and place for collective identification – were progressively viewed as an obstruction to the movement of men and goods. All the social, cultural and aesthetic merit of these roads and piazzas was ignored, castrating de facto any potential for promoting the overall experience of civil living (see, for instance: Consonni, 1996). In just a few decades road expansion, demolition of historical fabrics, deviations and ring roads, underpasses, flyovers and roundabouts became the elements of a new kind of urban planning that, following the traffic regulations, characterised the design and use of the open spaces in the twentieth century city. There is no doubt that this had a positive effect on traffic flow but contributed to throwing both the vitality of the urban street and the city as a whole into crisis.
4. An unresolved issue Today the creation of infrastructure for urban and regional mobility in comparison to the construction of landscapes in which society can fully recognise itself seems to be an unresolved issue. Other than some virtuous examples (see, for instance, some of those in: De Cesaris, 2004; Marinoni, 2006), examination of how the majority of large infrastructure has been planned of late makes it immediately clear that – where they have been considered in the planning process – scenic aspects have taken a secondary role to say the least, or at any rate have not received immediate reading or perception. For example, the corridor of infrastructure between Turin and Milan, in which tracks for the high-speed trains (opened in mid-2000) run alongside a renovated stretch of Renzo Riboldazzi
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motorway with three lanes (not yet entirely completed). It is an impressive job that has certainly improved communications between two of the largest cities in northern Italy and, more generally, national and international communication, but which nevertheless – probably in spite of any preliminary assessment on environmental impact – seems incapable of establishing any kind of aesthetic rapport with the landscapes it cuts across. And not only that: the development of this infrastructure has generated such a quantity of commercial and industrial headquarters, import-export centres and even residential and leisure structures (constructed moreover very close to it) in the last few years that a vast section of the landscape of western Milan, Novara, Vercelli and Turin has been significantly changed, undoubtedly for the worse. This is not an isolated case. Rather this example is symptomatic of a widespread situation that is even more paradoxical if one thinks of the multiplying context analysis techniques, planning tools and regulations (“there are in fact, in Italy, too many rules: there’s the Constitution of the Republic, there’s the Code for Cultural Heritage and the Landscape, there’s the European Landscape Convention and an endless series of national and regional laws.” Settis, 2010, p. 45), if one considers the proliferation of university courses and specific professional skills available on the market, the wealth of critical and theoretical reports, the quantity of specialist journals, columns in the weekly papers or TV shows about the landscape. All this ultimately shows that there is no objective or significant ability for improvement of the quality of these contexts to correspond to an evident increase in the collective sensibility with regard to landscape issues. The reasons for this are complicated. Among the elements that have created this situation however, we can certainly number the separation between the actions of the town planner and the landscape architect (due to the complexity of the planning tools provided for by current legislation) and more generally between the culture of the urban and regional plan and the plan for landscape protection and construction (both conditioned by the absence of a shared idea of the landscape) (see, for instance: Jakob, 2009; Clément, 2005). Add to this the inability/impossibility of much current professional practice to tune in with the contexts in which they operate, not only for technical-economic reasons (which exist too and heavily condition the plans) but for the characteristics of the disciplinary culture themselves (in particular, that technical culture developed over the twentieth century which viewed the road as extraneous to its context) and for the increasingly widespread lack of formally coherent landscapes (see, for instance: Tonon, 2007) (which block any attempt to adhere to the aesthetic canons of the context). In short, what seems to be lacking – and what probably we will have to attempt to recover – is that ‘shared code’ (Settis, 2010) which meant that for hundreds of years all over Europe “the same idea of dignity and pertinence was embodied in home and palace, in cathedral and the chapel lost in the woods” (Settis, 2010, p. 52), that ‘shared sense’ that meant that that many of the artefacts that over the centuries have altered the territory instead leave the impression of having “always [been in] that place and having [always] been part of that landscape, becoming an intimate part of it that is quite necessary for its description (Gregotti, 2011, p. 136).
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Il paesaggio come costruzione di una nuova identità: le aree produttive di Gaeta e Spigno Saturnia
Il paesaggio come costruzione di una nuova identità: le aree produttive di Gaeta e Spigno Saturnia Pasquale Miano Università degli Studi di Napoli “Federico II” Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica Email: pasmiano@unina.it Tel. 081.2538824
Abstract A partire da alcuni approfondimenti e considerazioni di natura teorica sul ruolo del paesaggio nella costruzione dello spazio pubblico contemporaneo saranno presentati i progetti di due concorsi, entrambi vinti, indetti dal Consorzio Industriale Sud Pontino, nei quali il rapporto paesaggio infrastrutture e spazi pubblici ha giocato un ruolo fondamentale. A Gaeta, l’area occupata dagli stabilimenti ENI in progressivo corso di dismissione compatibile, si estende lungo la vallata degradante verso il mare. A Spigno Saturnia l’area di progetto si estende lungo la S.S. 630 che, costeggiando i monti Aurunci, collega la costa all’entroterra della valle del Liri.
La costruzione di nuovi territori della produttività sulle rovine di insediamenti industriali, dismessi o in fase di dismissione, consente di riformulare il ruolo del paesaggio in questi interessanti e difficili contesti. Non più semplice sfondo, ma elemento dinamico che cattura le presenze, in parte rinaturalizzate, degli edifici preesistenti, il paesaggio si configura come il protagonista del progetto contemporaneo, parte essenziale delle nuove configurazioni spaziali. In questa ottica sono presentati i progetti di due concorsi per Gaeta e Spigno Saturnia, entrambi vinti, indetti dal Consorzio Industriale Sud Pontino, nei quali il rapporto paesaggio infrastrutture e spazi pubblici ha giocato un ruolo fondamentale. L’obiettivo dei concorsi era quello di definire soluzioni progettuali compiute relative alle aree di Gaeta e di Spigno Saturnia, impegnate in maniera diversa da insediamenti produttivi preesistenti, in fase di dismissione o completamente dismessi. A Gaeta, l’area occupata dagli stabilimenti ENI si estende lungo una vallata degradante verso il mare, in un luogo emblematico e di grande potenzialità strategica per la stretta connessione con il porto. A Spigno Saturnia l’area di progetto si dispone lungo la S.S. 630 che, costeggiando i monti Aurunci, collega la costa all’entroterra della valle del Liri. Due situazioni nelle quali, in modi diversi, il paesaggio, in parte distrutto dall’aggressione degli stessi insediamenti produttivi, può ritornare a giocare un ruolo fondamentale nella “ricostruzione” di un nuovo sistema della produzione, un sistema allargato ad altre funzioni, ricettive, commerciali, direzionali e della formazione. Definire una condizione di compatibilità tra i nuovi programmi funzionali e i luoghi di progetto ha costituito in entrambi i casi un’operazione molto delicata. Tra immagine naturale e artificiale, tra ritorno al passato e reinterpretazione dei segni industriali, nella proposta progettuale di Gaeta si è individuata una soluzione intermedia, che si configura nello stesso tempo come costruzione di un paesaggio compatibile e di un impianto urbano dai caratteri riconoscibili. Ciò è avvenuto lavorando, nell’ambito della proposta urbanistica, su soluzioni architettoniche specifiche, in grado di inserire nelle pieghe di una situazione consolidata, ma oramai alterata, le funzioni necessarie alla costruzione di un’area produttiva di qualità. In questa impostazione la stessa componente paesaggistica ha costituito un elemento fondamentale per la costruzione della soluzione architettonica e urbana. In particolare il rapporto tra “natura ed artificio” è stato interpretato attraverso un insieme di differenti tecniche di intervento tra loro compatibili, applicate segnando il passaggio dal mare alla collina (Figura 1.). Per l’area Pasquale Miano
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pianeggiante, a diretto contatto con la Statale Flacca, si è proposta la costruzione di un sistema di grandi spazi aperti delimitati da un’architettura destinata alle attività direzionali a cui si integrano funzioni terziarie, congressuali e ricettive. Con il progressivo crescere delle quote si è proposto un differente carattere dell’insediamento: con ampie colline artificiali si sono coperti i capannoni, destinati alle produzioni artigianali e alle officine meccaniche legate prevalentemente al settore nautico, così come le aree di parcheggio lungo le strade. In questo modo si è definito un frastagliato piano inclinato verde, solcato dalle strade e dagli spazi di pertinenza degli edifici produttivi. Nella parte più alta il riutilizzo dei volumi dei gasometri ha consentito di introdurre in un contesto consolidato il tema di una funzione produttiva di qualità, un luogo della ricerca e della sperimentazione. Al tema della connessione figurativa delle varie parti si è affiancato il tema della connessione ecologica. Gli spazi verdi relativi alle funzioni commerciali e produttive sono stati disposti in continuità, costituendo un bordo verde, nel quale si inseriscono le aree archeologiche, che caratterizzano l’area. Dal lato opposto l’utilizzo a verde della fascia di rispetto al di sotto del monte Conca, ha consentito di schermare non solo il nuovo complesso produttivo, ma anche l’area industriale esistente. Anche qui la fascia verde permette di connettere un’importante area archeologica a nord con il parco dei gasometri e dell’Abbazia. In questo modo si configura intorno all’area di progetto un anello verde dalle importanti funzioni ambientali, capace di mettere a sistema le aree archeologiche e di integrare il tema degli spazi verdi con il tema delle funzioni sportive e ricreative. La trama di verde inoltre si innerva nel complesso produttivo attraverso le coperture a verde dei capannoni e dei parcheggi, connesse dall’edificio rampa trasversale. In questo modo il verde, nelle sue molteplici declinazioni progettuali, costituisce, unitamente all’edificio – rampa, l’elemento unificante dell’intero intervento.
Figura 2. Concorso internazionale per la redazione di un piano particolareggiato per l’area di Gaeta. Planimetria e fotoinserimenti Per quanto riguarda la proposta per l’area di Spigno Saturnia, la costruzione di un corretto rapporto tra nuovo insediamento produttivo e paesaggio è stata riferita ad una scala più ampia, interpretando l’orografia e i caratteri del sito e ponendosi in continuità con i maggiori segni territoriali, ai quali si sono relazionati i nuovi spazi produttivi. Proprio in riferimento ai particolari caratteri paesaggistici ed ambientali, si è pensato di strutturare una vera e propria fascia verde che si completa nella collina ad est dell’area di intervento. La fascia prosegue anche lungo la Statale, dalla quale tuttavia risulta possibile osservare l’intero nuovo complesso produttivo attraverso l’introduzione di alcuni tagli precisamente determinati.
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Figura 2. Concorso internazionale per la redazione di un piano particolareggiato per l’area di Spigno Saturnia. Planimetria e fotoinserimenti Elemento qualificante della proposta progettuale è stata l’individuazione di un sistema di servizi, che rafforza ed integra le attrezzature previste, un sistema fondamentalmente imperniato sull’utilizzazione delle strutture preesistenti, anche con lo scopo di dotare il centro di Spigno Saturnia di una serie di attrezzature di rilevanza territoriale. Tali funzioni sono state posizionate proprio a diretto contatto con l’abitato, in modo da costituire la testata verso il paese del complesso produttivo e sono state collocate nell’ambito degli edifici dismessi delle Fornaci Pontine, elementi architettonicamente emergenti la cui immagine consolidata si è prestata ad essere reinterpretata come luogo di funzioni pubbliche (Figura 2.). Questa “grande testata” è concepita come un sistema di spazi pubblici organizzati a partire dalla presenza dei due complessi architettonici, il lungo edificio delle ex Fornaci Pontine e il piccolo capannone annesso, posto su un leggero promontorio. I nuovi innesti architettonici tendono così ad esaltare le peculiarità dei singoli episodi di archeologia industriale, interpretandone spazialmente le potenzialità inespresse: per l’edificio delle fornaci, lo sviluppo longitudinale a sezione costante, che ben si presta ad una scansione regolare di innesti trasversali con il compito di articolare gli spazi interni, conservandone tuttavia la poderosa immagine unitaria; per il piccolo capannone il posizionamento rialzato che viene sottolineato attraverso la costruzione del basamento, ovvero attraverso l’artificializzazione parziale della collinetta. La definizione dei criteri di impostazione dei progetti urbano-territoriali per le aree di Gaeta e Spigno Saturnia, è quindi espressione di una precisa interpretazione dei paesaggi e della loro specificità intesa in senso ampio. Il valore di centralità, che si è voluto perseguire per queste due aree , non è limitato all’aspetto posizionale, ma riguarda la specificità dei nuovi spazi urbani, concepiti quali pluralità di funzioni complementari in grado di superare i limiti di una rigida distinzione di zona. Pasquale Miano
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Inteso in questo modo, il progetto di questi nuovi luoghi può essere interpretato come fondativo di un nuovo sistema di relazioni fra il paesaggio e gli spazi produttivi. L’autarchia degli insediamenti produttivi, chiusi nei loro impenetrabili recinti ed avulsi dalle dinamiche territoriali e urbane, si ripercuote assai negativamente anche sulla qualità degli spazi imposti dalla dotazione di standard obbligatoria che spesso diventa fine a se stessa, e slegata da un sistema continuo e intrecciato di spazi pubblici diversamente specializzati.
Figura 3. Paesaggi in trasformazione dell’area di Gaeta L’introduzione di ulteriori funzioni, oltre a quelle strettamente produttive, consentite dal Piano consortile, rende possibile la realizzazione di un complesso funzionalmente variegato, nel quale, alle attività produttive si affiancano aree di vendita, laboratori artigianali, uffici e servizi di altra natura. A Gaeta questa impostazione si collega al tema della ricostruzione di un rapporto con il mare, e della rifunzionalizzazione del porto: la previsione, anche a lungo termine, di un porto attrezzato per l’attracco di navi da crociera, di un porto turistico maggiormente efficiente, di un porto commerciale caratterizzato da tipologia di merci e prodotti diverse da quelle attuali, ha suggerito una declinazione del tema dei “servizi portuali” molto ampia e articolata. Gaeta presenta una maggiore rilevanza sia dal punto di vista paesaggistico - ambientale che dell’attrattività turistica, per cui può sicuramente dotarsi di aree portuali molto articolate e caratterizzate da diverse funzioni. Sulla base di questa premessa e in riferimento alla nuova viabilità, si è costruita la proposta progettuale, per l’area a diretto contatto con la Strada Statale Flacca, dove è previsto un primo grande spazio dai caratteri urbani marcati, organizzato su un edificio – rampa destinato “nella testata” ad auditorium e nel corpo ad attività commerciali, uffici e botteghe artigianali. Con il suo disarticolato volume questa nuova struttura definisce spazi urbani di connessione, vere e proprie piazze urbane di nuova concezione, sulle quali prospetta anche la fascia di verde sportiva, posizionata ad una quota superiore e il parco a sud, dove si recuperano e valorizzano tanto alcuni gasometri quanto i resti archeologici, e dove si innesta un nuovo volume lineare destinato al complesso alberghiero. L’unitarietà della soluzione progettuale è assicurata proprio dal grande edificio rampa, elemento architettonico alla scala del grande paesaggio di Gaeta, che è in realtà caratterizzato da una sequenza di volumi che dalla quota più bassa attraversano l’intera area di progetto, con diverse ulteriori specializzazioni funzionali: il palazzetto dello sport nella fascia sportiva e centro servizi (aule, mense, uffici) nell’area produttiva. L’edificio rampa è concepito in maniera tale da poter essere proseguito anche oltre la Statale Flacca, articolando nelle aree del porto un sistema di spazi pubblici e specchi d’acqua contenente tutti i servizi necessari, dallo stoccaggio agli uffici e non ultimo il terminal crocieristico. A monte, invece, l’edificio rampa si innesta in un gasometro esistente, disegnando una terrazza prospiciente i resti dell’antica abbazia in modo da fornirne una vista dall’alto. A questo complesso elemento di architettura e di paesaggio è stato così affidato il ruolo di tenere assieme i vari ambiti del nuovo insediamento, riconnettendo l’area di progetto con il mare (Figura 3). Anche la definizione dei caratteri della nuova area produttiva di Spigno Saturnia è strettamente collegata agli aspetti urbanistico – territoriali, per cui assumono un valore determinante nella soluzione proposta, la geografia e la natura dei luoghi. In un contesto che conserva alcune peculiarità paesaggistiche, il carattere dei nuovi manufatti rappresenta infatti un tema di assoluta centralità. Per superare la logica di disomogeneità e di frammentazione che spesso caratterizza le aree produttive, ma anche le impostazioni basate su griglie e scacchiere, caratterizzate dal ripetersi seriale di elementi edilizi autonomi gli uni dagli altri, il nuovo insediamento è stato concepito secondo una logica di articolazione di elementi costruiti, che riprendono le forme e i caratteri morfologici dell’area. Uno dei problemi principali di impostazione, ha riguardato la ricerca di un punto di equilibrio tra l’esigenza di una configurazione stabile dell’insediamento nel tempo e la necessità di adottare un principio di flessibilità, in base al quale poter modificare la configurazione, sulla base di nuove istanze del mondo produttivo. Pasquale Miano
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Da queste parallele istanze di stabilità e di flessibilità, ma anche da un più generale problema di “fondazione” dell’intervento in senso urbano, in modo da poterlo leggere come una parte identificabile e compiuta, che si relaziona alle altre e non come un recinto chiuso ed invalicabile, si è originata la scelta del riferimento ad una “regola” degli impianti urbani antichi, nei quali, mentre gli edifici pubblici e le strade rappresentano gli elementi stabili e di riconoscibilità, nei singoli isolati si sviluppa una dinamica trasformativa incessante. In questa ottica il disegno dell’area produttiva di Spigno Saturnia è stato affidato alle infrastrutture e alle attrezzature, intese come elementi dotati di una propria individualità, ma anche come fattori di perimetrazione e caratterizzazione di grandi e differenziati settori di intervento.
Figura 4. Paesaggi in trasformazione dell’area di Spigno Il tema del recupero degli edifici dismessi attraverso l’innesto di nuovi elementi architettonici è declinato con la stessa logica, secondo diverse modalità: per le Fornaci, un gruppo di sei lotti artigianali si innestano nell’elemento preesistente, affacciandosi direttamente sull’ampio spazio centrale, interamente attraversato da un percorso pedonale connettivo. Il volume del grande capannone risulta destinato in parte a mercato comunale e in parte ad una galleria - percorso, fruibile anche quando le attività annonarie sono ferme. In questo senso si è proposto uno spazio fortemente connesso al sistema dei percorsi pedonali esterni e fruibile autonomamente. Nella parte finale il piano della galleria - percorso si solleva dalla quota di terra, configurandosi come un auditorium che completa la nuova sequenza degli spazi interni. Per il piccolo capannone la soluzione proposta consiste nell’inserimento di un elemento trasversale incastrato al di sotto del leggero promontorio, in modo da definire un ideale basamento all’edificio preesistente. Tale innesto consente il ridisegno dei collegamenti alto – basso tra la piccola collina e l’intorno, definendo una serie di terrazzamenti verdi e piani inclinati. In questa parte basamentale, così riconfigurata, sono stati sistemati il ristorante, la palestra e il centro benessere. Alla serie di percorsi esterni si affiancano connessioni interne, in modo da rendere direttamente fruibile il centro benessere dall’albergo soprastante, ricavato nel volume dell’originario capannone (Figura 4). Gli aspetti formali, compositivi e rappresentativi delle proposte tengono dunque conto delle specificità e complessità delle due aree di Gaeta e di Spigno Saturnia. Per quanto riguarda l’intervento di Gaeta, questo può essere letto come un intreccio di tre materiali urbani, ognuno dei quali è stato scelto in riferimento ad una specifica funzione ed a un specifico ruolo urbano che deve svolgere nell’ambito del disegno complessivo: il primo materiale è il verde, elemento di schermatura ecologica e materiale di connessione tra diverse “archeologie” (i reperti archeologici veri e propri, ma anche i gasometri di cui si prevede il recupero); il secondo materiale è la “natura progettata” al di sotto della quale si sistemano i lotti artigianali; il terzo è l’edificio - rampa, elemento architettonico unitario all’interno del quale, attraverso l’articolazione della sezione risulta possibile introdurre tutte le diverse funzioni previste. Questo unico elemento architettonico, che assicura la coerenza dell’intero disegno urbano, è concepito a partire da una grande attenzione alla continuità tra spazi pubblici e privati, prevedendo non solo una contiguità in senso orizzontale (tra piazze e percorsi connettivi interni) ma anche in senso verticale (percorribilità dell’edificio come rampa). La chiarezza e la riconoscibilità dell’ impianto diventano presupposti fondamentali per la ricerca sulla qualità degli spazi a tutte le scale del progetto: un costante rapporto con l’esterno e con la natura; spazi connettivi fluidi nei quali il continuo cambio delle direzioni della geometrie genera prospettive nuove ed accattivanti; la presenza di passaggi aperti a quote diverse, in modo da poter introdurre molteplici e differenti punti di vista dell’insediamento; il superamento della rigidità e la specializzazione degli impianti produttivi e commerciali a favore di una ricerca di spazi dal carattere marcatamente urbano ed estroverso. Si tratta in definitiva di un sistema urbano aperto in
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Il paesaggio come costruzione di una nuova identità: le aree produttive di Gaeta e Spigno Saturnia
continuità con il paesaggio circostante e strutturato a partire dai grandi segni del territorio, con i quali il nuovo edificio, con la sua geometrica chiarezza e la sua dimensione rilevante, può confrontarsi. Per quanto riguarda l’intervento di Spigno Saturnia, la scelta di porre a caposaldo del nuovo impianto un edificio di indubbio valore simbolico per la comunità di Spigno, come l’ex Fornace Pontina, prevedendone il riutilizzo per funzioni pubbliche, rappresenta senz’altro un primo punto di qualificazione generale, specialmente se lo si valuta in relazione all’idea dell’ampia piazza con spazi verdi che si è prevista in continuità con questo complesso architettonico. Questa area funge da vero e proprio atrio, aprendo tutto il sistema produttivo all’agglomerato di Spigno Saturnia. Il disegno dell’insediamento produttivo è stato sviluppato con grande attenzione anche relativamente agli spazi aperti, rifuggendo soluzioni monotone e bloccate: un fattore di specificità è costituito dalla formazione di un sistema di oblunghi spazi pedonali sempre aperti verso il paesaggio circostante, che consentono di aprire visuali e prospettive nuove ed accattivanti sia rispetto al contesto naturalistico sia rispetto agli edifici produttivi stessi, stabilendo relazioni visuali continuamente cangianti, che in pochi passi mutano da quella frontale a quella di scorcio. È un dinamismo che è in grado di non fornire mai di due edifici differenti la stessa visuale nel medesimo punto di vista, costringendo lo sguardo del visitatore a muoversi tra gli elementi architettonici. D’altro canto, proprio in quanto si tratta di un insediamento che verrà realizzato in tempi differenti, nel quale non è possibile controllare in maniera precisa l’esito finale delle diverse architetture, lo spazio aperto deve svolgere un ruolo di primo piano nella qualificazione complessiva dell’impianto. L’intero sistema risulta quindi articolato in parti diverse, ognuna tesa a cogliere le peculiarità della sua posizione, del panorama su cui affaccia, delle funzioni che vi prospettano: l’articolata continuità di questi spazi genera un sistema unico ed omogeneo, riconoscibile come nuova centralità urbana. Per quanto riguarda l’altro aspetto caratterizzante, il “pieno” degli edifici produttivi, l’idea di plan – masse proposta è associata alla ricerca di dimensioni urbano – architettoniche intermedie conformi, tali da essere sufficientemente autonome e flessibili rispetto all’attuazione del piano, ma altrettanto compatte da superare l’estrema eterogeneità che caratterizza quasi sempre questo tipo di insediamenti. Inoltre la presenza diffusa del verde, nelle sue varie declinazioni (collina verde al di sopra dei parcheggi, fascia naturalistica di valenza ecologica, piazza verde) rappresenta un ulteriore elemento di specificità per il nuovo insediamento industriale di Spigno Saturnia. Il controllo di questo livello di qualità formale, rappresentato nell’ambito delle proposte concorsuali per Gaeta e per Spigno in un’immagine capace di suggerire solo una delle possibili configurazioni, dovrà essere ulteriormente specificato in una normativa edilizia di tipo prestazionale, necessaria per garantire l’attuazione del futuro Piano Particolareggiato.
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Territorio, geografia e sezione
Territorio, geografia e sezione Noela Besenval Politecnico di Torino Dipartimento di Architettura e Design Email: noela.besenval@polito.it Tel. 011.5646514
Abstract Il presente scritto fa parte della Tesi di Dottorato “Linee d’acqua: il Canale Cavour come sistema insediativo” (in corso di svolgimento) che indaga alcuni aspetti inerenti la realizzazione di questa grande infrastruttura idraulica, a partire dai quali vengono proposte nuove trasformazioni territoriali che riguardano questi stessi luoghi. Il progetto ottocentesco del Canale diventa quindi, dal punto di vista compositivo e soprattutto rispetto ad alcune tematiche (rapporto con la geografia, gli insediamenti, e la sua stessa natura di architettura), esemplare nelle modalità di rapportarsi a queste problematiche, dove le soluzioni sono ricavate all’interno di una profonda conoscenza ed analisi del territorio inteso non come supporto alla progettualità, ma come elemento generatore del progetto. In questa sede verrà affrontato il tema relativo al rapporto tra il manufatto idraulico e la forma della Terra attraverso l’analisi dei caratteri geografici che appartengono a questi luoghi e che hanno suggerito il progetto del Canale, affinché sia possibile realizzare una “continuità di intenti” che pone il territorio stesso al centro delle trasformazioni che lo riguardano.
Descrizioni territoriali: il tracciamento del Canale Cavour Il Canale Cavour è la prima grande realizzazione post-unitaria, la cui costruzione, avvenuta tra il 1863 e il 1866 su progetto dell’Ing. Carlo Noè, ha permesso di derivare le acque dal fiume Po sino al Ticino, mettendo a sistema le acque naturali e artificiali della pianura compresa tra le Province di Torino, Vercelli e Novara (figura 1). Artefice di questo grande progetto fu il conte Camillo Benso di Cavour (Bobba, 2011), allora Presidente del Consiglio dei Ministri, che attraverso lo studio e la conoscenza delle grandi opere di ingegneria idraulica straniere (Francia, Cantone di Ginevra e l’Inghilterra) provò a riportare sul territorio piemontese ciò che già si stava facendo negli altri paesi europei (Segre, 1992), permettendo a questo di raggiungere gli alti livelli di produttività agricola che conosciamo ancora oggi. La fase analitica dello studio prende in considerazione il Canale e le relazioni che esso intrattiene con la forma della Terra, ovvero quei caratteri fisici che connotano il territorio attraversato dall’infrastruttura, dando un ruolo centrale alla documentazione di Archivio (AIES, Archivio Storico delle Acque e delle Terre Irrigue di Novara) che nelle sue rappresentazioni e descrizioni testuali illustra molto bene la geografia di questi luoghi fatta di reticoli d’acqua, altopiani, e vallate. Lo studio del manufatto corrisponde forzatamente a quello del territorio, poiché è su questa trama architettonica naturale, ovvero la pianura irrigua che dal Po arriva fino al Ticino, che la realizzazione di tale opera assume per quanto possibile, rispetto alle questioni idrauliche, la geografia come “programma di progetto”. Tale progetto trova quindi nella conformazione del suolo un supporto fisico su cui articolare la propria costruzione, cha a seconda del tipo di “forma del territorio” produce differenti risultati, assumendo così, lungo i suoi ottantadue chilometri di sviluppo differenti conformazioni. Questa varietà di architetture è tenuta assieme dal Canale stesso, che invece di un’asta, potremo definire una sezione territoriale sulla quale vengono proiettati gli elementi geografici presenti nell’intorno, mostrando così in modo superbo il suo carattere di architettura geografica. Risulta quindi fondamentale iniziare la trattazione del Canale, inteso come architettura geografica (Occelli & Palma, 2010) a partire da un’attenta analisi del sito volta a mettere in evidenza la morfologia del suolo facendo ricorso a termini che provengono dalla geografia fisica, e in modo particolare agli studi dei “morphologistes” di fine Ottocento che hanno utilizzato la struttura, ovvero la geologia, Noela Besenval
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come “source d’explication de la géographie” (Méynier, 1969; pp.14-17). L’importanza attribuita alla geologia permette di indagare il territorio in termini architettonici, e di utilizzare le figure dell’architettura per descrivere la Terra e i suoi elementi in maniera più efficace, come nel caso della “scoperta scientifica”del Monte Cervino (Rey, 1962). Uno dei più illustri filosofi e geologi settecenteschi, Horace-Bénédict De Saussure dopo essersi occupato del “colossale edificio dell’Alpi, il Monte Bianco” descrive il Monte Cervino “fiera cima che si estolle ad un’enorme altezza, come obelisco triangolare, che sembra tagliato da uno scalpello” (Rey, 1962; p.26). Lo studioso ginevrino dinanzi a qualcosa di sconosciuto (dal punto di vista scientifico) fonda la sua analisi sull’analogia, vedendo nella struttura del Monte quella dell’obelisco, e fissando questa corrispondenza attraverso l’utilizzo di un apparato descrittivo che appartiene all’architettura. Questa modalità di attraversare la natura la ritroviamo, seppur in maniera meno implicita, all’interno delle operazioni di tracciamento del Canale (AIES, Posizioni 2/180) che descrivono il territorio nei suoi aspetti fisici/architettonici, e che mostrano i numerosi punti in cui la nuova infrastruttura assume la forma del suolo come elemento su cui fondare il proprio disegno. Il manufatto idraulico ha origine dalla sponda sinistra del Po, appena sotto il ponte di Chivasso, e percorre la vallata del suddetto fiume accostandosi progressivamente all’altopiano che divide il fiume Po e Dora Baltea. In corrispondenza di Verolengo, esso guadagna la quota di tale altopiano per superare la Dora Baltea, e procedere in direzione nord-est lungo la parte superiore dell’agro vercellese sino al torrente Elvo, intersecando convenientemente la rete irrigua esistente. Solcato l’altopiano che separa l’Elvo dal Cervo, il tracciato sovrappassa questo ultimo torrente e la sua ampia valle, dopodiché, guadagnata la quota dell’altopiano che separa quest’ultimo dal fiume Sesia, sovrappassa i torrenti Roasenda e Marchiazza. Sottopassato tale fiume, il Canale attraversa la grande zona territoriale del basso Novarese e della Lomellina racchiusa fra il suo tracciato e i fiumi Sesia, Po e Ticino, e inclinata nella direzione di tali corsi d’acqua presentando un declivio di circa cento metri. Valicata questa grande area si arriva alla vallata Ticino, poco al di sotto del passo per Turbigo, con un’elevazione di circa centocinquanta metri sopra il livello del mare e di ventisette metri sopra il livello delle acque ordinarie del fiume. In questa direzione, il progetto del Canale può essere considerato come un intervento che si colloca e si struttura all’interno di una trama architettonica esistente, ovvero il territorio, dove il ricorso all’archetipo ne facilita la traduzione da dato naturale a fatto artificiale. Grazie alla natura sintetica dell’archetipo i terrazzi precedentemente descritti ci appaiono come la muraglia di Scolari all’interno de “La fortezza nascosta”, linea sul territorio che separa due luoghi diversi (Pizzigoni, 2011; pp. 58-64), mentre le valli fluviali richiamano la ““torre sepolta”, una sorta di architettura della terra vista come forma scavata, uno spazio puramente negativo originato da fratture o slittamenti del terreno, o come vuoto lasciato nella terra da costruzioni antiche o non ancora realizzate” (Pizzigoni, 2011; p. 62). Invece, per quanto riguarda il piano inclinato che il Canale e i corsi d’acqua del Po, della Sesia e del Ticino definiscono nella zona del basso Novarese e della Lomellina, esso risulta di più difficile lettura rimandando non tanto ad un archetipo, quanto piuttosto ad un grande edificio, l’anfiteatro. Il progetto del Canale Cavour sembra quindi muoversi all’interno di un paesaggio archeologico dove il territorio restituisce frammenti di architetture su cui reimpostare un nuovo strato.
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Figura 1. In rosso il tracciato attuale (Ing. Carlo Noè), mentre in giallo quello proposto dall’agrimensore F. Rossi e mai realizzato.
Rappresentazioni territoriali: la sezione Il rapporto tra natura e artificio viene indagato in modo più operativo dando valore allo spazio della rappresentazione come luogo di confronto tra le due componenti del territorio, dove l’architettura gioca il ruolo principale, poiché oltre ad essere un fatto fisico si rivela anche nella sua natura di dispositivo di rappresentazione dando valore alle forme della Terra. Anche in questo caso, è lo studio del Canale a suggerire l’importanza della rappresentazione, e più precisamente il suo status di sezione territoriale di laterizio che con i suoi nodi idraulici rappresenta una sorta di linea di proiezione degli elementi geografici della pianura. Il Canale è quindi sia un luogo fisico (manufatto) che di rappresentazione (sezione). Stessa cosa accade, ma in direzione opposta, all’interno degli elaborati grafici di Archivio che riguardano la progettazione dei cavi diramatori a favore delle aree del basso Novarese e della Lomellina, dove il piano inclinato in direzione nord-sud e ovest-est, viene ricostruito nella sua interezza assumendo l’aspetto di una grande architettura. Questa rudimentale prospettiva (AIES, Disegno 2074) viene creata attraverso l’unione di dieci profili altimetrici ottenuti sezionando con piani verticali paralleli ed equidistanti cinque chilometri l’uno dall’altro il territorio a sud del Canale. In questa rappresentazione la sezione longitudinale del Canale è il primo anello, la “summa cavea”, di questo grande anfiteatro articolato in gradoni tagliati trasversalmente da fiumi, torrenti, corsi d’acqua minori e strade. Gli anelli posti a valle del manufatto idraulico mostrano l’andamento sinuoso del suolo e il loro rapporto con i percorsi, i corsi d’acqua e gli insediamenti, dove questi ultimi, costituiscono nella maggioranza dei casi la costruzione fisica del dato naturale come avviene lungo il terrazzo del Ticino. Dopo aver individuato gli aspetti architettonici all’interno dell’elaborato grafico relativo al progetto delle derivazioni, passiamo a determinare i caratteri di dispositivo di rappresentazione del Canale in quanto manufatto, soprattutto nei punti in cui esso interseca gli elementi geografici. Un esempio significativo è quello fornito dalle vallate fluviali dove il Canale si trasforma in ponte andando a leggere questa frattura del suolo con la realizzazione di un manufatto come la grande “facciata monumentale” del ponte-canale sul fiume Dora Baltea (figura 2).
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Figura 2. Il ponte-canale presso il fiume Dora Baltea. Invece, nel caso del sottopassaggio dei corsi d’acqua, l’infrastruttura idraulica scompare attraverso l’architettura ipogea della tomba sifone e restituisce in superficie una grande piazza lastricata. Lungo i suoi ottantadue chilometri di sviluppo l’infrastruttura rilegge le forme della Terra assumendo i terrazzi come basamento, le vallate come spazio in negativo da completare, e il suo stesso invaso come “summa cavea” di un immenso teatro geografico ai piedi del fiume Po. In questa direzione, il manufatto assume un ruolo importante nella narrazione del territorio e delle sue specificità diventando esso stesso una lezione di geografia a cielo aperto. Questa “messa in scena” della forma del territorio utilizzando il carattere di dispositivo di rappresentazione insito nell’architettura ci riporta alle pratiche della disciplina geografica ottocentesca, dove l’aspetto pedagogico dell’insegnamento privilegia la pratica nella trasmissione del sapere (Besse, 2003). Questo atteggiamento assegna al costruito il compito di illustrare gli aspetti che riguardano la geografica attraverso l’allestimento in un giardino di una carta geografica fino ad arrivare alla costruzione di veri e propri edifici atti ad illustrare la Terra (“géoramas”). Rispetto a questo tema, risulta particolarmente interessante come questi luoghi, strumento di divulgazione della disciplina geografica, assumono anche la connotazione di “loisir” diventando veri e propri spazi pubblici all’interno della città.
Sezioni tematiche territoriali: i nuovi itinerari identitari e turistici del Vercellese Rispetto ai temi sinora affrontati e scorrendo lo sguardo anche in modo sommario sul territorio attraversato dal Canale, si arriva in un punto dove, in un breve tratto compreso tra il torrente Elvo e il fiume Sesia, lo spazio geografico sembra aver subito un’accelerazione a causa della presenza di numerosi corsi d’acqua e valli che con il loro disegno complessivo costituiscono un grande anfiteatro geografico. Accanto ad esso, a cavallo del fiume Sesia, un rettangolo, l’area normativa del Parco delle Lame del Sesia. Questo paradosso rappresenta un’opportunità di lavoro sul ruolo del Parco Naturale all’interno del territorio, partendo dai presupposti normativi che lo hanno creato, affidandogli il compito relativo alla conservazione di ambienti di preesistente valore naturalistico e all’uso ricreativo, e cercando di individuare nuove modalità di attuazione di queste disposizioni legislative. Assumendo la visione del territorio inteso come architettura, possiamo estendere l’area del Parco a tutto questo sistema di valli fluviali presenti all’interno di questo enorme anfiteatro, poiché dal punto di vista fisico/morfologico il fiume Sesia è un elemento di questa grande rete idrografica a cui appartengono Noela Besenval
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anche il torrente Elvo, Marchiazza, Roasenda e Cervo. Tale fiume riveste un ruolo molto importante all’interno del sistema delle acque presenti nell’area, poiché è la dorsale su cui si attestano i corsi d’acqua secondari e il punto rispetto al quale ha inizio una sequenza frattale di confluenze che taglia il territorio in tanti piccoli settori. Inoltre, lungo l’asta del fiume Sesia, in corrispondenza della città di Vercelli, hanno origine i percorsi principali e secondari di collegamento agli insediamenti posti a nord del nucleo urbano, dove la strada statale per Ivrea e quella lungo il terrazzo del fiume rappresentano rispettivamente i limiti a ovest e a est di questo sistema infrastrutturale. L’analisi della rete idrografica e di quella infrastrutturale mette in evidenza il carattere radiale dei questi elementi di connessione del territorio, che corrispondono al sistema distributivo delle gallerie radiali inclinate di scale o rampe presenti all’interno dell’anfiteatro romano. Appartengono a questa architettura anche i “percorsi di balconata” che, a partire dal Canale Cavour fino a poco sopra la città di Vercelli, tagliano il sistema di vallate da est a ovest, e che nel loro disegno complessivo a gradoni richiamano proprio la “cavea” dell’anfiteatro. La proposta progettuale, che assume i tratti di una grande opera di restauro territoriale, ha l’obiettivo di mettere in atto, o meglio di rendere praticabile, questa lettura del territorio attraverso l’utilizzo dei percorsi come strumento in grado di fare riemergere gli elementi principali di questo grande sistema. La rilettura fisica di un sito e l’attribuzione di questo ruolo all’architettura del percorso la possiamo ritrovare all’interno del progetto di sistemazione del parco ai piedi dell’Acropoli e al colle Filopappo di Dimitris Pikionis. Qui l’architetto greco, ha ridato forma ad un luogo ridefinendo il Mito, con la ricostruzione dei rapporti tra gli elementi dell’architettura e del paesaggio attraverso un sistema di percorsi che assumendo il disegno del suolo diventano vere e proprie “macchine della visione” (Ferlenga, 1996). L’intera composizione si regge sul rapporto del singolo elemento rispetto all’insieme di relazioni, ovvero lo sfondo, come avviene nella pittura di Cézanne dove la composizione “si costruisce per determinati e progressivi scorci visuali ritagliando determinati spicchi di paesaggio” (Vincenti, 2010). Ritornando al caso di studio, il percorso diventa quindi il dispositivo di rappresentazione del territorio, mentre la mobilità dolce con la sua lentezza e il suo aderire alla forma della Terra è le modalità con cui poter fruire di questi spazi. Tali percorsi, in continuità con il progetto della ciclabilità che riguarda il Canale Cavour, accanto alla sede veicolare accolgono quella ciclabile attribuendo ad essa il ruolo di pratica conoscitiva e identitaria dei paesaggi attraversati. La rete ciclabile esistente si snoda dal Canale, in corrispondenza dell’insediamento di Greggio che funge da punto di scambio tra l’auto e la bicicletta, lungo le sponde del fiume Sesia, per entrare nella città di Vercelli e intercettare la rete locale che percorre il tracciato delle antiche mura. Il progetto va a completare la rete infrastrutturale a bassa velocità esistente appena descritta con la realizzazione di un sede ciclabile lungo la Strada Provinciale Vercellese, in modo da definire il limite di tale sistema. All’interno di questo grande anello ciclabile, che parte dal Canale nei pressi del fiume Sesia e ne percorre le sponde sino a raggiungere la città di Vercelli, per poi risalire nuovamente verso l’infrastruttura idraulica, i percorsi di balconata (giacitura est-ovest) formano anelli più piccoli e concentrici rispetto a questo determinando una sorta di sprofondamento passando dalla grande scala del territorio a quella minima del centro storico. Questi anelli sono delle sezioni territoriali tematiche che illustrano differenti specificità, a partire dal Canale Cavour fino ad arrivare al recinto del centro storico di Vercelli, e passando per gli “insediamenti di crinale” e i piccoli borghi rurali di pianura. Inoltre, i percorsi ciclabili di balconata quando attraversano gli insediamenti esistenti si dotano di spazi di sosta, piccole piazze, che a seconda della morfologia del costruito diventano spazi lineari o centrali, in maniera tale che questo grande sistema di percorrenze diventi un’importante infrastrutturazione territoriale e una nuova modalità di fruizione degli spazi collettivi in chiave identitaria e turistica.
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Figura 3. Schema progetto dei nuovi itinerari identitari e turistici nel territorio di Vercelli.
Bibliografia Noè C., Proiezione sul medesimo piano verticale AB di un tratto di profilo del Canale Cavour e di altri dieci altri profili altimetrici eseguiti parallelamente allo stesso piano ed a distanze di cinque chilometri l’uno dall’altro nell’Agro sottoposto al Canale suddetto e compreso fra la Sesia il Po e il Ticino, sec. XIX, ASCC, Disegni, n. 2047. Noè C., “La natura è provvida in tutto…”, s.d., né firma, in ASCC, pos. 2, fasc. 180. Besse J. M. (2003), Face au monde: atlas, jardins, géoramas, Desclée De Brou, Paris. Bobba D. (2011), “L’irrigazione nella campagna vercellese”, in Cavicchioli S. (a cura di), Camillo Cavour e l’agricoltura, Carocci, Torino, pp. 191-229. Ferlenga A. (1996), “Recinti della visione”, in Casabella, n. 638. Méynier A. (1969), Histoire de la pensée géographique en France, Presses Universitaires de France, Paris. Occelli C., Palma R. (2010), “Lo stupore della lentezza. Ciclovie, infrastrutture e nuovi immaginari territoriali”, in Atti XV Convegno Nazionale Interdisciplinare, Palmanova, 16-17 settembre 2010, Overview allegato Architettura del paesaggio, n. 24, 435-439. Pizzigoni A. (2011), “Dalla rappresentazione di paesaggio alla ricerca in architettura. Scritti e acquerelli di Massimo Scolari”, in Motta G. (a cura di), Educazione all’architettura, Franco Angeli, Milano, pp. 33-80. Rey G. (1962), Il Monte Cervino, Andrea Viglongo e C. Editori, Torino. Segre L. (1992), “La graduale formazione del pensiero agronomico del conte di Cavour”, in Padania, n.12, 145149. Vincenti M. (2010), L’architettura del parco nel disegno della città. L’idea dell’arcipelago come strategia di definizione degli spazi aperti e dispositivo di riconfigurazione della forma urbana, Alinea, Firenze, pp. 101-104. Luciano Segre, (1992). La graduale formazione del pensiero agronomico del conte di Cavour. Padania, VI (n.12), 145-149. Mauro Vincenti (2010), L’architettura del parco nel disegno della città. L’idea dell’arcipelago come strategia di definizione degli spazi aperti e dispositivo di riconfigurazione della forma urbana, Firenze, Alinea editrice, pp. 101-104.
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Disegnare il paesaggio
Disegnare il paesaggio Camillo Orfeo Università Federico II di Napoli Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica Email: camillo.orfeo@tin.it Tel/fax 347.0065971 / 087.257715
Abstract Il disegno rappresenta la forma più semplice di appropriazione di un luogo, di un paesaggio, perché implica un’operazione di identificazione e misurazione, un atto di conoscenza della realtà, capace anche di proporre spiegazioni, avanzare giudizi e determinare programmi. Le teorie dell’architettura e della progettazione fondate su principi logici fissano i propri riferimenti sulla classificazione, sulla sequenza ordinata di esempi, sull’atteggiamento manualistico. Il progetto stesso, in quanto atto conoscitivo, coincide con la comprensione delle regole che progressivamente si sono codificate, e si rivela uno strumento per la conoscenza della realtà. La modernizzazione della rete ferroviaria italiana con la costruzione delle nuove linee ad alta capacità/velocità, permette di liberare grandi aree in territori di pregio. La trasformazione dell’infrastruttura da sistema isolato e indipendente a sistema paesaggistico strutturante, costituisce l’occasione per ipotesi di lavoro capaci di rendere intellegibili le forme del territorio e del paesaggio.
Il disegno del paesaggio Immaginare Il termine paesaggio, più ambiguo di territorio e di natura, è sempre più spesso usato nel lessico comune anche in architettura e in pianificazione, cioè in quelle attività che presuppongono la costruzione e la trasformazione dell’ambiente. La maggior consapevolezza degli approcci progettuali nei confronti della natura e del territorio ha imposto studi specialistici complessi e fortemente integrati tra loro, un processo interdisciplinare aperto a competenze eterogenee con influenze dirette sulle politiche territoriali, e capace di controllare i processi di trasformazione. Il progetto di paesaggio può occupare intere regioni o piccole superfici, ma ha sempre la responsabilità delle decisioni, delle scelte, dei tempi e della durata delle trasformazioni. L’integrazione tra le diverse competenze specialistiche ha, di fatto, sostituito l’approccio statico e anacronistico poetico e pittorico, con uno scientifico costruito sulle mutazioni fisiche e ambientali. Possiamo, quindi, definire paesaggio una relazione di fatti in continuo movimento. Il movimento, o mouvance, come definito dalla scuola francese, si riferisce alle mutazioni fisiche, alla dinamica che comporta il continuo spostamento di ciò che percepiamo. Un movimento perpetuo riferito non solo ai mutamenti fisici, ma al fatto stesso che il paesaggio non è statico poiché nasce dalla dinamica del trascorrere del tempo, dall’alternarsi delle stagioni, dei cicli naturali e biologici della natura, e dal complesso delle azioni antropiche sul territorio. Un ambiente capace di modificarsi, e caratterizzato da dinamiche che si manifestano attraverso le interazioni fra i diversi elementi. Quando ci occupiamo di progettazione paesaggistica, dobbiamo anticipare i futuri assetti, prevedere il divenire, che coinvolge progettisti, committenti, gestori sociali e utenti. Uno strumento che si costruisce attraverso un programma a varie scale spaziali, con l’obiettivo di assicurare la coerenza tra l’insieme e le singole parti del territorio in trasformazione. Il progetto di paesaggio permette quindi di definire politiche di pianificazione, scelte di governo e di sviluppo sostenibile. La progettazione dei nuovi paesaggi è possibile solo attraverso la comprensione delle regole della costruzione del territorio, attraverso lo studio della sua evoluzione, tentando una sintesi e integrando studi specialistici su natura, architettura, agronomia, geografia, sociologia, storia, ecc. Camillo Orfeo
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Disegnare il paesaggio
L’architettura del paesaggio si è costruita nella storia, è stata fatta non solo da specialisti e non solo in questo secolo. Basti pensare agli interventi paesaggistici su parchi e giardini di alcuni architetti a partire dal rinascimento, ma anche a tutte le opere che strutturano e costruiscono il nostro paesaggio agrario. E se il 90% del territorio italiano è stato disegnato, modellato, attraversato, il merito del risultato va anche ha chi ha lavorato e vissuto su questo territorio per costruire e vivere questi luoghi. I territori, e di conseguenza i paesaggi, hanno subito negli ultimi anni vaste alterazioni, soprattutto di quei delicati equilibri tra le forme naturali e antropiche. L’uso indiscriminato e banalizzante delle risorse territoriali, l’assenza di una programmazione lungimirante e consapevole, fa riflettere sull’uso e sulle strategie da usare nel rispetto degli assetti naturali e biologici, per una generale qualificazione dell’ambiente in cui viviamo. Ma più importante è forse pensare allo “spazio immaginario del paesaggio”, capire in che modo possiamo creare paesaggi integrando i tratti di territori più naturali, la campagna e le coltivazioni agricole, con quelle aree trasformate dai recenti processi di urbanizzazione. Per dirla con Conan (2008) «lo spazio non è altro che tempo compromesso, e il paesaggio può rendere visibile l’immaginario archeologico delle società contemporanee». 1 Paesaggi critici in cui è possibile immaginare scenari della realtà, spazi materiali e condizioni reali della vita dell’uomo. Possiamo raccogliere i frammenti delle sedimentazioni urbane, dei segni lasciati dall’uomo sul territorio, e attraverso di essi ricostruire un progetto capace di assicurare la coerenza tra le singole parti del territorio in trasformazione.
Figura 1. La costa Teatina tra le città di Ortona e Vasto nella tavola di dell’Atlante Geografico del Regno di Napoli, G.A. Rizzi Zannoni, Napoli 1808.
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Conan M. (2008), Gardens and Imagination: Cultural History and Agency, Dumbarton Oaks Research Library, Washington DC.
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Disegnare Il disegno rappresenta la forma più semplice di appropriazione di un luogo, di un paesaggio, perché implica un’operazione d’identificazione e misurazione, un atto di conoscenza della realtà, capace anche di proporre spiegazioni, avanzare giudizi e determinare programmi. Non solo la rappresentazione dello spazio euclideo entro cui i fatti reali prendono vita ma, descrizione dei caratteri in cui si evidenziano corrispondenze, singolarità, differenze, affinità, essenza e natura dei fatti stessi. Il progetto di paesaggio dagli anni trenta del secolo scorso, è stato spesso assimilato al «progetto “alla grande scala”, che tende a distinguere parti definite e ordinabili attraverso sequenze lineari di incrementi e decrementi (di valore, di uso, di trasformazione, ecc.)» 2. Un modo per imporre un nuovo ordine territoriale, per ricondurre a razionalità, a funzioni pure e specializzate un territorio complesso attraversato da grandi infrastrutture che ne permettevano il collegamento. Questo processo di zonizzazione a scala vasta, si specializza dal secondo dopoguerra, attraverso l’individuazione e la separazione delle “zone”, scegliendo quelle da conservare e quelle da trasformare. In questa direzione si redigono i primi piani paesistici, e in alcuni casi anche l’istituzione e la costruzione dei piani dei parchi naturali risentono di questa impostazione. La fiducia oggettiva nell’individuazione delle zone omogenee e il presupposto che tali aree possano specializzarsi in ambiti funzionali, ha innescato un processo distorto nel tipo di pianificazione, nella pesantezza delle procedure autorizzative e più in generale nel governo del territorio.
Figura 2. La costa Teatina tra le città di Ortona e Vasto nella tavola di dell’Atlante Marittimo delle due Sicilie, G.A. Rizzi Zannoni, Napoli 1792.
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Caravaggi L. (1999), Paesaggi e figure di connessione, PPC Piano Progetto Città, rivista del Dipartimento di Architettura e Urbanistica di Pescara, 96-106.
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Un passaggio utile da ricordare è rappresentato dalla riflessione sulla “forma del territorio” fatta negli anni sessanta, e raccolta nello storico numero di Edilizia Moderna 87-88 (1965), in cui Gregotti costruisce un punto di vista che rompe gli schemi «suggerendo così una diretta operabilità formale: se il territorio ha un disegno, il territorio può essere trasformato attraverso un disegno» 3. In questo modo si «tende a fondare la legittimità del progetto come strumento conoscitivo epistemologicamente fondato, e del fare progettuale come modo di conoscenza» 4. Nella separazione dei momenti di pianificazione e formalizzazione, si misurano le possibilità operative di un lavoro costruito «sugli insiemi ambientali a tutte le scale dimensionali: una specie di progetto e di esperimento a partire dal tentativo di strutturare in senso significativo lo spazio fisico che l’uomo abita sulla terra non solo lavorando ed operando in modo estetico nella costruzione del manufatto, ma conferendo senso estetico anche ad insiemi la cui presenza al mondo è, per così dire, precedente alla nostra azione diretta» 5. Una ricostruzione del senso e dei valori del paesaggio antropogeografico, attraverso un programma che ambiva alla revisione del concetto stesso di natura come valore in se, e al modo in cui è stato considerato nella tradizione dell’architettura moderna. Le teorie dell’architettura e della progettazione fondate su principi logici fissano i propri riferimenti sulla classificazione, sulla sequenza ordinata di esempi, sull’atteggiamento manualistico. Il progetto stesso, atto conoscitivo, coincide con la comprensione delle regole che progressivamente si sono codificate, e si rivela uno strumento per la conoscenza della realtà. Bisogna tuttavia fare attenzione alle posizioni che propongono soluzioni aprioristiche. Il meccanicismo deterministico che prende spunto dalle condizioni naturali, come ci ricorda Tricart, è uno schema semplicistico e generico, e non spiega le leggi della costruzione del territorio. L’ambiente fisico non solo non impone soluzioni, ma non c’è neppure un’influenza diretta e immutabile. Le soluzioni sono determinate dal complesso delle azioni e delle reazioni, delle interferenze tra ambiente fisico e società umane, dalle tecniche disponibili che mutano con lo sviluppo della civiltà. «Non vi è determinismo ineluttabile. Non c’è neppure un’influenza diretta e immutabile delle condizioni fisiche. C’é azione e reazione, interferenza tra ambiente fisico e società umane in contatto con esso. Questa interazione dipende essenzialmente dalle tecniche di cui dispongono i gruppi umani; …bisogna abbandonare questo semplicistico e meccanico determinismo, che corrisponde a una fase dello sviluppo del pensiero scientifico, e sostituirlo con una concezione basata sulla contrapposizione dialettica tra ambiente naturale e società umana dotata di tecniche che mutano con lo sviluppo della civiltà» 6.
Strutture e infrastrutture La modernizzazione della rete ferroviaria italiana con la costruzione delle nuove linee ad alta capacità/velocità, permette di liberare grandi aree in territori di pregio. La trasformazione dell’infrastruttura da sistema isolato e indipendente a paesaggistico strutturante, costituisce l’occasione per ipotesi di lavoro capaci di rendere intellegibili le forme del territorio e del paesaggio. Le ferrovie si sono costruite con logiche autonome ed autoreferenziali, un carattere di indifferenza al territorio attraversato per collegare città molto lontane tra loro. Quando sono costruite a raso, producono un involontario processo di disgregazione delle topografie insediative, soprattutto in quei territori che conservano una struttura storica definita. In Italia le prime linee ferroviarie si sono localizzate spesso lungo la costa, basti pensare alla linea lungo la costa del Vesuvio 7, a quella flegrea, alla costa ligure, o alla costa abruzzese. I sistemi costruttivi, i mezzi a disposizione permettevano la realizzazione rapida ed economica su territori naturali spesso di particolare pregio, attraversando in alcuni casi territori molto sedimentati, in altri poco antropizzati. In queste realizzazioni non era certo misurato l’impatto, e non si aveva nessuna consapevolezza degli effetti che si sarebbero generati sul piano fisico, sociale ed economico, un territorio spesso risultato scompaginato, diviso dalla barriera fisica della linea ferrata. Un’inversione di tendenza è costituita dalla modernizzazione delle reti e dalla consapevolezza che bisogna acquisire per coniugare i dati generali delle infrastrutture con quelle dei territori attraversati. Il processo di ammodernamento delle reti ferroviarie è l’occasione per avviare una coerente politica di valorizzazione, a diverse scale territoriali, e per formulare delle proposte alternative con modelli capaci di coniugare sviluppo e salvaguardia. Porre le basi per la costruzione di infrastrutture ecologiche che sostituiscano quelle trasportistiche dismesse. Infrastrutture composte da sistemi lineari e nodi da realizzare anche attraverso piccoli interventi, in modo da recuperare quella frattura sui territori attraversati, riapertura dei corsi d’acqua, ripristino di suoli permeabili, ricostruzione dei corridoi ecologici, ripristino dei boschi, ecc. In alcuni casi questi processi di trasformazione sono stati avviati, come sulla costa ligure tra Genova e Ventimiglia, grazie dall’arretramento in galleria della linea ferroviaria. Alcuni tratti dismessi sono stati 3
Durbiano G., Robiglio M. (2003), Paesaggio e architettura nell’Italia contemporanea, Donzelli editore, Roma. Ibidem. 5 Gregotti V. (1965) La forma del territorio, Edilizia Moderna, N. 87/88. 6 Dematteis G. (1995), Progetto implicito, il contributo della geografia umana alle scienze del territorio, FrancoAngeli, Milano. 7 Per un approfondimento in Pezza V. (2005), Città e Metropolitana, Vesuvio, Infrastrutture, Territorio, Clean Edizioni, Napoli e Pezza V. (2012), Orfeo C., a cura di, Scritti per l’architettura della città, FrancoAngeli, Milano. 4
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riconvertiti in piste ciclopedonali o in vere e proprie promenade urbane, come quella di Albisola (Savona), trasformando completamente le relazioni spaziali e territoriali tra la costa e l’entroterra.
Il caso della Costa teatina Un altro caso in corso di trasformazione è situato nell’Abruzzo meridionale in provincia di Chieti tra le città di Ortona e Vasto. Lo spostamento avvenuto nel 2005 della linea ferroviaria in galleria, ha liberato una fascia di territorio a ridosso del mare larga poco più di 10 metri e lunga circa 50 chilometri, oltre alle numerose aree occupate dalle stazioni ferroviarie e dai fasci di binari di scambio. Dal 1997 in previsione dello spostamento del tracciato ferroviario è stato avviato un processo per la costituzione di un Parco Nazionale, istituito con la L.N. 93/2001, non ancora costituito come ente e non ancora individuato nel suo perimetro. La provincia di Chieti negli ultimi anni ha avviato la procedura per l’acquisizione delle aree dismesse dalle Ferrovie dello Stato, e ha previsto un intervento di riqualificazione chiamato “Progetto della via Verde della Costa Teatina” che prevede la realizzazione di una pista ciclopedonale sul tracciato dismesso, e servizi e attrezzature turistiche nelle aree delle stazioni. La regione Abruzzo, impegnata nella definizione della perimetrazione del Parco Nazionale, ha elaborato una prima ipotesi inserendo tutto il territorio compreso tra l’autostrada A14 e il mare (Figura 3), e in secondo momento ha accolto le perimetrazioni fatte da alcuni comuni della costa, senza coordinare gli interventi. Il progetto di Parco Nazionale e quello della trasformazione dell’infrastruttura ferroviaria devono essere necessariamente connessi, rappresentano un’occasione per sviluppare un progetto di paesaggio capace di definire le scelte di pianificazione territoriale, e gestire lo sviluppo sostenibile e consapevole del territorio. Nell’assenza di un punto di vista condiviso, di un’idea guida programmatica, emergono diversi punti di vista tra chi difende il paesaggio “che abbiamo ereditato”, che assume la forma del testo da conservare, e chi vuole abolire qualsiasi forma di tutela per difendere un modello di sviluppo ormai anacronistico e incapace di un ruolo strutturante nella costruzione del territorio. La stessa perimetrazione di area protetta che coincide con l’infrastruttura autostradale ci mostra tutta l’incapacità di vedere il territorio, leggerne le caratteristiche, prendere consapevolezza della natura e dei paesaggi che si sovrappongono, e immaginare una strategia e un disegno politico.
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Figura 3. La costa Teatina tra le città di Ortona e Vasto nella tavola IGM scala 1/100.000 Ci s’interroga sul modello di sviluppo di quest’area, sugli obiettivi e sui programmi economico-sociali da applicare. La risposta deve individuare una visione strategica capace di modellare sui territori esistenti quei dispositivi spaziali in grado di gestire in modo corretto le risorse e garantire un’equilibrata tutela ambientale. L’obiettivo è di comprendere le dinamiche dei processi naturali e misurare la sensibilità e la tolleranza dell’ambiente nei confronti degli interventi antropici. Ribaltare il concetto di perimetrazione di Parco che non può essere pensato come un sistema chiuso e statico all’interno di un recinto definito, ma come un sistema mobile, che si sposta a diverse scale e seleziona forme adatte alle reti di nessi che vogliamo costruire, segnalare, ripristinare. Una delle questioni centrali appare il ruolo della natura e degli aspetti ambientali nella prefigurazione di sistemi territoriali complessi, cioè si passa dall’abbandono della visione del paesaggio come “sfondo”, che risponde a logiche percettive che presuppongono una visione statica e conservativa, ad una dinamica ed evolutiva.
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Figura 4. La costa Teatina tra le città di Ortona e Vasto nell’immagine satellitare di Google Maps, in cui è chiaramente visibile la struttura a pettine delle vallate rispetto alla costa e rappresentano degli scrigni di biodiversità Alcune linee d’indirizzo provengono da esperienze consolidate fatte su aree sensibili e di particolare pregio paesaggistico, orientate alla necessità di un controllo di gestione e di sviluppo tramite la riduzione di consumo di suolo per attività intensive, riduzione dell’espansione delle nuove costruzioni, recupero del patrimonio abitativo e edilizio esistente, riduzione dei conflitti ambientali nei contesti fragili. Un progetto che interpreta il paesaggio costiero adriatico, cioè quella fascia di alcuni chilometri sulla quale si sviluppano attività produttive, turistiche, per il tempo libero, generalmente nate in conflitto con l’uso del territorio, che convivono con aree in cui sono prevalenti i caratteri originari naturali, delle vallate e dei tratti preservati dalla linea ferroviaria che correva a pochi metri dalla costa. Un’infrastruttura che ha limitato rispetto ad altri paesaggi adriatici la costruzione della città diffusa preservando aree ricche di diversità biologica (Figura 4). Un sistema territoriale sostenibile capace di mettere al centro la qualità dell’ambiente, in cui le aree protette non assumono un ruolo di difesa di zone a bassa antropizzazione, ma costruiscono la struttura dell’intero territorio. Un’interconnessione ecologica capace di occuparsi del recupero della continuità ambientale, in modo da difendere la biodiversità, e i rapporti evolutivi che ne possono derivare. Le zolle urbanizzate del territorio possono strutturarsi attorno a dei veri e propri corridoi biologici. Si tratta di costruire un progetto in cui le infrastrutture ambientali sono in grado di ricomporre il territorio, contribuire alla costruzione del paesaggio contemporaneo e contenere reti di comportamenti ed economie sostenibili. Un’occasione per esplorare le possibilità di «indirizzo di sistemazione dello spazio volto a conciliare la conservazione degli elementi concreti del paesaggio per ragioni storiche, ecologiche, economiche, simboliche o Camillo Orfeo
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estetiche, e l’ideazione di forme innovative che corrispondono a nuove o antiche funzioni e utilizzazioni del territorio» 8. Le città, le antiche fortificazioni, i monasteri che presidiavano il mare, i trabocchi (macchine da pesca sospese su palafitte), i porti, i fari e le lanterne, l’infrastruttura ferroviaria dismessa con i suoi ponti, rilevati, gallerie, stazioni, formano quel grande insieme di fatti definiti che appartengono e costruiscono il disegno di questo territorio, e che possono essere ricomposti all’interno di una rete di continuità ambientale. Un disegno (come progetto ma anche come strategia) che misura lo spazio, seleziona le forme e tiene insieme gli elementi e che a varie scale, interpreta i nessi attraverso nuove configurazioni spaziali.
Figura 5. Un tratto della Costa Teatina nei pressi di San Vito Chietino, nei pressi del promontorio dannunziano, dove è visibile un tratto della linea ferroviaria dismessa aggredita dall’erosione e un trabocco, sullo sfondo il porto di Punta Penna a Vasto. «Il pianeta si urbanizza, si attrezza, si riorganizza e parallelamente, il paesaggio si trasforma in maniera radicale. [...] In pochi decenni il nostro ambiente più famigliare è stato trasformato. Le categorie di sensazione, percezione e immaginazione sono state sconvolte dalle innovazioni tecnologiche e dalla potenza dell’apparato industriale che le diffonde» 9. In questo contesto le architetture, i territori, i paesaggi, assumono un significato solo quando ne scrutiamo il senso più profondo fuori dalla loro oggettiva utilità. La conservazione, la memoria, l’identità dei luoghi restano i punti necessari alla costruzione di un processo di trasformazione continuo e ineluttabile. Il disegno è la disciplina che ha bisogno delle cose, delle figure, delle forme, ci aiuta a vedere le molteplici identità, a scoprire la memoria dei luoghi e le vocazioni dei territori analizzati. Le posizioni del progetto sono spesso sospese tra la salvaguardia delle emergenze paesaggistiche, ambientali e culturali, e la ricerca di ambiti territoriali da urbanizzare, da trasformare in quello sprowl urbano diffuso e continuo delle periferie suburbane. Il progetto di paesaggio può “mettere a sistema” strati composti da reti, di viabilità, di acqua, di spazi pubblici, di sistemi di verde, ecc.. Una “Progetto Pilota” in grado di proporre strategie metodologiche flessibili di sviluppo, che facilitano la riqualificazione urbanistica anche attraverso la sostituzione edilizia, la ricostruzione del sistema delle reti ecologiche e di mobilità sostenibile, ecc. Un disegno di paesaggio costruito sulla stratificazione della memoria che, come per «la comprensione della storia, esige uno sguardo doppio, storico e arcaico, in grado di cogliere una doppia temporalità» 10. La storia definisce la conservazione degli elementi da conservare, l’arcaico la ripetizione in cui i nuovi apporti progettuali possono trovare la propria identità attraverso uno sguardo sapiente e archeologico.
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Donadieu P. (2002), Conservazione inventiva, Lotus Navigator N. 5, Fare ambiente. Augé M. ( 2012), Futuro, Bollati Boringhieri editore, Torino. 10 Cassinari F. (1995), Lo spazio, la distanza, la scrittura, Informazione Filosofica. Bimestrale a cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici Giuridici, anno IV. 9
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Bibliografia Libri Augé M. (2012), Futuro, Bollati Boringhieri editore, Torino. Conan M. (2008), Gardens and Imagination: Cultural History and Agency, Dumbarton Oaks Research Library, Washington DC. Dematteis G. (1995), Progetto implicito, il contributo della geografia umana alle scienze del territorio, FrancoAngeli, Milano. Durbiano G., Robiglio M. (2003), Paesaggio e architettura nell’Italia contemporanea, Donzelli editore, Roma. Pezza V. (2005), Città e Metropolitana, Vesuvio, Infrastrutture, Territorio, Clean Edizioni. Pezza V., Orfeo C. (a cura di, 2012), Scritti per l’architettura della città, FrancoAngeli, Milano. Articoli Caravaggi L. (1999), “Paesaggi e figure di connessione”, PPC Piano Progetto Città, rivista del Dipartimento di Architettura e Urbanistica di Pescara, 96-106. Cassinari F. (1995), “Lo spazio, la distanza, la scrittura”, Informazione Filosofica, Bimestrale a cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici Giuridici, anno IV. Donadieu P. (2002), “Conservazione inventiva”, Lotus Navigator N. 5, Fare ambiente.Gregotti V. (1965) La forma del territorio, Edilizia Moderna, N. 87/88.
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Costruire la città-laguna: da Venezia alla laguna, dalla laguna a Venezia
Costruire la città-laguna: da Venezia alla laguna, dalla laguna a Venezia Daniele Cannatella Email: daniele.cannatella@gmail.com Tel. 393.1084209 Sabrina Sposito Email: sposito.sabrina86@gmail.com Tel. 333.7279584
Abstract Il contributo fa riferimento al lavoro di tesi di laurea specialistica condotto dagli autori sul territorio lagunare veneziano. La laguna, come sfondo del progetto urbano, crea un’occasione per ripensare la città tradizionale di Venezia, reinterpretandola nell’accezione più contemporanea di città-laguna. La laguna è varcata, attraversata, connessa, abitata; è lo spazio entro il quale la città storica, ormai satura, trova respiro e si muove, si dilata, si diversifica; è un parco di nuova generazione, in cui il progetto urbano diviene lo strumento per creare una nuova forma di paesaggio, che coniuga gli elementi tradizionali e consolidati della città con il territorio lagunare. La tesi proposta si muove nell’ambito di ricerca del landscape urbanism, riletto attraverso i concetti della sostenibilità e della resilienza, e trova argomentazioni in casi studio di respiro internazionale, quali “Palisade Bay” per il waterfront di Manhattan, “Wetland Machine” per le paludi pontine e il progetto del “Parco Metropolitano delle acque” di Saragozza.
Il bisogno di paesaggio Già all’inizio del secolo scorso il filosofo e sociologo Georg Simmel, nel suo Filosofi del denaro fa uso del concetto di paesaggio per spiegare il particolare modo di stare al mondo dell’uomo moderno (Sassatelli, 2006). La visione che Simmel ha del paesaggio è quella di elemento di compensazione rispetto ad una natura da cui l’essere umano è ormai estraniato. È proprio il modo di vivere la natura come paesaggio, come “un’immagine lontana, che persino nei momenti di vicinanza fisica sta davanti a noi come qualcosa di intimamente irraggiungibile, come una promessa mai completamente mantenuta”, che secondo Simmel è frutto della lacerazione che il vivere moderno porta con sé (Sassatelli, 2006). Ciò avviene perché, se da una parte l’uomo nasce e si manifesta più chiaramente nella metropoli, dall’altra per esso l’esperienza del paesaggio è la promessa di conciliazione e fine della frammentazione (Sassatelli, 2006). In tempi più recenti, l’idea di paesaggio che è andata consolidandosi è quella di una lente attraverso la quale la città contemporanea è rappresentata e un mezzo attraverso il quale essa è costruita. Questi elementi e un ulteriore passo in avanti sono evidenti nel concetto di landscape urbanism (Waldheim, 2006), dove l’interazione tra sistemi naturali e sistemi artificiali è posta al centro del progetto della forma urbana. (Mantovani, 2009). Quindi il paesaggio, partendo dall’idea di Simmel – secondo il quale esso non è un mero riflesso dello sguardo umano, ma il luogo in cui l’uomo sottrae alcuni fenomeni al “naturale anonimato”, nel tentativo di riunire i frammenti attraverso una attribuzione di senso a ciascuno di essi – arriva ad essere, nel landscape urbanism, un mezzo attraverso cui fondere le componenti naturali e quelle antropiche nel progetto urbanistico, e al contempo l’antidoto alla sclerotizzazione dell’urbanistica basata sullo zoning funzionale. (Mantovani, 2009).
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Dai disegni agli scenari (Dal progetto al processo) Il landscape urbanism come alternativa al tradizionale dialogo tra edifici e paesaggio, propone una simultanea presenza dell’uno dentro l’altro, di architettura nel paesaggio e di paesaggio nell’architettura, a formare un materiale ibrido con cui costruire la città futura (Mantovani, 2006). Ma non solo: esso contrappone ad un processo di pianificazione basato sul disegno, un metodo operativo, dinamico, nel quale il paesaggio ha un ruolo centrale nell’integrazione tra natura e sviluppo urbano, nel tentativo di riunire in un certo qual modo quei frammenti identificati da Simmel. Anche il tempo ha un ruolo fondamentale: il progetto diviene processo, “operazione produttiva”; landscape urbanism significa riportare il tempo nella progettazione urbana, come fattore dinamico costituito da due diverse scale, una a lungo termine, quella della natura, e una a breve termine, quella della realtà urbana in rapida trasformazione, privilegiando un processo continuo di scelta tra opportunità di cambiamento piuttosto che il disegno finito di masterplan. (Mantovani, 2009).
Progettare con il paesaggio Il Libro bianco e la resilienza Il Libro bianco per l’adattamento ai cambiamenti climatici, elaborato dalla Commissione delle Comunità Europee nel 2009, evidenzia come la lotta ai cambiamenti climatici imponga due tipi di risposta: la prima consiste in un intervento di mitigazione, la seconda nell'intervenire in termini di adattamento per affrontare gli impatti inevitabili. Il libro bianco offre un quadro sull’adattamento finalizzato ad aumentare la resilienza 1 dell’Unione europea per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici. Per la diversità degli impatti dei cambiamenti climatici dovuta dalle specificità delle diverse regioni e delle aree costiere la maggioranza delle misure di adattamento verrà realizzata e attuata a livello locale, con l’Unione Europea a sostenere tali sforzi tramite una strategia integrata e coordinata.
Alcuni esempi in Europa In Europa alcuni degli esempi più conosciuti e interessanti riguardanti la progettazione con il paesaggio secondo il principio dell’adattamento sono lo Zandmotor in Olanda e due parchi fluviali in Spagna. Il primo è un intervento volto alla salvaguardia della costa olandese, gli altri due sono progetti che dialogano con le dinamiche fluviali, ma tutti sono accomunati dalla forte interazione e considerazione che hanno nei confronti dei fenomeni ambientali nella creazione di nuovi landscapes.
Ter Heijde e lo Zandmotor In Olanda ogni anno il mare smuove la sabbia dalla costa. Il Rijkswaterstaat 2 è intervenuto per molto tempo depositando la sabbia sulle spiagge e nella zona off-shore come misura compensativa per non esporre al mare il territorio occidentale dei Paesi Bassi. Dal Marzo 2011 il Rijkswaterstaat e l'autorità provinciale di South Holland stanno lavorando per creare una penisola che si estenderà per 1 km in mare e per 2 km di larghezza lungo la costa: lo Zandmotor. Il metodo Zandmotor consiste in un volume enorme di sabbia che è stata applicato lungo la costa del Zuid-Holland a Ter Heijde. Vento, onde e correnti diffonderanno la sabbia in modo naturale lungo la costa in un processo che implica il “costruire con la natura”: ci si aspetta che lo Zandmotor muterà gradualmente la sua forma per essere infine completamente integrato con le dune e la spiaggia, facendo in modo che la costa sia più ampia e più sicura.
Pamplona e il parque Aranzadi Il meandro Aranzadi è soggetto a periodiche inondazioni, soprattutto in alcune aree specifiche vicino alla diga. Il meandro è un vero e proprio catalogo di sistemi legati al fiume: sono presenti siepi per il filtraggio e il rallentamento del flusso dell’acqua, schermi coperti di vegetazione per lo stesso scopo e molti altri elementi. Il progetto per il parco incorpora queste dinamiche nella configurazione del paesaggio, nel tentativo di trasformare il meandro in parco e quindi anche le relazioni tra gli abitanti ed il fiume.
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Per resilienza s'intende la capacità dello stesso sistema di assorbire le perturbazioni mantenendo la stessa struttura e le stesse modalità di funzionamento di base. (IPCC, 2007). 2 Il Ministero delle Infrastrutture e dell’Ambiente olandese. Daniele Cannatella, Sabrina Sposito
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Sopra le tracce della parcellizzazione esistente e seguendo le coste più basse del meandro come aree per il drenaggio, verranno segnate vie più forti per l’acqua, in modo da diminuire la frequenza delle inondazioni del parco, per creare un vero e proprio paesaggio soggetto alle dinamiche fluviali.
Saragozza e il Metropolitan Water Park Il Metropolitan Water Park di Saragozza, situato nella fascia verde del fiume Ebro, è stato progettato per l'Expo 2008 "acqua e sviluppo sostenibile". Sulla pianura alluvionale del meandro dei Ranillas, il nuovo spazio cerca deliberatamente una connessione alla città e si propone come una nuova facciata per l'area limitrofa di ACTUR. Il parco si adagia sulla curva del fiume, salvaguardando la vegetazione ripariale lungo che corre lungo il meandro, e assumendo le tracce della trama originale dei campi, dei canali e degli stagni. I progettisti hanno basato il loro lavoro sulle tracce lasciate da secoli di lavoro degli agricoltori, consentendo al territorio di esprimere le proprie specificità e qualità, secondo il principio per cui il paesaggio non è disegnato, ma esprime la storia di un territorio e del rapporto che i loro abitanti stabiliscono con esso.
Venezia: verso il modello di Città-Laguna La lezione del landscape urbanism non potrebbe trovare migliore terreno di sperimentazione della città di Venezia, modello di insediamento unico nel suo genere, di cui, tuttavia, la letteratura ci ha fornito un’immagine parziale, ritagliata intorno ai confini del suo nucleo storico e prevalentemente legata ai luoghi di maggiore afflusso dei visitatori. È chiaro quanto un’immagine di tal tipo sia inadatta a raffigurare la complessità di un territorio che, invece, travalica i bordi dell’isola e trova la sua identità nelle acque lagunari da cui emerge. Lo sguardo va, allora, dilatato e arricchito di nuovi orizzonti interpretativi: • Venezia non è un’isola, quanto piuttosto un arcipelago di isole, di origine naturale e artificiale, di vaste e ridotte dimensioni, abitate o obliterate, che punteggiano l’intero ambiente lagunare; • le isole sono solo uno dei tanti materiali di cui si compone il paesaggio d’acqua veneziano, fatto altresì di bassifondali, cordoni litoranei, casse di colmata, valli da pesca, canali, barene e velme, gronde; • il legame tra le isole e l’acqua che le circonda e le attraversa è talmente forte, che le une sono in continua lotta con l’altra per la definizione dei rispettivi spazi vitali; • il paesaggio lagunare veneziano è un mosaico di paesaggi multiformi, i cui materiali costitutivi sono in continuo mutamento e concatenati da rapporti di interazione dinamica; • la Laguna di Venezia è, di fatto, una città-laguna, dinamica, variabile, resiliente, dai margini incerti e dalle forme composite, un organismo anfibio abitato e modellato da meccanismi naturali ed antropici. Uno sguardo unitario, dunque, che abbraccia la Laguna di Venezia nella sua totalità, superando la rigidità che negli anni addietro ha condotto alla tutela di limitate porzioni del suo territorio 3. In quest’ottica, non ha più senso parlare di Venezia nei termini di una città tradizionale né scorporarla dal mondo che l’ha originata e tuttora ne determina le sorti. Il racconto di Venezia che qui si propone parte, infatti, dal suo millenario rapporto con l’acqua, ed è un racconto transcalare, che si muove in più direzioni e su più scale, attraversandone la storia, ricostruendone la morfologia, immaginandone l’evoluzione, prefigurandone gli scenari, tenendo sempre insieme tutti gli elementi sotto le variabili del tempo e dello spazio, per giungere infine a riconoscere il cambiamento quale matrice e motore di ogni slancio progettuale.
Origine/Evoluzione Ripercorrendo le tappe della morfogenesi lagunare, è evidente che fin dalle sue prime formazioni embrionali la laguna si configura come ambiente instabile e transitorio, perché frutto dell’azione concertata di più agenti fisici: da un lato, l’opposizione tra la forza costruttiva dei fiumi (apporto di sedimenti) e la forza distruttiva del mare e delle onde (erosione dei sedimenti) e, dall’altro, i fenomeni di subsidenza (l’abbassamento del suolo per compattazione delle alluvioni) ed eustatismo (la fluttuazione nel livello medio marino). (Rinaldo, 1997, pp.2728) 4. Il fenomeno di formazione delle lagune non è stato, dunque, lineare, né regolare, perché ogni cambiamento climatico e la conseguente variazione del regime idraulico ha portato alla ridefinizione del rapporto tra terre 3
A fronte di 550 kmq di laguna, solo il centro storico di Venezia è Patrimonio Unesco e appena 5 kmq (corrispondenti alla valle da pesca Averto) sono inseriti nella lista Ramsar delle aree umide di interesse internazionale. 4 Nello specifico, le lagune dell’Alto Adriatico, di cui quella veneziana è la maggiore e la più conosciuta, si sono formate nel tempo in una costa bassa, ricca di foci fluviali, interessata da importanti apporti di sedimenti dei maggiori fiumi alpini (Brenta, Piave,Tagliamento) e soggetta ad un lento, continuo, processo di sommersione ad opera delle acque marine. Condizioni, queste, che hanno determinato la nascita di bacini costieri a basso fondale, separati dal mare da barriere di sabbia con andamento sub-parallelo alla costa, ma rese discontinue dalla presenza di varchi di collegamento incisi dall’azione erosiva delle correnti di marea. (D’Alpaos, 2010). Daniele Cannatella, Sabrina Sposito
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Costruire la città-laguna: da Venezia alla laguna, dalla laguna a Venezia
emerse ed acque, modificandone l’assetto geografico generale. (Zanetti, 2007). L’instabilità, che ha governato il processo di genesi delle lagune, le accompagna tuttora e ne condiziona le sorti: • la subsidenza e l’eustatismo, determinando variazioni di quota del livello del mare, sottopongono le lagune a continue sommersioni. Relativamente a tale fenomeno, sono da segnalare le preoccupanti previsioni sull’innalzamento del livello medio del mare nei prossimi cento anni, legate al fenomeno del Climate Change, di cui autorevoli organismi internazionali come l’International Panel on Climate Change (IPCC) hanno diffuso alcune stime allarmanti: gli incrementi dovrebbero essere compresi in un intervallo che varia tra i 9 e gli 88 cm. Stando a tali dati, Venezia sarebbe destinata a sprofondare completamente nel giro di un secolo. (D’Alpaos, 2010, pp.16-17). • il rapporto variabile fiumi/mare fa oscillare le lagune tra due condizioni estreme: se prevalgono i materiali solidi introdotti dai fiumi e dal mare, la laguna tende a interrarsi e a trasformarsi in terra emersa, così come oggi avviene sul delta del Po; se prevalgono invece le forze erosive delle onde e delle maree, tende a trasformarsi in un braccio di mare, attuale trend evolutivo della laguna di Venezia.
Uomo/Acqua Il concetto di equilibrio naturale, nel senso statico di mantenimento che esso suggerisce, non ha spazio alcuno nei fenomeni evolutivi naturali. Ciò è maggiormente evidente nel caso dell'ambiente di Venezia (la sua laguna, il suo bacino scolante), mantenuto del tutto artificialmente solo a prezzo di determinanti trasformazioni operate dall'uomo. La laguna di Venezia è, dunque un ecosistema in massima parte antropizzato, manomesso nel corso dei secoli per salvarlo ed adattarlo ad ambiente vivibile e vitale, sulla base di due diverse logiche: • la cultura d’acqua, dominante fino al XVI sec., basata sul riconoscimento di un unico sistema città-laguna, in cui l’ambiente acqueo è vissuto come connettivo, anziché come fattore di disgiunzione. L’acqua unisce i vari materiali lagunari, non li separa, ed è il tramite per gli spostamenti; e le isole sono elementi connessi, non segregati. In questa fase, gli interventi attuati sono leggeri e attenti a preservare l’integrità del sistema e a lasciarne inalterati i caratteri essenziali, nella consapevolezza che l’organismo laguna ha bisogno di essere curato, anziché snaturato. Trattasi di limitate opere di regolazione, eseguite entro i processi naturali e spontanei, quali consolidamento e arginatura e scavi modesti; • la logica di terra, subentrata dopo il XVI sec. e ancora prevalente, che ha apportato modifiche radicali alla geografia e alla funzionalità dell’ecosistema lagunare, determinando una svolta epocale nella sua storia. Gli interventi risalenti a questa fase sono pesanti ed invasivi, al punto da aver avviato gravi processi degenerativi con effetti demolitivi rapidissimi (Bonametto, 2007): le grandi diversioni fluviali; le difese a mare (i cosiddetti Murazzi); le variazioni delle conterminazioni lagunari; le arginature di valli da pesca; l'escavo ex novo di numerosi canali navigabili; i moli foranei, solo per citarne i maggiori, fino a giungere al più recente MO.S.E., il sistema integrato di opere per la difesa della città di Venezia e della laguna da eventi estremi e dal degrado morfologico (Rinaldo, 1997, pp.1-28).
Materiali/Paesaggi La laguna di Venezia è un ambiente di transizione tra terra e mare e, come tale, presenta tutti i caratteri del transitorio, dell’ibrido, dell’indefinito. I paesaggi si mescolano, si contaminano, si sovrappongono, e mutano aspetto e consistenza al minimo variare delle condizioni climatiche ed idrauliche. Il margine interno, che corre lungo la terraferma, è la gronda lagunare, dove si raccolgono le foci dei corsi d’acqua immissari, portatori di acque dolci. Il margine esterno, che vi si contrappone, è definito dai cordoni litoranei, lingue di sabbia interrotte da incisioni, le bocche di porto, che regolano gli scambi tra le acque marine e quelle salmastre. Tra i margini, su un fondale basso, si estende il corpo centrale, compenetrato dalla rete meandrica dei canali, che si ramificano e si insinuano nelle emergenze insulari, isole e motte, divenendo vere e proprie vie di comunicazione; si assottigliano nelle barene, formazioni tabulari, e nelle velme, superfici di bassofondale visibili durante la bassa marea, divenendo ghebi capillari e tortuosi; e, infine, si diradano al varco delle valli da pesca, gli argini di chiusura degli stagni vallivi.
Forme/Rappresentazioni Una retta, e in particolare una breve retta che si ispessisce, rappresenta un caso analogo a quello del punto che cresce: anche qui c’è da domandarsi: “In quale momento si estingue la linea come tale e in quale momento nasce una superficie?”. Ma non possiamo dare una risposta precisa. Come si potrebbe rispondere alla domanda: “Quando finisce il fiume e quando comincia il mare?”. (Kandiskij, 1968). L’idea della città-laguna parte proprio da qui, dall’impossibilità di descrivere la mutevolezza e la complessità del territorio veneziano attraverso le categorie concettuali tradizionali del progetto urbano. Nella città-laguna, infatti, il sistema insediativo, infrastrutturale e ambientale non sono nettamente distinti, ma giustapposti, al punto da non essere talvolta chiaramente riconoscibili, e le forme non sono unicamente definite, perché soggette alle Daniele Cannatella, Sabrina Sposito
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escursioni delle acque, alle variazioni del clima, all’evoluzione naturale, agli interventi antropici. Questo nuovo modello ha, dunque, richiesto la messa a punto di strumenti più idonei ad articolarne il racconto: • le figure, che descrivono le forme, e si identificano in: pixel, aree notevoli e aree di intersezione dei materiali della laguna; line, complessi filiformi eterogenei lungo i quali si sviluppano i materiali; patch, aree che caratterizzano e diversificano la natura di ciascun materiale; • le icone, che descrivono le azioni, riassumibili in: accogliere, ossia proteggere il territorio e convivere con il cambiamento; espandere, ossia superare i bordi fisici e configurare uno spazio malleabile e flessibile; sovrapporre, ossia agire per mimesi e diversificazione; intersecare, nel senso di varcare, raccordare e traversare, per garantire la permeabilità e l’attraversabilità dell’intero ecosistema lagunare.
Figura 1. La città-laguna.
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Prefigurazioni/Scenari I materiali del progetto urbano sono i materiali di cui si compone il paesaggio, ed entrano in gioco in nome di quella resilienza che non è correlata solamente all’ecosistema naturale ma altresì a quello antropico, e quindi anche alle sue dinamiche socio-economiche. L’interpretazione che si dà ai materiali che compongono la laguna varia al variare delle figure e delle azioni sopracitate e alle relazioni che tra esse intercorrono. Così si delineano paesaggi di volta in volta differenti, cristallizzati in progetti che, pur lavorando sempre con gli stessi materiali, risultano essere totalmente eterogenei.
Floatingscape Uno dei progetti più conosciuti e controversi per Venezia è indubbiamente la metropolitana sublagunare. Esso prevede un collegamento di accesso diretto all’isola mediante un sistema di trasporto a via guidata realizzato entro una galleria circolare scavata nei fondali della laguna che metterebbe in connessione l’aeroporto con Venezia nell’area delle Fondamente Nove, passando per Murano. Benché l'opera non abbia ricevuto alcuna approvazione ufficiale, attorno ad essa è nato un animato dibattito che vede da una parte i suoi sostenitori, convinti della reale utilità dell’opera, e dall’altro i suoi detrattori, che portano all’attenzione tematiche quali l’ingente impatto ambientale che essa avrebbe sulla laguna, e la reale necessità della metropolitana, che ridurrebbe i tempi di trasporto di pochi minuti e che aumenterebbe il carico di turisti della Serenissima, già così oberata ben oltre la soglia massima della sua capacità di carico. Il progetto proposto nasce da questi presupposti, proponendo come alternativa alla metropolitana un percorso lento che si snoda sulle acque lagunari a diverse quote seguendo lo stesso tracciato della sublagunare e collegando le isole minori mediante piccole imbarcazioni. Una via che si sviluppa dall’aeroporto all’isola di Venezia, attraversando diversi paesaggi e diventando esso stesso generatore di paesaggi e di nuovi modi di abitare il territorio.
Figura 1. Floatingscape: il percorso generatore.
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Hybridscape L’aeroporto Marco Polo è collocato a ridosso di una delle barene più suggestive, che protende verso il corpo centrale della laguna fino ad aggrapparsi al complesso di isole Burano/Torcello/Mazzorbo. Il progetto qui proposto vuole, allora, offrire un percorso alternativo aeroporto-città di Venezia che, agendo per mimesi con l’esistente, si snoda nella ricchezza del paesaggio naturale. Tratti di percorrenza nautici, in cui si attraversano ghebi in piccole imbarcazioni o canali in vaporetti, si alternano a tratti ciclo/pedonali su barena, terraferma, gronde o isole, su leggere passerelle in legno che seguono l’andamento altimetrico dei suoli e la batimetria delle acque e si aprono in aree attrezzate per la sosta e il ristoro. Il percorso, così costituito, si adatta alle forme dei materiali, ricucendole nei punti di disconnessione e creando collegamenti trasversali tra le parti interne e le aree di confine.
Figura 2. Hybridscape – il percorso in mimesi.
Bibliografia Libri: Bonometto L. (2007), Il crepuscolo della laguna, in La laguna di Venezia. Ambiente, naturalità, uomo, Nuovadimensione, Venezia. D’Alpaos L. (2009), Fatti e misfatti di idraulica lagunare, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia. Kandinsky V. (1968), Punto linea superficie, Adelphi, Milano. Mantovani S. (2009), Tra ordine e caos. Regole del gioco per una urbanistica paesaggista, Alinea Editrice, Firenze. Rinaldo A. (1997), Equilibrio Fisico e Idrogeologico della Laguna, Venezia, Fondazione ENI Enrico Mattei Sassatelli M. (2006), Georg Simmel, saggi sul paesaggio, Armando Editore, Roma. Waldheim C. (2006), The Landscape Urbanism Reader, Princeton Architectural Press, New York. Zanetti M. (2007), L’arcipelago lagunare veneziano, in La laguna di Venezia. Ambiente, naturalità, uomo, Nuovadimensione, Venezia.
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Siti web: Javier Arpa, (2008). Alday Jover. Metropolitan Water Park. Zaragoza. Disponibile su: http://www.aplust.net/ Alberto Gorbatt, (2009). Parque de Aranzadi, Pamplona, EspaĂąa. Disponibile su: http://www.arqa.com/ http://www.salve.it http://www.dezandmotor.nl/
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Reversibilità dei processi di consumo di suolo in aree protette in ambito costiero
Reversibilità dei processi di consumo di suolo in ambito costiero1 Federica Greco Area Politiche per la mobilità e qualità urbana, Servizio Urbanistica Ufficio Strumentazione Urbanistica, Regione Puglia Email: federicagreco@libero.it
Rosanna Rizzi Politecnico di Bari Dipartimento ICAR, Facoltà di Architettura Email: rosanna.rizzi@gmail.com Martí Franch Universitat Politecnica de Catalunya, Barcellona Técnica Superior de Arquitectura de Barcelona Email: info@emf.cat
Abstract La Puglia è la regione che detiene la maggior lunghezza di litorali in Italia, pari a quasi 800 km. Di questi il 65% è sottoposto a tutela e fa parte delle Core Areas della Rete ecologica per la Biodiversità del PPTR. Eppure appare coinvolta da una crescita indiscriminata di insediamenti legati ad un uso fortemente stagionalizzato. Quali sono le modalità di gestione e gli attori sociali in grado di contribuire al governo del territorio costiero, a finanziare e a promuovere tale processo al fine di conseguire il tanto auspicato sviluppo sostenibile? E’ lecito pensare ad un processo reversibile di consumo di suolo laddove fattori endogeni ed esogeni hanno portato ad una profonda alterazione della costa? Una casistica di “buone pratiche” giunge dalla Catalogna. Emblematico è il caso del Club Med a Cap de Creus. L’esempio catalano è un invito a riflettere su come l’istituzione di un’area naturale protetta rappresenti un’opportunità nella gestione del territorio. Si mira a costruire un sistema di casi analoghi in Puglia e in Catalogna per identificare processi virtuosi e strumenti capaci di indagare su vantaggi e criticità contribuendo alla formulazione di indirizzi per la lettura e la configurazione dei litorali.
1. Paesaggi costieri, Consumo di suolo e Aree protette Le regioni costiere euromediterranee sono sottoposte a una pressione costante: quasi la metà della popolazione comunitaria vive a meno di 50 km dal mare contribuendo a determinare un quadro di criticità preoccupante. Dal punto di vista ecologico l’inquinamento delle acque marine, la salinizzazione delle falde, l’erosione costiera, il degrado delle aree umide e dunali e la conseguente frammentazione degli ecosistemi compromettono la percezione dei paesaggi litorali, banalizzando le stesse coste che ospitano alcuni degli habitat più fragili e preziosi d’Europa. Il suolo è la risorsa non rinnovabile che risente maggiormente dell’azione antropica essendo interessata da uno sfruttamento intenso dovuto in gran parte alla crescita del settore turistico negli ultimi decenni, che ha gravemente trasformato anche zone ricadenti in aree sottoposte a tutela. La UE sta tentando di far fronte a tali problematiche, esortando gli stati membri ad attuare strategie nazionali di Gestione Integrata delle Zone Costiere (ICZM) 2 coinvolgendo i soggetti che incidono fortemente sulla vita delle regioni 1
Nonostante il paper sia frutto di riflessioni comuni, sono da attribuirsi a F. Greco i paragrafi 2; 2.1; 3; 3.1; 4.1; a R. Rizzi i paragrafi 1; 2.2; 3.2; 4.2; a M. Franch e R. Rizzi il n. 5, mentre di F. Greco e R. Rizzi è il paragrafo 6.
Federica Greco, Rosanna Rizzi, Martí Franch
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costiere europee. L’ICZM interviene per garantire l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali; assicurare la conservazione dell’integrità degli ecosistemi, dei paesaggi e della geomorfologia della fascia costiera; prevenire e ridurre gli effetti dei rischi naturali, attraverso la definizione di indirizzi nazionali, la promozione e adozione di migliori prassi. Parallelamente si muove l’Europarc Federation per mitigare gli impatti che il turismo produce sulle aree protette attraverso la Carta Europea per il Turismo Sostenibile (CETS) 3. La Carta impegna i firmatari ad attuare strategie a livello locale in favore di un "turismo durevole", definito come "qualsiasi forma di sviluppo, pianificazione o attività turistica che rispetti e preservi nel lungo periodo le risorse naturali, culturali e sociali e contribuisca in modo equo e positivo allo sviluppo economico e alla piena realizzazione delle persone che vivono, lavorano o soggiornano nelle aree protette" (CETS, 1992. p.3). La sfida attuale mira alla gestione, alla fruizione e all’implementazione del tema della sostenibilità nel turismo, o alla salvaguardia di aree ancora libere dall’edificato, definendo linee guida e stilando carte e protocolli che hanno però scarse ricadute sul territorio, in quanto si basano sulla capacità di enti e soggetti di applicare tali strumenti. Una lettura delle politiche messe in atto in Puglia e Catalogna - scelti quali casi studio per una comparazione - per fronteggiare la tematica dell'artificializzazione costiera individua pratiche capaci di rendere reversibili i diffusi processi di consumo di suolo in aree protette. A partire dal quadro normativo e vincolistico a cui sono sottoposte la ricerca propone il confronto diretto di casi analoghi al fine di costruire percorsi condivisi e modelli esemplari di gestione del territorio.
2. La Norma come opportunità di tutela e valorizzazione I vincoli, in generale, consistono in limitazioni all'uso della proprietà privata derivanti dal riconoscimento di caratteristiche intrinseche del bene immobile che ne impongono la tutela. In particolare come vincoli ambientali e paesistici si intendono norme poste a tutela dei valori paesaggistici ed ambientali del territorio. Il Codice per i Beni Culturali e del Paesaggio 4 riconosce e tutela il “Patrimonio culturale” nazionale costituito dai “beni culturali” e dai “beni paesaggistici”. Il Codice ha superato il precedente D.Lgs. n. 490/1999, meramente compilativo delle disposizioni contenute nella L. 1497/1939, nel D.M. 21.9.1984 (decreto “Galasso”) e nella L. 431/1985 (Legge“Galasso”) 5. Per quanto riguarda la tutela delle coste pugliese va segnalato che grandi parti del territorio costiero del Salento e del Gargano sono tutelate, già dagli anni 70, con vincoli diretti da parte delle Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici (DD.MM. ex lege 1497/39).
Figure 1, 2. PUTT/P. Ambiti Territoriali Distinti (ATD) e Ambiti Territoriali Estesi (ATE)
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Protocollo per la Gestione Integrata della Fascia Costiera e Marina (ICZM), della convenzione di Barcellona per la Protezione dell’Ambiente Marino e della Regione Costiera del Mediterraneo, adottato a Madrid il 18 gennaio 2008. 3 La Regione Puglia con la sottoscrizione del Protocollo di intesa, ratificato dalla Giunta con DGR 1555/2010, ha deciso di intraprendere tale percorso in alcune delle aree naturali protette regionali istituite ai sensi della LR 19/97. 4 D.Lgs.42 del 22/01/2004 modificato ed integrato di D. Lgs. 156 e 157 del 24/03/2006. 5 La legge n.1497/1939 (“Protezione delle bellezze naturali e panoramiche”) si riferiva a situazioni paesaggistiche di eccellenza, tutelate attraverso provvedimenti impositivi del vincolo paesaggistico. Provvedimenti statali successivi che hanno incrementato in misura significativa la percentuale di territorio soggetta a tutela sono il D.M. 21.9.1984 e la L. n. 431/1985. Dal D.M. 21.9.1984 è conseguita l’emanazione dei Decreti 24.4.1985 (c.d. “Galassini”), che hanno interessato ampie parti del territorio. Ancora, la L. n. 431/1985 ha assoggettato a tutela “ope legis” categorie di beni (tra le quali la fascia costiera), tutelate a prescindere dalla loro ubicazione sul territorio e da precedenti valutazioni di interesse paesaggistico. Federica Greco, Rosanna Rizzi, Martí Franch
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Il Piano Urbanistico Territoriale Tematico (PUTT/P), previsto dalla Legge Galasso e approvato nel 2000, riconosce l’intera costa come ambito da tutelare per una fascia costante di 300 m (escludendo i cosiddetti territori costruiti). In applicazione dell’art. 5 del Codice la Puglia si è dotata di Piano Paesaggistico Territoriale Regionale 6, non ancora approvato, all’interno del quale la Carta del Paesaggi Costieri, nell’Atlante 7 analizza la costa pugliese ed il rapporto con l’entroterra, individuando quattordici distinte Unità Costiere a profondità variabile, contrassegnate da caratteri strutturali, valori e criticità omogenei. Le aree naturali protette (Parchi Nazionali, Parchi Naturali regionali, Riserve naturali, suddivise in statali e regionali), istituite dalla L. 394/1991, rappresentano altre norme in grado di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese 8. I parchi e le riserve vengono gestiti da un apposito Ente, cui si deve la predisposizione del Piano del Parco, approvato in via definitiva dalla Regione e sovraordinato rispetto alla pianificazione comunale.
Figure 3, 4. PPTR. Aree vincolate ex D.Lgs.42/2004 e Carta dei Paesaggi Costieri Dalla disciplina comunitaria discendono le Zone di protezione speciali (ZPS), le Zone speciali di conservazione (SIC, Siti di Interesse Comunitario) e le Zone Umide di interesse Comunitario Internazionale (Convenzione Ramsar, 1971). L’insieme di queste zone compone la rete “Natura 2000”, introdotta dalla Direttiva 92/43/CEE, quale sistema coordinato e coerente (rete ecologica) di aree destinate alla conservazione della biodiversità a livello europeo.
Figure 5, 6. Aree naturali protette e “Natura 2000” Questo breve quadro normativo relativo all’assetto vincolistico che tutela il “patrimonio paesaggistico” mostra quanto la cultura italiana sia propensa a difendere il patrimonio con misure difensive, intese spesso come “congelamento” del bene tutelato, non essendo l’istituto del vincolo sempre accompagnato da specifiche “prescrizioni d’uso”. Se da un lato la presenza della norma preserva il territorio, dall’altro ne limita la gestione attiva del paesaggio, soprattutto laddove diventa indispensabile un “progetto di paesaggio”. 6
La Proposta di Piano è stata adottata dalla Giunta Regionale il giorno 11 gennaio 2011, al fine di conseguire, così come previsto dal Codice, lo specifico accordo con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per garantire la partecipazione pubblica prevista dal procedimento di Valutazione Ambientale Strategica (da http://paesaggio.regione.puglia.it) 7 il PPTR è definito da tre componenti: “Atlante del Patrimonio Ambientale, Territoriale e Paesaggistico, lo “Scenario Paesaggistico” e le “Norme Tecniche di Attuazione”. 8 L.394 del 06-12-1991. Legge quadro sulle aree protette. Federica Greco, Rosanna Rizzi, Martí Franch
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Un nuovo contesto muove dalla Convenzione europea del Paesaggio del 2000 che costringe a rimettere in discussione alcuni paradigmi ereditati dalla nostra lunga tradizione di tutela dei beni culturali: si inizia a considerare come un valore il mutamento, evitando soluzioni di arbitrario congelamento delle forme ereditate dalla storia. […]. Non più solo vincoli, ma forme di gestione attiva che devono coinvolgere, motivare e responsabilizzare i molteplici soggetti che a vario titolo intervengono nella costruzione del paesaggio (Clementi, 2002). Un ruolo essenziale rivestono le ”politiche”, intese come insieme di azioni, attori e risorse necessarie al fine di mantenere, preservare “la bellezza eccezionale” di alcuni territori e dove è necessario riqualificare, ricreare, reinventare nuovi paesaggi.
3. Puglia e Catalogna: la pianificazione vigente in ambito costiero Si intende guardare alle esperienze condotte entro alcuni "Paesaggi Protetti" situati in due regioni del Mediterraneo, vicine per caratteristiche geografiche e condizioni morfologiche come Puglia e Catalogna, per evidenziare la normativa vigente in ambito costiero e le pratiche di recupero di suolo. Il confronto è finalizzato a comprendere le modalità di gestione e gli attori sociali che governano, finanziano e promuovono il processo di “recupero di suolo” per conseguire “lo sviluppo sostenibile” tanto auspicato dall’ultima generazione della pianificazione e allo stesso tempo tanto difficile da perseguire in concomitanza con lo sviluppo turistico ed economico della costa.
3.1 Il Piano delle Coste Pugliese Di recente approvazione è il Piano Regionale della Costa 9, in attuazione della L.R. 17/2006, “Disciplina della tutela e dell’uso della Costa”. Il PRC individua le funzioni trattenute in capo alla Regione e quelle conferite ai Comuni e alle Province, in seguito all’applicazione dell’art. 117 della Costituzione e dunque del trasferimento delle funzioni dallo Stato alle Regioni. Il Piano mira a garantire il corretto equilibrio fra la salvaguardia degli aspetti ambientali e paesaggistici del litorale pugliese, la libera fruizione e lo sviluppo delle attività turistico ricreative. Ha come obiettivo la definizione delle condizioni di stato in cui versa la fascia costiera nelle sue criticità e sensibilità, in relazione ad una molteplicità di fattori, endogeni (fenomeni naturali) ed esogeni (pressioni esercitate dall’esterno) (Reina, 2011, p.4). I livelli di criticità all’erosione e di sensibilità ambientale sono stati “incrociati” dando origine a nove livelli di classificazione, in base ai quali sono stabilite delle norme per la redazione dei piani esecutivi a livello comunale. Dal quadro di conoscenza del PRC emerge con forza un’insostenibile situazione di “consumo di suolo (Mininni, 2010, pp.76-77). La situazione attuale della costa pugliese è caratterizzata infatti da un forte “disordine”, dovuto ad una politica di interventi puntuali, senza alcuna reciproca connessione, con un livello di degrado talmente alto da rendere indispensabili processi di recupero e risanamento complessivo più che una pianificazione legata all’uso ottimale delle aree ancora libere. Le NTA del PRC affidano ai Comuni la redazione del Piano Comunale delle Coste, che rappresenta lo strumento attuativo, di assetto, gestione, controllo e monitoraggio del territorio costiero comunale. L’adozione del PCC è prevista entro quattro mesi dall’approvazione del PRC. Ai comuni si deve anche l’individuazione delle opere di urbanizzazione, delle strutture fisse e delle recinzioni esistenti, con specifico riferimento a quelle abusivi, nonché l’analisi dei sistemi dei vincoli. Le aree soggette a vincolo territoriale sono subordinate alla preventiva autorizzazione dell’Ente preposto alla tutela. Più in generale l’utilizzo in concessione delle aree SIC, ZPS, cordoni dunali e di macchia mediterranea, è sottoposto alla preventiva valutazione degli impatti prodotti. Finalità del PCC è lo sviluppo sostenibile economico e sociale delle aree costiere, occupandosi dello sviluppo del settore turistico, delle modalità di gestione del bene, nel rispetto della protezione dell’ambiente naturale e del recupero dei tratti di costa in stato di degrado.
3.2 La Ley de Costas e il PDUSC La Ley de Costas, che norma i quasi 700 km del litorale catalano, è in vigore dal 1988 e si pone come obiettivo principale la delimitazione ed il recupero dello spazio pubblico costiero e l’adozione di misure adeguate di riqualificazione e tutela degli spazi naturali. In base all’articolo 132.2 della Costituzione Spagnola, divengono beni del Dominio publico la zona marittimo-terrestre, le spiagge e le acque territoriali. L’Administraciòn de Costas costituisce l’ente che si incarica di definire il perimetro del Dominio Publico Maritimo Terrestre, il DPMT, calcolato a partire dal punto massimo in cui arrivano le mareggiate più rilevanti 10 ed aggiornato eventualmente in base ai cambiamenti 9
Delibera Regionale n. 2273, 13 Ottobre 2011 A differenza della situazione italiana, per cui il lido del mare, secondo un ormai consolidato orientamento, comprende la zona di riva bagnata dalle acque fino al punto che viene coperto dalle ordinarie mareggiate, estive ed invernali, escluse quelle dei momenti di tempesta.
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costieri. La Ley de Costas differenzia una serie di zone e ne regola gli usi: la più amplia è la zona di protezione, la cui tutela è demandata alle differenti comunità autonome ed ha un’ampiezza minima di 20 m dal DPMT. In ognuna di queste aree l’ubicazione di edifici destinati a residenze di qualsiasi tipo è illegale. Inoltre, sia nella zona di DPMT che in quella di servitù di transito è vietato costruire, ad eccezione di porti, fari ed opere di tutela ambientale, per i quali esiste una normativa specifica. In Catalogna, poco dopo l’entrata in vigore della Ley de Costas, solo a Barcellona furono abbattuti una trentina di edifici che non rispettavano la normativa e ancora oggi lo Stato continua a demolire immobili realizzati illegalmente soprattutto negli anni ’70 sul litorale catalano e specialmente in Costa Brava. La Ley de Costas trasforma la proprietà privata in pubblica e prevede, come indennizzo, una concessione gratuita delle antiche proprietà, anche se realizzate prima del 1988, per un periodo massimo di 60 anni 11. Esiste un conflitto sociale molto aspro che ha superato i confini iberici, raggiungendo anche la corte dell’Unione Europea. La corte, pur chiedendo il rispetto del fondamentale diritto alla proprietà privata e del principio di irretroattività normativa, entrambi sanciti dalla Costituzione Spagnola, ha affermato di non avere alcuna competenza in materia di diritto patrimoniale. Negli ultimi mesi il Governo Spagnolo, nella figura del Ministro dell’Ambiente, ha annunciato che procederà ad una revisione della legge, al fine di permettere il recupero dei terreni già degradati dallo sviluppo di attività economiche, attraverso la loro eliminazione dal perimetro del DPMT, dato che non richiederebbero più una protezione speciale per aver perso le proprie caratteristiche naturali. Tale affermazione ha generato interrogativi ed inquietudini, poiché, come asserisce Oriol Nel.lo 12, è proprio la tutela dei territori costieri uno dei requisiti essenziali per la continuità dell’attività turistica ed il mantenimento dell’occupazione in questo settore; e si domanda se non sia l’artificializzazione incontrollata della costa uno degli elementi che hanno contribuito maggiormente a generare l’attuale crisi economica. La Catalogna ha approvato nel 2005 il Pla Director Urbanístic del Sistema Costaner (PDUSC), strumento di pianificazione urbanistica sovraordinato, elaborato in accordo agli artt. 15 e 18 della Legge Urbanistica Catalana 2/2002 13. Nasce per gestire il sistema costiero in base ai principi dello sviluppo urbanistico sostenibile e alla difesa per l’interesse comune. L’obiettivo del PDUSC è proteggere gli spazi costieri liberi in una fascia di 500 m dalla linea della battigia, per assicurare la connessione di spazi naturali e preservare le piane agricole ed i corsi fluviali. Trasforma i suoli edificabili senza protezione specifica in suoli non edificabili del Sistema Costiero, norma che li rende incompatibili con qualsiasi tipo di trasformazione futura. Demanda inoltre ai Comuni il recepimento di tali direttive, obbligandoli a declassare i terreni considerati edificabili e frenando la pressione urbanistica generata dalle dinamiche correlate al turismo.
4. Casi di consumo di suolo in aree vincolate sulla costa 4.1 La situazione in Puglia La Puglia, con i suoi quasi 800 km di costa “obliqua”, è occupata da numerose strutture ricettive, legate ad un uso turistico fortemente stagionalizzato dell’area costiera. Le politiche finalizzate ad un “turismo sostenibile” hanno caratterizzato la normativa prima nazionale, poi locale, solo a partire dagli anni ’80, riflesso di una rivoluzione culturale conseguente all’emersione della “questione ambientale”. La situazione attuale mostra dunque da una parte un territorio fortemente devastato da interventi edilizi realizzati quasi tutti intorno agli anni ‘70, dall’altra la presenza di numerosi “vincoli paesaggistici”, che “tutelano” l’esistente e limitano le nuove espansioni.
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A partire dall’anno di approvazione della delimitazione del DPMT, l’immobile diviene di proprietà dello Stato ed i vecchi proprietari possono continuare ad utilizzarlo, ma solo dietro richiesta di concessione gratuita di 30 anni, rinnovabile per altri 30 anni, dopo di che l’edificio verrà demolito. 12 Nel.lo O., La Ley de Costas: crònica d'una revisió anunciada, 2012, http://oriolnello.blogspot.it/2012/02/la-ley-de-costascronica-duna-revisio.html 13 Llei d'urbanisme 2/2002, del 14 marzo, modificata dalla Llei 10/2004 del 24 dicembre. Federica Greco, Rosanna Rizzi, Martí Franch
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4.2 La situazione catalana In Catalogna l’artificializzazione dei suoli si concentra sui litorali, come conseguenza della crescita di costruzioni residenziali e turistiche, e destinate alla pratica sportiva e ricreativa, con un aumento superiore al 160% negli ultimi dieci anni 14. Molti di questi interventi sono avvenuti in aree ricadenti nel PEIN, il Pla de espais de interés natural 15, che 14
Fonte: Greenpeace, Destrucción a toda costa, 2008.
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rappresenta il 30% del territorio catalano, con un totale di 165 spazi di speciale valore ecologico. Tuttavia, come avvenuto in Puglia, gran parte degli interventi edilizi in ambito costiero è stata realizzata prima dell’entrata in vigore del PEIN e della successiva istituzione delle aree protette.
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Approvato dal Governo della Generalitat de Catalunya con Decreto 328/1992, in applicazione della L. 12/1985 sugli spazi naturali, modificata dalla L.12/2006 in materia di salvaguardia ambientale, è una normativa per la delimitazione e la protezione degli spazi naturali, la conservazione dei quali va assicurata in accordo con i valori scientifici, ecologici, paesaggistici, culturali, sociali, didattici e ricreativi che posseggono.
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5. Club Med: il progetto di restauro ambientale nel Parco Naturale di Cap de Creus
Cap de Creus è un esempio di paesaggio di estrema bellezza e valore geomorfologico. Federica Greco, Rosanna Rizzi, Martà Franch
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Nel 1961 fu realizzato uno dei primi villaggi turistici sulla Piana di Tudela, sulla costa nord di Cap de Creus. L’architetto Pelai Martinez, disegnò 350 celle bifamiliari raggruppate in piccole unità ed attrezzature comuni (magazzini, piscina, bar, ristorante, etc.) adattandole alla topografia del luogo, il cui numero aumentò negli anni per venire incontro alle nuove necessità funzionali. La realizzazione del Club Med fu sin dall’inizio oggetto di polemiche a causa del suo impatto ambientale in particolare sui banchi di Corallo Rosso che su altre specie, e sia a causa della comparsa di specie esotiche infestanti. Nel 1998 la Generalitat de Catalunya dichiarò Cap de Creus Parco Naturale (Llei 4/1998), e definì le differenti figure di protezione. Con l’approvazione del Pla especial de protecció del medi natural i del paisatge del PN de Cap de Creus, strumento normativo di gestione e salvaguardia che permette la conservazione e il recupero dei sistemi naturali terrestri e marini del parco, venne ridefinita la destinazione d’uso dell’area occupata dal Club, come zona d’ordenació específica explicita. Il Piano ne imponeva il recupero ambientale. L’attività turistica del Club Med divenne pertanto “inadeguata” rispetto ai nuovi criteri e nell’estate del 2003 il villaggio fu chiuso al pubblico. Nel 2005 il Ministerio de Medio Ambiente, Medio Rural y Marino (MIMA) l’acquisì per annetterla al Dominio Pubblico Marittimo Terrestre, iniziando il processo di recupero. Nel 2006 con un accordo tra il MIMA e il Departament de Medi Ambient i Habitatge (DMAH) della Catalogna per la gestione sostenibile furono redatti i progetti per la demolizione ed il ripristino ambientale dell’area del Club Med. Nel 2007 il DMAH, nella figura della Gestora de Runes de la Construcció S.A 16. finanziò il trattamento e smaltimento dei residui della lavorazione per integrare l’ambito di s’Agulla – es Camell alla riserva naturale integrale di Cap de Creus. Tra il 2007 e il 2010 l’impresa pubblica TRAGSA eseguì i lavori nella zona del DPMT del Club Med, demolendo le strutture di accesso alla spiaggia, scogliere, moli e banchine, mentre la Gestora de Runes si occupò, a partire dal 2008, della de-costruzione dell’intero villaggio turistico. L’obiettivo principale di questo intervento era il recupero ambientale, ecologico e paesaggistico dell’intero complesso turistico attraverso l’eliminazione completa di ogni struttura ed il successivo ripristino ecologico dei terreni interessati, attraverso la rivegetazione con specie e comunità proprie dell’habitat costiero. Tale progetto dimostra, come caso pilota, la possibilità di un recupero integrale di suolo ed il ripristino della biodiversità in una zona precedentemente urbanizzata con interventi finalizzati alla riduzione degli impatti sul paesaggio, facilitandone la successiva rinaturalizzazione ed integrando paesaggisticamente cammini, volumi, punti di osservazione e segnaletica. Gli attori intervenuti hanno considerato la fragilità dello spazio da recuperare e si sono adoperati per ridurre il costo ambientale dell’opera, evitando l’uso di carburanti fossili e riducendo i costi di smaltimento dei materiali. Sono state coinvolte inoltre fondazioni private che si occupano dell’inserimento sociale delle fasce deboli della popolazione, che hanno collaborato all’eliminazione della flora esotica che infestava le formazioni geologiche del sito, oltre a finanziare economicamente la pulizia e la manutenzione delle spiagge 17. Nel 2011 il progetto ha ricevuto il Premio a las Buenas Prácticas en Conservación en Espacios Naturales, azione che EUROPARC - Spagna e la Fundación Fernando González Bernáldez realizzano con il sostegno della Fundación Biodiversidad per migliorare l’efficacia nella gestione degli spazi naturali protetti.
6. La reversibilità dei processi di consumo di suolo in ambito costiero: una pratica possibile? La casistica analizzata, sia in Puglia che in Catalogna, mostra come la presenza di un “vincolo” possa permettere se non già la “reversibilità” del processo di “consumo di suolo”, almeno una riqualificazione dello stesso. Gli esempi studiati evidenziano che l’individuazione dei confini amministrativi di un'area naturale protetta sia, in generale, il risultato di un complicato compromesso tra le esigenze ambientali e quelle socio-economiche del territorio. Tale processo è particolarmente evidente in quei comuni laddove gli strumenti di pianificazione sottordinati definiscono prioritarie le strategie di pianificazione votate all’espansione e all’uso turistico del territorio. In tal caso la maggior parte delle perimetrazioni tendono ad escludere agglomerati urbani o grosse strutture ricettive al fine di salvaguardare la “vocazione turistica” dell’area. Tuttavia è evidente che il loro inserimento all’interno dei parchi possa rappresentare un’occasione positiva sia per i villaggi stessi, che possono orientarsi in modo strategico verso un “turismo verde”, sia per una gestione “sostenibile” del territorio da parte del parco stesso 18. Decisivo appare l’intervento comunale nella definizione dei limiti amministrativi delle aree protette. 16
La Gestora de Runes de la Construcció nasce dalla collaborazione tra la Junta de Residuos, il Dipartimento del Medioambiente (con il 45% delle azioni), la Confederació Catalana de la Construcció (con il 10%) e 91 imprese private appartenenti alla stessa Confederazione che costituiscono il restante 45%. (da www.grc.cat) 17 Il Ministerio ha sottoscritto un accordo con la Fundació la Caixa per la rimozione delle piante alloctone ed ha firmato una convenzione per la tutela del Parco con la Fundació Abertis, tra le cui priorità rientrano il ripristino ambientale dell'area, il recupero delle specie così come la divulgazione e la promozione di studi e di ricerche su Cap de Creus. 18 Il piano di gestione del parco è tenuto a pianificare, tra le altre cose, la mobilità, gli impianti pubblicitari e la fruizione del parco e dunque delle strutture in esso inserite. Le strutture ricettive possono, a loro volta, avvalersi della collaborazione del parco (marchio del parco, pubblicità, ecc). Federica Greco, Rosanna Rizzi, Martí Franch
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L’attività comunale, inoltre, assume particolare rilievo nelle aree soggette a tutela ambientale anche per la prevenzione e repressione dei fenomeni di abusivismo edilizio (artt. 27 e ss. D.P.R. 380/2001), attività che purtroppo appare tuttora carente soprattutto con riferimento all’effettiva esecuzione di provvedimenti sanzionatori. Il fenomeno oltre a porsi come sintomo di illegalità diffusa lede l’integrità del paesaggio e i principi del buon governo del territorio. A tale riguardo si evidenza come l’intervento comunale sia stato risolutivo, in prossimità della zona SIC “Dune di Campomarino” (Maruggio), attraverso la demolizione di un edificio abusivo. Il Comune di Maruggio inoltre ha attivato una serie di interventi finalizzati al ripristino ambientale delle dune (con fondi POR misura 1.4 –Azione B), facendosi promotore di “buone pratiche” di gestione di un territorio “alterato”. Per i territori costieri non inseriti in aree protette (ex lege 394/91) e non interessati dalla Rete Natura 2000 (Direttiva 92/43/CEE), la normativa vigente in Puglia è il PUTT/P (art. 3.07), che, per le aree esterne ai territori costruiti, limita l’inedificabilità assoluta alla sola “area litoranea”, costituita, in generale, da una fascia di 100 m dal perimetro interno del demanio marittimo. Nelle restante “area annessa” di 200 metri, suddivisa a sua volta in ulteriori “fasce”, sono consentiti differenti interventi di trasformazione del territorio, assoggettati ad una valutazione di compatibilità dell'intervento. A differenza di quanto imposto dalla Ley de Costas spagnola il PUTT/P non è uno strumento retroattivo ed inoltre il PDUSC vincola 500 metri all’inedificabilità assoluta. Il PUTT/P prevede, all’art. 7.08, la redazione dei Piani di interventi di recupero territoriale (PIRT), anche su proposta dei privati, al fine di qualificare l’area di intervento e verificare la sanabilità di edificato abusivo. Il PIRT disciplina anche l’infrastrutturazione del sito, la destinazione ed eventuale edificazione delle aree interstiziali, le opere di mitigazione e di compensazione paesaggistico-ambientale. La pianificazione comunale è strettamente vincolata al rispetto dei Piani Paesaggistici, (quindi al PUTT/P, non essendo ancora stato approvato il PPTR), la verifica del cui adeguamento è oggetto del controllo di compatibilità regionale (ex L.R. 20/2001) 19. Il Comune, pertanto, è obbligato ad adeguare la strumentazione vigente al PUTT/P, al fine di approfondire, verificare e rendere più efficace e trasparente alla scala comunale l’applicazione delle tutele previste dal PUTT/P. I PRG prima, e i PUG poi (L.R. 20/2001), sono strumenti di pianificazione comunale sottordinati anche ai Piani Comunali delle Coste (per i quali si prevede peraltro la verifica di compatibilità con il PRC). Il PRC (art. 5.3 e art. 8.2) delega ai comuni la disciplina di ogni tipo di attività edilizia e/o di trasformazione urbanistica. Appare evidente come, in ambito pugliese, l’attore in grado di prevedere una corretta pianificazione del territorio costiero, nonchè una sua attiva gestione "sostenibile", sia il Comune. Alla Regione spetta la verifica di compatibilità con gli strumenti di pianificazione sovraordinati. Diversa è la situazione emersa attraverso lo studio del contesto catalano, non indenne tuttavia da cattive pratiche. L’istituzione di un’area protetta ha fortemente influito sul destino di vaste aree costiere già urbanizzate. Amministrazioni lungimiranti hanno modificato le norme dei propri piani (vedi la Pletera) e con fondi comunitari sono riuscite a rimuovere campeggi, residence o singoli edifici, ripristinando i caratteri originali del paesaggio. Gran parte dei casi analizzati ha mostrato l'esistenza di più attori sociali, pubblici e privati, in grado di attivare politiche di gestione "sostenibile" del territorio. Si veda la Gestora de Runes de Catalunya, un’impresa a carattere misto pubblico-privato, o fondazioni private, come Territori i Paisatge o Abertis che contribuiscono alla gestione delle aree protette, sia attraverso fondi specifici, sia tramite azioni mirate al coinvolgimento di fasce protette di popolazione. Altra azione attiva evidenziata in ambito spagnolo, al fine di proteggere i litorali e garantirne successivo ripristino, è l’acquisto di terreni in zona costiera da parte dello Stato per includerli nel DPMT ampliando il Dominio Público Natural. Varie esperienze a livello internazionale, come l'istituzione francese del Conservatorie du Littoral, hanno dimostrato l'importanza di tale strumento, la cui efficacia è strettamente legata alla programmazione finanziaria a lungo termine. In base a quanto esposto emerge l’esigenza di coordinare la normativa esistente a scala regionale con altri strumenti di protezione dei litorali, in nome della ICZM, ma soprattutto è evidente la necessità di una forte volontà politica, in particolare da parte dei comuni, di gestire le aree costiere come risorsa “sostenibile”, intendendo per “sviluppo sostenibile” il ”processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che 20 con gli attuali” .
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A tal proposito si legga la Circolare n. 1/2011 “Indicazioni per migliorare l’efficacia delle conferenze di copianificazione previste dal DRAG nella formazione dei Piani Urbanistici Generali (PUG)”. 20 definizione contenuta nel rapporto Brundtland, elaborato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo e che prende il nome dall'allora premier norvegese Gro Harlem Brundtland, che presiedeva tale commissione. Federica Greco, Rosanna Rizzi, Martí Franch
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Bibliografia Libri Clementi A. (a cura di, 2002), Interpretazioni di paesaggio, Meltemi, Roma. Mininni MV. (a cura di, 2010), La costa obliqua, Donzelli. Fraguell R.M. (1993), Turisme residencial i territori: la segona residència a la regió de Girona, l’Eix editorial, Girona. Mundet i Cerdan L., Donaire Benito J.A. (2002), Estrategias de reconversión de los municipios litorales catalanes, Universidad de Almeria. Bulgarini F., Teofili C., Petrella S. (a cura di, 2006), La Conservazione della Biodiversità nell’Ecoregione Mediterraneo Centrale. Contributi al Piano Nazionale per la Biodiversità, MIUR. Dellisanti R.M. (a cura di, 2004), Rapporto sullo stato dell’ambiente Nord-Barese Ofantino, L’ambiente fluviale Ofantino, pp. 13-14.
Articoli Reina A., Rotondo F. , Selicato F. (2011), “Il Piano regionale delle Coste”, in Geologi e Territorio, (2), pp.4-8.
Siti web Comunicazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo sulla gestione integrata delle zone costiere: una strategia per l’Europa. COM/2000/547. Disponibile su: http://ec.europa.eu/environment/iczm/comm2000.htm Carta Europea per il Turismo Sostenibile nelle aree protette, CETS (1995). Disponibile su: http://www.parks.it/federparchi/carta.europea.turismo.durevole/index.html Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (2010). La Strategia Nazionale per la Biodiversità un percorso condiviso e partecipato. Disponibile su: http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=08142 Impact of tourism on Mediterranean Marine and Coastal Biodiversity Project for the Preparation of a Strategic Action Plan for the Conservation of Biological Diversity in the Mediterranean Region (SAP BIO) (2003), Nimes. Disponibile su: http://sapbio.rac-spa.org/feng.pdf Buenas prácticas para el Paisaje (2011). Catalogo Pays.Med.Urban. Disponibile su: http://www.paysmed.net Dossier Legambiente Mare Monstrum 2007 – 2011 Disponibili su: http://www.legambiente.it Regione Puglia (2010). Piano Paesaggistico Territoriale Regionale. Disponibile su: http://paesaggio.regione.puglia.it Regione Puglia (2010). Piano Urbanistico Territoriale Tematico “Paesaggio”, PUTT/P. Disponibile su: http://www.sit.puglia.it/portal/sit_pianificazione/Documenti/Piano+Paesaggistico+-+PUTTp Regione Puglia (2011). Piano delle Coste. Disponibile su: http://www.regione.puglia.it Generalitat de Catalunya (1992). Pla d’Espais de Interés Natural, PEIN. Disponibile su http://www.gencat.cat Generalitat de Catalunya (2005). Pla Director Urbanístic del Sistema Costaner, PDUSC. Disponibile su http://www10.gencat.cat/sac/AppJava/servei_fitxa.jsp?codi=12081 Zito V., (2008). Armonizzazione normativa transfrontaliera nell’ambito del turismo culturale secondo i principi della sostenibilità. ("SITRuS"). Disponibile su: http://eprints.bice.rm.cnr.it/1159/ Savella S. (2008). Ofanto, il parco rubato. Inchiesta sulle problematiche legate all'inquinamento del fiume Ofanto, sulla vicenda relativa alla costituzione del Parco regionale Fiume Ofanto. Disponibile su: http://www.peacelink.it/ecologia/a/27910.html.
Riconoscimenti: Si ringraziano per la disponibilità l’Ing. N. Giordano, l’Arch. F. Di Trani, il Dott. G. Musicco, l’Arch. MR. Lamacchia della Regione Puglia, la Prof.ssa MV. Mininni, il Prof. N. Martinelli e l’ente Parco “Litorale di Ugento” nella persona di Marco Dadamo.
Copyright: Tutti i diritti relativi al testo sono riservati.
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Il riciclo, un paradigma possibile, anzi necessario. La seconda vita del SIN “Bussi sul Tirino”.
Il riciclo, un paradigma possibile, anzi necessario. La seconda vita del SIN “Bussi sul Tirino”. Chiara Rizzi Università degli Studi di Trento Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale Email: chirizzi@gmail.com Tel. 399.77314
Abstract In Italia i Siti di Interesse Nazionale (SIN) rappresentano circa il 3% del territorio nazionale, un cospicuo “patrimonio” da bonificare, ma non solo. La soluzione della questione ambientale è, infatti, una condizione minima ma non sufficiente affinché queste aree acquistino un nuovo valore e un nuovo senso. I SIN, scarti di una modernità basata sul paradigma dello sviluppo e della crescita, sono forse uno dei segni più evidenti e tangibili depositati sul territorio dall’attuale crisi economica e ambientale. Le istanze di cambiamento che essa determina chiedono al progetto di paesaggio di essere sensibile al contesto, sostenibile ed ecologico, di creare nuovo valore senza consumare ulteriori risorse. Il riciclo in questo senso diventa una possibilità, anzi una necessità. L’area di Bussi Officine, in provincia di Pescara, polo chimico dall’inizio del Novecento e Sito di Interesse Nazionale dal 2008, offre un’occasione per sperimentare il riciclo come paradigma per il progetto di paesaggio contemporaneo.
I siti contaminati in Italia In Italia ci sono 57 Siti di Interesse Nazionale (SIN). Individuati e perimetrati con Decreto del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare d’intesa con le regioni interessate, essi interessano una superficie di 1.800 kmq di aree marine, lagunari e lacustri e 5.500 kmq di aree terrestri, che equivalgono a circa il 3% dell’intero territorio nazionale. (figura1)
Chiara Rizzi
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Il riciclo, un paradigma possibile, anzi necessario. La seconda vita del SIN “Bussi sul Tirino”.
Figura 1. L’area totale dei SIN marini equivale al doppio della somma del lago di Garda e della laguna di Venezia, mentre quella dei SIN terrestri equivale alla somma delle province di Lodi, Pavia e Milano. Elaborazione da Greenpeace. Si tratta di aree in cui l’inquinamento di suolo, sottosuolo, acque (sotterranee e superficiali) è talmente diffuso e grave da essere considerato un pericolo non solo per l’ambiente naturale, ma anche per la salute pubblica. I comuni interessati dai SIN sono oltre 300, per un totale di circa 9 milioni di abitanti. Le regioni italiane con il maggior numero di siti inquinati sono la Lombardia (7 aree) e la Campania (6 aree), la Sardegna (445.000 ettari) e ancora la Campania (345.000 ettari), quelle con le aree contaminate più estese. 1 In termini di estensione, le aree maggiori sono: il litorale Domitio Flegreo-Agro aversano, il bacino del fiume Sacco, il Sulcis e Casale Monferrato. In particolare, il sito del litorale Domitio si estende per circa 180 mila ettari, ovvero il 12% del territorio regionale ed include 77 comuni delle provincie di Napoli e Caserta, per un totale di circa 1 milione e mezzo di abitanti. Esso inoltre comprende una serie di aree inquinate “emblematiche”, fra cui il sistema di canali dei Regi Lagni, opera di bonifica risalente al XVII secolo e importante esempio di ingegneria idraulica, oggi utilizzati per sversamenti di sostanze inquinanti di oggi genere; o il famigerato sito di Taverna del Re, sorto come area per lo stoccaggio temporaneo di ecoballe e trasformatosi in una vera e propria discarica fuori controllo (non si ha nessuna certezza del tipo di rifiuto contenuto nelle balle e non vi è alcun impianto di captazione né del metano, né del percolato). Nell’arco di un decennio, dalla Legge n.426/98 alla più recente Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri 3716/2008, si sono susseguiti ben 9 atti normativi in materia di individuazione, perimetrazione, messa in sicurezza, caratterizzazione e bonifica dei SIN. Tra questi, ha avuto un ruolo determinante il D.Lgs.152/06, il quale ha introdotto importanti elementi di innovazione sia a livello di principi generali che di procedure. Una conseguenza diretta dell’entrata in vigore di questo decreto legislativo risulta evidente dalla lettura della variazione dei dati relativi agli anni 2007 e 2008, sia in termini di superficie perimetrata che di classificazione della stessa. La superficie perimetrata dei SIN è passata, dal 2007 al 2008, da 681.000 a 820.000 ettari, dove l’individuazione dei nuovi siti di interesse nazionale di Pianura e Bussi sul Tirino, ha riguardato solo 390 ettari mentre i restanti 138.610 ettari in più rispetto al 2007 sono dovuti alla riperimetrazione di diversi siti secondo la nuova norma. 2 Oltre ai SIN, il Vademecum del 2011 redatto dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale individua ben 15.000 siti potenzialmente contaminati di competenza regionale, 2.000 in più rispetto a tre anni prima. Secondo il D.Lgs.152/06 sono “siti potenzialmente contaminati” quelli nei quali uno o più dei valori di concentrazione degli inquinanti risulti superiore ai valori i limiti definiti dallo stesso decreto “concentrazioni soglia di contaminazione – CSC”, mentre risultano essere “siti contaminati” quelli in cui vengono superati i (diversi) livelli di contaminazione, denominati “concentrazioni soglia di rischio– CSR”, da determinare caso per caso tramite l’analisi di rischio. Nonostante nell’anagrafe dei siti potenzialmente contaminati rientrino anche 1 2
Cfr. Rapporto Greenpeace, SIN Italy. La Bonifica dei Siti d’Interesse Nazionale, ottobre 2011. Cfr. Rapporto Confindustria, La gestione delle bonifiche in Italia: analisi, criticità, proposte, Luglio, 2009.
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quelli bonificati o svincolati, è pur vero che questi ne rappresentano una percentuale relativamente bassa. Ad esempio, nel 2008 i siti bonificati a livello regionale sono stati 1306 rispetto a 4871 siti effettivamente contaminati.
Dalla bonifica al riciclo, dall’ambiente al paesaggio I siti contaminati, in generale, e i SIN, in particolare, non sono altro che gli scarti di una modernità basata sul paradigma dello sviluppo e della crescita, sono uno dei segni più evidenti e tangibili depositati sul territorio dall’attuale crisi economica ed ecologica. Una crisi che fa i conti anche con la sostanziale incapacità di dare risposte concrete ed efficaci alle istanze di cambiamento. Ancora una volta sono i numeri a fotografare questa incapacità: solo per il 16% della superficie totale è stata avviata la caratterizzazione, cioè quell’insieme d’indagini necessarie a definire l’assetto geologico e idrogeologico, verificare la presenza di contaminazione nei suoli e nelle acque e sviluppare un modello concettuale del sito. Per quel che riguarda la fase più propriamente progettuale, le percentuali scendono drasticamente: solo lo 0,19% delle aree ha un progetto preliminare approvato e appena lo 0,40% ha un progetto definitivo approvato. Infine, la percentuale dei SIN bonificati o svincolati è pressoché nulla, e si riferisce per lo più a due soli SIN: Sulcis e Litorale Domitio-Flegreo e Agro Aversano. (Confindustria, 2009). Le ragioni di tale situazione sono da ricercare in una crisi che non è soltanto economica, ma anche e soprattutto culturale. Infatti, se da un lato essa sta modificando rapidamente e profondamente valori, desideri, aspettative, dall’altra mette in luce la necessità di definire nuovi paradigmi e modalità operative. Siamo di fonte a quella che Thomas S. Kuhn definirebbe una “rivoluzione scientifica”, in cui le questioni emergenti non possono essere più affrontate attraverso i paradigmi di quella che egli indica come “scienza normale”. Le crisi, ancora secondo Kuhn, sono una condizione preliminare necessaria all’emergere di nuove teorie e “la transizione da un paradigma in crisi ad uno nuovo (…) è tutt’altro che un processo cumulativo, che si attui attraverso un’articolazione o un’estensione del vecchio paradigma. È piuttosto una ricostruzione del campo su nuove basi (…) Durante il periodo di transizione, vi sarà una sovrapposizione abbastanza ampia, ma mai completa, tra i problemi che possono venire risolti col vecchio paradigma e quelli che possono essere risolti col nuovo. Ma vi sarà anche una netta differenza nei rispettivi modi di risolverli. Quando la transizione è compiuta, gli specialisti considereranno in modo diverso il loro campo, e avranno mutato i loro metodi e i loro scopi” (Kuhn, 2009; p.111). Il passaggio dal concetto di territorio - come sistema di misure - a quello di paesaggio, inteso più che come sistema di valori nel senso espresso dalla Convenzione Europea del Paesaggio, come “un grande contenitore di processi distinti in almeno cinque diversi tipi: processi biologici, processi ecologici sensu strictu, processi cognitivi, processi culturali ed infine processi economici” (Farina, 2004; p. 9) rappresenta lo sfondo concettuale in cui questo cambio di paradigmi si va definendo. La recente traslazione dal contesto ambientale a quello ecologico delle discipline che si occupano delle trasformazioni dei paesaggi antropizzati, prime fra tutte l’urbanistica, costituisce uno dei campi più fertili per l’elaborazione di nuovi paradigmi. La contemporaneità chiede al progetto non solo di risolvere aspetti ambientali, ma anche di essere sensibile al contesto, sostenibile ed ecologico, di creare nuovo valore senza consumare ulteriori risorse. In questo senso la bonifica ambientale dei SIN è solo una parte del problema, la sua soluzione è una condizione minima ma non sufficiente perché le aree contaminate acquistino un nuovo valore e un nuovo senso. Re-cycle Strategie per l’architettura, la città e il pianeta è il titolo di una recente mostra del MAXXI (Museo delle Arti del XXI secolo) Architettura. Essa rappresenta il risultato di una ricerca che, attraverso registri diversi, pone all’attenzione del mondo scientifico e non il tema del riciclo come forma di linguaggio del progetto architettonico e di paesaggio. Si tratta di una riflessione sulla condizione contemporanea dell’architettura a partire dall’idea che il riciclo possa essere “un’azione ecologica che spinge l’esistente dentro il futuro trasformando gli scarti in figure di spicco” (Ricci, 2011a; p. 73). A partire dal riciclo si possono costruire strategie e tattiche 3 che si fanno interpreti di una visione condivisa di futuro. Se il paradigma, come sostenuto da Kuhn, raramente è uno strumento di riproduzione, ma piuttosto uno strumento di selezione, il riciclo può essere considerato un paradigma. I SIN possono diventare eccezionali campi di sperimentazione di tale paradigma. L’estensione delle aree, la complessità dei processi che esse coinvolgono, la diversità dei contesti in cui si inseriscono, la loro capacità di catalizzare intorno a sé il dibattito politico, rendono i SIN delle possibili aree bandiera e delle potenziali aree ombrello . 4 3 4
Nel senso che a questo termine attribuisce Fabrizia Ippolito per le azioni urbane. Il riferimento è alle scienze ambientali. Si definisce specie bandiera quella scelta come emblema di un problema ambientale. Queste specie vengono selezionate per la loro vulnerabilità, attrazione o aspetto allo scopo di veicolare la comunicazione e sensibilizzare il grande pubblico. Le specie ombrello sono invece quelle con più elevate esigenze ecologiche, quindi la difesa del loro habitat diviene essenziale anche per altre specie a esso correlate.
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Il riciclo, un paradigma possibile, anzi necessario. La seconda vita del SIN “Bussi sul Tirino”.
Recycling Bussi Il sito SIN di Bussi sul Tirino, in Abruzzo, in prossimità della confluenza del fiume Tirino con il Pescara, porta sud del Parco Nazionale del Gran Sasso, nonché limite nord del Parco Nazionale della Majella, è una potenziale area bandiera. Nella parabola della sua esistenza è racchiuso un secolo di storia del nostro Paese; dalla fase pioneristica della chimica di inizio Novecento, alla crescente pervasività dei prodotti di sintesi nella vita quotidiana nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, fino all’attuale crisi. Ripercorrere la storia di quest’area e delle sue produzioni equivale a raccontare un’idea di progresso che ha lasciato ferite profonde non solo sul territorio e sull’ambiente, ma anche sulle comunità che li abitavano e continuano farlo. Immaginare un nuovo ciclo di vita per il sito di Bussi Officine, ormai ridotto a uno scarto, a un rifiuto, non vuol dire, semplicisticamente, risignificare l’area racchiusa nei suoi confini, si tratterebbe della reiterazione di un “delitto”. Dare a quest’area una nuova storia e un nuovo corso vuol dire, necessariamente, rifondare la grammatica della sua narrazione. Un progetto di rifunzionalizzazione o riqualificazione sarebbe null’altro che un atto di resistenza a quel cambiamento che la crisi attuale rende urgente ed inevitabile. Un cambiamento che coinvolge tanto i processi economici quanto quelli culturali ed ecologici e che quindi non può che essere tradotto in un progetto di paesaggio. Riciclare Bussi vuol dire attivare processi che, a partire dalla soluzione delle questioni emergenti, cioè di quelle ambientali, siano in grado di produrre cultura, ecologia, economia, in un’unica parola, paesaggio. La strategia ambientale, se veicolata attraverso un progetto di riciclo, può produrre effetti diretti ed indiretti anche sulle altre componenti strutturali e funzionali del paesaggio, e trasformare la particolare vulnerabilità del contesto in una opportunità. Per questo il riciclo può trasformare un’area contaminata in un’area ombrello (Figura 2).
Figura 2. L’area di Bussi Officine. Stato dei luoghi. Fonte: Workshop “Acqua e siti inquinati, diritti e salute per i cittadini", Facoltà di Architettura di Pescara. Il polo chimico di Bussi Officine inizia le sue attività produttive nei primi anni del secolo scorso con l’avvio del primo impianto italiano per l’elettrolisi del Cloruro di sodio. In pochissimo tempo Bussi divenne il primo centro industrializzato d’Abruzzo e i suoi abitanti si trasformarono rapidamente da contadini e artigiani in operai. Il fiume, la S.S. Tiburtina Valeria e la ferrovia Pescara-Roma, decretarono il successo e lo sviluppo dello stabilimento. Durante la Prima Guerra Mondiale la produzione si trasformò a fini bellici e così a Bussi si produssero il ferro-silicio per le corazze delle navi, i clorati per gli esplosivi e l’iprite, il terribile gas usato nella guerra chimica. “Nel 1921 la svolta definitiva per Bussi Officine con la Società Elettrochimica Novarese che portò alla completa industrializzazione della Val Pescara” (Biancardi, Lotti, 2008 p.16). Nel Ventennio fascista l’idrogeno e l’azoto divennero i simboli del “genio italiano” e delle risorse nazionali e fu proprio a Bussi che si produsse sia l’idrogeno che permise al dirigibile Norge di raggiungere il Polo Nord sia l’azoto che era destinato a cambiare le nostre produzioni agricole. Un’altra tappa importante per la Bussi dell’Italia del boom economico sono gli anni ’60; è infatti in quegli anni che lo stabilimento diventa di proprietà della Montedison. L’Italia cresce e così anche il sito industriale amplia il Chiara Rizzi
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suo perimetro, fino agli inizi del XXI secolo, prima con la Società Italiana Additivi per Carburanti (SIAC), poi con Solvay ed infine con la Edison. Il seguito è storia recente. Nel 2007 il Corpo Forestale dello Stato pone i sigilli alla “discarica di rifiuti tossici più grande d’Europa”, due aree per una superficie totale di circa 84.000 mq e un volume di rifiuti tossici di circa 500.000 mc. Le stime dell’ISPRA parlano di quasi 2 milioni di tonnellate di suolo contaminato e 9 miliardi di euro di danni. Cloroformio, esacloroetano, tetracloruro di carbonio, tetracloroetano, tricloroetilene, idrocarburi policiclici aromatici, sono questi i nomi delle sostanze che legano direttamente le discariche abusive all’attività del polo chimico di Bussi, che lo hanno trasformato in un Sito di Interesse Nazionale e in una vera e propria bomba ecologica per l’intera Val Pescara. L’intera area (comprese le discariche) si trova infatti in prossimità del fiume Pescara, il più grande tributario dell’Adriatico dopo il Po, il cui bacino idrico fornisce acqua potabile a circa la metà della popolazione abruzzese. Le vicende giudiziarie in merito ai reati ambientali e contro la salute pubblica (proprio a causa dell’adulterazione delle acque destinate al consumo umano) sono ancora in corso. Ma più delle vicende giudiziarie interessano, in questa sede, quelle legate alla bonifica, condizione preliminare per qualsiasi progetto di trasformazione dell’area. A 5 anni dal sequestro e a 4 dalla perimetrazione del SIN, davvero poco, o quasi nulla, è stato fatto, per scarsità di fondi, certamente, ma anche per mancanza di quella lungimiranza tanto auspicata dalla Convenzione Europea del Paesaggio (art.1 comma f) e tanto difficile da tradurre in azioni concrete. Il Decreto 216/2011 (il cosiddetto Milleproroghe), convertito in legge il 28 febbraio 2012, ha stanziato 50 milioni di euro in tre anni per la bonifica dell’area di Bussi Officine. Precisamente la legge prevede che “le opere e gli interventi di bonifica e messa in sicurezza dovranno essere prioritariamente attuati sulle aree industriali dismesse e siti limitrofi, al fine di consentirne la reindustrializzazione”. Nel dizionario della lingua italiana il termine reindustrializzazione è quel complesso d’iniziative e provvedimenti volti a restituire efficienza ad un settore produttivo o a una zona geografica precisa. In questo caso specifico rappresenta il tentativo di rispondere alla crisi con un atto di resistenza alle spinte di cambiamento con proposte estranee al contesto e fuori dal tempo, utilizzando gli stessi mezzi che l’hanno generata. Ancora una volta il legislatore, d’intesa con alcuni amministratori, esprime un’idea di futuro che sembra ignorare non solo la storia recente di Bussi e del suo polo chimico, ma anche le dinamiche che stanno cambiando le coordinate delle aspettative collettive. La proposta fino ad ora più accreditata sembra infatti essere quella della TOTO S.p.A per la costruzione di un nuovo cementificio. La filiera delle costruzioni sta vivendo uno dei più gravi cicli negativi mai registrati: i consumi di cemento sono passati da 46,8 milioni di tonnellate del 2006 a 32, 5 milioni di tonnellate nel 2011. I livelli di attività nelle costruzioni di edilizia residenziale e non hanno raggiunto i minimi storici dal 1995. Le prospettive di breve e medio periodo sulla realizzazione delle infrastrutture pubbliche non forniscono indicazioni per un’inversione di tendenza (dati AITEC - Associazione Italiana Tecnico Economica del Cemento). Se si tiene conto che l’industria del cemento è capital intensive, diventa impensabile che nel lungo periodo si possa far funzionare gli impianti di produzione sottoutilizzando la loro capacità. Ma allora, perché pensare di costruire un nuovo cementificio in Abruzzo, dove i tre impianti già esistenti soffrono pesantemente la crisi? Perché localizzarlo proprio a Bussi, un contesto che ha pagato e ancora continua a pagare conseguenze pesantissime per il suo passato industriale? Perché continuare a proporre modelli obsoleti e fallimentari? Sono queste le domande che hanno guidato il workshop “Acqua e siti inquinati, diritti e salute per i cittadini” organizzato dalla Facoltà di Architettura di Pescara con l’ausilio dell’Associazione Studentesca 360°, sostenuto dal WWF e dall’Abruzzo Social Forum e patrocinato dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua. Si è trattato di un’esperienza interessante sotto diversi punti di vista. Innanzitutto per il costruttivo confronto che ha avviato con contesti che vivono situazioni analoghe. Amianto, policlorobifenili, beta esaclorocicloesano, non sono soltanto alcuni dei nomi delle sostanze che hanno avvelenato molta parte del territorio italiano negli ultimi decenni. Tali sostanze hanno trasformato Casale Monferrato, Brescia, la Valle del Sacco, in alcuni dei nodi più importanti di una geografia dell’orrore che attraversa l’Italia e da cui non si può non ripartire per immaginare scenari, strategie e visioni. Bussi è un altro nodo di questa rete. Da qui è partito il workshop per avviare un dialogo e condividere conoscenze, esperienze, approcci e modalità, per elaborare strategie comuni e condivise in grado di declinare attraverso il progetto di paesaggio un vero e proprio progetto di futuro. Si tratta di strategie che procedono “per obiettivi di qualità della vita, pratiche autopoietiche e tattiche di sopravvivenza” (Ricci, 2011b; p. 67). È per questo che il workshop ha prodotto visioni più che proposte di riconfigurazione definitive, ha preferito indicare possibili vie da percorrere piuttosto che dare soluzioni preconfezionate. Ha detto “no” all’ipotesi di reindustrializzazione e di localizzazione di un nuovo cementificio, e ha detto “si” a un progetto di paesaggio basato sul paradigma del riciclo elaborando una visione a densità variabile. In essa convergono numerosi temi quali la permanenza della memoria, la tutela dell’ambiente, la ricerca e l’innovazione. A tal proposito si è previsto il riuso della maggior parte delle strutture esistenti e la riqualificazione della fascia perifluviale con funzioni di connessione ecologica ed ecosistemica tra il centro abitato e il nuovo polo di ricerca/innovazione sulle bonifiche in sostituzione del vecchio polo chimico (Figura 3).
Chiara Rizzi
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Il riciclo, un paradigma possibile, anzi necessario. La seconda vita del SIN “Bussi sul Tirino”.
Figura 3. L’area di Bussi Officine. Visioni. Fonte: Workshop “Acqua e siti inquinati, diritti e salute per i cittadini", Facoltà di Architettura di Pescara. Si tratta di una visione che fissa con chiarezza gli obiettivi, ma lascia ampi margini di discussione sulle modalità per raggiungerli, nella consapevolezza che il percorso è appena iniziato e che non può che partire dal basso. L’obiettivo a breve termine è che Bussi sia un’area bandiera dei siti contaminati d’Italia e quello a medio-lungo termine è che diventi un’area ombrello per l’intera Val Pescara.
Bibliografia Libri Biancardi A., Lotti A. (2008), Ce l’hanno data a bere. Lo scandalo dell’acqua avvelenata in Abruzzo, Lulu.com Editore. Farina A. (2004), Verso una scienza del paesaggio, Perdisa Editore, Bologna. Kuhn T. S. (2009), La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Giulio Einaudi Editore, Torino. Ricci M. (2011), “Nuovi paradigmi: ridurre riusare riciclare la città e i paesaggi”, in Re-cycle, strategie per l’architettura, la città e il Pianeta, P.Ciorra , S.Marini (a cura di), Mondadori Electa, Milano.
Articoli Ippolito F. (2004), Senza Paura, Cronopio n.2.
Chiara Rizzi
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Potenzialità mortificate di un paesaggio-sfondo
Potenzialità mortificate di un paesaggio-sfondo Valeria Scavone Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Email: valeria.scavone@unipa.it Tel. 329.6224901
Abstract La rivalutazione del paesaggio agrario attraverso strumenti urbanistici mirati, in contesti di medio-piccole dimensioni, può portare alla ridefinizione di gerarchie, alla riconfigurazione del sistema degli spazi pubblici aperti, alla fruizione collettiva di luoghi dimenticati, al ridisegno di relazioni produttive? Attraverso lo studio del Piano Regolatore Generale di Agrigento, un Comune localizzato sul versante africano della Sicilia, si cercherà di dare una risposta la quesito. Il tema cardine che caratterizza univocamente il territorio del caso studio: il paesaggio agrario, sfondo della pregevole Valle dei Templi, non riesce ad assumere - concretamente un ruolo centrale al fine di innescare una riflessione sul necessario mutamento della città contemporanea perché non adeguatamente valorizzato – concretamente - dagli strumenti urbanistici. Rappresenta un’occasione mancata di attivare un “processo di riterritorializzazione, di differenziazione degli stili di sviluppo, di produzione di relazioni di scambio fra luoghi” (Magnaghi, Marson, 2005) mediante interventi su spazi aperti pubblici, paesaggio agrario e mobilità. Il Piano Regolatore Generale di Agrigento, che nella relazione immaginava una “città parco”, dimostra invece un allontanamento dalla scia tracciata da virtuosi piani dell’area umbro-toscana che avrebbe dovuto portare dalla Convenzione Europea del Paesaggio in poi - ad una introduzione del paesaggio nel piano locale, con una scala opportuna di intervento concreto, in modo che la città non si opponga più alla campagna, ma la conservi “reinventandola” (Donadieu, 2006).
Introduzione Il paper presentato mira a argomentare la tesi relativa al ruolo di strumenti urbanistici nella rivalutazione del paesaggio in contesti di medio-piccole dimensioni, al fine di ridefinire di gerarchie, di riconfigurare del sistema degli spazi pubblici aperti, di riattivare una fruizione collettiva di luoghi dimenticati, di ripensare relazioni produttive con i comuni limitrofi. Consapevoli degli innumerevoli studi svolti in ambito nazionale e non solo circa la riscoperta del “valore” del paesaggio nel progetto urbanistico contemporaneo, si analizzerà un caso studio emblematico in tal senso, il PRG della città di Agrigento che, di recente approvato, avrebbe potuto essere un’occasione di ripensamento dell’intera città contemporanea in un’ottica generale di contenimento di consumo di suolo, di tutela e di rifunzionalizzazione del suo incredibile paesaggio ad oggi mortificato. Il contributo consta di una prima parte dedicata all’inquadramento scientifico del tema, una seconda dedicata alla descrizione della città e del suo incredibile paesaggio-sfondo dei Templi (Sito Unesco), una terza alle scelte dei recenti PRG, una quarta al Piano del Parco, una quinta alle conclusioni.
Inquadramento Il “verde” è a tutti gli effetti “materiale” della scena urbana (Belfiore, 2005) destinato a sviluppare rapporti sempre più complessi con la città, con l’assetto delle sue singole parti e con la sua organizzazione complessiva. Valeria Scavone
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Partendo da una citazione di Venturi Firriolo (2002): “mentre un pittore dipinge un quadro, un poeta scrive una poesia, un intero popolo crea il paesaggio che costituisce il serbatoio profondo della sua cultura, reca l’impronta del suo spirito”, riflettiamo sulle due correnti di pensiero che - storicamente - si sono sviluppate in Italia circa il significato del termine paesaggio in generale. Una è la corrente scientifica che risale alla nascita e all'evoluzione delle scienze naturali; la seconda è la corrente di pensiero estetico percettivo e ha per oggetto la percezione visiva che scaturisce dalla contemplazione o dalla semplice fruizione di un paesaggio. Se Gambi vede nel paesaggio un complesso interrelarsi di fatti storici, sociali ed istanze culturali, la visione di Sereni (1961) - che ha molti punti di contatto con quella di Gambi - si innesta in questo stesso filone la ricerca avviata successivamente da Eugenio Turri. Quello che si evince, rileggendo gli studi di Gambi, Sereni e Turri, è proprio quel principio sancito formalmente dalla Convenzione europea, che vede l'inscindibilità del territorio: “esiste solo un 'unica questione che è sociale e paesistica al tempo stesso”. La giusta risposta è la definizione di un paesaggio dove una determinata comunità possa rispecchiarsi e riconoscersi, che, in definitiva, possa aiutare a ridare identità ad un determinato luogo e ad una determinata comunità (Convenzione Europea Paesaggio, 2000). E questo il sistema più idoneo affinché le varie comunità locali possano cessare di “subire” i loro paesaggi e diventare, invece, promotrici e uniche responsabili delle trasformazioni del loro stesso territorio, giungendo, dunque, ad una pianificazione che sia di reale supporto ai territori. Negli ultimi anni, si può considerare consolidato il presupposto che vede il paesaggio come il risultato del rapporto comunità-territorio: non è solo sommatoria di una serie di processi più o meno coordinati, ma uno scambio in continua trasformazione e arricchimento. Dalle tracce che una comunità lascia sul territorio, dunque, si deve partire per scoprire l'identità di un luogo, senza fermarsi all'individuazione di elementi monumentali, né tanto meno alla storia dei grandi eventi. Scoperte le risorse identitarie di un luogo, la pianificazione paesistica dovrebbe esaltarle e rafforzarle al fine di favorire la creatività locale (Turri, 1998). In sostanza l'operazione da compiere è porre in risalto un paesaggio così come depositato nelle memorie di chi lo vive; ricercando quel senso di appartenenza ai luoghi che è essenziale nel riconoscimento delle specificità di un paesaggio, senza divenire pretesto di chiusure localistiche ma, al contrario, strumento di una comunicazione proficua tra luoghi, società e culture" (Dematteis, 1995). Ecco che prolificano riflessioni sul tema dell’identità culturale, fondato sulla consapevolezza delle comunità locali e sull’uso compatibile delle risorse. La World Commission on Culture and Development definisce sinonimo di identità la diversità (1996), la pluralità del patrimonio culturale viene riconosciuta come valore fondamentale per la crescita delle società umane. Tant’è che oggi "il paesaggio rurale, soprattutto a fronte di processi di declino e di emarginazione, è chiamato a esercitare il ruolo di motore dello sviluppo locale sostenibile. A richiederlo è la Convenzione Europea del Paesaggio (2000) che identifica il paesaggio come aspetto essenziale (…) dell’identità della popolazioni" (Voghera, 2006, p.92.). Senza tralasciare che già nel 1992 la Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo, ribadendo la necessità di costruire modelli di sviluppo, si richiama alla specificità delle risorse endogene e, quindi, in particolare all’agricoltura quale motore per il rafforzamento delle relazioni tra le comunità e i territori. Quello che emerge in questi anni, sempre più, è che si è passati dal classico concetto di tutela "per punti" a quello per "sistemi", pertanto considerare il clima, l'aria, il mare, il suolo quali forze interagenti del territorio significa restituire un'idea di paesaggio rivolta alla acquisizione di ambienti naturali, mentre per gli ambienti modificati dall'uomo è logico tener conto dei progressi conseguibili attraverso reti ecologiche. Definito l'ambiente naturale come insieme di elementi fisici abiotici e biotici, legati da relazioni evolutive, ne deriva il concetto di ecosistema, insieme delle popolazioni vegetali ed animali e delle relazioni che queste mantengono tra di loro e con le componenti fisiche ed energetiche dell'ambiente in cui si manifestano. Gli elementi compositivi del paesaggio variano spesso per ragioni marginali in riferimento a problemi ecologici, ma variano per gli effetti catastrofici che si producono a causa della abituale indifferenza nei confronti del valore del paesaggio, inteso come "bene collettivo". Quale luogo più appropriato, dunque, per attuare una riannessione "in chiave ecologica dei sistemi territoriali locali" (Lo Piccolo, 2009, p 11) che la Valle dei Templi di Agrigento, dove natura e cultura si compenetrano in un unicum? Studi recenti infatti ribadiscono il ruolo che il parco agricolo con le sue valenze paesaggistiche può ricoprire sul sistema dei beni archeologici e culturali e in quello delle strutture antropiche (Rossi Doria, 2009).
Akragas, Girgenti, Agrigento. La città e il paesaggio L’attenzione è stata rivolta all’urbanizzazione di Agrigento, interessante e complessa, da sempre scenario di una attività edilizia incontrollata (o controllata da strumenti poco illuminati), lontana dalle usuali regole urbanistiche e di tutela dei beni naturali e culturali. Agrigento, una realtà dove il fenomeno del cemento, la materia urbana (Boeri, 2003), che ha invaso tutto, della città diffusa e aperta è avvenuto in modo prepotente a discapito di corsi d’acqua, aree di interesse archeologico e paesaggistico, aree destinate ad impianti di pubblica utilità, aree agricole. Della città greca, Akragas, famosa anche per il vasto e fertile entroterra, non rimane che l’area archeologica, attorno alla quale si è sviluppata una città frammentata e abusiva che ha stravolto l’uniformità del Valeria Scavone
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paesaggio agrario e costiero. Una realtà dove interventi virtuosi a protezione della “diversità” 1 (UNESCO 1996) all’interno del perimetro del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi convivono con degrado e abusivismo (Fig.1). La lettura storico-geografica del territorio, avvenuta mediante le cartografie storiche dell’IGM, dalla Carte Tecniche Regionali di diversi periodi, dal confronto di diverse foto aeree e da dati ISTAT (Tabella 1), ha portato una serie di considerazioni. La città che, fino al 1944, si sviluppava solo sulla collina - Girgenti - e ai piedi della Rupe Atenea (dai primissimi del XX secolo), dove l’edificazione era avvenuta in modo misurato, mantenendo un delicato equilibrio con la Valle dei Templi, il paesaggio agrario e il mare, a causa delle distruzioni causate dalla Seconda Guerra Mondiale, veniva invece edificata selvaggiamente intorno agli anni Cinquanta del Novecento nelle aree a ridosso della collina fino a quando la frana del 1966 (Cannarozzo, Leone, 2007, pp.101-107) non ha interrotto (e non del tutto) il processo.
Figura 1. Il giardino della Kolymbetra dentro il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi L’evento ampiamente studiato - noto anche per le conseguenze sulla normativa nazionale e per i lavori della Commissione di Indagine - ha comportato, per la necessità di abitazioni, la nascita o ampliamento di interi quartieri, squallidi e privi di struttura a discapito di ettari di suoli agricoli produttivi (vigneti e uliveti), senza che vi fosse un corrispondente aumento della popolazione (tabella). In quel periodo vengono fondati i centri abitati di Monserrato e Fontanelle, altri piccoli insediamenti preesistenti si sviluppano come San Leone, Villaggio Peruzzo, Villaggio Mosè, Villaseta, altri - ancora - subiscono un forte incremento intorno agli anni Ottanta, come San Michele, a nord della collina. Tabella: Abitazioni non occupate da persone residenti (Fonte ISTAT) Anno censimento 1971 1981 1991 Numero abitazioni 23817 63135 82641
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Questi ambiti esterni al “cuore” della città, che hanno inglobato il paesaggio agrario a nord e il fondale delle rovine archeologiche a sud, sono oggi i nodi di sistema urbano “pluricefalo” (definizione dell’ultimo PRG), frammenti urbani spesso isolati e mancanti anche dei servizi più elementari, nuclei residenziali con i caratteri di quartieri dormitorio. Il dato sconfortante, riportato in letteratura, di “27 milioni di metri quadrati” di suoli agrari trasformati in nuovi insediamenti urbani dal 1955 al 2003 (Lo Piccolo, 2009, 24-25), la tabella infatti evidenza come nel tempo il numero di abitazioni non occupate sia aumentato vertiginosamente, identifica il fenomeno nella sua gravità, una trasformazione che ha “profondamente trasformato nella sostanza e nella forma” il territorio rurale spesso in modo irreversibile, “indelebile” (Rossi Doria, 2009, 47). I diversi frammenti urbani di cui si è detto, i nodi di un sistema urbano potenzialmente policentrico sono emblema di quella “pratica urbanistica ed edilizia” che opera con una “sorta di disagio rispetto al luogo, un’indifferenza, un timore di confrontarsi (…) con il disegno del suolo, con la sua identità e la sua memoria” (Pavia, 2005, 38). Nel processo di crescita spontanea della città la conformazione naturale del territorio, la situazione orografica, i corsi d’acqua o gli alvei residuali, le aree rimboschite o vincolate a causa della frana 1
Il Museo del Mandorlo vivente e il Giardino della Kolymbetra (gestito dal FAI).
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hanno inevitabilmente svolto un forte ruolo. Ma il primo elemento condizionante il sistema urbano è la Valle dei Templi, significativo “vuoto” (Scavone, 2005) tra la collina e la fascia costiera, una Valle attorno alla quale si è sviluppata la città che contiene, oltre all’area archeologica, un interessantissimo - ancora oggi - paesaggio agrario, tant’è che l’Ente che sovrintende il tutto è denominato “Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi” (il primo parco italiano con una connotazione prettamente paesaggistico). Il paesaggio agricolo caratterizza talmente la cultura e l’economia dell’area che, ad esempio, ad ovest della collina di Girgenti, i due centri abitati Montaperto e Giardina Gallotti sono talmente periferici da essere considerati realtà non ricadenti nel perimetro comunale della città poiché, ad un ambito territoriale caratterizzato da un basso livello di antropizzazione e un buon livello di conservazione del paesaggio agrario, corrisponde un notevole grado di degrado fisico e sociale; le grandi infrastrutture viarie che “infestano” il sistema urbano hanno risparmiato quest’area che, infatti, mantiene, più di altre, intatta la sua vocazione agricola. Nell’area a sud-est della città, invece, se si eccettua la Valle, il paesaggio agrario è stato invece quasi completamente annullato da un tessuto insediativo spontaneo ma molto vivace: Villaggio Mosè, Villaggio Peruzzo, Cannatello e San Leone. Quest’ultima, borgata marinara, si è mantenuta quasi integra fino agli anni ’70 quando la speculazione ed un intervento di sistemazione urbanistica del lungomare ne hanno completamente stravolto l’assetto. CannatelloDune, un’urbanizzazione impropria in area agricola ai margini delle sponde del fiume Naro, è una interessantissima compresenza “spontanea” di aree agricole e urbane, che - pericolosamente - il nuovo strumento urbanistico parrebbe voler regolarizzare estendendo la possibilità di edificarvi (salvaguardandone alcuni lembi con “case con orto”). Villaggio Mosè costituisce un caso emblematico di distruzione di aree agricole: insediamento diffuso, “spontaneo”, irrisolto e disorganizzato, sviluppatosi intorno ad un gradevole borgo di epoca fascista (Fig.2), destinato ai minatori di una vicina miniera di zolfo, si volge lungo la strada statale che collega Agrigento a Licata, una arteria ad alta percorrenza.
Figura 2. Il borgo dei minatori a Villaggio Mosè in una foto d’epoca. Un paesaggio agrario allora incontaminato
Figura 3. Fontanelle Amagione dal satellite enfatizza la frammentazione delle aree agricole residue che convivono, incredibilmente, con l’edilizia popolare degli anni ‘70 e con costruzioni abusive. Altre realtà, conseguenza della scelta operata dal penultimo PRG che aveva privilegiato l’espansione a nord per scaricare dalla pressione antropica l’area della Valle dei Templi e la zona costiera, comportando la cementificazione di suoli agrari, comprendono l’insediamento intorno al Quadrivio Spinasanta, Fontanelle Amagione, San Giuseppuzzo e l’insediamento misto di San Michele. La decostruzione storico-geografica dell’area ha consentito di ritrovare, anche qui, i resti di un paesaggio rurale straordinario che, se salvaguardato e valorizzato, potrebbe significare una notevole risorsa paesaggistica ed economica, richiamando quel “fertile entroterra” che portò i Greci a scegliere questo sito per l’edificazione di Akragas. Valeria Scavone
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In questo contesto, Fontanelle (a Km. 4,4 dal centro), quartiere dormitorio edificato intorno agli anni ’70 del Novecento, ha comportato lo stravolgimento di uno straordinario paesaggio agrario (Fig.3) con un insediamento non risolto che limita l’aggregazione e la coesione sociale, anche a causa dell’andamento orografico molto articolato. San Michele (a km.6,7 dal centro), invece, è una località sita nei pressi di un gradevole borghetto rurale adiacente al tracciato storico della SS.189, dove la costruzione del nuovo imponente Ospedale – un landmark (Lynch, 1981) territoriale - ha portato, nel tempo, allo sviluppo spontaneo di un agglomerato a destinazione mista residenziale-produttivo-industriale, con caratteristiche di forte dispersione urbana. A ovest della Valle, i quartieri Villaseta e Monserrato (a circa km.7 dal centro) costituiscono quasi un continuum con il territorio comunale di Porto Empedocle, già Marina di Girgenti (comune autonomo solo nel 1861), sito in prossimità del porto che, nel Cinquecento, sostituì quello di Akragas. Il relativo pregio architettonico che si riscontra soprattutto a Villaseta, è penalizzato dall’assenza dei servizi, dalla presenza della arteria viaria che ne limita la vivibilità, da un notevole degrado sociale. Lo sviluppo del paesaggio della Valle dei Templi e dell’intero territorio comunale in termini di sostenibilità, operabilità e durata, si dovrebbe configurare allora come un modello che, nella più assoluta garanzia di tutela del patrimonio culturale e ambientale disponibile, intende rapportarsi al paesaggio agricolo e archeologico come risorsa economica e produttiva primaria su cui fondare un processo di sviluppo locale. La città contemporanea, per uscire dal degrado e dalla invivibilità che la caratterizza, necessita infatti di soluzioni a problemi aperti, quali le attività commerciali, l'occupazione, la fruizione degli spazi aperti, i trasporti e i servizi pubblici, nel pieno riconoscimento dei bisogni che la città esprime da tempo. Attività e servizi non generici, adatti a qualsiasi contesto, ma direttamente funzionali a dare nuovo valore alla città e a fare della Valle un luogo di iniziative d'eccellenza, capaci di innescare processi virtuosi. Il paesaggio della Valle è il risultato dell’incontro tra i caratteri naturali e l’ingegno dell’uomo, è un progetto collettivo che ha misurato la necessità del produrre con le risorse disponibili e con i caratteri dell’ambiente. Tutto questo fa parte della nostra identità – da tutelare e valorizzare – soprattutto perché il progetto per il parco di Agrigento non è solo un progetto locale, è un progetto che appartiene alla cultura europea (sito UNESCO). Pertanto non si può pensare che un progetto di valorizzazione del parco che interessa, affascina e appartiene alla cultura dell’intero popolo europeo possa essere qualcosa di svantaggioso per gli agrigentini; è su questo che bisogna lavorare per far vivere i vincoli non come limitazioni alla proprietà, ma come occasioni di sviluppo economico (Gambino, 2001).
Il PRG le scelte Di certo, elaborare uno strumento urbanistico per un sistema urbano così complesso, caratterizzato da frammenti identificabili, lontani diversi chilometri dal centro, sarà stato arduo, ma poiché, al di là dell’abusivismo imperante e di alcune scelte di piano, l’unicum del paesaggio - dentro e fuori la Valle - è ancora, nonostante tutto, leggibile e la soluzione la si sarebbe potuta trovare proprio dalla forza di questo elemento, condizionante e condizionato. Una rete di poli uniti - e non separati - dalle aree “verdi” cui attribuire nuove valenze sociali, in un’ottica di sviluppo sostenibile tarato su quanto promosso dall’Unione Europea. Un approccio che supera il concetto di “verde attrezzato” (DM 1444/1968) provando a riportare, un po’ come fece Bernardo Secchi (1989), il dibattito urbanistico sulla qualità del progetto urbano, a partire dal connettivo degli spazi aperti pubblici, giardini, legandosi anche alla natura dei luoghi. L’analisi dello strumento urbanistico di recente approvato da parte dell’Assessorato Territorio Ambiente Regionale (che subentra a quello del 1978, approvato nel 1983), mira ad indagare le azioni previste, le scelte operate. Nella relazione si legge che “sono state assunte le qualità ambientali come un “a priori” fondamentale, in modo che le stesse potessero, unitamente alla qualità dei rapporti spaziali degli interventi, guidare le scelte progettuali; è stato individuato un complesso di condizioni che consenta di rendere la città fruibile per le diverse attività e in particolare per il tempo libero e per il turismo (considerate risorse economiche prevalenti); si è teso a garantire nel contempo la conservazione e la valorizzazione (anche per finalità produttive) delle risorse ambientali e storico-culturali (quale materia prima del turismo e delle attività culturali)”. Tale impostazione attenta alla Valorizzazione ambientale e paesaggistica si ritrova esplicitata nel paragrafo 4.2 con la dicitura “Il verde come sistema di connessione ecologica ed urbana nel tentativo di ricucire gli equilibri ecologici consolidati nel preesistente paesaggio rurale”. Il grande “parco territoriale” descritto nel capitolo n. 5 (le scelte di Piano), fulcro del sistema ambientale, avrebbe dovuto avere il ruolo di “elemento generatore della complessa rete ecologica (la seconda parola chiave del progetto)”, ma ciò che si riscontra dall’analisi degli elaborati grafici e dal recepimento di molte osservazioni, molte delle scelte concrete operate tendono a smentire quanto affermato, a partire dal calcolo del dimensionamento che, inevitabilmente, porta ad un notevole consumo ulteriore di suolo (certamente improprio come dimostra al tabella 1). La proposta di ripensare tutto in un’ottica di “parco agricolo” un sistema agricolo produttivo, ma anche presidio del territorio (Lo Piccolo, 2009, 52), sembra - infatti - ricalcare il frutto di un intenso lavoro di ricerca PRIN coordinato Francesco Lo Piccolo per il quale la necessità è “interagire con le trasformazioni del territorio in Valeria Scavone
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modo che la sua struttura ecologica, paesaggistica e identitaria non venga intaccata a permanga” (Lo Piccolo, 2009, 15). L’applicazione pedissequa degli standard urbanistici per dare senso ad una città potenzialmente policentrica, sarebbe stata già una vittoria in un contesto sì spontaneo e complesso, ma la vera sfida sarebbe stata ridare senso a tutto il territorio, restituire un’idea di collettività e di spazio comune, di sviluppo locale identitario. Tra i nodi irrisolti dal PRG si citano, a parte il paesaggio agricolo del quale la città è parte integrante, il centro storico (rinviate al piano particolareggiato di recente approvato dopo un iter durato venti anni), la mobilità (certamente legato al paesaggio), i rapporti con il Parco Archeologico e Paesaggistico. La logica del policentrismo e della cooperazione che qui si intravede come soluzione al problema urbanistico di Agrigento comporta la garanzia dell’accessibilità (Bobbio, Galdi, 2006), far convivere cioè tra loro esigenze correlate al sistema degli spazi aperti, degli spazi pubblici, dei servizi che consentirebbero di trasformare forme insediative elementari in aree urbane di qualità. Il PRG avrebbe potuto affrontare il tema su due livelli: da un lato, a scala comunale, con la riqualificazione delle periferie, riconnettendole in un grande Parco territoriale e dotandole dei servizi mancanti e di spazi di aggregazione, e, dall’altro, con la programmazione e progettazione di un sistema infrastrutturale e di mobilità di area vasta, “aperto” ai comuni limitrofi. Un’azione incisiva e chiara, un’azione partecipata e condivisa che coniugasse la tutela del patrimonio paesaggistico e ambientale con l’incentivazione della economia connessa alla cultura materiale, alla previsione un grande parco agricolo che connetta i diversi centri abitati, i poli. L’idea sarebbe dovuta essere restituire all’ambiente le aree residue non urbanizzate, ripristinando le produzioni agricole, il governo del suolo e delle acque, il governo del patrimonio forestale, il governo del paesaggio rurale periurbano (Rossi Doria, 2009, p.57). Lo slogan nella relazione, invece, si configura invece in uno spostamento della città a valle della storica collina, in prossimità della costa a discapito degli ultimi lembi di territorio agricolo.
Il piano del Parco, le scelte La sottozona G2 “Parco territoriale” identificata nel PRG comprende l’area del “Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi” (senza riportarne il confine, Tavola 1:10.000 P.1.3), la cui istituzione, che si deve alla L.R. 20/2000, indica nel Piano del Parco lo strumento strategico per il governo del territorio. E ciò sia perché vieta di "eseguire nuove costruzioni, impianti e opere di qualsiasi genere, anche se di carattere provvisorio", sia perché chiede al Piano di precisare i modi d'uso delle tre zone immodificabili nella struttura di base, ovvero archeologica, paesaggistico-ambientale e naturale-attrezzata. Ma il Piano del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi (che comprende oltre 1300 ettari), adottato nel luglio del 2008 e trasmesso all’Assessorato Regionale Beni Culturali per l’esame finale il 28 settembre 2009, è ancora in fase di approvazione finale. Il piano consta di una serie notevole di elaborati, dallo studio dei quali un elemento risulta particolarmente attinente all’ottica affrontata in questo studio: la gestione agricola dei terreni demaniali. Per evitare l’abbandono delle aree agricole residue ricadenti nel perimetro, sono state istituite convenzioni (ben poche, ancora) con soggetti esterni opportunamente selezionati o con ex-proprietari al fine di mantenere le attività agricole e ridurre le spese digestione per l’Ente. La presenza di tale strumento - se correttamente interpretato e condiviso dalla collettività - potrebbe infatti portare novità significative alla città in quanto strumento sovraordinato al PRG (art.145 del Codice dei beni Culturali e del Paesaggio, dl 42/04), ruolo confermato dall’art.9 (comma 6) della l.r.20/2000 che, tra le competenze del Consiglio del Parco, prevede ad esempio la realizzazione di “viabilità interna e di raccordo tra il parco e la città e gli insediamenti turistici”. Però, quanto proposto dal Piano in termini di viabilità 2 - lo smantellamento della SS 118, la demolizione della SS 640 ed altre decisioni non sempre condivisibili - è stato ampiamente osteggiato dal Consiglio Comunale e dalla comunità tutta, tant’è che il Consiglio del Parco ha deciso di stralciarne gli elaborati relativi alla viabilità (tavole 27/a e 27/b) e di modificare le norme relative (art. 48 Norme tecniche di Attuazione); lasciando inalterato lo spirito generale, peraltro totalmente condivisibile, relativo alla necessità di limitare il traffico pesante sugli assi viari interni al Parco, razionalizzando il sistema di trasporto pubblico attraverso un PUT e di realizzare un attraversamento di collegamento tra il tempio di Giove e quello di Ercole (separati dall’ex ss 118). Certamente sarebbe stato fondamentale l’accordo con l’Ente Parco anche per scaricare il traffico cittadino della pressione data dai flussi turistici che quotidianamente raggiungono la Valle. Alcune proposte sembrano interessanti come alcuni parcheggi intermodali a Villaseta e in una zona interna di Sant’Anna in un’ottica di intermodalità. Il Parco ha anche firmato una convenzione con Trenitalia in modo da utilizzare a fini turistici il trasporto ferroviario che attraversa la Valle in direzione di Porto Empedocle (ma ad oggi ancora il sistema funziona solo in rarissime occasioni). Operativamente, l’approvazione quasi contestuale e coordinata del Piano del Parco con quella del PRG avrebbe potuto - soprattutto - contribuire a identificare quel tessuto paesaggistico su cui ricucire gli insediamenti 2
in uno specifico asse strategico denominato “Promozione del’accessibilità e fruibilità del sito e del territorio agrigentino” (Relazione, p. 142)
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frammentati, nell’ottica del parco agricolo di cui si è detto, vero sfondo alle rovine archeologiche. Nella certezza della priorità della salvaguardia delle ricorse ambientali, dell’incredibile suolo agricolo residuale e del paesaggio, occorre precisare che la sfida sarebbe stata assicurare uno sviluppo territoriale e paesaggistico, equilibrato e sostenibile, rafforzando la competitività economica e lo sviluppo dei diversi centri. In un paese nel quale il programma per l'Agenda XXI comprende gli orientamenti generali per adeguare l'uso del territorio alle condizioni specifiche dei luoghi secondo parametri di operabilità e durata (Ferrara, Campioni, 2005), gli effetti prodotti dalle modalità di governo del territorio e di gestione dei flussi turistici, sul paesaggio e sui giacimenti archeologici e minerari, inducono infatti alla seguente riflessione: il patrimonio di natura e cultura che ha rappresentato sino ad oggi uno dei motori dell'economia cittadina corre il rischio di essere dissipato qualora si insista nel considerarlo bene inesauribile e i parametri di riferimento siano quelli propri della città, del sistema urbano, dell'edificazione. In sintesi, il caso analizzato sembrerebbe smentire qual ruolo forte dello strumento urbanistico nella ridefinizione di gerarchie, di fruizione collettiva di paesaggi agrari. Certamente, nella vicenda che caratterizza gli strumenti regolatori di questo contesto urbano, il richiamo ai modelli di PRG ai quali - dalla Convezione Europea del paesaggio in poi - ci si sarebbe dovuti riferire sembra lontano o, meglio, solo teorico e richiederebbe una revisione generale. Il sistema dei Parchi (territoriali e attrezzati, attuati mediante PP), che costituisce la vera nuova ossatura del territorio di Urbino (PRG del 1994), ad esempio, riesce ad assolvere alla duplice funzione di costituire un presidio ambientale nel territorio e di consentire una serie di attività “dolci” e di cui è possibile controllare l’impatto sull’ambiente.
Considerazioni conclusive Le nuove potenzialità oggi attribuite al “verde” (non visto più come semplice standard) si deve ad un nuovo approccio paesaggistico che tende a promuovere un nuovo paesaggio di città (stadtlandschaft) come risposta alla complessità della città metropolitana. Nel processo di urbanizzazione contemporanea attuale, la rottura della continuità urbana e l’affermarsi di un modello metropolitano in cui aree edificate si alternano ad aree inedificate, necessita di una rivisitazione dei termini urbano/rurale che porti a definire per l’urbanistica nuovi paradigmi nei quali la dimensione urbana lavori alla ricerca di equilibri tra insediamento umano, le forme e le forze della natura. Quella cura dei frammenti di ruralità, le “pagine bianche” di cui parlava Zevi (1992) nelle aree della naturalità residuale (si pensi anche ai vari esperimenti di orti urbani dalla incredibile valenza sociale) e la riconnessione degli insediamenti di questa complessa realtà urbana mediante un grande parco urbano e territoriale, porterebbe al miglioramento della qualità di vita degli abitanti e alla salvaguardia delle aree agricole residue. Il richiamo alla qualità diffusa del territorio è immediato, così come lo è il fatto che le aree agricole siano portatrici di valore storico, identitario e culturale (Magnaghi, 1998) che mirano a rafforzare l’unicum del nodo locale nella rete globale. Nella ricerca di andare oltre gli stereotipi che caratterizzano Agrigento, nota per il suo abusivismo, si ritiene che una pianificazione, che consideri prioritari la salvaguardia delle aree agricole che costituiscono il paesaggio-sfondo dentro il quale la città anche contemporanea si svolge (Fig.4), possa portare ad uno sviluppo che rafforzi un’immagine positiva e produttiva dell’intero territorio.
Figura 4. Foto aerea, di G. Carta, che ritrae il paesaggio agrario che avvolge la colliina edificata e, in fondo, l’area archeologica e il mare.
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Integrare il paesaggio nelle politiche energetiche può essere utile per il progetto di territorio?
Integrare il paesaggio nelle politiche energetiche può essere utile per il progetto di territorio? Silvia Minichino Università degli Studi di Firenze DUPT, Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio Email: silvia.minichino@unifi.it
Abstract L’articolo si occupa di inquadrare in maniera critica la problematica energie rinnovabili-paesaggio. Vengono individuati due ordini di problemi: il rapporto politiche energetiche e paesaggio e quello progetto tecnologico e paesaggio. E’ la scala delle politiche energetiche o del progetto energetico quella alla quale parlare di paesaggio è più utile per governare le trasformazioni territoriali? La dimensione paesaggistica delle politiche energetiche è il concetto attraverso il quale si prova a dare una risposta a questa domanda.
Transizione Energetica come Transizione Paesaggistica. Le riflessioni che seguono costituiscono le premesse ad una tesi di dottorato che si propone di indagare il rapporto tra energie rinnovabili e paesaggio. La considerazione iniziale è che una transizione energetica è un processo che genera anche una transizione paesaggistica. Se, anche superficialmente, si guarda quella che è stata la storia dei sistemi di produzione energetica e del cambiamento dei caratteri dei paesaggi, si vede come energia e paesaggio siano fortemente connessi. L’ipotesi da cui si parte e sulla quale si discute è che stia avvenendo, a partire dagli anni duemila in maniera più consistente, una nuova transizione energetica, e che il paesaggio come idea concettualmente determinabile, come realtà in cui l’uomo abita e come spazio (Assunto,1994:15), quindi come categoria progettuale (Paolinelli, 2011:38) possa avere un ruolo centrale in questo processo di trasformazione. La transizione energetica di cui ci si occupa è quella che dovrebbe vedere l’attuale modello di produzione energetica, soprattutto elettrica, fondata sui combustibili fossili, passare ad uno che utilizza prevalentemente le fonti rinnovabili e le tecnologie a queste connesse. Questo passaggio progressivo, legato in gran parte alle scelte politiche ed economiche, è insieme un cambiamento tecnologico ed economico. Questo cambiamento implica una trasformazione dello spazio abitato. La strategia che propone il concetto di transizione energetica è composta da tre categorie di azioni: il raggiungimento di una maggiore efficienza energetica negli edifici e nei territori, la diffusione delle tecnologie per le rinnovabili e una riduzione progressiva dell’utilizzo dei combustibili fossili. Quindi transizione energetica intesa come transizione paesaggistica (Nadai et al., 2011) è un cambiamento che, prima di tutto coinvolge i caratteri naturali dei territori e la tecnologia, poi le convinzioni e i comportamenti degli individui e delle comunità, le scelte pubbliche e private, le forme e le immagini dello spazio abitato. Quindi la transizione energetica interpretata come transizione paesaggistica è un fenomeno che costruisce il paesaggio e che interessa il paesaggio costruito, edificato. L’ analisi delle implicazioni spaziali delle scelte energetiche e tecnologiche dal punto di vista della forma della città e del funzionamento dei territori, e i possibili dispositivi per introdurre una consapevolezza energetica nella elaborazione di politiche, piani e progetti, costituiscono un campo di ricerca definito (Owens, 1986; Stremke, 2011). Quale il contributo del concetto di paesaggio in questa riflessione? Silvia Minichino
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Con la ratifica della Convezione Europea (Firenze, 2000), il paesaggio è interpretato come «cadre de vie» e allo stesso tempo viene proposto come paradigma politico Quindi il paesaggio diventa un elemento centrale nella trasformazione dei territori, anche in quella in chiave tecnologica. Le trasformazioni energetiche sono anche trasformazioni tecnologiche. Queste trasformazioni prendono forma nel paesaggio, modificandone i caratteri e le percezioni. La tecnologia fotovoltaica viene scelta come esempio per analizzare il rapporto energie rinnovabili-paesaggio dal punto di vista dei cambiamenti e quindi della possibile creazione di nuovi paesaggi. Il fotovoltaico tra le tecnologie per le rinnovabili, è quella che ha possibilità di applicazione su tutto il territorio e quindi più si avvicina alla concezione dell’intero territorio come paesaggio. Le trasformazioni legate al fotovoltaico riconoscibili nelle forme del territorio sono di due tipi: la realizzazione di grandi impianti per la produzione di energia elettrica come sono le torri solari o i grandi impianti a terra pubblici e privati, e la diffusione capillare delle micro-tecnologie come l’integrazione architettonica della tecnologia fotovoltaica. La realizzazione di grandi impianti porta la riflessione sui nodi problematici del rapporto energie rinnovabilipaesaggio, a considerare la localizzazione e le modalità di realizzazione dell’impianto, la capacità da parte degli abitanti di accettare questo tipo di modificazione dello spazio abitato. In quale modo il paesaggio e la progettazione paesaggistica entra nel concepire queste trasformazioni? La seconda tipologia di trasformazioni sposta la riflessione sui piccoli cambiamenti che, reiterati, sono in grado di trasformare in maniera sostanziale il paesaggio. Sono le scelte individuali e la tecnologia dell’architettura nella pratica edilizia che diventano elementi centrali. La domanda che si pone è sempre la stessa: in quale modo il paesaggio e la progettazione paesaggistica entra nel concepire queste trasformazioni? In entrambi i casi il rapporto energie rinnovabili-paesaggio pone la questione del rapporto tra tecnologia e paesaggio e tra politiche energetiche e paesaggio. La micro-generazione e quindi la diffusione capillare delle tecnologie fotovoltaiche sul territorio sono ritenute le azioni strategiche per la realizzazione di una effettiva transizione energetica (Droege, 2008). Questa è quella scelta tra le due dimensioni in cui si ritiene che il paesaggio possa intervenire nel processo di diffusione delle tecnologie rinnovabili (De Von Beck, 2010), ed in questo caso del fotovoltaico. Per questo motivo, come concetto strumentale all’analisi delle dinamiche trasformative in chiave energetica dei territori, si prende a riferimento il paesaggio come prodotto. Prodotto delle politiche settoriali (Pedroli, 2009), prodotto collettivo (Ferrario, 2011) e prodotto cognitivo (Farina, 2006).
Energie rinnovabili e paesaggio: come se ne parla? Il rapporto energie rinnovabili paesaggio si articola in due livelli differenti: - la componente conflittuale in cui si considera la contrapposizione tra la cultura del contemplare e la cultura del trasformare (Nardi, 2003). - la componente euristica che deriva dalla cultura del contemplare la trasformazione In entrambi gli approcci la tecnologia ha un ruolo centrale in quanto esprime attitudini sociali (Thainer, 2002). Le attitudini sociali nei confronti delle tecnologie per la produzione di energia dalle fonti rinnovabili si ritrovano in due distinte modalità operative: quella della sovrapposizione e quella della ri-formulazione. La sovrapposizione considera la tecnologia legata alle fonti rinnovabili come l’espressione di un nuovo layer, un segno che si inserisce sul territorio sovrapponendosi ad una struttura già definita. Il paesaggio è un concetto utile per la costruzione di un’ accettabilità sociale. Gli impianti fotovoltaici vengono considerati come nuove infrastrutture. La ri-formulazione considera le tecnologie rinnovabili capaci di re-strutturare il territorio attraverso un linguaggio ripensato per la creazione di nuovi paesaggi. Il paesaggio è considerato una categoria progettuale e gli impianti fotovoltaici sono materiali per il progetto paesaggistico. Quindi il paesaggio visto attraverso la categoria energie rinnovabili assume due diversi significati: contesto e principio di organizzazione per il progetto.
Silvia Minichino
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Figura 1. Sintesi degli approcci alla problematica energie rinnovabili-paesaggio e progetti in cui si riconoscono possibili risposte alle problematiche individuate. Di seguito si riportano quelle che si ritengono le posizioni più significative nella discussione sul binomio energie rinnovabili-paesaggio nel dibattito scientifico. Ogni posizione fa riferimento ad un autore e ad una categoria problematica con una propria denominazione. Si è individuato l’approccio disciplinare nell’analisi del binomio, l’idea di paesaggio, l’idea di progetto e la strategia proposta per il superamento degli aspetti problematici individuati. Per ogni categoria si propone un caso paradigmatico relativo alla tecnologia fotovoltaica con lo scopo di analizzare atteggiamento e soluzioni progettuali. La capacità della società nella sua interezza di prendere parte alle trasformazioni è considerata come un elemento di forte problematicità per l’insita resistenza al cambiamento nei comportamenti, nelle scelte e nelle configurazioni spaziali. Il ruolo delle popolazioni, intese come comunità e come individui, guardato attraverso il binomio, diventa il modo per descrivere in maniera costruttiva le immaginazioni e le capacità dei cittadini. La forte opposizione nei confronti dell’introduzione di nuove tecnologie capaci di modificare abitudini e spazio fisico connota la percezione sociale della transizione energetica e ne limita la realizzabilità. Il modo attraverso il quale gli abitanti conoscono e interpretano il proprio spazio, concepiscono il proprio stile di vita è un elemento fondante per i processi trasformativi. La possibilità di, non solo accettare ma condividere e cercare di promuovere il cambiamento tecnologico da parte delle comunità, è il punto da cui partire nell’ottica della transizione energetica e della trasformazione dei caratteri dei luoghi (categoria proposta: accettabilità sociale, autore di riferimento:Pasqualetti, 2011; progetto paradigmatico: Ecoboulevard de Vallecas, Madrid, Spagna, Ecosistema Urbano). E’ Kennet R. Olwig che sostenendo che il paesaggio guardato attraverso il filtro delle energie rinnovabili è un «people and polity places» (Olwig, 2012), attribuisce al paesaggio la valenza di luogo, cioè spazio delle popolazioni e degli ordinamenti politici. Le agende politiche europee sono i documenti capaci di indirizzare la diffusione delle tecnologie delle rinnovabili e quindi la transizione energetica - paesaggistica. La questione problematica sta nel modo in cui le agende politiche considerano lo spazio e il paesaggio, come elementi ad una sola dimensione, in cui il punto di osservazione non assume nessuna rilevanza. Viene messa in evidenza l’importanza del punto di vista dal quale si osservano e si pensano le azioni legate alle trasformazioni energetiche. Il rapporto tra globale e locale attraverso le agende e gli indirizzi politici (scala a-spaziale), ha uno sviluppo lineare che presuppone l’isotropia dei luoghi rispetto all’argomento energia. Il binomio in questo approccio fa emergere la possibilità dell’esistenza di una terza scala a cui progettare, che è appunto quella del paesaggio.(categoria: isotropia, autore di riferimento: Olwig, 2012; progetto paradigmatico: Torre Solare PS20, Siviglia). La multi-scalarità del concetto di paesaggio è affrontata dalla pianificazione territoriale, in maniere diverse, nei diversi paesi europei. Viene rilevato come rispetto al binomio energie rinnovabili - paesaggio non sia ancora chiaro in che modo operare per riuscire a tenere conto della componente paesaggistica nella pianificazione territoriale e nella progettazione (categoria:planning/siting, autore: Laboussier 2010, progetto: Bavaria Solar Park, Liberose, Turnow Preilack). «Planning» e «siting», ovvero localizzazione ed inserimento delle infrastrutture energetiche sono due modi di operare nell’affrontare le trasformazioni energetiche connesse prevalentemente alla costruzione di impianti di grossa taglia. Il concetto di infrastruttura legato a quello di energia mette in evidenza la valenza relazionale del paesaggio e soprattutto rende esplicito il legame, e molto più spesso la contrapposizione, tra pianificazione e progetto paesaggistico. Il problema che viene sollevato è Silvia Minichino
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quello della difficoltà della pianificazione e della pratica urbanistica di tenere di conto delle istanze paesaggistiche e viceversa. E’ la razionalità normativa, legata al carattere dell’anticipazione nella costruzione dello spazio, che viene ritenuta problematica per l’integrazione tra pianificazione e progettazione. Sia il piano che il progetto si devono confrontare in maniera esplicita con la tecnologia che diventa elemento fondante per le scelte politiche, quelle pubbliche e private ed infine tecniche. La tecnologia diventa l’elemento di connessione tra i due termini del binomio e il progetto delle trasformazioni nella loro dimensione architettonica e territoriale (categoria: fare tecnologico, autore di riferimento: Angelucci, 2012; progetto: Heliotrop, Friburgo, Rolf Disch Architecture). Insieme alla problematica emergente della cultura tecnologica anche la consapevolezza energetica da parte dei progettisti che si occupano di architettura e territorio è un elemento su cui riflettere. Infatti l’energia e le sue modalità di produzione e di consumo sono ritenute capaci di dare forma e far funzionare al paesaggio inteso come meccanismo energetico. Questo approccio prende il nome di second-law thinking e mette in evidenza il legame tra progetto e concetti come exergia e entropia attraverso il paradigma di exergy landscapes (categoria: second-law thinking; autore di riferimento: Stremke et al., 2011; progetto: Andalusia Sustainable Energy Plan, PANSER). I progetti intesi come visioni possibili, visioni realizzabili, ed infine azioni reiterabili diventano nella politica energetica dispositivi collettivi per la costruzione del paesaggio, quindi dispositivi di un processo complesso di messa in atto di una politica pubblica (categoria: politica pubblica; autore di riferimento: Nadai et al., 2011; progetto:quartiere Violino, Brescia, Comune di Brescia e ASM).
Figura 2. Categorie interpretative del binomio energie rinnovabili-paesaggio.
Dimensione paesaggistica delle politiche energetiche: che cosa significa, quale utilità per il progetto di territorio? Il problema affrontato è quello di una rapida e complessa trasformazione dei paesaggi in chiave energetica. Questa trasformazione dovrebbe avvenire in maniera consapevole nelle scelte politiche, in maniera compatibile nelle scelte progettuali e in maniera volontaria in quelle individuali. Quindi è il tema della progettazione di questa trasformazione che viene affrontato secondo il binomio energie rinnovabili-paesaggio. Con il termine dimensione paesaggistica si cerca di individuare quali sono le relazioni che il paesaggio, come idea concettuale, come categoria progettuale ed infine come spazio abitato, può avere con le azioni che contribuiscono a strutturare il territorio. Le azioni qui considerate sono quelle che hanno a che fare con la produzione di energia elettrica da tecnologie fotovoltaiche.
Silvia Minichino
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Integrare il paesaggio nelle politiche energetiche può essere utile per il progetto di territorio?
Infatti il termine dimensione richiama la possibilità di riconoscere e misurare il cambiamento nello spazio e nel tempo, mettendo a confronto diverse grandezze e diversi sistemi, ma significa anche modo di concepire, modo di agire. La tesi che si propone è che sia possibile pensare ad una dimensione paesaggistica delle politiche energetiche e che questa sia utile al progetto delle trasformazioni territoriali. Quindi significa pensare che si possa analizzare il paesaggio e i processi che concorrono alla sua creazione, attraverso il tematismo dell’energia, e in particolare dell’energia rinnovabile. Questa analisi può costituire un’opzione per la costruzione delle politiche e la concezione dei progetti che riguardano le trasformazioni dei territori. Il paesaggio come prodotto di un processo percepibile (Farina, 2006) si costruisce attraverso il progetto delle trasformazioni dello spazio, ma soprattutto attraverso scelte pubbliche e private, che hanno effetti nell’organizzazione e gestione dei territori. Questo porta a sostenere che si concepisce un progetto paesaggistico per i luoghi occupandosi anche delle modalità di costruzione delle scelte settoriali, soprattutto quando non si parla direttamente di paesaggio. Attraverso la dimensione paesaggistica delle politiche energetiche è possibile riflettere sul rapporto politiche energetiche e progetti dell’energia. In questo ragionamento questa dimensione diviene una delle categorie del progetto paesaggistico. Le politiche energetiche sono politiche settoriali che coinvolgono molteplici attori nella loro formulazione e realizzazione. Si parla quindi anche nel caso delle politiche energetiche, ai vari livelli europeo, nazionale e sub-nazionale, del fenomeno della territorializzazione. All’interno di questo processo il rapporto tra politiche e progetti rappresenta una questione problematica e ancora aperta (Sgarde, 2010): in quale maniera la dimensione paesaggistica di queste politiche può contribuire alla comprensione di questo nodo problematico? Si struttura il concetto di dimensione paesaggistica delle politiche energetiche secondo due domande: perché e cosa significa introdurre il paesaggio nella costruzione delle scelte energetiche e perché e cosa significa introdurre il paesaggio nel progetto tecnologico dell’energia. CM/rec 2008(3) F. Integrate landscape into sectoral policies «Landscape should be fully taken into account via appropriate procedures allowing systematic inclusion of the landscape dimension in all policies that influence the quality of a territory. Integration concerns both the various administrative bodies and departments on the same level (horizontal integration) and the various administrative bodies belonging to different levels (vertical integration).» La risoluzione CM/rec 2008(3) del Consiglio d’Europa per l’applicazione della Convenzione europea del Paesaggio, introduce il tema della necessità dell’integrazione del paesaggio nelle politiche settoriali e questo viene interpretato come il presupposto per parlare di una possibile integrazione del paesaggio nelle politiche energetiche. Pratiche ed abitudini tecniche e non, legate all’energia, hanno la capacità di strutturare l’habitat costruito e di conferire qualità funzionali allo spazio e qualità molteplici all’abitare. Sono quindi lo spazio e l’abitare i due elementi da cui partire per strutturare il significato della dimensione paesaggistica delle politiche energetiche, cercando di rispondere alle due domande sul rapporto paesaggio-costruzione delle scelte e paesaggio-tecnologia per l’energia. Considerando centrale il binomio politiche-progetti e la dimensione paesaggistica delle politiche un possibile dispositivo concettuale ed operativo per implementare questo rapporto in maniera costruttiva, si considerano i progetti e gli atteggiamenti progettuali a questi legati, gli elementi da analizzare per indagare i possibili caratteri di questa dimensione. Partendo dall’osservazione delle pratiche del progetto di diverse tipologie di impianti fotovoltaici, quindi degli atteggiamenti progettuali per la loro concezione e realizzazione nei diversi luoghi, si propone una possibile integrazione del paesaggio nelle politiche energetiche come uno dei momenti del progetto paesaggistico.
Bibliografia Libri Assunto R. (1994), Il paesaggio e l’estetica, Novecento, Palermo Angelucci F.,(2012), La costruzione del paesaggio energetico, Franco Angeli, Milano. Droege P. (2008), La città rinnovabile, Edizioni Ambiente, Città di Castello. Farina A. (2006), Il paesaggio cognitivo. Una nuova entità ecologica, Franco Angeli, Milano. Nardi G. (2003), Percorsi di un pensiero progettuale, Libreria CLUP, Milano Owens S. (1986), Energy, Planning and form, Pion Limited, London.
Articoli Olwig K. R. (2011), The Earth is Not a Globe: Landscape versus the ‘Globalist’ Agenda Landscape Research, n. 36(4), pp. 401-415 Ferrario, V., (2011), “Il paesaggio e il futuro del territorio”, in Paolinelli, G. (2011). Habitare. Il Paesaggio nei piani territoriali, Franco Angeli, Milano, pp.159-171
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Pasqualetti, M. (2011), “Social barriers to renewable energy landscapes”, The geographical Review, 101(2), pp. 201-223 Stremke, S. & Koh, J. (2011), “Integration of Ecological and Thermodynamic Concepts in the Design of Sustainable Energy Landscapes”, Landscape Journal, 30(2), Paolinelli, G. (2009), “Non parliamone più. E’ possibile una nuova etica del paesaggio?”, Ri-Vista per la progettazione del Paesaggio, n.12, pp. 46-54
Siti web Beck, Osmer DeVon, (2010).Distributed Renewable Energy Generation and Landscape Architecture: A Critical Review. All Graduate Theses and Dissertations. Paper 641 disponibile on line http://digitalcommons.usu.edu/etd/641 Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze 200).http://conventions.coe.int/treaty/ita/Treaties/Html/176.htm https://wcd.coe.int CM/rec 2008(3) del Consiglio d’Europa per l’applicazione della Convenzione europea del Paesaggio, https://wcd.coe.int Laboussiere, O.(2007). Le défi esthétique en aménagement : vers une prospective du milieu. Le cas des lignes très haute tension (Lot) et des parcs éoliens (Aveyron et Aude), [Online]. Disponibile su: http://hal.archivesouvertes.fr Nadai Alain et al, (2011). Rapport réalisé dans le cadre de la recherche politiques eoliennes: paysages landscape and wind power, [Online]. Disponibile su : http://www.enpc.fr Pedroli, B. (2010). Anticipating landscape policy; driving forces, Landscape and driving forces, 8th meeting of the Council of Europe workshops for the implementation of the European Landscape Convention proceedings, [Online]. Disponibile su : http://www.coe.int/t/dg4/cultureheritage/heritage/Landscape/Publications_en.asp Anne Sgard, Marie-José Fortin et Véronique Peyrache-Gadeau (2010).Le paysage en politique, in Développementdurable et territoires Vol. 1, n° disponibile on line http://developpementdurable.revues.org/8522
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Atelier Coloco e la quarta dimensione del progetto
Atelier Coloco e la quarta dimensione del progetto Danilo Capasso Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica Email: info@danilocapasso.eu Tel. 081.2538570 / fax 081.2538717
Abstract Alla luce delle nuove sfide che si pongono all’orizzonte del progetto urbanistico contemporaneo, emerge la sensibilità del paesaggista, di saper guardare al complesso del metabolismo urbano come insieme di processi, che sempre più spesso includono anche la dimensione sociale. E’ una sensibilità eclettica e interdisciplinare, dal micro al macro, che guarda alla sfida ecologica ed alla natura con un nuovo spirito. A questa sensibilità, l’ATELIER COLOCO aggiunge una quarta dimensione, che include l’arte e la performance come elemento liminale e di sublimazione di contenuti nella direzione del progetto urbano nello spazio aperto e pubblico. Per i giovani paesaggisti francesi COLOCO, braccio armato di Gilles Clement, militanti di un “edonismo durevole”, giardinieri del terzo paesaggio, il progetto è un’evoluzione d’esperienze a diversi livelli dimensionali: si costruisce un maniera processuale e relazionale, anche attraverso performance collettive di trasformazione urbana. E’ un metodo di lavoro che unisce pratica progettuale ed esperienza vis a vis con i luoghi del progetto.
Paesaggio contemporaneo Il paesaggio è una figura retorica che si è sviluppata progressivamente a partire dal XIV secolo. Più che un fenomeno naturale, nasce e si evolve come una forma d’iconografia, laddove nel percorso d’evoluzione della realtà urbana si è creato un dualismo tra città e campagna, tra ambiente antropizzato e ambiente naturale. Dunque il paesaggio è una narrativa e rimandando alle riflessioni di Cosgrove: “L’idea del paesaggio rappresenta un modo di vedere – un modo attraverso il quale certi europei hanno rappresentato a se stessi e ad altri il mondo che li circonda e la loro concezione dei rapporti sociali. Il paesaggio è un modo di vedere che possiede la propria storia, ma questa storia non può essere compresa se non come una parte di una storia economica e sociale più ampia; tutto ciò ha dei presupposti e delle conseguenze specifiche la cui origine e le cui implicazioni vanno ben oltre il semplice uso o la percezione del paese, il che implica delle tecniche d’espressione proprie, ma anche delle tecniche condivise con altri domini di pratiche culturali” (D. Cosegrove 1990). Partendo da questa riflessione, il paesaggio è oggi il centro di una sofisticata rete semiotica (M. Jakob 2010); nella civiltà dell’immagine il dispositivo simbolico nato in seno alla cultura urbana per definire il suo altro, per idealizzare il “ritorno alla natura”, per esorcizzare la cruda bruttezza della vita nella città, è diventato il nodo centrale di un rinnovato dibattito che, tenta di dare risposte alla crisi della disciplina urbanistica e dell’incipiente autoreferenzialità del gesto architettonico. Il concetto di paesaggio ha smesso di essere un richiamo ad una romantica arcadia, il rifugio intellettuale ed estetico di un’elite borghese, non rappresenta più il dualismo naturacittà: l’urbanità lo ha ingoiato, la cultura ne ha assorbito la metafora e l’ha estesa ad un’infinita serie di spazi e immagini declinabili nelle varie dimensioni reali ed effimere del presente; è diventata una figura centrale nel panorama della società contemporanea. Nell’ambito della cultura del progetto, declinando il paesaggio nella sua chiave di disciplina di trasformazione del territorio, che coinvolge da un lato l’urbanistica e da un altro l’architettura, vediamo come il riflesso culturale Danilo Capasso
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di cui abbiamo appena parlato è di assoluta attualità; il progetto di suolo, il landscape urbanism, sono diventati, specialmente negli ultimi dieci anni, un nuovo territorio di dibattito e di possibile sintesi innovativa di due discipline che entrambe riflettono segni di crisi e di scostamento dalle problematiche incombenti sulla società urbana e l’ambiente naturale. Se il paesaggio è una rappresentazione, l’evoluzione del paesaggio in termini estetico culturali si può leggere anche come evoluzione di questa rappresentazione. La sua immagine è tema ed ispirazione durante tutta la storia dell’arte nelle sue forme di costruzione di spazi sulla soglia tra naturale ed artificiale, d’illustrazione pittorica e fotografica, di forma letteraria. Per ragionare sul dialogo tra arte e paesaggio è utile partire dalla relazione soggetto-natura, una natura che riappare nella rappresentazione alla fine del medioevo. M. Jakob posiziona l’atto di costituzione dell’idea di paesaggio con la lettera detta del Monte Venoso di Petrarca (M. Jakob, 2009). La natura non è più luogo di paure di cui avere timore, ma entità da riconquistare. E’ il segno di un processo d’affrancamento dai dettami normativi della teologia e di rinascita socioeconomica, che porterà all’umanesimo e quindi alla prospettiva: la riconquista dello spazio, della profondità, della matericità del mondo reale, e quindi anche dello spazio naturale. Successivamente, passando per l’esperienza cinematica dell’osservazione dai finestrini di un treno in corsa, con il cinema, il ventesimo secolo aggiunge la dimensione tempo alla rappresentazione del paesaggio. La fotografia invece, dal momento della sua espansione, né sarà il mezzo di diffusione culturale massificato. La natura torna al centro anche oggi, una natura che potrebbe scomparire e che l’impeto del progresso tecnologico e industriale ha messo in pericolo. Il paesaggio postmoderno non è più l’idealizzazione estetizzata di un mondo altro rispetto alla città. Al culmine della modernità, sulla scia delle utopie avanguardiste e fino agli spazi antibiologici rappresentati nel cinema e nella letteratura della fine del XX secolo, emerge la rappresentazione di paesaggi artificiali, estrema conseguenza dell’operato umano nella trasformazione dell’ambiente naturale. Di conseguenza il paesaggio contemporaneo non è più una categoria ascrivibile solamente allo spazio naturale extra moenia, esso è oggi anche urbano, intellettivo, digitale, mediatico. Il paesaggio contemporaneo è l’onnipaesaggio (M. Jakob 2009). Attraverso di esso passa anche la storia della sensibilizzazione culturale verso l’ecologia, il desiderio di natura crea una coscienza che si esplicita in una nuova relazione dell’uomo postmoderno con essa. “La storia dell’arte (il genere pittorico del paesaggio) appare quindi come lungo lavorio culturale su se stessi, come un’impresa epistemologica che, durante tale percorso, libererà lo sguardo, permettendo la costituzione del paesaggio fuori dall’atelier” (M. Jakob, 2009, p.36). Fuori dall’atelier, out of the studio, matura quindi una nuova dimensione del progetto, di spazio pubblico, di giardino, di parco, ma anche di arte e di performance, di pratiche del paesaggio e nel paesaggio. Oggi operare in una prospettiva paesaggistica, significa trovarsi nello snodo tra le istanze principali che sono la premessa per l’intervento nello spazio aperto e pubblico. “Siamo nelle condizioni possibili di un nuovo “umanesimo”, dove lo slancio prometeico ha mostrato il lato oscuro, e al centro torna un universo valoriale che unisce saggezza pagana, neo edonismo, olismo. Il progetto diventa congiunturale, basato anche sul coinvolgimento personale. Un progetto che si articola contestualmente alle condizioni in cui opera” (C. Bianchetti 2011).
COLOCO e la quarta dimensione del progetto Atelier COLOCO è uno studio di paesaggisti francesi attivo dal 1999, la loro pratica spazia da progetti a scala territoriale come la green belt di Tripoli 1, passando per realizzazione di piccoli giardini autocostruiti, al riutilizzo in chiave ecologica di scheletri urbani 2 abbandonati e disponibili nuovi usi abitativi, fino alla messa in scena di pratiche urbane di Guerrilla Gardening e perfomance nello spazio pubblico. Militanti di un nuovo “edonismo sostenibile”, braccio operativo del teorico del “terzo paesaggio” Gilles Clèment con cui collaborano frequentemente, Atelier COLOCO sono partigiani della natura come forza per il rinnovamento e contro l’incipiente entropia accelerata planetaria, “esploratori della diversità urbana” che non si riconoscono nelle logiche corporative disciplinari, operano come struttura simbiotica che associa sempre nuove competenze in accordo con gli obbiettivi del progetto (www.coloco.org). Allo stesso tempo practitoners dello spazio pubblico e landscape architect, COLOCO sono portatori di una sensibilità eclettica e interdisciplinare, dal micro al macro, che guarda alla sfida ecologica e alla natura con un nuovo spirito, che misura la salute della città in ragione della diversità biologica e culturale che essa contiene. A 1 2
Vedi il progetto su http://www.coloco.org/index.php?cat=TRIPOLI [15/04/2012] Vedi I progetti su http://www.coloco.org/index.php?cat=squelettes [15/04/2012]
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questa sensibilità, l’ATELIER COLOCO aggiunge una quarta dimensione (del progetto), che si esprime attraverso l’arte e la performance come elemento liminale e di sublimazione di contenuti nella direzione del progetto urbano nello spazio aperto. Per i giovani paesaggisti francesi, il progetto è quindi un’evoluzione d’esperienze a diversi livelli dimensionali: si costruisce in maniera processuale e relazionale, anche attraverso costruzione collettiva di giardini, di spazi di convivialità, rituali di trasformazione dello spazio residuale messi in scena in maniera pragmatica, inscritti nella quotidianità.
Figura 1. Jardine Demain, Montpellier 2010, foto Danilo Capasso La città contemporanea richiede un nuovo approccio dinamico alla trasformazione, da promuovere attraverso il dialogo e la condivisione d’esperienze. La quarta dimensione del progetto, che sintetizza un aspetto importante dell’operare di COLOCO, è parte di un movimento che coinvolge le nuove pratiche del progetto in generale. Una generazione di attori: collettivi, artisti, associazioni, che ha riposizionato la pratica architettonica e urbanistica in un’ottica multidisciplinare, che propone e realizza progetti partecipativi sulla città: reinventando la vita quotidiana dei cittadini con progetti pragmatici e sostenibili che invitano a scoprire e condividere nuove maniere per migliorare il paesaggio urbano. E’ una nuova sensibilità, che progressivamente mostra la sua capacità di andare incontro alle sfide della condizione postmetropolitana, di elaborare la complessità e trasformare in realtà il potenziale che giace dove s’incrociano esperienza e spazio costruito, una nuova presa di coscienza rispetto al ruolo dell’architettura e dell’arte nei cambiamenti sociali, una pratica che ravviva sopiti ideali utopici in chiave operativa. La quarta dimensione del progetto, lavora lo spazio nella sua dimensione transizionale, occupando il tempo tra idea e realizzazione, tra piano e progetto, tra strategia e tattica. Prende in carico l’urgenza di rispondere a necessità e desideri in maniera progressiva, unificando il fare con il pensare, in un processo di continua andata e ritorno, uso e riuso dei materiali, concettuali e fisici. Per COLOCO, così come per altri architetti/attivisti contemporanei, questa dimensione viaggia parallelamente alle tradizionali pratiche progettuali divenendo da un lato, il luogo della sperimentazione, e dall’altro la chiave d’ingresso nelle microdinamiche di trasformazione della città; prendendosi la responsabilità di coinvolgere i cittadini, conquistando “sul campo” il loro consenso e rianimandone il senso di comunità. Una dimensione operativa che ben si adatta al tessuto frammentato della città contemporanea, punteggiata e tessuta di reti di spazi dallo statuto incerto, spazi liminali, residuali, dimessi, inutilizzati di diversa natura, pronti ad essere colonizzati con micro-interventi e strategie urbane, punti di cristallizzazione, condensatori sociali, zone di contatto, iniziative per la ricostruzione urbana e il contenimento del consumo di suolo. Tra i diversi progetti e pratiche realizzati da COLOCO, nel prossimo paragrafo prenderemo in esame l’esperienza di Montpellier, un caso che ho avuto occasione di osservare direttamente nella sua fase finale nell’ottobre 2010, è che a mio avviso rende particolarmente evidente i concetti fino ad ora espressi. Danilo Capasso
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Jardin Demain e l’elaborazione di una strategia di gestione degli spazi residuali inutilizzati di Montpellier. Durante gli ultimi dieci anni la città di Montpellier si è sviluppata rapidamente. Questo processo d’improvvisa espansione metropolitana ha progressivamente prodotto una maglia di spazi residuali sui quali lavorare; spazi da reclamare a nuova vita per contribuire alla biodiversità ed all’esplorazione di nuovi usi pubblici. Jardin Demain è un operazione lanciata dal Comune di Montpellier, il risultato finale di uno studio nato nel 2009 da un partenariato con il paesaggista francese G. Clément e l’Atelier COLOCO, per l’elaborazione di una strategia di gestione degli spazi residuali inutilizzati. Lo studio considera l’intera area metropolitana, partendo da una mappatura delle “trame verdi” del terzo paesaggio, e quindi da una classificazione delle diverse tipologie di spazi residuali, per individuare uno schema di gestione e valorizzazione, sia in termini sociali che ecologici. Si tratta di un caso, a mio parere, rilevante, in cui si manifesta la sensibilità dei ricercatori/progettisti, di trasformare un progetto di ricerca in una vera opportunità sperimentale sul campo, creando un ponte tra piano e progetto, vincendo le resistenze amministrative per promuovere e realizzare un processo di riqualificazione urbana progressivo.
Figura 2. Elaborazione di una strategia di gestione degli spazi residuali di Montpellier, estratto dal documento della ricerca, pag.7, G. Clement, Coloco. La ricerca prevedeva la definizione di una strategia progettuale e delle soluzioni di gestione, fermandosi quindi allo stato di progetto e individuando a valle di un dettagliato inventario delle aree residuali, 4 aree d’intervento principali da cui eventualmente partire per un progetto operativo. Di seguito si esplicitano brevemente alcune delle principali voci sviluppate nello studio. Una tipologia pratica per orientare la trasformazione Il progetto di ricerca ha prodotto un’accurata diagnosi e classificazione dei territori residuali di Montpellier e ha permesso di stabilire tipologie e principi d’azione. Gli spazi sono stati classificati rispetto al contesto, alle origini e al potenziale, una tipologia a volte soggettiva che permette di osservarne gli aspetti particolari, in cui superfici di ogni forma e grandezza, concorrono alla definizione di un quadro d’insieme su cui operare. Di seguito gli spazi studiati sono stati considerati secondo diversi criteri e combinazioni, anche considerando quelli naturali che Danilo Capasso
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necessitano di troppa manutenzione, che sono di complicata gestione; e quelli mineralizzati e abbandonati che devono ritrovare la diversità biologica. La ricerca, quindi, ha definito un piano generale che stabilisce le relazioni tra le diverse aree naturali che, indipendentemente dalla scala, vanno rivalutate nell’insieme del progetto d’espansione metropolitana, potenziandone gli aspetti ecologici e percettivi, ma anche le opportunità di sviluppo economico. Questa classificazione ha definito sei tipologie di spazi: • Nuclei: habitat che possiedono una rilevante biodiversità, da conservare e arricchire. Spazi che possono avere la tendenza ad espandersi e connettersi con altri habitat biologici contigui (aree verdi spontanee e incolte che hanno preso il sopravvento). • Vettori: importanti strutture di connessione tra sistemi, spesso con un forte impatto visivo (binari e infrastrutture in disuso) • Isolati: particelle sconnesse, spazi in trasformazione, resti d’aree di cantiere, aree di bordo di infrastrutture da incorporare nella trama naturale urbana. • Particelle: specie vegetali spontanee che nascono nelle fratture di superfici impermeabili, come muri di cemento e manti asfaltati privi di manutenzione, spesso poco considerate. • Spazi verdi addomesticati: orticolture sofisticate e costose, nei materiali e nei tempi di manutenzione, da riconsiderare in una gestione globale integrata (giardini molto articolati con specie vegetali non spontanee) . • Spazi mineralizzati inutilizzati: superfici impermeabili inutilizzate dove e necessario ricostruire il terreno per accogliere della diversità (asfalto, pavimentazioni) Creare lo spazio, diversificare le specie Lo studio proietta una visione a lungo termine delle relazioni possibili fra i tre quartieri sperimentali presi in esame, prendendo in considerazione sistemi di spazi abbandonati, reti biologiche esistenti e future, ed immaginando come risultato finale una nuova visione di Montpellier in un ottica sostenibile. Gli strumenti consistono nell’individuazione di criteri di gestione alternativi, nuovi principi per la messa in opera di progetti futuri, e la messa in rete degli spazi naturali liberi. In questo senso è possibile creare dei nuovi corridoi biologici e delle nuove relazioni spaziali: corsi d’acqua, boschi, giardini, zone umide, permettendo in questo modo di favorire la diversita biologica all’interno della città. In un contesto di forte pressione urbana è imperativo operare in tutti i tipi di spazio e a tutte le scale, la diversità diviene una qualità integrata alla vita urbana, e va considerata in relazione con la vita quotidiana degli abitanti. Organizzare le azioni e gli interventi strategici Gli obbiettivi della città di Montpellier definiti nello studio, si devono concretizzare attraverso l’azione dei diversi attori coinvolti: cittadini e stakeholder; queste azioni sono rappresentate in una serie di schede progettuali, che servono come schema per sviluppare iniziative di gestione ecologica degli spazi individuati. Un inventario di queste azioni è stato realizzato nei quartieri presi come test di riferimento, per essere successivamente estese a tutto il territorio comunale. Lo sviluppo di un progetto di gestione sperimentale in partenariato con le associazioni locali e con il comune di Montpellier, può permettere di realizzare i quattro progetti di riferimento, in quattro siti differenti. Questi test combinano i diversi principi attuativi, nella direzione di interventi minimali, che garantiscono la crescita e la preservazione della diversità in chiave ecologica. Obbiettivi di gestione e metodi di approccio spaziale L’obbiettivo di conservare gli spazi liberi della città, coincide con la definizione di un principio di gestione minima ed ecologica. Analizzando i metodi di gestione attualmente praticati su questi spazi, la ricerca prevede, di rivedere i criteri di differenziazione per ogni sito, applicando una filosofia del buon senso. Inoltre lo studio, propone di approvare su agni area una gestione estensiva ed economicamente sostenibile, e di conservare superfici importanti di territorio senza alcun intervento, per tutelare la presenza del terzo paesaggio nel tessuto urbano.
Jardin Demain, Cité Lemasson, dalla strategia alla pratica E’ nel momento conclusivo della redazione della ricerca che emerge la sensibilità pragmatica che orienta la pratica di COLOCO, in questo caso, la quarta dimensione del progetto si sviluppa attraverso un negoziato con l’istituzione pubblica di riferimento, il comune, per sperimentare le idee direttamente sul campo, saltando dalla costruzione di strategie direttamente alla messa in opera. Come dichiarato dagli stessi autori durante una conversazione (M. Georgieff 10/10/2010) il negoziato riesce a condizionare l’esito previsto, convincendo l’amministrazione comunale ad effettuare una prima sperimentazione delle pratiche d’uso proposte nello studio, selezionando un sito da quelli inventariati. Da qui nasce Jardin Demain, la messa in scena della quarta dimensione progettuale di COLOCO, realizzare un giardino condiviso che prende forma con un evento di costruzione collettivo, un rituale di comunità. Il sito scelto si trova presso Cité Lemasson, un quartiere periferico Danilo Capasso
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di edilizia pubblica popolare investito da programmi di riqualificazione ambientale: grandi lotti residenziali che faticosamente cercano di acquisire un aspetto umano, anche attraverso operazioni di retrofit tecnologico del costruito. Nel caso qui descritto, i progettisti giardinieri COLOCO, individuano la corte posteriore di un edificio, una superficie asfaltata ad uso di parcheggio, su cui affaccia l’intero condominio. Uno spazio di proprietà pubblica, di pertinenza abitativa, in stato di degrado e di scarso utilizzo. In questo spazio Atelier COLOCO e il comune di Montpellier, mettono in scena Jardin Demain.
Figura 3. Jardin Demain, Montpellier 2010, foto Danilo Capasso La costruzione partecipata di questo giardino avviene nello spazio di due giorni nell’ottobre 2010, in un atmosfera di convivialità generata dall’incontro dei residenti con le varie persone coinvolte nell’evento. Per la realizzazione, Atelier Coloco ha prima condotto una fase di dialogo con gli abitanti del sito, quali principali referenti e utilizzatori futuri del giardino, per coinvolgerli nella costruzione e renderli responsabili della sua manutenzione minima. Dopo la fase di negoziato con i cittadini e il Comune, è stato progettato un disegno di massima, definendo gli ingombri delle aiuole, la distribuzione delle essenze, delle funzioni, e degli arredi. Il comune, sulla base di queste indicazioni, ha provveduto ad asportare lo strato di asfalto del cortile, trasportare la ghiaia, il terreno, impiantare alcuni alberi e provvedere alla sistemazione di un minimo impianto idrico. A questo punto, con la preparazione delle aree per la sistemazione degli arredi, anche questi da costruire in loco, si è realizzato un semilavorato del giardino. Nei due giorni dell’evento, con un gruppo di 14 giardinieri del comune, il collettivo COLOCO, gli abitanti del quartiere, e tutti i vari cittadini accorsi per partecipare, questo semilavorato si è trasformato in un giardino finito, con vasche per la coltivazione di ortaggi, panchine, steccati, tavoli, coperture e piante. Il legno per gli arredi, realizzati sul posto, e stato riciclato da un cantiere pubblico, le piante sono arrivate da un vivaio che ha concesso una sponsorizzazione, ragazzi delle scuole medie sono venuti con i loro insegnati a contribuire al rituale di piantumazione. Il giardino di Citè Lemasson è inaugurato alla fine dei due giorni, di festa e di comunità, alla presenza del presidente del consiglio comunale di Montpellier, con il classico taglio del nastro: dimostrando che si può creare un ponte tra strategie e pratiche, tra progetto e realtà operativa; ma che queste, possono solo emergere la dove gli attori in campo, pubblici e privati, istituzioni e professionisti creativi cercano una sintesi comune. Dove l’istituzione pubblica è presente, e rivolge il suo sguardo alle potenzialità ed alle opportunità che possono generarsi dai processi di partecipazione e di coinvolgimento, non facendo appello ad un vuoto spontaneismo, ma fornendo radici solide (come lo studio di cui abbiamo parlato) e strategiche che possono dare spazio e respiro a queste interessanti pratiche di rigenerazione urbana.
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Bibliografia Libri Bianchetti C. (2011), Il novecento è davvero finito, Donzelli Cosgrove D. (1990), Realtà Sociali e paesaggio simbolico, Unicopli, Milano. Jakob M. (2009), Il paesaggio, Il Mulino, Bologna. Siti web: http://www.coloco.org http://www.montpellier.fr/
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Piano e percezione territoriale: leggibilità e comunicabilità del paesaggio urbano Valerio Di Pinto Università degli Studi di Napoli "Federico II" Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio (DiPiST) Email: valerio.dipinto@unina.it Tel. 081.7682319
Abstract Il contributo propone una chiave di lettura metodologica per lo studio del paesaggio inteso quale speculazione percettiva dell’uomo sul territorio, ritagliando nel campionario territoriale lo specifico caso dello spazio urbano, in ragione sia della sua marcata accezione sociale, intendendo la città come spazio sociale per eccellenza, sia della sua criticità per mole di informazioni e rapidità di trasformazione. In accordo con la posizione scientifica tradizionale della psicologia ambientale che individua nella visione seriale in movimento l’elemento dominante della percezione contestuale, il contributo sostiene la tesi dell’esistenza di un linguaggio strutturale comune tra i contenuti della narrazione dell’esperienza umana nello spazio urbano, propri degli studi antropologici, e le caratteristiche topologiche dello stesso spazio, le quali sono oggettive, analizzabili e riproducibili.
Introduzione Il fine principale del contributo, testimonianza primigenia di un percorso di ricerca in itinere, è quello di esplicitare le prime suggestioni emerse dall'indagine della possibilità di muoversi lungo la strada dell'oggettivazione del prodotto percettivo ambientale della città: il paesaggio urbano. Il percorso di ricerca nella sua interezza affonda le proprie radici in una nota citazione:<<il paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazion>> (Art.1, comma a, Convezione Europea del Paesaggio, 2000 - di seguito CEP). Di fatto tutto è paesaggio, ma solo in senso relativo, locale, o per meglio dire percettivo. Lo stesso paesaggio vive, ad ogni modo, anche una dimensione globale, legata alla sua inevitabile necessità di essere comunicato. Operazione, quest’ultima, cui è propedeutica la fase di lettura ed interpretazione. I metodi già codificati ed in uso per leggere e descrivere il paesaggio si incentrano principalmente sull'analisi delle componenti fisiche e di uso del suolo, e delle manifestazioni antropiche anche culturali e tradizionali, tralasciando o ponendo in secondo piano e con accezioni semplificative e distorcenti l’aspetto percettivo. Per rendersi conto di questo status ci si può riferire, ad esempio, ai documenti di pianificazione paesaggistica più recenti delle Regioni italiane, unici documenti strettamente necessari al governo del paesaggio. Il PIT Toscana, piano di indirizzo territoriale con valore paesaggistico, del 2009, è spesso citato quale documento paradigmatico di pianificazione coerente con il quadro concettuale della CEP. Esso stesso dichiara di riferirsi esplicitamente, oltre che alle componenti fisiche ed antropiche, alla percezione, per costruire gli ambiti di paesaggio in cui il territorio toscano è stato scomposto. Dall'analisi delle singole schede d'ambito, emerge con chiarezza che la percezione è stata tenuta in conto nei termini del giudizio valore rispetto a taluni elementi territoriali, non di rado alla scala gigante, ottenendo, come prodotto, un decalogo di elementi aventi valore estetico - percettivo 1, e proponendo, come sottoprodotto, un’edulcorazione concettuale. Altre Regioni si sono rapportate con il tema 1
Piano di Indirizzo Territoriale con valore di Piano Paesaggistico della Regione Toscana, Allegato 3 -“Schede dei paesaggi e individuazione degli obiettivi di qualità-funzionamenti, dinamiche, obiettivi di qualità, azioni prioritarie".
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della percezione anche in maniera più partecipativa, com'è il caso delle Marche 2, che si è attivata nel proporre un questionario diretto, ma sempre con un approccio valutativo 3: la percezione è intesa come una valutazione di ciò che si vede, nell'intento di far emergere ciò che può rimanere e ciò che può andare via dal paesaggio/territorio. Gli strumenti adoperati risultano di fatto incompleti rispetto al mutato paradigma interpretativo. Da qui la necessità di approfondire con nuovo piglio gli aspetti della percezione dello spazio, al fine di consentire la lettura e la comunicazione del paesaggio di percezione, risolvendo la dualità quasi concorrenziale tra la sue dimensioni locale (relatività della percezione) e globale (oggettività della comunicazione). La crisi del piano territoriale contemporaneo, nonché la sua storicizzata diffidenza rispetto alle questioni proprie del paesaggio, ovvero la marcata rivisitazione concettuale di quest'ultimo, costituiscono le condizioni per avvicinare queste due entità quasi avulse, riformando il piano stesso in termini integrativi. Necessario a questo processo, è un preventivo lavoro da svolgere nei termini dell'oggettivazione del paesaggio, inteso quale risultato di percezioni soggettive. In tal senso si pone quantomeno una serie di questioni primarie da dipanare. Primum il problema di definire il paradigma interpretativo cui s'intende aderire relativamente al concetto di percezione; deinde la necessità di definire la modalità di oggettivazione della categoria percettiva, relativa per definizione, e, minus inter pares, l’improcrastinabilità di elaborare un linguaggio disciplinare condiviso, capace di esprimere attraverso le sue qualità le risultanze di un'analisi di tipo percettivo. In tal senso l’approccio configurazionale allo studio dello spazio urbano, con il suo linguaggio strutturato per indici sintetici, inquadrato in un contesto metodologico di tipo Lynchano, nell’ottica generale GestalticoArnheimiana, appare una strada effettivamente percorribile e feconda.
Trama teorica a supporto della costruzione di un percorso metodologico L’approccio configurazionale attribuisce allo spazio una specifica essenza strutturale, le cui regole possono essere indagate attraverso lo studio delle relazioni configurazionali tra gli elementi che lo compongono. Principalmente viene riconosciuto allo spazio urbano un ruolo primario nella generazione dei fenomeni insediativi (Hillier B & Hanson J, 1984; Hillier B, 1996; Cutini V, 2010). Quest’aspetto, per certi versi rivoluzionario rispetto alla modellistica territoriale classica, apre alla possibilità di adoperare modelli quantitativi per misurare alcune proprietà immateriali dello spazio urbano. In sintonia con questa premessa, si può sintetizzare l’essenza generale dell’approccio pensando ad uno spazio urbano che possegga un codice genetico dei fenomeni insediativi collezionato nelle sue caratteristiche fisiche. Codice che permette di estrapolarne le rispettive qualità, possibilità d’utilizzo e di trasformazione. In definitiva l’approccio configurazionale si pone come obiettivo quello di: • interpretare e comprendere la geografia interna di un aggregato insediativo; • suggerire utilizzazioni e destinazione d’uso dei suoli, congruenti con le potenzialità offerte all’articolazione dello spazio urbano; • simulare gli effetti di trasformazioni in progetto sulle variabili materiali ed immateriali. Nella pratica, l’approccio configurazionale si concretizza in una serie diversificata di tecniche, sviluppate nell’ambito di un dibattito scientifico approntato alla fine degli anni ’80 e fervente ancora oggi. In generale, queste stesse tecniche, si sono fortemente indirizzate, e allo stesso tempo validate, nel rispondere a diverse esigenze e specificazioni finalizzate all’efficace descrizione delle motivazioni e delle modalità di spostamento pedonale in contesto urbano, spingendosi anche in termini predittivi (Hillier B, 2009; Wiener J & Franz G, 2005). Il legame tra movimento, scelta soggettiva di spostamento e morfologia dello spazio, è il filo conduttore che può collegare direttamente la dimensione fisica alla dimensione percettiva. È proprio in questi termini che l’analisi configurazionale, attraverso le sue tecniche e i relativi indici, rappresenta, nei fatti, un linguaggio che indirettamente fornisce informazioni percettive. Nello studio configurazionale del movimento pedonale, infatti, emerge che una parte di quest’ultimo, comunemente definita naturale, è frutto della percezione delle relazioni spaziali che si palesano all’utente/cittadino 4 . Il rapporto configurazione-percezione è ampiamente verificato in contesti e situazioni molto eterogenee, tra cui non mancano casi italiani (Bortoli M & Cutini V, 2001). Emerge con chiarezza che esiste un rapporto diretto tra percezione, visione e assetto topologico dello spazio. La capacità visiva e la condizione relazionale dello spazio rappresentano il duale della percezione nel meccanismo di fruizione 2
Processo di verifica del PPAR delle Marche, di cui alla DGR Marche n°140 del 01/02/2010. Di seguito un breve estratto del documento che accompagna il questionario partecipativo del PPAR delle Marche:Cosa si intende per paesaggio? Quali sono i paesaggi degni di tutela? Quali sono gli elementi che imprescindibilmente vorrei salvare dei paesaggi che mi circondano? Cosa è che rende bello un paesaggio? 4 Il movimento pedonale può essere distinto in un’aliquota di completa selezione soggettiva, proprio quella naturale ed un’aliquota legata, invece, alla presenza in determinate aree di attività non surrogabili, che si definiscono sommariamente monopolistiche. Questa seconda aliquota, è di fatto forzata dalle localizzazioni delle suddette attività e, pertanto, si pone in maniera più problematica rispetto all’interpretazione del problema percettivo. 3
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ambientale.Le informazioni estrapolabili in termini configurazionali, ovvero di visibilità e topologia, rappresentano non informazioni sul come si percepisce lo spazio, ma sul come lo spazio urbano incida primariamente sulla percezione stessa, certo in termini non esaustivi, ma più che indicativi. È per queste motivazioni che l’approccio configurazionale costituisce uno strumento di indagine e allo stesso tempo un medium comunicativo della percezione ambientale, capace di potersi evolvere in un linguaggio disciplinare vero e proprio. Lo stesso approccio configurazionale pone al centro della propria strutturazione la topologia, ovvero la disciplina matematica che studia le soluzioni indipendenti dalla misura. Lo spazio fisico va pertanto tradotto in uno spazio topologico, non metrico. Questo processo è messo in atto scomponendo lo spazio fisico in un insieme finito di sottospazi convessi. Le proprietà di questi spazi ben si prestano a speculazioni di tipo percettivo, e ciò è ancor più evidente se alla definizione geometrica si sostituisce l’interpretazione degli stessi quali spazi di mutua visibilità: in uno spazio convesso, infatti, tutti i punti interni sono visibili da un altro qualsiasi punto interno, ovvero, l’isovista associata ad un punto interno ad uno spazio convesso, contiene almeno lo spazio convesso stesso 5. Quest’entità elementare dell’approccio configurazionale è quella cui sono poi riferite le informazioni percettive sottoforma di indici configurazionali (Hillier B & Hanson J, 1984). La formalizzazione di tali informazioni è inscindibile con l’interpretazione che della città percettiva si vuol dare. In questo senso numerose sono state le interpretazioni e le chiavi di lettura che si sono susseguite, dai contributi culleniani a quelli di Lynch (Andriello V, 2009; Di Biagi P, 2009; Franceschini A, 2003). Quest’ultimo in particolare è, di fatto, il più discusso, formalizzato ed ampiamente accettato paradigma interpretativo della città percepita, presumibilmente in ragione della sua completezza e della sua semplicità concettuale. La scomposizione per elementi ricorrenti, quasi atomici, caratterizzati da specificazioni d’uso e di relazione rispetto all’utente/cittadino, oltre ad essere generalmente intuitivo nella sua rivoluzionarietà, è anche funzionale nel discorso di lettura oggettiva portato avanti nei termini dettati in precedenza. Lo spazio lynchano è, infatti, interpretato quale duale della visione nella generazione di immagini ambientali. Tali immagini, nella loro sequenzialità seriale, costituiscono, a loro volta, una delle componenti del risultato percettivo. Aderendo ad una linea interpretativa del meccanismo percettivo basato su leggi oggettive, di tipo gestaltico-arnheimano, immagini comuni non possono che generare le stesse percezioni. Da qui la possibilità di ridurre lo spazio a categorie sintetiche (Lynch K, 1960). L’ idea da cui parte il discorso lynchano è che la percezione sia il risultato di un’esperienza individuale formalizzata nella serialità della visione in movimento. In tal senso ben si presta, concettualmente, ad una sintesi con le caratteristiche configurazionali dello spazio. Lo stesso Lynch, infatti, sostiene che il movimento intenzionale sia un fenomeno subordinato alle caratteristiche dello spazio e segnatamente alle sue caratteristiche estetiche, nei termini dell’identità e della struttura. Di fatto, egli interpreta lo spazio come costituito da una gerarchia degli elementi fondata sulla loro capacità di formare immagini mentali chiare, ovvero sul loro vigore percettivo, a sua volta in parte determinato dalle caratteristiche estetiche. In altri termini, parlando di movimento intenzionale, le caratteristiche estetiche dello spazio definiscono una gerarchia degli elementi atta a rappresentare una misura di appetibilità spaziale. Quest’ultima è fondamentale nell’approccio configurazionale, in quanto rappresenta il risultato atteso nell’indagine sul movimento pedonale. Si intuisce, in questi termini, una evidente congruenza tra le categorie lynchane e gli elementi topologici configurazionali. In definitiva, lo spazio fisico viene quindi interpretato in due modalità differenti. Topologicamente viene suddiviso in un numero finito di sottospazi convessi, cui sono riferite informazioni percettive in linguaggio matematico. Per la formalizzazione di tali informazioni, invece, lo stesso spazio fisico viene diversamente suddiviso in categorie sintetiche. Il rapporto tra convessi e categorie rappresenta una delle principali problematiche di quest’approccio allo studio del paesaggio. Per esplicitare il nesso concettuale tra le categorie (ovvero il risultato della percezione di uno spazio) e i sottospazi convessi (ovvero l’unità dello studio topologico), è necessario riferirsi al lavoro fondativo sulla percezione visiva sviluppato, nell’ambito degli studi sulla psicologia della forma, agli inizi del XX secolo dalla scuola della Gestalt, portati poi avanti in maniera innovativa da Rudolph Arnheim (Arnheim R, 1954, 1974). La scuola gestaltica si è occupata di tutti gli aspetti della percezione della forma nello spazio, arrivando ad un’innovativa formulazione concettuale, secondo cui l’esperienza percettiva umana non è suddivisibile in componenti elementari, ma è l’interezza situazionale che prevale su di esse: <<il tutto è più grande della somma delle singole parti>> scriveva Christian von Ehrenfels 6 nel 1890. Si può parlare di una qualità propria del tutto, indipendente dagli elementi componenti in quanto dati, ma definita dalle loro relazioni, ovvero dalla loro struttura. La percezione è intesa come un processo organizzato secondo gli stessi principi che regolano il
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Sui problemi di suddivisione dello spazio fisico in sottospazi convessi esiste una importante letteratura specialistica. Ad oggi, si è pervenuti alla definizione di algoritmi di suddivisione automatica che frammentano lo spazio nel numero minimo di convessi della massima dimensione, riducendo la componente aleatoria di tale suddivisione. 6 Filosofo austriaco, vissuto tra il 1859 ed il 1932, cui si deve la definizione del concetto di Gestalt. Valerio Di Pinto
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pensiero. Questa concezione elimina la corrispondenza tra stimolazione e sensazione 7, in favore della formulazione di una teoria di campo fenomenologica, basata su principi di unificazione formale. Tali principi, o leggi, riguardano numerosi aspetti del rapporto visivo-percettivo tra le forme, dal modo con cui si raggruppano gli oggetti nel campo visivo al rapporto intercorrente tra elementi figurali e sfondo (Kanizsa G, 1978). In particolare, i concetti di figura e di sfondo rivestono un ruolo primario nell’individuazione degli elementi percettivamente predominanti nella fruizione di un’immagine, anche ambientale, dalla cui sequenza dinamica, come si è detto in precedenza, si origina la percezione dello spazio. Intendendo per figura l’oggetto o l’area di attenzione, e sfondo quello che c’è tra l’osservatore e la figura, lo studio del reciproco rapporto tra queste entità si risolve nell’indagine sugli elementi dominanti dell’immagine, ovvero su ciò che l’osservatore ritiene essere il fulcro visivo e, di conseguenza, ciò attorno a cui organizza il suo pensiero. Le leggi gestaltiche, sulla base degli studi di Edgar Rubin 8(1915), si sono conformate, nello specifico caso, su alcuni fattori ritenuti più influenti, tra cui, in particolare, la preminenza della convessità. A parità di condizione visiva, gli elementi convessi tendono ad essere percepiti figuralmente rispetto agli elementi concavi. In altre parole, nella fruizione di un’immagine ogni osservatore tende a cercare unità visuali convesse, e ciò equivale ad affermare che si conferisce più importanza visuale agli elementi convessi. Di conseguenza, la semplificazione dell’immagine, cui ogni osservatore tende, avviene, in maniera del tutto inconscia, anche attraverso la ricerca di scomposizioni convesse. Quanto più la costruzione formale dell’immagine è complessa, tanto più la ricerca di semplificazioni coerenti, spinge l’osservatore alla ricerca di chiavi di lettura chiarificatrici, anche nei termini di scomposizioni convesse. Tale ragionamento resta valido per qualunque tipo d’immagine, anche di tipo ambientale e dinamico, in quanto è un processo di pensiero connaturato e non volontario. Nello specifico caso dell’immagine ambientale urbana, generalmente complessa e caratterizzata da numerosi rapporti formali, il grado di chiarezza tende ad essere sempre abbastanza basso, come confermano gli studi lynchani, e ciò induce a pensare che la scomposizione convessa rappresenti un’opportunità che l’osservatore tende a sfruttare. A supporto di tale posizione, lo stesso Lynch nota come la maggior parte degli osservatori approcci al riconoscimento dell’ambiente urbano partendo dalle categorie dei percorsi e dei nodi, ovvero degli spazi convessi per eccellenza, in quanto sono quelli in cui l’osservatore s’immagina contenuto esso stesso; in cui con facilità distingue l’interno dall’esterno (Lynch K, 1960). Quest’ultima sensazione è una degli più potenti stimoli relazionali, com’ebbe modo di osservare anche il Cullen nella sua grammatica degli elementi urbani (Cullen G, 1961; Marchigiani E, 2009). In definitiva, si può notare come la suddivisione dello spazio in elementi convessi rappresenti un approccio alla scomposizione spaziale coerente con la posizione ontologica assunta rispetto alla percezione. In termini configurazionali, la scomposizione in convessi viene affrontata con la suddivisione dello spazio nel numero minimo di sottospazi convessi della massima grandezza. In questo senso, la ricerca si è spinta verso l’automazione procedurale, nell’ottica di una standardizzazione tecnica (Hillier B & Penn A & Turner A, 2005). Affrontare una valutazione di tale principio di suddivisione è certamente complicato, anche in virtù del fatto che l’attribuzione delle caratteristiche topologiche agli spazi convessi avviene attraverso il ricorso ad ulteriori strutture, specifiche delle singole tecniche 9. Figura 1. Schema sintetico della trama concettuale proposta
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Questa posizione concettuale si riconduce alle fattispecie in cui si hanno sensazioni non corrispondenti alle reali stimolazioni, com’accade per il noto fenomeno phi che tanto ha influito sullo sviluppo del pensiero gestaltico. (M. Wertheimer, Experimentellen Studien über das Sehen von Bewegung, 1912). 8 Psicologo danese vissuto tra il 1886 ed il 1951. 9 Si distinguono due famiglie di tecniche configurazionali: quella lineare, di cui fanno parte l’Axial Analysis e (Hillier, Hanson, 1984; Cutini, 2009) e l’Angular Analysis (Turner, 2001a); e quella puntuale, incentrata sulla Visibility Graph Analysis (Turner, 2001b; Turner et al., 2001). Le prime due tecniche sono basate sugli elementi di collegamento tra spazi convessi, le lines, che è possibile interpretare come potenziali traiettorie di spostamento negli stessi spai convessi; la seconda è basata su di una griglia di punti visuali, pensati come estremità di traiettorie di spostamento. (Cutini, 2010; Cutini & Petri & Santucci, 2005). Valerio Di Pinto
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Conclusioni La chiave di lettura dell’intero percorso di ricerca si risolve nell’intuizione di poter cercare la narrazione della città quale luogo nella struttura relazionale dello spazio che la caratterizza, ovvero nell’oggettività sintetica con cui il linguaggio configurazionale offre un’immagine della struttura topologica. Condividendo la lettura lynchana della città sociale, se ne vuole superare l’approccio di studio, che si caratterizza per la ricerca della stessa narrazione della città nelle inafferrabili qualità estetiche individuabili dall’osservatore addestrato, ovvero nel probabilistico risultato ottenibile per sovrapposizione di racconti soggettivi. A validazione di quest’intuizione c’è l’intenzione di formalizzare il supporto interpretativo attraverso la definizione dei modi con cui il linguaggio configurazionale può esprimere la lettura antropologica del luogo
Figura 2. Immagine ambientale di Piedimonte Matese ottenuta attraverso l'implementazione del Metodo descritto da Lynch (Lynch K, 1960) urbano, così come messa a punto da Lynch. In tal senso sono state portate avanti innanzitutto due separate analisi, una di tipo lynchano, seguendo il metodo originale 10, ed una di tipo configurazionale 11, adoperando sia tecniche lineari che puntuali. Con l’implementazione della prima analisi si è pervenuto alla definizione di un’immagine ambientale di sintesi (risultato atteso secondo il metodo lynchano), con l’implementazione della seconda, una serie di output grafici e tabellari legati all’esplicitazione dei vari indici configurazionali. Il prossimo step di sviluppo riguarda la definizione del contributo che ogni indice, o combinazione di più indici, può dare per la descrizione del paesaggio urbano. Il contributo atteso dalla ricerca al termine del suo sviluppo, nonché la base di ragionamento da cui la stessa si è originata, è la definizione di un linguaggio comunicativo utile all’integrazione del paesaggio nella riforma del piano territoriale, segnatamente alla scala urbana. Momento, quest’ultimo, fondamentale ed indispensabile, affinché l’intera ricerca non si risolva in un inutile esercizio.
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Si è proceduto alla somministrazione del questionario ad un campione di 30 residenti, adattando le domande al contesto di studio, ovvero al Comune di Piedimonte Matese. Successivamente si è proceduto ai sopralluoghi con osservatori addestrati al riconoscimento delle qualità estetiche, così come descritte dallo stesso Lynch. 11 Sono state adoperate le procedure standard di analisi configurazionale, adoperando il software UCL DepthMap 10 (Turner, 2001 b), ed una base cartografica aerofotogrammetrica in rapporto 1:2000. Valerio Di Pinto
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Figura 4 - Axial Analysis del Comune di Piedimonte Matese ottenuta con UCL DepthMap 10. Le lines più chiare evidenziano un'area in cui si concentrano valori più elevati di alcuni indici configurazionali.
Figura 3 - Figura 2 - Zoom di un Output grafico di un' Axial Analysis del Comune di Piedimonte Matese ottenuto con UCL DepthMap 10
Figura 5. Angular Analisys del Comune di Piedimonte Matese ottenuta con UCL DepthMap 10.
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Napoli new urban vision
Napoli new urban vision Anna Terracciano Università degli Studi di Napoli "Federico II" Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica DPUU Facoltà di Architettura, Email: arch.annaterracciano@gmail.com
Abstract L’esplosione della città contemporanea ci restituisce l’immagine di un immenso arcipelago (Cacciari, 1997) disperso in cui dinamiche incessanti disegnano una struttura porosa e instabile. Nuove figure divengono necessarie per descrivere la complessità di fenomeni in continua evoluzione. Occorre recuperare quella capacità visionaria per misurarsi con uno sguardo di scala ampia, adeguato alle dimensioni che la città ha raggiunto. Il progetto indaga possibilità e modalità per la costruzione di una nuova visione urbana per Napoli, che abbia la sua matrice nell’insieme degli interventi negli gli spazi del waterfront. Aree di sovrapposizione e contaminazione si infiltrano tra parti di città più o meno prossime, intercettando i luoghi della nuova urbanità potenziale. Il progetto contemporaneo lavora in queste aree, definite come molli, alla costruzione della nuova forma del territorio. Definisce il collante che corre lungo la concatenazione degli spazi aperti e costruisce quell' infrastruttura potenziale (Gabellini, 2010) che, ricucendo parti di città, ci restituisce la visione d’assieme per la città del futuro.
Motivazioni "More than ever, the city is all we have" Rem Koolhaas Frammentazione e dispersione respingono progetti e piani che siano omnicomprensivi e puramente prescrittivi, ma ciò non significa che la città contemporanea non possa e non debba essere investita da un progetto concettualmente unitario. What Ever Happened to Urbanism? E' la provocazione che Koolhaas lancia nei primi anni '90 e che invita a riflettere sul fatto che l’urbanistica non possa più essere il luogo per la costruzione di configurazioni stabili, di disegni che cristallizzano i processi in forme definitive o in imposizioni di norme e limiti, ma il luogo di una riflessione che sposta l’attenzione dalla città, ormai senza confini, ai suoi materiali, nuovi, ibridi o potenziali, e alle loro relazioni 1. La crisi urbana della fine degli anni Sessanta e i suoi sviluppi nei decenni successivi e fino ai giorni nostri, ha animato un dibattito e una produzione immensa di ricerche sulla città contemporanea e i suoi frammenti, materiali di un sistema aperto, su una città che esiste prima ancora del suo progetto (Secchi, 2000). Occorre dunque redefine our relationship with the city (Polak, 1961) per costruire un nuovo senso sociale all'attività progettuale. Tornare a riflettere sulle relazioni tra le immagini del futuro e il futuro stesso, tra i mutamenti nella struttura sociale e gli scenari conseguenti. Ritornare a prefigurare il futuro della città con quella capacità visionaria capace di pensare alla grande scala, indispensabile ormai per rapportarsi alle dimensioni che la città ha raggiunto. Recuperare il ruolo del progetto come strumento in grado di produrre immagini riconoscibili e capaci di divenire strutturanti e strategiche per la città. L'ipotesi dunque, è che il dissolvimento di molte teorie dell'urbanistica moderna, richieda un nuovo e intenso sforzo immaginativo e concettuale. La complessità degli attuali fenomeni, infatti, impone un ripensamento delle modalità di descrizione della città, nel tentativo di definire una nuova grammatica della rappresentazione, più 1
Rem Koolhaas, (1994) What Ever Happened to Urbanism?, in S,M,L,XL, OMA, (with Bruce Mau), The Monicelli Press, New York, 1995
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Napoli new urban vision
aderente allo spazio e ai materiali contemporanei. Ipotesi queste, rafforzate dalla consapevolezza che la descrizione non svela solo il reale, ma anche immagina (Secchi, 1988), e che dunque, costruire nuove e aggiornate interpretazioni della città contemporanea, richieda anche operazioni selettive e di prefigurazione. Ma restano gli interrogativi, i motivi di una ricerca: come si costruiscono le nuove visioni urbane? Quali sono le nuove categorie di lettura per i territori della dispersione? Quali sono i modi e le forme della visualizzazione progettuale per la città contemporanea?
Prospettive E' all'interno di questa dimensione teorica che il progetto indaga le reali possibilità e modalità di costruzione di una nuova visione urbana per Napoli, che abbia la sua matrice nell’insieme degli interventi che interessano le aree del waterfront. La lettura del territorio napoletano ci restituisce la stessa varietà di situazioni insediative e la stessa eterogeneità di materiali urbani che ci consegna l’esplosione della città contemporanea, all’interno della quale possiamo riconoscere una molteplicità di pattern che si susseguono, ciascuno caratterizzato da proprie prerogative fisiche, storiche, sociali ed economiche e che è ragionevole definire paesaggi. La ricerca di nuove forme di astrazione necessita la sperimentazione di letture aggiornate per la città contemporanea (Secchi, 2000). Occorrono nuovi filtri interpretativi, paesaggi di città come lenti di convergenza multiculturale e multidisciplinare (Zardini, 1996) che restituiscono, senza sguardi residui, l’immagine di questo arcipelago di recinti diversamente densi per morfologia e per strutture relazionali. Anche il waterfront è uno dei paesaggi di città. Aree di sovrapposizione e contaminazione si infiltrano tra parti di città più o meno prossime attraverso dinamiche relazionali più o meno consolidate, intercettando i luoghi della nuova urbanità potenziale. Il progetto contemporaneo lavora in queste aree alla costruzione della nuova forma (Secchi, 208) del territorio, costruendo quel collante che, attraverso la sequenza degli spazi aperti, aggancia e rigenera i frammenti urbani, e ci restituisce, all'interno di un progetto transcalare, una visione d’assieme per la città del futuro. La riflessione sulla forma della città contemporanea, può trovare nel ri-pensamento del ruolo e del disegno degli spazi aperti, un fertile luogo per la sperimentazione di nuove idee di città e di nuove esperienze urbane. La continuità delle reti infrastrutturali, la dimensione reticolare delle connessioni ecologiche, la struttura porosa del territorio, intercettano un mosaico denso di spazi aperti (Gasparrini, 2011), luoghi a diverso gradiente di malleabilità, in cui il progetto che sposta l’attenzione dall’edificio al suolo (Secchi, 1986) lavora simultaneamente in tutte le parti della città, alla multiscalarità dei nuovi rapporti tra le parti e alla costruzione di nuove densità fisiche e relazionali. Questa ricerca và nella direzione che utilizza il progetto come produttore di conoscenza (Viganò, 2010) e di prefigurazione del futuro, e tenta di costruire un metodo che, riconoscendo la complessità del reale, introduce nuovi concetti per la sua descrizione e ricerca modi e forme per la costruzione e la visualizzazione di un progetto contemporaneo unitario.
Ri-leggere la città Alla scala urbana, nell'area di influenza del sistema waterfront, possiamo riconoscere tre frammenti di cittàla città consolidata, i recinti specializzati della città contemporanea e materiali della città porto. Ma è nel passaggio alla scala più ampia, che questa ri-lettura, ci restituisce l’immagine di una rete di paesaggi. La città consolidata ha il carattere dell’urbanità consolidata, nella quale è possibile riconoscere una esperienza significativa e sistematica dello spazio aperto e il rigoroso controllo della sintassi compositiva dei suoi materiali. I materiali urbani sono quelli tradizionali dei tessuti densi e compatti che si organizzano all’interno di una dialettica serrata di compressione/dilatazione con la sequenza degli spazi aperti. La città contemporanea dei recinti specializzati ha il carattere della nuova urbanità potenziale che si costruisce per isole specializzate e in cui manca una significativa esperienza dello spazio urbano. In essa ritroviamo i materiali urbani tipici della contemporaneità: i grandi fasci infrastrutturali che incidono il territorio, i recinti specializzati della grande produzione, del commercio, di aeroporti e piattaforme logistiche, e quelli dei comparti residenziali e delle aree della dismissione. Si caratterizza inoltre per la frammentazione e dispersione di tessuti e spazi aperti, che sono prevalentemente residuali o di abbandono. La città-porto è un sistema complesso che si auto-organizza all’interno di un recinto, diversamente permeabile con l’esterno e introverso per necessità, poichè l’esigenza di controllo presuppone l’esistenza di una barriera di bordo. Sono gli usi e i flussi che determinano il diverso grado di osmosi del recinto portuale: il porto turistico Anna Terracciano
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Napoli new urban vision
stabilisce un rapporto di maggiore permeabilità con la città consolidata ad esso contigua, mentre il porto commerciale stabilisce un rapporto di lontananza e separazione con i recinti della città contemporanea. All’interno di questo recinto esistono altri recinti, un recinto di recinti dunque, in cui materiali eterogenei si dispongono in funzione dei loro usi, indifferenti ad uno spazio per il quale manca un progetto complessivo. L’obiettivo da perseguire dovrebbe lavorare alla coesistenza tra questi recinti, inserendoli all’interno di un più ampio progetto sugli spazi aperti del sistema città-porto-città. La rete di paesaggi è la lente attraverso cui ri-leggere il territorio all’interno di una dinamica transcalare e, al contempo, lo strumento per poter disegnare nuove e aggiornate interpretazioni della città, poichè ci consegna i luoghi e i materiali del progetto. Andando infatti ad ingrandire tale lente sulle aree del waterfront possiamo osservare che tra parti di città più o meno contigue si sono instaurati rapporti discontinui e differenti. Aree di sovrapposizione e di contaminazione tra città e porto, permeano gli spazi di mezzo e nel mezzo, definendo un tessuto variamente denso al suo interno e diversamente poroso nelle sue relazioni esterne. Sono aree queste in cui le criticità divengono occasione per una progettualità nuova.
Che cosa succede dunque tra le parti di contatto delle città/paesaggi individuati? Il recinto del porto stabilisce con la città consolidata, un rapporto di prossimità sia fisica che relazionale, caratterizzato da una maggiore permeabilità del recinto stesso, ed è per tale motivo che è possibile riconoscere aree di sovrapposizione della città nel porto e viceversa. Al contrario, il recinto del porto commerciale e i recinti specializzati della città contemporanea, stabiliscono un rapporto di lontananza e separazione, alla ricerca della giusta distanza, nella quale è possibile riconoscere aree di contaminazione tra i materiali della città e del porto. Sono queste aree di bordo, a sezione e densità variabile, cresciute in maniera differente, discontinua ed episodica, che per effetto di diversi processi storici, hanno prodotto un’ampia e disomogenea disponibilità di suoli e materiali in cui non è possibile riconoscere una sintassi compositiva e una significativa esperienza dello spazio urbano, e che, per tali ragioni, possono essere ri-conosciuti come i materiali di un bordo malleabile [a diverso gradiente di malleabilità]. Molti sono i materiali che si dispongono all’interno di questo bordo, quelli del sistema infrastrutturale, poi la trama dei tessuti compressi infrastrutture e porto e i vuoti urbani della dismissione e dell’abbandono nelle aree dello slabbramento tra parte storica e industriale. Numerose inoltre sono anche le emergenze architettoniche che vi ritroviamo.
Linearità e trasversalità Il bordo malleabile si configura come un sistema prevalentemente lineare, nel quale è però possibile riconoscere un sistema di intersezioni trasversali a profondità variabile, diverse per struttura, materiali e significato, che aggancia il waterfront ad alcuni elementi centrali della città. Ampliando nuovamente lo zoom della nostra lente sul territorio, osserviamo che tale bordo intercetta tre grandi trasversali: a ovest, quella che và dal Castel Sant’Elmo e culmina nella passeggiata a mare di Molo San Vincenzo passando idelmente per il Taglio del progetto di Siza, per la testata monumentale del complesso Maschio Angioino- Palazzo Reale- Piazza Plebiscito e per la Stazione Marittina. Al centro un'altra grande trasversale, quella nella quale convergono il Parco del Sebeto, l’Autostrada e via Argine, e che costituisce il nuovo nodo di accesso alla città. Ad ovest infine, la trasversale che intercetta il progetto della colmata della nuova Darsena di Levante e del nuovo porto turistico di Porto Fiorito con le nuove aree di sviluppo di Napoli orientale. L’intersezione di queste tre grandi trasversali con il sistema lineare del bordo malleabile, individua tre situazioni puntuali di grande complessità e di opportunità progettuale, due di testata e l’altra di cerniera. Lungo le aree di sovrapposizione tra il porto e la città consolidata, si possono invece ri-conoscere delle trasversali minori ancorate ad alcuni elementi centrali della città e potenzialmente strategici nel progetto del nuovo waterfront. E’ possibile infatti ipotizzare delle infiltrazioni progettuali che dall’area del porto si muovano luogo gli assi che fanno testata su piazza Borsa, sugli edifici della Facoltà di Lettere e di Giurisprudenza, su piazza Garibaldi e la stazione, e lungo l’asse piazza Mercato- porta Capuana. Infiltrazioni della città nel porto e del porto nella città, coerenti con il maggior grado di permeabilità del recinto portuale in quest’area e che hanno come obiettivo una partecipazione del porto all’esperienza urbana e viceversa. Nelle aree di contaminazione tra il porto e la città contemporanea esiste uno slabbramento in cui una trasversalità diffusa, fatta di elementi residuali sia per il porto che per le isole specializzate, attraversa questa parte del bordo. Materiali eterogenei e frammentati, dunque, si dispongono in maniera disordinata in spazi non progettati, generando contaminazione tra le parti nella totale assenza di una significativa esperienza dello spazio urbano. Ed è dalla ri-composizione progettuale di tali materiali che può dipendere la ri-significazione in questa parte di cttà. Allargando nuovamente lo zoom della nostra lente, una nuova forma del territorio è restituita alla grande scala. Questa ri-lettura del territorio individua le aree molli che corrono tra città e porto, consegnandoci i luoghi della nuova intenzionalità progettuale.
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Ri-disegnare la città Cominciamo dunque con la ricerca di nuove forme di descrizione adeguate alla complessità delle mutate condizioni (Gasparrini, 2010) per reinterpretare, attraverso il progetto, l'universo di frammenti che la città dispersa ci consegna, e pre-figurare quelle trasformazioni auspicabili e necessarie all'interno di una visione di sfondo. Il progetto contemporaneo valuta infatti le ricadute possibili di ogni singolo intervento alla scala urbana e territoriale, lavora sulla nuova forma del territorio attraverso la riconfigurazione dello spazio aperto nelle aree individuate come molli, attraverso la costruzione di metafore progettuali, per definire quel collante che riaggancia parti di città. All’interno di queste metafore, costruiamo racconti progettuali del territorio intorno a temi nuovi, consolidati o potenziali del luogo che danno senso, sfondo e dimensione alle regole e ai progetti puntuali (Gasparrini, 2003), e definiamo al loro interno azioni tali da innescare meccanismi di ri-generazione urbana.
Strategie Ri-pensare il ruolo e del disegno degli spazi aperti come luogo fertile per la sperimentazione di nuove idee di città in cui opera una intenzionalità nuova che sposta l’attenzione dall’edificio al suolo e a una possibile produzione di nuovo suolo (Secchi, 1986). Re-interpretare le componenti ecologiche e le componenti infrastrutturali. Le prime, non più come elementi di qualità estetica, ma materiali che danno struttura e forma al progetto, e soprattutto come beni comuni irrinunciabili di cui la comunità si appropria. Le seconde, non più come condotti che attraversano il territorio in maniera indifferente, ma materiali che percolano in un territorio poroso, restituendo una sequenza di spazi critici densi di opportunità. Ri-costruire l’infrastruttura potenziale (Gabellini, 2010)che corre lungo la concatenazione degli spazi aperti poichè è dalla sua destinazione e sistemazione che dipende la ri-composizione del territorio contemporaneo. Essa lavora simultaneamente in tutte le parti della città alla multiscalarità dei nuovi rapporti.
Le metafore e la nuova forma della città
Figura 1. La spina della rigenerazione urbana
La rete Il tempo della città [velocità e lentezza] Il progetto disegna uno scenario di mobilità urbana a rete, che lascia libere ampie zone di mobilità più porosa e lenta. Si propongono due modi di muoversi ed abitare a cui si affiancano due idee di città: una più lenta, quella Anna Terracciano
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della residenza e dei servizi alla scala locale, della mobilità capillare (sia collettiva che individuale); ed una città veloce, quella del lavoro, dei servizi alla scala territoriale, dello spostarsi rapidamente da un luogo all’altro.
I nodi Le occasioni di sviluppo [la riqualificazione diffusa] Il progetto lavora sulle potenzialità esistenti e sulle nuove, proponendo un’idea di città nella quale si dispongono, accanto a quelli esistenti o in costruzione, nuovi nodi di sviluppo e riequilibrio, caratterizzati da una dotazione di servizi e attrezzature, in grado d’innescare processi di riqualificazione diffusa.
La spina Il collante del progetto [la rigenerazione urbana] E’ la spina attrezzata del recupero del fronte mare nelle infiltrazioni che agganciano la città consolidata al porto e della ricomposizione urbana lungo le aree dello slabbramento tra città contemporanea e porto. Il progetto connette, attraverso un sistema di percorsi ciclo-pedonali, il sistema ambientale alla grande scala con il centro storico e le aree del waterfront. Inoltre, la trasformazione dei nodi prevede la realizzazione di nuove aree verdi in grado di aumentare la dotazione complessiva del sistema urbano dei parchi, ma in grado anche di contribuire allo sviluppo qualitativo sia delle aree di trasformazione, sia dei diversi settori di città a ridosso di queste. ( figura 1)
La grana dei materiali Il progetto si confronta con la grana dei materiali, delle questioni e delle identità di ogni singolo quartiere. Un nuovo passaggio alla scala urbana identifica e verifica le questioni nelle aree molli individuate, consente di tracciare una mappatura delle aree a diverso grado di trasformabilità e le conseguenti aree di ricaduta diretta e indiretta, e definisce soprattutto le opportunità progettuali.
Dai progetti alla vision I tre seguenti progetti interessando le aree del waterfront, concorrono, alla scala territoriale, alla costruzione di una nuova visione urbana per Napoli che ri-aggancia la città al porto. (figure 2 e 3)
Figura 2. I tre progetti strategici nella costruzione della nuova visione urbana
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1. Infiltrazioni Il recupero del fronte mare tra città consolidata e porto Piccoli allestimenti raccontano la storia del luogo nel percorso del corso Garibaldi che va dalla porta Nolana al alla piazza del Carmine e piazza Mercato, recuperandone gli spazi di margine e guadagnando il contatto con il mare nell’attraversamento del molo Pisacane. Da qui parte il progetto di riqualificazione degli spazi del porto comunque percorribili, disegnando percorsi che guardano al mare e culminano nel piazzale della stazione marittima e al molo san Vincenzo. L’ex stazione Bayard potrebbe trasformarsi in un ostello per giovani artisti e visitatori.
2. Incursioni La ri-generazione della sacca edilizia lungo il pendolo tra stazione e porto La costruzione di una strip commerciale lungo il corso Lucci che si aggancia alla nuova piazza Garibaldi, può costruire un nuovo indotto locale sui consistenti flussi di persone che transitano nello scalo. Lungo il percorso che culmina nel recupero della zona del mercato del pesce, si dispongono strutture per il temporary-shop. Il ponte della Maddalena resta escluso dal traffico carrabile e si trasforma in un passeggiata che guarda dall’alto il paesaggio portuale. Il parco della Marinella si trasforma invece in un parco agrario/urbano, nel quale troviamo spazi del relax e del gioco accanto a quelli per coltivare orti e prodotti e che insieme all’edificio di Consenza, costruiscono un grande mercato di quartiere.
3. Raccordi La ri-composizione dei frammenti urbani nello slabbramento tra la città e il porto Disegnare una street-art che corre lungo tutta via Brin fino a toccare il mare, recuperando le aree dei Gasometri e trasformandoli in un’area per gli allestimenti, adiacenti al grande capannone dismesso già utilizzato per grandi eventi e coinvolgendo i recinti delle aree produttive. All’interno di questo progetto, un ruolo strategico è quello della cerniera di convergenza del Parco del Sebeto, dell’Autostrada e di via Argine. Oltre che costituire il nuovo punto di accesso alla città e terminale del nuovo parco urbano, tale nodo può divenire fondamentale alla costruzione di una nuova identità urbana in questa parte di città. La sovrapposizione e commistione di differenti layer, quello delle infrastrutture, quello dei tessuti costruiti, quello dei resti archeologici, quello degli edifici produttivi, quello dei vuoti urbani, quello delle connessioni verdi e dei paesaggi dell’acqua, rendono denso e interessante questo progetto, che propone una piastra sospesa nella quale convergono/divergono tutte le direzioni,e che raccordando quote differenti e recuperando lo spazio sottratto al suolo, ricostruisce la percezione del mare nell’area orientale.
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Figura 3. Una nuova visione urbana per Napoli
Bibliografia Libri Cacciari M. (1997), L'arcipelago, Adelphi Gabellino P. (2010), Fare Urbanistica, Carocci Editori Gasparrini C. (2003), Prime Visioni, Clean Koolhaas R. (1994), S,M,L,XL, OMA, The Monicelli Press, New York, 1995. L. Polak F. (1961), “The rise and fall of images of the future procedes or accompanies the rise and a fall of coultures”, in The image of the future, edizioni Elsevier, Amsterdam, Londra, New York. Secchi B. (2000), Prima Lezione di Urbanistica, Editori Laterza. Viganò P. (2010), I Territori dell'Urbanistica, Officina Edizioni, Roma. Zardini M. (1996), Paesaggi Ibridi, Skira.
Articoli: Gasparrini C. (2011), Città da riconoscere e reti eco-paesaggistiche, PPC, n. 25, Pescara. Secchi B. (1988), “Dispersione Normativa”, Urbanistica n. 90. Secchi B. (1986), “Progetto di Suolo”, Casabella, n. 520/521.
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Serpentine luminose, filamenti insediativi, nebulose urbane
Serpentine luminose, filamenti insediativi, nebulose urbane Fabio Bronzini Università Politecnica delle Marche Dipartimento Simau Email: lutacurb@univpm.it Maria Angela Bedini Università Politecnica delle Marche Dipartimento Simau Email: faulkner@univpm.it
Abstract Forse il paesaggio è come la poesia, un accostamento immateriale di intuizioni che diventa componimento. Una composizione di elementi pregni di significato – aria, terra, profumi, luce, colori, rumori, vento, morfo-forme della natura e dell’uomo – che riescono a comunicare sensazioni ed emozioni, stati d’animo e significati interiori del pensiero. Il paesaggio può essere ascoltato come una partitura musicale, scandita da ossimori e trasgressioni, che accosta armonie e dissonanze, assoli e cori, movimenti e fughe. La bellezza del paesaggio è un’utopia mentale. Siamo alla riscoperta dei princìpi originari dell’urbanistica, innamorati degli apporti della cultura, della poesia, dell’arte, della natura compressa e sempre pronta a riesplodere. Il progetto del paesaggio diverrà così contaminato dalle istanze del bello tra le città, dell’equità nell’uso della terra, dalla voglia di “resurrezione italiana”, un manifesto collettivo di nuovi modelli dell’abitare. Le Marche, territorio inusuale rispetto al resto d’Italia, nascondono un segreto. C’è un filo misterioso, che lega città e territori, paesaggio di mare e di collina.
La questione delle aree di frangia e dei filamenti insediativi Forse il paesaggio è una percezione dell’anima, mutevole con le stagioni e gli stati d’animo. Non si lascia imprigionare dentro reticoli disciplinari. Forse il paesaggio è, come la poesia, un accostamento immateriale di intuizioni che diventa componimento. Una composizione di elementi pregni di significato – aria, terra, profumi, luce, colori, rumori, vento, morfo-forme della natura e dell’uomo – che riescono a comunicare sensazioni ed emozioni, stati d’animo e significati interiori del pensiero (Bronzini, in corso di stampa). Il paesaggio può essere ascoltato come una partitura musicale, scandita da ossimori e trasgressioni, che accosta armonie e dissonanze, assoli e cori, movimenti e fughe. La bellezza del paesaggio è un’utopia mentale, un attributo speciale e poliedrico, un insieme di qualità apprezzabili con la vista, con l’udito, con il tatto, con il respiro, una mirabile capacità di esaltare e combinare antinomie e contrapposizioni, addensamenti e rarefazioni, limitazioni e aperture, continuità e cesure, in perenne bilico tra baratro e salvezza. E gli strumenti per porsi di fronte alla “necessità” di salvarlo, conservarlo, goderlo, viverlo, sono quelli legati al senso dell’essere, invece che dell’“avere” (Bedini, Bronzini, 2011). E allora oggi, più che mai, potremmo metterci alle ricerca delle “intuizioni” dell’uomo che, come è avvenuto negli antichi aggregati storici, riesce a “capire” intuitivamente le potenzialità di ogni spazio, ogni prospettiva, ogni composizione e ad adattarli al proprio modo di vita, di lavoro, di svago, spinto dall’esigenza di mettersi in simbiosi, in “simpatia” con la terra che lo ospita. E l’intervento guida potrà operare in caso di messa a rischio dell’apparato reticolare del paesaggio: dalle linee d’acqua – che possano respirare durante la loro corsa, tranquilla o tumultuosa – alla tessitura arborea dei versanti, ai pontili, ai tratturi, ai tracciati, che segnano
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l’impronta fugace dell’uomo. Matura così la riscoperta dei valori originari: il lavoro, la terra, il ricovero di uomini e animali, la voglia di vivere, il sorriso del paesaggio (Bedini, 2011). Riappaiono allora i significati dimenticati, posti a fondamento delle scelte di piani e progetti, e le minacce per il territorio contemporaneo: un misto di città, campagne, parchi e “nuovi territori dell’urbanistica”: filamenti continui che si sviluppano come serpentine luminose sui crinali delle colline del centro Italia e, in particolare, delle Marche (Bronzini, Marinelli, 2010). E riemergono allora gli abitanti protettori dei luoghi, delle terre di mezzo: elfi e fate che vogliono riprendersi il loro paesaggio urbano e rurale. Non si accontentano più di aspettare risposte alle proprie aspirazioni, ai disagi del loro ambiente di vita e di lavoro. Sono gli indignados dei campi, nuovi protagonisti del paesaggio fisico e immateriale. Nello straripare della società multietnica, nel dilagare della marea montante della piovracemento, nell’aleatorietà e incertezza del caos, possiamo allora ridisegnare le regole per dare “respiro” al paesaggio e agli uomini che lo vivono. Scompare la grande guerra tra ambiente urbano e ambiente rurale, non ci sono più solchi epocali tra città, campagna, parco. Appare una nuova scenografia di paesaggio insediativo, di costellazione ruraleurbanoide, di continuum ambientale antropizzato. Un nuovo spazio del pensiero umano che raccoglie nel suo grembo le preoccupazioni e attenzioni di un tempo: calamità naturali, risparmio della terra e dei suoi prodotti, risparmio della luce e dell’energia, uso parsimonioso dei beni della terra, del calore solare e dell’acqua piovana, dei prodotti di scarto e perfino delle feci che alimentavano un tempo la concimaia, oggi la trasformazione industriale dei prodotti di riciclo. Siamo alla riscoperta dei princìpi originari dell’urbanistica, innamorati degli apporti della cultura, della poesia, dell’arte, della natura compressa e sempre pronta a riesplodere. Forte è la nuova esigenza di partecipazione alle scelte e al rifiuto di deleghe in bianco sul paesaggio. Forte è la volontà di riscoprire anche il piacere di muoversi in bici, a cavallo, in calesse, a piedi, in braccio ai propri genitori, e in carrozzella per chi, ostacolato negli arti, vuol riprendersi la sua strada. Forse questo nuovo innamoramento tra urbanistica e scienze sociali, urbanistica e cultura, urbanistica ed arte, e musica, e poesia, troverà il suo futuro nella sociologia ambientale o nella poetica urbana. Il progetto del paesaggio diverrà così contaminato dalle istanze del bello tra le città, dell’equità nell’uso della terra, dalla voglia di “resurrezione italiana”, un manifesto collettivo di nuovi modelli dell’abitare. Un mosaico di iniziative singole che ricostruiscono, con originalità, inventiva, amore, voglia di fare, migliaia di tessere di un tessuto naturale e produttivo che stava dissolvendosi. Nuove buone regole per arare i nuovi campi della convivenza multietnica, nella valorizzazione della diversità di esigenze, di attese, di speranze, di approcci liberi, sensibili, testardamente determinati. Sviluppo e qualità non più antitetici ma elementi nodali di una stessa sfida. Se le abitudini disciplinari di procedere per sovrapposizioni statistiche di tante diverse griglie analitiche lasceranno il campo ad un modo meno astratto di interpretare il paesaggio e i suoi richiami, potremmo allora entrare in un mondo magico che ci suggerisce, senza forzature, la “cura” vera ed efficace per il paesaggio nelle sue infinite varianti. Le Marche, territorio inusuale rispetto al resto d’Italia, nascondono un segreto. C’è un filo misterioso, che lega città e territori, paesaggi di mare e di collina. È un legame che si rivela solo a chi ha il cuore per vederlo. È una tessitura luminosa che appare di notte ad elfi e fate, che risalgono le cime più alte di poggi e montagne, per vedere lo spettacolo. E allora, quando tutti dormono, e filari di luci si accendono ad indicare la strada ai viandanti, risplende lo spettacolo in tutto il suo fascino inaspettato: una immaginaria visione notturna. Nelle notti senza luna appare per prima una Cometa. Frammenti di spazi costruiti e agricoli lungo sistemi radiocentrici che legano frange urbane rarefatte e disgregate e si distendono su paesaggi notturni. Si riflette nel cielo nero il chiarore della Cometa Verde che si irradia a raggiera dal Monte Conero verso le periferie dell’anconetano (Figura 1).
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Figura 1. Cometa Verde. Ancona E poi, a poco a poco, si diffondono le luci nel palcoscenico territoriale e si mostrano, flessuose e sinuose, le Serpentine luminose; formazioni disgregate che si sviluppano a serpentina lungo i crinali marchigiani: infiniti saliscendi collinari, amenitĂ ambientali da scoprire. Legano uomini ed animali, case e parchi, campi e cortili, torri e fortilizi. Un incontrollato snodarsi di case coloniche degradate o ristrutturate, villette, laboratori artigiani, baracche, depositi di materiali edili, costruzioni fatiscenti, vuoti insediativi, giardini, orti, campi coltivati, slarghi asfaltati o meno, piccoli aggregati rurali (Figura 2).
Figura 2. Serpentine luminose E per chi teme di perdersi in questo labirinto di abbracci, ecco apparire, piĂš sicuri e tranquillizzanti, i Sentieri luminosi, ad indicare le vie maestre. Propaggini insediative, strette fasce pianeggianti di tessuti edilizi continui Fabio Bronzini, Maria Angela Bedini
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lungo i fondovalle, che si dilatano in corrispondenza dei nuclei urbani, per legarli, come in una tela di ragno, al loro ineludibile destino (Figura 3). E quando la notte si distende, e il sogno dà riposo al pensiero, ecco apparire, come tappeti di lucciole, le Nebulose urbane. Costellazioni di stelle diffuse, senza margini definiti, Masse urbanoidi, luminarie periferiche di transizione tra città e campagna. E quando il chiaro dell’alba straccia le ombre, e i medici del territorio si destano, con impresse nella retina le luci rivelatrice della notte, allora è tempo di curare questo territorio “urbano-rurale: strette fasce di crinale città e campagna, aree rurali periurbane, frammenti della trama agricola, che, per effetto dell’urbanizzazione crescente, tendono a divenire interstiziali e residuali aree di competizione tra le funzioni, di trasformazione ed abbandono” (Nazio, 2006). La cura dello spazio periurbano potrebbe dunque proporsi “come una nuova strategia dello sguardo sulla dispersione che riconsideri il fenomeno urbano e il suo contesto che è soprattutto spazio coltivato. Una nuova generazione di paesaggi della diffusione che provengono dall’erosione della città diffusa e dall’urbanizzazione produttiva e vanno ad occupare gli spazi che nella prima generazione della diffusione erano ancora incerti, aree grigie dell’indecisione” (Mininni, 2005). Le frange periurbane “sono la forma tipica che la città assume quando cresce in modo disgregato. Esse, infatti, sono formazioni urbane costituite da un certo numero di centri abitati compatti congiunti da tessuti edilizi disgregati che si propagano dalle loro periferie e nelle cui maglie sono stati inglobati residui di mosaici agricoli disgregati. La propagazione dei tessuti edilizi disgregati avviene, di preferenza, lungo le principali direttrici stradali di collegamento intercomunale; ma è spesso attratta dalla presenza di aree dotate di una particolare amenità ambientale e paesaggistica, come sono, ad esempio, le aree collinari. Nella città disgregata il paesaggio urbano è scadente e quello agricolo è irrimediabilmente contaminato” (Aa. Vv., 2007). La terra di Marche si mostra così come una tela indissolubile di migliaia di chilometri di fili intrecciati, con una disordinata semi-urbanizzazione, una nuova personalissima forma insediativa: né città, né campagna, né parco.
Figura 3. Sentiero luminoso La crescita rapida, disordinata e incontrollata di forme insediative nelle aree periurbane di frangia e nei filamenti insediativi, presenta rilevanti elementi negativi sia del territorio agricolo e urbanizzato nel suo complesso che del suo valore paesaggistico ed ambientale. Nei filamenti periurbani che legano tra loro piccoli e medi centri urbani ci si trova infatti in presenza di un uso disordinato del territorio, di spreco di suolo e di perdita di riconoscibilità dell’ambiente urbano-rurale. Si potrebbe parlare in tal senso di una vera e propria “questione delle aree di frangia”. Un paesaggio senza regole, illeggibile nelle sue parti e nelle sue relazioni. Un ambiente spesso privo di piacevolezza, ad alto spreco Fabio Bronzini, Maria Angela Bedini
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di risorse. Spazio che, viceversa, potrebbe rappresentare una risorsa strategica per migliorare la qualità del sistema abitativo. Tale nuova tipologia di insediamento, priva di “tessuto”, assiste alla competizione tra le funzioni, determina fenomeni di trasformazione ed abbandono. Emerge così la centralità del paesaggio delle linearità periurbane nella nuova politica del territorio. Il rapporto tra ricerca teorica e sperimentazione sul campo di tale poco studiato processo insediativo lineare si pone oggi come centrale. Le aree di frangia e i filamenti insediativi che da esse si dipartono possono infatti svolgere un ruolo assolutamente strategico nei processi di malaurbanizzazione e di neourbanizzazione in atto. E così i medici del territorio si sono messi al lavoro per trovare una coerenza amministrativa e progettuale per il paesaggio di frangia e per porre l’accento sulla progettazione di tali nuovi sistemi insediativi. Le patologie riscontrate possono essere così raccontate: 1. Compresenza e competizione di forze centrifughe, che tendono a diffondere frammenti di edificato dalle adiacenze dei nastri stradali verso la campagna, e di forze centripete che riempiono i vuoti, andando ad occupare gli spazi liberi lasciati interclusi nella prima fase di generazione della diffusione. Il risultato è un disordine insediativo privo di riconoscibilità, identità, funzionalità, di relazioni tra le parti e di qualità abitativa. 2. Degrado strutturale, da un lato, della campagna, del tessuto agricolo ed ecologico, del paesaggio e, dall’altro, della qualità formale, funzionale e sociale dell’insediamento urbano disgregato. 3. Perdita di valenza dei beni storico-culturali presenti, dei nuclei storici, della rete idrografica secondaria, delle antiche opere infrastrutturali (viarie, idrauliche, ecc.) incorporate nel mosaico agricolo. 4. Accentuazione della dipendenza dal trasporto privato, con le conseguenze negative in termini di degrado e di esigenza di nuovi spazi a servizio della movimentazione e della sosta. Generazione di rischi a causa delle interazioni pericolose tra traffico pedonale, di camion, bici e motocicli. 5. Incremento incontrollato dei costi, per unità abitativa, delle infrastrutture e del trasporto privato predominante, degli oneri per risolvere situazioni di incompatibilità tra abitazioni, scuole, attività artigianali e industriali, attività agricole e dei costi per contrastare pressioni ambientali insostenibili. 6. Contaminazione tra edifici di civile abitazione e rurali, laboratori, depositi, stalle, scuole, garage, slarghi asfaltati o meno, spazi interclusi inutilizzati. Eterogeneità paesistiche sia del tessuto urbano che rurale. Presenza di opere edilizie e infrastrutturali incompiute. Aree e manufatti in abbandono. 7. Assenza di organizzazione funzionale del tessuto edilizio e di una sua gestione razionale, anche a seguito della velocità dei processi di trasformazione incontrollati in atto. In presenza di tali situazioni di difficoltà per il respiro del territorio, i medici specialisti hanno prescritto alcune terapie: 1. Riaffermazione del ruolo cruciale e strategico delle politiche e scelte urbanistico-territoriali, e della governance, a livello provinciale e regionale, per la tutela del paesaggio (Clementi, 2008). 2. Suggerimenti per una strategia comune degli enti locali preposta alla tutela e gestione del paesaggio urbanorurale di margine (Magnaghi, Fanfani, 2010). 3. Suggerimenti per il controllo, la guida e il contenimento dei processi dispersivi e la salvaguardia delle frange periurbane, con la progettazione di sistemi organici formali e funzionali, la ridefinizione delle relazioni e connessioni tra gli spazi e la realizzazione di elementi di riconoscibilità e identità degli stessi, la ridelimitazione degli spazi, il consolidamento delle funzioni positive e delle valenze, l’eliminazione di alcune patologie, ricostruendo un più equilibrato rapporto tra spazio pubblico, spazio privato residenziale, aree produttive, paesaggio (Colarossi, Lange, in corso di stampa). 4. metodologie di strumenti operativi e protocolli, basati su un deciso approccio multidisciplinare, che ponga particolare attenzione alla qualità dell’abitare, alla cura del paesaggio pomeriale. 5. Suggerimenti per la gestione dei processi urbanistici. Indirizzi per l’elaborazione di piani e progetti. 6. Appunti per la ricerca di nuovi scenari di bellezza “tra le città” (Busi, in corso di stampa). 7. Salvaguardia delle reti ecologiche per la qualità del sistema paesaggio; ricucitura, valorizzazione e salvaguardia del verde interno alle fasce periurbane; riconoscibilità delle caratteristiche dei diversi ambiti spaziali, lineari e puntuali; definizione di nuovi margini di salvaguardia; ridefinizione di assetti formali e funzionali; razionalizzazione e qualificazione degli insediamenti produttivi; bonifica di elementi con insostenibilità ambientale; valorizzazione del patrimonio storico, ambientale e della rete infrastrutturale (Bronzini, Bedini, Sampaolesi, 2011). 8. Definizione di strategie di gestione del trasporto pubblico e di riorganizzazione della rete viaria interna. 9. Suggerimenti di nuove forme di gestione integrata dei paesaggi e dei rapidi processi di trasformazione in atto (Treu, 2006a). 10. Approfondimenti di un nuovo approccio disciplinare che affronti la complessità delle nuove problematiche ormai diffuse in tutto il territorio, integrando strumenti disciplinari tradizionali con quelli propri della storia, della cultura, dell’agraria, dell’economia, del diritto e dei rapporti innovativi pubblico-privato (Busi, Pezzagno, 2006). 11. Individuazione di nuove strategie comuni europee e criteri per la diffusione e interazione a livello sovranazionale delle conoscenze e delle soluzioni.
Fabio Bronzini, Maria Angela Bedini
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Serpentine luminose, filamenti insediativi, nebulose urbane
12. Individuazione di forme urbane di eccellenza (sia in termini di qualità formale e di assetto insediativo residenziale e produttivo, che in termini di qualità ambientale e qualità della vita), presenti in Italia e in Europa, e degli strumenti in atto per la loro salvaguardia. Non possiamo sapere se le visioni notturne di medici insonni hanno suggerito le soluzioni migliori per chi ama questo strano territorio. Potremmo però affermare che “ci abbiamo provato”.
Bibliografia Libri Bronzini F., Bedini M.A., Sampaolesi S. (a cura di, 2011), La città amica di Roberto Busi, Ancona University Press, Ancona. Busi R., Pezzagno M. (a cura di, 2006), Mobilità dolce e turismo sostenibile. Un approccio interdisciplinare, Gangemi Editore, Roma. Charrier J. B. (1994), Geografia dei rapporti città-campagna, Franco Angeli, Milano. Colarossi P., Latini A.P. (a cura di, 2008), La progettazione urbana. Metodi e materiali, Il Sole 24 Ore, Milano. Donadieu P. (2006), Campagne urbane. Una nuova proposta di paesaggio della città, Donzelli Editore, Roma, Ed. originale Campagnes urbanisées, Actes Sud, Arles, 1996. Ingersoll R. (2004), Sprawltown, Meltemi, Roma. Jenks M., Dempsey N. (2005), Future Forms and Design for Sustainable Cities, Architectural Press, Oxford. Magnaghi A., Fanfani D. (2010), Patto città campagna: un progetto di bioregione urbana per la Toscana centrale, Alinea Editrice, Firenze. Palazzo A.L. (a cura di, 2005), Campagne Urbane. Paesaggi in trasformazione nell’area romana, Gangemi Editore, Roma. Paolinelli G. (2003), La frammentazione del paesaggio periurbano. Criteri progettuali per la riqualificazione della piana di Firenze, Firenze University Press. Scazzosi L. (a cura di, 2002), Leggere il paesaggio. Confronti internazionali, Gangemi Editore, Roma. Stroppa C. (1991), La campagna in città. L’agricoltura urbana a Milano, Liguori Editore, Napoli. Tosi A. (a cura di, 1999), Degrado ambientale periurbano e restauro naturalistico, Franco Angeli, Milano. Valentini A. (2005), Progettare paesaggi di limite, Firenze University Press, Firenze. Viljoen A., Bohn K., Howe J. (2005), Continuous Productive Urban Landscapes. Designing Urban Agriculture for Sustainable Cities, Elsevier/Architectural Press, Oxford. Bronzini F. (2012), “Il romanzo di un territorio”, in Bedini M.A., Bronzini F., Marinelli G. (a cura di), Marche. Il battito della mia terra, Il lavoro editoriale, Ancona. Busi R. (2012), “Camminare sull’Adriatico”, in Bedini M.A., Bronzini F., Marinelli G. (a cura di), Marche. Il battito della mia terra, Il lavoro editoriale, Ancona. Colarossi P. (2008), “Paesaggi urbani da abitare nella città esistente”, in Atti del seminario “Il riconoscimento dei valori del paesaggio come presupposto alle scelte del piano urbanistico”, Cagliari, 24 aprile 2008. Colarossi P., Lange J. (2012), “Sulla bellezza del paesaggio. Corrispondenza verosimile tra il Professore e la Viaggiatrice Innocente”, in Bedini M.A., Bronzini F., Marinelli G. (a cura di), Marche. Il battito della mia terra, Il lavoro editoriale, Ancona. Prusicki M. (a cura di, 2005), LOTO. Landscape Opportunities for Territorial Organization. La gestione paesistica delle trasformazioni territoriali: linee guida e casi pilota, capitolo Regione Lombardia, Interreg III B, Regione Lombardia, Milano. Sassatelli M. (2007), Verso buone pratiche nei paesaggi marginali. Il caso dell’orticoltura sociale. Esempi europei ed esperienze bolognesi, Relazione tecnica, Regione Emilia Romagna. Treu M.C. (2006), “Agricoltura e pianificazione urbana: la campagna produttrice di valori”, in Atti del Convegno Nazionale CIA “L’agricoltura nelle aree perturbane”, Milano. Treu M.C. (2006a), “Margini e bordi nella città in espansione”, in Treu M.C., Palazzo D. (a cura di), Margini. Descrizioni, strategie, progetti, Alinea Editrice, Firenze. Treu M.C. (2006), “Interpretazioni e progetti per le aree di margine”, in Maciocco G., Pittaluga P. (a cura di), Il progetto ambientale in aree d bordo, Franco Angeli, Milano. Articoli Bedini M.A. (2011), “L’anima luminosa delle Marche”, in Mterritorio. Journal of Urban Planning, Socioeconomic and Cultural Testimony, n. 2, Ancona University Press, Ancona. Bedini M.A., Bronzini F. (2011), “Il battito della mia terra. La bellezza salverà le nostre città?”, in Mterritorio. Journal of Urban Planning, Socio-economic and Cultural Testimony, n. 2, Ancona University Press, Ancona. Bronzini F., Marinelli G. (2010), “I nuovi territori dell’urbanistica”, in Mterritorio. Journal of Urban Planning, Socio-economic and Cultural Testimony, n. 1, Ancona University Press, Ancona. Fabio Bronzini, Maria Angela Bedini
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Fabio Bronzini, Maria Angela Bedini
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La nuova dimensione aumentata dei territori tra paesaggi sognati e paesaggi temuti
La nuova dimensione aumentata dei territori tra paesaggi sognati e paesaggi temuti Emanuela Nan Università degli Studi di Genova Dipartimento DSA Email: nan.emanuela@gmail.com Tel. 329.8419854
Abstract A determinare le geografie territoriali non sono più, di fatto, tanto i fattori spazio-temporali quanto quelli informzionali e relazionali rispetto ai quali le mappe urbane si distorcono per compressione e dilatazione. I nuovi parametri di definizione rispetto a cui, oggi, i paesaggi si riconoscono articolando configurazioni, non concluse e immutabili, ma, al contrario, variabili ed aperte, sono sempre più derivazioni, non del posizionamento delle funzioni, ma dell’interazione tra soggetti, realtà e spinte sociali, culturali, politiche ed economiche… Temi e tempi alla base della strutturazione e definizione dei territori sono, di fatto, profondamente cambiati, la velocità dei processi rende, infatti, vane e fuorvianti le operazioni di pianificazione a lungo termine, mentre la moltitudine d’istanze e sollecitazioni impongono una sempre crescente trasformabilità e declinabilità degli interventi. Il Paesaggio in questo contesto si configura come un campo energetico determinato da abitudini, vocazioni, aspirazioni e volontà, imposte e proposte, sia da singoli, che da gruppi, che collettive.
Nuove geografie logiche I concetti di limite e forma legati alla determinazione dei sistemi urbani hanno perso significato e senso di fronte ai processi odierni. “Società Ambiente e Paesaggio sono i grandi temi del confronto etico, economico e politico del dopo la crisi. In pochissimi anni la crisi globale ha fatto maturare un senso diverso dei valori sociali ed economici che cambia gli obiettivi del mutamento. Una nuova geografia del desiderio sta alterando così in fretta i processi di sviluppo che produce crisi essa stessa nei settori economici e culturali più inerti o più resistenti alle spinte del cambiamento, rendendoli improvvisamente vecchi, fuori dal tempo. Il rapporto diretto tra attività e luoghi di non è più una condizione necessaria. Le città tendono a perdere una connotazione fisica definita per assumere la dimensione fluida di campi di relazioni”(Ricci 2012). A determinare le geografie territoriali non sono più, di fatto, tanto i fattori spazio-temporali quanto quelli informzionali e relazionali rispetto ai quali le mappe urbane si distorcono per compressione e dilatazione. I nuovi parametri di definizione rispetto a cui, oggi, i paesaggi si riconoscono, articolando configurazioni, non concluse e immutabili, ma, al contrario, variabili ed aperte sono sempre più derivazioni, non del posizionamento delle funzioni, ma dell’interazione tra soggetti, realtà e spinte sociali, culturali, politiche ed economiche… Temi e tempi alla base della strutturazione e definizione dei territori sono, di fatto, profondamente cambiati, la velocità dei processi rende, infatti, vane e fuorvianti le operazioni di pianificazione a lungo termine, mentre la moltitudine d’istanze e sollecitazioni impongono una sempre crescente trasformabilità e declinabilità degli interventi. Emanuela Nan
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La nuova dimensione aumentata dei territori tra paesaggi sognati e paesaggi temuti
Il paesaggio, se già da tempo ha assunto l’accezione di sistema integrato, oggi appare sempre più simile a una miscellanea, composita e variabile, alla cui definizione concorrono molteplici dispositivi e la cui comprensione e gestione operativa sembra trovarsi non più nella perimetrazione di registri e contesti formali, ma nell’individuazione di regole e tattiche logiche capaci di guidare e prevedere gli esiti e le evoluzioni delle differenti dinamiche e vocazioni. In questo contesto, la comprensione e la gestione dei territori non dipende più tanto dal tracciare mappe e stabilire tempistiche futuribili, quanto dall’individuare e comprendere i cambi di logica rispetto a cui, in risposta alle nuove esigenze e sensibilità, progressivamente mutano, componendosi e intersecandosi i dispositivi che concorrono via via a trasformare e rinnovare il territorio, interfacciando permanenze, immanenze e nuove necessità. Di fronte a queste dinamiche, la cultura ricopre un ruolo chiave nella strutturazione e determinazione dei paesaggi come motore del rinnovo di proposizioni, concezioni e utilizzi. I territori si configurano così oggi sotto l’azione di un campo energetico determinato da abitudini, vocazioni, aspirazioni e volontà, imposte e proposte, sia da singoli, che da gruppi, che collettive. Questa molteplicità d’istanze, nell’era della globalizzazione, potrebbe far pensare a una saturazione dei paesaggi, ad un processo che porta a una degenerazione, alla dissoluzione delle specifiche identità, ma non è così, o meglio non necessariamente, benché infatti il rischio sussista, come è evidente dai fenomeni di standardizzazione e omologazione dovuti alla speculazione edilizia e alla rapidità e superficialità di azioni di adeguamento necessarie al vivere contemporaneo, in realtà questa dinamica di per se non degrada, ma al contrario arricchisce e potenzia l’identità dei territori ponendoli come soggetti attivi di una dimensione mutata dalla definizione rigida in ambiti e strutture a quella morbida di dispositivi e nessi. Si assiste alla trasformazione di: • Logica di Equilibri > Logica di Complessità Sia all’interno delle singole urbanità, che nei rapporti tra i diversi sistemi e conurbazioni, che nella relazione con tutto ciò che si dice inurbano si assiste un cambio di definizione del territorio passando da una logica di equilibri a una logica basata sulla complessità delle interazioni. • Logica di Tensioni > Logica di Empatie Il desiderio di rinaturalizzazione introduce inevitabilmente cambiamenti sul rapporto tra pieni e vuoti trasformando il verde dall’essere solo un complemento urbano, infiltrato e spesso quasi accidentale, in un importante e articolato dispositivo di organizzazione e modulazione spazio-temporale capace di interagire e interfacciarsi con peso e superficie percentuale al costruito modulandolo. Il sistema naturale rafforzato, non solo diventa così una potenziale alternativa al sistema infrastrutturale a vantaggio di una mobilità pedonale, ciclabile o comunque alternativa all’automobile, ma in modo ancor più interessante assume il ruolo di mitigatore e diaframma capace di sostituire a limiti e tensioni, empatia e scambio tra le parti. Il limite urbano viene, dunque, a stemperarsi completamente e definitivamente nel paesaggio e allo stesso modo il confine tra spazio pubblico ed edificio, sia in termini di superficie che di permeabilità tenderà a disciogliersi. L’ibridazione, in questa visione, sembra imporsi prepotentemente come nuova modalità di risoluzione di contrasti, commistioni e sovrapposizioni, sia spaziali che formali, prefigurando realtà urbane fatte di spazi e sistemi polivalenti trasformabili e fruibili, anche contemporaneamente in modo differente, e oggetti al contempo edifici, infrastrutture, spazialità sociali e fonti energetiche. • Logica di Corrispondenze > Logica di Risonanze La rivalutazione delle singole realtà arricchisce il territorio definendolo come un insieme di specificità indipendenti e al contempo coerenti e concorrenti nella definizione dell’insieme. Questo costituisce un cambio importante nella concezione ed azione sul territorio perché inserisce e da un ruolo anche alle realtà minori mentre le aree di già riconosciuto valore vengono, in questo modo, ad essere smarcate, liberate, da un eccessiva pressione, che si ridistribuisce in ambiti limitrofi, recuperando respiro e qualità. In continua trasformazione, l’esplicitazione e la comprensione delle logiche dinamiche in atto comporta la scelta e la proposizione d’indirizzi tali da determinare, guidare, il rinnovarsi e l’interfacciarsi dei differenti dispositivi territoriali delineando nuove configurazioni, preposizioni, geografie del paesaggio evolventi ed alternative. Nella nuova dimensione i territori, dunque, si definiscono come commutatori rispetto a cui la caleidoscopicità e pluralità delle geografie non è altro che l’espressione della complessità delle interazioni e delle proiezioni che si concretizzano in questi e su questi non solo all’interno dello svolgersi di ciascun scenario particolare, ma soprattutto nel dialogo tra locale e globale.
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Realtà moltiplicate L’importanza assunta dallo scambio e circolazione delle informazioni nella definizione dei territori odierni li configura in un network, una rete che riconosce ciascun scenario in una dimensione aumentata. Il proliferare di riferimenti e rimandi legati alla definizione e alla riconoscibilità di ciascun territorio colti e travolti dall’industria della comunicazione costruiscono nuove identità e sequenze basate non più sulla successione reale degli spazi, ma su un articolato intreccio di fantasie, paure, memorie e desideri promossi e diffusi da film, fumetti, libri, ... Questo processo di iconicizzazione degli scenari è talmente profondo che i territori tendono sempre più a trasfigurarsi, perdendo nella comune cognizione, la loro reale struttura e articolazione a vantaggio della esclusiva rappresentazione di alcune immagini-icona. La crisi globale, le guerre, le tragedie umane e gli sconvolgimenti climatici raccontati e diffusi in ogni anglo del globo dagli odierni sempre più veloci sistemi di comunicazione, disegnano e delineano geografie e paesaggi tanto quanto la promozione dell’industria del sogno turistico. Non è più il segno, positivo o negativo, degli attributi a essere determinante nel successo e l’evoluzione sul piano globale dei contesti, ma, al contrario, spesso è la presa di coscienza delle debilità a innescare i cambiamenti più significativi producendo presa di responsabilità, attenzione all’indirizzo delle nuove azioni ed interesse per il processo di trasformazione di quegli scenari. In questo senso fondamentale per il successo e il funzionamento dei diversi sistemi e strategie di strutturazione e crescita dei territori a tutte le scale diviene la capacità di connettere e gestire più livelli e circuiti di rappresentazione. Parlare di città e territorio oggi vuol dire parlare di organismi in grado di sapersi rapportare sia a scala locale che globale con persone e/o utenti, sempre più differenziati e specializzati, che cercano nel territorio nuovi riferimenti, seduzioni ed esperienze. Obiettivo principale delle azioni di trasformazione poste in essere negli ultimi anni è stato, infatti, aumentarne ‘l’appetito’, creare aspettative e facilità di godimento per un numero sempre crescente di soggetti, insediati e non. La nuova dimensione dei paesaggi odierni è probabilmente quella che dopo aver elaborato la propria storia è in grado di riconvertirla in una nuova lettura dei propri spazi, secondo modi inediti in cui gli utenti di oggi sappiano riconfigurarsi e vedere il territorio non solo come una catena di eventi, ma come un insieme di cluster o livelli specializzati che si vanno a sovrapporre rendendo ricca la trama urbana e fluido il muoversi al suo interno. Riconversione, recupero, rinaturalizzazione, ma anche innovazione, interconnessione e ibridazione, moltiplicazione, concorrono, così, sempre più simultaneamente e sinergicamente tutte alla definizione di queste nuove geografie positive e negative proposte ed imposte da e nei differenti contesti trasformati in piattaforma per la scelta autonoma dell’utente che può in ogni momento non solo scegliere e modificare, ma addirittura tracciare e definire, a proprio uso e consumo, secondo le proprie personali e intime aspirazioni e inquietudini, attraverso il proprio agire e sentire, nuove rotte senza per questo mettere in crisi il sistema complessivo. Se nel recente passato i paradigmi urbani e territoriali tendevano a un superamento e, di conseguenza a una decostruzione delle regole di organizzazione e definizione rigorosamente strutturate, oggi, di fronte a una realtà in cui quelle rigidità sono ormai decadute ed a prevalere è il disordine e la disarticolazione generale dei territori e dei sistemi urbani, i nuovi paradigmi emergenti virano così attraverso la proiezione e proposizione congitivoculturale di geografie del desiderio e del terrore alla ricostruzione di logiche di interazione e intreccio tra i differenti dispositivi e ambiti e tra le scale. Il paesaggio, come elemento attivo, si definisce così in “una matrice complessa di ‘punti’ e ‘contrappunti’ – di dita che s’intrecciano – riferiti a norme basiche, flessibili ed intermittenti, aperte a possibili evoluzioni ma sempre attente alla disposizione tattica degli spazi di sviluppo e relazione”(Gausa Navarro 2009). ‘Dream-City’, ‘Dream-Lands’ e ‘Dream-Country’ sono oggi, dunque i nuovi parametri di riferimento per la definizione di strategie ed azioni basate non più su distanze geografiche o temporali, ma su immaginazione, percezione e uso delle stesse a partire dalla sensibilità di ciascun individuo e categoria di fruitore, sino alla dimensione del immaginario fantastico globale, in un delicato equilibrio che riconosce spazialità, urbanità e territori di volta in volta come ‘complementari’ o ‘complemento’ a seconda delle specifiche ‘marche di azione’ e ‘spazi di opportunità’.
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La nuova dimensione aumentata dei territori tra paesaggi sognati e paesaggi temuti
La micro e la macro scala, riscoprono e riacquisiscono in questo modo la loro reciprocitĂ e interdipendenza, nel trionfo dei localismi il paesaggio si rafforza della somma di nuovi attributi ed al contempo costruisce e promuove nuove valenze ed istanze che ricadono sugli ambiti puntuali alimentando un circolo virtuoso.
Bibliografia Libri Gausa Navarro M. (2009), Multi-Barcelona. Hiper-Catalunya, List, Trento/Barcellona Ricci M., da Genova paradigma, in Gausa M., Ricci M. et al. (in pubblicazione), BCN GOA. Multi-String City, LIST, Trento
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Attualità del paesaggio nella pianificazione urbanistica locale
Attualità del paesaggio nella pianificazione urbanistica locale Luigi La Riccia Politecnico e Università di Torino Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio Email: luigi.lariccia@gmail.com Tel. 388.6557703
Abstract I nuovi paesaggi sono il risultato di pratiche di pianificazione locale e di progetto che non sembrano più in condizione di disegnare la società attraverso il disegno della forma urbana. Spazio pubblico e nuove centralità urbane, posti entrambi in relazione al significato che assume oggi il paesaggio nell’urbanistica, interagiscono con funzioni della vita associata sempre più complesse e marcano la distanza dai valori del territorio, affidandosi sempre meno a relazioni fisiche (economiche e funzionali) quanto sempre più a relazioni simboliche e immateriali (su cui si fonda anche l’identità culturale). Lo studio espone alcuni dubbi e questioni ancora aperte: in primo luogo, quale rimane il ruolo del piano locale? Quali le risposte possibili dall’interpretazione del paesaggio all’interno dello strumento urbanistico? È possibile costruire una nuova forma urbis attraverso le regole che può dare la pianificazione? In sintesi, il paesaggio, per la sua “olistica” capacità di descrivere le condizioni della società attuale, può essere l’elemento risolutivo dei molti problemi della pianificazione locale, divenendo il veicolo per la loro traduzione in azioni per la collettività.
Introduzione La questione del paesaggio nel piano urbanistico locale non è un fatto recente. Fin dai primi anni del XX secolo il paesaggio ha costituito un tema rilevante, forse una sfida, per l’urbanistica italiana, che ha dovuto confrontarsi di volta in volta con fenomeni diversi: una marcata accelerazione dei processi economici, trasformazioni urbane sempre più rapide ed estese, i vuoti che all’improvviso si è venuti a formare entro tessuti densi e compatti, la dissoluzione di una chiara distinzione tra città e territorio di contesto. Dinamiche, queste, che negli ultimi anni si sono concretizzate generalmente in una forte spinta all’urbanizzazione dei piccoli centri, nella crisi dell’agricoltura, nella perdita delle tradizioni e dei riferimenti culturali: tutto ciò ha trasformato i paesaggi riconosciuti in realtà sempre più difficilmente leggibili e interpretabili. Riscontriamo una città costruita per “parti” diverse, non necessariamente riconducibili a un insieme unitario e coerente, in cui nuove densità e tipi edilizi prevalenti non sembrano rispondere dell’identità dei loro abitanti. La mancanza di riferimenti e il confronto quotidiano con luoghi anonimi, i nonluoghi 1, ha motivato così l’interesse, forse il desiderio 2, di identificare e prendere cura del proprio paesaggio, come risposta a un bisogno naturale di affrontare queste trasformazioni sempre più rapide del mondo. Cambiamenti diversi, dunque, non solo a livello legislativo, ma anche e soprattutto a livello culturale: il paesaggio torna, prepotentemente 3, ad essere un tema centrale all’interno del dibattito urbanistico, non senza complicazioni o riduttivismi. Questo tema ha, infatti, seguito un’evoluzione che ha significativamente evidenziato anche alcuni elementi di ambiguità, riferibili principalmente a un’impropria separazione tra la sua tutela e lo sviluppo del territorio. La risoluzione di questa separazione appare ancora lontana: l’esito di questa 1
M. Augé, 1999. C. Raffestin, 2005. 3 A. Sampieri, 2008; M. Jakob, 2009. 2
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Attualità del paesaggio nella pianificazione urbanistica locale
evoluzione deve fare i conti con un approccio conservatorista, che si dimostra ancora come l’approccio prevalente dell’urbanistica, ma non sempre efficace per il controllo delle trasformazioni. Non solo, a ciò si aggiunge una interpretazione parziale, o comunque incompleta, della Convenzione Europea del Paesaggio (2000) nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (2004), l’attuale riferimento legislativo italiano in materia. Nonostante ciò, la nuova attenzione al paesaggio, che è emersa attraverso la revisione della pianificazione paesaggistica a livello regionale e la sua integrazione negli strumenti di governo del territorio a tutti i livelli (come indicato dalla stessa Convenzione), ha stimolato l’avvio di pratiche di pianificazione paesaggistica che hanno preso in considerazione non solamente i paesaggi portatori di valori eccezionali, ma tutto il territorio. Questo ha comprovato l’importanza non solo della tutela, ma anche della pianificazione e della gestione del paesaggio per una generale e diffusa qualità del territorio e delle relative forme per abitarlo. Resta chiaro, però, che negli ultimi anni questa importante “apertura culturale” verso il tema del paesaggio, attraverso un continuo riferimento ad esso negli studi e negli stessi piani locali, non ha determinato significativi risultati in termini di operatività: nella strumentazione urbanistica, come anche in tutti gli altri livelli della pianificazione, il paesaggio rimane un importante riferimento ma, per semplicità o semplicismo, la maggior parte delle scelte trasformative del territorio oggi continuano a collidere con la stessa qualità paesaggistica e ambientale. Di seguito, sono riportati alcuni risultati a partire da una analisi su quattro casi studio: Assisi (1958) di Giovanni Astengo; Urbino (1964 e 1994) di Giancarlo De Carlo; Reggio Emilia (1994 e 2008) di Giuseppe Campos Venuti; Bergamo (2001) di Bernardo Secchi e (2010) di Bruno Gabrielli. Si tratta di esperienze di pianificazione ritenute esemplari per evidenziare i cambiamenti più evidenti nell’urbanistica degli ultimi cinquant’anni attorno al tema rilevante del paesaggio: in particolare, l’interpretazione del paesaggio, attraverso quattro paradigmi storico, morfologico, ecologico e percettivo, ha consentito di rilevare alcuni elementi importanti messi in campo dall’urbanistica, senza tuttavia la pretesa di coprire per intero un campo disciplinare molto ampio per sua natura.
Interpretazione del paesaggio. Una evoluzione di temi In queste esperienze di pianificazione, l’interpretazione del paesaggio è spesso condotta secondo modalità differenti: una diversità di approcci al paesaggio nel piano urbanistico, che significativamente mette in luce questioni anche molto divergenti. In quasi tutti i casi riconosciamo una concatenazione di paradigmi interpretativi diversi (Tabella I), emergenti entro ognuna delle esperienze considerate, che consentono di delineare una sorta di mappa delle posizioni culturali più significative.
Tabella I. Il quadro interpretativo e le caratteristiche portanti dei paradigmi del paesaggio
Caratteri del piano
Chiave interpretative
Assisi
Urbino
Reggio Emilia
Bergamo
Forma del piano Contenuti tecnici del piano Ruolo delle immagini e prospettive guida
Interpretazione del paesaggio
Paradigma storico Paradigma morfologico Paradigma ecologico Paradigma percettivo
Azioni verso il paesaggio
Strategie Regole Progetti Altri strumenti di attuazione
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Attualità del paesaggio nella pianificazione urbanistica locale
Paradigma
Caratteristiche portanti
Storico
Forte riferimento all’immagine della città e al territorio storico: “paesaggio storico urbano” Salvaguardia e risanamento dei centri storici: conservazione e innovazione Ricostruzione delle stratificazioni e delle relazioni storiche tra uomo e ambiente Paesaggio come espressione pluridimensionale del patrimonio culturale Riferimento a canoni estetici propri dell’arte Regole urbanistiche per il controllo della forma L’immagine è l’unico veicolo per la comprensione del paesaggio Paesaggio come pura rappresentazione Approccio sistemico e organicista al paesaggio Rinnovato positivismo nei confronti dell’ambiente L’uomo e la città non sono più al centro dell’attenzione: universalità dei valori L’attenzione al paesaggio è diffusa da un rinnovato interesse verso la natura Dinamicità e variabilità delle componenti del paesaggio Soggettività della percezione: “mappe mentali” Lettura percettiva e comunicabilità Considerazione della percezione sociale del paesaggio
Morfologico
Ecologico
Percettivo
Il primo aspetto considerato riguarda la dimensione storica del paesaggio, emergente soprattutto nei piani di Assisi (1958) e Urbino (1964), che hanno saputo mettere in campo un approccio attento all’interpretazione delle regole e dei principi insediativi che, sedimentatisi nel tempo, hanno determinato la struttura profonda del territorio, oltre a quella del centro storico. L’idea dell’allargamento della considerazione del territorio storico rappresenterà l’esito di un’evoluzione culturale che porterà alla definizione del concetto di “paesaggio storico urbano” 4, chiaro anche in Bergamo (2010): un approccio di scala diverso, più ampio, che tenta di comprendere tutto il contesto culturale ed ambientale, in cui può trovare spazio anche la rilevanza del tema ecologico. La considerazione del nuovo concetto di paesaggio storico urbano implica, in generale, un superamento della nozione di paesaggio come entità fissa e, al contempo, la logica “patrimonialista” e un inevitabile spostamento di attenzione verso un’accezione ampia del paesaggio, tale che includa un sistema di relazioni urbane, naturali e ambientali, basate su azioni del quotidiano. In questo senso, l’idea che sottende oggi al piano non sembra legata a qualcosa di radicato e stabile per tradizione ed eredità storica: infatti, le attuali dinamiche della città contemporanea ci pongono di fronte ad una nuova immagine della città che difficilmente sembra conciliabile con un’idea di paesaggio che vede solo ciò che è radicato in un certo luogo. Riflettendo sul paradigma storico ciò che è importante rilevare oggi è il rischio della perdita della diversità culturale ed anche, più gravemente, la sua riproducibilità, intesa come capacità di continuare a produrre in futuro valori culturali diversificati. Ripensare a questa dimensione del paesaggio nel piano, come in relazione alle attuali dinamiche della città, impone una necessaria apertura culturale anche verso valori culturali laterali, non sempre espliciti, con cui interagisce quotidianamente 5. Il paradigma morfologico ha permeato e condizionato una serie di esperienze nel campo dell’urbanistica. Tale approccio è stato sempre presente all’interno dei primi piani urbanistici del dopoguerra: in Assisi la preservazione della visibilità e della riconoscibilità della città dalla pianura è stata uno dei primi obiettivi fondamentali. Allo stesso modo, i rapporti compositivo-formali (le regole di “coerenza estetica”) sono ampiamente riportati nel piano di Urbino (1994) come caratterizzanti tanto la città storica quanto il paesaggio esterno. Capisaldi visivi dell’ambiente naturale e immagini della città storica contribuiscono pertanto in maniera complementare al riconoscimento dell’unitarietà “organica” del paesaggio. Per De Carlo è perciò necessario conservare unitariamente l’insieme delle relazioni tra i diversi elementi, attraverso un’azione progettuale, più flessibile e più “negoziabile” del solo strumento del vincolo, come tramite tra architettura e urbanistica. Nel caso di Bergamo, la dimensione estetica si mostra attraverso una nuova e crescente importanza data alla salvaguardia e alla valorizzazione dei rapporti visivi tra la Città Alta e la città contemporanea: si tratta di utilizzare in questo caso proprio una nuova “immagine”, appunto la Cintura Verde, per fissare un nuovo limite alla città che ha ormai raggiunto forme di crescita dispersiva quasi incontrollabili. Posta entro queste condizioni, l’interpretazione del paesaggio visibile diviene compito urgente per la valorizzazione delle potenzialità estetico-formali dell’ambiente urbano. La dimensione morfologica del paesaggio, di conseguenza, è ciò che orienta, attraverso il progetto, la trasformazione: il progetto suggerisce il linguaggio architettonico e impone prioritariamente la configurazione del verde e dello spazio pubblico, prima ancora che la costruzione dell’edificato. In sintesi, il progetto non è la diretta conseguenza delle prescrizioni normative, ma diventa il veicolo per la traduzione in azione dei caratteri e dei valori paesaggistici da parte della collettività. Seppure con forme del piano che sono diverse da caso a caso, l’urbanistica tenta di offrire regole e progetti per il controllo della forma urbana: in questi termini, la questione della bellezza non riguarda solo il godimento e il benessere che può emergere dalla fruizione di un bel paesaggio ma diviene la base per “liberare” la disciplina urbanistica dal solo pervasivo funzionalismo. 4 5
Unesco, 2005. J. Rykwert, 2010.
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Attualità del paesaggio nella pianificazione urbanistica locale
La svolta ecologica contribuisce alla definizione di una specifica idea di paesaggio nel piano e sembra riscrivere il rapporto con il territorio entro una visione organicista, seguendo la consapevolezza di una sempre più diffusa “questione ambientale”. A partire dagli anni ’70, la disciplina urbanistica sembra ritrovare una nuova forza attraverso un positivismo ritrovato nei confronti dell’ambiente, anche se forte ed evidente è il rischio della riduzione del concetto di paesaggio a quello di natura. L’approccio ecologico-ambientale assume un particolare rilievo soprattutto nei contesti rurali profondamente trasformati, in cui ad una forte compromissione del paesaggio corrispondono quasi sempre problemi di alterazione dell’equilibrio ecologico. Il piano si declina quindi in regole capaci di intercettare le evoluzioni della natura e controllarne i processi. Nel caso di Reggio Emilia, ad esempio, la problematica ecologico-ambientale è assunta a fondamento di una nuova forma urbis. Per farlo, dimostra di necessitare anche di una nuova forma del piano, che non sia conformativo della rendita e che consenta di ottenere lo spazio pubblico necessario al disegno delle reti di continuità ambientale. Il “parco” diviene uno specifico elemento di progetto, forse l’unico in alcuni piani recenti, di tutela attiva del paesaggio, non solo negli ambienti rurali o esterni alla città, ma nella città stessa. Ecco, però, che in alcune esperienze l’idea di ricomprendere il valore di connettività ecologica dei tessuti urbanizzati diventa, soprattutto nei casi di Urbino e Bergamo, un modo per comprendere anche altri aspetti del paesaggio, come appunto la dimensione morfologica e percettiva. Ciò, tuttavia, non rappresenta la consuetudine nell’urbanistica ordinaria. Il paradigma percettivo, emergente soprattutto negli ultimi anni propone una visione di paesaggio diversa: esso non diventa più un fatto eccezionale (come nel caso del paradigma morfologico), ma una componente fondamentale della vita quotidiana. Non si rileva più, tanto, l’“universalità di valori” messa in campo da un forte e determinato ecologismo, ma una nuova enfasi sulla percezione sociale. La dimensione percettiva emerge già nel caso di Urbino: gli “scenari panoramici”, come compresenza di scene, sono specifici elementi del progetto e concorrono a definire l’unitarietà e l’identità di un luogo. Questo approccio si evolverà in una forma maggiormente compiuta anche nel caso di Bergamo: specifiche analisi (“Fruibilità visiva” e “Sensibilità paesaggistica”), richieste in particolare dalla legge regionale lombarda 6, evidenziano infatti l’importanza del riconoscimento dei luoghi di valenza simbolica che concorrono a definire proprio una certa idea di percezione sociale. È certamente un modo di guardare al paesaggio che, forte soprattutto negli ultimi anni, ha esaltato il carattere evasivo della società attuale, difficilmente riducibile entro convenzioni o codici. Lettura percettiva e comunicabilità sono le strategie messe in campo dall’urbanistica per evocare un’immagine, ma anche una nuova idea di sviluppo, strutturata e riconoscibile.
Conclusioni, ovvero le condizioni sono cambiate? La pianificazione si trasforma negli approcci e negli strumenti proprio per rispondere a nuovi obiettivi e a mutate condizioni, non solo operative, ma di contesto più generale. La stessa costruzione del piano, che spesso ha assunto le caratteristiche di un “gioco” 7 in cui non esistono regole ben definite, è in effetti riconducibile alla diversità dei modi di intendere e di fare urbanistica per intercettare e rispondere alle problematiche ambientali e paesaggistiche, sempre in modo diverso. Manca oggi una comune visione su come intervenire e poche risultano le esperienze che hanno raggiunto risultati particolarmente concreti e positivi: l’analisi dei casi studio in Italia ha evidenziato come alcuni risultati particolarmente interessanti e innovativi nel contesto della disciplina urbanistica nei confronti del paesaggio siano stati invece raggiunti soprattutto grazie ad una impostazione culturale e di forma del piano del tutto eccezionali, lontano però dalla ordinaria prassi urbanistica. Alcuni elementi d’interesse, anche recenti, hanno dimostrato di essere ampiamente interpretabili e applicabili entro l’istituto del piano e del progetto: per esempio, un comune riferimento alla percezione sociale, a nuove forme di condivisione istituzionale, al superamento del solo approccio regolativo, alla perequazione territoriale, all’identificazione di immagini-guida, alla costruzione condivisa di scenari di trasformazione. Altri problemi, tuttavia, sono lungi dall’essere risolti, basti immaginare proprio la questione sulla discontinuità tra le istanze della strategia e quelle del controllo nel processo di pianificazione, e quindi la sperimentazione di nuovi meccanismi di attuazione per fare fronte alla nuova attenzione che il tema del paesaggio richiede. Nella crisi degli anni ’80, ad esempio, molti autori hanno ritenuto che la possibile sostituzione del piano tradizionale con il progetto potesse essere un’operazione positiva, in grado di interpretare al meglio la complessa realtà della città contemporanea, in rapida evoluzione. Ciò ha costituito certamente una fase molto interessante al livello culturale, smuovendo buona parte delle convinzioni dure sulla forma del piano, ma ipso facto non ha fornito una valida alternativa al piano tradizionale. Oggi, proprio nel momento in cui il dibattito urbanistico è incentrato sulla messa in discussione della validità del piano tradizionale, attraverso la duplicità offerta dal piano strutturale e dal piano operativo, la realtà della pianificazione ordinaria dimostra invece una città che continua a crescere per frammenti disconnessi e il cui progetto è esclusivo, nel senso che “esclude”, quasi completamente, i rapporti materiali e immateriali tra i diversi elementi del paesaggio. Nuove sperimentazioni tentano oggi di far fronte ai 6 7
Legge Regionale 11 marzo 2005, n.12. G. Ferraro, 1994.
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nuovi problemi della città anche se attraverso un approccio che appare tuttavia inadeguato in ragione della sua semplificazione: un’urbanistica operata per parti, appunto, attraverso progetti spesso in deroga al piano, continua a contribuire all’incapacità di convenire all’immagine complessiva della città. Che cosa manca allora per “fare paesaggio” 8 al livello locale? È necessario che sia risolta, innanzitutto, una difficoltà di soluzione del passaggio dalla dimensione conoscitiva alla dimensione operativa del paesaggio entro tutto il processo di piano, che non deve misconoscere il valore dato dalle relazioni con la dimensione storica, quella morfologica, quella ecologica, quella percettiva. L’attuale condizione della città contemporanea, che significativamente mette in luce un’autentica ossessione verso l’adattamento, il cambiamento, la flessibilità delle sue forme, richiede un nuovo approccio: non un approccio discreto, come quello messo in campo dall’urbanistica ordinaria, che ha anche dimostrato spesso la provvisorietà dei risultati raggiunti rispetto ad ogni salto demografico e al conseguente destino di aree fino a quel punto preservate dall’edificazione, ma un approccio attivo, orientato cioè a dare forma soprattutto ai sistemi di spazi non edificati, ricavati dai vuoti o preservati in cornice della nuova città in cui l’immagine che li connota può assumere le forme di un disegno coerente e riconoscibile, capace di fare da sfondo comune a possibili scenari di insieme, normalmente incentrati su ambiti limitati o parziali. Le condizioni sono forse cambiate. Sono cambiate certamente le modalità di intervento, ma è necessario piuttosto che la pianificazione affronti i nuovi problemi della città con un occhio rivolto al passato, rileggendo, e questo contributo vuole costituirne un esempio, alcune esperienze esemplari di pianificazione per determinare cosa è stato appreso, cosa tralasciato e cosa può tornare utile oggi nella strumentazione ordinaria in termini di procedure, strumenti, approcci. Questo perché, da un lato, quella “apertura culturale”, di cui si parlava in precedenza, da sola non sembra sufficiente a cambiare direzione; dall’altro, nonostante siano passati almeno due decenni di sperimentazioni urbanistiche, nel caso italiano non sembrano ancora chiare e condivise le alternative alla tradizione.
Bibliografia Augé M. (1999), Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, Torino. Ferraro G. (1994), Il gioco del piano. Patrick Geddes planner in India, Jaca Book, Milano, 1994. Jakob M. (2009), Il paesaggio, Il Mulino, Bologna. Peano A. (a cura di, 2011), Fare paesaggio. Dalla pianificazione di area vasta all’operatività locale, Alinea Editrice, Firenze. Raffestin C. (2005), Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio, Alinea, Firenze. Rykwert J. (2010), “Premessa. Il patrimonio è ciò entro cui siamo”, in C. Andriani (2010), a cura di, Il patrimonio e l’abitare, Donzelli, Roma, pp. X-XII. Sampieri A. (2008), Nel paesaggio. Il progetto della città negli ultimi venti anni, Donzelli, Roma. Unesco (2005), Declaration on the Conservation of Historic Urban Landscapes, (Decision 29 COM 5D) based on the Vienna Memorandum on the Conservation of Historic Urban Landscapes.
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A. Peano, 2011.
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Una nuova idea di lavoro per il paesaggio e i contesti sensibili, il caso trentino
Una nuova idea di lavoro per il paesaggio e i contesti sensibili, il caso trentino Giuseppe Scaglione Email: giuseppe.scaglione@ing.unitn.it Stefania Staniscia Email: stefania.staniscia@ing.untin.it Università degli Studi di Trento DICA Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale Tel. 046.1282691
Abstract Il paesaggio trentino è una straordinaria cartina di tornasole delle attuali condizioni del paesaggio italiano. Si tratta di un paesaggio che è sottoposto alla pressione di molteplici attività antropiche e la cui fisionomia è data dall'accumulazione selettiva degli effetti di cambiamenti che sono a volte frutto di processi coerenti con la matrice consolidata del paesaggio, altre, di forme conflittuali. Alle Comunità di Valle, istituite con legge provinciale del 2006 vengono attribuite competenze in urbanistica e ai Piani Territoriali di Comunità sono demandati i compiti di disciplina del paesaggio e programmazione urbanistica. Il paper illustra il lavoro dell’unità di ricerca del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale 1 di Trento sull’evoluzione del paesaggio trentino che si pone come strumento teorico e operativo a supporto delle attività delle Comunità di Valle nell'elaborazione della futura pianificazione fornendo strategie vocazionali e progettuali che pongano al centro i temi del paesaggio inteso come risorsa e elemento di regia delle trasformazioni. 2
Contesti disciplinari e contesti reali Un nuovo concetto di “urbanistica e paesaggio” è stato introdotto da importanti ricerche internazionali, ricerche e sperimentazioni che hanno portato alla costituzione di una nuova stagione che si riconosce sotto la sigla internazionale di Landscape Urbanism. Nato negli Stati Uniti, dopo la “crisi urbana” delle grandi città, e diffusosi poi in Europa di recente, il Landscape Urbanism è orientato alla costruzione di una nuova strategia di progetto nella pianificazione dei territori e delle aree urbane, volta ad affrontare i problemi dell'urbanizzazione - in generale - e delle trasformazioni che ne conseguono, attraverso la nuova lente di “sensibilità” che fornisce il progetto di paesaggio. In Italia - in cui l’importante presenza di un grande patrimonio paesaggistico costituisce, in questa direzione, un fondamentale bagaglio culturale - si sono sviluppate attività di ricerca e progetto che hanno costruito un innovativo approccio all’interno di un percorso che fonde sensibilità, attenzione e relazioni con il contesto e nuove problematiche del progetto territoriale e urbano. A partire, soprattutto, dagli studi dell’urbanistica all’interno di una declinazione italiana di percorso teorico-progettuale sono emerse due principali linee di lavoro, definite come - Università di 1
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Gruppo di ricerca: Prof. Arch. G. Scaglione, responsabile scientifico, assegnista di ricerca PhD Arch. S. Staniscia, segreteria scientifica e coordinamento operativo, assegnista di ricerca PhD Arch. C. Rizzi, PhD Arch. M. Malossini, Phd Candidate P. Picchi, Arch. V. Cribari, Arch. T. Demetz, L. Brugnolli. Il lavoro è frutto di una riflessione comune. Tuttavia il paragrafo "Contesti disciplinari e contesti reali" è da attribuirsi a Giuseppe Scaglione, il paragrafo "Riforma istituzionale e riforma urbanistica, una nuova visione per il paesaggio trentino" e i relativi sotto-paragrafi sono da attribuirsi a Stefania Staniscia.
Giuseppe Scaglione, Stefania Staniscia
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Una nuova idea di lavoro per il paesaggio e i contesti sensibili, il caso trentino
Trento - Landscape Urbanism & Context (LUC) e - Università di Pescara e Genova - Landscape Sensitive Design (LSD). Opponendosi teoricamente al filone di studi ed esperienze dell’architettura del paesaggio (soprattutto nell’esperienza italiana derivante dall’arte dei giardini) più orientata alla progettazione di oggetti e manufatti per gli spazi della città contemporanea, la nuova linea di lavoro è rivolta principalmente a declinare, con differenti e innovativi approcci e metodiche, percorsi progettuali e quadri di conoscenza, in cui il paesaggio può essere utilizzato come strategia sostenibile per la definizione di nuove coerenze nei processi di trasformazione dei territori e città contemporanei. Il progetto di ricerca, sviluppato per la Provincia Autonoma di Trento, nelle sue differenti articolazioni, si è sviluppato con questa nuova base teorica del Landscape Urbanism & Context / Paesaggio Urbanistica e Contesto, tesa ad evidenziare il potenziale della forza dei luoghi e dei contesti - nell’epoca della globalizzazione anche del progetto - e a farsi strumento costante di revisione critica delle ipotesi teoriche e della prassi che emergeranno nel corso del lavoro. È stata questa anche questa l’occasione di esplorazione, recupero e riproposizione di approcci derivanti dall’esperienza storica del grande laboratorio territoriale-ambientale delle Alpi – nonché del Trentino che ne è parte - all’interno del quale urbanistica e paesaggio – già molto prima che fossero sviluppate queste nuove linee di ricerca - erano percorsi noti e comuni, base di elaborazione teoricoprogettuale, soprattutto per la perenne e significativa dotazione di paesaggi eccellenti e luoghi sensibili, la presenza di importanti contesti che in questi luoghi si concentrano. Alcune importanti ricerche degli ultimi anni – cui si fa riferimento in quest’occasione - come “Switzerland, an urban portrait” e “TirolCITY” tra le altre – che hanno nel riconoscimento del valore del paesaggio e della sua attuale “compromissione” con la dimensione urbanistica, il loro elemento cardine, sono nate proprio perché i cambiamenti urbani e territoriali, sviluppatisi nelle Alpi, hanno sollecitato un approccio del tutto differente e centrato sulla peculiarità di queste realtà che chiedevano una lettura aggiornata e di maggiore complessità. Il programma di ricerca si è sviluppato anche attraverso una serie di passaggi di sperimentazione all'interno del percorso tracciato, con progetti mirati su aree campione, con temi che, aderendo alla strategia del Landscape Urbanism & Context / Paesaggio Urbanistica e Contesto, variano significativamente in termini di programma, luogo, scala, prefigurando anche un innovativo approccio interscalare, e condividendo un interesse comune nella sovrapposizione di nuove strategie ecologiche (naturali e sociali) e urbane, consentendo in tal modo allo scenario dei progetti di affrontare il loro rapporto con i centri urbani, le città e le diverse realtà a più scale e con strumenti interdisciplinari. In questa direzione un ruolo di profonda innovazione è determinato dalla possibilità di sperimentare nuovi percorsi progettuali e di metodo basati sulla recente geografia amministrativa che disegnano già le nuove Comunità di Valle, da poco inserite, in Trentino, nello scenario istituzionale e sulle quali sarà costruita un'apposita strategia definita dal binomio “Paesaggi di Comunità/Comunità di Paesaggi”. Una nuova immagine simbolica, dunque, che punta al riconoscimento del valore “estetico” di un nuovo percorso che ritrovi nel ritmo naturale, nelle forme “variegate” del paesaggio e nella sostenibilità, la somma di nuove politiche urbanistiche sensibili ai contesti.
Riforma istituzionale e riforma urbanistica, una nuova visione per il paesaggio trentino Il Trentino vive, in questi anni, una fase di profondo rinnovamento sia dal punto di vista istituzionale che da quello urbanistico, una fase avviata nel 2006 ma che ha un’intrinseca continuità con l’assetto istituzionale e con la visione del territorio e del paesaggio del passato.
Le Comunità di Valle e i Piani Territoriali di Comunità: verso i paesaggi di Comunità Nel 2006 la Provincia autonoma di Trento (PAT) riorganizza i suoi livelli istituzionali e locali nell’intento di assicurare alle popolazioni locali, secondo “principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza” (Art. 1 Finalità L.P. n. 3/2006), sviluppo sostenibile, salvaguardia e promozione delle peculiarità dei diversi territori, valorizzazione della loro autonomia, avvicinamento delle strutture decisionali ai cittadini, e, infine, pari opportunità di crescita e di sviluppo e garanzia di livelli minimi di servizio a prescindere da posizione geografica, caratteristiche del territorio e dimensione delle unità amministrative. Con la Legge Provinciale n. 3 del 16 giugno “Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino” la PAT, in particolare, si dota, in sostituzione dei Comprensori, istituiti con la prima legge urbanistica provinciale del 1967, delle Comunità di Valle (CdV) (Figura 1). Queste sono definite all’Art. 2 come l’“ente pubblico costituito dai comuni appartenenti al medesimo "territorio" per l'esercizio di funzioni, compiti, attività e servizi nonché, in forma associata obbligatoria, delle funzioni amministrative trasferite ai comuni”. Si trasferiscono, quindi, ai comuni le funzioni amministrative e i servizi pubblici a queste connessi per i quali non è necessaria una gestione di livello provinciale e che “non sono incompatibili con le dimensioni dei territori di riferimento” (Art. 4 Potestà amministrativa Comma 1 L.P. n. 3/2006) e se ne disciplina la gestione associata attraverso la costituzione delle Giuseppe Scaglione, Stefania Staniscia
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CdV. A queste, quindi, vengono attribuite anche competenze in urbanistica, ad esclusione della pianificazione di livello provinciale, e spetta loro il compito di redigere i Piani Territoriali di Comunità (PTC). Attraverso forme di consultazione e percorsi partecipativi vengono costituite 16 CdV che disegnano la nuova geografia amministrativa del Trentino la cui vera sfida sarà quella di rendere le comunità sempre più consapevoli delle loro specificità e dei loro valori e protagoniste di un progetto per il futuro. Alla riforma istituzionale del 2006 si accompagna poi quella urbanistica. Nel 2008, infatti, la Giunta Provinciale emana la legge urbanistica provinciale - n. 1 del 4 marzo “Pianificazione urbanistica e governo del territorio” -, con la quale definisce strumenti, modalità di formazione e contenuti degli atti di pianificazione, disciplina la tutela e la valorizzazione del paesaggio e le modalità di gestione. Interessanti per la nostra trattazione sono le sue finalità. In queste, infatti, si palesa l’approccio che è trasversale a tutte le politiche provinciali: l’attenzione alle risorse paesaggistiche, quali fonti per una migliore qualità della vita, dell’ambiente e degli insediamenti – anche in attuazione dei principi della Convenzione Europea del Paesaggio -, e alla tutela dell’identità storica e culturale, fondamento imprescindibile della società trentina. Il Capo V della legge è dedicato ai PTC. A questi sono demandati i compiti di disciplina del paesaggio, programmazione urbanistica delle funzioni sovra locali secondo gli obiettivi di sviluppo del territorio ed eventuale modifica e aggiornamento del Piano Urbanistico Provinciale (PUP). Il PTC costituisce lo strumento di pianificazione che, a partire dalle specificità dell’ambito territoriale, ne definisce “le strategie per uno sviluppo sostenibile” (Art. 21) immaginando forme di riequilibrio del sistema territoriale che passano per una competitività che si basa sulle peculiarità dei contesti e sulla valorizzazione delle identità locali. I PTC, soprattutto per quanto riguarda le tematiche paesaggistiche e ambientali, rappresentano approfondimenti, interpretazioni, verifiche, integrazioni e implementazioni del PUP, sono strumenti che vanno a specificare e a meglio declinare le linee di indirizzo definite alla scala provinciale. Le CdV si avviano, in questo momento, a costruire la nuova fisionomia del Trentino attraverso politiche urbanistiche che riportano al centro dell’attività di pianificazione le specificità dei contesti e l’attenzione particolare al paesaggio, asset prioritario del nuovo PUP; si avvia, quindi, una nuova stagione della pianificazione territoriale provinciale che vede al centro i territori e le sue comunità.
Figura 1. Perimetri dei Comprensori e delle nuove Comunità di Valle
Il paesaggio nel nuovo PUP Il 2008 è un anno decisivo per l’urbanistica trentina. Oltre alla L.P. n. 1/2008 in questo anno viene approvato il nuovo piano urbanistico provinciale con L.P. n. 5 del 27 maggio 2008. Il nuovo PUP evolve da strumento di regolazione dell’uso del suolo a quadro di riferimento per la pianificazione e la programmazione delle politiche di sviluppo territoriale, diventa, quindi, un piano di indirizzo e di governo assecondando l'esigenza di esaltare la responsabilità delle comunità favorendo l’affermazione degli attori locali. Giuseppe Scaglione, Stefania Staniscia
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Il paesaggio è sempre stato una componente fondamentale della pianificazione urbanistica trentina sin dal primo piano urbanistico provinciale del 1967 di Giuseppe Samonà. Con questo strumento, infatti, la PAT comincia a esercitare la delega in materia di tutela del paesaggio che già dal 1948 le competeva. Il PUP di Samonà considera il paesaggio soprattutto come risorsa fondamentale a supporto dell'attività turistica, prevede quindi la tutela e la difesa dell'ambiente naturale anche attraverso l'istituzione di due parchi naturali e la salvaguardia e valorizzazione delle caratteristiche specifiche dei paesaggi locali. Era già superata da questo piano la visione del paesaggio quale bene patrimoniale definito unicamente per il suo valore estetico-percettivo. La prima revisione generale del PUP ad opera di Franco Mancuso del 1987 spinge ancora più avanti questo ragionamento. Il piano è fondamentalmente finalizzato alla tutela e alla salvaguardia dei valori ambientali prendendo atto delle "aspettative sempre più consapevoli della collettività per quanto concerne la qualità dell'ambiente nel quale vive e produce" (Mancuso, 1991; pag. 16) e del fatto che dovesse interrompersi il crescente consumo di suolo legato all'espansione dell'edificato per intervenire attraverso il riuso, la riqualificazione, il riassetto, la riorganizzazione e la ricomposizione. Il paesaggio, con il PUP di Mancuso, diventa componente determinante e imprescindibile dell'operare urbanistico. Il paesaggio è alla base anche dell'architettura del nuovo PUP. Il concetto subisce una nuova declinazione, in linea con i recenti avanzamenti disciplinari: il paesaggio non è più solo bene da tutelare ma occasione di sviluppo. Il nuovo PUP si pone come strumento di indirizzo strategico "per la definizione di linee di azione rispetto al contesto territoriale, finalizzate a uno sviluppo concertato e condiviso" (PUP Allegato A - Relazione Illustrativa; pag. 8) che, per quanto riguarda le politiche per il paesaggio, passa attraverso il riconoscimento e la valorizzazione della diversità paesistica, della qualità ambientale e della specificità culturale. Il PUP introduce, così, "la Carta del Paesaggio (Figura 2) che si configura come lettura completa degli elementi identitari e di valore dei luoghi per il governo delle trasformazione del paesaggio. La Carta del paesaggio, da approfondire e interpretare nell’ambito dei Piani della Comunità, pone la qualità del territorio al centro dell’azione di governo in quanto condizione di base per cogliere le nuove opportunità di sviluppo e per contrastare efficacemente (con azioni positive e non soltanto con vincoli e limitazioni) i rischi e i processi di degrado." (PUP Allegato A Relazione Illustrativa; pag. 30).
Figura 2. Carta del paesaggio del Nuovo PUP
“Fondo per il paesaggio”, 8 progetti pilota La centralità del paesaggio nelle politiche della PAT è ancora una volta dimostrata nel suo impianto normativo: viene affiancato, infatti, al PUP uno strumento di politica attiva sul paesaggio che si pone “in funzione complementare rispetto alle misure di stretta tutela e di vincolo a carattere amministrativo” (Verbale di deliberazione della Giunta Provinciale n. 2880 del 31-10-2008). Nell’art. 78 della L.P. n. 1/2008, infatti, viene Giuseppe Scaglione, Stefania Staniscia
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ripresa la disciplina che, a partire dal 1993 (L.P. n. 1/1993), istituiva il “Fondo per la riqualificazione degli insediamenti storici e del paesaggio” (FP) con una doppia finalità, da un lato recupero, valorizzazione e sviluppo degli insediamenti storici, dall’altro conservazione e tutela del paesaggio. Il FP è destinato a finanziare sia interventi di recupero del patrimonio edilizio, pubblico e privato, sia attività di conservazione e ripristino del paesaggio, alla scala puntuale e territoriale. È per attivare il FP che nel novembre 2010 il Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio della PAT indice un bando per la presentazione di studi e proposte progettuali relativi ad alcuni temi individuati dalla Giunta Provinciale nell’ambito del FP. Si tratta di interventi di particolare rilievo paesaggistico ambientale a carattere emblematico, otto temi strategici per il futuro del paesaggio trentino lanciati dalla Giunta con l’intento di raccogliere idee e indicazioni da progettisti che provenissero anche da contesti diversi sui quali giocare le prossime sfide di trasformazione del territorio secondo un obiettivo di qualità. Gli studi trovano una loro utile collocazione nella costruzione di una nuova visione condivisa del paesaggio che, attraverso azioni pilota e una politica attiva di ripristino paesaggistico di contesti compromessi, sia in grado di guidare le trasformazioni dei prossimi decenni. Se infatti gli elementi identitari del paesaggio trentino sono in costante mutazione sotto la pressione di attività antropiche, dei cambiamenti climatici, ecc., è necessario riuscire a governare i processi di trasformazione orientandoli alla costruzione di nuove opportunità di sviluppo attraverso politiche attive e non solo vincoli e tutele. Gli otto progetti individuati riguardano temi generali che toccano questioni di gestione del paesaggio alla scala provinciale - riqualificazione delle aree artigianali, passi dolomitici, aree agricole di versante, manufatti rurali, recupero delle cave esaurite - e riguardano temi puntuali – il nesso urbano Riva del Garda-Arco, Zambana Vecchia, il lago di Toblino – che, per la loro emblematicità, possono costituire un riferimento per approcci, metodi e soluzioni applicati. Alla Facoltà di Ingegneria di Trento è stato affidato lo studio che fa da cornice e sfondo agli otto progetti tematici: l’“Analisi dell’evoluzione del paesaggio trentino”.
“Analisi dell’evoluzione del paesaggio trentino” All’Università è stato affidato il compito, da un lato, di costruire un quadro generale di coerenza agli otto progetti del FP, dall’altro, di riconoscere gli elementi identitari del contesto trentino, di descriverne i fattori e le dinamiche di trasformazione e, infine, di immaginare le azioni di valorizzazione, anche al fine di cominciare a “dettagliare” la Carta del Paesaggio introdotta dal PUP per fornire alle CdV strumenti teorico-operativi di supporto per l’attività di pianificazione avviata per l’elaborazione dei PTC. La ricerca deve, inoltre, fornire una prima base di dati all’Osservatorio del Paesaggio per “impostare il rapporto sullo “stato del paesaggio in Trentino” che dovrà essere elaborato dall’Osservatorio a scadenza quinquennale e di cui il lavoro oggetto fornirà il quadro storico e metodologico di riferimento” (Allegato alla Delibera d’incarico del 19 aprile 2011). L'obiettivo della ricerca è, quindi, quello di individuare e descrivere le dinamiche di trasformazione del paesaggio trentino, per comprenderne gli effetti e gli esiti soprattutto rispetto alle invarianti e agli elementi identitari del paesaggio. La definizione dei processi e dei fattori di cambiamento costituirà la base per la determinazione di strumenti utili a individuare forme di tutela e valorizzazione che assecondino e incentivino le tendenze in atto e potenziali che sono coerenti, inibendo quelle che sono, invece, incongruenti o, addirittura, conflittuali. Si tratta, quindi, di definire i limiti delle trasformazioni del territorio mettendo a punto strumenti di previsione e gestione che hanno una valenza prettamente progettuale. Il lavoro di ricerca ha inteso, quindi, costruire i quadri conoscitivi necessari a determinare valori e rischi del paesaggio per individuare le aree da tutelare, da riqualificare e, infine, quelle suscettibili di trasformazione e per definirne le modalità in termini di configurazioni (nuove e/o reinterpretazioni) e di strumenti da utilizzare. Essendo il lavoro di ricerca ancora in corso si descriveranno, a seguire, le fasi generali dello studio senza poter entrare nel dettaglio con la trattazione. Il punto di partenza del lavoro è stato la definizione di una visione condivisa per il paesaggio trentino che facesse da sfondo al lavoro di ricerca e da termine di confronto rispetto al quale verificare gli scenari esito della ricerca stessa. Il lavoro è stato suddiviso in sei fasi principali: la costruzione dei quadri conoscitivi, l’individuazione dei fattori e delle dinamiche di trasformazione, la definizione di strategie e scenari alla scala provinciale, la determinazione di aree campione, l’elaborazione di progetti pilota sulle aree campione e, infine, la definizione di linee di indirizzo. I momenti significativi della ricerca sono stati, in particolare: l’indagine sul valore del bene paesaggio, identificandone le risorse identitarie, nello specifico risorse sociali, simboliche, naturalistiche e patrimoniali, declinate per CdV; l’interpretazione della sequenza dei piani urbanistici provinciali in relazione a: insediamenti, infrastrutture, sistemi naturalistici e paesaggistici e grado di trasformabilità del paesaggio; l’individuazione delle tendenze alla trasformazione del paesaggio attraverso la lettura di programmi e politiche in corso; la costruzione della carta dei nuovi paesaggi, momento di sintesi che mette insieme passato e presente, tendenze evolutive e figure del futuro. Quest’ultima mappa ha condotto alla costruzione di otto scenari e strategie progettuali – infra_scape, tour_scape, agro_scape, alpine_scape, water_scape, eco_scape (Figura 3), identity_scape, urban_scape – prefigurando il futuro del paesaggio trentino che passa attraverso la qualità, la sostenibilità e la condivisione del progetto di paesaggio. Le visioni strategiche prendono le mosse dalle attuali condizioni e dai processi in atto e potenziali riconosciuti nella fase di ricognizione e sono lo strumento per Giuseppe Scaglione, Stefania Staniscia
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Una nuova idea di lavoro per il paesaggio e i contesti sensibili, il caso trentino
verificare quelli che sono i paesaggi attesi dalle comunità. Gli scenari interpretano e leggono le tendenze, ma sono anche rivolti a rintracciare la possibile, necessaria coerenza tra i percorsi di tutela, di riqualificazione, di nuovo intervento, a riconoscere le aree marginali e i paesaggi da rigenerare, e, infine, a individuare una griglia di progetti coerenti con le qualità e caratteristiche del paesaggio, indicando una strada per lo sviluppo del territorio trentino che sia sensibile al paesaggio e coerente con le attese di coloro che ne sono parte.
Figura 3. Eco_scape
Bibliografia Libri Diener R, Herzog J., Meili M., De Meuron P., Schmid C. (2006), ETH Studio Basel - Contemporary City Institute, Switzerland An Urban Portrait, Basel, Birkhäuser Verlag AG. Andexlinger W., Kronberger P., Mayr S., Nabielek K., Ramière C., Staubmann C. (2005), TirolCITY New urbanity in the Alps, Wien-Bozen, FOLIO Verlag. Mancuso F. (1991), L'urbanistica del territorio. Il nuovo Piano Urbanistico del Trentino, Marsilio Editore, Venezia. Leggi Legge Provinciale n. 3 del 16 giugno 2006 “Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino”. Legge Provinciale n. 1 del 4 marzo 2008 “Pianificazione urbanistica e governo del territorio". Legge Provinciale n. 5 del 27 maggio 2008 "Approvazione del nuovo piano urbanistico provinciale". Piano Urbanistico Provinciale, Allegato A - Relazione Illustrativa Legge Provinciale n. 1 del 15 gennaio 1993 "Norme per il recupero degli insediamenti storici e interventi finanziari nonché modificazioni alla legge provinciale 5 settembre 1991, n. 22".
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Progetti urbani e Progetti urbanistici nel Governo dei Paesaggi Post-Urbani
Progetti urbani e progetti urbanistici nel governo dei paesaggi post-urbani Donato Di Ludovico Università dell’Aquila Facoltà di Ingegneria Email: donato.diludovico@gmail.com Pierluigi Properzi Università dell’Aquila Facoltà di Ingegneria Email: properzi@tin.it
Abstract Nell’ultimo ventennio, l’assenza di modelli sociali di sviluppo condivisi, sia a livello nazionale che locale, ha alimentato processi di trasformazione non “pianificati” e insostenibili, favorendo l’affermazione di modelli insediativi diffusi, lineari, porosi, etc. connessi spesso a Progetti Urbani decontestualizzati, favorendo la deregulation o l’urbanistica contrattata. Tali processi hanno pesantemente modificato i sistemi insediativi regionali, in particolare quelli a più alto tasso di metropolizzazione, che ora presentano inedite forme post urbane di difficile interpretazione e ancor più difficile governo. Questa considerazione pone al centro della discussione disciplinare il recupero di una visione generale dello sviluppo, la necessità di intervenire attraverso un progetto generale capace di indirizzare ed incanalare tutti quegli episodi di progettazione in una visione complessiva. E’ necessario cioè passare da un approccio allo sviluppo fondato su tanti Progetti Urbani tra di loro sconnessi ad un approccio che si potrebbe definire “di sistema” fondato su di un Progetto Urbanistico.
1. I Paesaggi Post-Urbani I sistemi di pianificazione che caratterizzano l’attuale panorama delle leggi innovative regionali operanti nel campo del Governo del territorio, derivati da una significativa stagione di sperimentazioni che le Regioni hanno avviato dal 1995 in poi, non hanno facilitato la costruzione di catene decisionali efficaci. A parziale giustificazione di tale inefficacia, vi è la modesta interazione con le tutele separate dello Stato e con le forme di valutazione strutturate (VAS, VINCA, VIA) applicate a piani e progetti in maniera spesso endoprocedimentale, senza un riferimento a Quadri conoscitivi e valutativi condivisi. Inoltre, l’assenza di modelli sociali di sviluppo condivisi, sia a livello nazionale che locale, ha alimentato processi di trasformazione non “pianificati” e insostenibili, favorendo l’affermazione inerziale di modelli insediativi a “macchia di leopardo” diffusi, lineari, porosi, etc, ampiamente studiati dalla geografia urbana. La pianificazione/programmazione complessa ha tentato una linea di semplificazione che spesso si è però tradotta in deregulation o nella urbanistica contrattata dei progetti urbani delle archistar. La costruzione di parti urbane attraverso episodi architettonici, isolati, sconnessi e decontestualizzati, ha determinato dispersione insediativa, sprawl, rarefazione, alto consumo di suolo, frammentazione delle reti ecologiche, aggressione al paesaggio urbano e periurbano, fenomeni che hanno a loro volta determinato forme urbane caotiche su telai infrastrutturali imperfetti, secondo processi autoriproduttivi più che strutturanti. Tali processi hanno pesantemente modificato i sistemi insediativi regionali, in particolare quelli a più alto tasso di metropolizzazione, che ora presentano inedite forme post urbane di difficile interpretazione e ancor più difficile governo. Donato Di Ludovico, Pierluigi Properzi
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Progetti urbani e Progetti urbanistici nel Governo dei Paesaggi Post-Urbani
La mancata coerenza tra modello sociale di sviluppo e strumenti di governo del territorio hanno dunque prodotto nei diversi contesti, forme insediative, che possiamo definire post-urbane, che sono state interpretate secondo modelli di lettura consolidati nel tempo, come ad esempio la città lineare, la città diffusa, la città continua, la città infinita, i paesaggi urbani, la periurbanizzazione, etc. 1, ed alle quali non è corrisposto una trasformazione ed uno sviluppo urbano e territoriale equilibrato e sostenibile. Di contro, i sistemi della pianificazione non sono stati in grado di governare queste nuove forme insediative, limitandosi a governare solo i processi di trasformazione tradizionali, producendo o consolidando al loro esterno ulteriori nuove morfologie periurbane. Così, emergono e si articolano nuove maglie insediative “spontanee”, legate a nuovi usi ma più spesso ai flussi materiali che interessano i territori, che si estendono invariabilmente o si concentrano lungo infrastrutture e nuove polarità extraurbane. Ci si riferisce ad esempio alla celebre città diffusa del Veneto (Castiglioni B., Ferrario V. 2007) oppure alla città lineare della costa adriatica 2 che si estende dall’Emilia all’Abruzzo, forme post-urbane complesse che hanno condiviso un endogeno modello di sviluppo sociale: quello della terza Italia del nord-est, quello dei grandi fasci infrastrutturali (bonifiche, ferrovia litoranea, autostrade), quello delle piccole e medie imprese insediate attorno ai grandi poli industriali nella fase di metropolizzazione delle maggiori città, quello delle reti urbane sviluppate (SCOTT et alii, 2001). Il fenomeno ha assunto dimensioni non previste dalla pianificazione e, pur nella continuità ed omogeneità dei processi, presenta un polimorfismo interno ed una sua razionalità implicita derivata essa stessa, in termini preterintenzionali, dalla razionalità dei piani.
2.1 Due esempi di Paesaggi Post-Urbani Uno dei modelli Post-urbani più significativi è la Città Lineare della costa adriatica, nel quale si sovrappongono centri storici di media collina e montani, agglomerati urbani continui di costa, agglomerati industriali pianificati disposti lungo le direttrici fluviali, le grandi aree commerciali e industriali in prossimità dei caselli autostradali. Si tratta di un sistema insediativo in cui convivono contemporaneamente la Città lineare, i Poli urbani maggiori, i Poli urbani minori-la rete dei Borghi ed i cosiddetti Paesaggi abitati. Tutto questo immerso in una matrice ambientale e paesaggistica di rilievo ed imbrigliati da telai infrastrutturali che ne costituiscono le tessere, con una loro autonoma e spesso diversificata dimensione e struttura che non replica quella urbana tradizionale in termini di centro – periferia, né di relazioni funzionali, ma ne postula una diversa declinazione.
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Si vedano gli scritti di Bonomi, Abruzzese, Indovina e Castiglioni riportati in bibliografia. La città lineare della costa è stata di recente studiata nell’ambito di uno Studio di Fattibilità del MIITT e ANAS Spa, avente per oggetto l’adeguamento della S.S. 16 “Adriatica” nei territori di Marche, Abruzzo, Molise e Puglia fino a Foggia con particolare riferimento all’interazione tra le varie modalità di trasporto, nonché alla sostenibilità ambientale, territoriale, economica e sociale, al quale hanno partecipato diverse Università tra le quali l’Università dell’Aquila, l’Università del Molise e l’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara .
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Figura 1. Schematizzazione dei Telai della Città lineare della costa adriatica Nei vertici del telaio, costituito dal fascio multi modale nord-sud del corridoio adriatico e dalle aste vallive ortogonali del pettine, ci sono spesso le maggiori aggregazioni insediative storiche, sia litoranee che collinari. Lo sviluppo di questi nuclei è avvenuto per diffusione lineare lungo le aste, con una caratterizzazione essenzialmente produttiva (Aree e Nuclei industriali) e commerciale. All’interno del telaio si sono mantenute le attività agricole e i loro insediamenti sparsi, che convivono con i grandi serbatoi naturali rappresentati da parchi e riserve naturali. In tale contesto, negli ultimi decenni, si sono sviluppati processi di trasformazione esterni ai perimetri pianificati, questo attraverso la pianificazione/programmazione complessa, la deregolazione, la negoziazione, la contrattazione, l’urbanistica consensuale dei progetti urbani. Ciò ha favorito una ulteriore complessificazione del sistema insediativo costiero, un consumo di suolo “non pianificato” che ha generato nuove polarità importanti in assenza di un progetto complessivo “strategico” e “sostenibile” del territorio interessato. Altro elemento di complessificazione, che può essere riguardato in prospettiva, concerne il ruolo e la valenza strutturale dei territori costieri, e più in generale dell’Italia mediana (Properzi P., Chietini A., Di Ludovico D. 2008) nella dimensione spaziale europea, ed in particolare la forma-dimensione che questo sistema insediativo può assumere al di là delle suggestive definizioni geografiche delle cosiddette Macro-Regioni 3. Ancora una volta è possibile evitare, attraverso una visione complessiva, gli effetti territoriali derivati da un uso distorto dei fondi europei, che finora non ha fatto altro che rafforzare il policentrismo (che comunque è rimasto sbilanciato) attraverso progetti selettivi, localizzati (di frequente molto localizzati) e spesso riferiti ai metodi, categorie, linguaggi propri del progetto architettonico. Un secondo esempio significativo di modello costruito i forme Post-Urbane si può derivare dallo sviluppo insediativo della Città dell’Aquila generato a seguito delle fasi emergenziali successive al sisma del 06 aprile 2009. Le circostanze che hanno portato all’attuale nuova forma della Città si possono riassumere con i seguenti punti: • Realizzazione del progetto C.A.S.E. – Complessi Antisimici Sostenibili Ecocompatibili; si tratta di veri e propri progetti urbani attraverso i quali sono stati realizzati nuovi quartieri su 19 aree, 4.500 appartamenti, 185 edifici, per circa 15.000 abitanti.
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Si tratta dei nuovi “territori” per l’allocazione delle risorse UE, cioè aree che comprendono diversi paesi o regioni che hanno una o più caratteristiche o sfide comuni. In Italia è in fase di studio la Macro-Regione adriatico-ionica (UE 2009)
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Realizzazione dei M.A.P. – Moduli Abitativi Provvisori; anche in questo caso si tratta di veri e propri progetti urbani attraverso i quali sono stati realizzati nuovi agglomerati urbani nelle frazioni su 27 aree, 1.273 moduli, per circa 3.000 abitanti. Realizzazione dei M.U.S.P. - Moduli ad Uso Scolastico Provvisori; si tratta delle scuole realizzate nella periferia dopo il sisma; ospitano circa 5.500 alunni in 25 aree; Delibera di C.C. n° 58 del 25 aprile 2009; si tratta della delibera del Consiglio Comunale dal titolo “Criteri per la localizzazione e realizzazione di manufatti temporanei” che ha consentito la realizzazione di manufatti a carattere residenziale o produttivo spesso “poco temporanei” in tutto il territorio comunale, “in deroga al regime vincolistico di natura paesaggistica, ambientale compresi quelli ricadenti nelle aree tratturali”; una prima stima attendibile ne individua circa 2.000 unità.
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Figura 2. L’impianto urbano dell’Aquila pre-sisma ed il nuovo sviluppo urbano derivato dalle realizzazioni postsisma (post-urbane) (Progetto CASE – contorno in rosso, MAP – contorno in verde, MUSP – contorno in blu) Questi quattro interventi post-sisma hanno cambiato profondamente il tessuto insediativo aquilano. In generale si tratta infatti di edifici residenziali per circa 21.000 abitanti, a cui aggiungere scuole per 5.500 alunni e Casette provvisorie per circa 5.000 abitanti. A l’Aquila, è stata cioè realizzata in tre anni una città di 26.000 abitanti: una Città fuori dalla Città, senza relazioni con la Città storica e consolidata ed in rottura con il tessuto preesistente. La dinamica insediativa ha seguito da un lato la logica della compromissione delle aree vincolate e comunque pregiate soprattutto nel periurbano, dall’altro quella dello sprawl e consumo di suolo indifferenziato in zona agricola, investendo importanti areali del sistema della continuità biologico-vegetazionale, essenziale per il sistema delle aree naturalistiche regionali. La stessa casualità ha caratterizzato le politiche delocalizzative dei soggetti pubblici che in alcuni casi hanno scelto sedi nuove e definitive. Anche in questo caso, come per il precedente della Città lineare della costa adriatica, ciò che ha rappresentato un’importante e positiva azione emergenziale, si è trasformata in una questione ambientale, paesaggistica, ma principalmente urbana. E questa situazione potrebbe essere altresì peggiorata dall’attuazione dei Piani di Ricostruzione previsti dalla Legge n. 77/2009, essenzialmente sommatoria di Progetti privati nei Centri Storici che opererebbero in assenza di un’idea di assetto urbano che non sia quella del com’era dov’era o della messa in valore delle parti più fragili e più aggredibili come le famose “Aree bianche” 4 di cui tanto si discute.
3. Dal Progetto Urbano al Progetto Urbanistico I due esempi precedenti pongono in evidenza la necessità di una visione complessiva dello sviluppo, e nel particolare dell’insediamento urbano, la necessità di intervenire attraverso un progetto generale capace di indirizzare ed incanalare tutti quegli episodi di progettazione (progetti urbani) in una visione complessiva. E’ 4
Con deliberazione n. 51 del 16 febbraio 2012, la Giunta comunale ha dato l'avvio alla procedura per rinormare le aree a vincolo decaduto del Piano Regolatore Generale dell'Aquila, le cosiddette "Aree bianche", sulle quali, in mancanza di una normativa, si potrebbe riespandere lo ius aedificandi insito nel diritto di proprietà.
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necessario cioè passare da un approccio allo sviluppo urbano fondato su tanti Progetti Urbani tra di loro sconnessi ad un approccio che si potrebbe definire “di sistema” fondato su di un Progetto Urbanistico. Il riferimento al Progetto urbanistico sembra essere infatti coerente ad un auspicato modello di governo della città e del suo territorio capace di risolvere in sé tutte le criticità e le contrapposizioni insite nei rigidi e statici sistemi di pianificazione attuali e nei nuovi modelli di sviluppo delle città basate sui principi della negoziazione e della contrattazione, superando così lo strumento del Progetto urbano che adotta le metodologie, le categorie, i linguaggi del progetto architettonico (Aldo Rossi, Carlo Aymonino) e si presenta come proposta chiusa, definita in tutti i suoi particolari ma comunque chiusa. Il Progetto Urbanistico, a differenza di quello urbano è invece un “progetto di forme e di intenti che può lasciare il limite spaziale indefinito e una dimensione temporale indeterminata”; […] il progetto urbanistico “accoglie una vasta gamma di elementi da considerare nella fase di elaborazione progettuale. Il progetto urbanistico, pur affrontando l’aspetto spaziale e morfologico della città si deve confrontare con l’intera complessità urbana. È importante sottolineare che il portato dell’interdisciplinarità in questo processo viene sintetizzato nel nucleo portante della progettazione dello spazio fisico e della sua configurazione morfologica. In quest’ottica i riferimenti sono inevitabilmente molteplici e appartengono a diversi ambiti disciplinari” (Morandi M. 2009). Ed infatti, il campo entro il quale si muove il Progetto Urbanistico è quello che integra le Vision e le Strategie nel Progetto di paesaggio (urbano e periurbano), che introduce la Conoscenza quale elemento di garanzia delle trasformazioni distinguendo la conoscenza del Progetto dalla Conoscenza per la Valutazione (con i suoi valori e i suoi rischi), che non contrappone il Progetto alla Tutela, che affida ad esso ed alle sue tecniche la soluzione dei problemi lasciati aperti dal Progetto urbano complesso e dalla Pianificazione Strutturale/Operativa. Traducendo questo atteggiamento nel caso dell’Aquila descritto nel paragrafo precedente, una ipotesi può essere quella di affiancare al sistema di pianificazione del Centro Storico prevista dalla L. 77/09, cioè il Piano di Ricostruzione, un programma di riqualificazione della periferia consolidata ed in formazione, un Progetto non Urbano ma Urbanistico, costruendo su questa ipotesi un’Agenda Strategica. Si tratta di un’area estesa e complessa che presenta due caratteri prevalenti: una operabilità immediata e diretta ed una offerta integrata (abitazioni, servizi, qualità ambientale) in grado di fornire una prima risposta in tempi rapidi al problema di ricostruire una città capitale. Questa offerta integrata per poter essere messa in atto ha bisogno di alcuni riferimenti strutturali e di una notevole capacità di valutare coerenze e compatibilità da parte dei soggetti decisori. Mettere in gioco le parti delle città consolidata con operazioni di riqualificazione favorisce i processi di ricomposizione sociale e consente, attraverso il riconoscimento ed utilizzo dei vuoti urbani tipici residui della pianificazione riformista, una riammagliatura degli spazi urbani e delle reti ambientali urbane (al progetto urbanistico compete in maniera prioritaria la definizione e l’organizzazione dello spazio pubblico). Si tratta di un progetto urbano progressivo, praticabile nella sua strategicità per parti e nel rispetto delle coerenze strutturali e delle compatibilità ambientali che un Progetto Urbanistico può garantire. (Properzi P. 2010) Nel caso del modello post-urbano della Città lineare della costa adriatica, il progetto urbanistico si estende all’Area vasta e la necessità di uno strumento di Valutazione ambientale e paesaggistica delle trasformazioni urbane, come ad esempio i più innovativi Sistemi della Conoscenza previsti dalle LUR regionali, diventa centrale; si tratta di un approccio che accoglie nel progetto l’indeterminatezza spaziale e temporale quali componenti indispensabili per la riuscita delle strategie e che in sé contiene tutti quegli elementi capaci di garantire la tutela dell’ambiente e del paesaggio in qualsiasi momento. Il Progetto Urbanistico diventa allora un progetto dinamico che si verifica continuamente, sia in relazione al una Vision generale e sia in relazione alle ragioni del territorio, dell’ambiente e del paesaggio.
4. Prospettive Il Progetto urbanistico, in questo senso diviene un fertile campo di indagine, proprio perché non esprime i propri contenuti e le strategie in un contesto limitato, entro margini volutamente insuperabili, ma può essere considerato “un progetto di forme e di intenti che può lasciare il limite spaziale indefinito e una dimensione temporale indeterminata, che accoglie una vasta gamma di elementi da considerare nella fase di elaborazione progettuale. Il progetto urbanistico, pur affrontando l’aspetto spaziale e morfologico della città si deve confrontare con l’intera complessità urbana” (Morandi M. 2009), con i valori, i rischi, i paesaggi, le identità, il senso, con i vuoti e lo spazio pubblico complessivo. Tale confronto, che può ricomporre la segmentazione e separatezza delle competenze e dei settori, si esprime attraverso due strumenti consolidati nel panorama disciplinare urbanistico, quello proprio della pianificazione strutturale/strategica, ossia le Vision, i Masterplan, gli Schemi di Assetto, e quello della Valutazione e della Conoscenza condivisa, ossia le Carte, gli Statuti, le Descrizioni. Tali strumenti, che descrivono la dimensione spaziale con un limite “indefinito”, sono caratterizzati anche da una dimensione temporale indeterminata, nel
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senso che in loro è insita la dinamica dei processi. Sono strumenti flessibili, che potremmo definire “circolari” per la loro attitudine all’aggiornamento ed alla revisione (vs stabilità/immutabilità degli strumenti classici). La realizzazione del Progetto Urbanistico può ricostituire una dimensione urbana progressiva che punta inizialmente alla formazione di una massa critica competitiva nello scenario regionale, nazionale ed europeo (individuando un nuovo modello sociale che non escluda il locale (politica di coesione UE)), intorno a nuclei urbani di qualità, con riguardo ai paesaggi agrari e naturali in cui sono immersi. E’ un progetto “progressivo”, consapevole dei suoi limiti, ma praticabile nella sua strategicità per parti, solo nel rispetto delle coerenze strutturali e delle compatibilità ambientali che un Masterplan costruito con procedure di Valutazione può garantire; è un processo iterativo che si concretizza nelle dimensioni strategiche dello stesso Masterplan così da consentire verifiche di coerenza e di compatibilità rispetto a Quadri conoscitivi condivisi ed a indicatori preselezionati. Esso recepisce una sostanziale innovazione dei processi di formazione degli strumenti che privilegia le prassi valutative e la progressiva concorrenza delle trasformazioni in un quadro certo e complessivo di obiettivi e strategie. E’ proprio questo approccio incrementale ed il controllo delle interazioni dei diversi soggetti che necessita di un governo che non può essere affidato solo agli strumenti e che trova invece nei processi valutativi un riferimento importante. In questo nuovo orientamento progettuale, che accoglie una vasta gamma di elementi da considerare (connettivi naturali, mobilità, centralità, percorsi strutturanti, etc), particolare rilievo assume il tema dell’Armatura urbana e territoriale (e dello spazio pubblico), entro la quale sono organizzati i grandi sistemi insediativi (produzione, commercio, residenza, attrezzature) e nella quale convivono modelli istituzionali e modelli sociali disarticolati. Al progetto urbanistico compete in maniera prioritaria la definizione e l’organizzazione dello spazio pubblico (vuoti e pieni) e più in generale dell’Armatura urbana e territoriale, ma anche la definizione di una nuova governance, di un nuovo rapporto tra istituzione e cittadino, elementi essenziali della coesione sociale e per la costruzione di identità locali e territoriali di un società dinamica come il proprio territorio e le proprie città. La pianificazione può ancora fornire ai processi insediativi una interpretazione non necessariamente legata a forme di razionalità totalizzante, ma segmentate in strategie cooperanti all’interno di una Vision condivisa e strumenti coerenti a questi obiettivi condivisi. Servono quindi nuovi strumenti di governo dei fatti territoriali che spostino la natura del pianificare dalle regole fondiarie legate allo zooning, alla valutazione, alla concertazione ed alla costruzione cooperativa (copianificazione) dei progetti di sviluppo.
Bibliografia Bonomi A., Abruzzese A. (2004), La Città Infinita, a cura di, Mondadori, 2004, Milano. CastiglionI B., Ferrario V. (2007), Dove non c’è paesaggio: indagini nella città diffusa veneta e questioni aperte, in Rivista Geografia Italiana, CXIV, 3, 2007, pp. 397-425. Infovina F., La città diffusa, Quaderni DAEST, 1990 Scott A. J., Agnew J., Soja E. W., Storper M. (2000), Global city-regions, in Global City-Regions, Trends, Theory, Policy, Edited by Allen J. Scott, Oxford University Press, Oxford 2001. Morandi M. (2009), Progetto urbano e progetto urbanistico: riferimenti e considerazioni, in Macramè n.3/2009, Rivista on-line dell’Università degli studi di Firenze, pp. 85-88, ISSN 1971-6230. Properzi P., Chietini A., Di Ludovico D. (2008), Le nuove forme del Piano nell'Italia mediana, In: Forme plurime della pianificazione regionale. p. 107-123, Alinea Editrice, ISBN: 9788860553706, Firenze. Properzi P. (2010), La questione urbanistica, in: Il diritto pubblico dell'emergenza e della ricostruzione in Abruzzo, pp. 57-77, CEDAM, ISBN: 9788813299293, Padova. UE (2009), Macro-regional strategies in the European Union, Unione Europea, http://ec.europa.eu/regional_policy/cooperation/baltic/pdf/macroregional_strategies_2009.pdf
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Titolo del Paper: paesaggio e urbanistica per le aree industriali e artigianali del Trentino
Paesaggio e Urbanistica per le aree industriali e artigianali del Trentino: nuovi archetipi dei paesaggi delle produzioni Vincenzo Cribari Q-Field urbanism & landscape architecture Email: vincenzo.cribari@ing.unitn.it Marco Malossini Q-Field urbanism & landscape architecture Email: marco.malossini@ing.unitn.it Email: office@q-field.net Piazza Manifattura 1 – Manifattura Domani 38068 Rovereto - Italia Tel. 046.4443414 Fax 046.4443420 http://www.q-field.net Università degli Studi di Trento Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale
Abstract Lo studio propone che l’interpretazione paesaggistica divenga uno strumento per rinnovare gli “archetipi produttivi” a partire da nuove prospettive sociali, tecnico-funzionali ed economico-ambientali, aggiungendo valore alla pianificazione urbanistica e alla gestione sostenibile del territorio. La ricerca incaricata dal Servizio Urbanistica e Tutela del paesaggio della Provincia Autonoma di Trento, è strutturata a partire da un insieme di metodi interpretativi finalizzati alla redazione di alcune linee guida, orientate alla promozione dell’innovazione nell’organizzazione delle strutture spaziali della produzione economica, alla loro efficienza e competitività all’interno del contesto dei settori delle attività economiche artigianali ed industriali. La lettura e interpretazione dei caratteri degli insediamenti produttivi è effettuata sugli ambiti paesaggistici e territoriali del Trentino. Inizialmente sono state definite una serie di matrici di riconoscimento, strutturate secondo modalità processuali atte a far emergere aspetti, specificità e criticità nei differenti contesti. Gli obiettivi per la qualità paesaggistica sono organizzati secondo un abaco di azioni articolate come linee guida finalizzate a ristabilire le qualità paesaggistiche delle aree, distinguendo alla scala delle Comunità di Valle, due ambiti di azione prevalenti: uno relativo alle aree produttive esistenti (riqualificazione e miglioramento), ed uno relativo alle aree produttive programmate (qualità dei nuovi progetti). Vengono definiti alla scala provinciale e di Comunità degli scenari di attuazione delle trasformazioni, individuati attraverso il riconoscimento di particolari ambiti territoriali desunti dalla costruzione della Carta delle Produzioni, la quale definisce in sintesi l’andamento diacronico recente, delle tendenze economiche e delle nuove vocazioni produttive emergenti per le aree artigianali ed industriali del Trentino.
Introduzione: descrizione del territorio e del processo Lo studio, per procedere nell’interpretazione tra produzioni e paesaggi ha operato un riconoscimento iniziale attraverso sette matrici, ha indicato delle azioni di riqualificazione paesaggistica rispetto ad uno scenario Vincenzo Cribari e Marco Malossini
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Titolo del Paper: paesaggio e urbanistica per le aree industriali e artigianali del Trentino
complessivo di sviluppo su cluster territoriali di produzioni, suddivisi in tre categorie rispetto alle nuove istituzioni delle Comunità di Valle.
1. Le matrici di riconoscimento per le aree delle produzioni Reti e Flussi: gradi di ‘connettività’ territoriale Il paesaggio (come lente) 1 ed il suo portato di valori patrimoniali e comunitari rientrano e compenetrano, a nostro avviso in maniera capillare e diffusa, diversi fra questi assi strategici anche nella rete di infrastrutture e connettività. Il paesaggio, aspira a divenire non solo un medium ‘sul quale’, ed una lente ‘con cui’ leggere le trasformazioni; aspira a divenire uno strumento operativo, che tramite modalità relazionali, quindi reti e flussi d’informazione, generi innovazione e stimoli nuove forme economiche, attraverso la rielaborazione dei complessi processi ed elementi che sottendono alle modalità di utilizzo e alle produzioni del territorio. Per esplicitare questa matrice si è riconosciuta la valenza delle funzioni materiali e immateriali, rispetto alla logistica e alla micro logistica, declinate rispetto al contesto e alle criticità per il paesaggio.
Figura 1. Corridoi europei I e V, Spazio della Convenzione delle Alpi, Euregio Tirolo, Alto Adige, Trentino
Evoluzione dello spazio della produzione artigianale e industriale Sono state ripercorse in maniera sintetica le principali dinamiche storico economiche che hanno portato alla configurazione degli attuali scenari insediativi delle produzioni manifatturiere. Per grandi linee sono stati ripercorsi sia i principali momenti attraverso i quali si sono sviluppati i processi d’industrializzazione, sia i tipi di produzioni e le modalità economiche e sociali attraverso le quali si è sviluppato il settore manifatturiero trentino. In questo senso la classificazione proposta ripercorre le principali fasi storiche, individuate secondo una traccia tendente ad integrare sommovimenti sociali e processi tecnico-industriali, che hanno caratterizzato i sistemi economici, insediativi e infrastrutturali. I principali periodi indagati vanno dall’assolutismo ‘illuminato’ al primo ottocento, l’Ottocento, il periodo fra le due guerre, e il post guerra; sono stati sintetizzati con immagini che spiegano la consistenza ed il tipo di fenomeni. 1
Il paesaggio secondo le teorie degli ultimi decenni, introduce una condizione processuale, strutturata a partire da una visione sistemica ed ecologica (McHargh, Forman) in cui l’attenzione è spostata ‘dagli oggetti ai campi’ (‘from objet to field’ – Allen). In particolare (Corner) si parte dall’assunto che i processi attraverso i quali il territorio/città si costruiscono siano molto più significativi rispetto ad una costruzione strutturata per parti.
Vincenzo Cribari e Marco Malossini
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Titolo del Paper: paesaggio e urbanistica per le aree industriali e artigianali del Trentino
Valori paesaggistici e territoriali Il riconoscimento delle qualità paesaggistiche dell’intorno delle aree produttive - o più in generale dei settori delle attività economiche - dipende da “fenomeni interpretativi” attraverso i quali una società attribuisce un significato ed un valore alle specificità e alle consuetudini che si esercitano nell’abitare i luoghi della produzione. I “fenomeni interpretativi” o “modelli interpretativi di un fenomeno” vengono catalogati in questa ricerca in quattro macro-categorie che mettono in rilievo le modalità relazionali tipiche di una comunità. Se per fenomeno s’intende ciò che è osservabile e oggetto di studio della scienza, categorizzato secondo criteri scientifici (fisico-chimici e quant’altro), un “fenomeno interpretativo” o un “modello interpretativo di un fenomeno” invece si costituisce sull’osservazione, a partire dalla semiologia, dal linguaggio, dalla filosofia e dall’interpretazione sociologica, di un’informazione o di un oggetto per una comunità nel divenire del tempo. I fenomeni interpretativi riconosciuti sono quattro: storico/culturale, fisico-morfologico, del patrimonio naturale, del patrimonio d’area vasta. Vi sono pertanto quattro modalità che s’intersecano per costruire il senso di determinate caratteristiche paesaggistiche che permettono di determinare le qualità e le invarianti del paesaggio produttivo per i futuri Piani Territoriali di Comunità.
Figura 2. Insediamenti produttivi nella Val di Fiemme (Ziano di Fiemme)
Distribuzione e tipo delle aree industriali e artigianali in Trentino Il tema della dimensione e del tipo di aree produttive non può che partire da alcune considerazioni sulla storia dell’urbanistica trentina. Il modello insediativo di oggi ereditato dagli ultimi cinquant’anni d’industrializzazione italiana è legato ai processi urbanistici di cambio di destinazione d’uso d’intere porzioni di territorio. Queste porzioni di territorio sono state scelte prevalentemente per le caratteristiche infrastrutturali delle aree, intese sia come vicinanza alle grandi dorsali di comunicazione viaria e alle reti energetiche (elettricità e gas), sia per le caratteristiche morfologiche quali la facilità di ottenere ampi spazi pianeggianti con minimi movimenti dei suoli. Il PUP del ’67 fu il primo grande motore che individuando queste aree dotò molti comuni di un potenziale di crescita industriale ed economico. Fu un piano volontariamente sovradimensionato per dare al legislatore e alla realtà economica ampi spazi di manovra per la riattivazione economica del Trentino. Alcune di queste aree ancora oggi non sono complete e neanche minimamente abbozzate. L’urbanistica trentina in questo è rimasta rigida, mantenendo la diversità tra aree produttive d’interesse provinciale e aree produttive locali, mentre Vincenzo Cribari e Marco Malossini
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Titolo del Paper: paesaggio e urbanistica per le aree industriali e artigianali del Trentino
l’economia reale ha lavorato piuttosto su legami produttivi, molteplici catene dinamiche di distribuzione e sub produzione. La divaricazione d’interessi tra piccole aree, interessanti alveari produttivi in cui insistono molteplici piccole produzioni, e grandi aree di grandi imprese, ha portato ad un cortocircuito tra pianificazione e realtà effettiva. In questo contesto è emerso che le aree di interesse provinciale consistono in 1.293 ettari, mentre la reale consistenza di tutte le aree produttive del trentino è di 1.951 ettari, con un gap di gestione vincolato direttamente alle amministrazioni comunali di circa 650 ettari.
Figura 3. Distribuzione delle aree industriali e produttive: esistenti, programmate,e previsione di crescita percentuale rispetto alla dotazione di aree esistenti
Modello interpretativo della grana delle aree della produzione: dispersione vs compattezza In questo paragrafo ci si sofferma sulle qualità spaziali a partire dalle quali la forma e distribuzione degli insediamenti produttivi è andata strutturandosi. La dispersione della città contemporanea, il cosiddetto ‘sprawl’ urbano, ‘città diffusa’ o ‘campagna urbanizzata’ che dir si voglia, è un fenomeno ormai consistente per dimensione ed estensione che negli ultimi anni ha condizionato in maniera importante la forma e la qualità degli insediamenti. Lo sprawl è correntemente definito, attraverso l’utilizzo di alcune caratteristiche generalmente ricorrenti dell’uso del suolo: la bassa densità edilizia, lo sviluppo disperso, l’edificazione in aree non limitrofe 2 e spesso la presenza di una fascia o area di sviluppo commerciale 3 (o produttiva). La compattezza al contrario non ha una definizione che sia generalmente accettata e condivisa; nonostante le varie interpretazioni, un tema che comunemente emerge è che essa coinvolga la concentrazione della diffusione dello sviluppo edilizio. Va infine sottolineato che è di primaria importanza definire la scala dimensionale rispetto alla quale le analisi vengono condotte, oltre a sottolineare condizioni al contorno quali ad esempio quelle del contesto orografico e geomorfologico. Il modello interpretativo proposto (definibile come qualitativo-quantitativo), tramite una serie d’indicatori (Densità, Indici di forma, Grado di occupazione delle aree), interagisce alle varie scale cercando ci cogliere l’articolazione complessa dei fenomeni, sia attraverso l’interazione alla scala territoriale, sia attraverso l’interazione alla scala delle aree.
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vedi Leapfrog development (Ewing, 1997) Ewing, 1997; Downs 1999; Galster et al., 2001; Malpezzi and Guo, 2001
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Figura 4. Compattezza dei sistemi di fondovalle e versante, compattezza dei cluster di aree (Indice di forma)
Figura 5. Modello interpretativo dei gradi di compattezza delle aree produttive nelle ComunitĂ di Valle
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Analisi morfologica del territorio e criteri insediativi connessi ai diversi contesti Questa matrice si sviluppa su tre rapporti principali della visualizzazione morfologica del contesto e delle “piastre produttive”: 1. il rapporto con i versanti montani: viene riconosciuto in tre sottocategorie. Il rapporto con piè di versante, il rapporto con un’intera costa di un versante e il rapporto con una struttura convessa o concava del territorio in caso di collocazione su una sella su un poggio o su un gradone o un bacino. 2. Il rapporto della “piastra produttiva”con i corsi d’acqua: viene anch’esso contraddistinto da due sottocategorie che dipendono dalla dimensione della via d’acqua. Il rapporto delle aree con i fiumi minori sarà completamente diverso dal rapporto con i grandi corsi d’acqua di fondovalle. 3. Il rapporto con le infrastrutture: s’intende come le aree si rapportano in modo diverso secondo le tre categorie precedenti del rapporto con i versanti montani. Spesso succede che le arterie siano nate da una lenta trasformazione di antiche mulattiere, mentre a volte succede che vengano pianificate nuove arterie per il salto tecnologico che si è acquisito nel nostro modello produttivo. Queste tre categorie di rapporti fisico-morfologici fanno quindi emergere tre modalità di inserimento delle aree produttive dal punto di vista morfologico: gli insediamenti produttivi di fondovalle e a piè di versante (o di margine), gli insediamenti produttivi di costa al versante (o a mezzo monte), e gli insediamenti che non si riconoscono in nessuna delle due categorie precedenti, riconducibili a insediamenti produttivi di sella-gradonepoggio-bacino (nelle diverse scale, potrebbero stare su un passo ma anche in una valle molto estesa fatta di piccoli dossi come la val di Non).
Figura 6. Sezione territoriale nella Valle dell’Adige: aree produttive e infrastrutture principali
Attività di trasformazione ammesse nelle aree produttive miste Le aree miste rappresentano al momento un elemento di particolare criticità, ma al tempo stesso si presentano come aree con un interessante potenziale di trasformazione, vista la loro natura di aree con funzione composita, che sottende ad uso d’interazione fra parti e usi differenti. Tali aree potenzialmente possono rappresentare degli importanti momenti di superamento della città pianificata per parti monofunzionali, storicamente separate e con evidenti elementi di criticità, sia all’interno dei tessuti monofunzionali, che fra parti di tessuti eterogenei. Se correttamente ripensate e strutturate queste aree possono costituire un interessante supporto di raccordo dialogico fra le parti della città-territorio o della città-paesaggio che dir si voglia. Il portato e le funzioni di ripristino della mixitè urbana e dei nuovi usi, ne potrebbero accrescere le valenze ed il loro potenziale economico e produttivo, anche all’interno di un loro ricollocamento effettivo come aree in cui le trasformazioni avvengano in maniera coordinata, con funzioni di scambio o come testate funzionali e di servizi per le aree produttive tradizionalmente intese.
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2. Le azioni per la riqualificazione del paesaggio delle aree produttive Gli obiettivi di qualità paesaggistica sono organizzati secondo un abaco di cinque azioni principali, strutturate come linee guida finalizzate a ristabilire le qualità paesaggistiche nelle aree, distinguendo alla scala delle Comunità di Valle due ambiti specifici: uno relativo alle aree produttive esistenti (riqualificazione e miglioramento) ed uno alle aree produttive programmate (qualità dei nuovi progetti). La metodologia per il riconoscimento delle azioni più idonee in luoghi di riferimento per il contesto trentino è stata dettata da una forte necessità di semplificare il processo ma al tempo stesso di non banalizzarlo, rendendolo capace di adattarsi alle differenti istanze dei vari attori e portatori d’interessi. L’esercizio ha portato alla definizione di cinque passi elementari che al loro interno si rimodulano secondo un numero variabile di sub-azioni possibili, che si pongono come elementi capaci di apportare nuove qualità e nuova linfa al paesaggio delle aree produttive ma anche a quello dei contesti limitrofi.
Figura 7. Le azioni di qualità paesaggistica per le aree produttive esistenti e programmate 1.
(Ri) Naturalizzazione. Nel processo di riqualificazione di un’area produttiva è determinante l’integrazione dell’intervento con gli elementi del paesaggio naturali ed antropici in cui si inserisce, contribuendo al potenziamento della biodiversità e alla realizzazione delle reti ecologiche. Questa necessità coinvolge anche le nuove aree: in tal caso si è parlato d’Inserimento Ambientale, per affermare che tale azione deve lavorare già nella fase progettuale in continuità con le componenti ambientali dei luoghi.
2.
(Ri) Contestualizzazione vuol dire ricostituire le continuità tra elementi sensibili e contesto, attraverso il recupero delle connessioni territoriali e della rete di collegamenti pedonali e dello spazio pubblico. Se l’intervento riguarda nuove aree si è deciso di parlare di Inserimento Urbano per evidenziare oltre al rapporto con le reti, quello con i nuclei urbani limitrofi ed il dimensionamento e organizzazione delle nuove volumetrie.
3.
Mitigazione. Include la casistica comprendente le differenti possibilità d’interposizione di elementi fisicomorfologici utili per mascherare e mitigare le fonti di disturbo ambientale, ottimizzando e incrementando le potenzialità favorite da tali interventi. Nel caso di nuovi interventi si sottolinea l’importanza di lavorare considerando l’Integrazione con le componenti fisico-morfologiche esistenti.
4.
La (Ri)Valorizzazione è ancora una volta legata alle strutture esistenti ma è rivolta in particolare alla rivalutazione del patrimonio storico-industriale (riconcoversione, riuso, cambio di destinazione). Nel caso di nuove aree viene declinata secondo l’Identificazione di sub-azioni legate ad elementi patrimoniali e produttivi (compattazione, gestore unico, perequazione, riconversione futura).
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5.
Il Riequilibrio energetico e ambientale opera sugli edifici esistenti attraverso l’inserimento di sistemi e tecnologie di vario tipo. Per il Progetto energetico integrato quest’azione andrà predisposta già nelle fasi di progetto.
Figura 8. Esempio di azione di Rinaturalizzazione nell’area di Mezzolombardo
Figura 9. Esempio di azione di Ricontestualizzazione nell’area di Tione di Trento
3. Scenari di applicazione delle azioni sui paesaggi in trasformazione: cluster territoriali delle produzioni nelle valli trentine e nelle Comunità di Valle Azioni e “clusters territoriali” condivisi tra le Comunità di Valle Per costituire degli scenari di attuazione delle trasformazioni, individuati attraverso il riconoscimento di particolari clusters territoriali (o distretti geografici) evidenziati durante la costruzione dei quadri conoscitivi (matrici), si sono elaborati degli strumenti orientati alla soluzione di tre livelli principali: localizzazione, riconversione, compattazione. Vincenzo Cribari e Marco Malossini
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Il cluster territoriale o distretto geografico corrisponde al decentramento produttivo di attività e sottintende un processo di doppia convergenza: 1. le grandi imprese decentrano la produzione verso unità produttive più piccole dando luogo a sistemi produttivi regionali a rete. 2. le piccole imprese attuano forme sempre più strette di collaborazione e integrazione per ottenere a livello del territorio l’efficienza che non riescono ad ottenere singolarmente. Nella matrice di lettura e riconoscimento socio-economico-geografica si sono individuate peculiarità dei Distretti geografici/Cluster Territoriali delle produzioni. Alcuni fattori d’interpretazione, che sono stati determinanti nella loro definizione, corrispondono alla tipologia delle produzioni legata allo sfruttamento delle risorse locali, al grado di compattezza, dimensione e diffusione delle aree, al rapporto con le reti infrastrutturali e alla logistica.
I Distretti Territoriali delle produzioni Una prima suddivisione individua tre principali distretti, come parte della proposta metodologica: • Distretti geografici/Cluster Territoriali corridoio (gli ambiti geografici della Val d’Adige, della Vallagarina e della Valsugana) • Distretti geografici/Cluster Territoriali delle produzioni intermedie (gli ambiti geografici delle Basse Giudicarie, della Valsugana) • Distretti geografici/Cluster Territoriali delle produzioni locali (gli ambiti geografici della Val di Sole, della Val di Non, della Val di Fassa, della Val di Fiemme, della Valle di Cembra, della Valle dei Laghi, delle Alte Giudicarie e di Primiero)
Figura 10. Distretti geografici dei Cluster territoriali È importante sottolineare che le previsioni percentuali di crescita di superfici maggiori (in riferimento alla estensione delle aree esistenti nelle Comunità) si hanno nei distretti delle produzioni locali, mentre questa crescita percentuale si riduce nei distretti corridoio. Si è notato che, mentre i distretti storicamente più industrializzati sono interessati da un processo di contenimento e compattazione delle aree produttive, nelle valli laterali e meno industrializzate si potenziano le aree di nuova espansione. Questo comporta che, mentre nei distretti corridoio le azioni progettuali saranno rivolte a progetti di riqualificazione paesaggistica e ambientale, nei distretti delle produzioni locali le azioni progettuali dovranno essere rivolte ai progetti delle nuove aree e quindi al rapporto con il patrimonio paesaggistico locale. Questi ultimi casi potranno rappresentare delle nuove occasioni per generare interventi maggiormente sostenibili per il futuro, in maniera da integrare paesaggio, ambiente e architettura, nelle logiche fondative dei processi economici e di utilizzo delle filiere produttive e di trasformazione delle risorse locali. Vincenzo Cribari e Marco Malossini
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Per aumentare le possibilità reali di miglioramento delle qualità paesaggistiche delle aree produttive è necessario lavorare anche nella direzione di mettere in relazione più Comunità di Valle attraverso le aree produttive che insistono sulle arterie infrastrutturali e naturali di connessione, importanti sistemi nodali per i cluster appena citati.
Strumenti e logiche per la localizzazione e la compattazione più idonea delle aree alla scala della comunità (aree programmate vs. aree esistenti) Uno strumento concettuale preliminare di riflessione può essere individuato nella città mosaico territoriale 4. Il mosaico territoriale è una definizione tipica in ecologia per descrivere l’insieme di unità, le “patch” e gli ambiti diversi dei sistemi naturali. S’interpone il vocabolo “città” e s’intende constatare che insieme alla domanda di qualità ambientale del mosaico territoriale è presente in modo diffuso una domanda di città, intesa come domanda di servizi e accesso alle informazioni secondo i migliori livelli qualitativi offerti storicamente dai contesti propriamente urbani. “Città Mosaico Territoriale” contribuisce alla qualità del paesaggio come sistema a rete. Nell’analizzare la forma spaziale della produzione artigianale ed industriale, ci si rende conto che le proprietà del paesaggio sono determinanti per lo sviluppo qualitativo delle stesse aree, in quanto il paesaggio - inteso come sistema a rete - influenza e caratterizza gli stessi distretti/cluster economici, soprattutto quelli legati alle produzioni ed alla trasformazione delle risorse locali.
Bibliografia Llop Torné, Carles Joan; Jornet, S. (2007)"Llibre d'estil. Sectors d'Activitat Econòmica". Departament de Política Territorial i Obres Públiques de la Generalitat de Catalunya, Institut Català del sòl 1ª Edició Mohsen Mostafavi, Gareth Doherty (2010); Ecological Urbanism, Lars Muller Publishers Charles Waldheim (2006), The Landscape Urbanism Reader, Princeton Architectural Press Brian Hayes (2005), A Field Guide to the Industrial Landscape, W. W. Norton &Company Rania Ghosn (2010), New Geographies, 2: Landscapes of Energy, Harvard Design School Secchi B., Dragone U. (1963), La localizzazione industriale nel Trentino-Alto Adige, Rovereto, Arti grafiche Manfrini, Eugenio Turri (2000), La megalopoli padana, Marsilio, Andrea Leonardi (1996), L’economia di una regione alpina: le trasformazioni economiche degli ultimi due secoli nell’area trentino- tirolese. Trento . ITAS, Ezio Mosna (1927), La conformazione del suolo e la distribuzione dei centri abitati nel Trentino: contributo allo studio poleografico della regione alpina, Studi Trentini – Classe II Scienze Naturali es Economiche - Diretta dal Museo Civico di Storia Naturale - Rivista della Società per gli Studi Trentini - Annata VIII, , Fasc. I.II.) Istituto Nazionale di Statistica (2011), Rapporto ‘Noi Italia, 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo’ Servizio Programmazione Comitato di Sviluppo Provinciale (2010), Programma di Sviluppo Provinciale della XIV Legislatura, Provincia Autonoma di Trento, ISPRA – ATAP (Novembre 2010 )“Ambiente, paesaggio, infrastrutture”, Volume 1
4 Carles Llop (2009),Paisatge en transformaciò. Investigaciò i gestiò, DiBa Serie Territori nº6 Vincenzo Cribari e Marco Malossini
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La forma della città tra progetto urbano e paesaggio
La forma della città tra progetto urbano e paesaggio Chiara Camaioni Sapienza Università di Roma Dottoranda in Pianificazione Territoriale e Urbana, Dipartimento DATA, Email: chiaracamaioni@libero.it
Abstract La crisi della città contemporanea in relazione alla velocità delle trasformazioni spaziali e all’espansione dei suoi confini, porta a riflettere sul tema della “forma della città”. Superata la ricerca del progetto per parti, il lavoro proposto vuole riflettere sulla possibilità di ripensare la forma della città a partire dal concetto di paesaggio come elemento di qualità e aspetto strutturante della forma, indagando il rapporto tra progetto urbano e paesaggio dal punto di vista della progettazione morfologica della città, individuando possibili chiavi di lettura utili ad indagare i contenuti e gli obiettivi dei contemporanei modi di dare forma alla città.
La forma della città Il tema della forma della città, della sua identificabilità come città, occupa una posizione di primo piano nel dibattito urbanistico contemporaneo. Negli ultimi anni le città sono state investite da rapidi processi di crescita insediativa che ne stanno trasformando, in maniera radicale, assetto territoriale e caratteristiche paesaggistiche. Questi nuovi paradigmi insediativi, definiti con locuzioni come città diffusa, nebulosa urbana, marmellata insediativa, campagna urbanizzata, stanno invadendo in maniera dilatata il territorio, attraverso modelli insediativi lontani da quelli utilizzati nella città tradizionale, rendendo sempre più difficile la distinzione tra quello che è città e quello che è campagna. Nuove forme di urbanizzazione che, all’inizio del loro formarsi, hanno presentato alcuni vantaggi come il minor costo delle edificazioni e del suolo o la possibilità per gli abitanti di vivere in case singole con giardino e orto. Tuttavia, l’estendersi di questo territorio urbanizzato ha generato col tempo tutta una serie di fattori negativi, uno tra tutti la perdita di qualità ambientale e di identità dei luoghi 1. Non solo. Un altro aspetto caratterizzante dei nuovi paradigmi insediativi è determinato dall’interazione tra forme e funzioni nettamente diverse e tradizionalmente separate. Dal punto di vista della forma quello che emerge è l’elevata condizione di discontinuità, di ibridazione e di crescente ambiguità semantica. Il risultato fisico è quello di uno spazio non più prospettico, ma articolato in più direzioni e dalla compresenza di più luoghi, uno spazio dal quale non è facile risalire ad un principio organizzativo chiaramente comprensibile. Rispetto a queste tematiche, parte della cultura urbanistica ha assunto una posizione critica muovendosi alla ricerca di strumenti che possano in qualche modo ridefinire la forma “come fatto, anche se non compiuto, quanto meno strutturato” 2 per ridare identità alla città. Mentre da un lato la disciplina urbanistica “sta tentando di lavorare e di dare un senso alla forma urbana” (Castelnovi, 1996-2000) dall’altro, le discipline del paesaggio sembrano in qualche modo meglio comprendere le trasformazioni in atto in una città sempre più diventa sistema complesso e in continua trasformazione e di cui il paesaggio sembra poter includere tutte quelle questioni, quegli 1
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Una perdita d’identità così evidente da poter parlare di “forme di urbanizzazione cui non compete il titolo di città” (Salzano, 2008) perché prive dei suoi attributi specifici come densità, intensità, continuità fisica e gerarchizzazione interna. Cfr: Gisotti M.R., Forma urbana e progetto di paesaggio. Esperienze di pianificazione francese. Disponibile su: http://www.fupress.net/index.php/mac/article/view/
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La forma della città tra progetto urbano e paesaggio
elementi, quegli spazi che l’urbanistica ha difficoltà a ri-inserire nella struttura della città, come le aree di margine urbano, i residui, gli interstizi, i luoghi abbandonati, in non-luoghi 3, ma comunque luoghi del “potenziale” in cui si trova il motore della trasformazione e della progettazione della forma della città. Tentare di ri-definire la forma, di rintracciare un’identità nelle nuove forme urbane, porta la disciplina a riflettere sulla possibilità di ripensare il progetto urbano a partire dal concetto di paesaggio inteso come indicatore sintetico della qualità e aspetto “strutturante” della forma. Partendo dal concetto di paesaggio così come definito dalla Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze 2000; ratificato dall’Italia nel 2006) e dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.lgs 42/2004 e s.m.i.), che ne promuovono una nuova concezione, intendendolo come “espressione dell’intero territorio così come vissuta, percepita e condivisa dalle popolazioni e quindi espressione della loro identità”. Paesaggio inteso dunque come rappresentazione sociale, un’immagine che dipende dai significati che le popolazioni attribuiscono all’ambiente di vita, riconoscendogli un valore. La forma della città ri-cercata e ri-pensata, quindi, a partire dal concetto di paesaggio; concetto più adatto ad essere da supporto alla revisione progettuale necessaria all’organizzazione dei nuovi paradigmi insediativi, perché più espressivo di quelle dinamiche a cui deve essere affidata la costruzione di un rinnovato “senso del luogo”.
La ridefinizione del processo progettuale: tra progetto urbano e paesaggio La velocità delle trasformazioni che stanno formando i nuovi paradigmi insediativi richiede, in un certo senso, la necessità di individuare nuovi metodi di progettazione morfologica per l’individuazione di nuove forme di città. In questa direzione il paper tenta di indicare alcune direzioni percorribili per nuovi modelli di sviluppo urbano e nuovi strumenti operativi, attraverso la presentazione di un caso di studio, individuando due questioni fondamentali: da un lato la necessità di ri-definire il discorso sulla forma della città attraverso la pratica del progetto urbano; dall’altro il ricorso allo “strumento” del paesaggio. L’incapacità di comprendere appieno i nuovi paradigmi insediativi, sempre più complessi, richiede la necessità di definire pratiche progettuali, operative, che contemplino la possibilità di ri-progettare la città attraverso azioni mirate, con l’obiettivo di ridare identità ai luoghi. In tal senso si riconoscono le specificità del “projet urbain”, inteso alla francese, le cui caratteristiche principali sono rintracciabili a partire dalla sua pertinenza ad operare sugli spazi della città, nella ridefinizione della forma. In particolare, il “projet urbain” viene letto e analizzato, nel caso di studio proposto, come strumento capace di articolare alle diverse scale e in tempi di realizzazione diversi gli aspetti formali, spaziali e sociali dell’intervento urbanistico, sia attraverso l’organizzazione prettamente morfologica dello spazio, sia mediante processi capaci di tener conto delle trasformazioni nel tempo. In questa direzione l’esperienza dei “projet urbain” appare piuttosto utile per descrivere le potenzialità di questo strumento di ridare forma alla città, attraverso l’attenzione al genius loci, la considerazione della componente temporale nel processo di ri-costruzione della forma della città, la previsione di una mixitè degli usi con particolare attenzione alla complessità sociale, tipologica e paesaggistica 4. È interessante, inoltre, notare come per affrontare le problematiche relative ai territori della contemporaneità, gli spunti più interessanti provengono dalle discipline paesaggistiche, che sembrano in un certo senso apportare un terreno più fertile per l’elaborazione di strategie di evoluzione processuale nel progetto della forma urbana. Più in generale, l’efficacia delle discipline del paesaggio nell’affrontare il tema della forma della città è individuata in alcune tematiche quali: la capacità con il progetto di attraversare tutte le scale e mettere in relazione il territorio più naturale con lo spazio urbano; la capacità di lavorare sugli spazi vuoti, aperti e interstiziali operando attraverso il progetto di paesaggio inteso anche come progetto di spazio pubblico; la capacità di recuperare gli elementi della memoria e le permanenze attraverso il radicamento del progetto a partire dall’identità dei luoghi; la capacità di lavorare in sinergia con le altre discipline urbane relative a mobilità, architettura, progettazione urbana 5. In questo modo il paesaggio diventa la “strategia” per ripensare il progetto della forma della città contemporanea, “portatore di idee e di forme, (…) si presta al difficile compito della definizione dell’abitare contemporaneo (…)” (Mininni, 2006) 6. In questa direzione molti sono gli apporti al progetto urbano che, in un’ottica più operativa, hanno percorso la strada del paesaggio per dare risposta al “bisogno di forma della città”, sviluppandone alcuni aspetti peculiari soprattutto rispetto la possibilità di riqualificare e ridisegnare le forme “disperse” della diffusione insediativa attraverso la valorizzazione degli spazi aperti che assumono valenza estetica, ambientale e funzionale, definendo i nuovi spazi dell’identità. Questo tipo di approccio ha trovato non poche sperimentazioni nell’urbanistica 3
Cfr: Carlone G., “Posizionarsi nel dialogo contemporaneo”, in Tra Urbanistica e Paesaggio: elementi per il progetto della città, Relazione alla XXXII Conferenza Italiana di Scienze Regionali AISRe, Il ruolo delle città nell’economia della conoscenza, tenutasi a Torino, 15 /17 Settembre 2011. 4 Cfr: Palazzo E., (2010). Il Paesaggio nel Progetto Urbanistico. Disponibile su: http://www.esempidiarchitettura.it/ 5 Ibid. 6 Op. cit. Carlone G. Tra Urbanistica e Paesaggio: elementi per il progetto della città … Chiara Camaioni
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La forma della città tra progetto urbano e paesaggio
europea, in particolare in quella francese. In questo contesto si stanno sperimentando pratiche di progettazione urbana in stretto rapporto con il contesto paesaggistico, sia che si tratti di nuovi insediamenti, sia che si tratti di riqualificazione e rivalorizzazione dei luoghi esistenti. Si è delineata in tal senso la necessità di individuare quali possano essere, effettivamente, i contributi che questo orientamento offre agli strumenti operativi del progetto, quali presupposti teorici e culturali, quali siano state le direzioni che questa attitudine ha intrapreso e con quali modalità.
Il caso di Bordeaux Le politiche di rinnovo urbano, sostenute dalla legge SRU (Solidarité et Renouvellement Urbain) per contenere l’urban sprawl, mirano a ricostruire la città su se stessa. In questa direzione, spazi aperti, aree dismesse, aree interstiziali e vuoti urbani diventano i grandi temi dello sviluppo nella ricerca della forma della città. La città di Bordeaux si è impegnata sin dalla fine degli anni ’90 in grandi progetti di riqualificazione urbana che coinvolgono le tecniche del Landscape Urbanism (Ascher, 1995), attraverso le quali il paesaggio diventa strumento di progetto per ridefinire la forma della città garantendone qualità della vita e identità urbana. A distanza di anni dall’inizio dell’impegnativo processo di trasformazione urbana della città di Bordeaux, è possibile effettuare una riflessione complessiva su temi e progetti, in qualche modo decisivi, per il ri-disegno della forma della città e dell’identità locale. In questa direzione, diverse sono state le operazioni effettuate, per indirizzare e gestire le necessarie trasformazioni della città in maniera organica ed integrata e che fanno riflettere sull’importanza attribuita al paesaggio nella costruzione del nuovo progetto urbano. Nel 1996 viene presentato il “Projet Urbain pour la ville de Bordeaux”, composto da un programma articolato da diverse azioni strategiche e esplicitamente orientato alla definizione di una nuova forma urbana, per la riconfigurazione del paesaggio di Bordeaux. Tra gli obiettivi specifici del progetto urbano, organizzati attraverso un piano degli spazi e la loro capacità di trasformazione nel tempo, sono previsti la riqualificazione degli spazi aperti, il “ricongiungimento” della città tradizionale compatta e quella contemporanea diffusa con l’ambito fluviale, la riconversione dei siti industriali dismessi e gli interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente. La definizione di un piano complesso (schéma directeur) e di un abaco degli interventi, ha permesso l’attuazione di tutto un processo di riqualificazione dei margini urbani territoriali per ridare forma alla città, attraverso il progetto di paesaggio concentrato su due aspetti fondamentali: la messa in rete di spazi aperti e la loro trasformazione in “spazi dell’identità cittadina”.
La carta dei paesaggi Un’importante innovazione culturale per la trasformazione del paesaggio urbano di Bordeaux è quello offerto dalla Charte des Paysages, elemento essenziale del Piano del Verde in atto a Bordeaux, come parte integrante della definizione del progetto urbano. La carta definisce infatti il disegno della futura forma della città di Bordeaux, tenendo degli elementi caratterizzanti e delle identità della città, attraverso la definizione di due livelli funzionali integrati: un primo livello strategico che contempla una visione più globale del paesaggio urbano bordolese, definendo anche linee guida e obiettivi strategici di trasformazione; e un secondo livello più operativo, utile guida per progettisti e tecnici, che definisce un abaco dei materiali, delle specie e delle modalità di combinazione per tutte le categorie degli spazi aperti. Approccio innovativo e unico che, attraverso il progetto di paesaggio, definisce un progetto ambizioso volto a sviluppare la nuova forma della città Bordeaux attraverso l’individuazione e l’utilizzo dei caratteri identitari.
Il collegamento in rete degli spazi aperti Le dinamiche della popolazione di Bordeaux negli ultimi venti anni sono state caratterizzate da una ripresa sostenuta della crescita della popolazione della città centrale, e addirittura nel primo anello associato ai limiti della Comunità Urbana di Bordeaux (CUB). Dal 1982 la città di Bordeaux continua a perdere residenti. Nel periodo 1999-2006, la popolazione inizia pian piano ad aumentare (1% per anno), contribuendo a far aumentare allo stesso tempo la periferia (al di la della CUB) con una crescita particolarmente forte della popolazione nelle
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città che si trovano oltre le aree di MasterPlan individuate dallo SDAU 7 (5% all’anno). L’espansione urbana continua e si diffonde sempre più diffusamente in tutta la Gironda 8. Per migliorare la frammentazione urbana della città, il progetto urbano di Bordeaux si organizza secondo temi conduttori e strutturanti che si intrecciano e si supportano a vicenda nella progressiva definizione delle trasformazioni, come la sistemazione e la continuità dello spazio aperto e l’individuazione di “grandi paesaggi” che si estendono nel cuore della città. Lo Schémas de la Cohérence Territoriale 9 (SCOT) di Bordeaux (2001) avviato dallo SDAU (1992) mette in campo un nuovo approccio di progetto di paesaggio per ridare forma alla città, basato sui principi dell’ecologia del paesaggio, oltre all’uso dello spazio aperto inteso come “pausa urbana”. Il paesaggio, dunque, viene utilizzato come elemento strutturante della città, come “principio ordinatore della forma” (Ascher, 1995). La struttura del paesaggio prevista nello SCOT (figura 1) propone un disegno che crea continuità territoriale tra gli spazi naturali e il costruito, attraverso tutta una rete formata da corsi d’acqua, strade e percorsi ripensati come infrastrutture verdi e reti ambientali, il tutto collegato al progetto di cintura verde che abbraccia e penetra l’area urbana.
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Lo Schèma Directeur d’Amènagement et d’Urbanisme (SDAU) è stato introdotto dalla legge LOF (loi d’orientation foncè) ed è principalmente responsabile della pianificazione della crescita urbana e della programmazione delle attrezzature necessarie; non ha carattere normativo, ma solo valore di documento orientativo, definendo una serie di azioni da effettuarsi nel tempo, a scala vasta e a lungo termine. Dipartimento francese della regione Aquitania con capoluogo la città di Bordeaux. Il nome del dipartimento deriva dal nome dell’estuario fluviale del corso d’acqua formato dai fiumi Dordogna e Garrona, che confluiscono a valle di Bordeaux. Gli Schémas de la Cohérence Territoriale (SCOT) sono piani di inquadramento di area vasta che ricevono competenze più ampie rispetto agli Schémas Directeurs (SDAU), sono più normativi. Sono elaborati dalle associazioni intercomunali volontarie e preposti ad integrare pianificazione urbanistica e piani di settore.
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Figura 1. La “struttura del paesaggio” prevista dallo SCOT Principi che vengono ripresi nella progettazione del Plan Local d’Urbanisme 10 (PLU) che rientra nell’ambito del quadro normativo e nel programma delle politiche urbane e che pone particolare attenzione alla progettazione degli spazi aperti. Nel PLU, il progetto del verde (figura 2) sostituisce la cornice paesaggistica prevista dallo SCOT, con una visone più normativa in materia di uso del suolo e dei vincoli ambientali. Esso rappresenta un progetto di “sistema del verde” (nella concezione spazio/tempo), sostitutivo del “sistema parco” previsto dagli SCOT, che mette in rete e collega tutti gli spazi “vuoti” della città. L’intento non è solo quello di proteggere le aree con valore ambientale riconosciuto, ma anche mantenere la continuità e il movimento di tutte le specie naturali attraverso il restauro, la riabilitazione, la tutela e la gestione degli habitat essenziali alla loro 10
Il Plan Local d’Urbanisme (PLU) è uno strumento urbanistico a scala comunale. Per la elaborazione del PLU, che si configura come il progetto urbano della municipalità, si richiedono alle amministrazioni locali, e alle loro agenzie tecniche, alcuni passaggi chiave obbligatori quali: una fase preparatoria di accurata diagnostic urbaine; la elaborazione di un progetto globale per il territorio comunale (PADD: Projet d’Aménagement et de Développement Durable) che deve individuare gli obiettivi strategici del comune, in particolare in tema di riqualificazione urbana, trasporti, difesa della diversità commerciale dei quartieri, paesaggio, ambiente, tutela dei beni architettonici, eventuali progetti in deroga (ZAC - Zones d’Aménagement Concerté) che non possono più essere approvati in sequenza incrementale, ma inseriti nel progetto globale della municipalità e compatibili con le indicazioni dello SCOT; la predisposizione delle norme tecniche di attuazione e la cartografia e gli allegati.
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riproduzione. Questi corridoi, inoltre, assumono molteplici funzioni come la ricreazione, l’educazione ambientale e la gestione degli ecosistemi e contribuiscono alla qualità della vita degli abitanti delle città con valore principalmente sociale (Clergeau, 2007).
Figura 2. Il PLU del verde – “Una città più verde e più sostenibile” Ruolo fondamentale nella definizione della nuova struttura urbana e del rapporto con il fiume è dato dal disegno degli spazi aperti lungo il Garonna. Con la dismissione delle aree industriali, legate al vecchio porto fluviale, è diventato necessario riconfigurare l’intera fascia fluviale, trasformandola in un sistema di spazi ibridi, quais jardinés, di contaminazione tra la città consolidata e gli ambiti più naturali del fiume. Il progetto di paesaggio proposto fornisce, dunque, una sintesi dell’immagine del paesaggio urbano futuro di Bordeaux.
Conclusioni Esempi di sviluppo come questo mostrano l’importanza data al paesaggio nei progetti di riqualificazione urbana. Quello che è emerso è che l'approccio del paesaggio è particolarmente ben adattato alla dimensione territoriale della città contemporanea in quanto favorisce legami tra quello che è città e quello che è campagna. Il progetto di Chiara Camaioni
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paesaggio è dunque un modo “per cercare di risaldare gli spazi tra di loro e farli comunicare meglio con l'ambiente naturale e rurale, (…) stabilire corrispondenze tra la città ed i sistemi rurali o naturali, che forniscono il quadro e che contribuiscono a dare la sua forma” (Sgard, 2003). Non solo. Al di la della comprensione del rapporto tra progetto urbano e paesaggio, quello che si rileva importante nel caso di studio proposto è l’approccio operativo/procedurale del processo progettuale. Il caso della città di Bordeaux designa la scala intercomunale come necessaria e preliminare alla realizzazione di una pianificazione coerente, la cui gestione avviene attraverso la creazione di organismi sopra-comunali e l’introduzione di due nuovi documenti urbanistici: il PLU (Plan Local d’Urbanisme) a scala comunale, e lo SCOT (Schémas de la Cohérence Territoriale) a scala dell’agglomerazione. Necessità dettata dall’esigenza si introdurre meccanismi che garantiscano scelte democratiche condivise, attraverso processi di partecipazione. L’utilizzo del projet urbain, progetto con caratteristiche di progetto strategico, con il compito di mediare una buona articolazione tra scala della città e scala dell’agglomerazione, partendo sia dall’una che dall’altra, con l’obiettivo di tradurre le strategie derivanti dagli altri piani (economiche e sociali) in espressioni spaziali 11. Il progetto urbano rappresenta dunque uno strumento che prende in considerazione gli aspetti morfologici, identitari e funzionali della città, in coerenza con gli obiettivi strategici. Questo costituisce un’importante novità per la pianificazione strategica, in quanto la dimensione formale, legata più prettamente alla morfologia urbana, appare come essenziali e come tale deve essere presa in considerazione sin dall’inizio del processo di pianificazione e dunque anche a scala vasta. L’introduzione in questo documento di elaborati cartografici e disegni urbani diventa, inoltre, apporto qualitativo del processo progettuale, avente come conseguenza una ulteriore chiarezza nella definizione degli obiettivi da raggiungere per ridare forma alla città. Questo nuovo apporto corrisponde anche ad una nuova considerazione della città come entità unica, dai diversi aspetti e dalle diverse identità, tutti in relazione con la forma urbana. Per questo il progetto urbano può essere definito come “l’insieme delle azioni miranti a modellare la forma della città ed il paesaggio ed a promuoverne la sua leggibilità” (Bouinot, 2002) in previsione della nuova forma.
Bibliografia Libri Ascher F. (1995), Metapolis, ou l’avenir des villes, Odile Jacob, Paris. Bouinot J. (2002), La ville competitive. Les clefs de la nouvelle gestion urbaine, Economica, Paris. Clergeau P. (2007), Une écologie du paysage urbain, Ed. Apogee, Rennes. Ingallina P. (2004), Il progetto urbano. Dall’esperienza francese alla realtà italiana, Franco Angeli, Milano. Yannis T., Volker Z. (2007), Anatomie de projets urbains: Bordeaux, Lyon, Rennes, Strasburgo, Editions de la Villette, Paris. Corboz A. (1998), “Verso la città territorio”, in Corboz. A., Viganò P. (a cura di), Ordine sparso: saggi sull’arte, il metodo, la città e il territorio, Milano, Franco Angeli, pp. 214 - 218. Sgard J. (2003), “Les systèmes naturels et agricoles comme cadres et réponses à la conception des espaces urbains et à la maîtrise des étalements”, in APUMP, IET, La Ville étalée en perspectives, Nimes, Champ social, pp. 236-239. Articoli Mininni M. (2006), “Storie di paesaggi abitati e nuove idee di abitabilità”, in Atti del Convegno INU, Il ruolo del progetto urbanistico nella riqualificazione della città contemporanea, Genova 22 – 23 Giugno A’URBA (1976), Les coulées vertes dans le SDAU et les POS, Agence d’urbanisme, Bordeaux. SY-SDAU, A’URBA (2001). Révision du schéma directeur de l’aire métropolitaine bordelaise, Rapport de présentation. Pessac en direct, n° 53, 2004; n°58, 2005. PLU- Plan Local d’Urbanisme de la Communauté Urbaine de Bordeaux, approuvé le 21 juillet 2006: rapport de présentation, PADD, orientations d’aménagement. Siti web Carlone G. (2011), Tra Urbanistica e Paesaggio: elementi per il progetto della città. Materiali della XXXII Conferenza scientifica annuale AISRE, Il ruolo della città nell’economia della conoscenza, Torino 15-17 Settembre 2011, disponibile su AISRE. Associazione Italiana di Scienze Regionali, archivio conferenza 2011, raccolta contributi http://www.inter-net.it/aisre/minisito/CD2011/pendrive/Paper/Carlone.pdf Castelnovi P. (1996-2000), Urbanità: temi, programmi e politiche per la qualità del paesaggio urbano. Materiale tratto dal sito Landscape For, ideato e gestito da Paolo Castelnovi, disponibile su Lanscapefor, sezione “Indagini e Teorie – sul campo per gestione” 11
Cfr: Ingallina P., (2004). Il progetto urbano. Dall’esperienza francese alla realtà italiana. Milano, Franco Angeli, p.50.
Chiara Camaioni
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http://www.landscapefor.eu/index.php?option=com_k2&view=item&id=70:urbanità-temi-programmi-epolitiche-per-la-qualità-del-paesaggio-urbano&Itemid=129 Gisotti M.R. (2009), Forma urbana e progetto di paesaggio. Esperienze di pianificazione francese. Materiali del volume Macramè 2-2008, disponibile su Macramè. Trame e ritagli dell’urbanistica, rivista del Dottorato in Progettazione Urbanistica e Territoriale dell’Università di Firenze http://www.fupress.net/index.php/mac/article/view/2294/2214 Palazzo E. (2010), Il Paesaggio nel Progetto Urbanistico. Materiali del progetto EDA. Esempi di architettura, rivista internazionale di architettura, disponibile su EDA. Esempi di Architettura, sezione "e-book" http://www.esempidiarchitettura.it/ebcms2_uploads/fckeditor/file/Il%20paesaggio%20nel%20progetto%20urban istico(1).pdf Salzano E. (2008), A proposito di città dispersa. Materiale disponibile su Eddyburg, Le mie opere, sezione “scritti - interventi e relazioni” http://eddyburg.it/article/articleview/535/0/15/
Chiara Camaioni
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Sviluppo sostenibile lungo le aree costiere euro-mediterranee: una questione di paesaggio?
Sviluppo sostenibile lungo le aree costiere euro-mediterranee: una questione di paesaggio? Emma Salizzoni Politecnico di Torino Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio Email: emma.salizzoni@polito.it
Abstract A più di dieci anni dalla emanazione della Convezione Europea del Paesaggio, le politiche per il paesaggio stentano a trovare un’applicazione efficace, in Europa come in Italia. Nel nostro Paese, l’integrazione dei temi paesaggistici nelle politiche di pianificazione territoriale - via privilegiata per garantire una “cura” diffusa del paesaggio - è ancora poco efficacemente attuata. Eppure, proprio il paesaggio - inteso come oggetto, ma anche e soprattutto come strumento - può fornire un importante sostegno concettuale e operativo per lo sviluppo di politiche territoriali sostenibili. Ciò è tanto più vero lungo le aree costiere euro-mediterranee, dove emerge evidente il conflitto tra esigenze di conservazione e sviluppo. Il paper si propone di evidenziare alcuni temi operativi che dovrebbero caratterizzare politiche territoriali di pianificazione in area costiera dotate di “congruenza paesaggistica”, evidenziando, attraverso di essi, anche l’apporto che in termini generali il paradigma paesaggistico può fornire alla definizione di politiche di pianificazione territoriale sostenibili.
Paesaggio come riferimento operativo per politiche territoriali sostenibili Nonostante la loro crescente “attualità” (Gambino, 2005) 1, i temi paesaggistici - ormai pervasivi dei dibattiti sul governo del territorio a livello internazionale come nazionale - stentano a passare dallo stato di enunciati teorici a quello di pratiche efficacemente implementate. A scala europea, infatti, l’attuazione della Convenzione Europea del Paesaggio, CEP (2000) pare ad oggi ancora debole e frammentaria, anche a causa dell’assenza di una politica autonoma dell’Unione Europea per il paesaggio (Voghera, 2011). Entro tale contesto, l’Italia non spicca per operatività. Nel nostro Paese i principi della CEP - per quanto recepiti dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (2004 e s.m.) 2 - non trovano ancora un’effettiva attuazione, prevalendo due evidenti e opposte tendenze: una tutela passiva del patrimonio paesaggistico, sconfinante nella sua museificazione, e una totale carenza di attenzione verso i valori paesaggistici e i relativi rischi che politiche di sviluppo del territorio possono comportare (Lanzani, 2011; Paolinelli, 2011) 3. Tra queste due vie, fatica ad affermarsi la terza, propugnata dalla CEP, ossia quella relativa ad una “cura” diffusa di tutto il paesaggio (attraverso politiche di conservazione, ma anche di gestione e pianificazione, CEP, artt. 1, 5 e 6), da considerarsi come bene comune, base dell’identità e 1
Riconducibile non solo alle sempre più pressanti istanze di ordine ambientale, ma anche ad una crescente e “disperata ricerca di identità e senso dei luoghi” (Gambino, 2005). 2 Pur con alcune importanti variazioni: il Codice, infatti, trascura alcuni concetti nevralgici della CEP, quali la valenza economica del paesaggio, o il ruolo di primo piano giocato dalle popolazioni nelle definizione delle politiche di pianificazione e gestione paesaggistica (Peano, 2011). 3 Si tratta delle due linee evolutive, individuate da Lanzani, che hanno contraddistinto ad oggi gli atteggiamenti verso il paesaggio nelle politiche di governo del territorio italiano: quella che ha dato luogo a “paesaggi cartolina, tutelati o di nuova formazione” e quella che ha generato, invece, “ammassi edilizi senza paesaggio” (Lanzani, 2011; p. 95). Due tendenze (“il paesaggio illusoriamente conservato sotto la campana di vetro della tutela passiva e quello profondamente trasformato nelle condizioni improprie della assenza di fondate motivazioni e/o di adeguate modalità (…)”), espressione dell’evidente “paradosso etico” entro cui è attanagliata, secondo Paolinelli, la società attuale, incapace di “considerare il paesaggio come risorsa, come patrimonio essenziale, come complesso insieme interagente di capitali” (2012; p. 50). Emma Salizzoni
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del benessere delle popolazioni 4. Si tratta di una via che, visto il carattere della risorsa paesaggio - che sappiamo nascere “entro e dal territorio” (Gambi, 1986), frutto dell’interazione tra fattori naturali e antropici (dinamiche economiche, sociali, culturali) - non può che essere percorsa integrando in modo sistematico i temi paesaggistici nelle pratiche di governo ordinario del territorio, ossia “nella pianificazione e nella programmazione territoriale, generale e di settore, ad ogni livello istituzionale” (Paolinelli, 2011; p. 52). È quanto indica la stessa CEP (art. 5), “l’unica ipotesi percorribile”: “il paesaggio non può essere scisso dal progetto urbanistico, ma neppure dal programma economico che lo sottintende” (Zoppi, 2011; p. 83) 5. A sostegno di una integrazione del paesaggio entro le politiche di governo del territorio 6 - ancora inefficace nel nostro Paese (Paolinelli, 2011) - non vi sono però solo le citate ragioni di “necessità” (paesaggio come bene comune) e “adeguatezza” (paesaggio come sintesi di “economia” e “natura”, inscindibile dal progetto urbanistico), ma anche di “opportunità”: è infatti riconosciuta la potenzialità del paesaggio sia come indicatore di sviluppo sostenibile (Manzi, 2000 7; Molesti, 2008), sia come mezzo - o forse condizione - per raggiungerlo. Come ricorda lo stesso Preambolo della CEP, infatti, il paesaggio “svolge importanti funzioni di interesse generale” su differenti piani (“culturale, ecologico, ambientale e sociale e costituisce una risorsa favorevole all'attività economica”). Si tratta di una “multifunzionalità” tipica (e unica) dell’oggetto paesaggio - inteso qui come paesaggio-prodotto 8 - che, fa sì che porre al centro della pianificazione territoriale il paesaggio, prendersene “cura”, rispondendo dunque ad obiettivi di qualità paesaggistica (tramite piani territoriali che qui definiamo come “paesaggistici”, ossia dotati di “congruenza paesaggistica” 9), può portare a rispondere in modo efficace anche ai molteplici obiettivi dello sviluppo sostenibile 10. Peraltro, lo stesso concetto di paesaggio, se assunto come categoria operativa di riferimento - dunque in questo caso in quanto paesaggio-strumento - contiene in sé indicazioni operative per un approccio (che possiamo definire, appunto, “paesaggistico”) al governo del territorio efficacemente indirizzato verso obiettivi di sviluppo sostenibile. Anzitutto, l’accezione olistica del paesaggio (sintesi di aspetti ecologici, socioeconomici e culturali), alla base della sua già citata multifunzionalità, induce a portare uno sguardo “complesso” sulla realtà e sul progetto, quanto mai necessario nello sviluppo di politiche “sostenibili”, che richiedono, appunto, un approccio multidisciplinare 11. Il significato, inoltre, del paesaggio come bene collettivo (CEP), porta a porre al centro della definizione delle politiche il tema delle risorse, dei relativi valori (naturali e culturali) e dei rischi connessi ai processi di trasformazione, inducendo a ricercare un uso responsabile delle risorse (proprio dello sviluppo sostenibile), se non addirittura un “limite” allo sviluppo. Il carattere poi di “sistema” del paesaggio - “luogo dove si esprimono quei rapporti strutturali e funzionali (…) fra processi interagenti (…)” (Romani, 2008; p. 46) - porta a concentrare l’attenzione sulle relazioni tra gli elementi componenti il sistema, piuttosto che sugli elementi stessi, contribuendo dunque alla definizione di politiche di sviluppo sostenibile “territorializzate” (che superino così non solo la logica della tutela puntuale, ma anche della zonizzazione omogenea). Riconoscere, in più, nel paesaggio un’entità dinamica 12, frutto della costante evoluzione dell’interazione tra fattori naturali e culturali, porta a considerare entro le politiche territoriali il fattore “tempo” (e dunque le dinamiche evolutive cui sono soggetti i fattori spaziali), anche mitigando quel concetto di “limite” allo sviluppo, sopra citato, e integrandolo ai fini di un reale equilibrio tra conservazione e sviluppo. Considerare, infine, il paesaggio come frutto (anche) di processi socioeconomici e culturali, induce a 4
“Le politiche per il paesaggio non sono quelle per ciò che è bello, né per quanto è panorama, bensì sono le politiche per l’abitare” (Paolinelli, 2012; p. 53). 5 In tale prospettiva è pertanto “indispensabile che la contrapposizione economia/ecologia debba dissolversi e lasciare il posto ad una concezione unificata che consideri assieme i dinamismi economici e paesaggistici” (Romani, 2008; p. 202). 6 Sulle quali questo paper si concentra, tralasciando il tema dell’integrazione nelle politiche settoriali, pur prevista dalla CEP. 7 Secondo Manzi “(…) landscape is an excellent indicator of sustainability or unsustainability”, peraltro particolarmente affidabile: “It can, in fact, be seen, anyone can observe it. It is reliable, direct and not easy to manipuate, while other indicators can be falsified or altered to ensure results that satisfy whoever commissions the survey” (Manzi, 2000; p. 79). 8 Per una trattazione dei concetti di “paesaggio-prodotto” e “paesaggio-strumento”, si veda Ferrario, 2011. 9 Nella accezione di Paolinelli, piani che “pratichino un piena consapevolezza conoscitiva e propositiva degli effetti che le loro politiche e le azioni previste per attuarle potranno indurle sui paesaggi dei territori circostanti” (Paolinelli, 2011; p. 30). 10 “(...) The fact is that by taking care of the landscape we simultaneously promote communal well-being, safeguard the environment and protect economic activity. All four ingredients of sustainable development (social, ecological, economic and cultural improvement) are thus involved here” (CoE, 2006; p. 11, p. 17). 11 “Landscape is holistic, or it is nothing (...). It cannot be understood or managed except through an integrated, multydisipinary approach, which embraces all its ecological, economic, cultural and social components” (Phillips, 2005; p. 21). Tale carattere olistico è una qualità “relevant to sustainable development, which can only be achieved by connecting (or reconnecting) people and nature, and which demands multi-disciplinary approaches. In this sense, landscape is not only an environmental resource in its own right but also a medium through which to pursue sustainable development” (ibidem). 12 Già nel 1968 Bertrand lo descriveva come “combinazione dinamica, perciò instabile, di elementi fisici, biologici e antropici che, reagendo dialetticamente gli uni sugli altri, fanno del paesaggio un insieme unico e indissolubile in perpetua evoluzione” (in Cassatella, 2005; p. 8). In esso “(…) ogni concetto di staticità è bandito (…)” (Zoppi, 2003; p. 4). Emma Salizzoni
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individuare e agire sulle dinamiche antropiche che sono alla base dell’organizzazione spaziale del territorio (il paesaggio-prodotto) 13, convogliando l’attenzione sui soggetti e dunque sulle componenti socioeconomiche e culturali dello sviluppo sostenibile 14.
Per una congruenza paesaggistica delle politiche di pianificazione territoriale nelle aree costiere euro-mediterranee Se dunque considerare entro la pianificazione territoriale il paesaggio è sempre auspicabile nell’ottica della definizione di politiche sostenibili (“non da solo, perché non esaustivo, ma presente, poiché necessario”, Paolinelli, 2001; p. 48), ciò risulta tanto più opportuno lungo le aree costiere, in particolare euro-mediterranee (e, nello specifico, lungo l’area costiera dei Paesi componenti il cosiddetto “arco latino” - Spagna, Francia, Italia ambito geografico di riferimento di questo paper). Qui infatti emergono oggi in modo evidente le sfide poste dal binomio conservazione-sviluppo: agli alti valori paesaggistici si accompagna una elevata pressione antropica (residenti e turisti), che è destinata a crescere ulteriormente nel prossimo decennio (Benoit, Comeau, 2005), accentuando il complesso quadro di processi critici già in atto almeno dagli anni Sessanta 15 e riconosciuti dalle politiche internazionali 16. È tale il livello di criticità raggiunto in questi ambiti da far sostenere che è proprio qui che si misura “la capacità della società locale di formulare un progetto di territorio sostenibile” (Carta, 2007; p. 22), che si pone dunque per le politiche di governo del territorio una difficile scommessa, non più differibile (Bonapace, 1997). Un approccio “paesaggistico” alla pianificazione territoriale – oltre che, nello specifico, alle politiche di Gestione Integrata delle Zone Costiere, GIZC (prospettiva, questa, peraltro non scontata 17) - può contribuire a rispondere agli obiettivi di sviluppo sostenibile in queste aree. Di seguito si segnalano pertanto, in sintesi, alcuni dei paradigmi operativi che si ritiene dovrebbero caratterizzare una pianificazione territoriale che possa dirsi “paesaggistica” (a scala vasta, come urbana) nelle aree costiere euro-mediterrane. Tali paradigmi, connessi ad alcuni caratteri specifici del paesaggio costiero (paesaggio “consumato”, “interrotto”, “iperdinamico”, “divaricato”), costituiscono anche una declinazione caso-specifica di quei temi operativi generali, sopra richiamati, che caratterizzano un approccio “paesaggistico” al governo del territorio, costituendo dunque una esemplificazione del contributo che il paesaggio può fornire alla definizione di politiche di pianificazione territoriale e urbana sostenibili. A sostegno dei diversi paradigmi operativi sono riportate alcune esperienze di pianificazione e gestione condotte entro tre aree protette costiere (tre Parchi Regionali) situate lungo la costa di Spagna, Francia e Italia, che si ritiene possano costituire un utile riferimento per la definizione di strategie di sviluppo sostenibile non solo per le aree costiere protette, ma anche per quelle non protette 18. 13
D’altra parte, ricordiamo, il paesaggio, essendo “la risultante delle relazioni mutevoli nello spazio e nel tempo di sistemi di forze eterogenee, di tipo ambientale, sociale e economico”, non si pianifica e non si progetta (Paolinelli, 2011; p. 37): “non possiamo gestire le ombre [ossia il paesaggio], ma chi le produce”, ricorda Farina (2006; p. 107). E per far questo, è necessario passare attraverso le politiche di governo del territorio (Cassatella, 2002; Cassatella, Gambino, 2010; Zoppi 2011). 14 Anche promuovendo efficacemente metodi partecipativi per una condivisione delle scelte: sono diversi infatti gli autori (Ferrario, 2011; Castiglioni, 2011; Castelnovi, 2000) che individuano nel paesaggio uno strumento privilegiato di “mediazione culturale” tra “esperti” e popolazioni. 15 Tra questi, la costante estensione dell’urbanizzazione costiera - tipicamente lineare - gioca un ruolo di primo piano, relazionandosi ad una serie di ulteriori criticità (tra cui l’inquinamento delle acque marine litoranee, l’artificializzazione delle aree a spiaggia e delle aree umide, il consumo di suolo agricolo, l’abbandono delle aree rurali e insediate dell’entroterra), che si manifestano in modo simile lungo le coste di Spagna, Francia e Italia. 16 In particolare, dal Protocollo sulla Gestione Integrata delle Zone Costiere nel Mediterraneo, 2008 (UNEP, MAP, PAPRAC), o, ancor prima, dalla Carta del Paesaggio Mediterraneo, 1993 (Regioni Andalusia, Languedoc-Roussillon, Toscana). 17 Le politiche internazionali per la promozione della GIZC hanno sempre considerato in modo marginale i temi paesaggistici, rispetto a quelli naturalistici e socioeconomici. Solo nel 2006 veniva infatti rilevato, nell’ambito dello stesso MAP (Mediterranean Action Plan), come: “coastal landscapes of the Mediterranean have never been studied or elaborated in the MAP projects per se. (...) The existing landscape specific methodologies and concepts (...) have not been introduced or taken into account (...)” (UNEP, MAP, PAP/RAC, 2006, p. 1). Significativa di una crescente apertura del MAP ai temi paesaggistici è la recente “sterzata” operata dal Protocollo sulla GIZC nel Mediterraneo (2008), che contempla esplicitamente il valore paesaggistico delle aree costiere, prevedendo che vengano disposti strumenti ad hoc per tutto il paesaggio (art. 11.1). 18 Si tratta del Parque Natural de la Albufera de Valencia (Spagna, 1986), del Parc Naturel Régional de la Narbonnaise en Méditerranée (Francia, 2003) e del Parco Naturale Regionale del Conero (Italia, 1987). Aree protette di diverse dimensioni e di diversa “età”, sono tuttavia accomunate dal fatto di comprendere al loro interno territori altamente antropizzati, condividendo pertanto con i paesaggi costieri ordinari le criticità derivanti dagli alti livelli di pressione antropica (non a caso, si tratta di aree protette di categoria V IUCN, “Protected Landscapes-Seascapes”). Tuttavia, in quanto aree istituzionalmente protette, al contrario dei paesaggi non protetti (soggetti agli strumenti ordinari del territorio), sono contraddistinte da una potenziale maggiore efficacia operativa, che le mette maggiormente in grado di trovare delle risposte alle suddette criticità, fornendo spunti preziosi in termini di politiche paesaggistiche “al servizio” di uno sviluppo sostenibile. Emma Salizzoni
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Paesaggio “consumato” - tutela e valorizzazione dei vuoti residui (ovvero: ricercare un uso responsabile delle risorse) Come mettono in luce i dati relativi al fenomeno dell’urbanizzazione costiera nei Paesi dell’arco latino 19, il paesaggio costiero euro-mediterraneo è anzitutto un paesaggio “consumato”, rispetto alle risorse naturali in genere, ma soprattutto rispetto alla risorsa suolo. Dinanzi a processi di urbanizzazione costiera oggi ancora dirompenti, allo straordinario valore del suolo litoraneo 20 e alla sua costituzionale “esiguità” (Cazes, Lanquar, 2000), l’invito all’azione che Forman lancia (“Don’t waste space. It is needed for place and habitat (…)”, 2010; p. 265) acquista particolare senso e forza. In un contesto come quello costiero euro-mediterraneo, dove l’abbattimento resta una soluzione difficilmente praticabile 21, uno dei paradigmi operativi per la pianificazione territoriale non può pertanto che essere la tutela da ulteriori processi di consumo di suolo dei “vuoti” costieri residui. E in particolare di quei “vuoti” che, intervallando l’urbanizzato costiero, costituiscono in molti casi gli ultimi varchi di continuità trasversale mare-costa-entroterra (vedi seguito). È quanto tentano di fare i tre Parchi, per i quali la tutela dei “vuoti” costieri residui costituisce una priorità d’azione, attuata soprattutto attraverso strumenti normativi. Il Parc de la Narbonnaise, ad esempio, in applicazione della Loi Littoral 86-2/1986, non solo promuove un’espansione “en profondeur” delle aree urbane costiere 22, ma definisce entro il Plan du Parc delle “coupures d’urbanisation” (ossia aree libere non edificabili), che separano le zone di urbanizzazione litoranea, garantendo una soluzione di continuità nell’edificato. Similmente il Parque de la Albufera, attraverso la zonizzazione del Plan Rector de Uso y Gestión, identifica lungo la costa delle “areas de regeración de ambientes rurales”, zone rurali situate tra i nuclei urbani costieri che, definite come inedificabili e soggette a riqualificazione e valorizzazione, interrompono la continuità del “cinturón urbano” litoraneo (Figura 1).
Figura 1. A sinistra, estratto della Dèclinaison Littoral de la Charte du Parc, area costiera del Parc de la Narbonnaise (fonte: PNRNM, 2010; cartografia originale in scala 1:70.000): in nero, le “coupures d’urbanisation”. A destra, estratto del Plan Rector de Uso y Gestión, area costiera del Parque de la Albufera (fonte: PNAV, 2004; cartografia originale in scala 1:25.000): in verde chiaro, le “areas de regeración de ambientes rurales”.
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Oggi si stima che più del 70% delle coste in Spagna e in Italia, e il 60% in Francia, sia artificializzato (Benoit, Comeau, 2005), a causa soprattutto di una espansione urbana a prevalente carattere residenziale-turistico (EEA, 2006) che ha travolto le coste dal secondo dopoguerra, determinando, con impressionante rapidità, la nascita del cosiddetto “Med Wall”: “the linear nature of coastal urbanization and the speed of the phenomenon is significant” (Benoit, Comeau, 2005, p. 315). 20 Se il suolo è sempre una risorsa preziosa, lo è tanto più se situato in prossimità del litorale, dove è sede di eccezionali valori ecologici (area ecotonale, di “scambio” tra ecosistemi marini e terrestri), scenici (“platea” privilegiata per la percezione dell’orizzonte marino) e socioeconomici (ambito attrattivo di flussi turistico-balneari). 21 E non necessariamente auspicabile in contesti “affollati” e privatizzati come quello costiero euro-mediterraneo. Estremamente interessante tuttavia, al proposito, l’esperienza di applicazione della Ley de Costas (22/1988) in Spagna. La legge, che ha tra i principali obiettivi quello della difesa della “integritad” del Demanio Pubblico Marittimo Terrestre (DPMT) fortemente compromesso dai processi urbanizzativi incontrollati degli anni Sessanta – Ottanta, prevede una vera e propria “riconquista” del demanio, privatizzato e consumato, tramite l’esproprio e il conseguente abbattimento di tutti gli edifici qui ricadenti (è quanto previsto anche entro il Parque Natural de la Albufera de Valencia). 22 Perché tutelare i vuoti costieri residui non può comunque significare un arresto totale dei processi urbanizzativi in area costiera, prospettiva non realistica nel contesto del paesaggio ordinario. Emma Salizzoni
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Paesaggio “interrotto” - tutela e/o ripristino della dimensione trasversale (ovvero: evidenziare i sistemi di relazioni) Correlatamene al fatto di essere un paesaggio “consumato”, oggi il paesaggio costiero euro-mediterraneo è anche un paesaggio “interrotto” in senso trasversale. La continuità trasversale (fisico-naturalistica e socioeconomica 23) che dall’entroterra al mare lo ha storicamente contraddistinto è stata infatti fortemente influenzata dai processi di abbandono delle aree rurali interne e di “litoralizzazione” (intesa come concentrazione di uomini e attività lungo la costa), e in particolare dal conseguente “urban tsunami” (Forman, 2010, p. 265), che dal secondo dopoguerra ha invaso le aree costiere marcando in senso fisico e socioeconomico una dimensione della costa anzitutto longitudinale, e dunque alterando profondamente le relazioni tra aree interne e costiere, oltre che tra terra e mare. Ripristinare, dove alterate, e tutelare, dove ancora esistenti, tali connessioni trasversali nella loro complessità di declinazioni (ecologiche, sceniche e fruitive), costituisce dunque un paradigma operativo di primaria importanza per la pianificazione territoriale in area costiera 24. I “vuoti” costieri, opportunamente tutelati, vanno pertanto interpretati come potenziali corridoi ecologi, scenici e fruitivi tra i diversi paesaggi che si sviluppano tra mare e entroterra (Figura 2).
Figura 2. A sinistra, estratto del Plan du Parc 2010, area costiera del Parc de la Narbonnaise (fonte: PNRNM, 2010 - cartografia originale in scala 1:70.000): le frecce verdi e blu indicano le connessioni ecologiche (rispettivamente “terrestri”, e "acquatiche", ossia tra aree lagunari e marine) da considerarsi come “liasions et transitions à renforcer”. A destra, estratto del Piano del Parco del Conero, 2010 (fonte: PNRC, 2010a, tav. ic06 - cartografia originale in scala 1:25.000): le frecce viola indicano i “corridoi ecologici a valenza paesaggistica, culturale e percettiva per il mantenimento della vitalità eco-sistemica degli ambiti interessati”. La tutela di una dimensione trasversale continua può anche essere ricercata, almeno parzialmente, in caso di costruzione ex-novo di insediamenti costieri (non sempre evitabili 25), o nelle aree già edificate, tramite opportuni progetti di riqualificazione urbana. Un esempio interessante di tutela delle relazioni trasversali in caso di edificazione ex novo è dato dal progetto relativo alla espansione urbana del centro di La Franqui (Parc de la Narbonnaise), tutta improntata al principio progettuale della permeabilità - ecologica, scenica e fruitiva - tra l’entroterra e lo specchio lagunare verso cui guarda l’insediamento (Figura 3).
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La prima ha nel corso dei fiumi la massima espressione, ma è anche legata a segni del paesaggio determinati da attività economiche, come le vie di transumanza; la seconda è connessa, ad esempio, alla storicamente stretta relazione, tipica delle aree costiere mediterranee, tra attività agricole, praticate nell’entroterra, e pesca. 24 Vista la struttura che connota i paesaggi costieri euro-mediterranei - caratterizzati dal succedersi, a distanza ravvicinata e parallelamente alla linea di costa, di diversi paesaggi, più o meno naturali, e relativi differenti contesti socioeconomici - è proprio la dimensione trasversale, ancor prima che quella longitudinale, ad esaltare, se tutelata nella sua continuità, una diversità biologica e scenica. 25 Uno sviluppo longitudinale degli insediamenti costieri (ossia lungo il litorale e non in profondità, verso l’entroterra) è infatti in alcuni casi inevitabile, ad esempio in presenza di limitazioni geomorfologiche dell’area. Emma Salizzoni
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Sviluppo sostenibile lungo le aree costiere euro-mediterranee: una questione di paesaggio?
Figura 3. L’espansione urbana del centro di La Franqui prevede un tessuto urbano caratterizzato da una permeabilità trasversale in termini ecologici (tramite mantenimento della continuità dei corsi fluviali esistenti immagine al centro) scenici (tramite esaltazione “bidirezionale” delle visuali: entroterra-laguna e lagunaentroterra - immagine a destra) e fruitivi (attraverso la pedonalizzazione dei percorsi trasversali di accesso al litorale, a sua volta pedonalizzato). Fonte: PNRNM, 2008, p. 116 e p. 118.
Paesaggio “iper-dinamico” - monitoraggio e bilanciamento di intervento e non-intervento (ovvero: considerare il fattore “tempo”) Se è vero che ogni paesaggio è intrinsecamente dinamico, quello costiero euro-mediterraneo è un paesaggio iperdinamico, a causa dell’intersecarsi di dinamiche antropiche e naturali di particolare “irruenza”, che lo rendono instabile e mutevole 26. Dinanzi a tale costituzionale mutevolezza, l’applicazione di politiche territoriali dovrebbe anzitutto basarsi su una costante attività di monitoraggio delle evoluzioni del paesaggio, da leggersi, secondo una prospettiva valutativa, anche come specchio dell’efficacia delle politiche. A tale proposito, un approccio operativo interessante è quello messo in atto entro il Parc de la Narbonnaise, che da anni monitora l’evoluzione del paesaggio entro l’area protetta ricorrendo ad uno strumento tanto semplice, quanto utile: l’osservatorio fotografico del paesaggio, fondato su sequenze di fotografie scattate ad intervalli temporali costanti (annuali) e da medesimi punti vista, in grado di cogliere le principali evoluzioni e permanenze paesaggistiche. Un altro tema operativo su cui si ritiene importante portare l’attenzione è quello legato all’interazione tra tempi naturali e antropici, e in particolare tra tempi delle dinamiche marine e tempi delle attività turistiche. L’interazione critica tra i primi - caratterizzati da un elevato tasso di imprevedibilità: le mareggiate possono inghiottire una spiaggia, per poi riportare i sedimenti a riva secondo tempistiche variabili 27 - e i secondi precisamente programmati: la stagione turistica ha infatti limiti temporali ben definiti - si manifesta soprattutto in periodo estivo e l’oggetto del contendere è ovviamente la spiaggia. Le logiche economiche che guidano l’attività turistica conducono spesso, al di là di reali esigenze di sicurezza o ambientali, ad attuare interventi di difesa costiera che tentano di arginare il problema agendo puntualmente sul fenomeno dell’erosione per garantire la frequentazione balneare delle spiagge. Tuttavia, non solo questi interventi non sono sempre efficaci (non lo sono mai a scala globale, nel senso che non eliminano le cause dell’erosione, agendo solamente sugli effetti 28, ma in alcuni casi, se male effettuati 29, non lo sono neanche a scala locale), ma possono compromettere fortemente la qualità ecologica e scenica di una spiaggia (soprattutto se realizzati secondo tecniche tradizionali - difese rigide ma non solo 30). Una delle scelte cruciali da compiere è dunque quella se assecondare i tempi della natura (attendendo che le correnti marine compiano il proprio ciclo, generalmente stagionale, riportando a riva i sedimenti), o quelli antropici (agendo tramite interventi puntuali di difesa costiera). In un’ottica di conservazione e valorizzazione del paesaggio, le politiche territoriali dovrebbe guardare a entrambe le prospettive (o meglio, a entrambi i tempi), bilanciando intervento e non-intervento a seconda della posta in gioco 31. 26
Tra le prime, basti pensare all’impetuoso processo di urbanizzazione che nel giro di qualche decennio ha modificato irreversibilmente i territori costieri dei Paesi dell’arco latino, tuttora in atto, ma anche al periodico concentrarsi e rarefarsi dei flussi turistico-balneari. Tra le seconde, si pensi all’azione del mare, che modifica ininterrottamente la linea di costa, ma anche ai processi di rinaturalizzazione che interessano diffusamente le aree agricole e pastorali abbandonate dell’entroterra. 27 “Dopo un evento di mareggiata, la sabbia torna sempre verso le coste. Anche per questo in estate abbiamo, naturalmente, spiagge più ampie di quelle che abbiamo in inverno” (Pranzini, 2008). 28 Che sono ben altre rispetto alle mareggiate invernali. Tra queste, al di là del cambiamento climatico e dell’estrazione diretta di inerti dalla spiaggia, anzitutto la variazione dell’input sedimentario fluviale, quindi i processi di artificializzazione costiera, comprese le stesse difese rigide. 29 Un ripascimento attuato con sedimenti troppo fini o in quantità ridotta può essere inefficace, mentre le stesse difese rigide possono determinare una perdita di materiale verso il largo. 30 Anche i ripascimenti - definiti come interventi “morbidi” di difesa - comportano comunque una alterazione significativa della spiaggia, in termini ecologici e scenici. 31 In linea generale, sarebbe opportuno prefigurare interventi (basati pur sempre sulle tecniche e strutture di difesa meno invasive) circoscritti alle aree costiere già maggiormente artificializzate; e un non-intervento nelle aree ancora relativamente intatte, assecondando qui i tempi naturali. Tempi che, se lasciati liberamente agire e privi di interferenze Emma Salizzoni
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Sviluppo sostenibile lungo le aree costiere euro-mediterranee: una questione di paesaggio?
Paesaggio “divaricato” - accelerazione e decelerazione dei processi socioeconomici (ovvero: riconoscere e agire sulle dinamiche antropiche) A seguito dell’azione congiunta dei citati processi di abbandono delle aree rurali interne e di “litoralizzazione”, oggi il paesaggio costiero euro-mediterraneo è contraddistinto da una forte dicotomia socioeconomica costaentroterra: alle aree litoranee caratterizzate da una economia vivace (a prevalente carattere turistico) e densamente popolate, si contrappone un entroterra generalmente meno dinamico e a bassa densità insediativa (UNEP, MAP, PAP-RAC, 2001). Tale divaricazione è alla base del degrado sia delle aree rurali interne, interessate da processi di rinaturalizzazione, sia delle aree litoranee, soggette a consumo di suolo (vedi sopra). Per rispondere a obiettivi di qualità paesaggistica, in questo caso, occorre porre al cuore dell’azione le dinamiche socioecomiche che hanno determinato la divaricazione costa-entroterra, tentando di indirizzarle verso obiettivi di sostenibilità. Si tratta, in particolare - agendo attraverso politiche di carattere “immateriale” - di “decelerare” le dinamiche antropiche lungo la costa, frenando o ri-orientando pratiche deleterie come l’iperfrequentazione turistica, e di “accelerare” quelle nell’entroterra, stimolando il presidio e la cura dei territori attraverso la reintroduzione di pratiche tradizionali (si pensi al cosiddetto pastoralismo di ritorno), o, più comunemente, tramite una loro innovazione (si pensi alle attività agrituristiche e in genere all’attività agricola improntata ai concetti di multifunzionalità e diversificazione). Politiche di sostegno all’attività agricola condotte in un’ottica di tutela e gestione paesaggistica si concretizzano, nei tre Parchi, in azioni quali la apposizione di marchi di qualità alle produzioni, la loro pubblicizzazione (è ciò che avviene nel Parc de la Narbonnaise, dove l’Ente, in concertazione con il Syndicat des vigneron, ha elaborato nel 2008 la Charte Signalétique du Massif de la Clape, mirata, tra l’altro, a segnalare le aziende viticole locali tramite appositi cartelli), o la elargizione di incentivi finalizzati a promuovere l’attività agrituristica locale (è il caso del Piano Agricolo Aziendale, proposto entro il Piano del Parco del Conero). In particolare, promuovere una attività turistica nelle aree interne - fondata sulle risorse naturali, culturali, ma soprattutto rurali - è una strategia privilegiata dai tre Parchi, anche perché intesa come proficuamente complementare alla decongestione della pressione turistico-balneare nelle aree costiere 32.
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antropiche, sono in grado di portare qualsiasi spiaggia ad uno stato di equilibrio tra processi erosivi e di deposito (almeno all’interno della stessa unità fisiografica). 32 Va detto tuttavia che, perché tale proficuo scambio tra costa ed entroterra possa davvero realizzarsi, occorre una innovazione profonda del sistema turistico euro-mediterraneo, che non si profila come prospettiva a breve termine. Si tratta infatti di incidere su modelli culturali e socioeconomici (quello del turismo balneare) consolidati e che continuano tutt’oggi a prevalere lungo la costa dell’arco latino. Confortano, tuttavia, in questa prospettiva, le analisi (WTO) che vedono, nei Paesi euro-mediterranei, una complessiva maturità del turismo balneare e un crescente peso dell’ecoturismo, e in particolare una sempre maggiore predilezione dei visitatori per gli aspetti ecologico-ambientali della vacanza, che assumono un ruolo sempre più preponderante nelle scelte del turista.
Emma Salizzoni
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Sviluppo sostenibile lungo le aree costiere euro-mediterranee: una questione di paesaggio?
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Emma Salizzoni
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Strategie per la ricostruzione del territorio aquilano
Strategie per la ricostruzione del territorio aquilano Raffaella Massacesi Università degli studi G. d'Annunzio Dipartimento DART-sezione IDEA Email: raffaellamassacesi@ippozone.it Tel/fax 085.27098
Abstract Il progetto di ricerca si propone di mettere a punto modalità di intervento nelle aree di pertinenza delle stazioni ferroviarie e delle zone industriali attraverso l'insediamento di funzioni, di apparati tecnologici-energetici e di servizi per la rivitalizzazione del tessuto produttivo e sociale del territorio aquilano. L'obiettivo specifico è costituire una rete di centri minori dotati di servizi e centralità di tipo insediativo, commerciale, infrastrutturale e sociale nel territorio aquilano attualmente sottoposto a decentamento residenziale a seguito degli interventi post sisma. L'obiettivo generale è costituire un sistema insediativo policentrico, interconnesso, con una distribuzione equilibrata di centralità urbane e di servizio, sostenibile dal punto di vista ambientale, energetico e della sicurezza sismica.
I cambiamenti in atto nel territorio aquilano I nuovi insediamenti residenziali C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili) e M.A.P. (Moduli Abitativi Provvisori), costruiti per sopperire all'emergenza abitativa causata dal terremoto de L'Aquila del 2009, sorgono in prossimità dei centri minori e nelle aree periferiche della città consolidata. Non sono dotati di servizi adeguati né di rete viaria o trasporto pubblico efficiente. Gli effetti del sisma e gli interventi realizzati in emergenza hanno prodotto una struttura insediativa decentrata, priva sia di un grande centro di riferimento come di un sistema di piccole e medie centralità. Il centro de L'Aquila che fungeva, prima del sisma, da “attrattore” è inagibile, i margini urbani e i centri periferici hanno un maggior numero di popolazione residente ma non vi sono servizi e spazi pubblici. Il progetto di ricerca, finanziato a fine 2011 con un assegno di durata biennale, (Progetto speciale multiasse Reti per l'alta formazione p.o.f.s.e. 2007–2013) ha come obiettivo l'individuazione di strategie da mettere in atto per realizzare un sistema urbano maggiormente equilibrato e si concentra sul tema della riqualificazione del sistema dei nodi minori. Il progetto è collegato al lavoro svolto nel 2010 per il Ministero dell'Ambiente francese: "L'architecture de la grande échelle. Programme interdisciplinaire de recherche - Un territoire durable et un habitat de qualité à consommation zéro dans les zones à risque sismique" (Responsabile scientifico: N. Trasi, Sapienza Università di Roma; gruppo di ricerca dell'Università G.d'Annunzio di Pescara: W. Fabietti, R. Pavia, con V. Carpitella, R. Massacesi). Il tema approfondito dal gruppo di ricerca italiano riguarda la sostenibilità sociale degli insediamenti e nell’ambito della ricerca è stata elaborata una metodologia di indagine per lo sviluppo di sistemi urbani a rete sostenibili. La metodologia si propone di utilizzare “un processo non lineare” che si sviluppa alle scale macro, meso e micro; di inquadrare “la sostenibilità” energetica, sociologica e sismica come punto cardine del progetto; di promuovere “l’interdisciplinarietà” fra urbanistica, architettura sostenibile, sociologia urbana e studio delle strutture antisismiche; di fare ricorso ad una “articolazione in scale” testando gli scenari in riferimento al territorio, al centro urbano, all’unità di tessuto, all’unità di costruzione. Gli esiti della ricerca sono stati raccolti in un dossier che affronta le diverse scale del progetto mostrando i casi studio e producendo delle linee guida da intendersi non come standard prescrittivi ma come “indicazioni” operative. Il territorio preso ad esame per condurre lo studio è quello aquilano.
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Strategie per la ricostruzione del territorio aquilano
Una struttura a rete (Figura 1.) Il nuovo modello insediativo si realizza intervenendo sull'infrastruttura e sull'ambiente. Il progetto di ricerca propone di considerare la rete ferroviaria come tracciato in grado di riconnettere i comuni esistenti, le nuove aree residenziali, le aree industriali e le centralità e i servizi da insediare. Il progetto prende la forma di un fascio infrastrutturale-ambientale costituito dalla ferrovia, dalla strada statale, dalle aree industriali, da un corridoio verde come parco fluviale. Il nodo de L’Aquila, ma anche una pluralità di centri abitati sono attraversati da questa struttura lineare dove si propone di localizzare (in relazione alle interconnessioni ferroviestrade) alcune centralità territoriali, gli impianti fotovoltaici (sulle coperture degli edifici industriali), gli impianti di raccolta e di riciclo dei rifiuti, le centrali di cogenerazione, ma anche impianti per lo sport, il tempo libero e il turismo. Il progetto di ricerca si propone di mettere a punto modalità di intervento nelle aree di pertinenza delle stazioni ferroviarie e delle zone industriali attraverso l'insediamento di funzioni, di apparati tecnologici-energetici e di servizi per la rivitalizzazione del tessuto produttivo e sociale del territorio aquilano. L'obiettivo specifico è costituire una rete di centri minori dotati di servizi e centralità di tipo insediativo, commerciale, infrastrutturale e sociale nel territorio aquilano attualmente sottoposto a decentamento residenziale a seguito degli interventi post sisma. L'obiettivo generale è costituire un sistema insediativo policentrico, interconnesso, con una distribuzione equilibrata di centralità urbane e di servizio, sostenibile dal punto di vista ambientale, energetico e della sicurezza sismica. All'interno di questo sistema la città de L'Aquila mantiene il ruolo rappresentativo e direzionale del sistema (attraverso il recupero e la valorizzazione del centro storico e della città consolidata). Il modello di riferimento è quello di una struttura a rete con un nodo principale (L'Aquila) e un sistema di nodi minori. Tra le azioni utili al conseguimento degli obiettivi si mettono in evidenza quelle sulle aree di pertinenza della ferrovia e dell'industria: La riorganizzazione dell'infrastruttura potrebbe essere ottenuta mantenedo il binario unico e la trazione diesel, evitando quindi i costi del raddoppio della linea e dell'elettrificazione, prevedendo alcune azioni mirate come l'aumento del numero di treni e della frequenza di transito, la ristrutturazione secondo la logica della domanda di trasporto aggregata, la strutturazione per fasce orarie e connessioni sicure con le località di interscambio. Contemporaneamente dovrebbe essere prevista la costruzione e l'attivazione di una efficace rete di interscambio ferro-gomma e ferro-ferro localizzata in punti strategici per i collegamenti con le aree residenziali, le aree industriali, le località turistiche. Attraverso l'insediamento negli edifici di pertinenza delle stazioni di attività e di servizi aperti 24 ore (vigili del fuoco, presidio ASL, Croce Rossa, Pro Loco) e di attività commerciali (porte di accesso al Parco, tabacchi, agenzie di viaggio), si potrebbe inoltre garantire la vitalità delle aree coinvolte e soprattutto localizzare in modo adeguato i servizi. Affinché la riorganizzazione dell'infrastruttura ferroviaria risulti davvero efficace è necessario mettere in atto una campagna di comunicazione adeguata dei servizi da parte degli enti coinvolti. Un'altra linea di intervento che il progetto si propone di indagare si concentra sulle aree industriali e prevede di utilizzarne gli spazi e le strutture esistenti per collocare attrezzature (i tetti dei capannoni sono un luogo adatto all'installazione dei pannelli fotovoltaici) e servizi (come ad esempio la localizzazione degli impianti che utilizzano il combustibile derivato dai rifiuti per la produzione di energia). Ma anche per risolvere la commistione tra insediamenti industriali e residenziali mediante l'inserimento di sistemi di verde lineare di mitigazione, il miglioramento dei collegamenti con le stazioni ferroviarie e della viabilità di accesso alle aree industriali. Le aree industriali possono inoltre ospitare servizi di ristorazione e, a margine, nelle zone di confine o di accesso, l'insediamento di mercati per prodotti a chilometro zero.
Gli obiettivi del progetto (Figura 2.) Il progetto di ricerca si pone inoltre alcuni obiettivi, individuati in base ai temi che maggiormente vengono dibattuti nel campo della pianificazione nelle aree colpite dal terremoto ed in base all'osservazione dei luoghi. In ogni nodo del sistema il recupero dei centri storici e la riqualificazione dei nuovi insediamenti dovrà prevedere un progetto di suolo pubblico che contempli l'allestimento di aree sicure connesse con le vie di fuga, rendendo importante la definizione di criteri di progettazione urbana in aree sismiche. Il passaggio graduale all'uso in misura crescente di fonti di energia rinnovabile, il miglioramento del ciclo dei rifiuti e del riciclo delle acque, l'ottimizzazione dei mercati a chilometro zero caratterizzano il nuovo modello insediativo come territorio in transizione verso l'applicazione di strategie sostenibili dal punto di vista energetico, spaziale e della sicurezza sismica, le parole chiave sono, in questo caso, innovazione e sviluppo sostenibile a partire dall'esperienza della Transition Town. Raffaella Massacesi
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La struttura a rete si realizza con l'efficienza dei sistemi di interconnessione. Punto cardine delle strategie è il miglioramento dell'accessibilità ai luoghi, il miglioramento della mobilità di merci e persone. La presenza del Parco, della Valle del fiume Aterno, di piccoli centri storici interessanti per posizione e architettura, rendono importante il ripensamento a rete anche dei percorsi pedonali e ciclabili, dei tracciati per gli sport della montagna (estivi e invernali) e della loro riconfigurazione nel senso dell'accessibilità verso ogni categoria di utenza. I temi della mobilità sostenibile, della qualità del territorio e dell'accessibilità sono quindi alla base della riconfigurazione del territorio. L'obiettivo dell’ampliamento delle fonti energetiche rinnovabili, che consente la transizione del territorio aquilano verso un sistema energeticamente più sostenibile, si lega a una progetto sul territorio che definisce le strategie operative e individua le località adeguate per la localizzazione degli impianti, collegando i temi dell'energia a quelli del paesaggio: teleriscaldamento (destinato in particolare a soddisfare la domanda termica dei residenti del progetto C.A.S.E., raggruppati in cluster); sostituzione delle caldaie obsolete (soprattutto nel centro storico); cogenerazione e biomassa; generazione elettrica da biogas; generazione elettrica da combustibili da rifiuti con impianti localizzati nelle aree industriali; solare termico (negli edifici pubblici e privati); fotovoltaico (nelle zone industriali e sulle coperture dei capannoni); micro eolico (distribuzione diffusa nei centri abiatti); micro idroelettrico (lungo il fiume Aterno). Infine l'obiettivo della ricerca è individuare le possibili ricadute sociali e produttive sul territorio aquilano del progetto proposto. Gli investimenti messi in atto per il conseguimento degli obiettivi concorrono alla formazione di nuove professionalità, a rendere il territorio maggiormente accessibile e fruibile per i residenti, con maggiori attrattive per il turismo dei parchi e dei centri storici. Le ricadute sul tessuto produttivo sono relative alla diversificazione, all'innovazione tecnologica e alla ristrutturazione delle aree. Riferendoci alla sola area iniziale oggetto di studio (la Valle dell'Aterno), l'attraversamento del territorio in treno offre un punto di vista utile alla comprensione delle trasformazioni in atto. Il viaggio sulla linea SulmonaL'Aquila, ad esempio, restituisce le immagini di diversi paesaggi (della tutela, dell'abbandono, delle coltivazioni, dei centri storici, del Parco Naturale Regionale Sirente Velino). Procedendo verso L'Aquila si nota una maggiore dispersione insediativa e la commistione tra residenza e aree industriali. I numerosi insediamenti C.A.S.E. e M.A.P. si presentano come dei fuori-scala, ai margini delle aree industriali, in aree incolte o periferiche. Progressivamente gli spazi vuoti si suturano, gli edifici si addensano, gli spazi commerciali e le palazzine prendono il posto degli spazi aperti. Osservando dalla ferrovia (e dal fiume Aterno) notiamo un paesaggio di pregio da tutelare e valorizzare ma anche un “retro” di paesaggio urbano in trasformazione. L'obiettivo della rigenerazione di un sistema a rete multicentrico si potrebbe basare sullo sviluppo del trasporto pubblico, sulla ridensificazione urbana, sull’attrattività dei luoghi grazie alla qualità dell’ambiente urbano e dei servizi, sui parchi e le aree agricole connessi da corridoi ecologici, su un’efficiente raccolta dei rifiuti utilizzata per la produzione di energia. Pensando agli obiettivi sopra descritti una delle prime attività è stata quella di finalizzare i sopralluoghi, lo studio delle mappe, dei progetti e dei programmi in corso alla comprensione e alla definizione di un'area di intervento all'interno della quale gli obiettivi potevano dirsi come comuni. Nonostante i centri interessati dal progetto siano localizzati lungo la Valle dell'Aterno, è riduttivo pensare che sia esclusivamente questo il territorio su cui concentrare analisi e attività di progettazione. I cambiamenti subiti dalla rete insediativa a causa del sisma del 2009 e degli interventi effettuati in emergenza hanno messo in evidenza la fragilità strutturale del territorio aquilano, interrompendo il sistema di relazioni che si andava consolidando tra il capoluogo e i nuclei satellite in crescita demografica. L'insieme di centri urbani e rurali, organizzati in un sistema di relazione gerarchico nei confronti della città capoluogo, era tenuto insieme, prima del terremoto, da un capillare sistema viario e dall'attrattività esercitata dalla città de L'Aquila, luogo dei servizi, del lavoro, del commercio, dello svago. Il tema della “ricostruzione”, all'interno di questo percorso di ricerca, è inteso nel senso della ridefinizione di un sistema di relazioni reticolari, e non gerarchiche, fra i luoghi, ed è inteso come studio di un insieme di relazioni ambientali dove l'equilibrio ecosistemico sia studiato in modo interscalare. I processi di trasformazione e pianificazione in corso nell'area colpita dal sisma fanno riferimento o richiedono la definizione di quadri strategici ed aree omogenee di intervento. L'organizzazione dei comuni in raggruppamenti, unioni, aree omogenee, comunità montane, in base alla loro appartenenza ad un sistema vallivo, ad un bacino idrografico, ad un'area protetta o vincolata, ad un sistema agricolo o storico ed architettonico è un punto di partenza utile alla soluzione di problematiche di sviluppo locale. Si tratta di individuare territori simili all'interno dei quali proporre azioni unitarie. Un metodo che potrebbe rivelarsi poco efficace se condotto in modo frammentario, con sovrapposizioni di interessi o arbitrarietà di scelte. Per la particolare conformazione del territorio che stiamo osservando è possibile indagare se sia maggiormente efficace pensare non alla scala di “area omogenea”, ma ad una scala più ampia, che metta insieme sistemi coerenti dal punto di vista ambientale e (apparentemente) incoerenti sul piano delle relazioni territoriali, infrastrutturali e insediative: la Conca Aquilana, la Valle Subequana, la Piana di Navelli, la Valle del Tirino, la Conca di Sulmona, la Valle del Pescara. Le località interessate da questo specifico progetto sono localizzate in un ambito ristretto, ma i sopralluoghi, i rilievi, lo studio dei piani e dei programmi in corso di definizione suggeriscono di allargare lo sguardo ad un Raffaella Massacesi
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Strategie per la ricostruzione del territorio aquilano
sistema più ampio: il massiccio del Gran Sasso, poi la Conca Aquilana protetta dal massiccio del Sirente-Velino , l'Aterno che scava la Valle Subequana e parallelamente la Piana di Navelli e il fiume Tirino. Infine la valle del fiume Pescara. Centoquaranta chilometri di attraversamento che scorrono come una sequenza di paesaggi diversi da non leggere come “stanze chiuse” prive di relazione le une con le altre. Si tratta infatti di un territorio interconnesso da infrastrutture naturali e artificiali, a volte forti ed evidenti, a volte fragili e discontinue. Agire in un punto significa generare conseguenze in un'area vasta. I paesaggi in questo tragitto risultano diversi per conformazione orografica (i morbidi rilievi delle pendici sud della montagna più alta dell'Appennino che scendono verso L'Aquila, la Valle Subequana stretta e profonda, l'ampia Piana di Navelli, la Valle del Pescara dapprima stretta nelle Gole di Popoli che si allarga poi verso le colline erose dai calanchi e verso il mare), diversi per quantità e qualità dell'infrastruttura viaria e ferroviaria (la ferrovia dall'Aquila a Sulmona a Pescara, la Strada dei Parchi, le strade regionali e statali), diversi per forma e densità degli insediamenti (grossi centri abitati con aree industriali si intervallano a piccoli paesi a rischio di abbandono, così come nuove edificazioni prive di continuità con i materiali del passato e con i luoghi su cui sorgono si intervallano ai paesaggi di pietra dell'Abruzzo dei castelli e dei borghi fortificati). La ferrovia, a ben guardare, con il suo seguire l'andamento delle curve di livello è l'elemento infrastrutturale artificiale che maggiormente rende possibile la comprensione dei paesaggi attraversati. Molto meglio della strada. Quest'ultima a volte sembra giocare con l'inquadratura, lo scorcio, la vista prospettica che dura il momento di uno scatto fotografico. A volte, al contrario, offre un monotono susseguirsi di barriere. La ferrovia invece disegna il paesaggio, mostrandone la sezione. Rendendo più comprensibili gli elementi di cui è composto: campi coltivati, case sparse, centri abitati, aree boscate, aree rocciose, gole, picchi, valli, costa. Il fiume è l'infrastruttura naturale che dà continuità all'attraversamento. L'acqua ha modellato questi territori scorrendo in superficie e in gallerie naturali e artificiali, forma laghi artificiali e oasi naturali, viene deviata in gallerie e portata in quota per generare energia elettrica. Il fiume lungo il quale nascono cementifici e aree industriali. Se l'obiettivo è comprendere come agire oggi nel territorio aquilano la lettura dei luoghi trova una guida nell'infrastruttura ferroviaria e in quella fluviale. La linea ferroviaria con il suo percorso lineare e con le aree delle stazioni e le pertinenze e le strade di collegamento ai centri urbani. La linea dei corsi d'acqua con la quale si intersecano le tessiture poderali, il sistema dei canali, gli attraversamenti (i ponti), le aree protette, le aree industriali. I sistemi vallivi, nei quali scorrono le infrastrutture, risultano fra loro correlati, a tal punto da suggerire non solo il metodo di lettura e analisi del territorio, o per meglio dire il corretto punto di vista, ma anche la possibile proposta progettuale per la ridefinizione di un territorio a rete, interconnesso. La ricerca, in questo momento iniziale di verifica delle intuizioni e degli studi condotti sul tema, sembra indicare una direzione: considerare il sistema della Valle dell'Aterno e della Valle del Pescara come luoghi dell'interazione, paesaggi diversi che si compensano, unificati da un sistema di percorrenze, dagli spostamenti dei residenti che si muovono tra i centri principali (L'Aquila, Sulmona, Pescara), dal sistema dei comuni minori e dei territori resi fragili dall'abbandono, dai sistemi infrastrutturali lineari dai quali sono percorsi. In quest'ottica la costruzione, nell'area della Valle Subequana, di un sistema insediativo policentrico e interconnesso si coniuga con la definizione di un sistema a scala maggiore all'interno del quale trovare una collocazione identitaria. Un sistema territoriale nell'ambito del quale cogliere omogeneità e differenze che è possibile porre in relazione per ottenere vantaggi comuni in termini di risorse, mercati, lavoro, energia, mobilità, ciclo dell'acqua e dei rifiuti. Il legante potebbe essere costituito dai centri e dalle comunità che li abitano e che costruiscono, di volta in volta, territori di raccordo identitari e unitari.
Raffaella Massacesi
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Strategie per la ricostruzione del territorio aquilano
Figura 1. Il territorio dell'Aquila come un sistema di reti
Figura 2. La Valle Subequana e la ferrovia Sulmona-L'Aquila, una direttrice di sviluppo infrastrutturale e ambientale
Raffaella Massacesi
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Regole per la gestione del paesaggio europeo: la costruzione di una metodologia comune attraverso la condivisione delle esperienze
Regole per la gestione del paesaggio europeo: la costruzione di una metodologia comune attraverso la condivisione delle esperienze Elio Trusiani Sapienza Università di Roma Dipartimento di Pianificazione, Design e Tecnologia Email: elio.trusiani@uniroma1.it Tel. 06.49919030 Emanuela Biscotto Sapienza – Università di Roma Dipartimento di Pianificazione, Design e Tecnologia Email: emanuela.biscotto@gmail.com Tel. 06.49919087 Silvia B. D’Astoli Sapienza Università di Roma Dipartimento di Pianificazione, Design e Tecnologia Email: silviabdastoli@hotmail.com Tel. 06.49919030
Abstract Il contributo presenta i risultati parziali della ricerca applicata Euroscapes (Programma Europeo Interreg IVC) che, attraverso lo scambio di buone pratiche a livello internazionale e il coinvolgimento attivo delle istituzioni locali, della società civile, delle associazioni e degli stakeholder, si propone di elaborare linee guida per la gestione e trasformazione del paesaggio urbano ed extraurbano. La ricerca, offre alcuni spunti di riflessione soprattutto per l’individuazione di un canovaccio di lavoro, su cui gettare quelle regole di gestione che consentono di innovare, tutelando le peculiarità del territorio, e promuovere, avviando un processo di sviluppo sostenibile e condiviso, che tenga conto del paesaggio anche come risorsa economica. Il carattere sperimentale della ricerca permette di essere nel/sul territorio, ovvero all’interno dei paesaggi e quindi di registrarne al contempo l’aspetto diagnostico, la carica propositiva, espressa ed inespressa nonché di monitorare continuamente teoria e pratica.
Costruzione di una metodologia Il progetto di ricerca Euroscapes 1, nell’ambito del Programma europeo Interreg IVC, si propone, attraverso lo scambio di buone pratiche a livello internazionale e il coinvolgimento attivo delle istituzioni locali, della società 1
Si tratta di un progetto che vede coinvolte le amministrazioni pubbliche e due istituzioni universitarie: SAN of Marne-laVallée Val Maubuée, Francia (capofila), City of Loures, Portogallo; Region-City of de Gießen-Wetzlar, Germania; ViceMinistry of Land Management of the Canarian Government, Spagna; Slovak University of Technology, Slovacchia; Sigulda District Council, Lettonia; DATA - Design, Tecnologia, dell’Architettura, Territorio e Ambiente, La Sapienza Università di Roma, Roma, Italia; LBDCA, Region Balaton, Ungheria; SERDA Romanian South-East Region, Romania; Trikala’s Municipal Enterprise for Social Development, Grecia; Granollers City Council, Spagna; Municipality of Torun, Polonia; ENTP – European New Towns Platform, Belgio; Thames Gateway London Partnership, Regno Unito.
Elio Trusiani, Emanuela Biscotto, Silvia B. D’Astoli
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civile, delle associazioni di categoria e dei soggetti economici, di avviare un confronto e una riflessione sulle modalità di gestione dei processi di trasformazione del paesaggio. Oggetto di studio sono i paesaggi naturali e culturali in aree urbane e peri-urbane analizzati attraverso un approccio strategico in grado di definire scenari a breve, medio e lungo termine volto alla promozione del paesaggio e al suo valore economico, nonché a innescare dinamiche di turismo sostenibile, di concerto con le risorse agrarie e storico naturalistiche presenti. Le aree scelte dai diversi partner, sono di natura e scala differente e offrono lo spunto per un’ampia sperimentazione sulla tematica in oggetto, anche in relazione alle diverse componenti strutturali del paesaggio coinvolte nonché al differente approccio metodologico e riferimento del quadro normativo nazionale dei singoli stati. Specificatamente al caso di studio del partenariato italiano, composto da un gruppo di ricerca 2 del dipartimento DATA 3/Sapienza Università di Roma e dalla Provincia di Viterbo, il tema è affrontato alla scala territoriale e quindi si assume la pianificazione paesaggistica come riferimento normativo e progettuale attraverso il quale produrre strategie e politiche di area vasta in grado di delineare scenari di trasformazione dei paesaggi, legittimati attraverso processi di partecipazione, costruzione condivisa del consenso e di valutazione sociale delle scelte. Del resto è proprio attraverso la pianificazione per il paesaggio che si esprimono gli sforzi collettivi per costruire processi e progetti mirati alla qualità delle risorse irriproducibili, alla salvaguardia e tutela dei valori identitari, all’innovazione e alle nuove tecnologie per il miglioramento ambientale e sociale. La ricerca, seppur in itinere, offre alcuni spunti di riflessione soprattutto per quanto riguarda l’individuazione di una metodologia comune, intesa come canovaccio di lavoro, sul quale impostare il lavoro, individuare gli elementi di forza delle singole esperienze e avanzare ipotesi di regole per la gestione del paesaggio che consentano di avviare un processo di sviluppo sostenibile e condiviso. A tale proposito il progetto Euroscapes si è posto come primo obiettivo quello di individuare un percorso metodologico comune, input fornito dal gruppo di ricerca italiano e messo a punto, passo dopo passo, attraverso gli incontri e i molteplici seminari organizzati nei paesi partecipanti; questo si è reso indispensabile proprio per creare un linguaggio comune, una base condivisa su quali e quante fossero le questioni da porre all’attenzione al fine di individuare le questioni emergenti per ciascun caso al fine di creare un quadro condiviso delle singole realtà da cui trarre suggerimenti, azioni e interventi per la successiva elaborazione finale del Landscape Management Plan (LMP). A tale proposito è stato adottato uno schema strutturale di lavoro basato su tre grandi fasi di elaborazione; queste sono state integrate con ulteriori studi di settore, laddove necessari per fornire un quadro più esaustivo delle conoscenze, e con il coinvolgimento di stakeholder locali e/o della popolazione locale, al fine di recepire tutte le istanze degli operatori locali e dei residenti. Sostanzialmente le tre fasi proposte sono le seguenti: 1.
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descrizione e interpretazione: descrive il territorio-paesaggio prescelto organizzando i dati, integrando le relazioni di settore nei tre contenitori (settore ambientale-ecologico, settore insediativo antropico relazionale, settore storico culturale percettivo simbolico), rappresentando ed interpretando per ognuno lo stato di fatto, le pressioni e le dinamiche di trasformazione; sintesi critica e valutazione: descrive le forme e il funzionamento del territorio paesaggio comprendendo i valori, i rischi, la vulnerabilità, confrontando e sintetizzando criticamente i dati di analisi e dei primi elaborati in rapporto agli aspetti quantitativi/strutturali e qualitativi del territorio studiato, alla qualità degli ambienti naturali e alla conservazione degli ecosistemi e della biodiversità, alla qualità e sicurezza degli insediamenti; LMP, generali e locali, scenari di paesaggio e progetto: attraverso il confronto tra gli esiti degli elaborati di sintesi e gli obiettivi generali della pianificazione vigente alle diverse scale, il progetto pilota alla scala locale, definisce e declina ambiti di paesaggio e obiettivi di qualità paesaggistica, attraverso l’utilizzo di indicatori condivisi come l’urbanizzazione diffusa elevata e consumo di suolo, la destrutturazione del paesaggio, la scarsa valorizzazione delle risorse naturali, la banalizzazione ecosistemica delle aree rurali e fluviali, perdita della diversità dei paesaggi con tendenza all’omologazione. Questo crea lo sfondo paesaggistico nel quale declinare i progetti pilota/casi studio locali (Figura 1).
Quantità e qualità: sono termini chiave della sintesi metodologica esposta. Appare chiaro come la metodologia, seppur schematizzata per grandi fasi, ponga l’attenzione sull’importanza di riconoscere le cosiddette “strutture del paesaggio”, ovvero i segni forti a livello geomorfologico, idrografico, vegetazionale, antropico e come il peso/ruolo/significato di questi segni debba essere relazionato e valutato in funzione della scala d'indagine/caso di studio presentato. L’aspetto quantitativo si riferisce soprattutto a questo, alla lettura degli elementi strutturanti il territorio, dei fenomeni territoriali presenti e alle loro interrelazioni nonché relazioni di contesto. L’aspetto qualitativo, trova, inevitabilmente, nella Convenzione Europea del Paesaggio (CEP) il suo riferimento culturale di sfondo, essendo il “paesaggio” il fattore in grado di esprimere la qualità dei territori, nonché l’obiettivo 2
Gruppo di ricerca formato da: Prof. Lucio Carbonara (responsabile scientifico), arch. Claudio Bordi (Project Manager), arch. Elio Trusiani (coordinatore tecnico), arch. Emanuela Biscotto (assistente tecnico), collaborazioni e consulenze di: archh. A. Cerqua, A. Correnti, S.B. D’Astoli, G. Restaino, F. Rossi e associazione culturale moorroom. 3 Ora Dipartimento di Pianificazione, Design e Tecnologia. Elio Trusiani, Emanuela Biscotto, Silvia B. D’Astoli
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comune per lo sviluppo sostenibile e la valorizzazione delle risorse e identità locali: a questo, sempre grazie alla CEP, si lega l’aspetto percettivo dei paesaggi che deve essere, però inteso rispetto ai segni strutturanti del territorio e non derivante da considerazioni estetico-percettive. In questo senso, aver posto l’attenzione sugli elementi strutturanti il territorio ha significato, in taluni casi nel dialogo con alcuni partner, il superamento di un concetto della percezione riconducibile esclusivamente al valore estetico, per ricondurla ai fatti fisici del territorio e quindi in grado di rientrare come categoria di interevento (a seconda delle politiche di tutela, valorizzazione e trasformazione) all’interno di progetti e piani paesaggistici. E’ importante mettere in evidenza questo aspetto perché l’elaborazione di un percorso metodologico comune ha rappresentato in molti casi anche il momento di confronto su cosa e come i singoli partner intendevano con il termine “paesaggio”; la duplice lettura critica dei singoli progetti pilota e delle best practice ha offerto, in tal senso, un’occasione interessante di riflessione. La metodologia proposta è stata condivisa con i partner europei e adottata come metodologia interpartenariale del progetto; naturalmente si tratta di un percorso che può, anzi, deve essere declinato alle differenti scale di rappresentazioni per accogliere le peculiarità e le caratteristiche delle singole realtà geografiche di ciascun partner. Questa ricchezza costituisce un valore aggiunto, in sede finale di elaborazione delle LMP (fase in itinere), per la formulazione e declinazione dell’ossatura portante delle regole per la trasformazione/gestione dei paesaggi. Naturalmente la metodologia adottata ha rappresentato un riferimento per la lettura e rilettura del singolo caso di studio/progetto pilota nonché il retroterra teorico-culturale, per l’elaborazione dei successivi criteri di lettura e valutazione critica delle varie best practice presentate dai vari partner e dalle quali sono scaturiti ulteriori input per la elaborazione delle LMP. E’ evidente, pertanto, come la necessità di creare una base/sfondo metodologico di approccio al tema della paesaggio sia risultata importantissima per tutto il lavoro, e per tutti i partner, e non si sia conclusa nella sua fase iniziale di input, ma abbia costruito il filo rosso del programma entro cui montare e smontare, operativamente e teoricamente, processualità e progettualità della domanda di paesaggio proveniente dai singoli territori.
Figura 1. Schema azioni indotte e prodotte dall’elaborazione del LMP riferito al progetto pilota “Alta Tuscia Viterbese e Riserva di Monte Rufeno”.
Elio Trusiani, Emanuela Biscotto, Silvia B. D’Astoli
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La complessità nella costruzione dell’LMP,dovuta anche alla diversità di politiche paesaggistiche e di cultura del paesaggio dei paesi coinvolti, ha reso necessario l’utilizzo di uno strumento di supporto quali la raccolta e le analisi di best practice, in questo caso inviate dai partner, e da cui trarre raccomandazioni progettuali. Nello specifico, riguardo la sistematizzazione delle best practice, lo scopo è quello di ottenere da ogni caso proposto un ventaglio di spunti progettuali, tecniche di governance, applicazione di politiche e risorse finanziarie, in grado di poter essere prese ad esempio e condivise (Figura 2). Dal confronto con i partner sono state individuate quelle che dovrebbero essere le caratteristiche richieste affinché una best practice possa essere definita: • • • • • • • •
Capacità della best practice di essere replicabile anche in altri contesti Comprensione e definizione delle potenzialità di un luogo/paesaggio Rivitalizzazione del paesaggio in relazione all’attivazione di nuove economie Migliorare qualità urbana e protezione dei paesaggi Protezione e valorizzazione paesaggio e eredità culturale Garantire l’equilibrio tra gli aspetti naturali, sociali ed economici Capacità della best practice di attivare nuove politiche Capacità della best practice di essere riconosciuta come nuovo simbolo identitario
Figura 2. Matrice di raffronto delle Best Practice – Raccomandazioni dei casi.
Declinazione locale/Partecipazione e proposte progettuali Il partenariato italiano ha focalizzato l’attenzione su una porzione di territorio dell’Alta Tuscia e in particolare nei territori comunali di Acquapendente e Proceno. Il ruolo che la Provincia di Viterbo e Sapienza hanno avuto, all’interno del partenariato, è duplice: da un lato la proposta di un metodo per lo studio dei caratteri del paesaggio alla scala territoriale e, dall’altro, la declinazione metodologica e propositiva nell’area di studio verificandone e monitorandone, al contempo, la validità operativa (Figura 3). Il primo step ha visto il gruppo di ricerca concentrarsi sulla costruzione della metodologia che consiste in una prima parte di conoscenza, analisi interdisciplinare, caratterizzata da un approfondimento degli elementi fisiconaturalistici, ecologici, antropici, storico-culturali e percettivi, e in una seconda parte di sintesi valutativa. Questo primo step ha portato allo studio dello stato dell’arte con la messa in evidenza dei caratteri e dei tipi di paesaggio culturale presenti: agrario, naturale, antropico, storico-culturale, produttivo.
Elio Trusiani, Emanuela Biscotto, Silvia B. D’Astoli
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Regole per la gestione del paesaggio europeo: la costruzione di una metodologia comune attraverso la condivisione delle esperienze
Figura 3. Schema metodologia adottata dal DATA per la costruzione del LMP. I valori percettivi e culturali, con le loro relazioni d’area vasta che abbracciano, sostanzialmente, il paesaggio di confine di tre regioni (Toscana, Lazio e Umbria), svelano un territorio dalle connotazioni simili a quelli limitrofi; al contempo, le affinità dei territori mettono in risalto le differenti scelte strategiche e programmatiche delle istituzioni competenti evidenziandone approcci, visioni e scenari differenziati rispetto allo stesso concetto di valore economico che il paesaggio agrario, per esempio, può rappresentare se letto come risorsa per lo sviluppo sostenibile dei territori nonché pratica tradizionale ed antica per la tutela e salvaguardia delle identità locali Da queste considerazioni si è passati ad un secondo step, di carattere più strettamente operativo, rappresentato dalla condivisione, con gli attori locali; di iniziative di sensibilizzazione, conoscenza e promozione dei valori paesaggistici e territoriali. A questo scopo sono stati attivati tre tavoli tecnici paralleli, incentrati sulle questioni dominanti emerse durante le analisi effettuate e riconducibili ai temi: Paesaggio e Agricoltura, Paesaggio e Turismo sostenibile, Paesaggio e Fonti rinnovabili. Ciascun tavolo doveva garantire, inoltre, il raggiungimento di alcuni obiettivi specifici quali: il recepimento delle istanze degli attori locali e le volontà delle associazioni di categorie e dei singoli operatori; l’analisi delle problematiche presenti sul territorio costruire un abaco delle risorse, delle criticità e delle volontà; l’individuazione di quelle soluzioni operative capaci di garantire una reale convivenza e accettazione dei progetti di paesaggio sia in termini economici che territoriali e sociali. • Paesaggio e Agricoltura, il binomio conduce inevitabilmente ad una riflessione riguardo aspetti di salvaguardia e tutela del paesaggio, vista la continua e lenta costruzione/trasformazione dello stesso. Tale riflessione riguarda sostanzialmente le modalità di dialogo tra tradizione e sperimentazione agricola in atto, inserite in un quadro di riferimento ormai a scala europea, tenendo bene a mente il ruolo degli agricoltori e la tradizione/sapere della civiltà contadina di cui sono testimoni. • Paesaggio e Turismo sostenibile, il binomio è dominato dalla necessità di trovare un dialogo tra le politiche di tutela e valorizzazione del paesaggio e i principi di sostenibilità economica, in grado di ottenere profitti a basso impatto, basati sul rispetto delle specificità locali, della tutela, dell’identità socio-culturale e del rapporto tra natura e cultura. • Paesaggio e Fonti rinnovabili, il binomio rappresenta spesso la sintesi di un rapporto conflittuale tra esigenze energetiche, salvaguardia ambientale e tutela di beni paesaggistici. Lo sforzo necessario è quello di far dialogare paesaggio e energie rinnovabili, questo significa affermare un modello di sviluppo energetico sensibile alle vocazioni e ai diversi contesti territoriali, considerando come punto di partenza anche l’accettazione sociale e le caratteristiche della domanda e dell’offerta. In termini di trasformazione del paesaggio, le sollecitazioni maggiori sono arrivate dal tavolo tecnico sulle Fonti rinnovabili, esso ha difatti evidenziato come a livello locale il dibattito si stia spostando da una visione riferita alla sola quantità di energia prodotta verso questioni invece legate all’efficacia, intesa come convivenza, sia Elio Trusiani, Emanuela Biscotto, Silvia B. D’Astoli
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economica che sociale di produrre energia grazie anche al coinvolgimento attivo e responsabile dei cittadini (Figura 4).
Figura 4. Elaborazione dei risultati tavolo tecnico “Paesaggio e Fonti rinnovabili”. Dall’elaborazione dei risultati di ciascun tavolo, tuttavia, è emerso chiaramente come, in un contesto quale quello rappresentato dal caso pilota, l’individuazione di strategie ed azioni debba essere indirizzata verso la costruzione di uno scenario di piccole reti, materiali e immateriali, sulla diffusione e sul mix di pratiche diverse del “vivere” il paesaggio, nonché sulla capacità di avviare processi di riterritorializzazione dell’economia, che sappiano produrre qualità (Figura 5).
Figura 5. Relazioni tra categorie di intervento, paesaggi e strategie. Le tematiche emerse durante la prima fase della ricerca sono diventate occasione di studio per alcune tesi del Corso di Laurea in Architettura del Paesaggio rispondendo, in tal senso, a quell’integrazione e coinvolgimento tra enti e istituzioni voluto dalla UE. Le laureande coinvolte 4 hanno affrontato con metodo e rigore scientifico il tema della valorizzazione del paesaggio culturale, alla scala territoriale e secondo i binomi trattati dai tavoli 4
Elisa Costantini, Marta Mattiaci e Simona Perruzza.
Elio Trusiani, Emanuela Biscotto, Silvia B. D’Astoli
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Regole per la gestione del paesaggio europeo: la costruzione di una metodologia comune attraverso la condivisione delle esperienze
tecnici, fornendo suggestioni e proposte progettuali capaci di qualificare il territorio, pur garantendone lo sviluppo. La fase finale della metodologia sarà l’elaborazione del LMP 5 quale trasposizione delle analisi, della sintesi critica e dell’apporto fornito dagli attori coinvolti in: politiche, scenari ed azioni inserite all’interno di una strategia comune in grado di mettere insieme la protezione del paesaggio e la sua valorizzazione. La natura teorico/sperimentale del progetto di ricerca trova il suo punto di forza proprio nell’operare “all’interno dei paesaggi, ovvero di essere nel/sul territorio” e, al contempo, di operare dentro e fuori dell’amministrazione pubblica.
Bibliografia Libri Riccardo Priore, (2009), No people, no landscape, Franco Angeli Editore, Milano. Brunori G., Marangon F., Reho M., (a cura di, 2007), La gestione del paesaggio rurale tra governo e governance territoriale. Continuità e innovazione, Franco Angeli Editore, Milano. Cassatella C., Peano A. (eds, 2011), Landscape Indicators: Assessing and Monitoring Landscape Quality, Springer, Dordrecht. Nogué J., Puigbert L., Sala P., Bretcha G., (eds, 2010), Paisatge i participació ciutadana. L’experiéncia dels catàlegs de paisatge de Catalunya, Observatori del Paisatge de Catalunya, Barcellona. Nogué J., Puigbert L., Sala P., Bretcha G., (eds, 2009), Ordenació i gestió del paisatge a Europa, Observatori del Paisatge de Catalunya, Barcellona. Scazzosi L. (a cura di, 2003), Leggere il paesaggio. Confronti internazionali, Gangemi editore, Roma. Pays.Doc – Programme Interreg III MEDOCC, (2007), Per una corretta gestione del paesaggio: linee guida, Generalitat de Catalunya, Barcellona. PaysMed- Programme MED / MED Programme 2007-2013, (2001) Catalogo delle Buone Pratiche per il paesaggio in Aree Periurbane, Región de Murcia, Murcia.
Articoli Barbanente A. (2009), “La pianificazione paesaggistica per un diverso sviluppo”, in Urbanistica Informazioni, n. 224, pp. 4-5. Peano A., Voghera A. (2009), “Innovazioni in corso nella pianificazione paesaggistica delle regioni”, in Urbanistica DOSSIER, n.112, pp.17-18.
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Questa fase è attualmente in itinere e costituirà il prodotto finale del progetto.
Elio Trusiani, Emanuela Biscotto, Silvia B. D’Astoli
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Paesaggio: dimensione dell’armonia
Paesaggio: dimensione dell’armonia Giovanna Paci Università Politecnica delle Marche Dipartimento Scienze e Ingegneria della Materia, dell’Ambiente e dell’Urbanistica (SIMAU) Facoltà di Ingegneria Email: paci.gio@libero.it Tel. 347.7838793 Grazia Sabbatini Università Politecnica delle Marche Dipartimento Scienze e Ingegneria della Materia, dell’Ambiente e dell’Urbanistica (SIMAU) Facoltà di Ingegneria Email: grazia.sabbatini@gmail.com Tel. 333.2835419
Abstract Promuovere i processi di progettazione partecipata non può essere un’opzione da vagliare; lo stesso processo di costruzione del consenso democratico passa attraverso la formazione collettiva di una volontà che deve essere sottoposta a criteri normativi: occorre, cioè, razionalizzare l’esercizio del potere sociale e politico dei cittadini nella creazione di spazi pubblici che si ri-definiscano come tali, superando la cancellazione del confine tra pubblico e privato. Se il paesaggio, inteso come realtà multidisciplinare ed orditura di segni che raccontano e incarnano l’identità di un luogo e di una comunità, esprime la vita interiore di una comunità, il progetto paesaggistico come cardine del progetto urbanistico deve procedere all’interpretazione dei bisogni e delle necessità di quella comunità, deve costruire processi decisionali chiari e condivisi, in cui ogni singolo cittadino o gruppo sociale può dialogare apertamente con le istituzioni, nella certezza che il processo di potenziale trasformazione progredisca dal dibattito, come anche suggerito dalla Convenzione Europea del Paesaggio.
Il ruolo del paesaggio nel progetto urbanistico contemporaneo Il paesaggio è davvero, soltanto, sfondo del progetto urbanistico contemporaneo, o non significa, piuttosto, qualcosa di molto più ampio? Esso si definisce nell’insieme delle relazioni che lo pervadono, va inteso come realtà multidisciplinare ed orditura di segni che raccontano e incarnano l’identità di un luogo e di una comunità. Nel progetto urbanistico dobbiamo intraprendere quello che Massimo Venturi Ferriolo definisce un “percorso paesaggistico”, cioè un “percorso senza confini, che indaga gli individui, coglie gli oggetti particolari di un qualcosa che comprende tutto” (Venturi Ferriolo M., 2002). In questo senso, più che sfondo il paesaggio deve essere protagonista del progetto urbanistico contemporaneo, considerando l’armonia come obiettivo complessivo di qualità, recuperando la relazione con il luogo nella sua pienezza, creando spazi che offrano occasioni molteplici, capaci di soddisfare i bisogni individuali e collettivi. Progetto e paesaggio, pertanto, sono chiamati ad un’interazione proficua, poiché il senso di decostruzione del progetto contemporaneo viene compensato dall’esperienza di omogeneità che offre, invece, il paesaggio 1. Il progetto di paesaggio va inteso come progetto sociale condiviso, che non attiene al solo aspetto morfologico – territoriale, ma contiene una dimensione culturale, sociale e produttiva, nonché una componente immateriale 1
Il concetto viene dettagliatamente esposto da Angelo Sampieri in Ferrario-Sampieri-Viganò, Landscapes of urbanism. Officina ed., Roma 2011
Giovanna Paci, Grazia Sabbatini
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fortemente legata all’identità di un luogo, allo scopo di invertire la tendenza alla proliferazione di quegli “spazi pubblici non civili” (Z. Bauman, 2002) che hanno trasformato il cittadino in consumatore, privandolo delle attività collettive e della dimensione dell’incontro come scambio, nel tentativo di azzerare le differenze, in nome di una presunta, quanto pericolosa, sicurezza. Va quindi recuperata l’idea dello spazio pubblico come “luogo in cui succedono cose”, riaffermandone il carattere fortemente politico nel suo contributo a (ri)creare un tessuto di relazioni tra gli individui. La città, sempre più privata, viene regolata sulla base di principi attinenti alla sicurezza (esclusione) anziché all'interazione (inclusione), e ciò si allontana sempre più dall'idea democratica di spazio pubblico che ha caratterizzato la città fin dai tempi antichi. L’individuo ha smesso di produrre i significati indispensabili alla creazione del luogo come momento di condivisione sociale e lo spazio pubblico si è trasformato da luogo di incontro a zona di transito priva di contenuto: il suo significato politico mostra una società che mentre vede dilatare le possibilità di spaziare virtualmente grazie ai satelliti, soffre del restringimento delle modalità di appropriazione dello spazio fisico. I processi di progettazione partecipata sono divenuti oggi elementi chiave nella pianificazione del territorio da parte delle amministrazioni locali; è dunque indispensabile fornire strumenti metodologici alla comprensione del paesaggio nelle sue componenti economica, ecologia e sociale, rendendo la presenza di ognuno di importanza rilevante da un punto di vista politico e restituendo al cittadino la sua dose di responsabilità, in un’ottica di cambiamento del ruolo dell’uomo da dominatore a membro partecipe.
La progettazione partecipata: metodo, problematicità e punti chiave Ogni processo partecipativo deve innanzi tutto garantire una chiara informazione della popolazione su tutti gli aspetti tecnici, le implicazioni, le caratteristiche e l’impatto del progetto in discussione; questo significa che, prima di poter aprire il dibattito, è necessario aver già fornito tutte le informazioni necessarie, avendo preparato e distribuito un dossier da cui ognuno può farsi un quadro della situazione e formulare di conseguenza le proprie riflessioni e domande da porre. Questo è anche un passaggio fondamentale per impedire scelte improvvisate, e dare quindi maggiore serietà e legittimazione alla opinione di ognuno, in quanto consapevole. Va quindi garantito che ognuno possa poi esprimersi sul progetto, avendo il diritto non solo di porre domande ma anche, e soprattutto, di ottenere risposte. Il processo di confronto deve portare ad una sintesi finale rappresentativa di un pensiero condiviso che deve avere una reale influenza sulla decisione pubblica, contribuendo a chiarire la direzione che l’amministrazione responsabile dovrà intraprendere. La grande difficoltà di questa metodologia di lavoro è la gestione degli interessi in conflitto, anche in relazione ai cambiamenti dei bisogni dei cittadini e della composizione sociale, e al fatto che gli interessati possono essere potenzialmente anche molto numerosi, rendendo complicata la sintesi finale. Il conflitto può essere sugli obiettivi, può nascere tra i diversi attori (anche in relazione a ragioni etnografiche) o può vertere sul metodo; il mediatore dovrà essere molto attento alle dinamiche di gruppo e alle manipolazioni di tipo psicologico da parte dei soggetti più carismatici. Per questo è necessario negoziare e concertare una decisione comune durante tutta la gestione del processo, favorendo la costruzione di una nuova prospettiva comune. I cittadini vanno informati tanto dei vincoli, quanto delle opportunità che caratterizzano questo processo, con una comunicazione chiara, coerente, bidirezionale, credibile e autorevole. La scelta di adottare un processo partecipativo da parte di un’amministrazione va comunicata in modo non solo da evidenziare la volontà di cambiamento verso un’attitudine più vicina al cittadino, ma anche perché una posizione chiara costituisce anche un impegno preciso, da cui non ci si potrà sottrarre all’insorgere delle difficoltà. Va anche sottolineato che la democrazia partecipativa non erode il potere di quella rappresentativa, poiché, al contrario, aggiunge consapevolezza della complessità che va governata, che spesso, per la velocità con cui evolve, sfugge all’amministrazione. Un aspetto importante dei processi partecipativi è quello che riguarda i tempi: occorre stabilire quanto l’esperienza dura complessivamente e la durata di ogni fase che si intraprende; questo significa avere chiaro, fin dal principio, il percorso che si intende seguire, per poterne stabilire le tappe. Allo stesso modo devono essere chiare le regole della partecipazione, gli strumenti, i ruoli. L’avvio di un’operazione di progettazione partecipata non deve essere un’operazione di marketing, è piuttosto l’organizzazione di un cantiere di idee in cui i “lavori in corso” permettono a tutti di essere coinvolti in maniera significativa, aumentando così il senso di appartenenza ma anche la fiducia in quello che si sta realizzando. Anche l’utilizzo di strumenti on-line, come la realizzazione di un sito e l’apertura al pubblico di chat e blog nei quali è possibile ottenere un’interazione, è molto utile a tenere informati i partecipanti e a tenere il dibattito animato anche tra un incontro e l’altro. Questo non significa, tuttavia, eliminare canali di comunicazione più tradizionali, il che potrebbe significare l’esclusione di quei soggetti non abituati all’uso della tecnologia.
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Esperienze di progettazione partecipata: l’esempio sardo Un esempio particolarmente efficace di progettazione di un paesaggio condiviso è costituito dall'Ecomuseo di Carbonia Iglesias in Sardegna, che mira alla rigenerazione urbana e produttiva di questa città di fondazione sorta negli anni '30 del XX secolo per ospitare i lavoratori delle miniere nel Sulcis ed alla sua trasformazione in un paesaggio del XXI secolo. Già dal nome conferito al progetto “Landscape machine” si intende suggerire che esso funzioni quale dispositivo moltiplicatore di processi virtuosi, i quali si riverberano a scala più ampia e su ambiti differenti. È interessante l'istituzione di un ecomuseo, in quanto esso rappresenta uno specchio vivo e dinamico di un territorio e della sua popolazione e, dunque, conserva la memoria collettiva ed identitaria di un luogo proiettandola al contempo nel futuro. In tal modo si riescono a connettere gli aspetti territoriali, sociali, culturali, economici, ecologici, rendendo la popolazione ed i visitatori soggetti attivi, anziché passivi. Il progetto, riconosciuto dal Consiglio d'Europa vincitore del Premio del Paesaggio 2011, si pone come obiettivi la conservazione e valorizzazione del sito storico minerario e la sua trasformazione in museo all'aperto (nel 2004 è stato inserito nella rete internazionale dei Geoparchi Unesco), la partecipazione della popolazione nel processo decisionale (è stata creata un'apposita Agenda 21), la promozione di un nuovo modello di sviluppo economico (è nata un'attività di ricerca e sviluppo sulla green-economy del carbone), la rivitalizzazione del contesto culturale (attività convegnistiche, mostre, “living art” con artisti contemporanei che progettano installazioni legate al territorio), la crescita di una coscienza collettiva legata al paesaggio ed ai suoi valori identitari, la revisione degli strumenti tecnici ed amministrativi (Piano Strategico, P.U.C., protocolli d'intesa con Università ed U.E.). Gli scenari di sviluppo possibili ed il quadro strategico complessivo sono stati condivisi con tutti gli attori locali, dando vita ad una governance integrata in un processo inclusivo.
L’istituzionalizzazione dei processi di progettazione partecipata: l’esempio francese Un esempio molto interessante di come la partecipazione della popolazione sia divenuta un fattore cardine nella pianificazione e progettazione degli interventi pubblici ci viene fornito dalla Francia, che, ad oggi, coglie i frutti di un percorso iniziato 17 anni fa, quando, nel 1995 è stata istituita la CNDP (Commission Nationale du Débat Public 2). La legge Barnier (2 febbraio 1995) ed il suo decreto di applicazione 3, segnano l’introduzione del principio di partecipazione sotto forma di dibattito pubblico, facendolo entrare all’interno del corpus giuridico francese. La grande originalità di questo dispositivo sta soprattutto nel creare un’istituzione che ha per missione quella di “vegliare” sulle modalità organizzative e sulla regolarità della messa in opera del dibattito pubblico che la legge instaura. Le riflessioni contemporanee sull’importanza della partecipazione hanno in Francia radici molto profonde, che già da tempo hanno consentito al paese di avviare una macchina che, oggi, funziona egregiamente. La constatazione del carattere spesso troppo tardivo della consultazione del pubblico e del monopolio dello stato nello stabilire il carattere di “interesse generale” dei grandi progetti di pianificazione, ha portato il primo ministro, nel 1998, a chiedere al Consiglio di Stato un rapporto che mirava a migliorare le condizioni di definizione di pubblica utilità dei grandi progetti. Il rapporto del gruppo di studio, terminato alla fine del 1999, insisteva su alcuni punti: la necessaria ri-definizione della “pubblica utilità” e delle condizioni di apprezzamento dell’interesse generale; l’importanza di consultare e di informare il pubblico, lungo tutto il corso del processo decisionale; infine, l’importanza di un’evoluzione della Commissione verso un’istanza indipendente, garante del corretto svolgimento del dibattito pubblico. L’insieme di queste considerazioni, e l’avanzare della riflessione in materia anche in ambito internazionale 4, hanno portato alla Legge del 27 febbraio 2002 5 che ha modificato lo statuto della Commissione, rinforzandone e diversificandone i compiti, ma soprattutto rendendola una autorità amministrativa indipendente. Una AAI (Autorité Administrative Indépendante) è un’istituzione dello stato incaricata a suo nome di assicurare la gestione di settori considerati essenziali e per i quali il governo vuole evitare di intervenire in maniera troppo diretta; le AAI costituiscono una categoria giuridica nuova, in quanto (contrariamente alla tradizione amministrativa francese), non sono sottomesse all’autorità gerarchica di un ministero e dispongono quindi di una grande autonomia. Effettivamente esse si collocano al di fuori delle 2
“Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico”; già nel 1983 la Legge Bouchardeau sulla democratizzazione delle indagini pubbliche, aveva comportato un primo passo avanti in materia di consultazione pubblica; in seguito, la circolare Bianco del 15 dicembre 1992 e la circolare Billardon del 14 gennaio 1993 hanno indicato come fosse necessaria una fase di concertazione precedente agli studi preliminari dei progetti delle grandi infrastrutture, sottolineandone l’interesse e le implicazioni economiche e sociali. 3 Il decreto applicativo della Legge Barnier è del 10 maggio 1996 (n. 96 – 388). 4 Direttiva 97/11/CE, del Consiglio del 3 marzo 1997 (che modifica la direttiva 85/337/CEE), sulla valutazione dell’incidenza di certi progetti pubblici e provati sull’ambiente; Convenzione di Aarhus (25/06/1998), sull’accesso all’informazione, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale; successiva alla legge di cui sopra ma sempre inserita all’interno di queste riflessioni, Direttiva 2003/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 marzo 2003, che prevede la partecipazione del pubblico al momento dell’elaborazione di certi piani e programmi relativi all’ambiente. 5 Legge 2002 – 276 del 27 febbraio 2002, relativa alla “democrazia di prossimità”. Giovanna Paci, Grazia Sabbatini
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strutture amministrative tradizionali e sono completamente indipendenti dal potere pubblico, che non può dar loro nessun tipo di ordine. Questo nuovo statuto ha come scopo quello di assicurare la legittimità dell’istanza che è garante, di fronte alla popolazione, dell’imparzialità e della trasparenza del dibattito pubblico. Con la legge Grenell II 6, del 2010, il funzionamento della Commissione Nazionale è stato ulteriormente modificato. L’intervento della commissione, e quindi l’organizzazione di un dibattito pubblico, riguarda i grandi progetti di pianificazione del territorio che possano avere una ricaduta in termini economici e sociali; la commissione deve essere interpellata obbligatoriamente per una serie di interventi 7, mentre per altri il suo parere è solo facoltativo 8. Vengono cioè stabilite delle categorie di operazioni e delle “soglie” per classificare gli interventi e decidere quindi la necessità o meno di chiamare in causa la Commissione. Il dibattito pubblico, così come viene definito dalla legge, è una tappa del processo decisionale che si inserisce a monte dell’elaborazione del progetto, e che riguarda la sua opportunità, i suoi obiettivi e le sue caratteristiche principali, poiché effettivamente, nel momento in cui esso viene convocato, ogni possibilità è ancora aperta; essendo una forma di concertazione istituzionalizzata, il dibattito non è aperto solo alle figure che fanno da intermediario (come nelle concertazioni amministrative tradizionali), ma esso è aperto a tutto l’insieme della popolazione. I tre obiettivi principali del dibattito, cioè l’informazione del pubblico riguardo al progetto, la possibilità di esprimersi su questo ed i chiarimenti offerti dal dibattito stesso all’istituzione pubblica responsabile, concorrono tutti ad un processo di democratizzazione e legittimazione della decisione finale; il ruolo della Commissione resta quello di organizzare e facilitare il dibattito senza mai esprimersi sui fondamenti del progetto 9. A partire dalla sua creazione, dal 2002 alla fine del 2009, la Commissione Nazionale ha analizzato 97 dossiers 10; in questo periodo, fatta eccezione per la fase intorno al 2006 in concomitanza con le elezioni presidenziali, il numero di convocazioni della Commissione è abbastanza stabile e si aggira intorno ad una quindicina l’anno. Sempre, come primo obiettivo, si pone quello di analizzare l’opportunità o meno dell’intervento, prima ancora di riflettere sulle sue caratteristiche o sul suo impatto. Per questo è assolutamente indispensabile che il dibattito avvenga a monte di tutto il processo decisionale, quanto ancora le scelte essenziali non sono state compiute. “Occorre che la partecipazione del pubblico cominci all’inizio della procedura, vale a dire quando tutte le opzioni e le soluzioni possibili sono ancora possibili, ed il pubblico può esercitare una reale influenza”, sottolinea la Convenzione di Aarhus, 1998; e ancora la legge francese del 2002 dichiara: “il dibattito pubblico riguarda l’opportunità, gli obiettivi e le caratteristiche principali del progetto”. Tutto ciò presuppone dunque che la decisione di “fare” o “non fare” non sia stata ancora presa, e che la questione sulle modalità di realizzazione resti aperta, vale a dire che vengano presentare diverse opzioni.
Conclusioni La questione relativa ai grandi progetti delle infrastrutture, ed in generale di quelle grandi opere che segnano e modificano in maniera evidente il territorio, si lega fortemente a quella della definizione dell’interesse pubblico in nome del quale queste dovrebbero essere realizzate. Non di meno, entrano in gioco in questa definizione un numero di attori portatori di interessi particolari, ognuno dei quali andrebbe sorpassato per concorrere ad un bene comune, evitando che il concetto di “partecipazione” si trasformi in quello di “appropriazione”, trasformando quindi i principi e gli obiettivi in forza dei quali la democrazia partecipativa diviene fondante per la crescita del paese. La questione temporale non è di secondo piano: non si può convocare un dibattito pubblico troppo presto, poiché occorre un minimo di materiale a disposizione per dare concretezza alla discussione, per cui è necessario avere realizzato gli studi preliminari che permettano di esporre le motivazioni del progetto, di descriverne implicazioni 6
Legge n. 2010 – 788 del 12 luglio 2010. Progetti che richiedono l’intervento obbligatorio della Commissione: a. creazione di autostrade, strade veloci o a doppia corsia e due sensi di marcia; b. allargamento di strade esistenti a due o tre corsie per farne una strada a due doppie corsie e due sensi di marcia; c. creazione di linee ferroviarie; d. creazione di vie navigabili o trasformazione consistente di canali esistenti. La soglia stabilita per queste categorie di intervento è un costo superiore a 300 M€ o una lunghezza superiore a 40 Km. (Si riportano solo le categorie principali, nella legge vengono elencate anche altre tipologie di interventi con le relative soglie) 8 Progetti che possono richiedere un eventuale intervento della Commissione (non richiesto obbligatoriamente): stesse categorie che i precedenti, ma con diverse soglie. La soglia stabilita per queste categorie di intervento è un costo compreso tra 150 M€ e 300 M€ o una lunghezza compresa tra 20 Km e 40 Km. (Si riportano solo le categorie principali, nella legge vengono elencate anche altre tipologie di interventi con le relative soglie). 9 A questo proposito è stata adottata dalla Commissione Nazionale una Carta Etica e Deontologica delle Commissioni Particolari (istituite a livello locale), che riguarda gli impegni dei membri in favore del dibattito, la loro indipendenza ed il loro dovere di neutralità. Tutti i membri delle Commissioni Particolari devono impegnarsi a rispettare queste regole. 10 Dei 97 dossiers, 94 sono relativi a dei grandi progetti di trasformazione del territorio e tre relativi ad importanti scelte in materia ambientale e di pianificazione; dei dossiers esaminati, 89 lo furono per una convocazione obbligatoria della Commissione, come stabilito dalle condizioni di legge, ed i restanti 8 per una convocazione in seguito alla pubblicazione del progetto da parte dell’amministrazione responsabile. 7
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ed obiettivi, le grandi opzioni possibili e per ognuna di esse l’impatto sul territorio e sull’ambiente. Occorre però fare attenzione a che il dibattito non arrivi troppo tardi, e che la decisione non appaia come già presa. L’esperienza vissuta dal nostro paese evidenzia un percorso tripartito, in cui i rappresentanti da noi eletti decidono, i tecnici progettano e gli abitanti abitano. Ma la costruzione di una visione, e convinzione, collettiva, passa necessariamente attraverso un dibattito che permetta l’espressione di tutti i punti di vista. Ciò che viene definito come “interesse generale” deve essere difeso, compito di cui i rappresentanti ed il servizio pubblico si fanno carico. Ma la definizione stessa di “interesse generale” deve essere adeguata ad una società che evolve: in questo senso, il contributo delle persone che compongono tale società diviene fondamentale. Questo sembra, ad esempio, uno dei motivi fondamentali che hanno sviluppato il movimento no-tav: la popolazione, nonostante l’entità dell’intervento, non è stata affatto interpellata, se non a valle del progetto, quando ormai le decisioni fondamentali erano state prese, prima fra tutte quella di realizzare l’opera (in direzione contraria alla procedura sopra esposta per la Francia, in cui in primis viene messa in discussione l’opportunità o meno dell’opera da realizzare). Il modello francese del Débat Public ci mette di fronte alla necessità di ripensare non solo le modalità di progettazione e realizzazione delle grandi opere, ma anche la programmazione di interventi a scala minore, per far fronte alla grave mancanza di democrazia partecipativa nei processi di pianificazione anche locali, che non permettono alla popolazione di svolgere un ruolo responsabile al loro interno. E’ necessario stabilire obiettivi, metodologia e tempi; occorre che i processi siano trasparenti, che l’informazione sia chiara, che il tutto venga regolato da un organismo terzo garante del corretto svolgimento dell’iter, affinché ogni singolo individuo sia implicato in una costruzione collettiva. Solo in tal modo, infatti, ognuno potrà contribuire alla creazione di un paesaggio condiviso, raggiungendo piena armonia ed equilibrio tra “paesaggio” e “progetto”.
Bibliografia Libri Ferrario V., Sampieri A.,Viganò P. (2011), Landscapes of urbanism, Officina ed., Roma. Bauman Z. (2003), Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari. Venturi Ferriolo M. (2002), Etiche del paesaggio. Il progetto del mondo umano, Editori Riuniti, Roma.
Articoli Castiglioni B., De Marchi M., Ruffato M. (2011), “Paesaggi democratici: dalla partecipazione alla cittadinanza”. Rivista trimestrale di Scienza dell'Amministrazione, 1, pp.65-83.
Siti web Ministero per i Beni e le Attività Culturali, (2011). Premio del Paesaggio del Consiglio d'Europa. [Online]. Disponibile su: http://www.premiopaesaggio.it/archives/357 CNDP, (2002 – 2009). Evolution des moyens de la Commission Nationale du Débat Public. [Online]. Disponibile su: http://www.debatpubli.fr
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Strumenti di paesaggio per il progetto urbanistico
Strumenti di paesaggio per il progetto urbanistico Giulia Carlone Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio Email: giulia.carlone@gmail.com Tel. 335.7161132
Abstract In riferimento al fatto che il paesaggio sia una dimensione strutturale del pensiero progettuale in urbanistica, non si può non considerare la generale insoddisfazione verso le trasformazioni urbane contemporanee, e i modi di governo delle stesse, che appaiono inadeguate, assenti e/o inefficaci riguardo ai temi del paesaggio. L’integrazione di cui parla la Convenzione europea del Paesaggio (art.5, c. d), evidenzia la necessità di un’urbanistica più attenta alla dimensione paesaggistica del suo operare, nell’interesse del governo delle trasformazioni fisiche che stanno investendo la città e che modellano, modificano e trasformano i paesaggi urbani contemporanei in modo “distratto”. Il paper presenta i risultati di un’indagine condotta sulle città di Madrid, Lione, Londra, Parigi e Rotterdam. I casi fanno emergere alcuni elementi della cultura progettuale attuale in riferimento al ruolo del paesaggio nel progetto urbanistico e aprono nuove strade per sviluppare il tema dell’integrazione tra il paesaggio e l’urbanistica.
Introduzione “l’instabilità del quadro politico; le formalità assurdamente cresciute degli atti pubblici; le connessioni trasversali, palesi e occulte, fra i molti e competenti soggetti; i prezzi sempre più alti della compravendita dei terreni […] spesso hanno reso secondari tutti gli altri valori in gioco. […] Oggi gli atti urbanistici sono diventati enormi pacchi di carte, inconsultabili ed ermetici. La corrispondenza tra gli atti e le trasformazioni reali è difficile o impossibile da accertare. Governanti e governati, per motivi diversi e anche contrastanti, condividono il desiderio di trascurare, o di fare semplicemente a meno di questa disciplina. In questa vicenda io vedo un elemento paradossale. […] Tutto questo è avvenuto mentre per l’oggetto realizzato - il paesaggio […] - l’interesse è cresciuto e continua a crescere anche nel nostro paese. La base di questo interesse non è culturale, come si dice, ma sperimentale” (Benevolo, 2011; p.19). Nell’intenzione di capire come la disciplina del paesaggio e le sue pratiche progettuali possano intervenire al fine di aiutare a ripensare i paradigmi di riferimento e le impostazioni di piano e progetto della nostra attuale cultura urbanistica, all’interno di una tesi di dottorato, sono stati indagati i casi delle città di Madrid, Lione, Londra, Parigi e Rotterdam. Tali città, negli ultimi anni, hanno sviluppato strumenti che incidono sullo sviluppo del progetto urbanistico considerando e dando al paesaggio (urbano) un ruolo specifico.
I casi di studio I casi individuati sono eterogenei per aspetti e strumenti ma sono stati scelti poiché rappresentativi di tre differenti modi di intendere il ruolo del paesaggio per il progetto della città contemporanea. Per ogni caso, verranno evidenziate idee e scelte in riferimento al paesaggio urbano e alle implicazioni concettuali, metodologiche e operative (strumenti e progetti) che differenti modi di “vedere” e “fare” producono. Per ogni caso di studio, saranno presentate delle conclusioni che evidenziano, rispetto allo strumento analizzato per ogni Giulia Carlone
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Strumenti di paesaggio per il progetto urbanistico
città: il paradigma di paesaggio adottato, il ruolo che il paesaggio gioca nelle scelte di piano e di progetto e gli attori che vengono coinvolti, evidenziando gli aspetti procedurali e sostanziali dell’integrazione tra il paesaggio e l’urbanistica. Lo scopo di questa modalità di presentazione è di evidenziare il modo in cui si esprimono gli strumenti analizzati rispetto al paesaggio urbano, come indirizzano il progetto urbanistico e come lo controllano.
Madrid: il Plan Director del Paisaje Urbano de Madrid Nel 2005 vengono iniziati i lavori per la definizione del Piano Direttore del paesaggio Urbano di Madrid. Nel 2008 il piano è concluso e viene istituita la Commissione di Qualità Urbana (Comision de Calidad Urbana). Nel 2009 il piano è approvato dalla Commissione di Qualità ed è, al momento di questo scritto, in vigore 1. Il piano ha una triplice volontà: migliorare la qualità della scena e del paesaggio urbano di Madrid, costruire una cultura della città che integri storia, identità e innovazione, comprensione e riconoscimento dei paesaggi dell’identità cittadina. Il modello che intende perseguire tali volontà si fonda sul riconoscimento della città tradizionale e sulle identità consolidate, sulla definizione di criteri per l’integrazione delle urbanizzazioni recenti, sull’identificazione e caratterizzazione dei valori in grado di portare innovazione e dinamismo. Le prospettive a cui il piano si riferisce sono di tipo estetico, urbanistico e culturale ma anche sociali, economiche e ambientali e per questo ha un approccio e una visione fortemente interdisciplinare, implicando la collaborazione tra le differenti aree di governo del territorio che incidono sul paesaggio urbano. Al fine di raggiungere gli obiettivi evidenziati, il paesaggio è lo strumento del piano. Alla base del piano è posta l’individuazione e il riconoscimento di unità di paesaggio urbane che sono state definite a partire da un paradigma di paesaggio in senso ecologico. Il concetto del mosaico è, infatti, quello che guida le riflessioni teoriche e gli sviluppi pratici per definire planimetricamente un’espressione della città per ambiti paesaggisticamente omogenei che si definiscono su una struttura di aree di supporto territoriale di tipo naturale e artificiale. Benché l’individuazione del mosaico di unità di paesaggio urbane sia il frutto di una articolata matrice in cui sono stati indagati i contenuti morfologici, socio economici e di riconoscibilità percettiva 2, il paradigma di paesaggio che guida l’intero piano fa riferimento principalmente alle componenti estetico percettive della città. Attraverso il piano, il paesaggio si esprime come strumento per la redazione del piano per l’individuazione di elementi di forza, opportunità e minacce per la redazione di programmi e progetti specifici. In questa struttura, il paesaggio è lo strumento del piano e l’oggetto/scopo dei programmi e progetti che l’indagine svolta sulla dimensione paesaggistica della città ha permesso di articolare. Oltre a tali innovazioni sostanziali, il piano di Madrid propone e definisce alcune innovazioni procedurali. Viene così istituita una Commissione di Qualità Urbana come organo consultivo e sovraordinato alla Comisión Institutional para la protección del Patrimonio Histórico Artistico y Natural, a cui saranno sottoposti tutti i progetti di trasformazione e disegno della città. A supportare e sviluppare il lavoro della commissione, vengono inoltre creati un Ufficio di Qualità Urbana e l’Osservatorio dell’Arredo Urbano. Il piano trova quindi nella costituzione di nuovi organismi di controllo e di monitoraggio, che lavorano anche in senso propositivo 3, i punti cardine grazie ai quali poter dare efficacia operativa ai suoi contenuti. L’integrazione e la cooperazione tra settori amministrativi, tra discipline e tra diversi attori è incoraggiata e definita specificatamente per la composizione della Commissione di Qualità Urbana. Il lavoro di ascolto della cittadinanza e di acquisizione della percezione sociale intrapreso dal piano, grazie al lavoro delle Agende 21 locali, sarà implementato dal lavoro che svolgerà l’Osservatorio dell’arredo urbano neo formato, per cui, valutarne gli esiti, è ancora troppo presto.
Piano, progetto, paesaggio urbano: Lione Nel quadro di integrazione tra l’urbanistica e il paesaggio per il progetto della città, il caso di Lione è rilevante per le capacità di integrazione tra la disciplina urbanistica e quella del paesaggio, anche tramite una collaborazione stretta tra professionisti (urbanisti e paesaggisti). La dimensione paesaggistica nel piano e nel progetto urbanistico è concreta, sia a livello di obiettivi strategici formulati a scala vasta, sia a livello di piano e progetto urbanistico. Il paradigma di paesaggio, adottato dallo Schéma directeur de l’aglomération lyonnaise Lyon 2010 e dal conseguente Schéma d’aménagement des espaces publics, fa riferimento alle componenti ecologico-ambientale, storico-culturali, percettivo-identitarie e socio-economiche. Il paesaggio, in particolare il paesaggio urbano, è considerato il vettore per la rivitalizzazione economica e sociale dell’intera agglomerazione, anche così “come percepito” dalle popolazioni, nell’attenzione per la costruzione di “quadri di vita” di qualità. 1
Un ringraziamento sentito va a Asunción Rguez Montejano, redattrice del PDPU insieme a Francisco Pol Méndez, che mi ha fornito il piano nella sua versione integrale e mi ha aiutato a districarmi nei suoi contenuti, che si esprimono in più di 600 pagine. 2 Alcune considerazioni critiche in merito alla definizione di unità di paesaggio urbane verranno fornite nella sintesi interpretativa di tutti i casi presente in questo scritto. 3 L’osservatorio dell’arredo urbano, non solo ha il compito di monitorare le necessità dei cittadini, ma anche di sviluppare progetti per migliorare il livello di qualità degli arredi. Giulia Carlone
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Lione si “rifà su se stessa” 4 grazie a: un’innovazione della struttura amministrativa che favorisce la congruenza tra piani e progetti con una fluida comunicazione verticale e orizzontale; la realizzazione di piani tematici come espressione delle strategie a scala metropolitana; l’approccio per piccoli ma sostanziali progetti di valorizzazione e recupero che si accompagnano a grandi progetti, sempre redatti da un équipe interdisciplinare in cui la figura del paesaggista non è mai assente; il coinvolgimento costante della popolazione. La rilevanza che viene data al paesaggio si sviluppa con evidenza nella realizzazione fisica degli obiettivi di piano, aprendo nuove vie per intendere, pensare e realizzare il progetto della città. Per il progetto Lyon Confluence, come ben evidenziato da Elisa Palazzo (2010), Desvigne compie un’inversione sostanziale all’ordine tradizionale della progettazione della città. Anche grazie alle indicazioni contenute nel Plan Bleu, il primo elemento che viene definito è una passeggiata lungo la Saona, poi il parco e, solo dopo, il progetto urbano. In questo modo il progetto urbano ha origine dalla definizione dello spazio aperto verde, dei vuoti e delle relazioni che si definiscono in riferimento alle circostanze ambientali particolari dell’area. Il progetto del paesaggio guida e definisce il progetto urbano.
Gli strumenti di controllo per la gestione degli “edifici alti”: Londra, Parigi e Rotterdam Londra Il London View Management Framework (2010) sviluppato dalla città di Londra, per preservare e accrescere la capacità visiva dell’osservatore, nel riconoscere ed apprezzare i landmarks considerati strategici e importanti per l’espressione dell’identità e la comprensione della città, si basa su un concetto di paesaggio in cui le dimensioni estetico-percettive sono predominanti. L’elemento che colpisce maggiormente è l’assenza di un qualunque riferimento alla percezione delle popolazioni. A quanto è risultato dai miei studi, nessuna indagine a livello di percezione da parte della cittadinanza è stata svolta per indagare quali fossero considerati i landmarks significativi da parte degli abitanti. Gli attori che sono quindi coinvolti sono essenzialmente l’amministrazione e i tecnici, pianificatori e progettisti, e la verifica di congruenza delle trasformazioni proposte viene garantita tramite commissioni di controllo come il CABE (Commission for Architecture and the Built Environment), il London Borough e il Royal Borough.
Parigi In modo similare a quello che avviene a Londra, la città di Parigi ha sviluppato una politica di gestione dello sviluppo del paesaggio urbano che si basa sull’individuazione di coni visivi da proteggere (fuseaux de protection) in riferimento ai landmarks e alle viste significative e rappresentative della città. Sulla redazione di un Plan des Hauteurs (2010), che compie una zonizzazione per altezze massime realizzabili, i coni visivi di protezione, integrati al Piano Regolatore, articolano la politica zonizzativa definendo aree di protezione per precise viste panoramiche, lineari e prospettive. La metodologia di valutazione di impatto paesaggistico, sviluppata dall’Atelier parisien d’urbanisme tramite lo studio Hauteur et grand paysage 5, evidenzia fasi e contenuti di un possibile approccio valutativo di tipo inter scalare basato sulla visibilità, intervisibilità e pregnanza del nuovo oggetto nel contesto paesaggistico della città. Nuovamente, grande assente è la percezione delle popolazioni.
Rotterdam Il caso di Rotterdam si pone in modo diverso rispetto a Londra e Parigi, per due ragioni fondamentali. La prima differenza è rappresentata dal fatto che, contrariamente alla maggior parte delle città europee, Rotterdam non possiede un centro storico stratificato caratterizzato da un’edificazione più o meno densa con dei landmark significativi. La ricostruzione, dalla seconda guerra mondiale, ha delineato un centro città che si rappresenta tramite uno skyline formato da edifici alti. Questa prima differenza, porta con se, la seconda. Trovandosi in questa situazione, il problema della costruzione di politiche e di gestione della crescita della città in altezza, si confronta con il problema dell’inserimento di un edificio in un paesaggio fortemente caratterizzato dalla presenza di edifici alti: di 130 edifici la cui latezza è tra i 50 e i 165 metri. Uno studio condotto da Frank van Der Hoeven e Steffen Nijhuis (2011) mostra come, grazie all’uso di nuove tecnologie GIS, sia possibile dare maggior sostanza alle pratiche zonizzative per far in modo che prendano in considerazione l’effettiva espressione dello skyline che stanno proponendo. 4 5
Tale motto è espresso nello Schéma d’aménagement des espaces publics. Questo lavoro fa parte di un più grande processo di studio, di dibattito e di concertazione sull’evoluzione del paesaggio urbano di Parigi che fa particolare riferimento agli edifici di grande altezza, la cui attuazione è stata deliberata nel luglio 2008 dal Consiglio di Parigi.
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Sintesi interpretativa e futuri passi In riferimento all’affermazione per cui il paesaggio sembra potersi esprimere molto di più attraverso politiche e pratiche di pianificazione “debolmente” codificate e istituzionalizzate (Pizzo, 2005), i casi descritti e analizzati danno consistenza ad una realtà diversa. La diversità di forme e modi di pianificare che i casi analizzati rappresentano, permettono di far emergere la ricca articolazione che il tema del paesaggio urbano sta sempre più acquisendo. La ricchezza dei paradigmi interpretativi utilizzati, come principi teorici per la formulazione di obiettivi concreti, aprono lo sguardo verso una diversa articolazione delle pratiche del fare città, la gran parte nell’ottica dell’integrazione tra discipline. È evidente che, per ogni caso, il paradigma di paesaggio adottato rifletta necessità e obiettivi specifici sviluppati di caso in caso, ma che, anche a fronte di un paradigma di riferimento, lo strumento che ne deriva non viene meno nel cogliere, con più o meno profondità, tutte le altre componenti del paesaggio, verso un’accezione ampia del termine. Anche se questo sembra avvenire meno per gli strumenti di controllo dello sviluppo in altezza, dove grande assente è la percezione delle popolazioni, l’interesse nei confronti del paesaggio urbano assume una dimensione integrata tra le sue componenti e il paesaggio diventa sia strumento che oggetto del progetto della città in termini sistematici. Le innovazioni sostanziali in merito all’assunzione del paesaggio urbano, come strumento per il piano e oggetto del progetto, si accompagnano sempre a innovazioni procedurali che: sia acquisiscono dalla natura del paesaggio nuovi attori, sia impegnano gli attori più consolidati in azioni interdisciplinari. I casi riportati, evidenziano inoltre come il paesaggio non sia lo sfondo del progetto urbanistico, ma come si stia sempre di più affermando come struttura di processo complessa per lo sviluppo della città in termini socio economici e per il suo disegno in termini estetico percettivi, per promuovere la qualità dell’abitare che si traduce nella ricerca di una vivibilità anche in senso ecologico. Anche se i casi riportati presentano differenti strumenti e modalità di attuazione delle politiche di paesaggio evidenziate per ogni città, è possibile riconoscere alcune costanti che sembrano caratterizzare i casi di studio: • metodologie d’indagine orientate dalla componente visiva del paesaggio; • definizione e riconoscimento degli elementi di identità urbana; • definizione dei luoghi e degli spazi di apprezzamento ed espressione del paesaggio urbano; • istituzione di organismi di controllo delle trasformazioni in riferimento agli obiettivi espressi che lavorano sulla costruzione della coerenza; • integrazione della dimensione paesaggistica dell’urbano nella pianificazione e progettazione della città come dimensione per il governo delle trasformazioni al fine di ottenere obiettivi di qualità paesaggistica; • integrazione tra settori e competenze disciplinari diverse (per i casi di Madrid e Lione). Nel caso di Madrid, la dimensione paesaggistica della città viene affrontata per definire e riarticolare, tramite progetti e programmi, l’immagine della città. All’immagine della città, che comprende la sua dimensione ecologica, viene dato un ruolo essenzialmente identitario ed estetico ma, alla base del piano viene posta la definizione di unità di paesaggio urbane 6. Per quanto riguarda le unità di paesaggio urbane, così come formulate dal piano e come supporto fondamentale del piano stesso, si possono evidenziare due aspetti. Il primo riguarda l’indubbio valore culturale che tale esemplificazione porta ai modi di analizzare e cogliere il paesaggio urbano; il secondo riguarda una perplessità: se le unità di paesaggio, sia intese nella definizione di aree omogenee (come nel caso di Madrid) sia di aree eterogenee per elementi e relazioni, ben si adattano ai contesti più naturali, dove i tempi della natura sono tendenzialmente “lenti”, è possibile definire delle unità di paesaggio urbane come base per interventi e progetti, quando la caratteristica dell’urbano è proprio il suo dinamismo? Sempre più, nelle città, nell’arco di pochi anni ma anche di pochi mesi, quartieri o aree o zone “cambiano faccia” con una velocità tale per cui i “confini” si modificano così rapidamente fino a rendere poco possibile, a mio parere, l’identificazione di unità di paesaggio urbane che siano espressione di tutti i caratteri paesaggistici (quindi anche quelli economici, sociali e percettivi), se non con il rischio di freezzare degli stati come fotografie. Almeno, riguardo all’urbano, ritengo forse più utile abbandonare l’idea che sia possibile articolare la complessità del paesaggio tramite aree poligonali determinate, benché definite con grande ricchezza di contenuto e forti metodologie d’indagine come avviene nel piano di Madrid. La risoluzione che il piano intraprende nei confronti della definizione del paesaggio urbano è decisamente forte nell’identificazione di piani e progetti che investono Madrid in una dimensione metropolitana. In questo senso, la Francia, con Lione, fa da maestra. A livello teorico e di espressione pratica delle azioni di progetto e trasformazione della città in senso metropolitano, le innovazioni portate dalla Communauté urbaine de Lyon (COURLY) sono d’esempio. Sarebbe superfluo non considerare che il piano di Madrid e il piano della COURLY hanno delle sedimentazioni temporali diverse per cui non è possibile paragonare degli intenti sanciti e le realizzazioni di quarant’anni di pianificazione, ma non è forse questo il punto. Nella strategia intrapresa dalla COURLY, il paesaggio è lo strumento per definire strategicamente e operativamente lo sviluppo futuro dell’agglomerazione. La traduzione delle strategie definite a scala vasta ricade a scala locale grazie a piani tematici che sviluppano gli obiettivi strategici in ambiti di progetto 6
Le unità di paesaggio urbane vengono definite attraverso unità omogenee frutto di una matrice multicriteria che ha elaborato quantità e qualità morfologiche, storiche, estetiche, funzionali, urbanistiche, sociodemografiche, empiriche e fotointerpretative.
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di cui la realizzazione di paesaggi urbani di qualità è lo scopo. La forte integrazione richiesta a livello operativo tra discipline (urbanisti, architetti, paesaggisti e artisti) porta alla realizzazione di progetti di forte contenuto qualitativo, in cui le dinamiche economiche fanno sicuramente un po’ più di fatica ad imporre immagini di marketing “alla moda”. I casi di Londra, Parigi e Rotterdam, evidenziano come la valutazione dell’impatto visivo sia un elemento importante per la pianificazione e il governo del paesaggio, anche in ambito urbano, e come il paesaggio determini il progetto della città. In generale, per gli edifici alti, la pianificazione risponde con la pratica dello zoning definendo aree dove vengono stabilite altezze massime per gli edifici. Gli studi riportati tentano di superare l’approccio unicamente zonizzativo definendo strumenti tecnici e metodi per valutare l’impatto del nuovo edificio in riferimento al paesaggio urbano, nonostante grande assente sia il paesaggio “così come percepito dalle popolazioni”. Le trasformazioni contemporanee che riguardano la città, e i dibattiti che ne conseguono, coinvolgono tecnici e cittadini nei confronti della “città che sale”. Gli edifici alti evocano emozioni e provocano controversie. Il bilanciamento delle argomentazioni necessita di essere tradotto grazie anche alla comprensione dei bisogni e delle volontà della comunità, il cui coinvolgimento non può risolversi in una creazione di consenso rispetto a decisioni già prese ma può rappresentare una driving force per un’analisi profonda del contesto, delle sue esigenze e delle sue dinamiche. Ma, il fatto che la percezione delle popolazioni sia la grande assente in tutti gli strumenti analizzati, sembra non stupire. In generale, in Europa, “city developers decide what to do and then stick to that decision. This explains why strong individuals can play a more prominent role. In some cities, tall buildings development is heavily influenced by strong individual leadership. Vancouver had Larry Beasley as the personification of urban development, Chicago has Mayor Richard Daley, and in London, Ken Livingston as a mayor had the final say on building tall” (Worthington, 2011; p.51). In conclusione, in riferimento alle buone pratiche analizzate, posti i ruoli che il paesaggio sta acquisendo nella costruzione della città contemporanea, il fatto che il paesaggio sia in quanto “percepito dalle popolazioni”, rimane in qualche modo il suo aspetto più complesso e “difficile” da acquisire, dipendente in gran misura da un’innovazione di approccio di tipo culturale in un quadro politico che ne definisca fortemente la necessità.
Bibliografia Benevolo L. (2011), La fine della città, Laterza, Bari. Palazzo E. (2010), Il paesaggio nel progetto urbanistico, EDA e-book. Pizzo B. (2005), Il paesaggio come costrutto strategico, Tesi di Dottorato, Dottorato di Ricerca in Pianificazione Territoriale e Urbana, Dipartimento di Pianificazione Territoriale e Urbanistica, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Frank van Der Hoeven e Nijhuis S. (2011), Hi rise! I can see you. Planning and Visibility Assessment of High Building Development in Rotterdam, in Steffen Nijhuis, Ron van Lammeren, Frank van der Hoeven. Exploring the Visual Landscape, IOS Press, Amsterdam. Worthington J. (2011), Talking Tall: So You Want a Tall Building? Things to Be Considered Before Building Tall, CTBUH Journal, II, pp. 50-53.
Giulia Carlone
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Il Progetto Urbanistico per il Paesaggio Territoriale
Il Progetto Urbanistico per il Paesaggio Territoriale Paola Panuccio Università Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento ACM Email: paola.panuccio@unirc.it fax 096.5890210
Abstract Il progetto di paesaggio è la garanzia di attuazione della qualità sostenibile che trasforma le risorse in patrimoni ed attiva reali processi di sviluppo e valorizzazione. L’urbanistica con la sua attività pianificatoria ed organizzativa, tutela e valorizza le risorse costitutive dei luoghi; propone scenari strategici per affrontare le criticità; guida alla progettazione degli spazi; attiva processi trasformativi per lo sviluppo del capitale territoriale; instaura reti solidali per incrementare il capitale sociale. I territori pur se devastati dagli effetti di una crisi generale(ogni cosa risulta fuori dimensione, contro la norma, contro il naturale processo evolutivo) rivelano, tuttavia, espressioni di qualità. I contesti locali per non soccombere, si adattano ai nuovi disequilibri e si ri-propongono offrendo opportunità di potenziale sviluppo; imponendo con supremazia la loro identità valoriale. La forza propositiva del fare, interviene sull’elemento degenerato per trasformarlo in opportunità, ma con il limite di una progettualità autoreferenziale e disarticolata da un regolare processo pianificatorio. Se il paesaggio viene progettato dalla attività urbanistica diventa la proposta per la nuova qualità globale, coerenza di sintesi tra estetica ed etica, patrimonio integrato tra territorio e capitale sociale.
Prefazione Il progetto è l’elaborazione di un idea, creata per realizzare il supporto tecnico di riferimento per l’attuazione di un’opera. L’urbanistica, è per definizione giuridica la disciplina dell'uso del territorio, comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali, riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo, nonché la protezione dell'ambiente. È l'arte di pianificare lo sviluppo fisico dei sistemi territoriali integrati con le comunità sociali, perseguendo obiettivi prioritari che assicurino l’attuazione delle fondamentali condizioni di vita all’insegna del decoro e qualità, che promuovano e garantiscano il benessere pubblico. Il Progetto Urbanistico esprime il senso compiuto dello strumento urbanistico, aggiungendo un valore aggiunto al piano inteso esclusivamente come atto amministrativo. Il progetto si struttura su: quadri conoscitivi orientati; valutazione ambientale integrata; identificazione degli appropriati obiettivi di qualità; proposizione di soluzioni tese alla valorizzazione delle valenze, alla mitigazione degli impatti, alla risoluzione dei rischi; normative di uso sostenibile, calibrate tra le possibili forme di tutela e valorizzazione, per la gestione diretta del territorio. Il Paesaggio Territoriale è la risultante delle azioni legittimate dai piani ed intraprese dall’uomo nello scorrere della storia, tessute sul supporto fisico del territorio, per mezzo di opere di uso quotidiano. È l’espressione visibile, restituita dalle azioni a funzione multipla, fortemente interagenti, che l’uomo esercita sui sistemi territoriali, interessando in modo diversificato, ogni diversa dimensione: da quella ambientale-paesistica, a quella storico-culturale, a quella socio-economica, a quella relazionale-antropica; insomma, è la visione comprensiva di quel tutto che conforma i contesti spaziali e caratterizza i luoghi al punto, che quando essi raggiungono il miglior stato di equilibrio, veicolano all’immaginario la visiva tipizzante dell’impressione visiva memorizzata. Se i territori raggiungono l’armonia organica di uno stato equilibrato, diventano l’espressione di tipologie di paesaggio ben identificabili; per esempio, il territorio toscano è riconoscibile dai suoi paesaggi, in tutto il Paola Panuccio
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mondo. Riconoscere i territori dalle immagini di paesaggio è sinonimo di identità dello spazio fisico che si è assestato nel tempo. L’attenzione sta però nell’adoperarsi con appropriate metodologie, in modo che si impieghi un valido processo urbanistico teso a trasformare, ogni elemento caratterizzante, in tipologia per una identità positiva, secondo obiettivi di qualità opportunamente scelti e valutati. Infatti, se è vero che il paesaggio toscano è riconosciuto in tutto il mondo dalla sola immagine di una cartolina, è altrettanto vero che anche il paesaggio delle coste calabresi, è riconoscibile per l’abusivismo delle case incompiute o per lo stato di abbandono generalizzato, visibile nelle peggiori forme di degrado ambientale e sociale, o ancor peggio per interventi riparatori inappropriati. La maggior parte dei territori oggi, rivela gli effetti di una crisi devastante che coinvolge ogni sistema; tuttavia, nonostante ciò, si riscopre continuamente che aspetti frammentari di qualità, prevalgono imponendo la forza di resistenza dei contesti locali. Questi, in modo scomposto, privi di obiettivi e strategie pianificate dal coordinamento guida di una regolare attività urbanistica, si propongono spontaneamente offrendo sporadiche possibilità di potenziale sviluppo. La forza propositiva del fare, interviene sull’elemento degenerato per trasformarlo in opportunità. Il paesaggio se progettato dalla attività urbanistica, diventa la proposta per trasformare la crisi dei luoghi in opportunità, proposta per una nuova qualità globale. Il percorso metodologico adottato, indica le fasi essenziali per procedere verso l’operatività di un intervento guidato dal progetto urbanistico che in conformità ai riferimenti giuridici, pianifichi l’evoluzione trasformativa dei territori, edificando paesaggi di qualità e valore. La qualità, in piena coerenza con la complessità territoriale, è intesa in senso globale; non è ristretta alla categoria dell’estetica, ma comprende i principi etici del bene (codice etico di regole e norme spesso non scritte in nessun regolamento ma che sono la chiave degli equilibri armonici che generano luoghi di vita ospitali per le comunità con la semplice scelta di materiali, colori, funzioni, attività tipiche) i principi della tutela assoluta a protezione della risorsa eccezionale per preservare e mantenere le risorse eccellenti indiscutibili; i principi della partecipazione, con il giusto ascolto delle valenze e criticità dei luoghi; i principi del ben fare, per proporre progetti che favoriscano lo sviluppo del capitale sociale incrementando i patrimoni territoriali. Il metodo proposto per il Progetto Urbanistico per il Paesaggio Territoriale si compone sulla base delle seguenti fasi: • Costruzione dei quadri di conoscenza • Criteri di comparazione per la valutazione delle valenze e delle criticità • Determinazione di obiettivi di qualità e derivanti strategie operative • Progetti attuativi ed esecutivi di marketing territoriale
La Conoscenza diventa risorsa La conoscenza diventa risorsa: conoscenza – valutazione – creatività – obiettivi – progetti - innovazione patrimonio territoriale - sviluppo capitale sociale. I processi di trasformazione della conoscenza diventano essenziali per la determinazione di nuovi scenari territoriali, infrastrutture, servizi, nuovi incrementi del capitale umano, fattore di successo dei cambiamenti nei sistemi organizzati. Varietà sempre più ricca e differenziata di processi conoscitivi di apprendimento che si autoalimentano implementando dati e risultati. La costruzione dei quadri conoscitivi orientati dei contesti spaziali, è il presupposto della progettazione per l’innovazione e lo sviluppo reale del patrimonio territoriale, sinergicamente implicato col capitale sociale. La disciplina urbanistica utilizza forme di conoscenza relative all’analisi conoscitiva basata su dati osservati e su procedimenti interpretativi; lo scopo è interpretare i fenomeni che interessano il territorio in modo da riportarli nel processo di pianificazione. La conoscenza diventa risorsa essenziale se restituisce informazioni orientate. Se si concepisce a partire da alcune idee progettuali preliminari, avrà la giusta competenza per riferire su come è fatta la realtà territoriale, come funziona, come è organizzata ed organizzabile, quali sono le scale dimensionali e problematiche cui può essere riferita per il soddisfacimento dello scopo politico che la stessa realtà produce, riproduce o trasforma. La finalità osservativa della conoscenza, direzionata a sapere come funziona la complessità territoriale, deve essere accostata alle scienze empiriche, cioè ad un conoscere per applicare. Esiste un problema complesso di regia delle strategie e dei progetti informativi, dei meccanismi di organizzazione, dell’adattamento della tecnica per una mirata funzionalità di procedimenti di interazione, della chiarificazione tra i rapporti che progettualmente si instaurano tra tutte le morfologie conoscitive, coinvolte o coinvolgibili. La prestanza della conoscenza è fare in modo che generi quadri appropriati, affinché possa essere utilizzato il sapere pratico della scienza. L’urbanistica è la disciplina di un sapere applicativo operativo, i procedimenti di analisi scientifica si esprimono su due livelli, il primo nella congiunzione tra ricerca territoriale ed attività Paola Panuccio
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pianificatoria; il secondo nell’affidarsi all’attività di comunicazione e diffusione dell’informazione. Si tratta di costruire una strutturazione informativa per uno o più percorsi conoscitivi, di comporli per mezzo dell’acquisizione di un linguaggio e di comunicarli per mezzo di rappresentazioni grafiche su cartografie utilizzate secondo repertori adeguati ai diversi settori disciplinari coinvolti. Il campo di determinazione informativa non è più costituito da un generalizzato sistema informativo territoriale o sue funzionali derivazioni. Il quadro delle conoscenze orientate, ricerca, invece, una diretta relazione con il progetto, attraverso lo sviluppo di moduli informativi di differente appartenenza disciplinare, di carattere prevalentemente tematico e con la funzione di variabili determinanti strategiche ai fini conoscitivi. Si è stilata una lista di categorie possibili da implementare per la costruzione dei quadri conoscitivi, ed esattamente: • Conoscenze acquisibili dallo stato di fatto • Processi di conoscenza per scenari di previsione col supporto di sistemi di simulazione • Processi dinamici che in condizione di mutamento indichino le possibilità di assetti ambientali adeguabili • Creazione di conoscenze adeguate ed organizzate per alimentare i processi valutativi e generare risultati valutati su cui fissare obiettivi di qualità e basare le strategie pianificatorie e le scelte progettuali.
Il progetto di paesaggio territoriale Il pessimismo degenerativo della crisi infettiva che contamina ogni proposta di recupero riqualificante dei diversi contesti territoriali, può essere debellato richiamando il principio supremo, che è stato il presupposto essenziale della ragion d’essere della disciplina urbanistica. Infatti, essa nasce essenzialmente, come una pratica sociale; il suo campo di studio è lo spazio organizzato; il suo campo di riflessione si muove attorno al concetto di progettazione politica del territorio. Si interessa della lettura, interpretazione e valutazione degli spazi territoriali plasmati dalle azioni di vita quotidiana; si interesse dei piani, dei programmi di modificazione economica, sociale e fisica dello spazio; si pone come obiettivo il bene collettivo in difesa dei diritti umani ed a tal fine, individua scelte strategiche e decisioni strutturanti, azioni tendenti a definire forme e modi appropriati di uso e fruizione del territorio. La sua attività è finalizzata alla costruzione di strategie operative che si avvalgono dei diversi livelli di complessità delle dimensioni coinvolte. Per contribuire a sollevare una società in crisi, dovrebbe rinnovare le sue promesse istitutive e riformulare una visione guida di politica di governo territoriale, tessuta tra i rapporti complessi delle forme di azioni del sistema di governo e sistema amministrativo; tra partenariati ed istanze del sistema della comunità; tra produzione e piani socio-economici, in modo da costruire criteri validi ad orientare e disciplinare scelte basilari perlomeno nei sistemi fondamentali afferenti all’ambiente, ai trasporti, all’armatura territoriale, alle funzioni ed attività antropiche. In un campo di interesse orientato alla definizione di rapporti tra obiettivi sociali ed organizzazione dello spazio, gli elementi componenti utili alla costruzione di un processo pianificatorio si individuano rispetto i seguenti riferimenti: • sfera delle politiche di sviluppo; • apparati di costruzione delle decisioni; • strutture di definizione dei progetti; • programmi di sviluppo economico per il governo e la gestione del territorio Nell’economia della conoscenza per lo sviluppo del patrimonio territoriale, inteso come sistema interrelato tra risorse naturali, paesistiche, culturali ed insediative, da trattare come attivatori potenziali per la determinazione di valore aggiunto per lo sviluppo endogeno ed auto sostenibile, il capitale sociale compartecipa in modo determinante all’accrescimento del potenziale di produzione della ricchezza durevole. Il capitale rappresenta il complesso di elementi materiali e immateriali a disposizione del territorio; le componenti che lo costituiscono ne determinano la sua ricchezza ed al contempo istituiscono l’identità caratterizzante dei contesti. Ogni contesto ha la capacità di esprimersi in tipologie qualificanti di paesaggi territoriali, se mantiene in equilibrio le proprie componenti costitutive, sia rispetto alle diverse dimensioni che ai livelli di importanza. Si individuano sotto otto punti le componenti costitutive del capitale territoriale: 1. risorse naturalistico ambientali; 2. cultura e identità; 3. risorse umane; 4. immagine e percezione; 5. risorse finanziarie e affari pubblici; 6. attività economiche ed imprese; 7. mercati e relazioni produttive; 8. know-how e competenze. Paola Panuccio
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In correlazione diretta con ogni componente, è possibile prevedere azioni specifiche di sviluppo del patrimonio. Le scelte pianificatorie, per mezzo della capacità di accumulazione delle otto componenti del capitale, hanno la possibilità di determinare l’evoluzione delle risorse in patrimonio territoriale, attento alla gestione delle risorse naturali; allo sviluppo delle capacità imprenditoriali; all’incremento dei beni e servizi pubblici; alla ottimizzazione delle strutture di governance; al miglioramento della qualità delle offerte istituzionali; alla implementazione dei processi di innovazione e sviluppo tecnologico; allo sviluppo delle infrastrutture di trasporto e di servizi. Pertanto, il progetto urbanistico dovrà indirizzare verso azioni che possano incrementare l’accumulazione delle categorie fondamentali del patrimonio territoriale individuando strategie appropriate: 1. capitale ecosistemico-paesaggistico: strategie integrate per la valorizzazione delle tipologie di paesaggio, comprensive delle unità di paesaggio caratterizzanti e delle connesse relazioni con la rete dei sistemi territoriali contermini, basate sul progetto della diversità dei mosaici di paesaggi e della valutazione ambientale strategica per la commisurazione di ambienti trasformabili , riqualificabili e funzionalmente adeguabili. 2. capitale umano: strategie integrate per la promozione di una società solidale, cooperativa e responsabile in cui rafforzare il rapporto fiduciale e propositivo, per elaborare ed attuare proposte sostenibili, stabilite avvalendosi delle pratiche di partecipazione proattiva in processi decisionali. 3. capitale cognitivo: strategie integrate per la conoscenza, ovvero la diffusione di processi di apprendimento fondati sull’integrazione tra attori appartenenti al sistema educativo e formativo in scambio dialogico con il sistema economico, di ricerca e innovazione. 4. capitale insediativo-infrastrutturale: strategie integrate per lo sviluppo di un sistema insediativo competitivo efficiente nell’uso delle risorse, capace di assicurare qualità di vita, attivando relazioni propositive correlando città e territori, tra offerte economiche, sociali e culturali. Il progetto di sviluppo per Il paesaggio costiero di Gioia Tauro è un caso di sperimentazione in cui si è rilevata la presenza di un notevole capitale ecosistemico-paesaggistico; una elevata presenza di risorsa umana, pur se estremamente debole per la costituzione di capitale sociale, perché priva di consapevolezza organizzata e di fiducia relazionale (non crede nella possibile realizzazione di opere riqualificanti, né nella possibilità di affidarsi a scelte politiche territoriali organiche, coordinate da un processo urbanistico); una bassa capacità del capitale cognitivo; un inadeguato capitale insediativo infrastrutturale. Dunque, in questo caso, la sperimentazione progettuale è nata dalla evidente constatazione della presenza di elementi critici che da sempre espletano una forte resistenza alla valorizzazione dei luoghi ed al loro sviluppo economico. Il territorio si presenta con immagini contraddittorie che rivelano la simultanea presenza di unità di paesaggio eccezionali (che però non hanno la forza di esprimersi in tipologie di paesaggio caratterizzanti perché incoerenti e destabilizzate) ed espressioni devastanti di un degrado assoluto, relativo ad ogni categoria di rischio, da quello idrogeologico, a quello di inondazione, erosione costiera, inquinamento ambientale, discariche abusive, abbandono dei suoli, degrado sociale, aree dismesse. La proposta progettuale indica le strategie territoriali da adottare per la riqualificazione del paesaggio costiero calabrese della piana di Gioia Tauro. La trasformazione del territorio prevede la realizzazione di un villaggio paesaggistico diffuso sul territorio che si propone in quattro offerte tipiche, basate sulle valenze caratterizzanti, conformato su scenari di eccellenza, organizzati sulle principali essenze significative, costitutive del sistema locale territoriale: 1) lo scenario dei prodotti agricoli storici che comprende il paesaggio protetto del Bosco di Rosarno, costituito da una estesa distesa di aranceti e mandarini, e la piana degli uliveti secolari di Rizziconi; 2) lo scenario ricreativo del borgo di San Ferdinando, ristrutturato secondo il modello dell’albergo diffuso in cui ognuno mette a disposizione ciò che ha (conoscenze, servizi, strutture, cucina dei prodotti tipici); 3) lo scenario eco-industriale costituito dall’area portuale ed industriale del porto. Il villaggio paesaggistico territoriale è un progetto per riqualificare il paesaggio costiero calabrese attraverso strategie pianificatorie tese alla valorizzazione delle risorse ambientali, opportunamente integrate all’offerta turistica, in modo da incrementare il patrimonio territoriale; ridurre i fattori di rischio; sviluppare il capitale territoriale. Il progetto si propone di rigenerare l’immagine della Calabria con lo sviluppo e l’incremento dell’attività turistica programmata con azioni e strategie di marketing e di creare una identità turistica per motivare la popolazione locale, coinvolgendola in attività di auto sostentamento e promozione di uno sviluppo economico eco-sostenibile. Per rigenerare e rivitalizzare un territorio depresso ed oppresso da una prevalenza di criticità, si è intervenuti in modo da attivare scambi sinergici tra quelle che sono le offerte paesaggistiche locali ad alta valenza e le richieste di partners esterni rispetto al tema comune dello sviluppo sostenibile. Il progetto diversifica l'offerta turistica in base alle risorse esistenti, graduando e normando le azioni fra tutela, recupero, riqualificazione, valorizzazione e promozione del patrimonio paesistico ambientale esistente, per raggiungere importanti obiettivi di reale sviluppo: Paola Panuccio
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Il Progetto Urbanistico per il Paesaggio Territoriale
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Impatto positivo sui fattori determinanti la crescita della produttività locale: attrattività del territorio e soddisfazione dei cittadini e delle imprese Accumulazione di capitale fisico e umano: offerta integrata di infrastrutture, servizi e valori umani Qualità del capitale: soddisfazione, fiducia, affidabilità, sicurezza, cultura, bellezza Organizzazione ed implementazione di infrastrutture, strutture e servizi Commercializzazione e messa in rete della produzione locale nei sistemi transfrontalieri.
Paola Panuccio
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Back to the landscape
Back to the landscape Enrico Formato Dipartimento di progettazione urbana ed urbanistica Università degli Studi di Napoli “Federico II” Email: e.formato@unina.it
Abstract Il saggio propone una ricostruzione di alcune provenienze tra fenomeni della contemporaneità e loro presupposti - sia in quanto fatti, sia in quanto proposizione teorico-operative – rintracciati nelle vicende urbane ed urbanistiche della modernità. Il centro della riflessione riguarda l’integrazione tra politiche delle infrastrutture e controllo delle trasformazioni territoriali da queste indotte. La separazione tra infrastrutture e governo del territorio è ipotizzata come conseguenza di un ciclo economico che ha le sue origini nel New Deal e che a tutt’oggi sembra dispiegare i suoi effetti, utilizzando il territorio e la sua urbanizzazione come derivato finanziario, riserva da offrire in cambio di esposizione debitoria. Il ritorno al paesaggio è così visto come ricerca di una continuità, fisica e concettuale, capace di orientare in modo differente i punti di vista. Questa “rivoluzione” parte dalla riappropriazione di un contatto tra urbanistica e società: in questo rapporto il paesaggio, come immagine ma anche come “fondo” materiale, assume valore dirimente. Esso mette in tensione fenomeni in atto – congestione delle parti urbane consolidate, espansione del sobborgo, dismissione di parti ed elementi della conurbazione – e loro interpretazione progettuale, recuperando criticamente all’attualità, nella comune aspirazione “all’aria, al sole e alla luce”, le intuizioni ed i tentativi che la modernità ci propone.
Premessa La città moderna, densa e compatta, è in crisi: la contrazione urbana e la moltiplicazione dei suburbia prelude alla nascita di un nuovo tipo d’insediamento. I prodromi di questa trasformazione sono sotto gli occhi di tutti. I suoi materiali costitutivi sono noti: a) il pavillonaire frattale che varia dalla scala della villetta isolata con giardino alla grande piastra commerciale isolata nel parterre-parcheggio; b) il reticolo infrastrutturale, con le superstrade, le “varianti”, i tunnel ed i ponti a irrorare i tessuti dell’espansione insediativa; c) il depauperamento progressivo di ciò che resta dei centri-città, della complessità urbana e della vitalità socio-economica che hanno caratterizzato il ciclo, legato all’industrializzazione, di crescita ed altrettanto rapida implosione dell’urbanesimo. Non in tutto il mondo la situazione è uguale: l’Europa conserva, con ogni probabilità a causa di ragioni storiche, una certa affezione per la città. D’altro canto l’esempio americano, con lo shrinkage dei grandi centri della Rustbelt industriale ed urbana, rappresenta un evento eccezionale che, complice la crisi e le radicali modifiche che ad essa seguiranno, certo non potrà vederci semplici spettatori (Coppola, 2012). La contrazione urbana può divenire, di contro, un’occasione in cui il ruolo del paesaggio è determinante: il declino della città compatta industriale, non può essere contrastato dando semplici incentivi alle inner city (di tipo fiscale, di opportunità edificatorie aggiuntive) né realizzando nuove infrastrutture (Beuregard, 2006). Né, tantomeno, l’esplosione suburbana può continuare all’infinito. La sfida sembra piuttosto quella d’interpretare l’esistente alla ricerca di nuovi paesaggi - connessioni pubbliche ed ecologiche, fisiche e concettuali - e di liberarsi in modo orientato e consapevole di ciò che non serve più. Liberarsi dei “fossili” della città compatta. Nel bordo suburbano, sempre meno periferico (Perulli, 2009), artificio e natura, città e campagna, oggetto e sfondo, diventano dualità remote, da rimettere in tensione attraverso la ricerca di nuovi, condivisi, scenari. In questo processo assume ruolo fondante il progetto di paesaggio inteso come “bene comune” che consente l’incontro tra le attese della collettività e gli esiti delle trasformazioni territoriali attese.
Enrico Formato
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Back to the landscape
Ritorno alla terra “Back to the land” è uno dei temi connessi alla grande Depressione determinata dal crack del 1929: dalla Subsistence home division (SHD) del New Deal alle Bonifiche integrali italiane (passando per Ochitovic e il disurbanismo del primo quinquennio dell’Unione sovietica) la campagna è vista come occasione di riscatto e riorganizzazione economico-sociale (Schivelbusch, 2006). La città è ritenuta insalubre, la campagna, da urbanizzare in modo diffuso (come nelle aspirazioni dei fisiocratici o nei disegni della Brodacre city wrightiana), è occasione di liberazione, di riscatto dalla “viscosità urbana”, verso la conquista del “sole, dell’aria e della luce” (Le Corbusier, 1924). Solo in alcuni casi, tuttavia, l’integrazione tra politiche espansionistiche legate alle infrastrutture (volte all’aumento “keynesiano” della domanda aggregata) e loro territorializzazione (ovvero controllo spaziale e morfologico delle trasformazioni indotte dalle infrastrutture) viene perseguita con successo: dopo un primo momento di ricerca in questa senso, difatti, gli interventi statuali sul territorio convergono verso semplici “opere pubbliche” abbandonando la pretesa – inventata e stabilizzata nelle soluzioni prospettate da F.L. Olmsted e la scuola paesaggistica americana (landscape movement) – di tenere insieme grandi opere e trasformazione del territorio (da queste, direttamente o indirettamente, indotte). Il ripiegamento avviene molto presto. In America vengono sciolte già alla metà degli anni Trenta le istituzioni governative volte a favorire e coordinare l’espansione suburbana e la diffusione insediativa, mentre le risorse economiche sono concentrate sulle grandi operazioni di bonifica (come quelle operate dalla Tennesee Valley Authority sotto la direzione governativa di Roosevelt) o di attrezzatura del territorio (come quella messa in campo a New York da Moses). In Italia, analogamente, la coordinata bonifica dell’Agro pontino - dove si realizza compiutamente il programma stabilito da Howard nel 1902 più che negli esempi anglosassoni di garden city (Basco, Formato, Lieto, 2012) – resta un caso isolato dato che il regime concentra sempre più la propria attenzione sulle operazioni di rinnovo urbano di tipo monumentale e retorico, che conducono agli esiti disastrosi di Via della Conciliazione e del centro degli affari di Napoli (analogo discorso va fatto per quanto accade in Germania, con le proposte di Speer per Berlino). Eppure, sia nel programma di “ritorno alla terra” che dopo il 1929 sembra uniformare a livello transazionale e trans-ideologico le diverse esperienze, sia, persino, nel ripiegamento da quest’iniziale approccio verso politiche maggiormente settoriali, c’è materiale d’interesse. Soprattutto perché l’intera urbanistica del 900, a dispetto, delle scelte settoriali degli anni Trenta, a tutt’oggi riproposte dalle politiche governative, ha continuato a studiare l’integrazione – tra territorio e infrastrutture, edificato e natura – che Olmsted aveva messo al centro della propria riflessione.
Landscape movement Molte delle “invenzioni” di Olmsted - la tutela della natura e del paesaggio; l’informale come matrice della composizione urbana e l’attenzione per il “disegno di suolo”; la codifica dell’infrastruttura come elemento del paesaggio e “fondamento reticolare” del verde urbano; la ricerca sulla costruzione d’insediamenti fondati, topologicamente e concettualmente, su un “centro verde”; la razionalizzazione delle funzioni mediante un’articolazione in zone; la dissoluzione delle contrapposizioni tra città e campagna e tra artificio e natura - sono entrate a far parte della tecnica urbanistica e paesaggistica moderna. Ancora: lavorando sull’infrastruttura e, in particolare, sulla codifica della parkway, Olmsted supera il concetto di “parco di decompressione” sviluppato nella città europea: da elemento isolato, il verde si trasforma in rete continua. In questo passaggio – compiutamente declinato con l’Emerald necklace (Boston Metropolitan System, 1885) – c’è l’introduzione di un tema di valenza ecologica e al contempo il perfezionamento di un materiale urbano del tutto inedito: la parkway, unione di infrastruttura e rete verde, richiama difatti solo in parte i boulevard europei assumendo di contro un carattere compiutamente anti-urbano. Anche quando è in città (come a New York, sulla riva dell’Hudson), la parkway altro non è che una continua citazione delle origini di questo complesso movimento di riforma: le infrastrutture di Niagara Falls, i “percorsi di ammirazione” (non realizzati) pensati per la valle di Yosemite. Se le strade della nuova città sono parkway, le sue piazze sono i parchi urbani e i green che costituiscono il centro civico, a diverse scale, della nuova conurbazione e delle sue parti costitutive. Non si tratta più, come negli square e nei crescent di Londra e di Bath, di comporre con attenzione natura ed artificio: il vuoto di Central Park (in relazione a New York) e il green di un sobborgo (ad esempio il centro di Pinehurst in North Carolina, 1895) si definiscono senza alcun rapporto con il contesto antropizzato. Nel primo caso, a Central Park, perché il verde, come visto, è come un reperto in un mondo (quello della concentrazione urbana) ad esso completamente alieno; nel caso di Pinehurst perché il sobborgo manca di qualsiasi continuità urbana, mancano le cortine (invece determinanti e serializzate a Bath) che definiscono gli invasi verdi della città: ogni edificio è liberamente disposto sul terreno come in un parco. Così il green, che è la nuova piazza del quartiere suburbano, si comporta come una radura in un bosco, un bosco in cui fa capolino solo occasionalmente il pavillonaire che è la nuova città. In tutti i casi e a tutte le scale il verde diventa il luogo della socialità: una tendenza che, seppure declinata Enrico Formato
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Back to the landscape
con morfologie diverse nelle varie sperimentazioni del Novecento – la corte del Karl Marx Hofe (1926-30), l’Hufeisensiedlung a Berlin Britz (1925-31), la sistemazione della Niddatal nel piano della Neue Frankfurt
(1928-32), il bosco urbano del Lafayette park a Detroit (1955) – riconduce in maniera diretta ai nostri giorni, con l’uso di massa dei parchi urbani e territoriali e la loro significazione come “centri vuoti” che – come nello schema della Garden City di Howard – danno significato ad un territorio rado e discontinuo (Lanzani, 2003). Come nella città storica la piazza è il luogo della massima concentrazione – dei simboli, delle masse edilizie, dell’architettura di pietra – così nella piazza del sobborgo lo spazio pubblico ambisce ad una certa rarefazione e naturalità. Anche se, come c’insegna Central Park, questa rarefazione e questa naturalità sono anche il prodotto più raffinato e segreto dell’artificio. Figura 1. Particolare della sistemazione dell’Agro Pontino Il risultato territoriale complessivo è la conformazione di una inedita spazialità in cui la città è strutturalmente compenetrata alla natura, senza più limiti netti tra i due termini (Sharp, 1932). La bassa densità espande ad libitum l’urbanizzazione, e se nei primi tentativi l’espansione dell’insediamento è frenata dalla necessità d’interrelazione mediante trasporto pubblico (su ferro), a partire dalla diffusione dell’auto di massa – il lancio della Model T di Ford è del 1908 – cade ogni problema di distanza ed interconnessione; la dimensione del sobborgo cresce senza limiti e senza necessità di continuità urbane (Hall, 1997). Esistono ancora, nei sobborghi di Riverside (1865) e Pinehurst (1895) gli “isolati” (cioè lotti compiutamente delimitati da strade) anche se questi non danno più luogo ad una scacchiera: si deformano a tal punto da assumere morfologie naturalistiche. Le strade principali sono leggermente incassate nel suolo, in modo tale che il traffico rimanga nascosto alla vista e non interferisca con la vita domestica e con gli spazi pubblici per la socialità (parchi, campi da gioco, spiazzi e prati, viali pedonali).
Primi terreni della diffusione Anche in Italia il regime fascista lancia una crociata contro la concentrazione urbana, per la ruralizzazione del paese: dal 1930 si mette in pratica, con la “Bonifica integrale dell’Agro pontino”, un’operazione, insieme infrastrutturale ed insediativa, che, per dimensione e qualità, può essere considerata di riferimento per l’intera parabola antiurbana del Novecento. Nell’esperienza italiana di “ritorno alla terra la bonifica è legata all’agricoltura, mediante l’appezzamento e la concessione a coloni dei terreni sottratti alla palude, dotati di funzionali casali e inseriti in un sistema insediativo di servizio alla produzione in cui alcune attività di supporto sono organizzate su scala collettiva. Il sistema insediativo dei territori bonificati è schematizzabile in tre strati: i “casali” che punteggiano gli appezzamenti; i “borghi”, di servizio alla produzione agricola e con piccoli servizi collettivi; le cinque “cittàgiardino” che vengono insediate in modo regolare nell’Agro e sui suoi bordi. Le “città-giardino” sono parte di un insediamento diffuso più ampio, prettamente rurale: insediamenti di fondazione e campagna bonificata sono un tutt’uno indissolubile: « non sono città ma centri comunali agricoli: indissolubilmente legate al loro territorio e
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alla terra che produce […]. Non è ora più possibile parlare di città ma occorre vedere la regione-città, la provincia-città, la nazione-città» (Piccinato, 1934: 12) Il risultato finale realizza a ben vedere il concept territoriale di Howard, con le città-giardino in equilibrio con un territorio rurale di cui diventano parte integrante: a differenza di Letchworth e Welwyn (gli esperimenti inglesi di città-giardino realizzate nel primo ventennio del ‘900), ben presto assorbite nell’orbita gravitazionale della Grande Londra, l’Agro Pontino si struttura come un sistema autonomo, definitivamente anti-urbano ma al contempo diffusamente abitato: una visione di come sarebbe potuta incardinarsi la diffusione insediativa, non solo in Italia, sulla base di un “progetto di suolo” (Secchi, 1986) a scala geografica. L’Agro Pontino configura una nuova entità geografica che a tutt’oggi – dopo l’industrializzazione del dopoguerra e lo sprawl incrementale che ha investito queste come le altre pianure del paese – mantiene una sua identità tra Napoli e Roma, senza finire assorbita compiutamente nel raggio d’influenza né dell’una né dell’altra metropoli. Il piano di posa di questo sistema insediativo-rurale, ciò che rende continuo ed integrato il rapporto tra coltivazione, città-giardino e borghi di servizio, è il “suolo bonificato”, fatto di canali, trincee, scavi, dune e barriere frangivento: una complessa macchina idraulica che recupera all’agricoltura uno dei luoghi più arretrati e sottoutilizzati del paese: la compenetrazione tra natura ed insediamento elegge il suolo bonificato, regolato e al contempo “figurato” (i filari di eucalipti, le dune, gli scavi ed i riporti non sono solo operazioni ingegneristiche ma inventano il paesaggio sironiano dell’agro a partire dal nulla, dove era l’impenetrabile selva della palude dei Caetani) come concreto elemento di continuità tra gli elementi isolati (i “poderi”, i “borghi”, le cinque “città”) che contraddistinguono questa sorta di “dispersione insediativa di fondazione”.
Parallelismi Mosca città-verde, 1929 Tra le proposte più radicali del Novecento interessa in particolare l’esperienza realizzata in Unione sovietica: qui si struttura un vero e proprio movimento culturale – il disurbanismo – fondato sul tentativo di conciliare città e campagna in inedite composizioni che integrano le funzioni (residenza, produzione, coltivazione, servizi) e dispongono il pulviscolo edilizio che ne risulta lungo nastri infrastrutturali. Ginzburg e Baršč, due esponenti del movimento disurbanista - presentano nel 1929 un’ipotesi di ristrutturazione complessiva della nuova capitale sovietica, intitolato Mosca-città-verde. Il progetto prevede la conservazione del nucleo antico della città, la gemmazione del pulviscolo insediativo (non altro che una “ordinata” dispersione insediativa) nella corona esterna e la sostituzione della città compatta della prima modernità con un bosco. L’ossatura di questa diffusione insediativa, in cui peraltro è rifiutato il principio di zoning funzionale, è costituita proprio dagli assi di grande penetrazione dall’entroterra lungo i quali prevalentemente si sviluppano gli insediamenti a nastro (le case sono distanziate dalla strada con un parco lineare). Quest’immagine di Mosca, smentita dalle politiche urbanistiche del socialismo reale (anche qui ben presto queste convergono verso i grandi “lavori pubblici”) a lungo è stata confinata nel campo delle utopie, tra le deliranti avanguardie cantate da Majakovskij. Eppure quei cottage nella foresta anche qualcosa di familiare.
Detroit, 2012 La città, già capitale mondiale dell’industria automobilistica, è collassata per effetto della crisi produttiva e dell’azione parassitaria dei suburbia che via via hanno assorbito buona parte della popolazione urbana. Il teatro cittadino, splendente di cristalli e specchi dorati è oggi trasformato in un parcheggio multipiano; le arterie commerciali principali sono dismesse ed i negozi abbandonati; molte case sono sfitte ed i loro giardini colonizzati dalla natura spontanea (Hollander, 2011). La inner city è deserta mentre i sobborghi esterni proliferano. Si sono delocalizzate non solo le case ma anche i centri commerciali e direzionali, le attività manifatturiere (minori e disperse, perché le industrie pesanti sono in altre parti del mondo), le istituzioni, i nodi principali delle infrastrutture (stazioni, aeroporti, ecc.). I sobborghi esterni hanno eroso ed infine sostituito la città. Detroit del 2011 ricorda la Mosca verde dei disurbanisti.
Chicago, 1955 Ludwig Hilberseimer pubblica nel 1955 un testo intitolato Nature of cities. L’urbanista tedesco, emigrato negli Usa già da tempo, ritratta in questo testo l’ipotesi prebellica di großstadt – la “città verticale” proposta negli anni Trenta. Il contatto con la realtà americana, la comprensione degli avanzamenti operati dalla scuola paesaggistica e al contempo gli esiti delle realizzazioni suburbane coordinate a scala governativa (Greenbelt nel Maryland, Greendale nel Wisconsin, Greenhills nell’Ohio, ma anche l’esplosione post ’45 dei sobborghi “banali” come Levittown) influiscono in modo determinante sulle sue precedenti convinzioni. Tanto che le ipotesi di Hilberseimer per Chicago, nel 1955, come anche nel quartiere realizzato del Lafayette park a Chicago (progetto Enrico Formato
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ancora del 1955 insieme a Mies van der Rohe e Alfred Caldwell) intuiscono in maniera sorprendente il bisogno di naturalità e di nuovi rapporti con il paesaggio insito negli insediamenti suburbani. La proposta per Chicago del 1955, applicabile per la Detroit del 2012, prevede una disgregazione del grillage denso della città, la riorganizzazione del sistema stradale con “cul-de-sac” che aprono le morfologie dei close inventati da Unwin, l’immissione di un tessuto naturale, di parchi e campagna, tra le maglie della inner city. Il tema non è quello dunque di aumentare il potere attrattivo delle città ad libitum (ad esempio con le operazioni di rigenerazione urbana sul modello di Baltimore) ma, piuttosto, quello di riportare la natura in città, “suburbanizzandone”, in modo consapevole, alcune parti.
Figura 2. Shrinking Detroit (in alto) e ricostruzione di Mosca-città-verde
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Figura 3. Viadotto della ferrovia alta velocità nella piana campana, presso i Regi Lagni
Infrastrutture? L’espansione senza limiti dello sprawl – avvenuta dapprima in America, poi in Europa e nel resto del mondo – è uno dei fenomeni distintivi della contemporaneità. Dietro il mito della casa suburbana, nel verde, fuori dalla confusione e dallo smog della città c’è una lunga parabola che declina l’ambizione antiurbana dell’Illuminismo attraverso i secoli ed i continenti: alla ricerca di un nuovo paradigma territoriale che conosce esiti anche molto differenti tra loro ma comunque riconducibili ad un tentativo di superamento della città, densa e compatta che la Rivoluzione industriale ha portato con sé. Dai suburb di Olmsted, alle garden-city di Howard, dalla ville verte alla ferme radieuse di Le Corbusier, dalla combinatoria disurbanista alla villettopoli informale, l’ambizione non cambia: fissare i termini di una nuova ecologia. Questo motto delinea una prassi che attraversa le ideologie ed ondeggia tra gli stili: l’obiettivo, una nuova conciliazione tra città e natura, tra la casa ed il verde (rurale o “formalizzato” in giardini) – dai tempi di Ledoux ad oggi – non cambia. Il risultato di questo “movimento”, sotto gli occhi di tutti, è però paradossale, come se la confusione che porta ad inquinare la percezione della realtà agisse sul territorio anche ad un livello più generale: per cui, nel cercare una nuova integrazione con la natura si consegue in effetti l’effetto opposto. Una condizione per la quale intere regioni del mondo vengono invase da un pulviscolo insediativo apparentemente privo di qualunque forma e logica. Non un pulviscolo isotropo ma una estensione che è segnata da flussi e nodi di iper-concentrazione; una conurbazione “porosa”, discontinua, lacerata da vuoti, alterità ed eterotopie che riportano alla campagna, alla natura naturans, alla città tradizionale riprodotta artificialmente negli interni dei parchi a tema e dei mall ludicocommerciali (Formato, 2012). Questo pulviscolo si sviluppa a ritmo vertiginoso ed in modo parassitario intorno alle antiche città oppure lungo le coste e le infrastrutture autostradali e ferroviarie (Viganò, 2004) che in qualche modo, come abbiamo visto, vanno a costituire una sorta di avamposto delle successive espansioni: se l’ideologia è il “sogno di vivere nella natura” il mezzo attraverso questa aspirazione prende forma è quella che si potrebbe definire una “infrastrutturazione preventiva e generalizzata del territorio”. La scorporazione del processo urbanizzativo, iniziato con la griglia fisiocratica di Jefferson si sostanzia così, iterando ed adattando ai contesti la lezione del New Deal nell’attualità: in un primo momento lo Stato o chi per esso - anche i privati, mediante ad esempio la “finanza di progetto” - pone le basi (costruendo autostrade, highway, ferrovie, ecc.), in un secondo momento, in modo incrementale e più o meno spontaneo, sorgono le case, i quartieri, le scuole, i centri commerciali, ecc: l’integrazione avanzata per la prima volta in modo compiuto dal landscape movement e da Olmsted diventa sempre più remota. Dato che il ciclo “infrastrutture+edificazione” non trova “punto di equilibrio” (perché a nuove infrastrutture deve seguire sempre nuovo investimento di capitali privati) la condizione che si genera favorisce la trasformazione del territorio in una “riserva” che assicura ai realizzatori di ottenere plusvalori mediante continua esposizione debitoria e ai detentori dei capitali di assicurarsi un tasso di remunerazione su di un capitale assicurato dalla stessa politica delle infrastrutture. In questa opzione – che potremmo definire di “territorializzazione neoliberista” – non ha neanche più importanza che le case si vendano, è sufficiente, il più delle volte tirar su interi quartieri in funzione dei quali Enrico Formato
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ottenere nuova liquidità da investire per colonizzare una nuova area inedificata. La condizione è che la realizzazione di ferrovie, di autostrade, di svincoli, ponti e tunnel non abbia mai fine. Ogni dibattito attuale sulle infrastrutture e sulla loro compatibilità ambientale si manifesta così fuori fuoco ed improduttivo: occorrere invece tornare a pensare al territorio come campo continuo di relazioni delle quali le infrastrutture sono solo uno degli elementi, neanche il più importante (Russo, 2011). Senza questa condizione si può affermare, al limite, che ogni infrastruttura è sbagliata.
Paesaggio come “terra comune” Se il paesaggio è interazione di fattori naturali ed antropici, “back to the landscape“ vuol dire innanzitutto assumere un atteggiamento realista capace di cogliere le tendenze in atto ed indirizzarle verso significazioni inedite, anche mediante concettualizzazioni retroattive (ovvero il riconoscimento dei “modelli” e dei “sistemi” cui si può forzosamente ascrivere ogni parte del tutto). Vuol dire anche ricercare nuove forme d’integrazione, terreni comuni, nuove continuità. E’ prioritario lavorare con i territori della dispersione per stabilizzarne ed arricchirne i paesaggi. La sfida di oggi più che “compattare la suburbia” sembra quella di ripensarne gli esiti, mirando a ricomporre un quadro territoriale unitario in cui infrastrutture, paesaggio, residenza ed altre funzioni trovino nuove stabilizzazioni: «possiamo concentrare ciò che deve essere concentrato. E possiamo anche decentrare ciò che sarebbe meglio decentrare. Ma non bisognerebbe necessariamente sostituire la grandezza con la piccolezza, il massimo con il minimo. Bisognerebbe cercare di trovare per tutto la dimensione migliore e ottimale e costruire gli elementi conformi a questa dimensione. Il nostro obiettivo è di evitare una concentrazione ed una centralizzazione inutili e di conseguire integrazione» (Hilberseimer, 1963: 82). Al contempo è di estrema attualità - soprattutto in Italia, dove la città moderna in larga parte è cresciuta in modo centripeto intorno agli antichi centri - lavorare per diradare l’ammasso edilizio caotico che asfissia gli antichi insediamenti, stabilizza figure che raccontano solo della bramosia della rendita fondiaria e della modernità equivoca che ci ha portato a quest’urbanizzazione densa e congestionata. A questo territorio che nessuno riconosce come proprio. In questa strategia il paesaggio diventa “struttura”, in quanto terreno materiale di una discussione che ambisce ad essere condivisa ed operante. Il paesaggio consente all’urbanistica contemporanea di tornare nel campo della realtà: da sfondo, diventa piano, non solo immateriale, d’integrazione, confronto, consapevole messa in tensione tra elementi. Nella sua configurazione materica questo piano di condivisione diventa materiale del progetto e sposta l’attenzione dagli elementi al “fondo” (ovvero a dove gli elementi trovano fondazione): il suolo”, la terra, ritornando alla quale (ovvero: a partire dalla quale), è possibile riconquistare le continuità tra gli elementi. Correggendo quella miopia che porta a confondere le cose, scambiando il reale con una sua interpretazione.
Bibliografia Libri Basco L, Formato E., Lieto L., Americans. Città e territorio ai tempi dell’impero, Napoli, Edizioni Cronopio Beuregard Robert (2006), When America became Suburban, University of Minnesota Press Coppola Alessandro (2012), Apocalypse town, Roma-Bari, Laterza Formato Enrico (2012), Terre comuni, Napoli, Clean Edizioni Hall Peter (1997), Megacities, world cities and global cities, Megacities 2000 Foundation Hilberseimer L. (1963), Un’idea di piano, Venezia, Marsilio, 1967 Hilberseimer L. (1955), La natura delle città, Milano, Il Saggiatore, 1969 Hollander J.B. (2011), Sunburnt cities, Routledge Perulli Paolo (2009), Le forme del mondo spaziale, Torino, Einaudi Russo Michelangelo (2011), Città-mosaico, Napoli, Clean Edizioni Sharp Thomas (1932), Town and Countryside. Some Aspects of Urban and Rural Development, Oxford University Press Schivelbusch Wolfgang (2006), New Deal. Parallelismi tra gli Stati Uniti di Roosevelt, l’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler 1933-1939, Tropea Editore, 2008 Viganò P. (a cura di) (2004), New territories. Situations, projects, scenarios for the European city and territory, Officina edizioni
Articoli Piccinato Luigi (1934), Il significato urbanistica di Sabaudia, Urbanistica, 1 Secchi Bernardo (1986), Progetto di suolo, Casabella, 520-521 Enrico Formato
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Siti web The Map scroll. A blog about maps and the world. Disponibile su: http://mapscroll.blogspot.it
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“Antropocene” Millo 2012 ®
Atti della XV Conferenza Nazionale SIU Società Italiana degli Urbanisti Pescara, 10-11 maggio 2012
L’Urbanistica che cambia. Rischi e valori
by Planum. The Journal of Urbanism ISSN 1723-0993 | n. 25, vol. 2/2012